Musica, spazio e ambiente: ascolto, rappresentazione, e interazione con il paesaggio sonoro. 1. Ascolto e visione Nell’ultimo decennio è andata crescendo l’attenzione dedicata allo studio del paesaggio sonoro, eppure le riflessioni teoriche sulla ‘società dello spettacolo’ continuano a dedicarsi di più alla cultura visuale che all’ascolto, trascurando di fatto che il suono e la musica hanno avuto per l’uomo il ruolo di strumenti di conoscenza alla pari delle immagini, fin dalla preistoria. Questa prima sezione introduttiva si propone di riassumere alcune ragioni del sopravvento della vista sull’udito nella civiltà occidentale, in particolare a partire dalla scoperta/invenzione della prospettiva nel Rinascimento. Prima di addentrarsi in questioni specifiche che riguardano le intersezioni disciplinari tra musica, spazio e architettura, può essere utile soffermarsi su come sia cambiato il ruolo dell’ascolto nella civiltà di cui facciamo parte, specialmente in seguito alla rivoluzione industriale prima, a quella elettrica poi, e infine a quella digitale in tempi più recenti. L’udito è il primo dei cinque sensi a svilupparsi nel feto umano e, poiché è mediante i sensi che ci è dato di conoscere il mondo fenomenico, grazie ad esso cominciamo a formulare i primissimi modelli di comprensione della realtà e a interagire con l’ambiente. Impariamo a riconoscere le persone, gli oggetti e gli eventi prima dalle loro voci e dai loro suoni che dalle loro immagini; ci relazioniamo con il mondo ascoltando e riproducendo parole, suoni (come quello dell’automobile), versi (come quelli degli animali). L’antropologo gesuita Marcel Jousse sosteneva quasi un secolo fa l’importanza del fonomimismo orale nella formazione linguistica e in quella musicale: “qualsiasi bambino allevato in libertà in campagna si mette spontaneamente a nominare un certo numero di animali e di oggetti attraverso il suono caratteristico che questi emettono”1. E “anche noi basiamo sul ritmo del linguaggio tutta l’iniziazione alla musica che storicamente ne è scaturita. Il vero problema non è di insegnare prematuramente al bambino come dovrà leggere, scrivere ed eseguire suoni vuoti. Il giovane essere umano, come la giovane umanità, non saprebbe, senza una lenta transizione, dissociare la musica dalla parola”2. Pur senza disporre delle conoscenze anatomiche e fisiologiche degli ultimi secoli, le culture antiche identificavano l’origine dell’universo con un evento o un gesto sonoro; le cosmologie arcaiche di tutto il mondo si fondano sul suono, come hanno dimostrato gli studi del musicologo Marius Schneider3. La creazione cui accenna il celeberrimo incipit del vangelo di Giovanni avviene con la parola: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio” . Le radici della civiltà europea non fanno eccezione: Orfeo impiega l’armonia musicale per placare Cerbero e le forze della natura, portando ordine mediante la sua musica, che è emanazione in terra dell’armonia celeste; i rapporti armonici pitagorici basati sui piccoli numeri interi, e scoperti ascoltando il variare del suono di una corda vibrante a seconda della sua lunghezza, sono il fondamento di tutte le arti occidentali fino ai giorni nostri. Schelling definiva l’architettura come musica pietrificata e, se questo diverrà evidente a partire dalle proporzioni musicali degli edifici rinascimentali4, Marius Schneider ha individuato già nel medioevo catalano una sorprendente trascrizione architettonica, in pietra, di partiture musicali5: egli “osservò i • M. Jousse, “Dal mimismo alla musica nel bambino” in A. Colimberti (a cura di), Ecologia della Musica. Saggi sul paesaggio sonoro, Donzelli, Roma 2004, p.10. 2 Ibid., p.14. 3 Si veda in particolare M. Schneider, La musica primitiva, Adelphi, Milano 1992 (1980). 4 Cfr. R. Wittkower, Principî architettonici nell’età dell’Umanesimo, Einaudi, Torino 1964 (1962). 5 M.Schneider, Pietre che cantano, Archè 1976 (1955). 1 1 chiostri romanici di San Cugat, di Gerona e di Ripoll in Catalogna, annotò le figure fantastiche effigiate sui capitelli assegnando a ciascuno un valore musicale, quindi lesse come simboli di note le singole figure, basandosi sulle corrispondenze tramandate dalla tradizione indù, e scoprì infine che la serie corrispondeva alla esatta notazione degli inni gregoriani dedicati ai santi di quei chiostri”6. Le ricerche come quelle di Schneider erano eventi rari fino a un decennio fa perché, come egli scriveva, “ci siamo ormai abituati a un’arte che ignora il suono e spesso, ad esempio, alla vista di doccioni gotici non pensiamo affatto che essi in realtà sono vivificati soltanto dallo scrosciare della pioggia” 7. Da decenni si discute sulla ‘società dell’immagine’ cui apparteniamo, e solo in tempi recenti si è ricominciato a prendersi cura delle questioni legate all’ascolto come strumento di consapevolezza e di misura dell’ambiente. Già a partire dal Rinascimento, con l’invenzione della prospettiva e la necessità di ridurre a categorie codificabili tutti gli aspetti dello scibile, la vista aveva iniziato a prendere il sopravvento sull’udito in ambito culturale 8; se le proporzioni armoniche musicali continuavano a ispirare le grandi opere architettoniche e pittoriche, la matematica e gli esperimenti scientifici fondavano il loro metodo sulla possibilità di un riscontro sensibile prevalentemente visivo. La stessa filosofia assecondava il “privilegiamento [sic] della dimensione visiva, rispetto a quella acustica, data la riduzione del ‘senso sensato’ a ‘idea’, a schema immobile, che si dà ‘in presenza’ e quindi è immediatamente afferrabile dallo sguardo in una forma chiusa e compatta. Laddove il sonoro ‘trascina via la forma’ e dunque evoca già di per sé una visione mobile, non ferma […] delle cose, una ‘transitività’ vibrante che va a cozzare con la visione ideale e ‘sempre ferma’ della nostra tradizione” 9. • La speculazione filosofica introspettiva, da Cartesio in poi, ha contribuito definitivamente a separarci dal mondo esterno per proiettarci in una realtà ‘virtuale’ interna. Oggi che la tecnologia digitale lo consente, si preferisce spesso l’applicazione di paradigmi analitici visivi all’esperienza concreta dell’ascolto perfino nello studio del suono stesso, che viene trattato con software atti a visualizzarne le caratteristiche, riducendolo a diagramma; un ovvio motivo è che le interfacce dei software di uso comune sono prevalentemente visuali. Sebbene ci sia chi sta lavorando nella direzione di sonorizzare dati digitalizzati (come nei settori medico e urbanistico) per favorirne ulteriori possibilità di lettura e di interpretazione, si tratta ancora di ricerche condotte da una nettissima minoranza rispetto all’ambito della data visualization (visualizzazione di dati), che oggi sta ulteriormente incrementando il suo successo grazie al web e alle applicazioni per computer e smartphone. D’altronde, quasi tutte le estensioni della nostra memoria 10 hanno un carattere prevalentemente visivo: l’analisi e lo studio del paesaggio, come i ricordi dei momenti importanti della nostra vita, sono affidati prevalentemente a fotografie e video 11, ed è evidente come l’acquisizione di informazioni dai testi coinvolga sempre il medesimo senso. L’architettura e le città moderne sono state progettate per compiacere l’occhio, senza prestare la dovuta attenzione al comfort acustico di chi le abita. Hildegard Westerkamp, una dei fondatori del World Forum for Acoustic Ecology 12, ha fatto notare che il primo suono generalmente percepito da un visitatore quando arriva in una città contemporanea è quello del traffico automobilistico. L’analisi da lei condotta sulla città di Brasilia 13 dimostra un disinteresse quasi totale da parte dei progettisti nei confronti dell’acustica; è praticamente impossibile, rimanendo all’interno dell’area del Piano Pilota, trovare rifugio dal rumore del • Così Elémire Zolla nella postfazione a M. Schneider, Pietre che cantano cit., nell’edizione SE, Milano 2005, p.109. Ibid., p.13. 8 Cfr. R. Barbanti, Meccanicismo e determinismo. Ovvero come lo sguardo, fissandosi sulle cose, ha prodotto una visione del mondo riduttiva, in A. Colimberti (a cura di), Ecologia della Musica. Saggi sul paesaggio sonoro, cit., pp.7999. 9 E. Lisciani Petrini, nell’introduzione a J.-L.Nancy, All’ascolto, Raffaello Cortina, Milano 2004, pp. XVI-XVII 10 Cfr. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 1967 (1964). 11 Esula da questo modulo la trattazione dell’importanza dedicata al suono nella realizzazione e nella fruizione degli audiovisivi e in particolare del cinema, che tra le forme d’arte riproducibili e accessibili alle masse rimane probabilmente quella che più si avvicina a una forma di esperienza sinestetica. Cfr. A.Pagan e M.Cecchinato, Cinema e forme sonore, Forum Edizioni, 2000. 12 Per informazioni sul WFAE, istituito nel 1993, si veda il sito web: http://interact.uoregon.edu/MediaLit/WFAE/home/index.html. 13 In occasione di una conferenza presentata presso il Goethe Institut di Tokyo nell’ottobre 1994, per il Symposium Von Bauhaus zu Soundscape. 