ANDREA DI GIOVANNI Analisi della struttura compositiva di “Mantra”

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ANDREA DI GIOVANNI
Analisi della struttura compositiva di “Mantra”
composizione per 2 pianoforti e modulatore ad anello
di K.Stockhausen
RUGGINENTI
REDD 00018
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Andrea Di Giovanni
Analisi della struttura compositiva di “Mantra”, composizione per
2 pianoforti e modulatore ad anello, di K.Stockhausen
Al giorno d’oggi, il compositore orientato alla musica elettronica, sta
attraversando un periodo piuttosto complesso legato alla continua crescita
ed evoluzione della tecnologia. Quando il compositore ha terminato la sua
opera, molto spesso si ritrova, nello stesso istante, con mezzi e strumenti
più sofisticati rispetto a quelli adoperati, che allargano ancora di più gli
orizzonti della sua creazione. Basti pensare alle possibilità che oggi, in
termini tecnologici, possiede un qualsiasi computer anche commerciale
rispetto a dieci anni fa. Non altrettanto facile è stata la ricerca musicale
sperimentale ed elettronica, per i compositori che si sono distinti nel
panorama della storia della musica degli ultimi cinquant’anni. Karlheinz
Stockhausen e la sua produzione elettronica con o senza l’utilizzo di
strumenti acustici, occupa uno spazio rilevante già sin dai primi
esperimenti compiuti sul finire degli anni Cinquanta, nello Studio della
Radio di Colonia. Nonostante possiamo dire sia trascorsa un’eternità, dal
pionierismo elettronico legato all’utilizzo del modulatore ad anello, ai
tempi e scenari attuali, in cui si prediligono strumenti come gli editor
sonori, in grado di compiere operazioni molto complesse di “sound
design” e ambienti in stile Max/Msp, legati al live electronics, il valore
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artistico delle composizioni “storiche” di K. Stockhausen continua ad
avere un peso determinante, dovuto alla suggestione sonora da esse
derivanti, nonostante la relativa povertà di mezzi a disposizione per
l’epoca.
Il presente saggio, vuole evidenziare e mettere in luce le tecniche
adoperate da Stockhausen per la realizzazione di “Mantra”, opera
composta tra il 1969 e il 1970, per due pianoforti e modulatori ad anello,
che ritengo sia una delle pagine più importanti del percorso artistico del
musicista, ma anche della storia della composizione elettronica nel suo
complesso.
Prima di avventurarci nell’analisi di “Mantra”, mi sembra opportuno fare
delle premesse riguardanti il significato dei termini “live electronics” e
“modulatore ad anello”
Introduzione al Live electronics
Per live electronics si intende l’insieme di tecniche e di apparecchiature
elettroniche che permettono l’elaborazione dei suoni in tempo reale
(indipendentemente dal tipo di sorgente), ovvero in un tempo inferiore alla
nostra soglia percettiva. Negli ultimi anni, questa definizione tecnica ha
subito delle integrazioni, inglobando tutta una serie di nuove pratiche
esecutive. I compositori di oggi, adottano sempre più questa tecnica perché
orientati alla ricerca di una prospettiva, in cui vi sia spazio per una fusione
tra le scelte interpretative momentanee e il predeterminato, legato alla
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partitura. Oltre a questi aspetti, risulta fondamentale l’esistenza di
un’interazione più profonda che possa manifestarsi in modo più esplicito,
sia durante la preparazione che durante l’esecuzione, tra la figura del
compositore e quella dell’esecutore.
Proprio nella direzione della tecnica del live electronics si concentra una
parte
della
produzione
musicale
di
Karlheinz
Stockhausen:
successivamente alla realizzazione di Kontakte, composizione scritta tra il
1958 e il 1960, per suoni elettronici, pianoforte e percussioni, negli anni
Sessanta e Settanta, si assiste alla creazione di un linguaggio in grado di
«collegare musica elettronica e musica strumentale in maniera ancora più
stretta e di trovare forse addirittura una soluzione che permetta una
fusione e un feedback assoluti tra i due campi [Stockhausen 1976, 248]».
Seguendo questi principi,
Mixtur (1964), per cinque complessi
strumentali, quattro modulatori ad anello e quattro generatori di suono, è il
primo lavoro ad essi ispirati. Successivamente, sempre legato agli stessi
principi, Mantra (1969-70) per due pianoforti e modulatori ad anello,
composizione oggetto di questo saggio.
Il modulatore ad anello o ring modulator
La modulazione ad anello è stata, ai primordi della musica elettronica, una
delle tecniche di sintesi sonora più sfruttate, anche grazie alla sua
semplicità tecnologica. Il nome "anello" deriva dalla configurazione del
suo circuito che è costituito da una serie di quattro diodi1 al germanio
collegati in un modo molto simile ad un rettificatore d'onda, ma
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diversamente dal rettificatore, nel modulatore ad anello i diodi seguono
uno schema circolare univoco.
Il modulatore ad anello è stato uno dei primi "effetti" utilizzati per
generare voci robotiche, ancora prima dell'uso del vocoder, nei film di
fantascienza come "First Spaceship on Venus" e il celebre serial della BBC
"Doctor Who". Fra i maggiori utilizzatori di questa tecnica, troviamo
appunto Karlheinz Stockhausen nelle opere Mikrophonie II, in cui un coro
di voci veniva modulato da un organo Hammond, e Mantra per due
pianoforti e modulatore ad anello. Negli anni 70, il ring modulator venne
implementato nei sintetizzatori commerciali, primi fra tutti i sintetizzatori
Moog.
Il principio di funzionamento del modulatore ad anello è semplice ed è
correlato con le tecniche di modulazione d'ampiezza, detta AM, tecnica
adoperata dai chitarristi con il nome "tremolo effect".
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Per definizione tecnica, il diodo è un componente elettronico passivo non lineare a due terminali
(bipolo), la cui funzione ideale è quella di permettere il flusso di corrente elettrica in una direzione e
di bloccarla nell'altra, questo viene realizzato ponendo dei vincoli alla libertà di movimento e di
direzione dei portatori di carica.
Volendo avvicinare il nostro sguardo al principio tecnico elettronico di
funzionamento, teniamo presente che in una modulazione, esistono sempre
due frequenze:
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