Francesco Bergamo, Musica spazio ambiente

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Musica, spazio e ambiente: ascolto, rappresentazione, e interazione con il paesaggio sonoro.
1. Ascolto e visione
Nell’ultimo decennio è andata crescendo l’attenzione dedicata allo studio del paesaggio sonoro, eppure le riflessioni teoriche
sulla ‘società dello spettacolo’ continuano a dedicarsi di più alla cultura visuale che all’ascolto, trascurando di fatto che il
suono e la musica hanno avuto per l’uomo il ruolo di strumenti di conoscenza alla pari delle immagini, fin dalla preistoria.
Questa prima sezione introduttiva si propone di riassumere alcune ragioni del sopravvento della vista sull’udito nella civiltà
occidentale, in particolare a partire dalla scoperta/invenzione della prospettiva nel Rinascimento.
Prima di addentrarsi in questioni specifiche che riguardano le intersezioni disciplinari tra musica, spazio
e architettura, può essere utile soffermarsi su come sia cambiato il ruolo dell’ascolto nella civiltà di cui
facciamo parte, specialmente in seguito alla rivoluzione industriale prima, a quella elettrica poi, e infine
a quella digitale in tempi più recenti.
L’udito è il primo dei cinque sensi a svilupparsi nel feto umano e, poiché è mediante i sensi che ci è
dato di conoscere il mondo fenomenico, grazie ad esso cominciamo a formulare i primissimi modelli di
comprensione della realtà e a interagire con l’ambiente. Impariamo a riconoscere le persone, gli oggetti
e gli eventi prima dalle loro voci e dai loro suoni che dalle loro immagini; ci relazioniamo con il mondo
ascoltando e riproducendo parole, suoni (come quello dell’automobile), versi (come quelli degli
animali). L’antropologo gesuita Marcel Jousse sosteneva quasi un secolo fa l’importanza del
fonomimismo orale nella formazione linguistica e in quella musicale: “qualsiasi bambino allevato in libertà in
campagna si mette spontaneamente a nominare un certo numero di animali e di oggetti attraverso il suono caratteristico che
questi emettono”1.
E “anche noi basiamo sul ritmo del linguaggio tutta l’iniziazione alla musica che storicamente ne è
scaturita. Il vero problema non è di insegnare prematuramente al bambino come dovrà leggere, scrivere ed eseguire suoni
vuoti. Il giovane essere umano, come la giovane umanità, non saprebbe, senza una lenta transizione, dissociare la musica
dalla parola”2.
Pur senza disporre delle conoscenze anatomiche e fisiologiche degli ultimi secoli, le culture antiche
identificavano l’origine dell’universo con un evento o un gesto sonoro; le cosmologie arcaiche di tutto il
mondo si fondano sul suono, come hanno dimostrato gli studi del musicologo Marius Schneider3. La
creazione cui accenna il celeberrimo incipit del vangelo di Giovanni avviene con la parola: “In principio
era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio” . Le radici della civiltà europea non fanno eccezione:
Orfeo impiega l’armonia musicale per placare Cerbero e le forze della natura, portando ordine mediante
la sua musica, che è emanazione in terra dell’armonia celeste; i rapporti armonici pitagorici basati sui
piccoli numeri interi, e scoperti ascoltando il variare del suono di una corda vibrante a seconda della sua
lunghezza, sono il fondamento di tutte le arti occidentali fino ai giorni nostri.
Schelling definiva l’architettura come musica pietrificata e, se questo diverrà evidente a partire dalle
proporzioni musicali degli edifici rinascimentali4, Marius Schneider ha individuato già nel medioevo
catalano una sorprendente trascrizione architettonica, in pietra, di partiture musicali5: egli “osservò i
•
M. Jousse, “Dal mimismo alla musica nel bambino” in A. Colimberti (a cura di), Ecologia della Musica. Saggi sul
paesaggio sonoro, Donzelli, Roma 2004, p.10.
2 Ibid., p.14.
3 Si veda in particolare M. Schneider, La musica primitiva, Adelphi, Milano 1992 (1980).
4 Cfr. R. Wittkower, Principî architettonici nell’età dell’Umanesimo, Einaudi, Torino 1964 (1962).
5
M.Schneider, Pietre che cantano, Archè 1976 (1955).
1
1
chiostri romanici di San Cugat, di Gerona e di Ripoll in Catalogna, annotò le figure fantastiche effigiate sui capitelli
assegnando a ciascuno un valore musicale, quindi lesse come simboli di note le singole figure, basandosi sulle
corrispondenze tramandate dalla tradizione indù, e scoprì infine che la serie corrispondeva alla esatta notazione degli inni
gregoriani dedicati ai santi di quei chiostri”6.
Le ricerche come quelle di Schneider erano eventi rari fino a un decennio fa perché, come egli scriveva,
“ci siamo ormai abituati a un’arte che ignora il suono e spesso, ad esempio, alla vista di doccioni gotici non pensiamo affatto
che essi in realtà sono vivificati soltanto dallo scrosciare della pioggia” 7.
Da decenni si discute sulla ‘società
dell’immagine’ cui apparteniamo, e solo in tempi recenti si è ricominciato a prendersi cura delle
questioni legate all’ascolto come strumento di consapevolezza e di misura dell’ambiente. Già a partire
dal Rinascimento, con l’invenzione della prospettiva e la necessità di ridurre a categorie codificabili tutti
gli aspetti dello scibile, la vista aveva iniziato a prendere il sopravvento sull’udito in ambito culturale 8; se
le proporzioni armoniche musicali continuavano a ispirare le grandi opere architettoniche e pittoriche,
la matematica e gli esperimenti scientifici fondavano il loro metodo sulla possibilità di un riscontro
sensibile prevalentemente visivo. La stessa filosofia assecondava il “privilegiamento [sic] della dimensione
visiva, rispetto a quella acustica, data la riduzione del ‘senso sensato’ a ‘idea’, a schema immobile, che si dà ‘in presenza’ e
quindi è immediatamente afferrabile dallo sguardo in una forma chiusa e compatta. Laddove il sonoro ‘trascina via la forma’
e dunque evoca già di per sé una visione mobile, non ferma […] delle cose, una ‘transitività’ vibrante che va a cozzare con la
visione ideale e ‘sempre ferma’ della nostra tradizione” 9.
• La speculazione filosofica introspettiva, da Cartesio in poi, ha contribuito definitivamente a separarci dal mondo esterno
per proiettarci in una realtà ‘virtuale’ interna. Oggi che la tecnologia digitale lo consente, si preferisce spesso l’applicazione
di paradigmi analitici visivi all’esperienza concreta dell’ascolto perfino nello studio del suono stesso, che viene trattato con
software atti a visualizzarne le caratteristiche, riducendolo a diagramma; un ovvio motivo è che le interfacce dei software di
uso comune sono prevalentemente visuali. Sebbene ci sia chi sta lavorando nella direzione di sonorizzare dati digitalizzati
(come nei settori medico e urbanistico) per favorirne ulteriori possibilità di lettura e di interpretazione, si tratta ancora di
ricerche condotte da una nettissima minoranza rispetto all’ambito della data visualization (visualizzazione di dati), che oggi
sta ulteriormente incrementando il suo successo grazie al web e alle applicazioni per computer e smartphone. D’altronde,
quasi tutte le estensioni della nostra memoria 10 hanno un carattere prevalentemente visivo: l’analisi e lo studio del
paesaggio, come i ricordi dei momenti importanti della nostra vita, sono affidati prevalentemente a fotografie e video 11, ed
è evidente come l’acquisizione di informazioni dai testi coinvolga sempre il medesimo senso. L’architettura e le città
moderne sono state progettate per compiacere l’occhio, senza prestare la dovuta attenzione al comfort acustico di chi le
abita. Hildegard Westerkamp, una dei fondatori del World Forum for Acoustic Ecology 12, ha fatto notare che il primo suono
generalmente percepito da un visitatore quando arriva in una città contemporanea è quello del traffico automobilistico.
L’analisi da lei condotta sulla città di Brasilia 13 dimostra un disinteresse quasi totale da parte dei progettisti nei confronti
dell’acustica; è praticamente impossibile, rimanendo all’interno dell’area del Piano Pilota, trovare rifugio dal rumore del
•
Così Elémire Zolla nella postfazione a M. Schneider, Pietre che cantano cit., nell’edizione SE, Milano 2005, p.109.
Ibid., p.13.
8
Cfr. R. Barbanti, Meccanicismo e determinismo. Ovvero come lo sguardo, fissandosi sulle cose, ha prodotto una
visione del mondo riduttiva, in A. Colimberti (a cura di), Ecologia della Musica. Saggi sul paesaggio sonoro, cit., pp.7999.
9 E. Lisciani Petrini, nell’introduzione a J.-L.Nancy, All’ascolto, Raffaello Cortina, Milano 2004, pp. XVI-XVII
10 Cfr. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 1967 (1964).
11
Esula da questo modulo la trattazione dell’importanza dedicata al suono nella realizzazione e nella fruizione degli
audiovisivi e in particolare del cinema, che tra le forme d’arte riproducibili e accessibili alle masse rimane probabilmente
quella che più si avvicina a una forma di esperienza sinestetica. Cfr. A.Pagan e M.Cecchinato, Cinema e forme sonore,
Forum Edizioni, 2000.
12
Per
informazioni
sul
WFAE,
istituito
nel
1993,
si
veda
il
sito
web:
http://interact.uoregon.edu/MediaLit/WFAE/home/index.html.
13 In occasione di una conferenza presentata presso il Goethe Institut di Tokyo nell’ottobre 1994, per il Symposium Von
Bauhaus zu Soundscape.
6
7
2
traffico14. Inoltre a differenza di quanto avviene con la vista, dalla quale possiamo escludere volontariamente o
involontariamente una scena o una sua parte, all’udito non possiamo nascondere ciò che succede semplicemente
coprendoci le orecchie, o mentre dormiamo; talvolta, nemmeno un paio di cuffie con un dispositivo di riduzione del
rumore può essere sufficiente.
• Ancora oggi, troppo pochi conoscono gli studi sul paesaggio sonoro e sul sound design che si sono moltiplicati a partire
dalla pubblicazione del testo fondamentale Il Paesaggio sonoro [inizialmente The Tuning of the World, 1977] del canadese
Raymond Murray Schafer, a cui si farà riferimento nelle sezioni che seguono. Ma non è un caso che queste ricerche, come
il rinnovato interesse per antichi saperi e pratiche rituali, siano fiorite in concomitanza con la crescente importanza
assunta dal metodo e dalle teorie della scienza contemporanea, mentre si andava progressivamente incrinando il fideismo
nelle utopie razionalistiche. Si è scoperto recentemente che il Big Bang è stato accompagnato dal suono denso di un
drone15, che ancora si sta diffondendo nell’universo come radiazione di fondo. Ed è noto che le musiche rituali di tutte le
culture più antiche si fondano proprio sul drone: la tanpura indiana utilizzata nei mantra e nei raga, l’OM vedico e in seguito
buddista, le dense tessiture delle percussioni tribali, gli strati di suono dei canti gregoriani che si mescolavano negli spazi
delle cattedrali gotiche, rappresentano tutti il mito della creazione con modalità che ci rendono partecipi fisicamente più di
qualsiasi cosmogonia grafica. È anche per questo che dal secolo scorso la musica occidentale ha ravvivato il suo interesse
nei loro confronti, dalle partiture dei grandi compositori statunitensi ed europei fino ad alcune eccellenze nei generi più
popolari.
