La Rinascita delle città nell’Italia medievale (sec. XI-XIII) La città medievale. Agli inizi del XIII la popolazione europea era caratterizzato da una forte tendenza alla crescita, i cui primi segni avevano cominciato a manifestarsi intorno all’anno Mille. Il numero degli uomini, rimasto a livelli molto bassi durante i primi secoli dell’età medievale, aveva ripreso a salire in misura consistente. Se si esclude il Domesday Book, un catasto fatto compilare nel 1086 dal re d’Inghilterra Guglielmo il Conquistatore, non esistevano, in quell’epoca, catasti terrieri, né censimenti generali delle popolazioni; gli studiosi di demografia sono quindi costretti a procedere per vie congetturali e a basarsi su dati incompleti e insufficienti. I loro calcoli, pertanto, non esprimono valori assolutamente certi ma ordini di grandezza più o meno credibili 1. Soltanto con il diffondersi, con l’età comunale, dei registri di estimo, dei catasti, delle matricole militari e successivamente degli elenchi dei “fuochi”, cioè delle famiglie, compilati a fini fiscali, è possibile ricavare dei dati quantitativi, il cui limite, tuttavia, consiste molto spesso nel non essere comprensivo di tutti gli strati sociali che abitano la città. A partire dall’XI secolo, dunque, avviene una profonda trasformazione della società. I ceti produttivi, i mercanti, gli artigiani, anche i piccoli nobili capiscono che il castello del signore, il borgo, il chiuso di un’economia limitata entro il cortile del feudatario non presentano prospettive. Le città abbandonate durante nei secoli dell’Alto Medioevo per il terrore delle varie invasioni, offrono ora ciò che a lungo non erano state più in grado di dare. In primo luogo protezione: perché in esse comandano i vescovi-conti, i quali non le hanno abbandonate come i feudatari per ritirarsi nella sicurezza dei loro castelli, ma sono rimasti per amministrarvi la collettività, dimostrandosi più tolleranti e generosi dei grandi signori. In secondo luogo, in un momento di ripresa delle attività produttive e del commercio, le città hanno necessità che inducono a tornarvi per aprirvi botteghe, negozi, mercati, per portarvi in quantità sempre crescente i frutti della terra, per avere contatti che allargheranno le conoscenze e gli scambi. Così sempre più numerosi i mercanti, gli uomini d’affari, gli artigiani e chiunque voglia vendere o acquistare qualcosa decidono di rientrare nelle città, le quali si ingrandiscono, riprendono vita. La città, dunque, era intesa, dai contemporanei, in una duplice accezione: da un lato le mura, che cingevano uno spazio ben preciso, separandolo e differenziandolo da quello esterno, dall’altro gli abitanti che percepivano ed erano consapevoli della loro unitarietà e della loro differenza, rispetto a coloro che vivevano fuori dell’agglomerato urbano. Il dibattito storiografico pone l’attenzione sul fatto che la città medievale non esiste in se stessa, si vedano le tesi del tedesco Heit, o del belga Pirenne, o negli anni settanta della tedesca Ennen, la quale individuava la città nella “combinazione di un fascio di criteri diversi […] la cui composizione varia a seconda dei tempi e dei luoghi” 2, poiché esistono solo le singole città, ognuna nella sua specificità. Comunque è possibile tracciare una definizione comune, che possa unire, al di là delle singole differenze. Infatti, si può affermare che la città era un luogo dove si svolgevano funzioni di mercato, amministrative, giudiziarie, religiose, militari e politiche. Inoltre, offriva servizi validi non solo per il centro urbano, ma anche per una vasta zona circostante 3. Si deve tenere presente che, quanto sin qui detto e si dirà sulla città, vale in massima parte per le città dell’Italia centro-settentrionale e in parte anche per alcune città europee ( in Francia e nelle Fiandre). La maggior parte della popolazione che giungeva in città praticava soprattutto attività artigianali, commerciali o amministrative. La città era inoltre un luogo fortificato da mura, che difendevano la popolazione e delimitavano lo spazio entro cui si era sottoposti al diritto comunale e dove si godevano privilegi giudiziari o politici. Dal punto di vista della formazione della città, nessun caso si rivela identico ad un altro, per cui una città poteva svilupparsi da un insediamento urbano preesistente già dall’Alto Medioevo, dall’evoluzione di un castrum di origine romana, o dall’evoluzione di una sede mercantile, o anche più semplicemente dalla decisione di un signore di fondare una nuova città. 1 R. Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (sec. XI-XIV), Loescher, Torino 1984 R. Bordone, op. cit. 3 Pini, La città medievale, in Città, comuni e corporazioni del medioevo italiano, CLUEB, Bologna 1986, p. 14 2 La situazione in Europa. Nei primi anni del secolo XI, dunque, le città recuperarono importanza, anche se con ritmi e modalità diverse, in tutta Europa 4. Si trattò di una vera rinascita, sia con la ripopolazione di siti antichi già esistenti (situazione tipica delle regioni mediterranee e in particolare dell’Italia dove la città altomedievale aveva continuato a vivere grazie alla presenza del vescovo 5, che aveva saputo, come coordinatore della vita pubblica, farsi rappresentante delle esigenze della collettività che a lui si era affidata), sia sviluppando nuovi centri, dove prima esisteva solo un piccolo insediamento, soprattutto nell’Europa centro-settentrionale. Naturalmente sulle origini di questa rinascita gli storiografi hanno molto dibattuto. Per il Pirenne, le città medievali nacquero come conseguenza dello sviluppo delle attività commerciali sulla lunga distanza: la sua tesi si è rivelata valida per alcune aree dell’Europa del nord, in particolare per le Fiandre. Nell’Europa meridionale, invece, fu probabilmente lo sviluppo agricolo a determinare una sovrabbondanza di prodotti da scambiare in città e un aumento di uomini, che si trasferirono all’interno dei centri urbani, aumentando sensibilmente la popolazione cittadina. Nella complessa situazione europea, l’origine e lo sviluppo delle città permettono di definire tre aree diverse. La prima è quella dell’Europa di nord-est, a est del Reno, dove sorsero numerose nuove città, poiché l’eredità romana era decaduta o era stata limitata o assente del tutto. La seconda, l’Europa dell’ovest, nel territorio compreso tra la Senna e il Reno, presentava ancora i segni della vita cittadina di età romana, per cui, nonostante la decadenza nel periodo altomedievale, la ripresa urbana fu agevolata. Il terzo caso è quello dell’Europa mediterranea, dove le città di origine romana non scomparvero mai del tutto durante l’Alto Medioevo e potenziarono la propria organizzazione urbana a partire dall’XI secolo 6. Dunque, tra il X e l’XI secolo le aree di maggiore urbanizzazione si situarono dove le città tardo-antiche avevano mantenuto una certa 4 E. Artifoni, Città e comuni, in Storia Medievale, Donzelli, Roma 1998, p. 364 G. Piccinni, I mille anni del Medioevo, Bruno Mondadori, Milano 1999, p. 169 6 R. Bordone, op. cit. 5 vitalità anche e soprattutto commerciale. Dal XIII secolo, invece, il fenomeno cittadino si diffuse progressivamente in tutta Europa. Nel primo periodo considerato, le città avevano modeste dimensioni topografiche e demografiche: presentavano un’estensione di qualche decina di ettari e ospitavano una popolazione di qualche migliaio di abitanti. Nel periodo della massima estensione demografica, tra il XIII e il XIV secolo, le città con il maggior numero di abitanti raggiunsero una popolazione superiore alle 50.000 unità: Milano, Firenze, Venezia, Genova in Italia, Parigi, Gand e Bruges In Europa. I più grandi agglomerati urbani si concentrarono dunque nella penisola italiana, in Francia e nelle Fiandre; costituì un’eccezione, negli altri paesi europei solo Londra, con 50.000 abitanti 7. 