6 7 2 traffico14. Inoltre a differenza di quanto avviene con la vista, dalla quale possiamo escludere volontariamente o involontariamente una scena o una sua parte, all’udito non possiamo nascondere ciò che succede semplicemente coprendoci le orecchie, o mentre dormiamo; talvolta, nemmeno un paio di cuffie con un dispositivo di riduzione del rumore può essere sufficiente. • Ancora oggi, troppo pochi conoscono gli studi sul paesaggio sonoro e sul sound design che si sono moltiplicati a partire dalla pubblicazione del testo fondamentale Il Paesaggio sonoro [inizialmente The Tuning of the World, 1977] del canadese Raymond Murray Schafer, a cui si farà riferimento nelle sezioni che seguono. Ma non è un caso che queste ricerche, come il rinnovato interesse per antichi saperi e pratiche rituali, siano fiorite in concomitanza con la crescente importanza assunta dal metodo e dalle teorie della scienza contemporanea, mentre si andava progressivamente incrinando il fideismo nelle utopie razionalistiche. Si è scoperto recentemente che il Big Bang è stato accompagnato dal suono denso di un drone15, che ancora si sta diffondendo nell’universo come radiazione di fondo. Ed è noto che le musiche rituali di tutte le culture più antiche si fondano proprio sul drone: la tanpura indiana utilizzata nei mantra e nei raga, l’OM vedico e in seguito buddista, le dense tessiture delle percussioni tribali, gli strati di suono dei canti gregoriani che si mescolavano negli spazi delle cattedrali gotiche, rappresentano tutti il mito della creazione con modalità che ci rendono partecipi fisicamente più di qualsiasi cosmogonia grafica. È anche per questo che dal secolo scorso la musica occidentale ha ravvivato il suo interesse nei loro confronti, dalle partiture dei grandi compositori statunitensi ed europei fino ad alcune eccellenze nei generi più popolari. Le sovrastrutture culturali occidentali post-rinascimentali, fondate in buona parte su prospettiva e oculocentrismo, sono divenute l’oggetto di attacchi resisi necessari da parte di chi ne voleva denunciare l’eccessiva rigidità, come nei casi di Marcel Duchamp e di John Cage. È fondamentale tenere a mente che la maggior parte della popolazione non ha ancora familiarità con le avanguardie musicali del ‘900, nonostante conosca almeno in parte quelle pittoriche che sono sempre andate di pari passo: ne sono la prova le esperienze musicali di alcuni tra i più influenti artisti visuali del secolo scorso, delle quali sono consapevoli in pochi perfino tra gli addetti ai lavori. Duchamp non aveva trascurato di delegittimare pure l’omologo acustico della pittura retinica, ossia l’opera musicale come ‘stimolatrice sensoriale’ e prodotto storicizzato: “sono ancora forme: fare del rumore come Mozart o fare del rumore come Varèse, è la stessa cosa”16, atteggiamento che di lì a poco segnerà l’andamento della musica del Novecento con la sua compiuta elaborazione da parte di John Cage. Il pittore Jean Dubuffet ha inciso diversi pezzi improvvisati, il land artist Walter De Maria aveva militato nella prima formazione dei Velvet Underground prima di dedicarsi alle sue installazioni, e Jean-Michel Basquiat aveva fondato la band dei Gray prima di ottenere il successo come pittore. Di recente, il critico musicale David Stubbs ha provocatoriamente intitolato un suo libro Fear of Music: Why People Get Rothko But Don’t Get Stockhausen17 [Paura della musica: perché la gente capisce Rothko, ma non Stockhausen] e, a proposito di Mark Rothko, tornano utili le considerazioni di un compositore che al suo lavoro si sentiva molto affine, Morton Feldman. Subito dopo aver discusso di Cézanne e di Beethoven, Feldman scrive: “il soggetto della mia musica è la mia ossessione nei riguardi della superficie. In questo senso, le mie composizioni non sono affatto ‘composizioni’. Si potrebbero chiamare tele che io all’incirca preparo con un colore musicale di fondo […]. I compositori insistevano nel dire che ciò che stavo facendo non aveva niente a che fare con la musica. Cos’era dunque? E cos’è adesso? Preferisco pensare al mio lavoro come a qualcosa che sta tra le categorie. Tra • La ‘critica al modernismo’ può essere di fatto estesa alla progettazione acustica dell’architettura e della città. Letteralmente: ‘ronzio’, ‘bordone’. Si tratta di un suono spesso, modulato, generalmente mono-tono ma con un’ampia gamma di armonici, statico a livello macroscopico ma ricco di sfaccettature se ‘osservato nel dettaglio’. Si pensi ad esempio al ronzio di un’ape in volo. 16 M. Duchamp, Conversazione con Otto Hahn, in E. Grazioli, Marcel Duchamp, Riga n.5, Marcos Y Marcos, Milano 1993, p.55. 17 Pubblicato da 0 Books, Ropley 2009. 14 15 3 tempo e spazio. Tra pittura e musica. Tra la costruzione della musica, e la sua superficie ”18. Nonostante la loro influenza stia costantemente crescendo sulle ultime generazioni di musicisti e compositori, i capolavori di Feldman sono ancora ben lontani dall’essere conosciuti al pubblico quanto lo sono quelli dei suoi amici pittori della New York School. 2. All’ascolto In quanto esseri umani ascoltiamo in modo diverso rispetto alle altre specie ma, come avviene per tutti gli animali, la gamma di frequenze che il nostro sistema uditivo percepisce ci fornisce informazioni preziose per la vita quotidiana. È possibile educare l’ascolto per renderlo più consapevole e più attento ai dettagli attraverso esperienze alla portata di tutti, per esempio confrontandosi con la soglia del silenzio, e a questo scopo ci possono venire incontro i lavori di alcuni artisti e musicisti. • • David Dunn, un musicista che da tempo si dedica allo studio del canto degli uccelli [www.davidddunn.com], ci dice che “ciò che ascoltiamo è il risultato di una danza tra il mondo e il modo in cui siamo fatti, e organizziamo la nostra realtà basandoci su questa danza. […] Ciascuna specie […] ascolta una realtà distinta, che nasce dai condizionamenti del modo in cui è costruita”19. La fenomenologia dell’ascolto, esattamente come quella della visione e di tutti gli altri sensi, non può prescindere dalla fisiologia. L’apparato uditivo non è in grado di percepire frequenze superiori ai 20.000 Hz e inferiori ai 20 Hz, e quest’ultimo è anche il limite al di sotto del quale entra in gioco il tatto, come si può facilmente riscontare assistendo a un concerto durante il quale le frequenze molto basse siano opportunamente amplificate; Murray Schafer paragona l’udito a una forma di ‘tatto a distanza’ mediante cui è possibile tastare l’ambiente nel suo complesso, cogliendone aspetti dinamici invisibili20. La percezione dell’ambiente da parte delle altre specie è completamente diversa dalla nostra, e non dovremmo dimenticare che molti manufatti stanno mettendo in pericolo gli animali proprio a causa di vibrazioni sonore: il rumore degli aeroplani può essere devastante per i volatili, come quello delle navi per gli ecosistemi marini (nell’acqua e nei fluidi le vibrazioni trovano inoltre un mezzo di propagazione più favorevole che nell’aria). Le condizioni d’ascolto sono sensibilmente diverse anche tra individui della stessa specie, compresa quella umana; la forma variabile del padiglione auricolare contribuisce per esempio a localizzare il suono sul piano verticale, come mostrano gli studi sull’audio binaurale. • Se le macchine e l’evoluzione tecnologica hanno saturato l’ambiente sonoro, ci sono tuttavia strumenti utili per studiare e rappresentare quei contesti che sarebbero altrimenti impossibili da sondare; gli apparecchi di registrazione e di riproduzione rendono possibili rappresentazioni sonore perfino subacquee (utilizzando per esempio degli idrofoni) o su scala astronomica (come per la radiazione di fondo dell’universo), che restituiscono informazioni preziosissime precluse agli apparecchi di registrazione ottica. E le nuove tecnologie computazionali consentono la costruzione di modelli sempre più precisi e complessi dell’interazione tra oggetti sonori 21. • Si dedica poca attenzione all’acustica nella progettazione di un parco, di un edificio o di un artefatto, senza considerare opportunamente quanto questo aspetto sia determinante. Per esempio, alcune caratteristiche dei materiali utilizzati per i pavimenti di un edificio, pubblico o privato, possono influenzare i comportamenti di chi lo abita; si pensi a quando sia o non sia possibile riuscire ad ascoltare i passi di chi si sta avvicinando alla stanza in cui ci troviamo, con evidenti conseguenze sulla privacy. Un corridoio che produca un suono riconoscibile quando ci camminiamo sopra potrebbe fungere perfino da sistema d’allarme. • La presenza del suono e il suo comportamento nello spazio sono dunque strumenti per l’esplorazione di un ambiente: sebbene non siamo dotati di organi paragonabili al sonar dei pipistrelli, attraverso un’opportuna sensibilizzazione dell’udito possiamo acquisire maggiore consapevolezza di come sia fatto il luogo in cui ci troviamo. Un esempio è dato dall’installazione permanente Aerosplane – An acoustic sculpture (1993) di Michael Brewster a Villa Panza di Biumo (VA): in una stanza bianca, dalle pareti fonoriflettenti, l’unica presenza visibile è un altoparlante che diffonde suoni la cui • 18 B.H. Friedman (a cura di), Give My Regards to Eight Street. Collected Writings by Morton Feldman, Exact Change, Cambridge 2000, p.88 (liberamente tradotto dall’autore). 19 D.Dunn, “Nature, Sound Art, and the Sacred”, in Terra Nova 3:2, MIT Press 1997, riportato in D. Rothenberg & M. Ulvaeus (a cura di), The Book of Music & Nature, Wesleyan University Press, Middletown 2001, p.95. 20 R.Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, LIM/Ricordi, Lucca 1985 (1977), p.24. 21 Cfr. D. Rocchesso e F. Fontana (a cura di), The Sounding Object, pubblicato sotto GNU Free Documentation License, 2003. 4 lunghezza d’onda è proporzionata alle dimensioni dello spazio. Le onde sonore si sommano o si sottraggono a seconda della frequenza e delle riflessioni sulle pareti, e conoscendo l’altezza dei suoni emessi sarebbe teoricamente possibile misurare l’ambiente semplicemente ascoltandolo. Il giapponese Toshiya Tsunoda, oltre a occuparsi di registrazioni di paesaggi sonori che ne modificano completamente la ‘prospettiva di ascolto naturale’ 22 (per richiamare un’analogia con la fotografia), ha realizzato nel 2004 a Melbourne un’installazione intitolata Listening To The Reflection Of Points23: il visitatore camminava a fianco di una scatola di metallo bassa e lunga, nella quale erano collocati degli altoparlanti che diffondevano un segnale simile a rumore bianco a bassissimo volume; sul piano in metallo erano appoggiati oggetti di vario tipo (conchiglie, piatti, vasi, …) che fungevano da risonatori e convertivano il segnale in suoni ritmici caratteristici per ciascuno di essi. L’intensità sonora era molto bassa per evitare interferenze, così occorrevano parecchi minuti, per chi proveniva dal rumoroso ambiente esterno, prima di riuscire ad ascoltare qualcosa. Ciò che accadeva era paragonabile al fenomeno esplorato da James Turrell nei suoi Dark Spaces, in cui la retina riesce a cogliere le immagini a bassissima luminosità proiettate nel buio solamente dopo un periodo di adattamento alle nuove condizioni, con la cancellazione degli ultimi stimoli luminosi rimasti impressi prima dell’ingresso. Nelle note di copertina del suo CD O respirar da paisagem24 Tsunoda scrive: “L’atto di osservare modifica la nostra percezione di un oggetto, a seconda del punto da cui lo osserviamo […]. Il nostro timpano è costantemente in contatto con l’aria, che è il medium attraverso cui si trasmette la vibrazione. Come le vibrazioni si manifestano nell’aria, il nostro timpano si muove impercettibilmente, anche se non ci facciamo caso. In questo momento lo spazio e la nostra percezione di esso sono uniti, anche quando ci sforziamo di separarli”. Francisco Lopez spesso chiede agli spettatori di bendarsi