Le sovrastrutture culturali occidentali post-rinascimentali, fondate in buona parte su prospettiva e
oculocentrismo, sono divenute l’oggetto di attacchi resisi necessari da parte di chi ne voleva denunciare
l’eccessiva rigidità, come nei casi di Marcel Duchamp e di John Cage. È fondamentale tenere a mente
che la maggior parte della popolazione non ha ancora familiarità con le avanguardie musicali del ‘900,
nonostante conosca almeno in parte quelle pittoriche che sono sempre andate di pari passo: ne sono la
prova le esperienze musicali di alcuni tra i più influenti artisti visuali del secolo scorso, delle quali sono
consapevoli in pochi perfino tra gli addetti ai lavori. Duchamp non aveva trascurato di delegittimare
pure l’omologo acustico della pittura retinica, ossia l’opera musicale come ‘stimolatrice sensoriale’ e
prodotto storicizzato: “sono ancora forme: fare del rumore come Mozart o fare del rumore come Varèse, è la stessa
cosa”16, atteggiamento che di lì a poco segnerà l’andamento della musica del Novecento con la sua
compiuta elaborazione da parte di John Cage. Il pittore Jean Dubuffet ha inciso diversi pezzi
improvvisati, il land artist Walter De Maria aveva militato nella prima formazione dei Velvet
Underground prima di dedicarsi alle sue installazioni, e Jean-Michel Basquiat aveva fondato la band dei
Gray prima di ottenere il successo come pittore.
Di recente, il critico musicale David Stubbs ha provocatoriamente intitolato un suo libro Fear of Music:
Why People Get Rothko But Don’t Get Stockhausen17 [Paura della musica: perché la gente capisce Rothko,
ma non Stockhausen] e, a proposito di Mark Rothko, tornano utili le considerazioni di un compositore
che al suo lavoro si sentiva molto affine, Morton Feldman. Subito dopo aver discusso di Cézanne e di
Beethoven, Feldman scrive: “il soggetto della mia musica è la mia ossessione nei riguardi della superficie. In questo
senso, le mie composizioni non sono affatto ‘composizioni’. Si potrebbero chiamare tele che io all’incirca preparo con un
colore musicale di fondo […]. I compositori insistevano nel dire che ciò che stavo facendo non aveva niente a che fare con
la musica. Cos’era dunque? E cos’è adesso? Preferisco pensare al mio lavoro come a qualcosa che sta tra le categorie. Tra
•
La ‘critica al modernismo’ può essere di fatto estesa alla progettazione acustica dell’architettura e della città.
Letteralmente: ‘ronzio’, ‘bordone’. Si tratta di un suono spesso, modulato, generalmente mono-tono ma con un’ampia
gamma di armonici, statico a livello macroscopico ma ricco di sfaccettature se ‘osservato nel dettaglio’. Si pensi ad
esempio al ronzio di un’ape in volo.
16
M. Duchamp, Conversazione con Otto Hahn, in E. Grazioli, Marcel Duchamp, Riga n.5, Marcos Y Marcos, Milano
1993, p.55.
17 Pubblicato da 0 Books, Ropley 2009.
14
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3
tempo e spazio. Tra pittura e musica. Tra la costruzione della musica, e la sua superficie ”18.
Nonostante la loro
influenza stia costantemente crescendo sulle ultime generazioni di musicisti e compositori, i capolavori
di Feldman sono ancora ben lontani dall’essere conosciuti al pubblico quanto lo sono quelli dei suoi
amici pittori della New York School.
2. All’ascolto
In quanto esseri umani ascoltiamo in modo diverso rispetto alle altre specie ma, come avviene per tutti gli animali, la gamma
di frequenze che il nostro sistema uditivo percepisce ci fornisce informazioni preziose per la vita quotidiana. È possibile
educare l’ascolto per renderlo più consapevole e più attento ai dettagli attraverso esperienze alla portata di tutti, per esempio
confrontandosi con la soglia del silenzio, e a questo scopo ci possono venire incontro i lavori di alcuni artisti e musicisti.
•
• David Dunn, un musicista che da tempo si dedica allo studio del canto degli uccelli [www.davidddunn.com], ci dice che
“ciò che ascoltiamo è il risultato di una danza tra il mondo e il modo in cui siamo fatti, e organizziamo la nostra realtà
basandoci su questa danza. […] Ciascuna specie […] ascolta una realtà distinta, che nasce dai condizionamenti del modo
in cui è costruita”19. La fenomenologia dell’ascolto, esattamente come quella della visione e di tutti gli altri sensi, non può
prescindere dalla fisiologia. L’apparato uditivo non è in grado di percepire frequenze superiori ai 20.000 Hz e inferiori ai
20 Hz, e quest’ultimo è anche il limite al di sotto del quale entra in gioco il tatto, come si può facilmente riscontare
assistendo a un concerto durante il quale le frequenze molto basse siano opportunamente amplificate; Murray Schafer
paragona l’udito a una forma di ‘tatto a distanza’ mediante cui è possibile tastare l’ambiente nel suo complesso,
cogliendone aspetti dinamici invisibili20. La percezione dell’ambiente da parte delle altre specie è completamente diversa
dalla nostra, e non dovremmo dimenticare che molti manufatti stanno mettendo in pericolo gli animali proprio a causa di
vibrazioni sonore: il rumore degli aeroplani può essere devastante per i volatili, come quello delle navi per gli ecosistemi
marini (nell’acqua e nei fluidi le vibrazioni trovano inoltre un mezzo di propagazione più favorevole che nell’aria). Le
condizioni d’ascolto sono sensibilmente diverse anche tra individui della stessa specie, compresa quella umana; la forma
variabile del padiglione auricolare contribuisce per esempio a localizzare il suono sul piano verticale, come mostrano gli
studi sull’audio binaurale.
• Se le macchine e l’evoluzione tecnologica hanno saturato l’ambiente sonoro, ci sono tuttavia strumenti utili per studiare e
rappresentare quei contesti che sarebbero altrimenti impossibili da sondare; gli apparecchi di registrazione e di
riproduzione rendono possibili rappresentazioni sonore perfino subacquee (utilizzando per esempio degli idrofoni) o su
scala astronomica (come per la radiazione di fondo dell’universo), che restituiscono informazioni preziosissime precluse
agli apparecchi di registrazione ottica. E le nuove tecnologie computazionali consentono la costruzione di modelli sempre
più precisi e complessi dell’interazione tra oggetti sonori 21.
• Si dedica poca attenzione all’acustica nella progettazione di un parco, di un edificio o di un artefatto, senza considerare
opportunamente quanto questo aspetto sia determinante. Per esempio, alcune caratteristiche dei materiali utilizzati per i
pavimenti di un edificio, pubblico o privato, possono influenzare i comportamenti di chi lo abita; si pensi a quando sia o
non sia possibile riuscire ad ascoltare i passi di chi si sta avvicinando alla stanza in cui ci troviamo, con evidenti
conseguenze sulla privacy. Un corridoio che produca un suono riconoscibile quando ci camminiamo sopra potrebbe
fungere perfino da sistema d’allarme.
• La presenza del suono e il suo comportamento nello spazio sono dunque strumenti per l’esplorazione di un ambiente:
sebbene non siamo dotati di organi paragonabili al sonar dei pipistrelli, attraverso un’opportuna sensibilizzazione
dell’udito possiamo acquisire maggiore consapevolezza di come sia fatto il luogo in cui ci troviamo. Un esempio è dato
dall’installazione permanente Aerosplane – An acoustic sculpture (1993) di Michael Brewster a Villa Panza di Biumo (VA): in
una stanza bianca, dalle pareti fonoriflettenti, l’unica presenza visibile è un altoparlante che diffonde suoni la cui
•
18
B.H. Friedman (a cura di), Give My Regards to Eight Street. Collected Writings by Morton Feldman, Exact Change,
Cambridge 2000, p.88 (liberamente tradotto dall’autore).
19
D.Dunn, “Nature, Sound Art, and the Sacred”, in Terra Nova 3:2, MIT Press 1997, riportato in D. Rothenberg & M.
Ulvaeus (a cura di), The Book of Music & Nature, Wesleyan University Press, Middletown 2001, p.95.
20
R.Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro, LIM/Ricordi, Lucca 1985 (1977), p.24.
21 Cfr. D. Rocchesso e F. Fontana (a cura di), The Sounding Object, pubblicato sotto GNU Free Documentation License,
2003.
4
lunghezza d’onda è proporzionata alle dimensioni dello spazio. Le onde sonore si sommano o si sottraggono a seconda
della frequenza e delle riflessioni sulle pareti, e conoscendo l’altezza dei suoni emessi sarebbe teoricamente possibile
misurare l’ambiente semplicemente ascoltandolo. Il giapponese Toshiya Tsunoda, oltre a occuparsi di registrazioni di
paesaggi sonori che ne modificano completamente la ‘prospettiva di ascolto naturale’ 22 (per richiamare un’analogia con la
fotografia), ha realizzato nel 2004 a Melbourne un’installazione intitolata Listening To The Reflection Of Points23: il visitatore
camminava a fianco di una scatola di metallo bassa e lunga, nella quale erano collocati degli altoparlanti che diffondevano
un segnale simile a rumore bianco a bassissimo volume; sul piano in metallo erano appoggiati oggetti di vario tipo
(conchiglie, piatti, vasi, …) che fungevano da risonatori e convertivano il segnale in suoni ritmici caratteristici per ciascuno
di essi. L’intensità sonora era molto bassa per evitare interferenze, così occorrevano parecchi minuti, per chi proveniva dal
rumoroso ambiente esterno, prima di riuscire ad ascoltare qualcosa. Ciò che accadeva era paragonabile al fenomeno
esplorato da James Turrell nei suoi Dark Spaces, in cui la retina riesce a cogliere le immagini a bassissima luminosità
proiettate nel buio solamente dopo un periodo di adattamento alle nuove condizioni, con la cancellazione degli ultimi
stimoli luminosi rimasti impressi prima dell’ingresso. Nelle note di copertina del suo CD O respirar da paisagem24 Tsunoda
scrive: “L’atto di osservare modifica la nostra percezione di un oggetto, a seconda del punto da cui lo osserviamo […]. Il
nostro timpano è costantemente in contatto con l’aria, che è il medium attraverso cui si trasmette la vibrazione. Come le
vibrazioni si manifestano nell’aria, il nostro timpano si muove impercettibilmente, anche se non ci facciamo caso. In
questo momento lo spazio e la nostra percezione di esso sono uniti, anche quando ci sforziamo di separarli”.