7 G. Tabacco, Medioevo, Il Mulino, Bologna, 1988 La situazione in Italia. In Italia, le città, favorite dalla presenza di una forte tradizione cittadina, assunsero un’importanza crescente. Inoltre, vi furono anche città di nuova fondazione, ma in numero ridotto, tra queste citiamo Alessandria, Ferrara, Vercelli e Viterbo. (nota) Lo sviluppo cittadino fu sostenuto e incrementato dalla crescita demografica, dall’incremento della produzione agricola, dal moltiplicarsi delle attività artigianali e dall’aumento dei traffici commerciali. Aumentarono, infatti, gli abitanti che scelsero di vivere in città, così emersero nuovi ceti sociali: le attività artigianali e commerciali si ampliarono e le strutture architettoniche e urbanistiche per forza di cose si modificarono. La situazione presentata era riscontrabile soprattutto nell’Italia centro-settentrionale, dove la rinascita delle città si manifestò con un’intensa attività economica, accompagnata in molti centri dalla nascita di organismi politici autonomi, i Comuni. Diversa era la situazione nell’Italia meridionale, dove, nonostante la scomparsa di numerosi centri urbani durante il periodo altomedievale, permaneva una forte tradizione civica, che non si realizzò però mai veramente in un’autonomia politica. Questo soprattutto nei territori della Chiesa, poiché i papi, che appoggiavano e aiutavano i Comuni ribelli all’imperatore, erano invece contrari all’autonomia comunale delle loro città, quindi il potere restò sempre nelle mani del pontefice, mentre ancora più a sud, i Normanni costituirono un solido regno in cui il sistema feudale fu rinforzato e le seppur nascenti autonomie furono, così, indebolite. Occorre ricordare, inoltre, che una caratteristica della civiltà dei Comuni fu lo sviluppo di una ideologia cittadina, cioè, lo sforzo di pensare la città come luogo della libertà, dove al sistema di valori legati alla tradizione ecclesiastico-religiosa, si affiancarono i modelli di ispirazione laica e civile. Quindi, un aspetto fondamentale della ideologia cittadina fu la consapevolezza, tra gli abitanti di una data città, dei legami e degli interessi che li univano. Infatti, nonostante le divisioni tra le famiglie e i gruppi sociali presenti nella città, si sviluppò un forte spirito civico nella cittadinanza, che si sentiva unita nelle azioni e nei simboli comuni (si veda il Carroccio, quale esempio), per far fronte ai pericoli e alle pressioni esterne. Proprio dal sentimento di unione dei cittadini nacque un forte orgoglio municipale che si espresse, peraltro, in forme letterarie (per fare un solo esempio, Dante, nella Divina Commedia, per la sua Firenze), artistiche, ideologicoreligiose: negli scritti di lode, nelle cronache, negli affreschi che esaltavano le opere del comune, nei progetti architettonici di ristrutturazioni urbane 8. Ma, ovviamente all’elogio alla propria città corrispondevano anche la critica e il disprezzo verso le città rivali o comunque considerate nemiche. 8 E. Occhipinti, L’Italia dei comuni, Carocci, Roma, 2000 Capitolo II Lo scontro con l’Impero La parola “Comune” deriva dall’espressione communis facere, dal latino, “mettere in comune”. Essa, dunque, indica in origine un modo nuovo di occuparsi insieme, nobili e borghesi, della vita sociale e politica. Ma già nel Medioevo, in breve tempo, la parola tende a coincidere prima con il significato di “governo della città”, poi addirittura con la città stessa: il governo, l’amministrazione, le stesse strutture edilizie. Pertanto, il Comune in Italia nasce nel momento in cui l’assemblea (cioè l’organo rappresentativo della cittadinanza) assume facoltà decisionali non per delega del vescovo ma in quanto si identifica con il concetto di città dotata di libertà politica. Il desiderio di ridare ordine e normalità alla vita cittadina sconvolta dai conflitti sociali e religiosi e di riempire, in qualche modo, il vuoto di potere centrale apertosi nella seconda metà del XI secolo con la crisi dell’Impero indusse le città a sperimentare forme di autogoverno affidando alcuni poteri ad una rappresentanza di cittadini. Da tali organismi rappresentativi scaturirono, attraverso un graduale processo durato decenni, i veri e propri organismi comunali 9. Si deve però tenere presente che vi è una visione plurale della genesi del comune, dal momento che le varie città pervennero alla conquista dell’autogoverno in modi differenti, e cioè diverse furono le circostanze in cui venne instaurato il comune, i poteri che riuscì ad acquisire, i tempi impiegati per giungere all’autonomia: infatti, possiamo dire che tra la fine del XI secolo e l’inizio del XII, è attestata la nascita dei 9 E. Occhipinti, op. cit. primi comuni governati da consoli scelti nell’ambito dell’aristocrazia cittadina; in seguito, verso la fine del XII secolo, nel momento della fine dello scontro tra le città dell’Italia centro-settentrionale e l’Impero, la guida del governo cittadino passo ad un podestà che sostituì la magistratura collegiale dei consoli; alla metà del secolo XIII i ceti popolari, riuniti in associazioni rionali e di mestiere, imposero accanto al podestà dei propri rappresentanti e un capitano del popolo, creando, così, una sorta di governo parallelo che in parte si affiancava e in parte si sovrapponeva a quello podestarile; ed infine, nel corso del XIV secolo, lo scontro tra gruppi sociali e fazioni avviò la crisi delle istituzioni comunali e, di conseguenza, preparò la via all’affermazione dei regimi signorili. Il governo dei consoli. Il Comune si trasformò, dunque, da associazione di privati cittadini, in un organismo politico: prese in mano il governo della città, organizzò la difesa e i rifornimenti, fece rispettare le leggi e i regolamenti, ne stabilì di nuovi, si scontrò con altre città o con i signori feudali vicini. La composizione dei Comuni variava da città a città, come pure la loro organizzazione interna, con cariche che avevano nomi diversi e diversi compiti, poteri, durate. Si parla di instaurazione comunale solo con la comparsa sulla scena politica delle città dei consoli, una magistratura elettiva che rappresentava l’intera cittadinanza 10. I consoli, che erano espressione delle maggiori famiglie dell’aristocrazia urbana, vennero riconosciuti quali rappresentanti della totalità dei cittadini e venne loro affidata la gestione del governo. Il consolato trasse origine dalla concordia, cioè dall’accordo stipulato da un gruppo di cittadini