Etica Teologica - Persone e problemi morali nella società

COLLANA
®
TEOLOGIA, RELIGIONI E RELIGIOSITÀ ALTERNATIVA
La presente collana è stata voluta e creata da
Tullio Di Fiore
Pres. GRIS di Palermo e Sicilia,
docente invitato presso ISSR
Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia
Marcello Di Tora o.p.
Prof. associato presso la Facoltà Teologica
di Sicilia e membro dell’equipe del GRIS
Giuseppe Ferrari
Segretario del GRIS nazionale
Τί δὲ καὶ ἀφ’ἑαυτῶν
οὐ κρίνετε τὸ δίκαιον;
(Lc 12,57)
Ai miei genitori
Salvatore e Nunzia
pietro cognato
etica
teologica
Persone e problemi morali nella società contemporanea
COLLANA
®
DARIO FLACCOVIO EDITORE
TEOLOGIA, RELIGIONI E RELIGIOSITÀ ALTERNATIVA
Pietro Cognato
Etica Teologica
ISBN 9788857904108
© 2015 by Dario Flaccovio Editore s.r.l. - tel. 0916700686
www.darioflaccovio.it [email protected]
Prima edizione: gennaio 2015
Cognato, Pietro <1975->
Etica teologica : persone e problemi morali nella società contemporanea /
Pietro Cognato. - Palermo : D. Flaccovio, 2014.
ISBN 978-88-579-0410-8
1. Morale sociale.
170 CDD-22
SBN PAL0276105
CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”
Indice
Presentazione della collana
Presentazione
1. Per un’etica teologica della persona.
Coordinate epistemologiche e metodologiche
1.1. Un punto da cui iniziare...................................................................pag.
1.2. Fisionomia dell’oggetto e attenzione ai destinatari............»
1.3. La preoccupazione morale.............................................................»
1.4. Una riflessione tra casi e metodo................................................»
1.5. Motivazioni di una scelta metodologica...................................»
1.6. Dalle motivazioni di fondo ai contenuti emergenti.............»
1.7. Autocritiche e precisazioni.............................................................»
1.8. Lo status quo e la mia proposta...................................................»
2. Anche quando la vita non si vede. Il problema morale
dell’interruzione volontaria della gravidanza
2.1. Il contesto operativo.........................................................................»
2.2. Difficoltà iniziali sull’etica come riflessione
e una chiave di lettura: distinzione tra agente e azione.....»
2.3. La domanda sul bene........................................................................»
2.4. Descrizione, valutazione e prospettiva teistica:
distinzione e rapporto......................................................................»
2.5. Il punto di vista della morale come punto di riavvio
della riflessione...................................................................................»
2.6. Il contenuto dell’esigenza morale (in contesto)....................»
2.7. Asserti descrittivi e giudizi di valore.........................................»
2.8. Il problema empirico: di che cosa o di chi parliamo?.........»
2.9. Il problema etico: la vita come bene fondamentale
e il valore morale della bontà personale..................................»
2.10. Conflitto tra valori non morali e ricerca
oggettiva della norma.......................................................................»
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3. Anche quando il desiderio è legittimo.
Il problema morale della procreazione medicalmente assistita
3.1. Il contesto operativo.........................................................................» 85
3.2. La non confusione tra due giudizi...............................................» 86
3.3. Cause non morali e motivi moralmente giustificanti..........» 89
3.4. Explicatio terminorum.....................................................................» 92
3.5. Descrizione e scopo delle metodiche.........................................» 94
3.6. Impostazione morale del problema...........................................» 98
3.7. Ordine morale e ordine giuridico:
un’esemplificazione (Legge 40/2004)...................................... »106
4. Anche quando la guarigione è impossibile.
Il problema morale della pratica eutanasica
4.1. Il contesto operativo......................................................................... »113
4.1.1. Il caso di Filippo................................................................... »113
4.1.2. Il caso di Luisa....................................................................... »113
4.1.3. Il caso di Luciano................................................................. »113
4.1.4. Il caso di Giovanni............................................................... »114
4.2. Quale contesto operativo tra i tanti?.......................................... »114
4.3. Eutanasia: rilevanza etica e inferenze antropologiche....... »117
4.4. Riflessione etica sul caso Luciano............................................... »118
4.5. Il testamento biologico:
ripresentazione attuale dell’eutanasia?.................................... »125
4.6. Il superamento dell’eutanasia: le cure palliative.................. »132
5. Anche quando una parte continua a funzionare.
Il problema morale della morte cerebrale e trapianto d’organi
5.1. Il contesto operativo......................................................................... »137
5.2. Quali criteri per l’accertamento della morte?........................ »138
5.3. Le antropologie soggiacenti e il vero problema etico......... »140
5.4. La giustificazione etica dei trapianti.......................................... »143
6. Anche quando ci si ama. Il problema morale delle norme
sul comportamento sessuale
6.1. Il contesto operativo......................................................................... »147
6.1.1. Il caso di Carlo....................................................................... »147
6.1.2. Il caso di Maurizio............................................................... »147
6.1.3. Il caso di Serena e Filippo................................................ »148
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6.2. 6.3. 6.4. 6.5.
6.1.4. Il caso di Cosimo.................................................................. »148
Perché l’ingiunzione di norme morali
sul comportamento sessuale?....................................................... »148
La natura “doppia” della sessualità e il “duplice”
piano individuale/sociale............................................................... »151
La natura come argomento............................................................ »153