Francisco Lopez spesso chiede agli spettatori di bendarsi gli occhi prima dell’inizio dei suoi concerti; i
non vedenti sono generalmente più attenti e abili nell’identificare e localizzare i suoni rispetto a chi
vede, al punto che un’area maggiore del loro cervello viene attivata dalle funzioni relative all’ascolto,
come hanno dimostrato le misurazioni dei neuroscienziati. Alcuni ricercatori si stanno occupando di
sonificare nel modo più opportuno immagini riprese da semplici videocamere o dalle fotocamere dei
telefoni cellulari, come nel progetto The vOICe [http://www.seeingwithsound.com]: i non vedenti che
hanno testato il sistema hanno a poco a poco preso confidenza con gli algoritmi di ‘trascrizione’,
imparando a riconoscere le forme e i rapporti pieno/vuoto, e quindi perfino a identificare la facciata di
un edificio che si trova dall’altra parte della strada e la posizione delle sue aperture; queste informazioni
artificiali non dovrebbero possibilmente nascondere quelle ‘naturali’, ovvero l’ascolto diretto
dell’ambiente, e bisogna tenere conto del fatto che traducono di volta in volta, a distanza di pochi
secondi, un’immagine statica (che la vista elaborerebbe in modo sincronico) in una sequenza di suoni
che si svolge nel tempo, seppure rapidamente.
Quanto detto finora si potrebbe sintetizzare con questa constatazione semplicissima: il suono è
informazione. Un suono può farci conoscere la presenza di un determinato oggetto, la sua posizione, e
l’eventuale direzione del suo moto. Un suono che cattura la nostra attenzione ma che non riusciamo a
identificare o a localizzare può altrimenti generare inquietudine, e metterci in allarme.
• Sia la scienza che l’arte hanno elaborato dei sistemi che ci consentono di aumentare la consapevolezza del funzionamento
dei nostri stessi sensi. Poco fa sono stati citati i Dark Spaces di Turrell, dove la quasi completa privazione di stimolazione
luminosa porta a comprendere meglio il comportamento dell’occhio. Turrell ha apertamente dichiarato di essersi ispirato
al celeberrimo pezzo silenzioso di John Cage, 4’33” (1952) [http://www.youtube.com/watch?v=HypmW4Yd7SY]. Alla
prima esecuzione, con David Tudor al pianoforte, persino un pubblico avvezzo alle sperimentazioni non riuscì a cogliere
il significato di quei quattro minuti e trentatré secondi di silenzio. Questo lavoro può essere inteso qui come un esercizio
zen in cui sviluppare la consapevolezza di ciò che avviene nel silenzio, che non è una condizione semi-statica indotta
(come avviene nella quiete meditativa di Morton Feldman), ma un catalizzatore dell’attenzione su tutti i suoni che ci
•
Ad esempio utilizzando microfoni a contatto auto-costruiti, oppure posizionandone all’interno di bottiglie, o vicino a
superfici metalliche risonanti trovate sul posto.
23
Cfr. l’articolo di Jim Hayes in The Wire n.252, febbraio 2005, p.72.
24
SIRR.ecords, 2003 (traduzione dell’autore).
22
5
circondano. Non possiamo prescindere inoltre dall’influenza su 4’33” dei White Paintings di Robert Rauschenberg (mai
uguali a se stessi, al variare delle condizioni di illuminazione ambientale) e soprattutto dall’esperienza del compositore in
camera anecoica, un ambiente teoricamente fonoassorbente: lì scoprì che il silenzio assoluto è una condizione impossibile
in quanto, in assenza di stimoli esterni, sentiva distintamente dei suoni che scoprì poi essere quelli del sistema cardiocircolatorio e di quello nervoso25. Dunque il silenzio non esiste: l’informazione sonora è sempre presente e, poiché il
nostro stesso corpo ne è un generatore, possiamo anche ascoltarla per saperne di più su noi stessi e per aumentare il
nostro autocontrollo.
• Gli studi teorici sull’immagine al tempo del post-modernismo concordano sulla nostra condizione di ‘accecamento per
eccesso d’immagini’; nella prossima sezione si tratterà di come siamo diventati sordi, incapaci di ascoltare, per l’eccesso di
suoni. Abbiamo bisogno di spazi in cui ritrovare il silenzio, per ricominciare ad ascoltare.
3. Schizofonia e paesaggio sonoro contemporaneo
Partendo dalle indicazioni e dalle classificazioni di Raymond Murray Schafer, e servendosi anche di modelli di pensiero
contemporanei (si continua a fare riferimento in particolare a Deleuze e Guattari), è possibile analizzare come sia cambiato il
paesaggio sonoro nell’ultimo secolo e negli ultimi decenni, e le conseguenze dirette e mediate che questi cambiamenti hanno
comportato nella musica di ricerca e in quella popolare, nel nostro modo di ascoltare, e nel condizionamento dell’esperienza
quotidiana.
I musicologi e gli etnomusicologi che si sono dedicati allo studio delle culture antiche continuano a
denunciare il fatto che la tradizione musicale occidentale ha progressivamente contribuito a separare
l’ascoltatore dalla consapevolezza del suo ecosistema sonoro quotidiano. Il prefisso schizo-, indice di una
scissione che conosciamo specialmente nella schizofrenia caratteristica del nostro tempo 26, era stato
adottato da Raymond Murray Schafer già negli anni ’70 a proposito dell’ambiente sonoro dell’ultimo
secolo27: la schizofonia va di pari passo con la schizofrenia, essendone parziale causa ed effetto. Con
questo termine, l’autore de Il paesaggio sonoro si riferiva alla separazione dei suoni dalle loro fonti
originarie, resa possibile dagli apparecchi di registrazione, di riproduzione e di trasmissione radio, oltre
all’uso dei telefoni per le comunicazioni personali. Oggi la schizofonia presenta delle sfaccettature
ancora più complesse, insieme preoccupanti e ricche di potenzialità informative, poiché riguarda le
intersezioni tra i ‘mille piani’ sonori, oramai in prevalenza artificiali, che coabitano nello stesso
ambiente. Passeggiare in città tra i negozi e le auto e fare la spesa al centro commerciale sono
esperienze talmente ricche di stimoli che è pressoché impossibile riuscire a scomporle consciamente
nelle loro singole ‘unità d’informazione’, perfino per chi è allenato a un’osservazione e a un ascolto
attenti: il posizionamento degli oggetti e delle luci, la musica di sottofondo diffusa dagli altoparlanti, le
voci delle altre persone, i ronzii dei sistemi di areazione, sono sempre più spesso combinati con lo
scopo di vendere di più. Non a caso Murray Schafer lanciava una delle sue invettive più severe contro la
muzak (o moozak), cioè la musica utilizzata come fondale sonoro nei luoghi pubblici. Il termine deriva
dal nome dell’azienda statunitense Muzak (fondata nel 1922) [www.muzak.com], che commercializza
registrazioni atte ad inibire per ciascun ambiente il comportamento desiderato: aumentare la
produttività degli operai nelle fabbriche, rilassare gli ospiti degli hotel, spingere i clienti di un negozio ad
•
25
È probabile che Cage abbia ascoltato anche i suoni del suo respiro, dei movimenti delle sue palpebre, e di altre
funzioni del suo corpo.
26
Si vedano per esempio i testi fondamentali di Gregory Bateson, di Michel Foucault, e specialmente di Gilles Deleuze e
Félix Guattari.
27
Cfr. R.Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit.
6
acquistare d’impulso28. Una progressiva accelerazione ritmica, per esempio, può sortire un effetto
omologo a quello di un’accelerazione prospettica, influenzando la percezione della durata temporale
associata allo svolgimento di un determinato compito. Secondo altri studi ed esperimenti, la presenza di
un pattern ritmico idoneo e riconoscibile in un pezzo musicale sembra inoltre essere condizione
necessaria e sufficiente per attivare in chi ascolta un impulso a ‘muoversi a tempo’ 29, e di questo deve
tenere conto la musica commerciale. L’induzione di comportamenti sociali differenziati a seconda
dell’ambiente (il milieu deleuziano) causa continue deterritorializzazioni e riterritorializzazioni sonore,
che moltiplicano le identità del singolo, e portano quindi alla schizofrenia.
Prima dell’era della ‘schizofonia’, nei luoghi di lavoro e nella quotidianità la musica era uno strumento
di interazione con l’ambiente, indispensabile per sintonizzarsi spontaneamente con esso. Si pensi alle
forme di musica popolare legate ai ritmi del lavoro, come i canti delle mondine piemontesi, dei
piantatori di cotone nel delta del Mississippi, o dei prigionieri registrati da Alan Lomax nei primi anni
’40 [http://www.youtube.com/watch?v=cvEnkoSBPmY], che sono stati progressivamente cancellati
dai rumori e dai ritmi delle macchine industriali, sostituitisi prepotentemente a quelli generati dal
movimento del corpo umano e dal respiro. Gli studi compiuti da Steven Feld vivendo con i Kaluli della
Papua Nuova Guinea dimostrano inequivocabilmente che le espressioni musicali di questa popolazione
primitiva potevano essere comprese nella loro complessità soltanto quando ascoltate in relazione ai
suoni dell’ambiente naturale, e del loro lavoro: il ruscello, i canti degli uccelli, il frusciare delle foglie, i
colpi dati alla vegetazione per raccogliere il cibo30. Il compositore John Luther Adams ha deciso di
abbandonare le metropoli statunitensi per trasferirsi in Alaska (una riterritorializzazione consapevole),
una delle poche terre in cui la società industriale non abbia intaccato significativamente il paesaggio
naturale, e dove dunque l’ascolto degli elementi31 può essere ancora il punto di partenza per il suo
lavoro musicale. Ha in mente proprio le ricerche di Feld quando ricorda che: “Nella Papua Nuova Guinea,
quando un compositore di canzoni Kaluli è alla ricerca di una nuova canzone, può accamparsi vicino a una cascata o a un
ruscello. Tutte le canzoni del mondo sono contenute nel rumore dell'acqua. Il cantante ascolta attentamente, a volte per
giorni interi, finché sente la voce della sua nuova canzone. Quando ascoltiamo attentamente, ci accorgiamo che la musica è
costantemente attorno a noi. Il rumore non è più suono indesiderato. È il respiro del mondo. Se la musica basata sulla
tonalità è un mezzo per trasmettere dei messaggi al mondo, allora la musica basata sul rumore è un mezzo per ricevere
messaggi dal mondo. Il rumore ci porta al di fuori di noi stessi. Invita alla comunione, portandoci ad abbracciare quelle
configurazioni che ci legano a tutto ciò che ci sta attorno. Se ascoltiamo attentamente il rumore, il mondo intero diventa
musica. Piuttosto che un veicolo di espressione di sé, la musica diventa uno strumento di consapevolezza” 32.