maggiorenti al fine di salvaguardare la pace interna e lo sviluppo della vita cittadina. Il termine consul apparteneva al lessico della cultura e della tradizione romana, si ricollegava da un lato alla ripresa e allo studio del diritto antico, dall’altro all’uso, ancora vivo nell’Italia bizantina, di richiamarsi alle categorie giuridiche romane; e venne, dunque, utilizzato per definire una nuova funzione pubblica e, allo stesso tempo, per legittimarla attraverso il richiamo alla tradizione giuridica romana. Si è già fatto notare come è difficile stabilire con certezza le prime attestazioni del consolato nelle varie città, sia a causa della mancata conservazione delle fonti (vero 10 E. Occhipinti, op. cit. anatema per gli storici), sia per il fatto che tale magistratura non costituì da subito un’istituzione stabile e continuamente rinnovata, ma una magistratura a singhiozzo, convocata cioè in determinati e particolari momenti. Inoltre, per un periodo imprecisato, in molte città il nuovo regime consolare non si sostituì immediatamente al governo del vescovo, ma si ebbe la coesistenza del governo vescovile e di quello consolare che consentì comunque alla nuova magistratura di crescere, di rafforzarsi e di legittimare la propria autorità sotto la tutela dell’autorità del vescovo, e infatti con esso stabilì all’inizio un rapporto di collaborazione. Per quanto riguarda il collegio consolare comprendeva un numero di membri variabile non solo da città a città, ma anche all’interno della stessa città da un anno all’altro, e oscillava da almeno due fino a ventiquattro o più membri 11. Ciò conferma il carattere sperimentale della nuova magistratura, di volta in volta modificata e perfezionata secondo le esigenze del luogo e delle circostanze. Nel momento in cui i consoli accettavano e assumevano l’incarico dovevano pronunciare un giuramento (chiamato breve), con il quale si impegnavano a tutelare le istituzioni politico-religiose, a provvedere alla difesa e alla sicurezza e ad affrontare i problemi della città; a loro volta i cittadini che partecipavano alla vita del comune si impegnavano a sostenere e collaborare con i propri rappresentanti affinché tutto procedesse nel migliore dei modi. Di solito, comunque il mandato consolare durava un anno, alla fine del quale i magistrati venivano sottoposti ad una valutazione del loro operato e dovevano risarcire eventualmente per gli abusi commessi (famoso l’esempio del priore Dante, anche se con dolo dei cittadini della parte avversa che lo accusarono ingiustamente, pare). E' probabile che in un primo tempo essi venissero acclamati dall’assemblea generale dei cittadini (chiamato concio o arengo), la quale poteva rappresentare “di volta in volta l’insieme dei partecipanti alla concordia che stava alla base della nascita del comune, o dei capifamiglia e della popolazione maschile sottoposta agli obblighi militari” 12, anche se non mancarono tuttavia forme di elezioni indirette. Il diritto di partecipare a tale assemblea era generalmente limitato ad una parte della popolazione: i membri delle famiglie dell’aristocrazia cittadina che avevano dato vita al comune, i proprietari terrieri, i grandi e ricchi mercanti e artigiani; il resto della popolazione era escluso dalla partecipazione alla vita politica. In seguito tra 11 M. Montanari, Storia medievale, p. 158 l’assemblea e i consoli si inserì un Consiglio, che non sostituì il parlamento il quale mantenne per lo più il ruolo formale di ratifica delle delibere consolari. In genere il Consiglio fu diviso in un Consiglio maggiore, al quale spettava il potere di deliberare, e un Consiglio minore, che aveva la funzione di istruire le pratiche e affiancava i consoli nell’esercizio del potere esecutivo. Una volta consolidatosi nella gestione e nel controllo della città il governo comunale poté estendere la sua influenza sul territorio circostante (nel contado) e su i suoi abitanti. L’espansione dei Comuni nel contado. Le mura cittadine segnavano un limite preciso: al di là vi era la campagna, un mondo diverso con consuetudini e aspetti propri. Tuttavia i legami tra le due realtà erano così profondi e l’attrazione della città così potente che la campagna circostante ne fu trasformata. Nell’alto Medioevo il paesaggio era molto simile ovunque in Europa: immense distese di foreste interrotte qua e là da pascoli o zone paludose, dove ogni tanto si aprivano come una radura le terre coltivate e i villaggi di una abbazia o di un castello; le città sopravvissute erano un pugno di case: qualche fazzoletto d’orto e pochi campi bastavano a mantenerle. Ma, come abbiamo visto, a partire dall’XI secolo il paesaggio iniziò a rimodellarsi: si cominciarono ad abbattere le foreste e a bonificare paludi per fare posto ai campi, perché le città si estesero e chiedevano rifornimenti. Gli agricoltori del contado (cioè le terre vicine e dipendenti dalla città, da cui il termine “contadino”) ebbero un maggiore benessere e maggiori contatti con il mondo esterno di quelli che vivevano in zone più isolate e fuori mano. Molti cittadini si interessarono all’agricoltura perché con le terre meglio sfruttate e organizzate si poteva guadagnare; infatti, i più ricchi cominciarono ad acquistare poderi e ad introdurre le innovazioni che si stavano diffondendo a quell’epoca. La campagna attorno alla città diventò quindi migliore, coltivata in modo più moderno, con rese maggiori delle altre terre. Ma il contado aveva stretti rapporti con la città anche per la produzione di beni artigianali: da qui proveniva la maggior parte delle materie prime lavorate dagli artigiani cittadini, ma qui si svolgevano anche molte lavorazioni di base. 12 E. Occhipinti, op. cit., p. 34 Per questo motivo lo sviluppo di nuove forme di governo cittadino fu legato anche alla ripresa economica e demografica delle città dell’Occidente ruralizzato a partire dal XII secolo. Si andò affermando, soprattutto nelle città dell’area mediterranea, il ruolo centrale degli insediamenti cittadini sul territorio circostante e ciò, nei successivi sviluppi, avrebbe rappresentato la connotazione caratteristica della città comunale. In Italia, prima che altrove, la città estese le sue funzioni economiche, militari e religioso-culturali nel territorio circostante e tale supremazia urbana venne favorita sia dalla antica tradizione urbana che attraverso la città vescovile risaliva al municipio romano, sia dalla particolare composizione sociale, eterogenea ed ormai articolata, che caratterizzava le città italiane. La città vescovile precomunale aveva, infatti, poste le basi della progressiva espansione dell’influenza cittadina, dal momento che il vescovo esercitava nel contado una egemonia territoriale di tipo signorile, oltre a possedere nel territorio circostante numerose proprietà fondiarie 13. Il comune raccolse questa eredità e si espanse subentrando alla presenza vescovile. Inoltre, l’esistenza in Italia di un ceto di proprietari, residenti in città, con vasti possedimenti extraurbani condusse nell’orbita delle città ampie fasce del territorio circostante e il legame economico con il territorio al di fuori delle mura urbane si trasformò ben presto in controllo politico esteso sugli abitanti della campagna. Il comune riuscì ad estendere la sua influenza nel contado dal momento che aveva nella sua composizione sociale le forze necessarie: la potenza militare, assicurata dagli aristocratici che parteciparono alla formazione del comune; la disponibilità economica, indispensabile per l’acquisto di terre e di diritti dai signori feudali e dagli enti ecclesiastici e, oltretutto, garantita dall’investimento di capitali nel contado da parte della componente mercantile e commerciale; il diritto, per legittimare e registrare i rapporti che la città intratteneva con comunità, signori del contado. Giudici e notai misero a punto una teoria, la quale considerava il contado e la diocesi come lo spazio legittimo di espansione dell'istituzione comunale e riconosceva alla città un ruolo di preminenza sul territorio circostante 14. 