Dalla questione morale alla questione di identità
e viceversa: il contesto operativo dell’omosessualità......... »158
7. Anche quando non la si segue.
La persona come coscienza morale
7.1. Il contesto operativo......................................................................... »165
7.2. Persona quale soggetto morale.................................................... »166
7.3. Coscienza della contraddizione e contraddizione
della coscienza..................................................................................... »168
7.4. La coscienza tra pretesa di Dio e autosufficienza................. »173
7.5. Alla luce della Gaudium et spes.................................................... »177
7.6. La questione della coscienza erronea........................................ »179
7.7. La coscienza morale e le istanze magisteriali........................ »181
8. Anche quando si è credenti. Il rapporto tra fede e morale:
oggetto dell’etica teologica
8.1. La razionalità etica e il dimensionamento teologico........... »185
8.2. La persona come dono e come compito
alla luce del Dio di Gesù .................................................................. »191
8.3. La persona come risposta credente a Dio................................ »197
8.4. Il discernimento della comunità dei credenti
alla luce della fede.............................................................................. »198
8.5. La persona al centro dell’Evangelium vitae
e la delicata questione del linguaggio........................................ »210
8.6. La persona al centro della cura pastorale................................ »214
8.7. Fede e morale: chiarificazioni ulteriori
e prospettive future........................................................................... »217
Bibliografia........................................................................................................ »231
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PRESENTAZIONE COLLANA
Il crescente fenomeno del pluralismo religioso e del dialogo con le religioni storiche e tradizionali, le nuove spiritualità e i nuovi movimenti
religiosi, l’aumento di pratiche esoteriche, magiche e sataniche, l’eliminazione delle barriere frutto della globalizzazione, il relativismo che
porta con sé il sincretismo e l’eclettismo sono le nuove sfide a cui la
teologia e i teologi devono rispondere con un linguaggio nuovo, chiaro
e comprensibile a tutti. Solo così potremo recuperare quel territorio di
cui parlava Italo Calvino quando affermava: Il territorio che il pensiero
laico ha sottratto ai teologi è sul punto di cadere in mano ai negromanti. Questa citazione indica l’itinerario intellettuale che ci ha condotti
ad ideare questa collana di studi, riflessioni e proposte teologiche nel
tentativo di volere raggiungere l’uomo contemporaneo, sinceramente
in ricerca ma smarrito tra mille proposte di carattere religioso. Vuole
essere un percorso di riflessione e studio su temi attuali, fondamentali
e irrinunciabili per la teologia, la Chiesa e l’uomo in qualunque condizione esso si trovi.
Tullio Di Fiore
13
PRESENTAZIONE
Bello e originale il libro di Pietro Cognato. Bello nei contenuti, originale nella loro articolazione e nella complessiva struttura del testo. Al
capitolo introduttivo e fondativo, infatti, seguono le varie tematiche
“speciali” declinate con un titolo accattivante che, in realtà, circonda
le antiche e rigorose articolazioni della teologia scolastica: “videtur…”.
La dimensione concessiva delle varie proposizioni viene esplicitata nel
loro sottotitolo che evidenza implicitamente il sottostante riferimento normativo. Un esempio per tutti: Anche quando la vita non si vede:
il problema morale dell’interruzione della gravidanza. Come a dire: la
sussistenza e il rispetto della vita umana prescinde dalle manifestazioni visibili del suo esistere. Titolo e sottotitolo sono già un insegnamento morale.
Conosco Pietro Cognato da lungo tempo, dapprima come suo professore e poi come amico e collaboratore perché con gli anni gli alunni
devono affiancarsi ai maestri che, a loro volta, ricorreranno alla loro
giovanile freschezza di idee e competenze. Un po’ come avviene con i
figli: ricordo quando insegnavo le prime parole di inglese ai miei figli e
adesso sottopongo loro quanto scrivo perché me lo correggano.
In questo testo (che conoscendo il personaggio non sarà l’ultimo!) Cognato dà il meglio di sé. Elabora infatti il suo pensiero in modo rigoroso, come ha sempre fatto, ma calandolo nella concretezza di alcuni
contesti problematici come quelli attinenti alla morale della persona,
di cui è peraltro docente. Se nelle pubblicazioni precedenti la profondità del suo pensiero non sempre era immediatamente penetrabile a chi
non avesse dimestichezza col suo linguaggio o con le argomentazioni
di una teoretica moral-teologica, non è così in questo testo, profondo
ma di accesso diretto. Questo ne fa anche un ottimo strumento per l’insegnamento.
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Molte e interessanti le puntualizzazioni contemporanee non solo documentate nell’ampia e aggiornata bibliografia (della cui conoscenza
Cognato è maestro) ma anche nella proposizione di alcune argomentazioni come il recente dibattito critico sul concetto di morte cerebrale o
il confronto tra legge morale e legge civile in merito alla procreazione
medicalmente assistita.
In un’esaustiva circolarità ermeneutica il testo parte da una dimensione etico-descrittiva che assume, in realtà, i più netti toni dell’etica narrativa e, come tale, è già tinto di insegnamento morale. Si eleva poi alla
vera e propria fondazione metafisica senza precipitarsi, come molti
altri studi fanno, al riduzionismo normativo. Solo alla fine troviamo la
declinazione normativa, nonché le prospettive aperte di un’intelligente
risposta operativa.
Merito del testo che, mi auguro, il lettore e lo studente sappiano cogliere, è la profonda simbiosi tra la dimensione empirica (testimoniata
da episodi, colloqui, aneddoti occorsi all’autore), quella etico-fondativa
(con riferimenti filosoficamente forti e teologicamente argomentati) e
quella etico-normativa (che scaturisce dalla prima e solo in riferimento a essa trova legittimità e giustificazione). I temi trattati, infatti, sono
tra quelli che maggiormente suscitano il “moralismo” contemporaneo
che costituisce la morte della teologia morale e, di fatto, ha impoverito
nel sentire comune tale disciplina e la morale tout court. D’altra parte, dobbiamo ammetterlo con onestà intellettuale, i vertici ecclesiali
almeno fino all’avvento di papa Francesco non hanno fatto molto per
“de-moralizzare” gli insegnamenti della Chiesa che, nei più, continua
a essere vista come una grande agenzia morale che propina concessioni (poche) e divieti (molti). La lettura di questo testo (che si muove
nell’alveo di un’assoluta ortodossia dottrinale) fa comprendere che la
morale è altro e che, nel suo articolarsi, c’è ampio spazio per la creativa, dinamica, responsabile e profetica risposta della coscienza.
A proposito di quest’ultima mi sembra fondamentale il capitolo che ne
parla in modo tematico, sempre con la stessa costruzione semantica.
Qui l’incipit concessivo “anche quando non la si segue” lascia già intendere nel lettore quale sarà il successivo sviluppo argomentativo.
Come si diceva sappiamo di certo che questa pubblicazione non sarà
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l’ultima, anche se conclude una sorta di trilogia ideale apertasi con:
Prendersi cura della vita. Prospettiva etico-normativa e riflessione teologico-morale (2008) e Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il
rinnovamento della teologia morale (2012).
Nell’affidare il libro al lettore ci congediamo quindi dall’autore nell’attesa del prossimo, siamo certi non meno avvincente, testo.