Adams qui
impiega la parola ‘rumore’ (noise) per indicare la complessità degli elementi naturali, gli stessi a cui si
ispirerà per molti dei suoi lavori per percussioni [http://www.youtube.com/watch?v=fnoxu4ocQb0],
per orchestra ed elettronici.
•
28
Le strategie sono molteplici, e vanno da quelle basate sulla psicoacustica, come la stimulus progression (che tiene in
considerazione progressioni ritmiche e pause) e la scelta di utilizzare melodie note privandole però del testo e di
qualsiasi caratteristica che possa catturare del tutto l’attenzione, alla creazione di un sonic brand in cui identificarsi.
29 Cfr. R. Wilsmore, “Techno, Trance and the Modern Chamber Choir: Intellectual Game or Music to Groove to?” in
Leonardo Music Journal, Vol. 12: Pleasure, The MIT Press, Boston and London 2002, pp. 61-63.
30
Cfr. S.Feld, “Dall’etnomusicologia all’eco-muse-ecologia”, in A.Colimberti (a cura di), Ecologia della Musica, Donzelli
2004, pp.43-51; e inoltre il CD Voices Of The Rainforest, A Day In The Life Of The Kaluli People, Rykodisc 1991.
31
Cfr. J.L. Adams, Winter music, Composing the North, Wesleyan University Press, Middletown 2004. Per un riferimento
in lingua italiana cfr. J.L.Adams, Alla ricerca di un’ecologia della musica, in A. De Rosa (a cura di), Orienti e Occidenti
della Rappresentazione, Il Poligrafo, Padova 2005.
• 32 J.L. Adams, Alla ricerca di un’ecologia della musica cit., p.308.
7
Murray Schafer dimostra con numerosi esempi che il concetto di ‘rumore’, ora invece inteso
nell’accezione più comune di ‘suono indesiderato’, è essenzialmente soggettivo, e può variare a seconda
di condizioni climatiche e culturali: i sondaggi condotti dal suo team hanno rivelato che gli abitanti di
Chicago sono più intolleranti al suono delle campane che a quello del traffico, e che mentre agli svizzeri
il suono del mare risulta assai gradito, al punto di considerarlo benefico e rilassante, per i giamaicani è
fonte di inquietudine e timore, a causa delle frequenti e violente tempeste tropicali che minano la
sicurezza dei loro villaggi33. Alan Licht suggerisce un interessante paragone tra materia sporca (come la
polvere) e rumore. Vogliamo che entrambi restino fuori dalle nostre case, perciò teniamo le finestre
chiuse; ma non è un caso che mentre la prima cominciava a essere usata nell’arte (l’Allevamento di polvere
di Duchamp e Man Ray) e specialmente nella pittura (con le prime avanguardie storiche, e soprattutto
con l’Informale), il secondo entrava nella musica (con Russolo, e poi Cage), e se ne potrebbero seguire
in parallelo fino ad oggi le diverse declinazioni nelle successive tendenze artistiche e musicali. Jean
Dubuffet è stato tra i primi a dipingere con il fango, e ha poi tradotto la stessa estetica nelle sue
improvvisazioni musicali [http://www.ubu.com/sound/dubuffet.html]34.
L’uomo dimostra di avere una grande capacità di adattamento al rumore, se questi stessi suoni dai ritmi
sincopati sono stati assimilati dalla musica di ricerca e d’intrattenimento35: nel film Dancer In The Dark
(2000) di Lars von Trier ne troviamo una significativa rappresentazione, nelle sequenze in cui Selma
(interpretata dalla cantante islandese Björk), ipovedente, canta e danza accompagnata dallo sferragliare
del treno o dai suoni stridenti della fabbrica in cui lavora36. Non è un caso che il ritornello riaffermi la sua
presenza proprio nel contesto di quella musica industriale e digitale che non rinunci a far sentire a
proprio agio l’ascoltatore. Deleuze e Guattari mostrano in Mille Piani come la musica costituisca un
coerente modello della natura e del cosmo37, e in particolare come il ritornello serva a dare ordine e
struttura al territorio proprio di ciascuno di noi. Il capitolo “Sul ritornello” inizia così: “Nel buio, colto dalla
paura, un bambino si rassicura canticchiando. Cammina, si ferma al ritmo della sua canzone. Sperduto, si mette al sicuro
come può e si orienta alla meno peggio con la sua canzoncina. Essa è come l’abbozzo, nel caos, di un centro stabile e calmo,
stabilizzante e calmante. Può accadere che il bambino si metta a saltare, mentre canta, che acceleri o rallenti la sua andatura.
Ma la canzone stessa è già un salto: salta dal caos a un principio d’ordine nel caos, ma rischia di smembrarsi ad ogni istante.
C’è sempre una sonorità nel filo d’Arianna. O nel canto di Orfeo” 38.
I due filosofi francesi non mancano di
sottolineare in altre occasioni come ci basti il barlume di un principio d’ordine, per quanto effimero, per
sentirci al riparo dal caos: siamo geneticamente predisposti a riconoscere un ordine, e ad attribuirgli un
significato. Si può pensare in analogia al ruolo ordinatore della composizione dell’immagine nella
pittura (sia figurativa che astratta), nella fotografia e nella grafica, e alla geometria proiettiva nella cultura
occidentale, sebbene il problema della musica sia diverso: “la pittura si iscrive nel problema del viso-paesaggio. La
musica in un problema differente, quello del ritornello”39.
•
33
R.Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro cit., cap.XIII.
A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, Rizzoli International, New York 2007, pp.80-119.
35
Specialmente negli ultimi 20 anni (e comunque già a partire, via via più consapevolmente, dai Russolo, Antheil, Cowell
e Cage): basti pensare al fatto che il termine industrial è stato adottato per designare un genere musicale che ha fatto
molti proseliti a partire dagli anni ’80, al quale vengono ascritti gruppi come quello degli Einsturzende Neubauten.
36
Non è un caso che Von Trier, per enfatizzare questi episodi visionari, abbia sottratto alla protagonista proprio il senso
della vista, predominante nella nostra cultura.
37 Si pensi a polifonia, contrappunto, ritmi, melodie, ecc.
38 G. Deleuze e F. Guattari, Mille Piani. Capitalismo e Schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010 (1980), p.378.
39 Ibid., p. 359.
34
8
Il suono e la musica dunque strutturano la nostra esperienza nello spazio e nel tempo del mondo
fenomenico, ci sono indispensabili per relazionarci con esso, sia quando l’ambiente è ignoto sia dentro
la propria casa dove gli apparecchi stereofonici, la televisione e i computer ci tengono compagnia,
mentre gli elettrodomestici ci rassicurano con il loro ronzio anche quando sono al di fuori del nostro
campo visivo, ricordando al nostro inconscio che tutto sta funzionando a dovere. Murray Schafer aveva
già definito quest’ultimo tipo di suoni come ‘toniche’ (keynote sounds), corrispondenti allo ‘sfondo’ nella
psicologia della Gestalt; generalmente non li ascoltiamo consapevolmente, ma possono influenzare
significativamente il nostro comportamento. Il compositore canadese aveva fatto un’interessante
scoperta durante gli esercizi di training orientato all’ascolto che proponeva ai suoi studenti: nei Paesi in
cui la corrente alternata è a 60 cicli, la nota che gli allievi cantavano più spontaneamente quando erano
rilassati era un si naturale; dove la corrente alternata è a 50 cicli (220 Volt), la nota più ‘familiare’ era
invece un sol diesis, corrispondente proprio alla frequenza della corrente elettrica che è possibile
ascoltare indirettamente attraverso luci al neon, generatori, amplificatori ed elettrodomestici40. Queste
‘toniche’ artificiali - a cui si aggiungono spesso i rumori dei motori a combustione e degli pneumatici
sull’asfalto - hanno sostituito quelle naturali, come i suoni del vento o di un fiume. Sono stati
specialmente questi mutamenti a suggerire a Murray Schafer di affermare che il paesaggio sonoro della
città contemporanea è a bassa fedeltà (low-fi), a differenza di quello ‘naturale’ ad alta fedeltà (hi-fi); la
pervasività dei suoni prodotti dalle macchine e dagli apparecchi di uso quotidiano appiattisce il
paesaggio saturandolo, e rende molto difficile coglierne i dettagli sonori. Per chi vive in città è di solito
un grande piacere riscoprire il silenzio dopo una nevicata, quando la circolazione delle auto è
notevolmente ridotta e la neve stessa attutisce i rumori. Nel film Black Sun (2005) di Gary Tarn, l’artista
e scrittore Hugues de Montalembert racconta di come è cambiata la sua esistenza dopo aver perso la
vista, in seguito a un’aggressione; dovendo uscire di casa da solo a New York, per la prima volta nella
sua nuova condizione, aspetta fino alle 3 di notte, quando la città non è ‘appiattita’ dal rumore e gli è
quindi possibile ascoltare i singoli eventi per orientarsi. John Cage era affascinato dal ‘mormorio’
continuo del suo frigorifero, e per familiarizzare con il traffico di New York ha resistito all’idea di
montare i doppi vetri nelle sue finestre, ma preferiva comunque una passeggiata in mezzo alla natura.
In una prima classificazione, Murray Schafer distingue i suoni dell’ecosistema umano in41: toniche
(keynote sounds), di cui si è detto poco fa; segnali (signals), corrispondenti alle figure in primo piano, che
vengono ascoltati consapevolmente e recepiti generalmente come portatori di contenuto (un clacson, la
suoneria di un telefono, i feedback sonori di computer ed elettrodomestici ‘intelligenti’); impronte
sonore (sound-marks), che caratterizzano un certo luogo o una certa comunità, come per esempio il
suono delle campane. A riprova di quanto la civiltà moderna abbia perso il contatto con i suoni
dell’ambiente, si consideri l’importanza simbolica attribuita alla fusione di una campana da parte di
un’intera comunità, come viene descritta nell’ultimo episodio di Andrej Rublev (1966) di Andrei
Tarkovsky: il momento decisivo non è tanto la riuscita della fusione, quanto la prova effettuata sul
suono del primo rintocco, che deve essere sufficientemente forte e bello da estendersi su tutte le terre
del principe per unificarle, caratterizzarle (territorializzazione).
•
40
Cfr. R.Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p.144. La corrente alternata a 50 cicli è stata usata anche come
riferimento per l’intonazione di alcune performance del Theater of Eternal Music (in seguito Dream Syndicate) di La
Monte Young.
41
Ibid., pp.21-23.
9
• Nella sezione precedente si è sottolineato come il suono sia informazione. La qualità del paesaggio sonoro è determinante
per il nostro stato psicofisico e per la nostra consapevolezza del luogo, e quindi anche per la qualità della nostra vita. La
musica commercializzata per essere diffusa tanto nei luoghi pubblici quanto nei contesti privati (ambiente domestico,
automobile, lettori mp3) è spesso mero intrattenimento, quando non un banale riempitivo. Anche il ‘paesaggio musicale’ è
a bassa fedeltà: nella produzione della musica ‘commerciale’, tendenzialmente tutti gli strumenti vengono mixati in modo
tale da potersi sentire anche in ambienti rumorosi. La conseguenza è un appiattimento delle dinamiche sonore e musicali,
per ottenere brani compatti che possano sovrastare tutto il resto, cancellando le sfumature sia della musica che dello
spazio in cui viene ascoltata.