13 R. Bordone, op. cit. Lo scontro con l’Impero. Enrico IV era morto senza lasciare eredi: i comuni perciò potevano consolidare i loro privilegi perché nessuno aveva tempo ed energia per occuparsi di loro. La situazione cambiò nel 1152, quando salì al trono Federico I di Svevia. Dopo aver sottomesso i grandi feudatari, Federico decise di affrontare il problema costituito dai Comuni dell’Italia centro-settentrionale, che nonostante il fiorire delle autonomie locali facevano pur sempre parte dell’Impero, e dunque dovevano riconoscere l’autorità dell’imperatore. Nella seconda metà del secolo XII l’imperatore tentò di ricondurre sotto la sua autorità le città italiane, provocando le reazioni dei comuni, decisi a difendere l’autonomia progressivamente raggiunta in materia di moneta, fisco, amministrazione della giustizia e reclutamento militare. Nel 1154, due anni dopo la sua elezione a re di Germania e d’Italia, Federico compì una prima spedizione in Italia e convocò a Roncaglia una assemblea (dieta), nella quale consentì ai vari sudditi di presentare le loro lamentele al fine di ottenere giustizia. A lui si rivolsero le città lombarde minori (Como, Lodi, Pavia e Novara) le quali denunciarono l’aggressività politica del comune di Milano. L’imperatore decise, pertanto, di intervenire per riaffermare i suoi diritti dal punto di vista fiscale e amministrativo e per riportare ordine e sicurezza nel territorio. Egli comprese la necessità di ripristinare la legge, ridefinendo, con la collaborazione dei giuristi italiani, i diritti di natura pubblica (giurisdizionali, fiscali, militari) che spettavano all’impero e che le città comunali italiane avevano arbitrariamente avocato a sé. Nel 1158 l’imperatore scese una seconda volta in Italia e cinse d’assedio la città di Milano, in quanto simbolo della ribellione antimperiale, costringendola a capitolare. Poco dopo convocò a Roncaglia una dieta per ristabilire le prerogative imperiali in tema di regalie. Venne attribuito a quattro giuristi bolognesi il compito di definire gli iura regalia, cioè i diritti che spettavano al re. Essi erano costituiti dai diritti di carattere patrimoniale (controllo sulle terre dei liberi, vie di comunicazione terrestre e fluviali, dazi e pedaggi, il potere di coniare monete e riscuotere multe, incameramento di patrimoni privi di eredi legittimi o di quelli appartenenti ad individui colpevoli di gravi delitti, acquisizione della metà dei beni derivanti dal patrimonio demaniale o dai luoghi sacri, aver a disposizione dei palazzi regi), dal potere di chiedere sostegno economico per le campagne militari 14 E. Artifoni, op. cit. intraprese dall’imperatore e dal diritto di nominare dei magistrati per l’amministrazione della giustizia. Federico I emanò a Roncaglia anche una costitutio pacis, con la quale proibiva le leghe tra le città comunali e le guerre tra privati, rivendicando al potere imperiale il diritto di pace e di guerra 15. Federico intendeva riorganizzare i territori italiani creando una rete di podestà e castellani facenti capo direttamente all’imperatore e affiancati da funzionari incaricati di esercitare in suo nome il controllo sui governi italiani. Ma, non fu semplice mettere in pratica quanto era stato deliberato durante la dieta. Mentre le città toscane, infatti, si uniformarono alla volontà imperiale, la situazione fu ben più complicata in Lombardia, dove più forte era lo spirito autonomistico cittadino. L’ingiusto ed arbitrario comportamento dei funzionari imperiali, nel tentativo di porre fine ad ogni forma di resistenza, suscitò violente reazioni in alcuni comuni e in particolare nel comune di Milano. Qui la situazione precipitò, i legati imperiali, inviati al fine di imporre magistrati di nomina regia, vennero minacciati e respinti. La risposta imperiale non si fece attendere: nel 1162 la città venne assediata, costretta alla resa e distrutta. Il malgoverno dei funzionari imperiali indusse le città lombarde, venete ed emiliane a unire le proprie forze per difendere le proprie libertà contro le limitazioni imposte dall’imperatore. Queste stesse città si unirono, infatti, nella Societas Lombardiae, cioè la Lega Lombarda (1167), rivendicando il diritto imperiale di fondare una nuova città. La Lega fondò in posizione strategica la città di Alessandria, così chiamata in onore del papa Alessandro III, il quale già da tempo era vicino ai comuni e nella determinazione ad ostacolare la forte presenza imperiale nella penisola. “Nell’atteggiamento dichiarato dei comuni non c’era l’intenzione di mancare alla fedeltà dovuta all’imperatore e da loro identificata con il rispetto dei diritti e prerogative effettivamente esercitati dai sovrani negli ultimi decenni; c’era piuttosto la protesta contro il ripristino di diritti caduti in disuso (ripristino che contraddiceva il principio giuridico della consuetudine come fonte del diritto) 16. Federico, alla sua quinta discesa in Italia, dopo aver invano assediato la città di Alessandria e tentato un accordo con le città della lega, venne battuto dalle forze milanesi a Legnano (1176). L’imperatore cercò la pacificazione con il papato (pace di Venezia 1177) e sottoscrisse una tregua con i comuni della durata di sette anni, 15 16 M. Montanari, Storia medievale, p. 196 E. Occhipinti, op. cit. premessa alla successiva pace di Costanza (1183), che sancì la fine del lungo conflitto. La pace di Costanza. Con il trattato di Costanza per i comuni italiani era la vittoria: dopo trent’anni di lotta l’imperatore era costretto a riconoscere l’esistenza di un forte gruppo di città ricche, autonome e indipendenti. Al fine di regolare i loro rapporti, l’accordo stabilito tra i diplomatici dell’imperatore e i comuni italiani, prevedeva il riconoscimento dell’esercizio delle regalie ai comuni aderenti alla Lega Lombarda. In seguito le stesse prerogative, attraverso la concessione di privilegi o per acquisizione di fatto, furono estese a tutte le città comunali. Il trattato di pace sottoscritto a Costanza si presentava, non tanto come un accordo bilaterale tra potenze alla pari, ma come una gentile concessione dell’imperatore che di fatto modificava i decreti di Roncaglia a vantaggio delle città. Vennero riconosciute ai comuni