N° 11 - NOVEMBRE 2014 - CHESHVAN 5775 • ANNO XLVIII - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma MEDIO ORIENTE ISRAELE ITALIA IL TERRORISMO SI VINCE AFFRONTANDOLO DIFENDERE LO STATUS QUO GETTITO OTTO PER MILLE בס’’ד SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Non c'è Shabbat senza challà Le ragioni per un giorno di riposo Chi sei popolo ebraico? FOCUS www.positivoagency.com LASCIA UN BUON SEGNO TESTAMENTI I progetti di Lasciti e Donazioni danno pieno valore alle storie personali e collettive degli amici del popolo ebraico. Un testamento è una concreta possibilità per aiutare oggi e domani l’azione del Keren Hayesod. FONDI Il nostro buon nome dipende dalle nostre buone azioni. Un fondo a te dedicato o alla persona da te designata, è la migliore maniera di lasciare una traccia duratura associandola ad un ambito di azione da te prescelto. I temi ed i progetti non mancano. Una vita ricca di valori lascia il segno anche nelle vite degli altri. Nel presente e nel futuro. PROGETTI Il KH ha tanti progetti in corso, tra gli altri; progetti per Anziani e sopravvissuti alla Shoah - Sostegno negli ospedali - Bambini disabili - Sviluppo di energie alternative - Futuro dei giovani - Sicurezza e soccorso - Restauro del patrimonio nazionale. Progetti delicati, dedicati, duraturi nel tempo. Di cui sei l’artefice. Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891 Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare maggiori informazioni in assoluta riservatezza Enrica Moscati - Responsabile Roma Tu con il Keren Hayesod protagonisti di una storia millenaria KEREN HAYESOD Milano, Corso Vercelli, 9 - Tel. 02.4802 1691/1027 Roma, C.so Vittorio Emanuele 173, - Tel. 06.6868564 Napoli, Via Cappella Vecchia 31, tel. 081.7643480 [email protected] EDITORIALE È una condizione molto sgradevole quella di trovarsi in un angolo, con le spalle al muro. Non vi sono vie di fuga, l’unico modo per uscire dall’impasse è uno scatto in avanti, forte, veloce, però non senza rischi. Questa metafora si adatta alla situazione che Israele sta vivendo. Non è una condizione militare: da quando lo Stato ebraico fu fondato è sempre stato accerchiato da paesi e popoli o dichiaratamente nemici, o tiepidamente dialoganti. Da un punto di vista della ‘sicurezza’ quindi nulla di nuovo, se non per il fatto che i nemici di Israele sono oggi molto più forti, dispongono di armi sofisticate – anche non convenzionali – sono animati non da un desiderio di riconquista delle terre, non di riparare a torti subiti, ma sostenuti da una ideologia religiosa che non concede spazi di dialogo o compromessi con “l’entità sionista”. Il progetto di Hezbollah, Hamas, Fratelli Musulmani, Isis, jihadisti, ayatollah iraniani è assolutamente semplice: non c’è spazio per Israele nella terra della Mezzaluna, gli ebrei possono vivere come ‘dimmi’ (cittadini protetti ma con minori diritti), ma lo Stato degli ebrei deve essere cancellato, che sia al di là o al di qua della cosiddetta linea verde del 1967. Il radicalismo islamico, con forti componenti anche nella società palestinese, non si accontenta della riconquista della terra persa a seguito della Guerra dei sei giorni, ma mira alla conquista di tutta la terra persa con la caduta dell’Impero Ottomano. Questa aspirazione – che diventa per i musulmani radicali, una jihad, un comandamento divino – non può conoscere compromessi, non può essere oggetto di trattativa, tutt’al più di una ‘hudna’, una tregua, che viene accolta solo in una chiave tattica (come insegna il Corano: l’hudna si accetta unicamente quando si è in condizioni di inferiorità; può essere rotta in qualunque momento e serve unicamente a riarmarsi per portarsi in condizione di superiorità e riprendere il combattimento). In questa situazione senza alternative, con Hamas che lentamente si riarma beneficiando di milionarie elargizioni dei Paesi Arabi del Golfo e con l’Isis che annuncia l’istituzione del califfato nel Sinai come "il primo passo sulla strada dell'invasione di Gerusalemme", ci si può meravigliare che le trattative israelo-palestinesi siano ferme? E’ palese e comprensibile che Israele non si fidi e voglia le garanzie e la sicurezza che la cessione di nuovi territori anziché portare la pace, non rafforzi gli estremisti islamici. Ci si aspetterebbe quindi che il mondo – anche davanti alle immagini delle violazioni dei diritti umani e della violenza senza freni, a Gaza come in tutti i Paesi islamici – comprendesse le preoccupazioni del governo israeliano. Sembrerebbe persino ovvio che le diplomazie internazionali premessero sull’Autorità palestinese perché