“Un paesaggio sonoro è un qualsiasi campo di studio acustico. Paesaggio sonoro può
essere una composizione musicale, un programma radio o un ambiente acustico”42; ne
deriva la necessità di sviluppare una disciplina (l’acoustic design, a cui oggi si aggiungono
le ricerche sull’espressività e il coinvolgimento emozionale del sound design) che riunisca
musicisti, studiosi di acustica, designer, architetti, paesaggisti, psicologi, sociologi e
chiunque sia interessato a studiare il paesaggio sonoro e a proporre soluzioni per il suo
miglioramento. Lo sviluppo di una cultura del suono e della musica, che cominci con
l’educazione nelle scuole già a partire dall’infanzia, è anche indispensabile per poter
decifrare criticamente i sistemi di controllo a cui siamo potenzialmente esposti 43.4. Musica
e Sound Art
L’interesse che negli ultimi decenni è andato crescendo verso le intersezioni disciplinari tra musica, arte, architettura ed
ecologia, ha portato a ricerche innovative sia nella musica che nelle arti installative e performative. Partendo da un tentativo
di definizione di questi ambiti, che sono diversi ma congiunti, si può dare conto dei principali tipi di approccio ai temi
dell’intervento sonoro nell’ambiente, e della sua rappresentazione artistica e musicale.
Perché nelle sezioni precedenti si è parlato più di suono che di musica? Perché si parla di sound art 44
come di qualcosa di distinto rispetto alla musica? Un po’ come quando ci si chiede cosa sia da
considerarsi arte, una prima risposta risiede nel contesto (anch’esso una tipologia di milieu, o ambiente,
nell’accezione deleuziana) in cui la prima viene presentata, ovvero quello della galleria o
dell’installazione. Allo stesso modo, si considera generalmente musica quella eseguita nelle sale da
concerto, trasmessa dai media, o venduta nei formati cui siamo abituati (CD, LP, formati digitali). Alan
Licht ricorda che il termine sound art ha ricevuto il suo battesimo nel 1982 con la Sound Art Foundation
di William Hellermann, che al tempo “sembra si occupasse di ‘musica sperimentale’ o ‘nuova musica’, sebbene abbia
organizzato allo Sculpture Center, nel 1983, una mostra precoce di sculture sonore e di altro materiale che era possibile
esporre”45.
Licht tenta di definire la sound art specificandone tre possibili categorie:
“1. L’installazione di un ambiente sonoro definito dallo spazio (e/o dallo spazio acustico) piuttosto che dal tempo, e che
può essere esposto in modo simile a un’opera d’arte visuale. 2. Un’opera d’arte visuale che ha anche la funzione di produrre
del suono, come una scultura sonora. 3. Suono impiegato da artisti visuali che funge da estensione della particolare estetica
dell’artista, generalmente espressa in medium diversi”46.
•
42
Ibid., p.19.
Si veda in particolare S. Goodman, Sonic Warfare: sound, affect, and the ecology of fear, The MIT Press, Boston &
London 2010. Gli stessi testi di Deleuze e di Guattari racchiudono delle intuizioni preziose che vanno in questa direzione,
essendo diventati una base teorica imprescindibile per chi si occupa oggi di studiare le strategie che vengono messe a
punto e adottate per produrre consenso, e per indurre desideri consumistici e comportamenti sociali prestabiliti.
44 Per un’introduzione e antologia sulla Sound Art, si consiglia il testo: A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between
Categories, cit.
45 A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, cit., p. 11 (traduzione dell’autore).
46 Ibid., pp.16-17 (traduzione dell’autore).
43
10
In altri casi, si (ri)portano semplicemente la musica e l’interazione sonora al di fuori di quegli ambienti
dedicati alla musica che avevano separato il suono dal mondo esterno, dalla vita di tutti i giorni. Per
Murray Schafer il museo tradizionale è l’omologo visivo della sala da concerto: quando si entra ci si
separa dalla quotidianità, si esplorano altri mondi avvicinandosi ai dipinti appesi alle pareti. La
differenza tra musica e sound art sta, ancora una volta, nelle modalità performative, e dunque nella
relazione che si instaura tra musicista e pubblico (musica) oppure tra un contesto sonoro esposto e i
visitatori che ne sono attratti (sound art)47.
Gli studiosi di ecologia acustica, i sound designer e i sound artist amano ricordare l’indissolubilità della
musica e del suono nelle cattedrali medievali: lo spazio della cattedrale, tramite la sua acustica
caratteristica, vivificava i canti liturgici e ne era vivificato, sembrava li facesse emanare da un luogo
remoto (il che è in accordo con la concezione medievale di Dio) e suscitava un coinvolgimento
sensoriale straordinario nei partecipanti, difficile da ritrovare nell’architettura e nella musica liturgica
occidentale dei secoli successivi. Le eccezioni fortunatamente non mancano, come dimostra per
esempio la chiesa di san Marco a Björkhagen, vicino a Stoccolma, progettata da Sigurd Lewerentz.
• L’assunto che sta alla base de Il paesaggio sonoro di Murray Schafer è considerare il mondo come un’immensa composizione
musicale. Ancor prima del canadese, John Cage aveva utilizzato in più occasioni il termine ‘ecologia’. Era convinto che la
musica servisse ad aprirci agli altri e al mondo: la realtà (che comprende, tra le altre cose, il mondo e la musica) è ancora
più interessante se la si considera nella sua complessità come processo più che come ‘oggetto’. Cage si trovava d’accordo
con l’accezione musicale giapponese: la parola ongaku traduce ‘musica’ designando il godimento dei suoni inteso nel senso
più ampio possibile: la musica implica l’ascolto in quanto tale (processo), più che l’ascolto di qualcosa (oggetto). Kyle
Gann scrive a proposito del già citato 4’33” (1952): “il suo effetto fu di avere ragione sul fatto che la differenza tra ‘arte’ e
‘non-arte’ è semplicemente una questione di percezione, e che noi siamo in grado di controllare il modo in cui
organizziamo le nostre percezioni”48. 4’33” è così importante perché ha dimostrato che è possibile abbattere i confini tra
arte e vita, che si può trasformare la vita in un’esperienza estetica: Cage preferiva ascoltare mentre passeggiava nei boschi
all’andare a un concerto.
Dei rituali primitivi e tribali si è già detto, ma sono innumerevoli anche i compositori occidentali per i
quali la musica non è un’astrazione svincolata dall’ambiente sonoro del presente; se partiamo dal
presupposto che le avanguardie si relazionino inevitabilmente con un adesso, condizione necessaria per
guardare avanti, è evidente come al modificarsi del ‘presente’ seguano modificazioni nel pensiero e nelle
opere di coloro che si relazionano con esso. L’orchestra di intonarumori messa a punto da Luigi
Russolo nell’ambito del Futurismo serviva a rappresentare l’industria, la macchina e il motore, e forse
pure
ad
abituare
l’uomo
moderno
all’evidenza
della
loro
proliferazione
[http://www.ubu.com/sound/russolo_l.html].
Per i musicisti interessati più all’esperienza dell’ascoltatore che alla rappresentazione di modelli astratti,
è inevitabile che l’ascolto giochi un ruolo fondamentale sia nella composizione (e l’audio digitale in real
time offre oggi nuove possibilità), che nell’improvvisazione. Non possiamo dimenticare che le
esperienze musicali dell’ultimo secolo sono in buona parte legate a una grande attenzione nei confronti
della qualità del suono; si pensi alle ricerche musicali di Edgar Varése (in particolare al Poème électronique,
progettato per essere diffuso da circa 400 altoparlanti nel padiglione della Philips alla fiera di Bruxelles
•
Ibid., pp.73-74 (traduzione dell’autore).
K. Gann, No Such Thing as Silence. John Cage’s 4’33”, Yale University Press, New Haven & London 2011, p.20
(traduzione dell’autore). Nel suo libro, Gann traccia una storia del percorso artistico di John Cage, discute le possibili
interpretazioni del suo pezzo più celebre, e mette in evidenza i motivi per i quali è stato ed è ancora così influente sulla
musica e sulle arti contemporanee.
47
48
11
del 1958 [http://www.youtube.com/watch?v=M1AT8rI_A8M]), di Henry Brandt, di Charles Ives,
della musica concreta (Pierre Schaeffer e Pierre Henry cercavano di manipolare il suono
indipendentemente da come era stato generato, e la musica per loro era strutturazione del suono inteso
come ‘vocabolario della natura’), di Karlheinz Stockhausen (con il suo lavoro sull’elettronica e sul
posizionamento di musicisti e orchestre, talvolta in movimento) e degli spettralisti (Les Espaces
Acoustiques di Gérard Grisey costituisce una delle esplorazioni più complesse sui limiti - anche qualitativi
- dell’ascolto). E la quantità di musicisti - sempre più spesso anche sound artist, non a caso - che
condivide una simile attitudine cresce ad ogni generazione.
Nell’ambito delle relazioni più esplicite tra musica49, spazio e ambiente, può forse essere utile suggerire
una possibile classificazione in tre grandi categorie dai confini labili, che hanno l’unico scopo di
proporre una riflessione su approcci recenti alle questioni che qui ci interessano.
1. Musica ambient, o come ‘complemento d’arredo sonoro’. Tradizionalmente si ritiene che il prototipo
della musica concepita come sottofondo sonoro sia stata la musique d’ameublement (musica di
arredamento) di Erik Satie per una Sèance d’Avant-garde organizzata da Pierre Bertin e Félix Delgrange:
doveva fungere da ‘complemento d’arredo’ tra un atto e l’altro, come accompagnamento alle
chiacchiere che hanno sempre luogo tra gli spettatori durante gli intervalli teatrali. Scrive Ornella Volta
nelle note ai Quaderni di un mammifero: “si poteva leggere nel programma di sala che questa musica, destinata a
ricoprire i silenzi come le fodere ricoprono i mobili in letargo, aveva l’unico scopo di creare una vibrazione ed adempiva alla
stessa funzione della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme. Nell’intervallo di una commedia in due atti di Max
Jacob, Ruffian toujours, truand jamais, […] il pubblico era invitato «a passeggiare, parlare e bere», mentre i cinque strumentisti,
distribuiti ai quattro angoli della sala, oltre che in un palchetto sopraelevato, suonavano simultaneamente – ma non in
sincrono – alcuni motivi […] impaginati da Satie […]. Le reazioni del pubblico sono, però, deludenti. «Contrariamente alle
previsioni» racconterà Milhaud […]«gli spettatori si diressero rapidamente ai loro posti. Inutilmente Satie gridava: ‘ma
parlate, che diamine! Circolate! Non ascoltate!’. Tacevano. Ascoltavano. Tutto era perduto»”50.