gli occhi prima dell’inizio dei suoi concerti; i non vedenti sono generalmente più attenti e abili nell’identificare e localizzare i suoni rispetto a chi vede, al punto che un’area maggiore del loro cervello viene attivata dalle funzioni relative all’ascolto, come hanno dimostrato le misurazioni dei neuroscienziati. Alcuni ricercatori si stanno occupando di sonificare nel modo più opportuno immagini riprese da semplici videocamere o dalle fotocamere dei telefoni cellulari, come nel progetto The vOICe [http://www.seeingwithsound.com]: i non vedenti che hanno testato il sistema hanno a poco a poco preso confidenza con gli algoritmi di ‘trascrizione’, imparando a riconoscere le forme e i rapporti pieno/vuoto, e quindi perfino a identificare la facciata di un edificio che si trova dall’altra parte della strada e la posizione delle sue aperture; queste informazioni artificiali non dovrebbero possibilmente nascondere quelle ‘naturali’, ovvero l’ascolto diretto dell’ambiente, e bisogna tenere conto del fatto che traducono di volta in volta, a distanza di pochi secondi, un’immagine statica (che la vista elaborerebbe in modo sincronico) in una sequenza di suoni che si svolge nel tempo, seppure rapidamente. Quanto detto finora si potrebbe sintetizzare con questa constatazione semplicissima: il suono è informazione. Un suono può farci conoscere la presenza di un determinato oggetto, la sua posizione, e l’eventuale direzione del suo moto. Un suono che cattura la nostra attenzione ma che non riusciamo a identificare o a localizzare può altrimenti generare inquietudine, e metterci in allarme. • Sia la scienza che l’arte hanno elaborato dei sistemi che ci consentono di aumentare la consapevolezza del funzionamento dei nostri stessi sensi. Poco fa sono stati citati i Dark Spaces di Turrell, dove la quasi completa privazione di stimolazione luminosa porta a comprendere meglio il comportamento dell’occhio. Turrell ha apertamente dichiarato di essersi ispirato al celeberrimo pezzo silenzioso di John Cage, 4’33” (1952) [http://www.youtube.com/watch?v=HypmW4Yd7SY]. Alla prima esecuzione, con David Tudor al pianoforte, persino un pubblico avvezzo alle sperimentazioni non riuscì a cogliere il significato di quei quattro minuti e trentatré secondi di silenzio. Questo lavoro può essere inteso qui come un esercizio zen in cui sviluppare la consapevolezza di ciò che avviene nel silenzio, che non è una condizione semi-statica indotta (come avviene nella quiete meditativa di Morton Feldman), ma un catalizzatore dell’attenzione su tutti i suoni che ci • Ad esempio utilizzando microfoni a contatto auto-costruiti, oppure posizionandone all’interno di bottiglie, o vicino a superfici metalliche risonanti trovate sul posto. 23 Cfr. l’articolo di Jim Hayes in The Wire n.252, febbraio 2005, p.72. 24 SIRR.ecords, 2003 (traduzione dell’autore). 22 5 circondano. Non possiamo prescindere inoltre dall’influenza su 4’33” dei White Paintings di Robert Rauschenberg (mai uguali a se stessi, al variare delle condizioni di illuminazione ambientale) e soprattutto dall’esperienza del compositore in camera anecoica, un ambiente teoricamente fonoassorbente: lì scoprì che il silenzio assoluto è una condizione impossibile in quanto, in assenza di stimoli esterni, sentiva distintamente dei suoni che scoprì poi essere quelli del sistema cardiocircolatorio e di quello nervoso25. Dunque il silenzio non esiste: l’informazione sonora è sempre presente e, poiché il nostro stesso corpo ne è un generatore, possiamo anche ascoltarla per saperne di più su noi stessi e per aumentare il nostro autocontrollo. • Gli studi teorici sull’immagine al tempo del post-modernismo concordano sulla nostra condizione di ‘accecamento per eccesso d’immagini’; nella prossima sezione si tratterà di come siamo diventati sordi, incapaci di ascoltare, per l’eccesso di suoni. Abbiamo bisogno di spazi in cui ritrovare il silenzio, per ricominciare ad ascoltare. 3. Schizofonia e paesaggio sonoro contemporaneo Partendo dalle indicazioni e dalle classificazioni di Raymond Murray Schafer, e servendosi anche di modelli di pensiero contemporanei (si continua a fare riferimento in particolare a Deleuze e Guattari), è possibile analizzare come sia cambiato il paesaggio sonoro nell’ultimo secolo e negli ultimi decenni, e le conseguenze dirette e mediate che questi cambiamenti hanno comportato nella musica di ricerca e in quella popolare, nel nostro modo di ascoltare, e nel condizionamento dell’esperienza quotidiana. I musicologi e gli etnomusicologi che si sono dedicati allo studio delle culture antiche continuano a denunciare il fatto che la tradizione musicale occidentale ha progressivamente contribuito a separare l’ascoltatore dalla consapevolezza del suo ecosistema sonoro quotidiano. Il prefisso schizo-, indice di una scissione che conosciamo specialmente nella schizofrenia caratteristica del nostro tempo 26, era stato adottato da Raymond Murray Schafer già negli anni ’70 a proposito dell’ambiente sonoro dell’ultimo secolo27: la schizofonia va di pari passo con la schizofrenia, essendone parziale causa ed effetto. Con questo termine, l’autore de Il paesaggio sonoro si riferiva alla separazione dei suoni dalle loro fonti originarie, resa possibile dagli apparecchi di registrazione, di riproduzione e di trasmissione radio, oltre all’uso dei telefoni per le comunicazioni personali. Oggi la schizofonia presenta delle sfaccettature ancora più complesse, insieme preoccupanti e ricche di potenzialità informative, poiché riguarda le intersezioni tra i ‘mille piani’ sonori, oramai in prevalenza artificiali, che coabitano nello stesso ambiente. Passeggiare in città tra i negozi e le auto e fare la spesa al centro commerciale sono esperienze talmente ricche di stimoli che è pressoché impossibile riuscire a scomporle consciamente nelle loro singole ‘unità d’informazione’, perfino per chi è allenato a un’osservazione e a un ascolto attenti: il posizionamento degli oggetti e delle luci, la musica di sottofondo diffusa dagli altoparlanti, le voci delle altre persone, i ronzii dei sistemi di areazione, sono sempre più spesso combinati con lo scopo di vendere di più. Non a caso Murray Schafer lanciava una delle sue invettive più severe contro la muzak (o moozak), cioè la musica utilizzata come fondale sonoro nei luoghi pubblici. Il termine deriva dal nome dell’azienda statunitense Muzak (fondata nel 1922) [www.muzak.com], che commercializza registrazioni atte ad inibire per ciascun ambiente il comportamento desiderato: aumentare la produttività degli operai nelle fabbriche, rilassare gli ospiti degli hotel, spingere i clienti di un negozio ad • 25 È probabile che Cage abbia ascoltato anche i suoni del suo respiro, dei movimenti delle sue palpebre, e di altre funzioni del suo corpo. 26 Si vedano per esempio i testi fondamentali di Gregory Bateson, di Michel Foucault, e specialmente di Gilles Deleuze e Félix Guattari. 27 Cfr. R.Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit. 6 acquistare d’impulso28. Una progressiva accelerazione ritmica, per esempio, può sortire un effetto omologo a quello di un’accelerazione prospettica, influenzando la percezione della durata temporale associata allo svolgimento di un determinato compito. Secondo altri studi ed esperimenti, la presenza di un pattern ritmico idoneo e riconoscibile in un pezzo musicale sembra inoltre essere condizione necessaria e sufficiente per attivare in chi ascolta un impulso a ‘muoversi a tempo’ 29, e di questo deve tenere conto la musica commerciale. L’induzione di comportamenti sociali differenziati a seconda dell’ambiente (il milieu deleuziano) causa continue deterritorializzazioni e riterritorializzazioni sonore, che moltiplicano le identità del singolo, e portano quindi alla schizofrenia. Prima dell’era della ‘schizofonia’, nei luoghi di lavoro e nella quotidianità la musica era uno strumento di interazione con l’ambiente, indispensabile per sintonizzarsi spontaneamente con esso. Si pensi alle forme di musica popolare legate ai ritmi del lavoro, come i canti delle mondine piemontesi, dei piantatori di cotone nel delta del Mississippi, o dei prigionieri registrati da Alan Lomax nei primi anni ’40 [http://www.youtube.com/watch?v=cvEnkoSBPmY], che sono stati progressivamente cancellati dai rumori e dai ritmi delle macchine industriali, sostituitisi prepotentemente a quelli generati dal movimento del corpo umano e dal respiro. Gli studi compiuti da Steven Feld vivendo con i Kaluli della Papua Nuova Guinea dimostrano inequivocabilmente che le espressioni musicali di questa popolazione primitiva potevano essere comprese nella loro complessità soltanto quando ascoltate in relazione ai suoni dell’ambiente naturale, e del loro lavoro: il ruscello, i canti degli uccelli, il frusciare delle foglie, i colpi dati alla vegetazione per raccogliere il cibo30. Il compositore John Luther Adams ha deciso di abbandonare le metropoli statunitensi per trasferirsi in Alaska (una riterritorializzazione consapevole), una delle poche terre in cui la società industriale non abbia intaccato significativamente il paesaggio naturale, e dove dunque l’ascolto degli elementi31 può essere ancora il punto di partenza per il suo lavoro musicale. Ha in mente proprio le ricerche di Feld quando ricorda che: “Nella Papua Nuova Guinea, quando un compositore di canzoni Kaluli è alla ricerca di una nuova canzone, può accamparsi vicino a una cascata o a un ruscello. Tutte le canzoni del mondo sono contenute nel rumore dell'acqua. Il cantante ascolta attentamente, a volte per giorni interi, finché sente la voce della sua nuova canzone. Quando ascoltiamo attentamente, ci accorgiamo che la musica è costantemente attorno a noi. Il rumore non è più suono indesiderato. È il respiro del mondo. Se la musica basata sulla tonalità è un mezzo per trasmettere dei messaggi al mondo, allora la musica basata sul rumore è un mezzo per ricevere messaggi dal mondo. Il rumore ci porta al di fuori di noi stessi. Invita alla comunione, portandoci ad abbracciare quelle configurazioni che ci legano a tutto ciò che ci sta attorno. Se ascoltiamo attentamente il rumore, il mondo intero diventa musica. Piuttosto che un veicolo di espressione di sé, la musica diventa uno strumento di consapevolezza” 32. Adams qui impiega la parola ‘rumore’ (noise) per indicare la complessità degli elementi naturali, gli stessi a cui si ispirerà per molti dei suoi lavori per percussioni [http://www.youtube.com/watch?v=fnoxu4ocQb0], per orchestra ed elettronici. • 28 Le strategie sono molteplici, e vanno da quelle basate sulla psicoacustica, come la stimulus progression (che tiene in considerazione progressioni ritmiche e pause) e la scelta di utilizzare melodie note privandole però del testo e di qualsiasi caratteristica che possa catturare del tutto l’attenzione, alla creazione di un sonic brand in cui identificarsi. 