Prof. Salvino Leone
Docente di Teologia Morale alla Facoltà Teologica di Sicilia
Presidente Istituto di Studi Bioetici “S. Privitera”
17
1. PER UN’ETICA TEOLOGICA DELLA PERSONA.
COORDINATE EPISTEMOLOGICHE
E METODOLOGICHE
1.1. UN PUNTO DA CUI INIZIARE
Sovente si afferma che “tutto ha avuto inizio da un’idea”. Nel caso di
questo libro sarebbe più corretto affermare che tutto ha avuto inizio
da un’esperienza, precisamente da un’esperienza di ascolto e di consulenza praticata ormai da anni all’interno di due ambiti diversi per
tipologia e finalità, ma accomunati dalla stessa sollecitudine a venire
incontro ai bisogni dell’altro: l’Istituto di Studi Bioetici “Salvatore Privitera” unitamente all’attività di docenza presso la Pontificia Facoltà
Teologica di Sicilia e la comunità cristiana alla quale appartengo e nella
quale opero a più livelli, in qualità di teologo, da quello accademico a
quello diocesano e parrocchiale.
Vorrei qui concentrarmi, a mo’ di introduzione, in una fattispecie che
non rappresenta il tema centrale che qui voglio trattare, ma che può
rendere l’idea del perché sembra urgente lavorare sul piano della elaborazione e della comunicazione delle idee etiche utili a che i credenti
possano orientarsi tra loro e in dialogo con chi professa una fede diversa o nessuna fede. La fattispecie in oggetto è il caso di una signora che – lo dico subito – si è sottoposta alle tecniche di procreazione
medicalmente assistita e che parlandomi, però, ha esternato di avere
un grande peso sulla coscienza in quanto, dichiarandosi convintamente cristiana, voleva sapere se si era imbattuta in una pratica abortiva
oppure no. Ho intuito che le cose fossero un po’ confuse per lei, ma
una distesa riflessione mi ha convinto che in fondo la confusione non
era solo nella sua testa ma che essa è proprio la cifra di ciò che oggi
si vive. La signora mi confida due interruzioni di gravidanza già avvenute, ma la cosa più sconvolgente sta nel fatto che, oltre a queste
(la signora vuole da me conferma se lo sono veramente) accenna ad
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altri due aborti che dovranno essere decisi quasi sicuramente. Di che
parla la signora? Non sbaglierei nell’affermare che di fronte a casi di
questo tipo un uomo, che sia teologo o parroco, direttore spirituale o
confessore, fa l’esperienza più diretta, concreta e dirompente di quello
che i filosofi chiamano, facendo coro alle riflessioni capitali di Heidegger1, “sradicamento ontologico dell’essere e dell’agire antropologici in
seno alla questione della potenza che la tecnica oggi detiene”. Ma qua
sono andato troppo a monte ed è necessario scendere a valle e richiedere: di che parla la signora? È evidente che ciò di cui parlava non era
semplicemente la classica interruzione volontaria della gravidanza, ma
di aborto preventivato nel contesto della procreazione medicalmente
assistita, allorché gli embrioni fossero per qualche motivo “difettati”
o non più voluti e destinati per un tempo indeterminato a 196 °C in
crioconservazione. Mi era chiaro come la signora confondesse l’interruzione di una gravidanza con la scelta di non permettere neanche il
suo avvio. E questo perché oggi è possibile isolare la fecondazione dal
globale contesto procreatico. E ciò non è soltanto una possibilità, bensì
la cifra caratterizzante il nostro tempo e identificantesi come un grande caleidoscopio di eventi e di fatti scientificamente interessanti, ma
parimenti sconvolgenti dal punto di vista del significato del vivere e del
morire, dell’essere concepiti e del venire al mondo.
Ebbene, quale parola offrire in questo scenario? E poi, cosa avrebbe
da dire un teologo? Inoltre, la signora ha intenzione di accostarsi al
sacramento della penitenza, ma vuole sapere cosa confessare: l’aborto oppure l’essersi sottoposta alle tecniche di procreazione assistita?
Riguardo al primo problema, è veramente convinta di aver commesso
un uccisione di un essere umano? Riguardo al secondo, quanto si sente
veramente pentita di aver tentato la strada prospettata dalla scienza
per realizzare il suo desiderio di essere mamma? In questi casi, che
fa il teologo o il parroco o il direttore spirituale o il confessore? Basta
attingere solo al magistero? Quale uso l’interpellato di turno può fare
della Parola di Dio in questo contesto?
Ma i problemi sono anche su un altro versante: di quale preparazione
di guida e accompagnamento si ha bisogno di fronte alle esorbitanti
possibilità che la tecnica offre? Quale dimestichezza si deve possedere
per valutare la globalità di tutti gli elementi coinvolti in azioni del ge1
M. Heidegger, Saggi e discorsi, Milano 1976.
20
nere? La confessione penitenziale o la consulenza teologica oppure la
direzione spirituale in che modo possono diventare un luogo fecondo
per un progetto pastorale di risanamento e formazione di una coscienza cristiana? E nel caso in cui questa coscienza cristiana possa raggiungere la sua maturazione, che differenza ci sarebbe con una retta
coscienza di un qualsiasi uomo di buona volontà?
1.2. FISIONOMIA DELL’OGGETTO E ATTENZIONE AI DESTINATARI
L’ultimo interrogativo appena formulato è proprio quello che muove le
riflessioni presenti in questo libro, nella convinzione di poter articolare il rapporto tra fede e morale, cruciale oggi più che mai non tanto e
non solo sul versante extraecclesiale ma soprattutto intraecclesiale. Lo
stesso interrogativo mi ha costretto dentro una riflessione che pensa
a partire da due tipologie di destinatari: coloro che guardano alla loro
morale come legata indissolubilmente alla loro fede e coloro che, invece, ritengono che la fede sia assolutamente superflua o invadente per
la morale. Nei confronti dei primi l’intento è quello di offrire un’occasione per cogliere quale sia la natura del rapporto tra fede e morale e
le conseguenze che ne potrebbero discendere da tipi diversi di rapporto; nei confronti dei secondi le presenti riflessioni potrebbero offrire
spunti per affrontare non superficialmente il “come”, il “quando”, e il
“perché” i credenti dovrebbero guardare alla loro morale come legata
indissolubilmente alla loro fede, recuperando così il ruolo della fede
in morale. In questa maniera, i primi e i secondi potrebbero porre una
particolare attenzione al ruolo che assume il rapporto fede e morale in
ambito decisionale, limitando al massimo i pregiudizi che provengono
da entrambi le parti; inoltre, in forza di ciò si darebbe la giusta importanza al dialogo tra i vari scibili, che concorrono a interessarsi, direttamente o indirettamente, dell’agire umano in ordine al valore vita, e alla
teologia, che è al servizio della Chiesa immersa nel tempo e nello spazio del vivere umano, il cui compito è pure quello di sensibilizzare tutti
gli uomini a che essi percepiscano la fondamentalità del valore vita2.