quelle regalie, che per consuetudine essi esercitavano da tempo in città e nel contado, consistenti nel diritto di amministrare la giustizia, arruolare l’esercito, imporre il fodro (cioè, la somma pagata al posto del servizio militare), riscuotere tasse e pedaggi, costruire fortificazioni per la propria sicurezza, sfruttare le risorse comuni (acqua, boschi, pascoli). L’imperatore riconobbe l’esistenza della Lega e gli accordi esistenti tra le varie città padane; riconobbe a queste ultime il diritto di eleggere i propri magistrati, riservandosi, tuttavia, il diritto di investire i consoli dei loro poteri e di confermare tale investitura ogni cinque anni, in modo da ribadire periodicamente il legame delle città italiane con l’Impero; riaffermò il diritto di giurisdizione e i diritti militari che spettavano a lui. In questo modo i comuni accettavano di far parte della struttura giuridica dell’Impero e di rispettare formalmente l’autorità imperiale come fonte di ogni potere pubblico, pur mantenendo la loro piena autonomia. Di fatto, dunque, con la pace di Costanza, Federico I legittimò le libertà comunali, contribuendo al rafforzamento delle strutture dell’autogoverno cittadino, e venne considerato dai contemporanei come il riconoscimento ufficiale della legittimità dei governi cittadini. Capitolo III I luoghi della città Introduzione. Ogni città medievale aveva una sua propria precisa fisionomia, che dipendeva in parte dalla posizione, in parte dai monumenti sempre più splendidi con cui veniva abbellita per esibire ricchezza, prestigio e potenza. Tuttavia alcuni elementi erano comuni a tutte perché costituivano la struttura base della vita economica e politica. Innanzitutto la piazza, dove si trattavano gli affari e si stipulavano i contratti, dove una stretta di mano davanti a testimoni valeva quanto un documento scritto ( è curioso notare che, in alcune realtà di piccoli paesi ad economia agricola ancora oggi vige un comportamento simile), dove i cambiavalute sedevano dietro i loro banchi; là si svolgevano anche le riunioni del parlamento (cioè l’assemblea dei cittadini che fanno parte del Comune), si annunciavano le notizie di interesse pubblico, si eseguivano le condanne capitali, si celebravano le feste, si concludevano le processioni e le sfilate. La piazza era il palcoscenico privilegiato dove la vita cittadina si svolgeva come un grande spettacolo all’aperto. Ancora oggi le splendide piazze italiane sono come scenari di teatro: qui si affacciano molto spesso gli edifici più illustri, sede del governo cittadino nelle varie epoche, costruiti dagli artisti più famosi; sulle loro facciate spiccano ancora gli stemmi del Comune e dei gruppi al potere, fossero essi famiglie nobili o corporazioni. La piazza si apriva in mezzo ad un dedalo di viuzze strette e tortuose, spesso in salita, perché la città sorgeva frequentemente arroccata su un’altura adatta alla difesa e al dominio sulla regione circostante. Lungo molte strade si allineavano le case degli artigiani: al pianoterra la bottega (nel senso di laboratorio), ai piani superiori le stanze per la famiglia, sul retro talvolta un orto. Le mura e le porte. Le mura cittadine segnavano, come è già stato detto, un confine preciso, ed erano il primo elemento anche nella percezione degli stessi abitanti della città 17. Esse furono costruite come elemento di difesa militare, ma rivestirono anche una funzione economica, fiscale e sociale. Infatti, proprio in corrispondenza delle porte, che consentivano uno scambio reciproco tra campagna e città, si riscuotevano dazi e gabelle e venivano controllate le persone e le merci in entrata e in uscita, impedendo il passaggio di “elementi giudicati pericolosi” 18. Poiché le mura rappresentavano un bene comune della città, tutta la popolazione era impegnata nella loro costruzione e tra gli uomini in età adulta venivano istituiti dei turni per la loro sorveglianza e la loro manutenzione 19. Le mura venivano costruite, almeno in origine, utilizzando terrapieni, cinti da fossi, sulla cui sommità si sviluppavano steccati e strutture difensive in legno: solo talvolta venivano realizzate parti in muratura. Solo in seguito, ci fu l’introduzione di manufatti in pietra che sostituirono completamente gli elementi in legno. In tutte le città, inoltre, nel corso dei secoli ci fu l’esigenza di ampliare le mura poiché ogni volta che la popolazione cresceva, la cinta muraria doveva essere allargata per accoglierla. Durante il periodo altomedievale, da una prima cerchia, a partire dalla fine del X secolo, la città giunse ad ampliarsi ulteriormente con la costruzione di una nuova cinta muraria. Le mura costituivano, però, anche un grande costo: si cercava perciò di non allargarle continuamente, ma di sfruttare al massimo lo spazio al loro interno, innalzando case a più piani o facendo sporgere i piani superiori sulle vie. Dall’XI secolo l’aumento della popolazione urbana creò una saturazione delle aree edificabili e un accentuato costruzione in verticale degli edifici. Così i nuovi arrivati in città, soprattutto mercanti e artigiani, vivevano nei borghi, cioè i nuclei abitati sviluppatisi lungo i due lati delle vie uscenti dalle porte della città e non difesi dal perimetro fortificato 20. L’esigenza di comprendere anche i luoghi di recente fabbricazione spinse dunque a costruire nuove cinte murarie in numerose città. L’ultima cerchia di mura venne in genere costruita nel XIII secolo, con la previsione di un nuovo sviluppo demografico e considerando i nuovi criteri della difesa militare 21. 17 Pini, op. cit. A. Grohmann, La città medievale, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 40 19 Pini, op.cit. 20 A. e C. Frugoni, Storia di un giorno in una città medievale, Laterza, Roma –Bari 1997 21 Pini I., op.cit. 18 La tecnica della guerra medievale prevedeva in caso di presa di una città, l’assalto e la scalata delle mura e lo smantellamento delle stesse e delle porte di accesso. Quindi se una città veniva conquistata il primo atto, in senso di sfregio, era l’abbattimento delle sue mura o almeno parti di esse (quando l’imperatore sconfisse il comune di Milano, nel 1162, per umiliarlo fece radere al suolo le mura, ma queste furono le prime ad essere ricostruite dai cittadini). Ecco perché dovevano essere molto alte e possenti, con torrioni di guardia a piante quadrangolare o circolare, dotate di camminamenti (le ronde) per permettere di osservare il territorio circostante, e a volte dotate di merli per permettere una migliore difesa degli arcieri e in genere degli assediati che combattevano 22. Le porte venivano costruite in corrispondenza delle vie principali che immettevano in città e per questo motivo nelle vicinanze furono costruiti magazzini e posti di dogana. Le porte, in genere quattro, costituì il punto di riferimento per una prima ripartizione della città stessa, fino a quando non fu sostituita dal quartiere, che comunque dalla porta prese il nome 23. Inoltre, gli abitanti difendevano un tratto di porta ben preciso delle mura, a seconda di dove abitavano e che faceva riferimento ad una delle porte della città. Quartieri e vicinie. La