29 Cfr. R. Wilsmore, “Techno, Trance and the Modern Chamber Choir: Intellectual Game or Music to Groove to?” in Leonardo Music Journal, Vol. 12: Pleasure, The MIT Press, Boston and London 2002, pp. 61-63. 30 Cfr. S.Feld, “Dall’etnomusicologia all’eco-muse-ecologia”, in A.Colimberti (a cura di), Ecologia della Musica, Donzelli 2004, pp.43-51; e inoltre il CD Voices Of The Rainforest, A Day In The Life Of The Kaluli People, Rykodisc 1991. 31 Cfr. J.L. Adams, Winter music, Composing the North, Wesleyan University Press, Middletown 2004. Per un riferimento in lingua italiana cfr. J.L.Adams, Alla ricerca di un’ecologia della musica, in A. De Rosa (a cura di), Orienti e Occidenti della Rappresentazione, Il Poligrafo, Padova 2005. • 32 J.L. Adams, Alla ricerca di un’ecologia della musica cit., p.308. 7 Murray Schafer dimostra con numerosi esempi che il concetto di ‘rumore’, ora invece inteso nell’accezione più comune di ‘suono indesiderato’, è essenzialmente soggettivo, e può variare a seconda di condizioni climatiche e culturali: i sondaggi condotti dal suo team hanno rivelato che gli abitanti di Chicago sono più intolleranti al suono delle campane che a quello del traffico, e che mentre agli svizzeri il suono del mare risulta assai gradito, al punto di considerarlo benefico e rilassante, per i giamaicani è fonte di inquietudine e timore, a causa delle frequenti e violente tempeste tropicali che minano la sicurezza dei loro villaggi33. Alan Licht suggerisce un interessante paragone tra materia sporca (come la polvere) e rumore. Vogliamo che entrambi restino fuori dalle nostre case, perciò teniamo le finestre chiuse; ma non è un caso che mentre la prima cominciava a essere usata nell’arte (l’Allevamento di polvere di Duchamp e Man Ray) e specialmente nella pittura (con le prime avanguardie storiche, e soprattutto con l’Informale), il secondo entrava nella musica (con Russolo, e poi Cage), e se ne potrebbero seguire in parallelo fino ad oggi le diverse declinazioni nelle successive tendenze artistiche e musicali. Jean Dubuffet è stato tra i primi a dipingere con il fango, e ha poi tradotto la stessa estetica nelle sue improvvisazioni musicali [http://www.ubu.com/sound/dubuffet.html]34. L’uomo dimostra di avere una grande capacità di adattamento al rumore, se questi stessi suoni dai ritmi sincopati sono stati assimilati dalla musica di ricerca e d’intrattenimento35: nel film Dancer In The Dark (2000) di Lars von Trier ne troviamo una significativa rappresentazione, nelle sequenze in cui Selma (interpretata dalla cantante islandese Björk), ipovedente, canta e danza accompagnata dallo sferragliare del treno o dai suoni stridenti della fabbrica in cui lavora36. Non è un caso che il ritornello riaffermi la sua presenza proprio nel contesto di quella musica industriale e digitale che non rinunci a far sentire a proprio agio l’ascoltatore. Deleuze e Guattari mostrano in Mille Piani come la musica costituisca un coerente modello della natura e del cosmo37, e in particolare come il ritornello serva a dare ordine e struttura al territorio proprio di ciascuno di noi. Il capitolo “Sul ritornello” inizia così: “Nel buio, colto dalla paura, un bambino si rassicura canticchiando. Cammina, si ferma al ritmo della sua canzone. Sperduto, si mette al sicuro come può e si orienta alla meno peggio con la sua canzoncina. Essa è come l’abbozzo, nel caos, di un centro stabile e calmo, stabilizzante e calmante. Può accadere che il bambino si metta a saltare, mentre canta, che acceleri o rallenti la sua andatura. Ma la canzone stessa è già un salto: salta dal caos a un principio d’ordine nel caos, ma rischia di smembrarsi ad ogni istante. C’è sempre una sonorità nel filo d’Arianna. O nel canto di Orfeo” 38. I due filosofi francesi non mancano di sottolineare in altre occasioni come ci basti il barlume di un principio d’ordine, per quanto effimero, per sentirci al riparo dal caos: siamo geneticamente predisposti a riconoscere un ordine, e ad attribuirgli un significato. Si può pensare in analogia al ruolo ordinatore della composizione dell’immagine nella pittura (sia figurativa che astratta), nella fotografia e nella grafica, e alla geometria proiettiva nella cultura occidentale, sebbene il problema della musica sia diverso: “la pittura si iscrive nel problema del viso-paesaggio. La musica in un problema differente, quello del ritornello”39. • 33 R.Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro cit., cap.XIII. A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, Rizzoli International, New York 2007, pp.80-119. 35 Specialmente negli ultimi 20 anni (e comunque già a partire, via via più consapevolmente, dai Russolo, Antheil, Cowell e Cage): basti pensare al fatto che il termine industrial è stato adottato per designare un genere musicale che ha fatto molti proseliti a partire dagli anni ’80, al quale vengono ascritti gruppi come quello degli Einsturzende Neubauten. 36 Non è un caso che Von Trier, per enfatizzare questi episodi visionari, abbia sottratto alla protagonista proprio il senso della vista, predominante nella nostra cultura. 37 Si pensi a polifonia, contrappunto, ritmi, melodie, ecc. 38 G. Deleuze e F. Guattari, Mille Piani. Capitalismo e Schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010 (1980), p.378. 39 Ibid., p. 359. 34 8 Il suono e la musica dunque strutturano la nostra esperienza nello spazio e nel tempo del mondo fenomenico, ci sono indispensabili per relazionarci con esso, sia quando l’ambiente è ignoto sia dentro la propria casa dove gli apparecchi stereofonici, la televisione e i computer ci tengono compagnia, mentre gli elettrodomestici ci rassicurano con il loro ronzio anche quando sono al di fuori del nostro campo visivo, ricordando al nostro inconscio che tutto sta funzionando a dovere. Murray Schafer aveva già definito quest’ultimo tipo di suoni come ‘toniche’ (keynote sounds), corrispondenti allo ‘sfondo’ nella psicologia della Gestalt; generalmente non li ascoltiamo consapevolmente, ma possono influenzare significativamente il nostro comportamento. Il compositore canadese aveva fatto un’interessante scoperta durante gli esercizi di training orientato all’ascolto che proponeva ai suoi studenti: nei Paesi in cui la corrente alternata è a 60 cicli, la nota che gli allievi cantavano più spontaneamente quando erano rilassati era un si naturale; dove la corrente alternata è a 50 cicli (220 Volt), la nota più ‘familiare’ era invece un sol diesis, corrispondente proprio alla frequenza della corrente elettrica che è possibile ascoltare indirettamente attraverso luci al neon, generatori, amplificatori ed elettrodomestici40. Queste ‘toniche’ artificiali - a cui si aggiungono spesso i rumori dei motori a combustione e degli pneumatici sull’asfalto - hanno sostituito quelle naturali, come i suoni del vento o di un fiume. Sono stati specialmente questi mutamenti a suggerire a Murray Schafer di affermare che il paesaggio sonoro della città contemporanea è a bassa fedeltà (low-fi), a differenza di quello ‘naturale’ ad alta fedeltà (hi-fi); la pervasività dei suoni prodotti dalle macchine e dagli apparecchi di uso quotidiano appiattisce il paesaggio saturandolo, e rende molto difficile coglierne i dettagli sonori. Per chi vive in città è di solito un grande piacere riscoprire il silenzio dopo una nevicata, quando la circolazione delle auto è notevolmente ridotta e la neve stessa attutisce i rumori. Nel film Black Sun (2005) di Gary Tarn, l’artista e scrittore Hugues de Montalembert racconta di come è cambiata la sua esistenza dopo aver perso la vista, in seguito a un’aggressione; dovendo uscire di casa da solo a New York, per la prima volta nella sua nuova condizione, aspetta fino alle 3 di notte, quando la città non è ‘appiattita’ dal rumore e gli è quindi possibile ascoltare i singoli eventi per orientarsi. John Cage era affascinato dal ‘mormorio’ continuo del suo frigorifero, e per familiarizzare con il traffico di New York ha resistito all’idea di montare i doppi vetri nelle sue finestre, ma preferiva comunque una passeggiata in mezzo alla natura. In una prima classificazione, Murray Schafer distingue i suoni dell’ecosistema umano in41: toniche (keynote sounds), di cui si è detto poco fa; segnali (signals), corrispondenti alle figure in primo piano, che vengono ascoltati consapevolmente e recepiti generalmente come portatori di contenuto (un clacson, la suoneria di un telefono, i feedback sonori di computer ed elettrodomestici ‘intelligenti’); impronte sonore (sound-marks), che caratterizzano un certo luogo o una certa comunità, come per esempio il suono delle campane. A riprova di quanto la civiltà moderna abbia perso il contatto con i suoni dell’ambiente, si consideri l’importanza simbolica attribuita alla fusione di una campana da parte di un’intera comunità, come viene descritta nell’ultimo episodio di Andrej Rublev (1966) di Andrei Tarkovsky: il momento decisivo non è tanto la riuscita della fusione, quanto la prova effettuata sul suono del primo rintocco, che deve essere sufficientemente forte e bello da estendersi su tutte le terre del principe per unificarle, caratterizzarle (territorializzazione). • 40 Cfr. R.Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p.144. La corrente alternata a 50 cicli è stata usata anche come riferimento per l’intonazione di alcune performance del Theater of Eternal Music (in seguito Dream Syndicate) di La Monte Young. 41 Ibid., pp.21-23. 