Va aggiunto, sempre in riferimento alle due tipologie dei destinatari,
2
Cf. P. Cognato, Ecclesiologia e questione morale. La Chiesa quale soggetto nella pubbli–
cistica teologico-morale in Italia, in Ricerche teologiche 23 (2012) 2 325-347.
21
che il rapporto tra fede e morale è un eccezionale laboratorio critico
da cui osservare buona parte della storia del nostro Paese, e non solo,
su più livelli, da quello personale a quello politico, da quello sociale
a quello economico, da quello filosofico a quello storico-pratico, da
quello culturale a quello giuridico. Chi conosce la storia sa benissimo
la riluttanza di essa nei confronti dei salti e l’esito è alla portata della comprensione e della percezione di tutti. Nel nostro Paese, infatti,
sono una realtà di fatto le miriadi di dibattiti mediatici e accademici
appesantiti quasi inevitabilmente da una bipolarizzazione tra cattolici e laici, con la conseguente assenza di riflessioni distese e intente a
ricercare il bene comune. La riflessione etica qui proposta non vuole
sottrarsi alla feconda relazione che essa intrattiene con la teologia, relazione dalla quale prende forma la teologia morale o l’etica teologica,
che dir si voglia, che, proprio in modo specifico e peculiare, mette a
tema la delicata problematica del rapporto tra fede e morale, rivolgendosi all’agire come referente critico. Non si possono chiudere gli
occhi sull’ammirevole attenzione dei teologi nei confronti di tante questioni attuali e scottanti per le quali essi cercano piste risolutive per
un futuro più giusto e più equo per le generazioni presenti e future3.
I vantaggi sono da entrambi le parti: l’etica potrebbe relazionarsi alla
teologia come un’offerta formativa preziosa per interpretare e vivere
cristianamente e responsabilmente la propria vita nella realtà concreta in cui si vive e si opera; la teologia potrebbe rivisitarsi alla luce della
domanda etica, riflettendo sull’importanza di mettere a tema l’originarietà umana dell’esperienza di coscienza in rapporto alla specificità
dell’esperienza di fede4.
1.3. LA PREOCCUPAZIONE MORALE
Ciò che in questa sede vorrei focalizzare non è questo o quell’altro problema di natura etica, offrire soluzioni ai dilemmi posti dalle tante que-
3
Cf. J. F. Keenan (a cura di), Etica teologica cattolica nella Chiesa universale (Atti del
primo congresso interculturale di teologia morale), EDB, Bologna 2009; Id.(a cura di),
Catholic Theological Ethics: Past, Present, and Future: The Trento Conference, Orbis Books,
Maryknoll (New York) 2011.
4
Cf. P. Cognato, Bioetica e teologia (morale). Annotazioni epistemologiche, in βio-ethoς I
(2008) 4 7-17.
22
stioni emergenti, che si stagliano in quella esperienza disorientante di
una inedita configurazione del rapporto tra natura e tecnica. Né, però,
questo deve far pensare che si è scelto di volare basso per il fatto di non
essersi prefissati tutto ciò, magari interessandoci solo di sapere che ci
sono opinioni diverse e farne semplicemente un resoconto. Questo è
già risaputo, riguardo ai vari problemi emergenti di natura morale ci
sarà una parte che la pensa in un modo e un’altra in modo diametralmente opposto. Quello che qui interessa primariamente è sottoporre
all’attenzione dei lettori il procedimento che si segue quando si pensa
in ambito morale, le argomentazioni che vengono addotte, insomma
il ragionamento morale che sta a fondamento delle scelte. Cambiare
le opinioni è solo una cosa che può succedere dopo aver letto un libro
di etica, teologica o filosofica che sia; ciò che non può che succedere è
imbattersi in un metodo che potrebbe far rivedere le proprie opinioni. Attraverso un libro che mette a tema il rapporto fede e morale il
sottoscritto non è interessato a cambiare le opinioni di chi si imbatte
nella lettura, ma va detto che il proporre un metodo potrebbe essere
un buon punto di partenza per rivisitare le proprie opinioni. Per farla
breve, qui interessa soltanto illustrare la metodologia dell’argomentazione etica, al fine di mostrare il grado di logicità che essa possiede, poi
dall’accorgersi di questa logicità al diventare buoni ne rimane tanta di
strada da fare, ma credo che una riflessione scientifica sull’etica, teologica o filosofica che sia, non abbia come suo compito principe il far
diventare buone le persone, ma indicare in che cosa consista la bontà e
il suo risvolto operativo.
Perché la necessità di una riflessione sull’etica? Che cosa c’è da riflettere? L’etica non è il comportamento che uno sceglie di assumere vivendo le molteplici esperienze della vita? Se l’etica fosse solo questo,
sicuramente ci sarebbe poco da riflettere e molto da rilevare soltanto.
Ovvero, se la distinzione tra piano descrittivo e piano valutativo risultasse aleatorio, così come tra costume ed etica, tra affermare e fondare un giudizio morale, tra libertà di coscienza e sua formazione, tra
gradualità della legge e legge della gradualità, tra opzione fondamentale e scelta operativa5, non troverebbe spiegazione alcuna quella che
5
Cf. S. Privitera, La lettura del fenomeno morale, oggi, in Rivista di teologia morale (1984)
61, 94-102; Id, Quale metodo in teologia morale? in Rivista di teologia morale (1989) 84,
63-66; Id, Coscienza e sfide della ricerca scientifica, in Credere oggi, 22 (2/2002) 128,