città, dentro le mura, era suddivisa in quartieri, chiamati anche sestieri o porte, e questi a loro volta era suddivisi in vicinie o in parrocchie o contrade. La vicinia rappresentava dunque la prima circoscrizione urbana e sulla sua base territoriale e demografica veniva costituito il funzionamento amministrativo della città 24. Infatti, le vicinie avevano capi scelti che partecipavano ai consigli e alle assemblee, fornivano le forze militari per l’esercito comunale, avevano compiti di difesa delle mura e di guardia diurna e notturna. Agli abitanti delle vicinie venivano affidati compiti di controllo dell’igiene, della moralità e di ordine pubblico, insieme alla prevenzione degli incendi, essendo le case costruite in legno nella maggior parte 22 A. Grohmann, op. cit. I. Pini, op. cit. 24 E. Occhipinti, op. cit. 23 dei casi e molto addossate tra di loro. Inoltre, potevano intervenire relativamente ad alcuni lavori pubblici della vicinia, anche finanziandoli direttamente. Inoltre, la vicinia, in campo fiscale, era la base di rilevazione e di imposizione tributaria. Ogni vicinia aveva le proprie insegne, espressione di una forte consapevolezza di gruppo che si esprimeva a volte anche con una ostilità violenta verso gli abitanti delle altre contrade. Quartiere e vicinia rappresentavano centri di potere delle consorterie, cioè gruppi familiari che riunivano al loro interno gruppi parentali potenti. Strade e piazze. All’interno della prima cerchia di mura, le vie dovevano essere molto strette, chiuse tra bassi edifici e alte costruzioni, con scarsa luce e soffocate dalle sporgenze dei balconi, dalle grondaie molto sporgenti e dagli angusti voltoni. Nella città del pieno medioevo esistevano alcune vie chiamate stratae che disegnavano la struttura urbana e altre strade minori che si diramavano da queste, chiamate viae. Le stratae erano eredi delle vie della città di origine romana dell’altomedioevo, la cui larghezza doveva consentire il passaggio di due carri affiancati. Rappresentavano gli assi principali di collegamento della città, mentre attorno vi era una trama viaria costruita adattandosi al suolo. L’ampiezza della strada era condizionata anche dall’altezza degli edifici che variava tra uno e due piani e quattro e cinque piani. La strada svolgeva una funzione importante non solo come luogo di transito, ma anche come spazio dove si svolgevano le attività commerciali e artigianali, quale luogo di sosta o dove svolgere le cerimonie della contrada 25 e per questo motivo era pensata soprattutto per i pedoni. Inoltre, mentre nell’alto medioevo la maggior parte delle strade era sterrata e gli spazi urbani erano privi di sistemi fognari, per cui fetori e miasmi invadevano la città, nel basso medioevo si diffuse a poco a poco l’esigenza di lastricare le strade e di dotare le aree principali di fognature, provvedendo anche alla loro pulizia. Così nel Trecento le strade e le vie furono lastricate e nell’Italia centrale rivestite di mattoni 26. Le strade erano ritenute indispensabili perché permettevano il collegamento della città con il territorio circostante, consentivano, infatti, l’approvvigionamento delle derrate alimentari e il rifornimento per il mercato cittadino 27. Tra le strade si aprivano, poi, delle piazze o slarghi di forme irregolari e al centro di queste piazzette vi era un pozzo o una fontana. Ma ovviamente vi erano anche delle piazze maggiori in cui spesso confluivano le tre funzioni tipiche della vita cittadina: centro religioso, politico ed economico. In una città medievale si poteva incontrare anche una unica piazza, dove le tre funzioni venivano esercitate contemporaneamente oppure si potevano trovare le tre piazze, ognuna con la sua specifica funzione: la piazza religiosa, la piazza politica, la piazza del mercato. 25 A. Grohmann, op. cit. A. Grohmann, op. cit. 27 A. e C. Frugoni, op .cit. 26 La piazza religiosa rappresentava, naturalmente, lo spazio pubblico più importante poiché vi era il luogo e la sede della cattedrale; tale piazza presentava di solito proporzioni modeste con brevi vie d’accesso, per enfatizzare la mole della facciata della chiesa. Era anche il luogo dove si svolgevano le manifestazioni religiose, a cui partecipavano tutti gli abitanti 28. Così il palazzo pubblico e la piazza del mercato venivano costruiti in altri luoghi proprio per sottolineare che non si doveva confondere la vita laica da quella spirituale La piazza politica era il punto di incontro della città e per questo rivestiva un ruolo di primo piano nell’organizzazione urbanistica. Per esaltare l’impatto visivo con lo spazio fisico della piazza, veniva localizzata non direttamente sulle vie di traffico principale e si presentava quasi racchiusa tra gli edifici e accessibile solo da portici e androni. Nell’Italia settentrionale, in particolare, ospitava il palazzo pubblico con la torre del Comune e a volte le sedi delle corporazioni. La piazza del mercato ospitava invece le attività commerciali legate al mercato giornaliero e settimanale. Il palazzo pubblico. Nel primo periodo di vita comunale erano rari gli edifici idonei a ospitare i nuovi organismi politici e i luoghi dell’amministrazione. Solo dalla fine del XII secolo i comuni iniziarono a costruire, nel cuore del centro cittadino, sedi stabili e adatte al loro ruolo. Tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII secolo, in numerose città dell’Italia settentrionale vennero costruiti i palazzi che ospitavano le sedi del potere cittadino, come il palazzo del Podestà o il palazzo del Capitano del Popolo, in relazione alle magistrature che si alternarono nella gestione del Comune 29. Nella maggior parte dei casi, il palazzo pubblico si presentava aperto da arcate nel piano terra dove trovavano alloggio molte botteghe affittate a privati oppure trovavano luogo le sedi delle maggiori corporazioni. Al primo piano trovava la sede una vasta sala coperta, dove si svolgevano le attività delle magistrature comunali e dove si convocavano i consigli comunali. Accanto al palazzo, poi, veniva costruita una torre con alcune campane per comunicare velocemente a tutta la cittadinanza informazioni urgenti che potevano riguardare per esempio la difesa della città stessa. 