il problema termo-elettrico dei moduli di trasmissione radio

Ing. Riccardo Monti, Prof. Renato
Barboni, Prof. Paolo Gasbarri
Dipartimento di Ingegneria
Aerospaziale e Astronautica,
Università di Roma “La Sapienza”
Ing. Umberto Lecci
Thales Alenia Space Italia
IL PROBLEMA TERMO-ELETTRICO
DEI MODULI DI TRASMISSIONE
RADIO PER APPLICAZIONI
SATELLITARI*
Ing. Marco Zumpano
Altran Italia
Sommario
1. Introduzione
Uno dei maggiori problemi in ambito spaziale è la
gestione del calore, sia esso proveniente
dall’esterno, sia esso prodotto dagli equipaggiamenti
interni alla piattaforma satellitare. Data l’importanza
dell’argomento, molti sono stati gli approcci per
cercare di controllare, ridurre e sfruttare la
produzione del calore a bordo.
In questo lavoro, basato su un’attività di ricerca
congiunta tra il Dipartimento di Ingegneria
Aerospaziale e Astronautica dell’Università di Roma
“La Sapienza”, Thales Alenia Space Italia e Altran
Italia, si è presa in considerazione la possibilità di
sfruttare i materiali piroelettrici, aventi l’intrinseca
capacità di convertire un flusso di calore in carica
elettrica, per controllare il calore prodotto dalla
componentistica elettronica, installata sui moduli di
trasmissione/ricezione in radiofrequenza, utilizzati
per le più moderne tecnologie satellitari.
Una qualsiasi piattaforma spaziale, che si trovi ad orbitare, è soggetta
a fonti di calore esogene ed endogene. Per quanto riguarda le esogene,
è immediato individuare nel Sole la fonte principale che, con la sua radiazione incidente, riscalda la piattaforma sino a temperature molto elevate; da qui, la necessità delle cappottature termiche per proteggere la
struttura e gli apparati in essa contenuti. Tali apparati, ed in particolare
quelli di natura elettronica, rappresentano le sorgenti endogene. Come
è noto, la corrente che circola all’interno di un qualsiasi conduttore produce, per effetto Joule, una certa quantità di calore proporzionale alle
caratteristiche del conduttore e all’intensità di alimentazione. Il calore
dissipato, se non correttamente valutato, può portare al malfunzionamento degli equipaggiamenti per fenomeni di ristagno e/o ridurre in maniera drastica le prestazioni dell’equipaggiamento stesso. A quanto
detto, si aggiunga che tutti i componenti spaziali devono ottemperare
alle norme di qualificazione prescritte dalle agenzie spaziali come ASI
(Agenzia Spaziale Italiana), ESA (European Space Agency) o NASA, che
prevedono le soglie minime e massime di temperatura. Tale problema di
thermal management è stato, nel tempo, oggetto di numerosi studi, che
hanno permesso di mettere a punto espedienti tecnici e tecnologici che
consentissero la messa in esercizio delle molteplici piattaforme oggi esistenti e orbitanti attorno alla Terra o nello Spazio.
In questo lavoro, si vuole concentrare l’attenzione su una ulteriore possibilità di drenare il calore. Tale espediente tecnologico basa il suo funzionamento su una classe di materiali assai simili ai materiali
piezoelettrici, i piroelettrici.
La parola piroelettrico, di chiara derivazione greca, fa capire già da subito la peculiarità di tale classe di materiali. Questi materiali, infatti,
hanno la spontanea capacità di convertire un flusso di calore in una carica elettrica, in una differenza di potenziale e, quindi, in una corrente
elettrica.
2. Il modulo RF
Lo studio del problema termico con i materiali piroelettrici è stato affrontato per rispondere ad una esigenza progettuale di Thales Alenia
*
Una versione in inglese, più estesa, è stata inizialmente pubblicata negli atti del 60th International Astronautical Congress 2009 (IAC-09-IAF-C2.9.06).