23
2. ANCHE QUANDO LA VITA NON SI VEDE.
IL PROBLEMA MORALE DELL’INTERRUZIONE
VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA
2.1. IL CONTESTO OPERATIVO
«Una ventina di donne inquiete erano sedute nella sala d’attesa;
Ružena e Klíma non trovarono sedie libere. Di fronte a loro, sul muro,
erano appesi grandi manifesti i cui slogan e immagini avrebbero dovuto dissuadere le donne dall’aborto. Mamma, perché non mi vuoi? c’era
scritto a grosse lettere su un manifesto che mostrava un bambino in
fasce sorridente; sotto il bambino era stampata in grassetto una poesia
in cui il feto implorava la mamma di non gettarlo via e le prometteva
in ricompensa mille gioie: nelle braccia di chi morirai, mamma, se non
mi lascerai vivere? […] Dopo aver aspettato qualche minuto, Klíma bussò alla porta; uscì un’infermiera e Klíma pronunciò il nome del dottor
Škreta. Questi arrivò dopo un istante, diede a Klíma un formulario chiedendogli di riempirlo e di aspettare pazientemente. Klíma appoggiò
il formulario contro il muro e cominciò a riempire le diverse caselle:
nome, data e luogo di nascita. Ružena gli suggeriva le risposte. Poi arrivò alla casella in cui c’era scritto: nome del padre. Si fermò. Era terribile
vedere scritto, nero su bianco, quel titolo infamante, e doverci scrivere sotto il proprio nome. Ružena osservava la mano di Klíma e notò
che tremava. La cosa le fece piacere: “E allora, scrivi!” disse. “Che nome
devo scrivere?” sussurrò Klíma. Lo vedeva vigliacco e terrorizzato e lo
disprezzò. Aveva paura di tutto, aveva paura delle proprie responsabilità e del proprio nome su un formulario».55
55
M. Kundera, Il valzer degli addii, Adelphi, Milano, 207-208.
43
2.2. DIFFICOLTÀ INIZIALI SULL’ETICA COME RIFLESSIONE E
UNA CHIAVE DI LETTURA: DISTINZIONE TRA AGENTE E
AZIONE
Questa bellissima pagina della letteratura mondiale acclimata al contesto operativo che voglio iniziare a trattare. La scelta non è stata compiuta tanto per bearci dello stile estetico con cui il famoso scrittore boemo
rappresenta la scena, bensì per la tipicità della stessa, la sua ripetibilità
e frequenza. Di fronte a una situazione del genere, lui che ha una certa urgenza di chiudere la questione a motivo del fatto che è sposato
con un’altra donna, e lei che da una storia d’amore si ritrova a provare
disprezzo per quest’uomo, chi potrebbe osare giudicare? Chi potrebbe sostituirsi ai diretti interessati e pontificare? Questa pagina, come
tante altre pagine della storia dell’umanità, rende bene l’idea di quanto
sia quasi pretenzioso formulare un giudizio che si dichiari in termini di
giustizia e ingiustizia nei confronti dell’azione che si sta per compiere.
Le reazioni le conosciamo e sono sempre le stesse: come possiamo giudicare? Per giudicare non dobbiamo trovarci nella stessa situazione?
Possiamo mai giudicare senza conoscere le persone? E poi: ammesso
che ci si voglia cimentare a giocare a fare il giudice di un tribunale, quale
dovrebbe essere il punto di vista da assumere? Sarebbe troppo generico dire che il punto di vista è il bene, perché se la stessa domanda la
rivolgiamo a Klíma, la risposta che riceveremmo sarebbe proprio quella
che lui sta facendo il bene di tutti, di lei e di lui, ma anche del nascituro,
che verrebbe al mondo già in una situazione di assoluta difficoltà.
Per superare queste iniziali resistenze alla possibilità di articolare un
discorso etico come teoria morale sulla condotta delle persone, dobbiamo prendere seriamente in considerazione l’incontrovertibile verità
che il punto di vista interiore di chi agisce non è detto che coincida con
la sua azione. Chiamo subito il punto di vista interiore atteggiamento e
la condotta o azione compiuta o da compiere comportamento. Solo gli
esempi possono chiarire quanto qui sostengo. Chi pratica il volontariato non è detto che sia mosso dal punto di vista altruistico. Anche il punto di vista opposto potrebbe stare alla base di chi fa parte di un’associazione di volontariato. Possiamo pensare che sia possibile che non tutti
coloro che pratichino il volontariato automaticamente siano altruisti,
perché anche il ragionamento che parte da un presupposto egoistico
potrebbe giungere alla conclusione che il volontariato sia qualcosa da
44
praticare. Qualcuno potrebbe ragionare in questa maniera: “Se opero
all’interno della protezione civile, mi potrebbe succedere molto verosimilmente di diventare un eroe; allora, mi do da fare sperando che qualcosa di grosso succeda di modo che possa mettermi in bella mostra,
ciò potrebbe tornarmi molto utile”. In questo caso noi potremmo dire
che il volontariato è un’azione buona in sé (comportamento corretto),
ma da questo punto di vista non è buona (cioè dal punto di vista interiore di chi agisce), quindi potremmo dire che è buona oggettivamente ma non lo è soggettivamente. Può succedere pure il caso contrario.
All’ingresso di un supermercato a una signora viene offerta una busta,
esortandola a offrire qualche oggetto di consumo tra quelli che lei acquisterà nella sua spesa. La signora volentieri si presta a quest’opera
di beneficienza da un punto di vista dell’aiuto a chi ha più bisogno. Ma
alla fine la signora scopre da una notizia data al telegiornale locale che
vi è in giro una banda di malintenzionati che hanno come unico scopo
quello di raggirare attraverso queste fittizie iniziative caritatevoli la
gente. Che giudizio daremo? Diremo con certezza che l’azione compiuta dalla signora è soggettivamente buona (atteggiamento buono), ma
non oggettivamente, in quanto ha cooperato, suo malgrado, ad un giro
malavitoso (comportamento scorretto). Cos’hanno in comune questi
esempi, se non il fatto che il punto di vista egoistico e altruistico possono trovarsi a fondamento delle medesime azioni e che le medesime
azioni possono avere punti di vista opposti? Ebbene, l’atteggiamento
è il luogo di questo punto di vista, che se è altruistico, lo rende buono,
altrimenti saremo di fronte a un atteggiamento cattivo. Diciamo, allora,
che l’atteggiamento dipende esclusivamente dalla volontà del soggetto
e che si differenzia dal comportamento che dipende molto dalla comprensione di tutta una serie di dati che il soggetto acquisisce nel tempo
attraverso i vari canali di trasmissione del sapere, i quali determinano
fondamentalmente la condotta.