28 A. Grohmann, op. cit. Dal punto di vista formale, il palazzo civico comunale rappresentava una vera e propria novità che esprimeva la nuova realtà politica ed economica del Comune. La cattedrale. Uno dei luoghi più importanti, dunque, della città era la chiesa cattedrale, in quanto sede della cattedra del vescovo (dal greco, cathedra indicava la sedia, il trono, sulla quale sedeva appunto il vescovo), la cui grandiosità e la cui bellezza erano indice, nel medioevo, per misurare l’importanza di una città. Era posta su una piazza e prima della costruzione dei palazzi pubblici era l’edificio simbolico con cui si identificava la città stessa. La cattedrale ospitava tutta la popolazione durante le feste liturgiche più importanti (Natale, Pasqua, Pentecoste e la festa del santo patrono). Era l’unica chiesa della città dove veniva costruito il fonte battesimale, per amministrare il sacramento del Battesimo. Successivamente, il fonte battesimale fu collocato all’esterno della cattedrale, in una costruzione appositamente predisposta a tale funzione, il Battistero (famosi quelli in area toscana e non solo). La cattedrale divenne per secoli il luogo in cui esprimere le nuove forme artistiche e architettoniche, infatti per la sua erezione venivano chiamati gli artisti più noti e famosi del momento. In Europa, a partire dal X secolo, lo stile romanico connotò le grandi costruzioni ecclesiali, con strutture a pianta radiale, mentre dall’XI secolo le guglie, i campanili e i contrafforti delle costruzioni gotiche si imposero nelle nuove edificazioni. Un’importante struttura collettiva religiosa della città medievale fu la chiesa parrocchiale. Dal Duecento rappresentò la circoscrizione amministrativa, sulla base della quale si censivano gli abitanti, si ripartivano le imposte e si stabilivano i confini territoriali degli abitati 30. Gli abitanti di ogni vicinia, come più sopra detto, costruirono così, la propria chiesa parrocchiale, frutto di un progetto collettivo e luogo simbolico di una religiosità condivisa. Da ricordare, inoltre, il fatto che vi erano anche le chiese dei monasteri, i conventi e i luoghi di culto delle consorterie gentilizie, insieme alle chiese degli ordini mendicanti costruite in Italia a partire dal XIII secolo. 29 A. Grohmann, op. cit. TERZA PARTE Unità didattica La Rinascita delle città nell’Italia medievale (sec. XI-XIII) Finalità: La presente unità didattica è destinata a stimolare la curiosità dei discenti e a richiamare l’attenzione degli alunni nel ricostruire la complessità del fatto storico 30 A. Grohmann, op. cit. individuando ed analizzando le connessioni; per far acquisire la consapevolezza che le conoscenze storiche sono elaborate sulla base di fonti di natura diversa che lo storico vaglia, seleziona, ordina ed interpreta; e ancora, per far acquisire l’attitudine a problematizzare, a formulare domande, a riferirsi a tempi e spazi diversi, a interagire con le conoscenze acquisite in altre aree disciplinari. Destinatari: L’unità didattica è rivolta agli studenti di una terza classe di un Istituto Tecnico Commerciale Collocazione curricolare: L’unità didattica sarà svolta nel corso del primo quadrimestre (Ottobre) Strumenti: Oltre al libro di testo, cui si fa riferimento, e alle letture dei documenti, saranno utilizzate carte geografiche, storiche, tabelle cronologiche e sinottiche, e saranno proposti confronti con altri manuali (messi a disposizione dal docente o cercati in biblioteca dagli stessi studenti). Saranno prese in esame anche opere letterarie e artistiche (in un progetto interdisciplinare con il docente di Storia dell’Arte) e filmati che agevolino la comprensione delle dinamiche del periodo storico studiato. Si considera indispensabile l’uso della lavagna, sia per la trascrizione di concetti che possono costituire il punto di partenza per il brain-storming e la formulazione di ipotesi di lavoro, sia per mettere di volta in volta in evidenza parole-chiave. Saranno utilizzati materiali audiovisivi e. Sarà dato ampio spazio alle testimonianze iconografiche ed artistiche dell’epoca oggetto di studio. Utilizzo di Internet. Potranno essere proposte uscite didattiche per visitare musei o archivi.. Tempi: All’unità didattica verranno dedicate otto ore di lezione: un’ora di verifica dei prerequisiti, tre ore di lezione, un’ora dedicata alla lettura dei documenti e alla verifica formativa, un’ora di ricerca in Internet di fonti iconografiche, un’ora dedicata alla verifica sommativa ed un’ulteriore ora dedicata al recupero e per i ragazzi in difficoltà e per chi volesse migliorare la valutazione dello scritto. Metodologia: Lezione frontale e dialogata, non per proporre informazioni già preconfezionate da ripetere, ma finalizzata a fornire stimoli, incentiverà l’attitudine a problematizzare, a formulare ipotesi, a storicizzare il campo delle prospettive e le conoscenze acquisite in altre aree disciplinari. La peculiarità dell’insegnamento storico impone, infatti, una interazione tra metodo e contenuti: pertanto, il percorso didattico proposto utilizzerà le procedure del metodo storico, l’educazione alla consapevolezza del quale costituisce la finalità essenziale dell’insegnamento storico; saranno formulate domande, si definiranno nodi problematici, si svilupperanno le dinamiche interne e le interrelazioni contestuali, saranno accertate le eredità. Ampio spazio sarà dedicato alla lettura di fonti, che offre la possibilità di puntualizzare mezzi di indagine e modelli di interpretazione, e consente il vaglio critico del patrimonio delle conoscenze acquisite e il loro utilizzo, la possibilità di confronti e di comparazioni. Sarà proposta la schematizzazione delle conoscenze già apprese in mappe concettuali, per agevolare la comprensione e la memorizzazione, saranno predisposti schemi riassuntivi, utilizzati sia per una prima puntualizzazione che per il recupero degli alunni in difficoltà. Gli alunni saranno invitati ad approfondire, individualmente o in gruppo, temi o figure di particolare interesse. Prerequisiti: • Conoscere la situazione politica, sociale ed economica dell’Europa e dell’Italia dopo il Mille • Conoscenza del ruolo che la città assume nell’Impero romano quale centro di coordinamento del territorio; • Conoscenza del processo di dissoluzione dell’Impero carolingio, della progressiva frammentazione del territorio e dell’affermazione dei poteri locali nelle campagne e nelle città; • Saper interpretare ed utilizzare le informazioni fornite dal testo e dai documenti; • Saper mettere in relazione autonomamente le informazioni selezionate • Possedere il lessico specifico della disciplina • Aver acquisito la capacità di lettura e analisi delle fonti iconografiche. Obiettivi: • Saper collocare i fatti nel tempo e nello spazio • Saper individuare le cause e le conseguenze dell’argomento oggetto di studio • Saper confrontare aspetti relativi ad epoche diverse per rilevare i caratteri di mutamento e di permanenza • Saper ripercorrere, nello svolgersi di processi e di fatti esemplari, le interazioni tra i soggetti singoli e collettivi, riconoscere gli interessi in campo. • Saper usare i modelli appropriati per inquadrare, comparare, periodizzare i diversi fenomeni storici • Saper riconoscere il ruolo dei protagonisti, individui e classi sociali • Utilizzare un lessico storiografico appropriato • Stabilire un confronto tra fatto storico e realtà attuale, con particolare attenzione verso le organizzazioni della vita associata, verso le istituzioni giuridiche, amministrative ed economiche. Verranno attuate verifiche orali, senza valutazione, per tutta la classe, al fine di verificare il livello delle conoscenze storiche degli alunni. Naturalmente, qualora queste non siano sufficientemente apprese, il docente si riserverà del tempo (mezz'ora circa) per tratteggiare a grandi linee il periodo storico inerente l’unità didattica che si intende svolgere. Verifiche: L’unità didattica prevede due forme di verifica: 1. formativa, da svolgere in itinere oralmente mediante domande brevi, volte ad accertare la comprensione