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Space Italia. Le piattaforme satellitari utilizzano, per le comunicazioni in radiofrequenza, dei moduli elettronici, che al loro interno
hanno degli amplificatori di segnale. Allo stato attuale, questi amplificatori, quando percorsi da correnti elettriche, dissipano una
notevole potenza termica, che porta il componente ad una temperatura giudicata non ammissibile secondo gli standard dell’ESA.
Il modulo RF (Radio Frequency) è costituito da un supporto metallico (carrier) sul quale è saldato uno strato ceramico di LTCC (Low
Temperature Cofired Ceramic) contenente le piste del circuito elettrico e alcuni dei componenti elettronici costituenti il circuito, come
gli amplificatori di potenza HPA (High Power Amplifier). Sullo strato
ceramico è saldata una cornice metallica con un coperchio. Il carrier, fatto in Kovar®, una lega metallica a base di ferro, svolge la
funzione di resistere alle sollecitazioni meccaniche cui è sottoposto
il modulo, mentre la cornice e il coperchio hanno la funzione di rendere ermetica la zona contenente i componenti elettronici. Tali componenti sono evidenziati nella Figura 1, che mostra il modulo RF
(privo di coperchio) visto dall’alto e di lato.
Figura 1.a. Modulo RF privo di coperchio - vista dall’alto.
frasto si accorse che, riscaldando la turmalina, essa era in grado
di sviluppare una carica elettrostatica. Con il passare del tempo,
il fenomeno perse interesse e, solo a metà del XVIII secolo, lo riacquistò e si diede inizio ad una campagna sperimentale a cura di Linneo, che nel 1747 correlò i due fenomeni, quello elettrostatico con
quello termico. In seguito a questa formulazione, fu Franz Ulrich
Theodor Aepinus che nel 1756 condusse una campagna di caratterizzazione atta a definire esaustivamente il fenomeno piroelettrico.
I materiali piroelettrici sono sostanze cristalline, capaci di generare
carica elettrica in risposta ad un flusso di calore applicato [3]. Tale
effetto è strettamente legato all’effetto piezoelettrico ed i materiali
che dimostrano tale capacità sono appartenenti alla classe dei materiali ferroelettrici. In particolare, un cristallo viene considerato piroelettrico se dimostra una polarizzazione spontanea dipendente
dalla temperatura. I cristalli sono classificati in 32 classi differenti:
di queste, 21 sono non centrosimmetriche1 e, a loro volta, di queste 21 classi, 10 sono piroelettriche.
Dal punto di vista costitutivo, il materiale piroelettrico deve essere immaginato come una composizione di moltissimi e piccolissimi cristalli, ognuno caratterizzato da un dipolo. Tutti questi dipoli
sono orientati casualmente lungo una direzione preferenziale. Al
di sopra di una data temperatura, definita come temperatura di
Curie, i cristalli non possiedono un momento di dipolo. Variando la
temperatura del materiale piroelettrico varia la polarizzazione, facendo sì che si generi una carica elettrica.
Dal punto di vista morfologico, un materiale piroelettrico si presenta come un wafer ove gli strati esterni rappresentano gli elettrodi e, tipicamente, sono realizzati in materiale metallico, mentre
all’interno si trova il vero e proprio strato piroelettrico. Una delle
fasi più delicate è, ovviamente, la polarizzazione del materiale, ottenuta svolgendo i principali passi di seguito descritti.
Figura 1.b. Modulo RF - vista laterale.
Figura 1. Il modulo RF.
Le dimensioni di un così fatto apparato sono di circa 75 x 20 mm,
con uno spessore massimo di circa 10 mm. Tali dimensioni, assai
ridotte, portano ad avere flussi termici molto elevati e, in conseguenza a ciò, si registrano temperature assai elevate.
Gli HPA del modulo RF sono, a loro volta, costituiti da un carrier e
da elementi elettricamente attivi, chiamati giunzioni (vedere [1] e
[2] per maggiori dettagli sui moduli).
La temperatura di ogni giunzione dell’HPA (nel seguito indicata con
Tj), durante la fase di trasmissione, raggiunge il valore massimo di
135°C, eccedente di 15°C il limite massimo imposto dall’ESA.