• Satie non poteva immaginare che la sua incompresa provocazione sarebbe divenuta consuetudine, e che avrebbe
influenzato nei decenni a venire molta musica sia nell’ambito della ricerca, sia in quello commerciale. Buona parte della
new age o della chillout serve al più come ‘deodorante sonoro’, ovvero viene usata alla stregua di uno dei tanti profumi per
l’ambiente. E spesso funziona, è sufficiente a indurre la sensazione di benessere che si cerca, come dimostra lo stesso
successo dell’azienda Muzak.
• Raymond Scott51, uno dei più geniali musicisti e inventori del secolo scorso, ha prodotto nel 1963 tre dischi in vinile
raccolti sotto il titolo Soothing Sounds for Babies [suoni rilassanti per bambini]. Il primo volume era per bambini da 1 a 6
mesi, il secondo da 6 a 12, e il terzo da 12 a 18, e il committente di questo lavoro era il Gesell Institute of Child
Developement, oggi ancora attivo. Raymond Scott, impiegando strumenti elettronici di sua invenzione (come
Electronium e Clavivox), ha realizzato degli evocativi ‘giocattoli sonori’ per stimolare i neonati e gli infanti, partendo dal
presupposto che sono capaci di ascoltare più di quanto comunemente gli adulti ritengano
[http://www.youtube.com/watch?v=I2JtSlSffeU]. Come per le altre cose di questo musicista, si sa molto poco sulla
genesi di queste registrazioni52, ma anticipano concettualmente e musicalmente la definizione di ambient che darà Brian
Eno in Discreet Music53, il suo album seminale del 1975, e il cui brano omonimo sarà utilizzato negli anni seguenti in alcune
•
Come si è specificato all’inizio di questa sezione, con musica si intendono qui i suoni organizzati con lo scopo di
essere eseguiti dal vivo o riprodotti nelle sale da concerto, negli spazi pubblici, in quelli domestici, o attraverso cuffie e
auricolari.
50
E. Satie, Quaderni di un mammifero, a cura di O.Volta, Adelphi, Milano 1980, p. 237.
51 All’anagrafe Harry Warnow (1908 – 1994). Pare che abbia scelto il suo nome d’arte aprendo a caso un elenco
telefonico, e puntando il dito su di un nome qualunque.
52 Si vedano le note di copertina di Joachim Gurewitz nell’edizione in 3 CD dell’etichetta olandese Basta (1997).
53 Pubblicato da Editions EG.
49
12
sale parto per favorire il rilassamento delle gestanti. Eno racconta che, durante un periodo trascorso in ospedale, aveva
ricevuto la visita di un’amica che gli aveva portato in dono un LP di musica settecentesca per arpa. Dopo aver fatto partire
il disco si era accorto che il volume era troppo basso, e che uno dei due canali era fuori uso. Questa condizione, unita
all’immobilità forzata, gli aveva suggerito un modo ‘nuovo’ di ascoltare la musica, come una parte dell’ambiente, alla pari
del suono della pioggia o della presenza di una luce soffusa.
• La musica ambient è trasparente, permeabile, funziona a volumi bassi e modifica la percezione del luogo senza ‘coprirlo’, a
differenza di new age e chillout che sono opache, annullano le specificità sonore del luogo. Nei primi tra i suoi dischi ambient,
Eno metterà a punto delle strategie - ispirate in parte a quelle del minimalismo - per ‘perdere il controllo’ sulla
composizione che, stabilite delle regole (sulle diverse durate dei layer sonori, sull’altezza dei suoni, sui rapporti armonici,
…), diventa autogenerativa. La piacevolezza che ne deriva è conseguenza di una raffinata ricerca sulle qualità del suono e
sui rapporti armonici, come quando nel secondo lato di Discreet Music ‘decostruisce’ il Canone in re di Pachelbel secondo
tre diverse strategie, che possono però mantenere l’altezza, il timbro e la melodia dello svolgimento di ciascun singolo
strumento.
• I sottogeneri della musica ambient sono oggi innumerevoli grazie agli innesti con le attitudini musicali più disparate, dalla
classica contemporanea, all’elettronica ‘glitch’, all’improvvisazione elettroacustica, alla techno e così via, finanche al black
metal.
•
2. Musica come rappresentazione di un ambiente o di un paesaggio. Questa categoria contiene
un’ulteriore molteplicità di attitudini che sarebbe impossibile esplorare completamente in questa sede.
Ogni cultura umana, in ogni periodo storico, ha prodotto forme musicali che erano e che sono
strumenti di conoscenza e modelli dell’ambiente, del cosmo e del sistema di pensiero corrente. Nel
limitarsi a pochi esempi, possiamo considerare le trascrizioni dei canti degli uccelli ad opera di Olivier
Messiaen; le rappresentazioni ‘impressionistiche’ del paesaggio in Debussy; i lavori ispirati al paesaggio
artico di John Luther Adams (ma anche le sue Songbirdsongs, per flauto); il Ballet Mécanique (1924) di
George Antheil [http://www.youtube.com/watch?v=H_bboH9p1Ys], i cui protagonisti sono
strumenti meccanici (pianoforti automatici, sirene, motori d’aeroplano, e varie percussioni); il
rivoluzionario ma poco conosciuto ‘radiodramma’ The City Wears a Slouch Hat 54(1942) di John Cage e
del poeta Kenneth Patchen, in cui una vicenda cittadina veniva raccontata e ricostruita artificialmente
nei suoi aspetti sonori da un’orchestra (che si trovò impreparata di fronte alle idee rivoluzionarie di
Cage) e da altri oggetti; l’album Ambient 4: On Land (1982) di Brian Eno, in cui l’approccio concettuale
dei suoi precedenti lavori si attenua per lasciare spazio all’evocazione di paesaggi presenti nella memoria
del musicista, e che l’ascoltatore è invitato a completare con la sua immaginazione; Rothko Chapel (1971,
composta per l’omonima cappella interconfessionale in omaggio al pittore Mark Rothko) e tutti i lavori
del tardo periodo di Morton Feldman, troppo complessi e innovativi per essere trattati in questa sede;
l’album Sakuteiki55 del trombettista Arve Henriksen, ispirato all’omonimo trattato giapponese sui
giardini; e molta altra musica elettronica ed elettroacustica contemporanea, commissionata sempre più
di frequente per rappresentare o interpretare un paesaggio o un edificio, come nel caso di Kölner Brett56
dei To Rococo Rot, in cui ciascuna delle 12 tracce senza titolo corrisponde a uno dei 12 moduli di un
recente complesso residenziale costruito a Colonia.
•
La Cortical Foundation l’ha ripubblicato nel 2000 in un CD in edizione limitata, che racchiude anche il primo degli
Imaginary Landcsape, del 1939.
55 Pubblicato da Rune Grammofon nel 2001.
56 Pubblicato da Staubgold nel 2001.
54
13
3. Field recording, archivi sonori, e musica concreta. Il modo più immediato per conservare e studiare le
informazioni sonore di un paesaggio è quello di registrarle. Le primissime incisioni erano effettuate su
rulli di cera, e risalgono alla fine del XIX secolo: grazie ad esse, e a quelle che le hanno seguite,
possiamo riascoltare - nonostante i limiti delle attrezzature di registrazione e della conservazione dei
supporti - caratteristiche ambientali che altrimenti sarebbero state demandate al più ad essere
tramandate con descrizioni scritte.
Con il diffondersi di apparecchiature di registrazione digitali economiche e di buona qualità, e per
l’interesse che si va diffondendo nei confronti del paesaggio sonoro, negli ultimi due decenni si sono
moltiplicati i musicisti interessati alla ‘registrazione sul campo’; può essere utile soffermarsi su alcune
analogie57 tra i due strumenti di rappresentazione del paesaggio che riguardano più immediatamente
vista e udito, ossia fotografia e ‘fonografia’58 (con cui si intende il processo di ‘scrittura sonora’ di un
luogo). Entrambe dipendono da tecnologie che sono molto recenti, se relazionate alla storia
dell’umanità: da una parte l’apparecchio fotografico, dotato di obiettivi (ognuno dei quali implica una
diversa prospettiva) e pellicola fotosensibile o scheda di memoria digitale; dall’altra il registratore,
dotato di microfoni (ne esiste un’infinità di tipi, con caratteristiche paragonabili a lunghezza focale,
aberrazione, eventuale utilizzo di filtri) e supporto magnetico o digitale. Nonostante i ripetuti tentativi
di approssimarsi alla riproduzione di esperienze ‘oggettive’, è evidente che qualsiasi processo di
registrazione dipende da scelte specifiche dell’operatore, e c’è chi ha sviluppato un’abilità e una
sensibilità tali da farne un’arte, come nel caso dell’inglese Chris Watson59
[http://vimeo.com/12110936]. Come per la fotografia, la familiarità con gli strumenti e talvolta almeno
un po’ di manipolazione sono pressoché indispensabili per ottenere il risultato desiderato. Si ascolti un
disco come Tools60 di Giuseppe Ielasi, in cui ogni traccia è composta unicamente da suoni prodotti da
un oggetto d’uso comune (una padella, un elastico, e così via), da cui l’artista riesce ad estrarre
musicalità (pattern ritmici, accenni di melodie, …).
Gli antropologi e gli etnomusicologi hanno cominciato ad impiegare gli strumenti di registrazione fin da
quando li hanno avuti a disposizione, ma è soltanto a partire dalla fine degli anni ’60 che le registrazioni
ambientali sono entrate a far parte dei contesti della musica e dell’arte (in particolare a partire dalla land
art), come nei casi dell’archivio dei fiumi di Annea Lockwood61, e della mappa sonora di un isolato di
Milano di Dennis Oppenheim, riferita al momento in cui l’artista aveva eseguito la sua passeggiata e poi
installata in un museo, accompagnata da una sintetica descrizione del processo di produzione del lavoro
e da una mappa indicante l’area esplorata.
È doveroso ricordare brevemente anche il sampling (campionamento) e la manipolazione digitale62, che
hanno nella Musique concrète (musica concreta) un’antenata che è ancora più antica dei field recording a
scopo ‘artistico’ (in senso istituzionale): già negli anni ’40 Pierre Schaeffer aveva cominciato i suoi
esperimenti con suoni registrati su nastri magnetici, con l’obiettivo di riorganizzarli dando loro una
•
La prima potrebbe essere la seguente: in sanscrito, ‘luce’ (svar) e ‘suono’ (svara) hanno la stessa radice fonetica.
La parola phonography viene utilizzata anche da David Dunn in “Nature, Sound Art, and the Sacred”, cit., p.103.
59 Buona parte dei suoi lavori come sound recordist sono pubblicati dall’etichetta Touch. Prima di dedicarsi a questa
attività Watson aveva già lavorato come musicista, facendo parte dei Cabaret Voltaire.