9 • Nella sezione precedente si è sottolineato come il suono sia informazione. La qualità del paesaggio sonoro è determinante per il nostro stato psicofisico e per la nostra consapevolezza del luogo, e quindi anche per la qualità della nostra vita. La musica commercializzata per essere diffusa tanto nei luoghi pubblici quanto nei contesti privati (ambiente domestico, automobile, lettori mp3) è spesso mero intrattenimento, quando non un banale riempitivo. Anche il ‘paesaggio musicale’ è a bassa fedeltà: nella produzione della musica ‘commerciale’, tendenzialmente tutti gli strumenti vengono mixati in modo tale da potersi sentire anche in ambienti rumorosi. La conseguenza è un appiattimento delle dinamiche sonore e musicali, per ottenere brani compatti che possano sovrastare tutto il resto, cancellando le sfumature sia della musica che dello spazio in cui viene ascoltata. “Un paesaggio sonoro è un qualsiasi campo di studio acustico. Paesaggio sonoro può essere una composizione musicale, un programma radio o un ambiente acustico”42; ne deriva la necessità di sviluppare una disciplina (l’acoustic design, a cui oggi si aggiungono le ricerche sull’espressività e il coinvolgimento emozionale del sound design) che riunisca musicisti, studiosi di acustica, designer, architetti, paesaggisti, psicologi, sociologi e chiunque sia interessato a studiare il paesaggio sonoro e a proporre soluzioni per il suo miglioramento. Lo sviluppo di una cultura del suono e della musica, che cominci con l’educazione nelle scuole già a partire dall’infanzia, è anche indispensabile per poter decifrare criticamente i sistemi di controllo a cui siamo potenzialmente esposti 43.4. Musica e Sound Art L’interesse che negli ultimi decenni è andato crescendo verso le intersezioni disciplinari tra musica, arte, architettura ed ecologia, ha portato a ricerche innovative sia nella musica che nelle arti installative e performative. Partendo da un tentativo di definizione di questi ambiti, che sono diversi ma congiunti, si può dare conto dei principali tipi di approccio ai temi dell’intervento sonoro nell’ambiente, e della sua rappresentazione artistica e musicale. Perché nelle sezioni precedenti si è parlato più di suono che di musica? Perché si parla di sound art 44 come di qualcosa di distinto rispetto alla musica? Un po’ come quando ci si chiede cosa sia da considerarsi arte, una prima risposta risiede nel contesto (anch’esso una tipologia di milieu, o ambiente, nell’accezione deleuziana) in cui la prima viene presentata, ovvero quello della galleria o dell’installazione. Allo stesso modo, si considera generalmente musica quella eseguita nelle sale da concerto, trasmessa dai media, o venduta nei formati cui siamo abituati (CD, LP, formati digitali). Alan Licht ricorda che il termine sound art ha ricevuto il suo battesimo nel 1982 con la Sound Art Foundation di William Hellermann, che al tempo “sembra si occupasse di ‘musica sperimentale’ o ‘nuova musica’, sebbene abbia organizzato allo Sculpture Center, nel 1983, una mostra precoce di sculture sonore e di altro materiale che era possibile esporre”45. Licht tenta di definire la sound art specificandone tre possibili categorie: “1. L’installazione di un ambiente sonoro definito dallo spazio (e/o dallo spazio acustico) piuttosto che dal tempo, e che può essere esposto in modo simile a un’opera d’arte visuale. 2. Un’opera d’arte visuale che ha anche la funzione di produrre del suono, come una scultura sonora. 3. Suono impiegato da artisti visuali che funge da estensione della particolare estetica dell’artista, generalmente espressa in medium diversi”46. • 42 Ibid., p.19. Si veda in particolare S. Goodman, Sonic Warfare: sound, affect, and the ecology of fear, The MIT Press, Boston & London 2010. Gli stessi testi di Deleuze e di Guattari racchiudono delle intuizioni preziose che vanno in questa direzione, essendo diventati una base teorica imprescindibile per chi si occupa oggi di studiare le strategie che vengono messe a punto e adottate per produrre consenso, e per indurre desideri consumistici e comportamenti sociali prestabiliti. 44 Per un’introduzione e antologia sulla Sound Art, si consiglia il testo: A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, cit. 45 A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, cit., p. 11 (traduzione dell’autore). 46 Ibid., pp.16-17 (traduzione dell’autore). 43 10 In altri casi, si (ri)portano semplicemente la musica e l’interazione sonora al di fuori di quegli ambienti dedicati alla musica che avevano separato il suono dal mondo esterno, dalla vita di tutti i giorni. Per Murray Schafer il museo tradizionale è l’omologo visivo della sala da concerto: quando si entra ci si separa dalla quotidianità, si esplorano altri mondi avvicinandosi ai dipinti appesi alle pareti. La differenza tra musica e sound art sta, ancora una volta, nelle modalità performative, e dunque nella relazione che si instaura tra musicista e pubblico (musica) oppure tra un contesto sonoro esposto e i visitatori che ne sono attratti (sound art)47. Gli studiosi di ecologia acustica, i sound designer e i sound artist amano ricordare l’indissolubilità della musica e del suono nelle cattedrali medievali: lo spazio della cattedrale, tramite la sua acustica caratteristica, vivificava i canti liturgici e ne era vivificato, sembrava li facesse emanare da un luogo remoto (il che è in accordo con la concezione medievale di Dio) e suscitava un coinvolgimento sensoriale straordinario nei partecipanti, difficile da ritrovare nell’architettura e nella musica liturgica occidentale dei secoli successivi. Le eccezioni fortunatamente non mancano, come dimostra per esempio la chiesa di san Marco a Björkhagen, vicino a Stoccolma, progettata da Sigurd Lewerentz. • L’assunto che sta alla base de Il paesaggio sonoro di Murray Schafer è considerare il mondo come un’immensa composizione musicale. Ancor prima del canadese, John Cage aveva utilizzato in più occasioni il termine ‘ecologia’. Era convinto che la musica servisse ad aprirci agli altri e al mondo: la realtà (che comprende, tra le altre cose, il mondo e la musica) è ancora più interessante se la si considera nella sua complessità come processo più che come ‘oggetto’. Cage si trovava d’accordo con l’accezione musicale giapponese: la parola ongaku traduce ‘musica’ designando il godimento dei suoni inteso nel senso più ampio possibile: la musica implica l’ascolto in quanto tale (processo), più che l’ascolto di qualcosa (oggetto). Kyle Gann scrive a proposito del già citato 4’33” (1952): “il suo effetto fu di avere ragione sul fatto che la differenza tra ‘arte’ e ‘non-arte’ è semplicemente una questione di percezione, e che noi siamo in grado di controllare il modo in cui organizziamo le nostre percezioni”48. 4’33” è così importante perché ha dimostrato che è possibile abbattere i confini tra arte e vita, che si può trasformare la vita in un’esperienza estetica: Cage preferiva ascoltare mentre passeggiava nei boschi all’andare a un concerto. Dei rituali primitivi e tribali si è già detto, ma sono innumerevoli anche i compositori occidentali per i quali la musica non è un’astrazione svincolata dall’ambiente sonoro del presente; se partiamo dal presupposto che le avanguardie si relazionino inevitabilmente con un adesso, condizione necessaria per guardare avanti, è evidente come al modificarsi del ‘presente’ seguano modificazioni nel pensiero e nelle opere di coloro che si relazionano con esso. L’orchestra di intonarumori messa a punto da Luigi Russolo nell’ambito del Futurismo serviva a rappresentare l’industria, la macchina e il motore, e forse pure ad abituare l’uomo moderno all’evidenza della loro proliferazione [http://www.ubu.com/sound/russolo_l.html]. Per i musicisti interessati più all’esperienza dell’ascoltatore che alla rappresentazione di modelli astratti, è inevitabile che l’ascolto giochi un ruolo fondamentale sia nella composizione (e l’audio digitale in real time offre oggi nuove possibilità), che nell’improvvisazione. Non possiamo dimenticare che le esperienze musicali dell’ultimo secolo sono in buona parte legate a una grande attenzione nei confronti della qualità del suono; si pensi alle ricerche musicali di Edgar Varése (in particolare al Poème électronique, progettato per essere diffuso da circa 400 altoparlanti nel padiglione della Philips alla fiera di Bruxelles • Ibid., pp.73-74 (traduzione dell’autore). K. Gann, No Such Thing as Silence. John Cage’s 4’33”, Yale University Press, New Haven & London 2011, p.20 (traduzione dell’autore). Nel suo libro, Gann traccia una storia del percorso artistico di John Cage, discute le possibili interpretazioni del suo pezzo più celebre, e mette in evidenza i motivi per i quali è stato ed è ancora così influente sulla musica e sulle arti contemporanee. 47 48 11 del 1958 [http://www.youtube.com/watch?v=M1AT8rI_A8M]), di Henry Brandt, di Charles Ives, della musica concreta (Pierre Schaeffer e Pierre Henry cercavano di manipolare il suono indipendentemente da come era stato generato, e la musica per loro era strutturazione del suono inteso come ‘vocabolario della natura’), di Karlheinz Stockhausen (con il suo lavoro sull’elettronica e sul posizionamento di musicisti e orchestre, talvolta in movimento) e degli spettralisti (Les Espaces Acoustiques di Gérard Grisey costituisce una delle esplorazioni più complesse sui limiti - anche qualitativi - dell’ascolto). E la quantità di musicisti - sempre più spesso anche sound artist, non a caso - che condivide una simile attitudine cresce ad ogni generazione. Nell’ambito delle relazioni più esplicite tra musica49, spazio e ambiente, può forse essere utile suggerire una possibile classificazione in tre grandi categorie dai confini labili, che hanno l’unico scopo di proporre una riflessione su approcci recenti alle questioni che qui ci interessano. 1. Musica ambient, o come ‘complemento d’arredo sonoro’. Tradizionalmente si ritiene che il prototipo della musica concepita come sottofondo sonoro sia stata la musique d’ameublement (musica di arredamento) di Erik Satie per una Sèance d’Avant-garde organizzata da Pierre Bertin e Félix Delgrange: doveva fungere da ‘complemento d’arredo’ tra un atto e l’altro, come accompagnamento alle chiacchiere che hanno sempre luogo tra gli spettatori durante gli intervalli teatrali. Scrive Ornella Volta nelle note ai Quaderni di un mammifero: “si poteva leggere nel programma di sala che questa musica, destinata a ricoprire i silenzi come le fodere ricoprono i mobili in letargo, aveva l’unico scopo di creare una vibrazione ed adempiva alla stessa funzione della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme. Nell’intervallo di una commedia in due atti di Max Jacob, Ruffian toujours, truand jamais, […] il pubblico era invitato «a passeggiare, parlare e bere», mentre i cinque strumentisti, distribuiti ai quattro angoli della sala, oltre che in un palchetto sopraelevato, suonavano simultaneamente – ma non in sincrono – alcuni motivi […] impaginati da Satie […]. Le reazioni del pubblico sono, però, deludenti. «Contrariamente alle previsioni» racconterà Milhaud […]«gli spettatori si diressero rapidamente ai loro posti. Inutilmente Satie gridava: ‘ma parlate, che diamine! Circolate! Non ascoltate!’