1. Il materiale cristallino, che possiede dipoli randomicamente
orientati (Figura 2.a), è riscaldato al di sotto della temperatura
di Curie. La temperatura consente una maggiore agitazione molecolare e tale mobilità consente una più facile orientazione dei
dipoli.
2. Il materiale riscaldato viene sottoposto all’azione di un campo
elettrico E (Figura 2.b), consentendo ai dipoli di orientarsi lungo
le linee di campo. Tale orientamento non deve considerarsi totale: ci possono essere delle minime devianze dalla direzione di
applicazione del campo elettrico.
3. Il componente viene raffreddato mentre il campo elettrico viene
mantenuto applicato.
4. In ultimo, viene rimosso il campo elettrico e la polarizzazione si
3. I materiali piroelettrici
La scoperta dei materiali piroelettrici risale a tempi oramai molto
lontani da noi, per la precisione al 314 a.C., quando il greco Teo-
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1
Un cristallo è detto centrosimmetrico se un suo elettrone, che subisce uno spostamento per effetto di un campo elettrico orientato in una certa direzione e verso, "vede" una struttura cristallina identica a quella che vedrebbe se fosse sottoposto allo stesso campo ma
orientato in verso opposto. Se si verifica il contrario, il cristallo è detto non centrosimmetrico.
considera terminata. Fin quando il componente è mantenuto al
di sotto della temperatura di Curie, la polarizzazione si può considerare permanente, in quanto i dipoli rimangono nella posizione assunta durante il processo di polarizzazione (Figura 2.c).
Figura 3.a. Circuito elettrico.
Figura 2.a. Riscaldamento.
Figura 2.b. Applicazione del campo elettrico.
Figura 3.b. Circuito elettrico equivalente.
Figura 3. Circuito elettrico del piroelettrico.
Figura 2.c. Rimozione del campo elettrico.
Figura 2. Fasi di polarizzazione del materiale piroelettrico.
4. Il problema termico
Dal punto di vista elettrico, è possibile individuare un circuito che
rappresenti il funzionamento del componente realizzato in materiale piroelettrico ed è, inoltre, possibile schematizzare tale componente come un condensatore (Figura 3.a e Figura 3.b). In
particolare, con C è indicato il condensatore, con i il generatore
di corrente e con Rb il resistore che tiene in conto la resistenza interna del materiale piroelettrico e la resistenza che permette la
scarica del condensatore. Di grande interesse per le applicazioni
qui descritte è, poi, la relazione che lega la differenza di potenziale
ai capi del condensatore con la differenza di temperatura registrata sui due differenti elettrodi. Tale relazione è definita come
segue:
Uno dei punti fondamentali che sono stati investigati in questo lavoro è il problema termico, che ha per oggetto lo studio della dissipazione del calore nel tempo e nello spazio. La natura della
geometria e le esigenze di comprendere i fenomeni fisici che intervengono nelle condizioni operative hanno permesso di lavorare
su un modello monodimensionale. In particolare, si è analizzato il
problema termico lungo lo spessore del modulo RF.
Per studiare il problema termico non stazionario si è considerata
la classica equazione del calore che permette di determinare l’andamento della temperatura nello spazio e nel tempo. Tale equazione è data da:
(2)
(1)
dove ΔV è la differenza di potenziale, p è il coefficiente piroelettrico, εr è la permettività elettrica del materiale, ε0 è la costante
dielettrica nel vuoto, h è lo spessore dello strato piroelettrico attivo e ΔT è la differenza di temperatura.
dove k è la conducibilità termica, ρ è la densità del materiale, c è
il calore specifico, T è la temperatura, z è la variabile spaziale lungo
lo spessore del modulo ed infine t è la variabile temporale. A questa equazione devono essere associate le condizioni agli estremi
(condizioni al contorno) e la condizione iniziale, date da:
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7
(3)
dove L è lo spessore del modulo. Nel caso in cui si intenda risolvere il problema di una parete multistrato, come nel caso in esame,
l’eq. (3) non è più sufficiente e si devono considerare anche le condizioni all’interfaccia delle pareti interne, che sono date da:
(4)
dove l’indice i (i =1,...,N) indica il generico strato i-esimo.