60 Pubblicato da 12k nel 2010.
61 Cfr. Il progetto a lungo termine River Archive, e il CD A Sound Map of The Hudson River (Lovely Music, 1989).
62 Un progetto molto noto in quest’ambito è quello del duo dei Matmos, che nel 2001 ha pubblicato per la Matador
l’album A Chance to Cut is a Chance to Cure, il cui materiale di partenza è costituito in buona parte da registrazioni
audio di procedure mediche, come liposuzioni e interventi di chirurgia plastica.
57
58
14
nuova forma [http://www.youtube.com/watch?v=N9pOq8u6-bA]. Il suono diventava il principale
materiale da costruzione della musica, che per lui non aveva più bisogno di notazione né di esecutori.
L’influenza della musica concreta è stata ed è ancora enorme, come testimoniano i lavori di Luc Ferrari,
Bernard Parmegiani, Christian Marclay, e Lionel Marchetti.
Tornando per un istante alla questione iniziale, alla fine del suo libro Sound Art Alan Licht lascia il
lettore con una considerazione appassionata: “la musica parla all’ascoltare in quanto essere umano, con tutta la
complessità che questo comporta, ma la sound art, a meno che non si serva del discorso e della parola, parla all’ascoltatore
come a un essere vivente che abita il pianeta, e che reagisce al suono e all’ambiente nello stesso modo in cui farebbero molti
animali (con tutta la complessità che questo comporta)”63.
È evidente che le ‘categorie’ musicali appena proposte si trovano probabilmente più vicine al confine
con la sound art di quanto non lo sia la maggior parte della rimanente produzione musicale
contemporanea. Per quanto riguarda la terza categoria, appena discussa, le intersezioni sono chiare: i
field recording possono entrare in un museo per il loro valore documentario e concettuale, oppure
possono interagire con altri oggetti artistici arricchendone il senso, e comunque richiamano la nostra
attenzione sul suono dell’ambiente in quella sua complessità.
Può capitarci di trovare nelle gallerie, nei musei o in altri luoghi pubblici, come stazioni e aeroporti,
installazioni sonore ambientali che ne modifichino le qualità percepite, e che abbiano magari lo scopo
di rendere quegli spazi più gradevoli, o di fornirci delle informazioni, o di catturare la nostra attenzione
(il già citato Brian Eno si è cimentato spesso con simili commissioni). Anche in questi casi il suono può
essere complementare a un’installazione scultorea, luminosa, o - più in generale - ambientale in senso
lato. Talvolta il suono è prodotto dallo stesso sistema-ambiente progettato ad hoc, senza registrazioni,
computer né altoparlanti. Anche qui gli esempi potrebbero essere migliaia: gli ‘specchi sonori parabolici’
e i whispering tunnel sono presenti in molti musei della scienza, e stupiscono sempre per la loro capacità di
trasportare la voce in un punto lontano dove si trova un interlocutore, senza bisogno dell’elettronica;
fin dall’antichità si sono impiegate le forze degli elementi naturali, come il vento e l’acqua, per far
vibrare delle corde (come nelle arpe eoliche) o mettere in pressione l’aria nelle canne d’organo, come
per gli organi ad acqua (probabilmente inventati da Archimede nel III secolo a.C., e spesso installati
all’aperto) e nel celebre Sound Garden (1983) di Douglas Hollis a Seattle
[http://www.youtube.com/watch?v=H4Z2fqxkdvk]; e c’è poi una recente tradizione di sculture
sonore, come quelle realizzate da Harry Bertoia [http://www.ubu.com/sound/bertoia.html].
Un’installazione sonora può infine avere lo scopo di rappresentare un sistema complesso, partendo da
un suo modello o da dati di diversa natura, attraverso scelte artistiche e talvolta insieme musicali: è il
caso di Rainforest IV (1973) di David Tudor, dove il visitatore si muoveva all’interno di un ambiente
elettroacustico composto di oggetti-sculture che fungevano anche da altoparlanti, con le quali era
previsto un livello di interazione piuttosto semplice, ma coinvolgente ed efficace64
[http://www.getty.edu/research/tools/guides_bibliographies/david_tudor/av/rainforest.html].
Un
altro esempio è The Fragmented Orchestra di Jane Grant, John Matthias e Nick Ryan (2008-2009), in cui i
24 altoparlanti posizionati all’interno della galleria FACT di Liverpool erano collegati ciascuno a un
•
63
A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, cit., p. 218 (traduzione dell’autore).
64
Cfr. la registrazione del 1980 disponibile in LP su Edition Block-Gramavision, e il cd del 1998 su Mode.
15
diverso sito sul territorio britannico (musei, scuole, istituti di ricerca, una cattedrale, il Millennium
Stadium, …) [www.thefragmentedorchestra.com]. Il suono captato da microfoni veniva processato
sulla base di un modello della corteccia cerebrale umana ispirato a quello formulato del neuroscienziato
Eugene M. Izhikevich: quando il volume rilevato in un sito superava una certa soglia, per esempio
durante un evento, l’altoparlante corrispondente si accendeva; la complessità del modello si deve al
fatto che la mappatura sonora di ciascuno spazio interagiva con le altre all’interno della galleria, che era
perciò il ‘cervello’ dell’installazione. L’intervento di Carsten Nicolai del 2009 a Piazza del Plebiscito a
Napoli, che elaborava i dati raccolti dall’osservatorio vesuviano sui movimenti tellurici, fu un clamoroso
insuccesso per gli errori progettuali e per la banalità della proposta, ma esistono esempi eccellenti di
rappresentazioni sonore di ecosistemi complessi, come nel caso di The Place Where You Go To Listen
(inaugurata nel 2006) del già citato John Luther Adams, che si trova descritta nel modulo curato da
Agostino De Rosa: Nel suono, nella luce: appunti per una esegesi dei rapporti tra spazio architettonico, light art e
musica.5. Proposte per esperienze didattiche
Da quanto si è detto finora, risulta evidente l’importanza dell’educazione all’ascolto e all’interazione con l’ambiente, che
specialmente in età scolare può fornire strumenti conoscitivi fondamentali per comprendere la natura degli stimoli sonori a
cui i media sottopongono i ragazzi, e per sviluppare una cultura sia sonora - in senso lato - che musicale. Di seguito si
propongono alcuni suggerimenti per condurre esperienze didattiche in ambito scolastico, che possono essere estese a
piacere dagli studenti a casa, negli spazi pubblici (sia artificiali che naturali), e durante gli spostamenti, sia in compagnia che
in solitudine.
5.1. Esercizi di ‘pulizia dell’orecchio’ (ear cleaning) e di ascolto
5.1.1.
• The Poetics of Environmental Sound è un esercizio d’ascolto messo a punto da Pauline Oliveros, fondatrice del Deep Listening
Project, per i suoi studenti della University of California di San Diego. Queste sono le indicazioni (si consiglia di eseguirlo
dapprima in un ambiente chiuso non troppo rumoroso, come un’aula scolastica, una biblioteca o la propria camera da
letto):
“-Ascoltare l’ambiente per 15 o più minuti, purché si tratti di un tempo predeterminato. Utilizzare un timer, un
orologio o qualsiasi strumento adeguato per tenere sotto controllo questo lasso di tempo.
-Descrivere in dettaglio i suoni che si ascoltano (o si sono ascoltati) e cosa si prova (o si è provato) rispetto ad essi.
-Considerare sia i suoni interni che quelli esterni [rispetto all’ambiente in cui ci si trova].
-Non dimenticare che anche l’ascoltatore fa parte dell’ambiente.
-Esplorare i limiti di udibilità: il suono più alto, il più basso, il più forte, il più debole, il più semplice, il più
complesso, il più vicino, il più lontano, il più lungo, il più corto”65.
• Tra le annotazioni riportate dagli studenti di Oliveros si trova spesso dello stupore nel riconoscere presenze di cui non
avevano mai sospettato. Il silenzio non esiste, c’è sempre qualche suono ‘nell’aria’: si riescono ad ascoltare le proprie
palpebre che si chiudono e si aprono, e il proprio respiro; ogni luogo ha un suono caratteristico, e per un edificio spesso è
un mormorio lontano, magari quello dell’impianto di condizionamento, delle apparecchiature elettriche o dei dischi fissi
dei computer; ogni suono riporta alla memoria qualche situazione vissuta, e conseguentemente la disposizione d’animo è
influenzata dai suoni che vengono percepiti (consapevolmente o inconsciamente).
•
• 5.1.2.
•
65
P. Oliveros, The Poetics of Environmental Sound, in Software for People, Smith Publications 1983, riportato in The
Book of Music & Nature cit., pp.133-138.
16
Aprire la finestra e concentrarsi su un unico suono proveniente dall’esterno scelto a piacere, cercando
di indovinare quale sia la sorgente che lo produce e immaginando la sua forma, disegnandola. Cercare
di descrivere anche a parole le qualità del suono
prescelto (alto/basso, vicino/lontano,
denso/rarefatto, piacevole/sgradevole, confortante/inquietante, e così via). Verificare se sia possibile
riuscire a vedere dalla finestra la sorgente, o se sia invece fuori dalla portata della vista. Ripetere lo
stesso esercizio con gli occhi chiusi, cercando di individuare cosa cambi nella consapevolezza sonora
dell’ambiente, e anche nell’immaginazione di ciò che sta accadendo in tempo reale.
5.1.3.
Registrare con tipi diversi di microfoni ciò che avviene nell’aula, posizionandoli anche in punti distinti,
e poi riascoltare più volte le registrazioni, prestando attenzione alle differenze (vicinanza e lontananza di
suoni, spazialità, dettagli).
5.1.4.
Si propone l’ascolto e la discussione del pezzo di Alvin Lucier I Am Sitting In A Room66 (1969)
[http://ubumexico.centro.org.mx/sound/source/Lucier-Alvin_Sitting.mp3]: il compositore, seduto in
una stanza, aveva registrato il suono della propria voce mentre raccontava ciò che stava facendo:
“I am sitting in a room different from the one you are in now. I am recording the sound of my speaking voice and I am
going to play it back into the room again and again until the resonant frequencies of the room reinforce themselves so that
any semblance of my speech, with perhaps the exception of rhythm, is destroyed. What you will hear, then, are the natural
resonant frequencies of the room articulated by speech. I regard this activity not so much as a demonstration of a physical
fact, but more as a way to smooth out any irregularities my speech might have”.
[Sono seduto in una stanza, diversa da quella in cui siete seduti voi ora. Sto registrando il suono della mia voce mentre parlo,
e poi lo riprodurrò nella stanza più e più volte finché le frequenze di risonanza della stanza prenderanno il sopravvento, così
che ogni elemento riconoscibile del mio discorso, con l’eccezione forse del ritmo, sarà distrutto. Ciò che ascolterete, dunque,
sono le frequenze di risonanza naturali della stanza articolate dal parlato. Per me questa attività non è tanto una
dimostrazione di un fatto fisico, quanto un modo per smussare ogni irregolarità che può avere il mio discorso].