Anche Ružena che si sta sottoponendo alla interruzione volontaria della gravidanza da quale punto di vista va giudicata? Se l’atteggiamento,
come gli esempi hanno mostrato, è cosa diversa dal comportamento, la
riflessione etica deve tenere in considerazione che esistono due diversi
giudizi, uno sull’atteggiamento, l’altro sul comportamento. Il primo dipende solo dall’aver assunto o meno il punto di vista della morale, che
è necessario vedere quale sia, ma che sicuramente dipende dalla sola
45
sul fatto che valutare non significa farlo dal punto di vista della fede,
deve spostare la nostra attenzione su un avanzamento concettuale di
non poco conto, ovvero che i giudizi morali sono conoscibili e lo sono
senza il fondamento teologico. L’idea opposta avrebbe come effetto la
riduzione dello spazio dell’etica qui inteso come lo spazio delle argomentazioni razionali, le uniche che possono fondare i giudizi morali.
Nel chiedersi cosa pensa la Chiesa dell’interruzione volontaria della
gravidanza e non perché la pensa in una maniera anziché in un’altra
su questo argomento, si avalla l’idea che i giudizi morali non siano da
fondare razionalmente ma su base autoritativa. Ecco perché di tanto in
tanto vengono fuori quei manifesti in ordine a una questione preoccupandosi solo di far notare quanti e quali firme esso riporta in calce. Ciò
che ne esce vanificata ed evaporata è la prospettiva etica, che sostiene
che i giudizi morali vanno compresi in termini di oggettività del bene
di fronte a tutti, credenti e non credenti. E per oggettività si intende
l’oggettività del processo decisionale.
Alla luce di questi primi passi critici, mi sembra che il problema dei
problemi sia così formulabile: in etica teologica è determinante rapportare fede e ragione, e lo si può fare solo presupponendo l’esistenza
di diversi livelli di analisi della stessa esperienza di fede e dell’originalità umana dell’esperienza morale. Sono solo all’inizio dell’analisi
del caso in questione e già è stato necessario fare qualche distinzione, quella tra etica normativa e descrittiva e quella tra discorso sul
fondamento teologico e quello sul fondato logico, che corrisponde
all’imperativo morale, all’esigenza realizzativa del bene ineludibile e
considerata riconoscibile come tale. È chiaro che sul piano dell’etica
descrittiva il rapporto tra fede e morale risulta scontato e indissolubile.
Però, se passiamo al piano dell’etica normativa, è necessario chiarire
l’apporto della fede nell’esperienza morale, che non è così scontato che
offra strumenti per l’individuazione di ciò che è giusto fare, se è vera
la prospettiva della comprensibilità da parte di tutti, credenti e non
credenti, del bene e del male.
L’oggetto dell’etica teologica – il rapporto di fede e ragione – obbliga,
dunque, la riflessione ad analizzare la portata cognitiva e della fede e
della ragione, di vedere sino a dove la fede può obbligare al rispetto
di una regola e se quest’ultima, in quanto squisitamente morale, ha la
fede come sua unica fucina.
54
2.5. IL PUNTO DI VISTA DELLA MORALE COME PUNTO DI RIAVVIO
DELLA RIFLESSIONE
L’autocomprensione etico-teologica a cui ho accennato è riconoscibile come già presente nella tradizione stessa della Chiesa cattolica76.
Essa va sotto il nome di morale autonoma in contesto cristiano, in cui
«l’elemento etico viene visto come un’entità umana e intramondana, a
cui apparterrebbe una propria legalità (autonomia) e alla quale l’uomo possederebbe un proprio (autonomo) accesso»77. Quest’autocomprensione ha il merito di tenere conto della complessità dell’esperienza umana e di cercare di renderla comunicabile78. L’etica teologica in
quest’ottica esprime la comprensione della funzione del discorso teologico nell’esperienza morale in termini aggettivali più che sostantivali, in quanto concepisce Dio non come fonte della morale, bensì come
fonte di autocoscienza dell’uomo credente79.
Di fronte a questa posizione avviene che si reagisca in tanti modi. Una
reazione è quella di essere subito assaliti da un dubbio: può esistere
mai una sola etica una volta che ci si affranca dall’egida religiosa e si
puntualizza che esiste una distinzione fondamentale tra etica descrittiva ed etica normativa? C’è, in altri termini, un fondamento che come
tale ci scongiura di scivolare in una concezione sociologica dell’etica
o da una sua concezione psicologico-culturale? Il dubbio è pertinente
perché, se si ammette che esiste un’etica normativa, che si occupa di
determinare il contenuto e i motivi che rendono obbliganti gli imperativi morali, questa non può riproporre il pluralismo tipico dell’etica descrittiva, che si limita a registrare diacronicamente e sincronicamente
il fenomeno morale, semmai lo sottopone a critica. Imboccare la strada
76
Il mio riferimento va soprattutto a san Tommaso (Summa Theologiae, I-II, q.1, a.1,3;
q.18, a.5; q.100, a.11c.) e anche ai manuali preconciliari di indirizzo neoscolastico, il cui
impianto epistemologico e metodologico, liberato da un’impostazione deduttivistica
ed essenzialistica dell’etica, può ancora insegnare molto sull’autonomia della morale.
Riguardo a una possibile lettura alternativa di questi manuali tradizionali si veda il mio
P. Cognato, Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia
morale, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2012.
77
H. Weber, Teologia morale generale. L’appello di Dio, la risposta dell’uomo, San Paolo,
Cinisello Balsamo 1996, 19.
78
«La cosa che le sta a cuore è la comunicabilità delle conoscenze della teologia morale» (J.
Römelt, Etica cristiana nella società moderna. Fondamenti, I, Queriniana, Brescia 2011, 137).
79
Cf. la posizione di A. Autiero in S. Goertz, K. Klöcker (a cura di), Teologia e bioetica.
Cinque conversazioni con Antonio Autiero, EDB, Bologna 2010, 97.
55
2.9. IL PROBLEMA ETICO: LA VITA COME BENE FONDAMENTALE
E IL VALORE MORALE DELLA BONTÀ PERSONALE
La conclusione del precedente paragrafo costituisce la risposta alla
domanda sul dato di fatto: l’ovulo fecondato possiede un legame intrinseco e un’intrinseca finalità verso quella forma della vita umana.
Si è sintetizzata spesso questa risposta facendo ricorso al concetto di
persona, che di fatto ha polarizzato tutte le ipotesi e ha guidato tutte
le argomentazioni pro e contro93. È risultato così centrale questo concetto che a esso si lega la dignità umana e i diritti inalienabili che ne
seguono. Alcuni autori di matrice anglosassone94 hanno ipotizzato la
possibilità addirittura che vi siano alcuni umani non persone e alcuni
non umani persone, tale per cui il concetto di persona, e solo questo,
richiede all’altro il rispetto e il riconoscimento. Avremo così uomini
verso i quali a nessuno è richiesto il loro riconoscimento e il rispetto
dovuti e animali per quali, invece, ciò accade.