La soluzione dell’eq. (2) può essere espressa mediante la somma
di due differenti contributi, uno stazionario Φi(z) ed uno transitorio Ψi(z,t), ottenendo la distribuzione della temperatura nell’i-esimo
strato data da Ti(z,t)=Φi(z)+Ψi(z,t). Il primo dei due contributi
viene determinato imponendo le condizioni agli estremi per ogni
strato; inoltre, è di tipo lineare e, per il generico strato, assume
la seguente formulazione [4]:
dove i coefficienti A, B, e C sono determinati imponendo le condizioni al contorno e la condizione iniziale. Il termine αi rappresenta
la diffusività termica ed è dato da αi=ki/(ρici). Il termine ω rappresenta l’autovalore termico del sistema, calcolato annullando il
determinante della matrice dei coefficienti Ai e Bi, derivante dall’imposizione delle condizioni sopracitate. Essendo trascendenti le
funzioni che compaiono nella prima delle eqq. (6), è possibile
estrarre ωj autovalori, con j=1,....,∞ .
Da questo procedimento è possibile ottenere tutti i coefficienti
della funzione spaziale tranne uno, che si determina imponendo la
condizione iniziale. Per poter fare ciò, si utilizza un metodo alla
Galěrkin2 modificato ove le funzioni peso sono le autofunzioni del sistema a cui sono associati gli autovalori ωj. I dettagli analitici ed
i passaggi matematici che permettono di giungere alla soluzione
sono omessi per brevità della trattazione e possono essere trovati
in [5], [6].
Si riporta ora la soluzione finale, ove sono riconoscibili i diversi
contributi prima descritti. La distribuzione di temperatura all’interno del generico strato di parete è data da:
(7)
dove il termine ϕi è definito come segue:
(8)
(5)
dove Li è lo spessore del generico strato e dove gli apici u e d
stanno ad indicare che si devono prendere in considerazione, rispettivamente, le temperature della superficie superiore e di quella
inferiore del generico strato della parete. Per quanto riguarda il
secondo contributo, quello non stazionario, è possibile esprimerlo
come prodotto di due funzioni: χi(z), funzione della sola variabile
spaziale, e Θi(t) , funzione della sola variabile temporale, applicando il metodo di separazione delle variabili. La soluzione generale
del problema prevede che, per ogni singolo strato, si abbiano due
funzioni, una del tempo e una dello spazio, date da:
avendo indicato con ζi il generico spessore dello strato della parete.
A fronte della risoluzione del problema termico non stazionario è
possibile, quindi, conoscere istante per istante la distribuzione di
temperatura lungo lo spessore del modulo RF. Ricordando che la
differenza di potenziale ΔV è proporzionale a ΔT , secondo la relazione introdotta nell’eq. (1), è possibile calcolare il voltaggio
istante per istante utilizzando la seguente espressione.
(9)
(6)
2
In matematica, i metodi di Galěrkin (o approcci alla Galěrkin) permettono “trasformare”
un problema definito in uno spazio continuo in un corrispondente problema in uno spazio
discreto, al fine di determinarne una soluzione numerica approssimata.
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Grandezza
Simbolo
Valore
Densità
ρ
7600 kgm-3
Temperatura
di Curie
Tc
185 °C
Permettività
elettrica
εr
4200
Coefficiente
piroelettrico
p
4.2 10-4 C(m2K)-1
Conducibilità
termica
K
1.2 W(mK)-1
Calore specifico
c
350 J(kgK)-1
5. Simulazioni numeriche
In aggiunta agli sviluppi teorici ed analitici, sono state eseguite
delle simulazioni numeriche che permettono di valutare l’effettiva
efficienza del dispositivo così concepito.