. Tacevano. Ascoltavano. Tutto era perduto»”50. • Satie non poteva immaginare che la sua incompresa provocazione sarebbe divenuta consuetudine, e che avrebbe influenzato nei decenni a venire molta musica sia nell’ambito della ricerca, sia in quello commerciale. Buona parte della new age o della chillout serve al più come ‘deodorante sonoro’, ovvero viene usata alla stregua di uno dei tanti profumi per l’ambiente. E spesso funziona, è sufficiente a indurre la sensazione di benessere che si cerca, come dimostra lo stesso successo dell’azienda Muzak. • Raymond Scott51, uno dei più geniali musicisti e inventori del secolo scorso, ha prodotto nel 1963 tre dischi in vinile raccolti sotto il titolo Soothing Sounds for Babies [suoni rilassanti per bambini]. Il primo volume era per bambini da 1 a 6 mesi, il secondo da 6 a 12, e il terzo da 12 a 18, e il committente di questo lavoro era il Gesell Institute of Child Developement, oggi ancora attivo. Raymond Scott, impiegando strumenti elettronici di sua invenzione (come Electronium e Clavivox), ha realizzato degli evocativi ‘giocattoli sonori’ per stimolare i neonati e gli infanti, partendo dal presupposto che sono capaci di ascoltare più di quanto comunemente gli adulti ritengano [http://www.youtube.com/watch?v=I2JtSlSffeU]. Come per le altre cose di questo musicista, si sa molto poco sulla genesi di queste registrazioni52, ma anticipano concettualmente e musicalmente la definizione di ambient che darà Brian Eno in Discreet Music53, il suo album seminale del 1975, e il cui brano omonimo sarà utilizzato negli anni seguenti in alcune • Come si è specificato all’inizio di questa sezione, con musica si intendono qui i suoni organizzati con lo scopo di essere eseguiti dal vivo o riprodotti nelle sale da concerto, negli spazi pubblici, in quelli domestici, o attraverso cuffie e auricolari. 50 E. Satie, Quaderni di un mammifero, a cura di O.Volta, Adelphi, Milano 1980, p. 237. 51 All’anagrafe Harry Warnow (1908 – 1994). Pare che abbia scelto il suo nome d’arte aprendo a caso un elenco telefonico, e puntando il dito su di un nome qualunque. 52 Si vedano le note di copertina di Joachim Gurewitz nell’edizione in 3 CD dell’etichetta olandese Basta (1997). 53 Pubblicato da Editions EG. 49 12 sale parto per favorire il rilassamento delle gestanti. Eno racconta che, durante un periodo trascorso in ospedale, aveva ricevuto la visita di un’amica che gli aveva portato in dono un LP di musica settecentesca per arpa. Dopo aver fatto partire il disco si era accorto che il volume era troppo basso, e che uno dei due canali era fuori uso. Questa condizione, unita all’immobilità forzata, gli aveva suggerito un modo ‘nuovo’ di ascoltare la musica, come una parte dell’ambiente, alla pari del suono della pioggia o della presenza di una luce soffusa. • La musica ambient è trasparente, permeabile, funziona a volumi bassi e modifica la percezione del luogo senza ‘coprirlo’, a differenza di new age e chillout che sono opache, annullano le specificità sonore del luogo. Nei primi tra i suoi dischi ambient, Eno metterà a punto delle strategie - ispirate in parte a quelle del minimalismo - per ‘perdere il controllo’ sulla composizione che, stabilite delle regole (sulle diverse durate dei layer sonori, sull’altezza dei suoni, sui rapporti armonici, …), diventa autogenerativa. La piacevolezza che ne deriva è conseguenza di una raffinata ricerca sulle qualità del suono e sui rapporti armonici, come quando nel secondo lato di Discreet Music ‘decostruisce’ il Canone in re di Pachelbel secondo tre diverse strategie, che possono però mantenere l’altezza, il timbro e la melodia dello svolgimento di ciascun singolo strumento. • I sottogeneri della musica ambient sono oggi innumerevoli grazie agli innesti con le attitudini musicali più disparate, dalla classica contemporanea, all’elettronica ‘glitch’, all’improvvisazione elettroacustica, alla techno e così via, finanche al black metal. • 2. Musica come rappresentazione di un ambiente o di un paesaggio. Questa categoria contiene un’ulteriore molteplicità di attitudini che sarebbe impossibile esplorare completamente in questa sede. Ogni cultura umana, in ogni periodo storico, ha prodotto forme musicali che erano e che sono strumenti di conoscenza e modelli dell’ambiente, del cosmo e del sistema di pensiero corrente. Nel limitarsi a pochi esempi, possiamo considerare le trascrizioni dei canti degli uccelli ad opera di Olivier Messiaen; le rappresentazioni ‘impressionistiche’ del paesaggio in Debussy; i lavori ispirati al paesaggio artico di John Luther Adams (ma anche le sue Songbirdsongs, per flauto); il Ballet Mécanique (1924) di George Antheil [http://www.youtube.com/watch?v=H_bboH9p1Ys], i cui protagonisti sono strumenti meccanici (pianoforti automatici, sirene, motori d’aeroplano, e varie percussioni); il rivoluzionario ma poco conosciuto ‘radiodramma’ The City Wears a Slouch Hat 54(1942) di John Cage e del poeta Kenneth Patchen, in cui una vicenda cittadina veniva raccontata e ricostruita artificialmente nei suoi aspetti sonori da un’orchestra (che si trovò impreparata di fronte alle idee rivoluzionarie di Cage) e da altri oggetti; l’album Ambient 4: On Land (1982) di Brian Eno, in cui l’approccio concettuale dei suoi precedenti lavori si attenua per lasciare spazio all’evocazione di paesaggi presenti nella memoria del musicista, e che l’ascoltatore è invitato a completare con la sua immaginazione; Rothko Chapel (1971, composta per l’omonima cappella interconfessionale in omaggio al pittore Mark Rothko) e tutti i lavori del tardo periodo di Morton Feldman, troppo complessi e innovativi per essere trattati in questa sede; l’album Sakuteiki55 del trombettista Arve Henriksen, ispirato all’omonimo trattato giapponese sui giardini; e molta altra musica elettronica ed elettroacustica contemporanea, commissionata sempre più di frequente per rappresentare o interpretare un paesaggio o un edificio, come nel caso di Kölner Brett56 dei To Rococo Rot, in cui ciascuna delle 12 tracce senza titolo corrisponde a uno dei 12 moduli di un recente complesso residenziale costruito a Colonia. • La Cortical Foundation l’ha ripubblicato nel 2000 in un CD in edizione limitata, che racchiude anche il primo degli Imaginary Landcsape, del 1939. 55 Pubblicato da Rune Grammofon nel 2001. 56 Pubblicato da Staubgold nel 2001. 54 13 3. Field recording, archivi sonori, e musica concreta. Il modo più immediato per conservare e studiare le informazioni sonore di un paesaggio è quello di registrarle. Le primissime incisioni erano effettuate su rulli di cera, e risalgono alla fine del XIX secolo: grazie ad esse, e a quelle che le hanno seguite, possiamo riascoltare - nonostante i limiti delle attrezzature di registrazione e della conservazione dei supporti - caratteristiche ambientali che altrimenti sarebbero state demandate al più ad essere tramandate con descrizioni scritte. Con il diffondersi di apparecchiature di registrazione digitali economiche e di buona qualità, e per l’interesse che si va diffondendo nei confronti del paesaggio sonoro, negli ultimi due decenni si sono moltiplicati i musicisti interessati alla ‘registrazione sul campo’; può essere utile soffermarsi su alcune analogie57 tra i due strumenti di rappresentazione del paesaggio che riguardano più immediatamente vista e udito, ossia fotografia e ‘fonografia’58 (con cui si intende il processo di ‘scrittura sonora’ di un luogo). Entrambe dipendono da tecnologie che sono molto recenti, se relazionate alla storia dell’umanità: da una parte l’apparecchio fotografico, dotato di obiettivi (ognuno dei quali implica una diversa prospettiva) e pellicola fotosensibile o scheda di memoria digitale; dall’altra il registratore, dotato di microfoni (ne esiste un’infinità di tipi, con caratteristiche paragonabili a lunghezza focale, aberrazione, eventuale utilizzo di filtri) e supporto magnetico o digitale. Nonostante i ripetuti tentativi di approssimarsi alla riproduzione di esperienze ‘oggettive’, è evidente che qualsiasi processo di registrazione dipende da scelte specifiche dell’operatore, e c’è chi ha sviluppato un’abilità e una sensibilità tali da farne un’arte, come nel caso dell’inglese Chris Watson59 [http://vimeo.com/12110936]. Come per la fotografia, la familiarità con gli strumenti e talvolta almeno un po’ di manipolazione sono pressoché indispensabili per ottenere il risultato desiderato. Si ascolti un disco come Tools60 di Giuseppe Ielasi, in cui ogni traccia è composta unicamente da suoni prodotti da un oggetto d’uso comune (una padella, un elastico, e così via), da cui l’artista riesce ad estrarre musicalità (pattern ritmici, accenni di melodie, …). Gli antropologi e gli etnomusicologi hanno cominciato ad impiegare gli strumenti di registrazione fin da quando li hanno avuti a disposizione, ma è soltanto a partire dalla fine degli anni ’60 che le registrazioni ambientali sono entrate a far parte dei contesti della musica e dell’arte (in particolare a partire dalla land art), come nei casi dell’archivio dei fiumi di Annea Lockwood61, e della mappa sonora di un isolato di Milano di Dennis Oppenheim, riferita al momento in cui l’artista aveva eseguito la sua passeggiata e poi installata in un museo, accompagnata da una sintetica descrizione del processo di produzione del lavoro e da una mappa indicante l’area esplorata. È doveroso ricordare brevemente anche il sampling (campionamento) e la manipolazione digitale62, che hanno nella Musique concrète (musica concreta) un’antenata che è ancora più antica dei field recording a scopo ‘artistico’ (in senso istituzionale): già negli anni ’40 Pierre Schaeffer aveva cominciato i suoi esperimenti con suoni registrati su nastri magnetici, con l’obiettivo di riorganizzarli dando loro una • La prima potrebbe essere la seguente: in sanscrito, ‘luce’ (svar) e ‘suono’ (svara) hanno la stessa radice fonetica. La parola phonography viene utilizzata anche da David Dunn in “Nature, Sound Art, and the Sacred”, cit., p.103. 59 Buona parte dei suoi lavori come sound recordist sono pubblicati dall’etichetta Touch. Prima di dedicarsi a questa attività Watson aveva già lavorato come musicista, facendo parte dei Cabaret Voltaire. 60 Pubblicato da 12k nel 2010. 61 Cfr. Il progetto a lungo termine River Archive, e il CD A Sound Map of The Hudson River (Lovely Music, 1989). 