Recensione Finito Infinito

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Craig Martin, Renaissance Meteorology. Pomponazzi to Descartes, The Johns Hopkins
University Press, Baltimore 2011, pp. 213, ISBN: 978–1–4214–0187–4.
La meteorologia fu una delle scienze più importanti del Rinascimento e fu oggetto di
intensa ricerca da parte di illustri filosofi come Gaetano di Thiene, Agostino Nifo,
Pietro Pomponazzi, Jacopo Zabarella, Bernardino Telesio, Girolamo Cardano, Giulio
Cesare Scaligero, Giovanni Battista della Porta, Francis Bacon e Réne Descartes, solo
per nominare i più famosi. Tuttavia, mancava fino ad oggi uno studio approfondito e
accurato sul tema. A colmare questa lacuna è stato Craig Martin con il suo ultimo libro
che traccia la storia della meteorologia da Pomponazzi a Descartes, esplorando tutti i
risvolti filosofici della questione. Sono molti i meriti di questo libro, in primo luogo il
coraggio, unito alle precise analisi, di rompere con i consueti cliché interpretativi che
vedono nella meteorologia una sopravvivenza infruttuosa della vecchia scienza
scolastica
di
matrice
aristotelica.
Le
indagini
del
volume
dimostrano
inequivocabilmente che l’affondo contro la filosofia aristotelica non fu totale reiezione,
piuttosto fu un’evoluzione lenta e graduale culminante nel trattato cartesiano su Les
Météores del 1637.
La continuità rispetto alla rottura con la tradizione aristotelica è data dal fatto che, a
differenza della Physica, dove si mostrano i principi primi della scienza, i
Meteorologica erano trattati di filosofia naturale pratica, in un certo senso sperimentale.
La tesi centrale del libro è che la meteorologia rinascimentale mostra la flessibilità degli
aristotelici nel considerare come provvisorie le loro teorie, i quali erano attenti non tanto
alla sistematizzazione di una filosofia naturale, quanto all’applicazione dei concetti
della causa finale e formale per la spiegazione dei fenomeni meteorologici. Inoltre
l’autore sottolinea l’importanza degli esperimenti empirici nelle congetture scientifiche,
come quelli condotti in campo chimico, al fine di elaborare spiegazioni più esaustive
della realtà. Infatti, i lavori rinascimentali sulla meteorologia tentano di costruire teorie
corrispondenti all’evidenza sensibile, alle osservazioni, agli antichi testi, alle dottrine
religiose e agli esperimenti. L’obsoleta immagine di un Aristotelismo immobile, devoto
al proprio sistema, piuttosto che alla verità, non si confà agli autori rinascimentali di
meteorologia. Le indagini baconiane e cartesiane sulla meteorologia non devono essere
così inserite ex abrupto nel contesto della “nuova scienza moderna”, per quanto questo
concetto possa avere un significato, ma devono essere ricondotte alla tradizione
aristotelica rinascimentale.
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Senza nulla togliere all’originalità di tutti e sei i capitoli compresi nel volume, i primi
due dedicati rispettivamente all’epistemologia e alla teleologia della meteorologia sono
decisamente i più interessanti. Essi infatti dimostrano come l’impianto teorico
aristotelico fu tutto volto ad elaborare una logica congetturale che desse ragione degli
eventi singoli, anche quelli più bizzarri, strani e inconsueti, anziché partire da un
presupposto insieme di dottrine entro le quali considerare il particolare. Insomma, il
pregio della ricerca di Martin è mostrare come la meteorologia sia esempio di un
metodo e di una ricerca scientifica che si adattano all’esperienza, e non viceversa di
un’esperienza che deve essere compresa entro determinate strutture epistemologiche,
fuori dalle quali c’è sarebbe solo la casualità e l’accidente. Nel Rinascimento, il metodo
aristotelico applicato ai fenomeni meteorologici si estende per comprendere l’esperienza
nella sua totalità.
Marco Sgarbi
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