Il modello che è stato preso in considerazione è quello riportato in
Figura 4, dove è possibile individuare i diversi componenti quali gli
amplificatori HPA, il carrier del modulo RF realizzato in Kovar® e il
wafer piroelettrico.
Figura 4. Sezione del modulo RF.
Tabella 2. Proprietà del PbZr0.52Ti0.48O3.
In Tabella 1 sono riportati gli spessori dei diversi strati che vengono
presi in considerazione quali il carrier, i due elettrodi e lo strato di
materiale piroelettrico. Per quest’ultimo materiale è stato considerato un classico materiale PZT (piezoelettrico), poiché alcuni di
questi materiali godono anche di caratteristiche piroelettriche.
Nella fattispecie, è stato considerato il PbZr0.52Ti0.48O3 , le cui caratteristiche sono riportate in Tabella 2. Per quanto riguarda gli
elettrodi, essi sono composti da una lega a base di Nichel, con una
composizione percentuale dell’80% di Nichel e la rimanente parte
composta da Cromo. Infine, le caratteristiche principali del Kovar®
sono riportate in Tabella 3.
Materiale
Spessore
Funzione
Kovar®
1400 μm
Carrier RF
Ni-Cr
15 μm
Elettrodo
PZT
95 μm
Piroelettrico
Ni-Cr
15 μm
Elettrodo
Totale
1525 μm
-
Tabella 1. Spessori degli strati.
Grandezza
Simbolo
Valore
Densità
ρ
8410 kgm-3
Conducibilità
termica
K
11.3 W(mK)-1
Calore specifico
C
435 J(kgK)-1
Tabella 3. Proprietà del Kovar®.
Per quanto riguarda le condizioni al contorno che sono state applicate, esse sono di temperatura costante e pari a Tsup=Tinf= 60°C,
mentre, per quanto riguarda le condizioni sulla parete esterna superiore, si hanno due differenti condizioni specificate nei due casi
di analisi proposti.
5.1 Caso 1: breve periodo
Il primo caso di analisi contempla una simulazione di breve periodo
stante a riprodurre la tipica condizione operativa del modulo RF
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durante la fase di funzionamento. Tale fase operativa è costituita da
due sottofasi, di cui la prima è la fase di trasmissione in cui il modulo è attivo ed alimentato con conseguente dissipazione di calore,
la seconda fase è quella di ricezione in cui il modulo è spento e pertanto non ci sono transitori termici.
A seguito di alcuni test condotti da Thales Alenia Space Italia, è
stato possibile ricostruire sinteticamente la funzione di riscaldamento durante il periodo di accensione del modulo. La curva che
meglio approssima tale profilo di temperatura è quella che nasce
dalla funzione di Weibull3 la cui espressione formulistica è data da:
(10)
ha che il color rosso amaranto corrisponde alla massima temperatura imposta di 135°C e il color giallo, con cui è campita la banda
all’estrema destra, corrisponde alla temperatura imposta pari a
60°C. Come è possibile osservare, esiste una sorta di barriera
termica collocata a destra del grafico (evidenziata dal colore
verde). Tale fenomeno è riconducibile alla natura dei materiali utilizzati. Essendo il PZT un ceramico, esso funziona come un isolante termico e, data la brevità del periodo di simulazione, è
fisicamente corretto dire che la propagazione del calore si arresta
in corrispondenza di tale strato isolante. Lo strato di colorazione
verde, rappresentante l’elettrodo inferiore, si mantiene perciò ad
una temperatura pressoché costante e uguale in modulo alla condizione al contorno Tinf=60°C.
dove i coefficienti a e b sono i coefficienti della distribuzione di
Weibull e sono determinati in maniera tale da assicurare il best fitting dei punti sperimentali con una confidenza del 95%.
In Figura 5 è presentato il profilo di temperatura che è stato applicato all’estremo superiore della parerete multistrato.
Figura 6. Caso 1: Mappatura termica.
In Figura 7 è rappresentato l’andamento della differenza di potenziale calcolata applicando l’eq. 9.
Figura 5. Caso 1: Temperatura imposta.