e lo studio progressivo degli argomenti; 2. sommativa, da svolgere alla fine del percorso didattico, e consisterà in: • prove scritte (prove strutturate, con domande vero-falso, a risposta multipla, testi a completamento); prove semistrutturate; sintetiche dissertazioni. • Colloqui (anche per gli studenti che volessero migliorare la valutazione dello scritto). Valutazione: La valutazione terrà conto del livello di partenza, della partecipazione, dell’impegno, dell’interesse mostrato e dell’acquisizione dei contenuti programmati. Saranno, inoltre, oggetto di valutazione il possesso del linguaggio storico specifico, le abilità linguistico-espressive, la capacità di analisi e di sintesi. Saranno, peraltro, previste attività di recupero per quanti nelle verifiche precedenti non avessero raggiunto gli obiettivi minimi o nel caso in cui le verifiche dimostrino una scarsa acquisizione dell’argomento da parte della classe, in questo caso il docente provvederà a riproporre l’argomento utilizzando una metodologia diversa. DOCUMENTI IL “LODO DELLE TORRI” DEL VESCOVO PISANO DAIBERTO (1088-1092) La città italiana, per la sua stessa composizione sociale, è caratterizzata dall’esistenza di torri, case-forti, palazzi gentilizi che sorgono all’interno del tessuto urbano, come simbolo e strumento del potere dei clan familiari in lotta tra di loro. Le istituzioni cittadine se dal punto di vista sociale possono ben poco contro la violenza dei potenti, dal punto di vista urbanistico, a partire dal secolo XI, cercano di porre dei limiti alla concorrenza delle famiglie che si traduce anche in una corsa all’elevazione delle torri. Questo documento è uno dei più antichi esempi di regolamentazione urbana delle torri e stabilisce a circa 21 metri l’altezza massima. Fonte: F. Bonaini, Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, I, Firenze, 1854, pp. 16-17 (parziale). Nel nome del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo. Io Daiberto, sebbene indegno, tuttavia per divina provvidenza vescovo di Pisa, insieme con i miei compagni, uomini coraggiosi e saggi, Pietro visconte, Rolando e Stefano Guinezone, Mariano e Alberto, considerando l’antico male della città di Pisa [rappresentato] dalla superbia, a causa della quale quotidianamente avvengono innumerevoli omicidi, spergiuri, matrimoni incestuosi fra consanguinei, specialmente in occasione di distruzioni di case e di altri numerosi mali, [io Daiberto] col consenso degli uomini sopra indicati giudico e impongo con fermezza a tutti gli abitanti di Pisa, dei Borghi e di Cinzica, in nome del giuramento da loro prestato, che nessuno da oggi in poi presuma di costruire o in qualche modo far riparare la propria abitazione in maniera che superi in altezza la torre di Stefano, […] sulla terra che è sua o che tiene come sua […], ed eccetto all’inizio e alla fine del ponte. […]. E se vi fosse discordia sulla misura delle torri a causa del sito nel quale sorgono, nel caso in cui qualche luogo fosse posto più in alto che un altro, allora si pareggi la sommità secondo una data quota e nessuno oltre la predetta quota costruisca in legno o in muratura e se qualcuno volesse edificare al di sopra di essa voi dovete proibirlo con fermezza. […]. Nessuno all’interno della casa o intorno ad essa o sulla propria terra costruisca bertesche, belfredi o altri aggetti di legno che possano servire a combattere, a meno che non lo faccia la città stessa per il bene comune. Quelli che ne posseggano li distruggano e chi non vuole ottemperare sia perseguibile. […]. Dalla propria casa o con scale o con passerelle o in altro modo, o dalla casa di un altro con scale, passerelle o in altro modo nessuno lanci volontariamente pietre o altri proiettili che possano nuocere contro le case altrui o contro qualche persona intenzionalmente o consenta che venga lanciato dalla sua casa. […]. Coloro i quali posseggono torri più alte della predetta misura le facciano abbassare entro un mese secondo la misura che abbiamo stabilito, se mancano da Pisa lo facciano entro un mese dal loro rientro. Se non vogliono farlo nessuno si senta obbligato a rispettare nei loro confronti questo compromesso. […]. BONVESIN DA LA RIVA, De Magnalibus Mediolani. Meraviglie di Milano, a cura di P. Chiesa, Scheiwiller, Milano 1998. 1. “Un fossato di sorprendente bellezza e larghezza circonda questa città da ogni parte e contiene non una palude o uno stagno putrido, ma l’acqua viva delle fonti, popolata di pesci e di gamberi. Esso corre tra un terrapieno all’interno e un mirabile muro all’esterno, il cui circuito, misurato con estrema accuratezza, è risultato corrispondere a diecimilacentoquarantuno cubiti. La larghezza del fossato, lungo l’intero circuito intorno alla città, è di trentotto cubiti. Al di là del muro del fossato vi sono abitazioni suburbane tanto numerose che basterebbero da sole a formare una città”. 2. “Nella sola città si consumano ogni giorno, in media, milleduecento moggi di grano e anche di più […] i forni che in città […] cuociono il pane ad uso dei cittadini sono trecento […] i bottegai, che vendono al minuto un numero incredibile di mercanzie, sono sicuramente più di mille, i macellai sono più di quattrocentoquaranta; nei loro macelli vengono vendute in abbondanza ottime carni di ogni tipo di quadrupedi adatti al nostro consumo; i pescatori che quasi ogni giorno pescano in abbondanza nei laghi del nostro contado pesci di ogni tipo, trote, dentici, capitoni, tinche, temoli, anguille, lamprede, granchi e ogni altro genere di pesci grossi o minuti, sono più di diciotto; quelli che pescano nei fiumi sono più di sessanta; quelli che portano in città il pescato nei ruscelli innumerevoli dei monti assicurano di essere più di quattrocento. BIBLIOGRAFIA E. OCCHIPINTI, L’Italia dei comuni, Carocci, Roma 2000 E. ARTIFONI, Città e comuni, in Storia medievale Donzelli, Roma 1998 GROHMANN, La città medievale, Laterza, Roma-Bari, 2004 G. PICCINNI, I mille anni del medioevo, Bruno Mondadori, Milano 1999 PINI I., La città medievale, in Città, comuni e corporazioni del medioevo italiano, CLUEB, Bologna 1986 A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno in una città medievale, Laterza, Bari-Roma 1997 INDICE PRIMA PARTE Relazione di tirocinio ………………………………………………………… ..pag. Profilo della scuola Struttura del P.O.F. Profilo della classe e programmazione I.A. Programmazione della corsista SECONDA PARTE La Rinascita delle città nell’Italia medievale (sec. XI-XIII) Capitolo I ………………………………………………………………………. pag. 1.1 La città medievale 1.2 La situazione in Europa 1.3 La situazione in Italia Capitolo II : Lo scontro con l’Impero ……………………………………… pag. 2.1 Introduzione 2.2 Il governo dei consoli 2.3 L’espansione dei comuni nel contado 2.4 Lo scontro con l’Impero 2.5 La pace di Costanza Capitolo III: I luoghi della città ……………………………………………. 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 pag. Introduzione Le mura e le porte Quartieri e vicinie Strade e piazze Il palazzo pubblico La cattedrale TERZA PARTE Unità didattica ………………………………………………………………… pag. Documenti …………………………………………………………………… pag. Bibliografia ………………………………………………………………….. pag.