Qualche riflessione su Pascal …
di R. F. Classe II sez. G
Tra i vari filosofi affrontati, Pascal è, insieme a Bacone, quello che più mi ha
coinvolto. Forse perché mi rispecchio –almeno in parte- nelle sue idee, o forse perché,
come Bacone, è uno di quelli che maggiormente ha evitato di enunciare principi e
stabilire regole, limitandosi a riflettere. Proprio la riflessione, l’indugiare su questioni
quasi elementari ma così insolubili, è qualcosa che mi affascina particolarmente.
Soprattutto al giorno d’oggi, è talmente difficile trovare un momento per sedersi in
compagnia di se stessi a riflettere, che anche solo leggere di un uomo che si è
posto domande così introspettive ed intime rilassa la mente, stimola ad una pausa ed a
spendere del tempo con se stessi. Certo, riguardo quest’ultima affermazione, bisogna
sottolineare che essa si discosta dal pensiero di Pascal, perché abbraccia una
prospettiva tendenzialmente ottimistica; Pascal, tediato per tutta la sua vita da
sofferenze sia fisiche che psichiche, tendeva a considerare questi attimi di “pausa e
riflessione” una sorta di condanna per il benessere dell’individuo che, davanti a
interrogativi possenti come “Da
dove veniamo?”, “Perché siamo qui?”, “Dove
finiremo dopo la morte?”, non trova e non riesce a trovare alcuna risposta
soddisfacente, si sente svilito e “insufficiente a se stesso”. Pascal forse si troverebbe
bene nella società frenetica odierna, sempre impegnata a correre da una parte
all’altra: non avrebbe bisogno del divertissement, della ricerca delle cose, perché la
società, la vita stessa sarebbe il suo divertissement. Egli ritiene infatti che l’uomo
debba poter avere un qualche svago per sfuggire alla mole imponente, quasi
minaccevole, delle domande che vanno oltre la sua comprensione, e che non debba mai
essere annoiato poiché la noia rivela “l’insufficienza dell’uomo a se stesso”, la sua
inettitudine a badare a sé; ma dall’altro lato egli deve anche essere consapevole della
sua pochezza e dell’incapacità di risolvere questioni che riguardano direttamente la sua
stessa esistenza. Personalmente accolgo appieno questa tesi, ma con una sfumatura
leggermente diversa: se Pascal parte dall’insoddisfazione dell’uomo per poi porvi
rimedio con lo stordimento di sé, io parto piuttosto dalla vita dell’uomo; l’uomo
deve condurre la sua vita così come gli si presenta, ma è bene che ogni tanto si
fermi e abbandoni il fiume della sua esistenza per immergersi brevemente nel ruscello
della sua mente, per prendere coscienza di ciò che è. Probabilmente questa visione
differente proviene, come già accennato, dalla diversità tra i periodi storici e le
condizioni sociali. Punto sul quale mi trovo in totale accordo è invece quella
dell’inserimento della componente istintuale allo stesso piano di quella razionale: per la
prima volta viene completamente accettata come positiva la doppia natura
dell’uomo, viene eliminata la visione unilaterale umanistica. Infatti, ci spiega anche
Pascal, l’istinto è colui che monitora i sentimenti, l’intuito: l’esprit de finesse,
connaturato all’ esprit de gèomètrie è fondamentale alla vita dell’uomo, poiché la
ragione è vincolata all’esperienza, al tangibile, mentre l’intuito, l’istinto, sono quelli
che guidano l’uomo verso la scelta quando la ragione esaurisce le risorse. E questa è
una conseguenza naturale figlia dell’esistenzialismo stesso: laddove interrogativi sul
senso della vita non trovano risposte “logiche” non ci si può che affidare all’istinto, al
“cœur”; quando si dice, comunemente parlando, “vai
dove ti porta il cuore”.
Ovviamente Pascal non vuole dirci che con l’istinto e con la filosofia tali problemi
esistenziali trovino la loro più completa risoluzione; l’intuito ci indica una strada,
sfocata, non nitida, ma di un’esattezza indimostrabile. Bisogna anche ricordare la forte
vocazione cristiana, causa di questa propensione verso l’istinto, fondamentale per
“comprendere” Dio.
Infatti la ragione rivela la sua inettitudine maggiore nel
momento in cui entra in gioco la fede e Dio: ci sono, indimostrabili analiticamente ma
chiari agli occhi del “cœur” . Ammiro molto il pensiero di Pascal nell’ambito della
religione: egli non cerca di dare una forma a Dio, né prova ad indovinare quali siano i
suoi pensieri, le sue caratteristiche o le sue funzioni. Semplicemente si chiede se ne
valga la pena o no, di credere in Lui. Insomma, l’obbiettivo è rendere l’esistenza il
meno spiacevole possibile, risultato ottenibile, secondo il filosofo, proprio tramite la
scommessa su Dio: se Dio esiste, si perderanno i piaceri mondani e niente di più,
guadagnando però la beatitudine eterna. L’uomo è frustrato, condannato, inattivo, e
solo in Dio può trovare un sollievo. Tematica, questa della frustrazione, presente in
tutti gli autori …