Al fine di mantenersi quanto più fedeli al carico termico che il modulo RF subisce durante l’intervallo di funzionamento, si è scelto di
considerare un periodo di 190μs ed un passo di integrazione delle
equazioni pari ad un centesimo del periodo 1.9μs.
Dal punto di vista computazionale, si è osservato che la soluzione
converge in maniera ottimale già con un numero di autovalori ωj
(vedere eq. 7) pari a j=10. I test di convergenza e la validazione
del codice utilizzato per la soluzione del problema termico non stazionario sono qui omessi, ma sono ampiamente descritti in [5].
In Figura 6 è riportata la mappatura termica della parete. Lungo
l’asse delle ascisse sono individuati i punti di calcolo e lungo le ordinate sono riportati i passi temporali in corrispondenza dei quali
si è calcolata la distribuzione di temperatura. Cromaticamente, si
3
La funzione di Weibull è una distribuzione probabilistica continua, utilizzata soprattutto
in ricerche sugli affaticamenti di materiali fragili o sui guasti di componenti elettronici.
10
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Figura 7. Caso 1: Voltaggio prodotto.
5.2 Caso 2: lungo periodo
Il secondo caso di studio prende in considerazione non solo il periodo di attivazione del modulo RF, ma anche il fatto che, durante
il funzionamento, esso si accenda e si spenga. Per poter simulare
tale regime di funzionamento, è stato utilizzato un profilo di temperatura da imporre, come condizione all’estremo superiore, data
da una funzione esponenziale atta a simulare l’accumulo di temperatura, a cui è stata sommata una funzione armonica per simulare
l’accensione e lo spegnimento del modulo. In termini analitici, la
funzione di temperatura è data da:
In entrambi i casi di analisi, si è potuto apprezzare il funzionamento
del dispositivo piroelettrico, ottenendo dei valori di tensione che
potrebbero essere utilizzati o per alimentare altri equipaggiamenti
o per caricare delle batterie asservite ad apparecchiature imbarcate.
(11)
dove T0=90°C è la condizione iniziale, Tmax=135°C è la massima
temperatura che vede il modulo RF, ΔT=5°C è l’ampiezza dell’oscillazione e f=100Hz è la frequenza di oscillazione. In questo
caso, il periodo di simulazione è di 0.5s.
In Figura 8 è riportato l’andamento della temperatura imposta
come condizione di estremità sulla superficie superiore.
Figura 9. Caso 2: Mappatura termica.
Figura 8. Caso 2: Temperatura imposta.
Figura 10. Caso 2: Voltaggio prodotto.
In Figura 9 è rappresentata la mappatura termica rispetto allo
spessore della parete e al tempo. Osservando tale immagine, si
vede come, essendo maggiore il tempo di simulazione, il calore si
diffonda anche attraverso lo strato piroelettrico e arrivi all’elettrodo inferiore. In Figura 10 è, invece, riportato l’andamento della
differenza di potenziale che tende asintoticamente ad un valore
massimo di 2.5V. Una volta che la funzione ha raggiunto il regime
periodico oscillante, si vede come l’ampiezza di oscillazione si stabilizzi e abbia la stessa frequenza della forzante, indice del fatto
che, istante per istante, la condizione al contorno si ripercuote sull’andamento della distribuzione di temperatura all’interno del multistrato.
6. Conclusioni
In questo lavoro di ricerca è stato studiato il comportamento dei
materiali piroelettrici, al fine di sfruttarne le caratteristiche intrinseche per il controllo termico delle apparecchiature elettroniche.
Lo studio è stato affrontato proponendo una metodologia semianalitica per la soluzione delle equazioni che regolano i fenomeni termici. In particolare, è stato utilizzato un approccio alla Galěrkin
modificato che ha portato ad una semplice risoluzione del problema. Sono stati, infine, descritti due casi di analisi ove il modello
monodimensionale del modulo RF è stato sottoposto a due diverse
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11
tipologie di forzanti termiche. I risultati mostrati hanno permesso
di apprezzare la capacità di convertire il calore in energia elettrica,
quantificando l’entità della conversione stessa.