A me sembra che il concetto di persona, più che risolvere, abbia complicato e fuorviato il discorso etico da svolgere sulla vita nascente95. Il
concetto di persona è di matrice prima teologica e poi filosofica, e dal
punto di vista etico si dovrebbe prescindere dalle discussioni di questa
natura96. Coerente con il percorso che sto portando avanti, è necesCf. i contributi presenti nella rivista Per la filosofia, IX (1992) 25: C. Vigna, Struttura
della persona e questioni di bioetica (Alcune indicazioni di principio), 3-19; A. Corradini,
Fondamenti della bioetica e concezioni della persona, 40-56; L. Palazzani,Bioetica e
persona nel dibattito anglo-americano, 74-81; R. Mordacci, La nozione di persona nel
dibattito italiano in bioetica, 82-92.
94
Cf. P. Singer, Practical ethics, Cambridge 1983 (tr. it. Etica pratica, Liguori, Napoli,
1989); Id, Rethinking life and death, Text Publishing Company, Melbourne, 1994 (tr.
it. Ripensare la vita. La vecchia morale non serve più, Il Saggiatore, Milano, 1996); H.T.
Engelhardt, The foundations of bioethics, Oxford University Press, New York, 1986 (tr. it.
Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano, 1991).
95
Sono pienamente d’accordo con S. Leone quando parla della necessità di superare
il concetto di “persona”, vista la sua ambiguità (cfr. S. Leone, Bioetica fede e cultura,
Armando Editore, Acireale 1995, 97-98; Id, Alcune osservazioni a N. Ford, in Rivista di
teologia morale, 133 /2002 87-90).
96
«L’interrogativo sullo status dell’embrione umano viene spesso affrontato in modo
poco felice, perché l’analisi tende a concentrarsi sul momento a partire dal quale
l’embrione diventa persona umana, il momento cioè della personalizzazione o, come si
preferiva dire in passato, della infusione dell’anima. Ma un interrogativo così formulato
non compete affatto alla biologia e alla genetica: compete solo al diritto, alla filosofia
e alla teologia. Infatti, la scienza biologica non può dire nulla sulla personalizzazione
dell’embrione umano, mentre può dire, e di fatto dice, moltissimo sull’embrione come
93
63
3. ANCHE QUANDO IL DESIDERIO È LEGITTIMO
IL PROBLEMA MORALE DELLA PROCREAZIONE
MEDICALMENTE ASSISTITA
3.1. IL CONTESTO OPERATIVO
«Buongiorno, avrei bisogno di una consulenza di natura etica in merito
alla mia storia. Sono sposata da più di quattro anni con un uomo che
conosco già da più di tredici anni. Entrambi proveniamo da famiglie
cattoliche e abbiamo compiuto i nostri studi in scuole cattoliche. Ci
tengo a precisarlo per sottolineare che abbiamo ricevuto una educazione religiosa robusta, che ha sempre alimentato le nostre scelte, la
nostra impostazione di vita a due. Siamo stati fin dall’inizio del nostro
matrimonio desiderosi che Dio ci mandasse dei figli, ma ciò non è mai
accaduto. Ci siamo allora rivolti ai medici, ci siamo sottoposti a tutti i
controlli del caso e l’esito è stato per noi nefasto. Tale diagnosi riguarda
mio marito e non me, in quanto è affetto da azoospermia, il che significa assenza di spermatozoi nell’eiaculato. Di fronte a questa diagnosi
i medici ci hanno paventato la possibilità di sottoporci a una metodica di procreazione medicalmente assistita. Per il nostro caso il primo
consiglio è caduto sulla ICSI, ovvero su un’inseminazione artificiale che
prevede una biopsia del testicolo e l’inserimento diretto di un singolo
spermatozoo all’interno del citoplasma ovocitario. Pur trattandosi di
una tecnica che ci garantirebbe la genitorialità biologica di entrambi, la
percentuale di successo non è molto alta. Un’altra soluzione presentataci con una percentuale, stavolta, di successo maggiore sarebbe quella
dell’inseminazione artificiale con seme da donatore. Qui iniziano i miei
dubbi. È realmente così mostruosa questa pratica? Molte coppie con
lo stesso nostro problema hanno avuto un bambino in questa maniera, perché non farsi aiutare dalla scienza se questa te ne dà la possibilità? E se non vi sono altre possibilità? Ho ascoltato le esperienze di
85
molte altre coppie e mi viene voglia di piangere, e penso: perché noi
non possiamo? Non dobbiamo essere aperti alla vita? Non sarebbe comunque un figlio amatissimo perché molto desiderato? Ci sentiamo un
po’ depressi, di più io, mio marito non ne parla mai, anzi va ammirato
perché, pur di vedermi felice, si sarebbe sottoposto all’inseminazione
con seme da donatore, almeno uno dei due sarebbe un genitore biologico, cosa che invece nell’adozione non succede perché lì entrambi
non lo sono. Questo problema ci sta facendo perdere la fede in Dio e ci
sentiamo persi e senza bussola. Eppure, Dio non dice nella Bibbia che
gli uomini e le donne si devono amare e devono procreare? Perché la
Chiesa è contro queste tecniche? La vita non è sempre un dono che va
accolto? Lo stesso Papa non dice che bisogna essere sempre aperti alla
vita? Un caro saluto, Serena».
3.2. LA NON CONFUSIONE TRA DUE GIUDIZI
Nelle pagine precedenti ho cercato di sviluppare un discorso finalizzato a far emergere l’armamentario concettuale utile per condurre il
ragionamento morale. Quest’armamentario non cambia cambiando il
contesto operativo, e questo spiega l’attenzione massima da dare al
metodo rispetto ai contenuti, che in quanto relativi a questioni di carattere etico cambiano repentinamente.
Riparto da dove sono giunto nel contesto precedente e lo faccio usando,
a mo’ di sintesi, le parole di un teologo moralista italiano: «la soluzione
più corretta per attuare il bene concretamente perseguibile in quella
situazione […] obbliga a vincere la tentazione di perseguire, in termini radicali, il bene assoluto […] per tendere realisticamente al “bene
possibile” e accontentarsi talora semplicemente del “male minore”»121.