62 Un progetto molto noto in quest’ambito è quello del duo dei Matmos, che nel 2001 ha pubblicato per la Matador l’album A Chance to Cut is a Chance to Cure, il cui materiale di partenza è costituito in buona parte da registrazioni audio di procedure mediche, come liposuzioni e interventi di chirurgia plastica. 57 58 14 nuova forma [http://www.youtube.com/watch?v=N9pOq8u6-bA]. Il suono diventava il principale materiale da costruzione della musica, che per lui non aveva più bisogno di notazione né di esecutori. L’influenza della musica concreta è stata ed è ancora enorme, come testimoniano i lavori di Luc Ferrari, Bernard Parmegiani, Christian Marclay, e Lionel Marchetti. Tornando per un istante alla questione iniziale, alla fine del suo libro Sound Art Alan Licht lascia il lettore con una considerazione appassionata: “la musica parla all’ascoltare in quanto essere umano, con tutta la complessità che questo comporta, ma la sound art, a meno che non si serva del discorso e della parola, parla all’ascoltatore come a un essere vivente che abita il pianeta, e che reagisce al suono e all’ambiente nello stesso modo in cui farebbero molti animali (con tutta la complessità che questo comporta)”63. È evidente che le ‘categorie’ musicali appena proposte si trovano probabilmente più vicine al confine con la sound art di quanto non lo sia la maggior parte della rimanente produzione musicale contemporanea. Per quanto riguarda la terza categoria, appena discussa, le intersezioni sono chiare: i field recording possono entrare in un museo per il loro valore documentario e concettuale, oppure possono interagire con altri oggetti artistici arricchendone il senso, e comunque richiamano la nostra attenzione sul suono dell’ambiente in quella sua complessità. Può capitarci di trovare nelle gallerie, nei musei o in altri luoghi pubblici, come stazioni e aeroporti, installazioni sonore ambientali che ne modifichino le qualità percepite, e che abbiano magari lo scopo di rendere quegli spazi più gradevoli, o di fornirci delle informazioni, o di catturare la nostra attenzione (il già citato Brian Eno si è cimentato spesso con simili commissioni). Anche in questi casi il suono può essere complementare a un’installazione scultorea, luminosa, o - più in generale - ambientale in senso lato. Talvolta il suono è prodotto dallo stesso sistema-ambiente progettato ad hoc, senza registrazioni, computer né altoparlanti. Anche qui gli esempi potrebbero essere migliaia: gli ‘specchi sonori parabolici’ e i whispering tunnel sono presenti in molti musei della scienza, e stupiscono sempre per la loro capacità di trasportare la voce in un punto lontano dove si trova un interlocutore, senza bisogno dell’elettronica; fin dall’antichità si sono impiegate le forze degli elementi naturali, come il vento e l’acqua, per far vibrare delle corde (come nelle arpe eoliche) o mettere in pressione l’aria nelle canne d’organo, come per gli organi ad acqua (probabilmente inventati da Archimede nel III secolo a.C., e spesso installati all’aperto) e nel celebre Sound Garden (1983) di Douglas Hollis a Seattle [http://www.youtube.com/watch?v=H4Z2fqxkdvk]; e c’è poi una recente tradizione di sculture sonore, come quelle realizzate da Harry Bertoia [http://www.ubu.com/sound/bertoia.html]. Un’installazione sonora può infine avere lo scopo di rappresentare un sistema complesso, partendo da un suo modello o da dati di diversa natura, attraverso scelte artistiche e talvolta insieme musicali: è il caso di Rainforest IV (1973) di David Tudor, dove il visitatore si muoveva all’interno di un ambiente elettroacustico composto di oggetti-sculture che fungevano anche da altoparlanti, con le quali era previsto un livello di interazione piuttosto semplice, ma coinvolgente ed efficace64 [http://www.getty.edu/research/tools/guides_bibliographies/david_tudor/av/rainforest.html]. Un altro esempio è The Fragmented Orchestra di Jane Grant, John Matthias e Nick Ryan (2008-2009), in cui i 24 altoparlanti posizionati all’interno della galleria FACT di Liverpool erano collegati ciascuno a un • 63 A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, cit., p. 218 (traduzione dell’autore). 64 Cfr. la registrazione del 1980 disponibile in LP su Edition Block-Gramavision, e il cd del 1998 su Mode. 15 diverso sito sul territorio britannico (musei, scuole, istituti di ricerca, una cattedrale, il Millennium Stadium, …) [www.thefragmentedorchestra.com]. Il suono captato da microfoni veniva processato sulla base di un modello della corteccia cerebrale umana ispirato a quello formulato del neuroscienziato Eugene M. Izhikevich: quando il volume rilevato in un sito superava una certa soglia, per esempio durante un evento, l’altoparlante corrispondente si accendeva; la complessità del modello si deve al fatto che la mappatura sonora di ciascuno spazio interagiva con le altre all’interno della galleria, che era perciò il ‘cervello’ dell’installazione. L’intervento di Carsten Nicolai del 2009 a Piazza del Plebiscito a Napoli, che elaborava i dati raccolti dall’osservatorio vesuviano sui movimenti tellurici, fu un clamoroso insuccesso per gli errori progettuali e per la banalità della proposta, ma esistono esempi eccellenti di rappresentazioni sonore di ecosistemi complessi, come nel caso di The Place Where You Go To Listen (inaugurata nel 2006) del già citato John Luther Adams, che si trova descritta nel modulo curato da Agostino De Rosa: Nel suono, nella luce: appunti per una esegesi dei rapporti tra spazio architettonico, light art e musica.5. Proposte per esperienze didattiche Da quanto si è detto finora, risulta evidente l’importanza dell’educazione all’ascolto e all’interazione con l’ambiente, che specialmente in età scolare può fornire strumenti conoscitivi fondamentali per comprendere la natura degli stimoli sonori a cui i media sottopongono i ragazzi, e per sviluppare una cultura sia sonora - in senso lato - che musicale. Di seguito si propongono alcuni suggerimenti per condurre esperienze didattiche in ambito scolastico, che possono essere estese a piacere dagli studenti a casa, negli spazi pubblici (sia artificiali che naturali), e durante gli spostamenti, sia in compagnia che in solitudine. 5.1. Esercizi di ‘pulizia dell’orecchio’ (ear cleaning) e di ascolto 5.1.1. • The Poetics of Environmental Sound è un esercizio d’ascolto messo a punto da Pauline Oliveros, fondatrice del Deep Listening Project, per i suoi studenti della University of California di San Diego. Queste sono le indicazioni (si consiglia di eseguirlo dapprima in un ambiente chiuso non troppo rumoroso, come un’aula scolastica, una biblioteca o la propria camera da letto): “-Ascoltare l’ambiente per 15 o più minuti, purché si tratti di un tempo predeterminato. Utilizzare un timer, un orologio o qualsiasi strumento adeguato per tenere sotto controllo questo lasso di tempo. -Descrivere in dettaglio i suoni che si ascoltano (o si sono ascoltati) e cosa si prova (o si è provato) rispetto ad essi. -Considerare sia i suoni interni che quelli esterni [rispetto all’ambiente in cui ci si trova]. -Non dimenticare che anche l’ascoltatore fa parte dell’ambiente. -Esplorare i limiti di udibilità: il suono più alto, il più basso, il più forte, il più debole, il più semplice, il più complesso, il più vicino, il più lontano, il più lungo, il più corto”65. • Tra le annotazioni riportate dagli studenti di Oliveros si trova spesso dello stupore nel riconoscere presenze di cui non avevano mai sospettato. Il silenzio non esiste, c’è sempre qualche suono ‘nell’aria’: si riescono ad ascoltare le proprie palpebre che si chiudono e si aprono, e il proprio respiro; ogni luogo ha un suono caratteristico, e per un edificio spesso è un mormorio lontano, magari quello dell’impianto di condizionamento, delle apparecchiature elettriche o dei dischi fissi dei computer; ogni suono riporta alla memoria qualche situazione vissuta, e conseguentemente la disposizione d’animo è influenzata dai suoni che vengono percepiti (consapevolmente o inconsciamente). • • 5.1.2. • 65 P. Oliveros, The Poetics of Environmental Sound, in Software for People, Smith Publications 1983, riportato in The Book of Music & Nature cit., pp.133-138. 16 Aprire la finestra e concentrarsi su un unico suono proveniente dall’esterno scelto a piacere, cercando di indovinare quale sia la sorgente che lo produce e immaginando la sua forma, disegnandola. Cercare di descrivere anche a parole le qualità del suono prescelto (alto/basso, vicino/lontano, denso/rarefatto, piacevole/sgradevole, confortante/inquietante, e così via). Verificare se sia possibile riuscire a vedere dalla finestra la sorgente, o se sia invece fuori dalla portata della vista. Ripetere lo stesso esercizio con gli occhi chiusi, cercando di individuare cosa cambi nella consapevolezza sonora dell’ambiente, e anche nell’immaginazione di ciò che sta accadendo in tempo reale. 5.1.3. Registrare con tipi diversi di microfoni ciò che avviene nell’aula, posizionandoli anche in punti distinti, e poi riascoltare più volte le registrazioni, prestando attenzione alle differenze (vicinanza e lontananza di suoni, spazialità, dettagli). 5.1.4. Si propone l’ascolto e la discussione del pezzo di Alvin Lucier I Am Sitting In A Room66 (1969) [http://ubumexico.centro.org.mx/sound/source/Lucier-Alvin_Sitting.mp3]: il compositore, seduto in una stanza, aveva registrato il suono della propria voce mentre raccontava ciò che stava facendo: “I am sitting in a room different from the one you are in now. I am recording the sound of my speaking voice and I am going to play it back into the room again and again until the resonant frequencies of the room reinforce themselves so that any semblance of my speech, with perhaps the exception of rhythm, is destroyed. What you will hear, then, are the natural resonant frequencies of the room articulated by speech. I regard this activity not so much as a demonstration of a physical fact, but more as a way to smooth out any irregularities my speech might have”. [Sono seduto in una stanza, diversa da quella in cui siete seduti voi ora. Sto registrando il suono della mia voce mentre parlo, e poi lo riprodurrò nella stanza più e più volte finché le frequenze di risonanza della stanza prenderanno il sopravvento, così che ogni elemento riconoscibile del mio discorso, con l’eccezione forse del ritmo, sarà distrutto. Ciò che ascolterete, dunque, sono le frequenze di risonanza naturali della stanza articolate dal parlato. Per me questa attività non è tanto una dimostrazione di un fatto fisico, quanto un modo per smussare ogni irregolarità che può avere il mio discorso]. L’approccio di Lucier era prevalentemente concettuale, e nel suo discorso registrato aveva tralasciato di sottolineare come le caratteristiche delle apparecchiature di registrazione e di riproduzione, oltre che il loro posizionamento, fossero importanti almeno quanto l’acustica della stanza in cui si trovava. Tuttavia, questo lavoro offre anche lo spunto per riflettere sulla musicalità del linguaggio, e si potrebbero proporre esercizi in cui la lettura di testi da parte degli studenti (in particolare poesie) venisse registrata e quindi riascoltata, al fine di analizzarne il ritmo, la melodia, l’estensione vocale e il timbro, studiati in relazione alle qualità espressive della voce. A questo proposito può essere utile per l’insegnante consultare i lavori di Alessandro Bosetti [come: http://www.youtube.com/watch?v=3-jQZYZHkI e http://www.youtube.com/watch?v=uaQKscr-F2A] e in particolare gli album Melgùn (1997, Erosha), Zwölfzungen (2010, Sedimental) e Royals (2011, Monotype), oltre al suo canale su YouTube. 