L’approccio di Lucier era prevalentemente concettuale, e nel suo discorso registrato aveva tralasciato di
sottolineare come le caratteristiche delle apparecchiature di registrazione e di riproduzione, oltre che il
loro posizionamento, fossero importanti almeno quanto l’acustica della stanza in cui si trovava.
Tuttavia, questo lavoro offre anche lo spunto per riflettere sulla musicalità del linguaggio, e si
potrebbero proporre esercizi in cui la lettura di testi da parte degli studenti (in particolare poesie)
venisse registrata e quindi riascoltata, al fine di analizzarne il ritmo, la melodia, l’estensione vocale e il
timbro, studiati in relazione alle qualità espressive della voce. A questo proposito può essere utile per
l’insegnante consultare i lavori di Alessandro Bosetti [come: http://www.youtube.com/watch?v=3-jQZYZHkI e http://www.youtube.com/watch?v=uaQKscr-F2A] e in particolare gli album Melgùn (1997,
Erosha), Zwölfzungen (2010, Sedimental) e Royals (2011, Monotype), oltre al suo canale su YouTube.
5.1.5.
Passeggiate sonore (soundwalk): nella loro forma più semplice si tratta di passeggiare all’aperto lungo un
itinerario stabilito (in città o in campagna, o misto), con il compito di prestare attenzione ai suoni che si
•
66
È facilmente reperibile la versione in CD pubblicata da Lovely Music nel 1993.
17
incontrano lungo il percorso. Le indicazioni d’ascolto proposte per gli esercizi precedenti possono
essere una guida anche per orientare gli studenti durante le passeggiate sonore. Si consiglia di chiedere
di riferire successivamente in un testo le loro descrizioni, e che l’insegnante effettui registrazioni audio
(anche soltanto con il microfono di un telefono cellulare, in mancanza d’altro) da riascoltare in classe e
da confrontare con i testi degli studenti [http://www.youtube.com/watch?v=Jn5svvMP-Mc].
Si considerino le implicazioni delle più complesse - anche sul piano concettuale - ‘Electrical Walks’ di
Christina
Kubisch
[http://www.goethe.de/ins/ee/prj/gtw/inf/en7724797.htm
e
http://www.cabinetmagazine.org/issues/21/kubisch.php] in cui i partecipanti indossano solitamente
cuffie dotate di dispositivi elettromagnetici, in grado di tradurre in suono la corrente elettrica presente
in moltissimi dispositivi, che si trovano specialmente in ambienti urbani.
• 5.1.6.
• Questo esercizio può essere utile per comprendere meglio l’influenza del suono e della musica sul nostro stato psicofisico
e sulle nostre pulsioni. Si scelga un luogo all’aperto (in città, in periferia, al mare, …) nel quale si trascorre
quotidianamente del tempo passeggiando, anche rincasando da scuola. Un lettore CD o mp3 accompagnerà per una o più
settimane le passeggiate (o le soste, per motivi di sicurezza) in quel paesaggio. Un giorno si ascolti della musica classica
orchestrale, un altro del free jazz dai ritmi sofisticati, poi il disco pop preferito o un cantautore che emozioni, quindi un
pezzo di una star televisiva del momento che si considera irritante, e infine un disco di musica ambient quieta e senza basi
ritmiche. Si provi anche a sperimentare cosa succede alzando o abbassando il volume.
• Mentre camminiamo (o sediamo) immersi nel suono, cerchiamo di registrare le nostre sensazioni, la nostra condizione:
come ci sentiamo fisicamente; di che umore siamo; se stiamo correndo o ci viene voglia di rallentare; se i suoni
dell’ambiente filtrano attraverso gli auricolari o se siamo totalmente isolati e immersi nel pezzo musicale; se ci viene
spontaneo guardarci attorno e soffermarci sul dettaglio di un edificio o di un albero, oppure il nostro sguardo vaga
irrequieto, o ancora si chiude sulla strada che stiamo percorrendo; se ci sentiamo a nostro agio nell’ambiente in cui ci
troviamo oppure ci trasmette inquietudine; se il paesaggio che ci circonda ci affascina oppure appare squallido; se i ritmi
dei passi e del respiro sono in armonia con quello della musica, e se il nostro cervello cerca di adattarli ad essa67. Basta
farci caso, e sarà facile attribuire a quello che stiamo ascoltando una parte – piccola ma importante – della responsabilità
del modo in cui ci sentiamo68, dell’atmosfera che ci sembra pervadere l’ambiente. Successivamente torniamo a passeggiare
senza auricolari, cercando di prestare più attenzione che in passato alla molteplicità di suoni presenti nel silenzio, per
scoprire nuove sfaccettature del luogo che abitiamo. Chiediamoci se avremmo voglia di avere della musica in sottofondo
per godere al meglio del momento e, se sì, quale.
•
5.2. Esercizi di ‘interazione sonora’ con il paesaggio e con gli altri
5.2.1.
Giocare (play in lingua Inglese significa anche ‘suonare uno strumento’) con le potenzialità espressive
degli oggetti più disparati: strofinandoli, percuotendoli, esplorando le loro possibilità espressive. Si
cominci con una sola persona alla volta, fino a far ‘suonare’ poi tutta la classe insieme. Provare a
•
67
Sulla relazione tra ritmo sonoro e sistema respiratorio e cardio-circolatorio si fondano antichissime pratiche magiche di
guarigione come recenti teorie musicoterapiche. Il suono dell’acqua (e del mare in particolare), che da sempre esercita
un fascino enorme sull’immaginazione, ha effetti benefici e rilassanti in virtù dei suoi armonici ma anche dei suoi micro- e
macro-ritmi. Il progetto The River Archive della compositrice Annea Lockwood, che si propone di registrare i suoni di
quanti più fiumi possibile nelle diverse condizioni, è stato suggerito dalla tradizione peruviana secondo la quale i fiumi
hanno poteri curativi. Nel descrivere il suo capolavoro Music for 18 Musicians, Steve Reich paragona i cicli degli
strumenti a fiato e delle voci a un respiro, che si stende periodicamente sul ritmo costante di pianoforte e percussioni,
come il riflusso delle onde sulla spiaggia (il respiro dell’uomo e il respiro del mondo).
68
E, viceversa, è facilmente verificabile come lo stato psico-fisico in cui ci troviamo influenzi la nostra percezione della
musica e dei suoni.
18
strutturare la performance ordinando il suono, costruendo ritmi, bordoni (drone), rapporti armonici tra le
altezze.
Come esempi delle potenzialità musicali di oggetti comuni si possono vedere le performance di The
Typewriter (1950) di Leroy Anderson [http://www.youtube.com/watch?v=jgDcacwgCoY], il celebre
cortometraggio svedese Music For One Apartment and Six Drummers (2001) [http://vimeo.com/7939104]
di Ola Simonsson, e Sound of Noise (2010) dello stesso regista.
5.2.2.
Far suonare gli stessi oggetti e strumenti dell’esercizio precedente in spazi diversi (in corridoio, in
bagno, nell’ingresso della scuola, all’aperto). Prestare attenzione a come cambia il suono, descrivendo le
differenze e interrogandosi sulle cause (dimensioni della stanza, materiali, presenza o assenza di arredi
fonoassorbenti). Ascoltare ciascun suono finché decade completamente, considerando dunque il variare
della durata a seconda del luogo in cui ci si trova, introducendo i concetti di riverbero e di eco. Qual è
lo spazio ritenuto più confortevole? Quale quello in cui ci si sente più inquieti? Cercare di comprendere
le ragioni dei propri stati d’animo (basandosi sul battito cardiaco e sul respiro, per esempio).
5.2.3.
Far improvvisare gli studenti prima a due a due, e poi coinvolgere progressivamente la classe intera,
utilizzando ancora sia gli strumenti sia altri oggetti a portata di mano. Dirigere la performance facendo
in modo che gli alunni ascoltino quello che stanno facendo i loro compagni e lo tengano in
considerazione; insegnare loro a cercare dei riferimenti per orientarsi, come il ticchettio dell’orologio a
parete, un metronomo, o suoni prodotti dall’insegnante.
• Periodicamente si possono aprire le finestre e, portando i ragazzi a suonare a volumi molto bassi (lavorando lentamente
sulle dinamiche, dal forte al pianissimo), suggerire loro di tenere a mente anche ciò che proviene dall’ambiente
esterno69.BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
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In lingua italiana
J. Cage, Lettera a uno sconosciuto (a cura di R.Kostelantz), Socrates, Firenze 1996 (1987)
J. Cage, Silenzio, ShaKe, Milano 2010
G. Chiari e G. De Simone, Giuseppe Chiari. Autoritratto, Nardini, Firenze 2008 (con DVD)
A. Colimberti (a cura di), Ecologia della Musica, Donzelli 2004
G. De Simone, Pietro Grossi. Il dito nella marmellata, Nardini, Firenze 2005 (con CD)
R. Favaro, Spazio sonoro. Musica e architettura tra analogie, riflessi, complicità, Marsilio, Venezia 2010
G. Giannone, Architettura e musica. Questioni di composizione, Caracol, Palermo 2010
M. Lenzi, L’estetica musicale di Morton Feldman, LIM/Ricordi, Lucca 2009
O. Sacks, Musicofilia, Adelphi, Milano 2008 (2007)
R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, LIM/Ricordi, Lucca 1985 (1977)
R. Paci Dalò, E. Quinz (a cura di), Millesuoni. Deleuze, Guattari e la musica elettronica, Cronopio, Napoli 2006.
M. Schneider, Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970
D. Toop, Oceano di suono. Discorsi eterei, ambient sound e mondi immaginari, Costa & Nolan, Genova 1999 (1995)
In lingua inglese
B. Blesser & L.R. Salter, Spaces Speak, Are you Listening? Experiencing aural architecture, The MIT Press 2007
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Sono a grato a Enrico Malatesta per gli insegnamenti del suo workshop sul dettaglio sonoro, dai quale provengono le
idee per questo esercizio.
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D. Dunn, Why do Whales and Children Sing?: A Guide to Listening in Nature, EarthEar, Santa Fe 1999 (con CD)
K. Gann, No Such Thing as Silence. John Cage’s 4’33”, Yale University Press, New Haven & London 2011
S. Goodman, Sonic Warfare. Sound, Affect, and the Ecology Of Fear, The MIT Press, Boston & London 2010
B. LaBelle & S. Roden (edited by), Site of Sound: of Architecture & the Ear, Errant Bodies Press with Smart Art Press, Los
Angeles 1999 (con CD)
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E. Martin (edited by), Architecture as a Translation of Music (pamphlet Architecture 16), Princeton Arch. Press 1994
W.A. Mathieu, The Listening Book, discovering your own music, Shambhala Publications, Boston & London 1991
D. Rothenberg & M. Ulvaeus (edited by), The Book of Music and Nature, Wesleyan University Press, Middletown 2001 (con
CD)
T. Takemitsu, Confronting Silence, Fallen Leaf Press, Berkeley 1995
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