A questa sintesi aggiungo però che ciò non basta se non si insiste sul
presupposto delle azioni simili, che a sua volta poggia sulla distinzione tra atteggiamento e comportamento. Nel caso della signora Serena
che si vuole sottoporre a queste metodiche, può accadere che ella ritenga cosa buona farlo perché si trova in una situazione esistenziale
121
G. Piana, Introduzione all’etica cristiana, Queriniana, Brescia 2014, 213. Lo stesso
pensiero molto più elaborato lo troviamo in Id., In novità di vita. Morale fondamentale e
generale, I, Cittadella Editrice, 2012, 430.
86
4. ANCHE QUANDO LA GUARIGIONE È
IMPOSSIBILE. IL PROBLEMA MORALE
DELLA PRATICA EUTANASICA
4.1. IL CONTESTO OPERATIVO
4.1.1. Il caso di Filippo
Filippo ha già una certa età ed è affetto da tumore al colon e per questo
è ricoverato in ospedale. Ha solo una figlia che lo viene a trovare, ma
non sempre, per motivi di lavoro. Ormai le metastasi sono numerose
e gli causano molti e permanenti dolori e ogni giorno che passa si va
spegnendo un poco di più sotto una terapia del controllo del dolore.
La figlia non vuole più vederlo soffrire e in qualche modo comincia a
pensare che questo stillicidio sia inutile.
4.1.2. Il caso di Luisa
Luisa è una donna di mezza età, affetta da un tumore rettale. I medici
le hanno detto che un intervento chirurgico è possibile. Dopo l’intervento dovrà sottoporsi alla chemioterapia, con la speranza che non ci
siano metastasi vertebrali che le potrebbero causare seri problemi di
deambulazione. Una cosa è certa: se decide di non operarsi, non ci sono
molte chance di vivere. Ma Luisa decide di non farsi operare, non vuole
fare la stessa fine della sua amica che con una simile patologia e tanti
tentativi per guarire è morta lo stesso. Chiede ai medici, quindi, l’aiuto
di farla finita con questa inutile sofferenza.
4.1.3. Il caso di Luciano
Luciano è ricoverato in ospedale da moltissimo tempo e versa in uno
stato cosiddetto vegetativo. Così lo chiamano i medici. Anche se non dà
113
segni di consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, a causa delle
lesioni alla corteccia cerebrale, che è la zona dell’encefalo su cui si basa
la coscienza e la vita di relazione, Luciano si addormenta regolarmente la notte risvegliandosi la mattina. Quando la mattina le infermiere
fanno il loro consueto lavoro di assistenza le segue con gli occhi. Ciò
è possibile – dicono i medici – perché i danni alla corteccia non toccano il resto del cervello, e cioè il tronco encefalico, da cui dipendono
le funzioni vitali spontanee come la respirazione, l’attività cardiaca, i
processi digestivi, la regolazione della temperatura corporea. Luciano
respira senza l’ausilio di un respiratore artificiale, di dialisi o trasfusioni. I genitori continuano a chiedersi se questa è vita, cominciano a
pensare che è meglio farla finita e credono che Luciano la pensi alla
stessa maniera.
4.1.4. Il caso di Giovanni
Giovanni è affetto da anni da una gravissima malattia neurologica ormai giunta allo stadio terminale; conserva intatte le proprie facoltà
mentali ed è pienamente capace di esprimere una volontà consapevole
tramite supporto tecnologico; sopravvive grazie a terapie di sostegno
vitale (ventilazione assistita); ritenendo che la vita che vive ormai non
è più vita chiede ai sanitari la sospensione di tali terapie e la messa in
atto di trattamenti volti a evitargli sofferenze.
4.2. QUALE CONTESTO OPERATIVO TRA I TANTI?
A differenza dei capitoli precedenti, quando si vogliono affrontare le
tematiche che orbitano attorno alle questioni del “morire”, è necessario partire da una maggiore circospezione del caso, in quanto più degli
altri questo ambito di riflessione etica presenta moltissimi problemi di
natura descrittiva.
Non è un caso che in etica si inizi dai casi per tutti i motivi che finora
ho cercato di mettere in luce, a maggior ragione se diamo uno sguardo
ai contesti operativi sopracitati, solo a un occhio superficiale e poco
attento questi possono apparire simili. Ho scelto, cioè, di riportare più
casi per svuotare subito dal di dentro la forma della domanda tipica
che in queste circostanze viene formulata: sei a favore o contro l’euta114
5. ANCHE QUANDO UNA PARTE CONTINUA
A FUNZIONARE. IL PROBLEMA MORALE
DELLA MORTE CEREBRALE
E TRAPIANTO D’ORGANI
5.1. IL CONTESTO OPERATIVO
«Nel febbraio del 1991 il Royal Children’s Hospital di Melbourne ospitò una conferenza sul tema Anencefalici, infanti e morte cerebrale:
possibilità di trattamento e donazione degli organi. […] La questione
pratica che aveva indotto il Royal Children’s Hospital a promuovere la
conferenza ci fu presentata non senza drammaticità dal dottor Frank
Shann, direttore del reparto di terapie intensive dell’ospedale; egli incominciò col raccontare che, un paio di anni prima, nell’ospedale era
stato ricoverato un bambino affetto da una grave malattia cardiaca.
Dopo ripetuti attacchi di cuore, si dovette sottoporlo all’azione di un
ventilatore e somministrargli continuamente dei farmaci per tenerlo
in vita. A parte il danno cardiaco, il bambino era del tutto normale;
la sua malattia, però, aggiunse Shann, era così grave che le previsioni
erano disperate. […] In quello stesso periodo, nel letto vicino dell’unità
di terapie intensive, c’era un altro bambino che aveva sempre goduto
di ottima salute fino a quando aveva avuto un collasso improvviso e catastrofico. Nel cervello aveva dei vasi sanguigni anormali che si erano
improvvisamente rotti; ne erano seguite una massiccia emorragia e,
di conseguenza, la distruzione dell’intera corteccia cerebrale. Il tronco
cerebrale, però, parzialmente continuava a funzionare e il bambino faceva irregolari movimenti ansimanti. Pur senza consentirgli di vivere
senza il ventilatore, tali movimenti dimostravano che il suo cervello
non era interamente morto. Legalmente, non era morto. C’erano dunque due bambini, uno completamente normale ma con un cuore sul
punto di cedere in un letto, e, nel letto vicino, uno con una corteccia
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