Attualmente, si sta realizzando un prototipo in scala che permetterà di effettuare la sperimentazione necessaria al fine di comprendere in maniera più sistemica e sistematica i fenomeni che
intervengono e di quantificare, in maniera precisa, l’efficienza del dispositivo piroelettrico. Se i risultati dei test dovessero confermare
i risultati delle simulazioni numeriche, i progettisti avrebbero un’ulteriore possibilità per ridurre gli effetti dell’accumulo del calore,
con una sostanziale riduzione di peso e con un aumento dell’efficienza e delle performance dei singoli moduli per le ricetrasmissioni
satellitari in radiofrequenza.
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R. Monti, R. Barboni, P. Gasbarri, U. Lecci,
M. Zumpano. “A Novel Technology for Thermal
Control”. Proceedings of the International
Aeroconference IEEE 2010, 2010.
Riccardo Monti si è laureato in Ingegneria
Aeronautica con specializzazione in
Strutture e Materiali Aeronautici presso l’Università di Roma “La Sapienza” nel
Luglio 2007. Attualmente è dottorando
al terzo anno del Dottorato di Ricerca in
Tecnologia Aeronautica e Spaziale presso il Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale e Astronautica dello stesso Ateneo. I temi di ricerca di suo interesse sono il controllo termico, la progettazione meccanica e la caratterizzazione dei materiali.
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> Altran Italia Technology Review n° 4 - Settembre 2010
Renato Barboni è dal 1980 professore ordinario di Costruzioni Aeronautiche e
Spaziali presso l’Università di Roma “La
Sapienza”. Nel corso della sua carriera ha
tenuto i corsi di Materiali Aerospaziali,
Matematica Applicata, Aeroelasticità,
Problemi Termici delle Strutture. Attualmente è coordinatore dei corsi di Ingegneria Aerospaziale presso l’Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”.
Paolo Gasbarri è professore associato di
Costruzioni Aeronautiche e Spaziali presso l’Università di Roma “La Sapienza” oltre
ad essere membro dell’Accademia Internazionale di Astronautica e presidente della Commissione Strutture e Materiali della Federazione Internazionale di Astronautica. I suoi principali interessi di ricerca sono
le Strutture Aerospaziali, l’Aeroelasticità, l’Ottimizzazione, i Materiali Compositi ed il Controllo di Sistemi Multi-body.
Umberto Lecci si è laureato in Ingegneria
Aerospaziale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel 1998 e sino
ad oggi ha lavorato nel settore aerospaziale
e della Difesa presso Thales Alenia Space
Italia. Dal Settembre 1998 alla fine del
2004 ha lavorato come Ingegnere di Processo per le antenne dei satelliti CD RADIO, RESSAT, ATLANTIC BIRD, YAMAL 200, HOT BIRD 7°. Dalla fine del 2005 all’Aprile 2006 è stato Ingegnere tecnico capo
dell’Area CAD per il settore Antenne MLI e dall’Aprile 2006 è
responsabile degli Equipaggiamenti Meccanici e della Progettazione Termica.
Marco Zumpano si è laureato in Ingegneria
Aerospaziale presso l’Università di Roma
“La Sapienza” nel 2004. Dal Luglio 2006
è consulente presso Altran Italia dove si
è occupato di progettazione termo-strutturale per le unità elettroniche dei satelliti
YAHSAT, W3B, ALPHASAT, SENTINEL 1,
SENTINEL 3, GLOBALSTAR 2, presso il
Dipartimento di progettazione termo-strutturale di una delle aziende italiane leader nel settore aerospaziale. Nel 2006
ha partecipato alla progettazione della piattaforma di integrazione del lanciatore VEGA e all’analisi termo-strutturale
dell’apparecchiatura scientifica CPD della Stazione Spaziale
Internazionale (programma ESA/NASA) per un’azienda italosvizzera leader nei sistemi spaziali e per la difesa.
[email protected]