5.1.5. Passeggiate sonore (soundwalk): nella loro forma più semplice si tratta di passeggiare all’aperto lungo un itinerario stabilito (in città o in campagna, o misto), con il compito di prestare attenzione ai suoni che si • 66 È facilmente reperibile la versione in CD pubblicata da Lovely Music nel 1993. 17 incontrano lungo il percorso. Le indicazioni d’ascolto proposte per gli esercizi precedenti possono essere una guida anche per orientare gli studenti durante le passeggiate sonore. Si consiglia di chiedere di riferire successivamente in un testo le loro descrizioni, e che l’insegnante effettui registrazioni audio (anche soltanto con il microfono di un telefono cellulare, in mancanza d’altro) da riascoltare in classe e da confrontare con i testi degli studenti [http://www.youtube.com/watch?v=Jn5svvMP-Mc]. Si considerino le implicazioni delle più complesse - anche sul piano concettuale - ‘Electrical Walks’ di Christina Kubisch [http://www.goethe.de/ins/ee/prj/gtw/inf/en7724797.htm e http://www.cabinetmagazine.org/issues/21/kubisch.php] in cui i partecipanti indossano solitamente cuffie dotate di dispositivi elettromagnetici, in grado di tradurre in suono la corrente elettrica presente in moltissimi dispositivi, che si trovano specialmente in ambienti urbani. • 5.1.6. • Questo esercizio può essere utile per comprendere meglio l’influenza del suono e della musica sul nostro stato psicofisico e sulle nostre pulsioni. Si scelga un luogo all’aperto (in città, in periferia, al mare, …) nel quale si trascorre quotidianamente del tempo passeggiando, anche rincasando da scuola. Un lettore CD o mp3 accompagnerà per una o più settimane le passeggiate (o le soste, per motivi di sicurezza) in quel paesaggio. Un giorno si ascolti della musica classica orchestrale, un altro del free jazz dai ritmi sofisticati, poi il disco pop preferito o un cantautore che emozioni, quindi un pezzo di una star televisiva del momento che si considera irritante, e infine un disco di musica ambient quieta e senza basi ritmiche. Si provi anche a sperimentare cosa succede alzando o abbassando il volume. • Mentre camminiamo (o sediamo) immersi nel suono, cerchiamo di registrare le nostre sensazioni, la nostra condizione: come ci sentiamo fisicamente; di che umore siamo; se stiamo correndo o ci viene voglia di rallentare; se i suoni dell’ambiente filtrano attraverso gli auricolari o se siamo totalmente isolati e immersi nel pezzo musicale; se ci viene spontaneo guardarci attorno e soffermarci sul dettaglio di un edificio o di un albero, oppure il nostro sguardo vaga irrequieto, o ancora si chiude sulla strada che stiamo percorrendo; se ci sentiamo a nostro agio nell’ambiente in cui ci troviamo oppure ci trasmette inquietudine; se il paesaggio che ci circonda ci affascina oppure appare squallido; se i ritmi dei passi e del respiro sono in armonia con quello della musica, e se il nostro cervello cerca di adattarli ad essa67. Basta farci caso, e sarà facile attribuire a quello che stiamo ascoltando una parte – piccola ma importante – della responsabilità del modo in cui ci sentiamo68, dell’atmosfera che ci sembra pervadere l’ambiente. Successivamente torniamo a passeggiare senza auricolari, cercando di prestare più attenzione che in passato alla molteplicità di suoni presenti nel silenzio, per scoprire nuove sfaccettature del luogo che abitiamo. Chiediamoci se avremmo voglia di avere della musica in sottofondo per godere al meglio del momento e, se sì, quale. • 5.2. Esercizi di ‘interazione sonora’ con il paesaggio e con gli altri 5.2.1. Giocare (play in lingua Inglese significa anche ‘suonare uno strumento’) con le potenzialità espressive degli oggetti più disparati: strofinandoli, percuotendoli, esplorando le loro possibilità espressive. Si cominci con una sola persona alla volta, fino a far ‘suonare’ poi tutta la classe insieme. Provare a • 67 Sulla relazione tra ritmo sonoro e sistema respiratorio e cardio-circolatorio si fondano antichissime pratiche magiche di guarigione come recenti teorie musicoterapiche. Il suono dell’acqua (e del mare in particolare), che da sempre esercita un fascino enorme sull’immaginazione, ha effetti benefici e rilassanti in virtù dei suoi armonici ma anche dei suoi micro- e macro-ritmi. Il progetto The River Archive della compositrice Annea Lockwood, che si propone di registrare i suoni di quanti più fiumi possibile nelle diverse condizioni, è stato suggerito dalla tradizione peruviana secondo la quale i fiumi hanno poteri curativi. Nel descrivere il suo capolavoro Music for 18 Musicians, Steve Reich paragona i cicli degli strumenti a fiato e delle voci a un respiro, che si stende periodicamente sul ritmo costante di pianoforte e percussioni, come il riflusso delle onde sulla spiaggia (il respiro dell’uomo e il respiro del mondo). 68 E, viceversa, è facilmente verificabile come lo stato psico-fisico in cui ci troviamo influenzi la nostra percezione della musica e dei suoni. 18 strutturare la performance ordinando il suono, costruendo ritmi, bordoni (drone), rapporti armonici tra le altezze. Come esempi delle potenzialità musicali di oggetti comuni si possono vedere le performance di The Typewriter (1950) di Leroy Anderson [http://www.youtube.com/watch?v=jgDcacwgCoY], il celebre cortometraggio svedese Music For One Apartment and Six Drummers (2001) [http://vimeo.com/7939104] di Ola Simonsson, e Sound of Noise (2010) dello stesso regista. 5.2.2. Far suonare gli stessi oggetti e strumenti dell’esercizio precedente in spazi diversi (in corridoio, in bagno, nell’ingresso della scuola, all’aperto). Prestare attenzione a come cambia il suono, descrivendo le differenze e interrogandosi sulle cause (dimensioni della stanza, materiali, presenza o assenza di arredi fonoassorbenti). Ascoltare ciascun suono finché decade completamente, considerando dunque il variare della durata a seconda del luogo in cui ci si trova, introducendo i concetti di riverbero e di eco. Qual è lo spazio ritenuto più confortevole? Quale quello in cui ci si sente più inquieti? Cercare di comprendere le ragioni dei propri stati d’animo (basandosi sul battito cardiaco e sul respiro, per esempio). 5.2.3. Far improvvisare gli studenti prima a due a due, e poi coinvolgere progressivamente la classe intera, utilizzando ancora sia gli strumenti sia altri oggetti a portata di mano. Dirigere la performance facendo in modo che gli alunni ascoltino quello che stanno facendo i loro compagni e lo tengano in considerazione; insegnare loro a cercare dei riferimenti per orientarsi, come il ticchettio dell’orologio a parete, un metronomo, o suoni prodotti dall’insegnante. • Periodicamente si possono aprire le finestre e, portando i ragazzi a suonare a volumi molto bassi (lavorando lentamente sulle dinamiche, dal forte al pianissimo), suggerire loro di tenere a mente anche ciò che proviene dall’ambiente esterno69.BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA • • • • • • • • • • • • • • • • • • • In lingua italiana J. Cage, Lettera a uno sconosciuto (a cura di R.Kostelantz), Socrates, Firenze 1996 (1987) J. Cage, Silenzio, ShaKe, Milano 2010 G. Chiari e G. De Simone, Giuseppe Chiari. Autoritratto, Nardini, Firenze 2008 (con DVD) A. Colimberti (a cura di), Ecologia della Musica, Donzelli 2004 G. De Simone, Pietro Grossi. Il dito nella marmellata, Nardini, Firenze 2005 (con CD) R. Favaro, Spazio sonoro. Musica e architettura tra analogie, riflessi, complicità, Marsilio, Venezia 2010 G. Giannone, Architettura e musica. Questioni di composizione, Caracol, Palermo 2010 M. Lenzi, L’estetica musicale di Morton Feldman, LIM/Ricordi, Lucca 2009 O. Sacks, Musicofilia, Adelphi, Milano 2008 (2007) R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, LIM/Ricordi, Lucca 1985 (1977) R. Paci Dalò, E. Quinz (a cura di), Millesuoni. Deleuze, Guattari e la musica elettronica, Cronopio, Napoli 2006. M. Schneider, Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970 D. Toop, Oceano di suono. Discorsi eterei, ambient sound e mondi immaginari, Costa & Nolan, Genova 1999 (1995) In lingua inglese B. Blesser & L.R. Salter, Spaces Speak, Are you Listening? Experiencing aural architecture, The MIT Press 2007 69 Sono a grato a Enrico Malatesta per gli insegnamenti del suo workshop sul dettaglio sonoro, dai quale provengono le idee per questo esercizio. 19 • • • • • • • • • D. Dunn, Why do Whales and Children Sing?: A Guide to Listening in Nature, EarthEar, Santa Fe 1999 (con CD) K. Gann, No Such Thing as Silence. John Cage’s 4’33”, Yale University Press, New Haven & London 2011 S. Goodman, Sonic Warfare. Sound, Affect, and the Ecology Of Fear, The MIT Press, Boston & London 2010 B. LaBelle & S. Roden (edited by), Site of Sound: of Architecture & the Ear, Errant Bodies Press with Smart Art Press, Los Angeles 1999 (con CD) A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, Rizzoli International, New York 2007 (con CD) E. Martin (edited by), Architecture as a Translation of Music (pamphlet Architecture 16), Princeton Arch. Press 1994 W.A. Mathieu, The Listening Book, discovering your own music, Shambhala Publications, Boston & London 1991 D. Rothenberg & M. Ulvaeus (edited by), The Book of Music and Nature, Wesleyan University Press, Middletown 2001 (con CD) T. Takemitsu, Confronting Silence, Fallen Leaf Press, Berkeley 1995 20