prenda le distanze dalle violenze, dal terrorismo e dalla invocazione di una guerra santa per liberare la spianata delle moschee a Gerusalemme. Invece Israele viene accusata – anche dal suo principale alleato americano – di essere paurosa, di non avere il coraggio di fare la pace (l’amministrazione Obama ha addirittura definito Nehanyahu un "chickenshit", una ‘cacca di gallina’, un "codardo" che pensa solo alla sua sopravvivenza politica). È questo il vero angolo nel quale Israele è stato schiacciato: incapace a spiegare le sue ragioni, vive un crescente isolamento internazionale, ed è costretto ad assistere al successo di una diplomazia palestinese che porta a casa crescenti riconoscimenti, senza pagare alcun prezzo alla trattativa, senza dover dare nulla in cambio. La Palestina infatti ormai esiste, esiste dal 2011 per l’Unesco, dal 2012 per l’Onu come stato osservatore, esiste per 138 Stati fra cui la Svezia. E non basta davanti a questo processo di riconoscimento ‘gratuito’ – fatto senza stabilire, come la logica vorrebbe, quali saranno i confini tra i due stati – a questa enorme pressione che Israele subisce, liquidare la situazione con una battuta, come ha fatto il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che alla decisione di Stoccolma ha così reagito: "Il governo svedese deve comprendere che le relazioni in Medio Oriente sono più complicate del montaggio dei mobili di Ikea e che occorre agire in questo settore con responsabilità e sensibilità". È da questo angolo diplomatico che Israele deve saper uscire, rompendo l’accerchiamento, imponendo una sua agenda e una sua opzione. Dall’angolo si può e si deve uscire ma occorrerà forza e determinazione. SHALOMשלום COPERTINA C’È UN TEMPO PER IL SACRO E UNO PER IL PROFANO 4 5 6 JONATAN DELLA ROCCA L’ALTRO ZACHÒR SHALOM HAZAN SABATO: VIETATO LAVORARE. MA È UN GIORNO PROPRIO DI RIPOSO? MICOL ANTICOLI MEDIO ORIENTE IL TERRORISMO ESISTE DA ANNI, EPPURE NON LO SI VUOLE RICONOSCERE 10 FIAMMA NIRENSTEIN 12 14 DIFENDERE LO STATUS QUO È LA SOLA SOLUZIONE UGO VOLLI L’EUROPA E IL MEDIO ORIENTE: UNA POLITICA ESTERA DI TANTE PAROLE E ZERO AZIONI GIORGIO ISRAEL 15 IL TERRORISMO SI VINCE AFFRONTANDOLO E NON SCAPPANDO CLELIA PIPERNO ISRAELE ISRAELE O BERLINO? LA SFIDA DEL BUDINO 16 ARIEL DAVID PENSIERO I FALSI EROI CHE PIACCIONO ALLA GENERAZIONE DEI NUOVI STORICI 19 ANGELO PEZZANA 20 22 25 CHI SEI POPOLO DI ISRAELE? MICHAEL LAITMAN OLTRE I CONFLITTI DAVID MEGHNAGI QUEGLI EBREI FUGGITI DALL’ITALIA MA CON L’ITALIA NEL CUORE ALESSANDRA FARKAS Foto di copertina: Rebecca Mieli NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Israele in un angolo 3 COPERTINA C'è un tempo per il sacro e uno per il profano NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 S 4 Il significato del riposo dal lavoro come liberazione dalle catene del tempo habbat rappresenta il paradigma del tempo sacro. È il giorno destinato alla famiglia, al riposo e alla spiritualità, lontano dalla quotidianità professionale dei restanti sei giorni. Una delle parole più eminenti "Kadosh" - scrive Abraham Joshua Heschel, viene usata per la prima volta nella Genesi, alla fine della storia della Creazione: "D-o benedisse il settimo giorno e lo santificò". Nel racconto della creazione a nessun oggetto dello spazio viene attribuito il concetto di santità, solo al concetto di tempo sabbatico. Tanto inchiostro è stato dedicato dalla tradizione rabbinica a ciò. Mentre gli studi scientifici, a cominciare dalla sociologia applicata al concetto di tempo, hanno approfondito le teorie scientifiche sulla distinzione tra tempo sacro e tempo profano: da Emile Durkheim, uno dei padri della sociologia, passando per Norbert Elias, fino ad arrivare, tanto per citarne alcuni tra i più importanti, agli studi di Mircea Eliade, Erich Fromm ed Eviatar Zerubavel. Nei loro studi hanno messo in rilievo il concetto di tempo non visto solo come una entità omogenea quantitativa, ma come abilità socioculturale di distinzione tra diverse qualità di periodi di tempo. Lo stesso Durkheim, nella sua analisi dell'organizzazione sociale della vita religiosa, ha sottolineato la fondamentale divisione bipartita del tempo in due parti distinte, reciprocamente esclusive, essendo l'una dedicata all'attività profana di ogni giorno, e l'altra consacrata al culto. Così scrive Durkheim nella sua opera fondamentale "Le forme elementari della vita religiosa": "…l'aspetto caratteristico del fenomeno religioso è il fatto che esso presuppone sempre una divisione dell'universo conosciuto e conoscibile in due generi che comprendono tutto ciò che esiste, ma che si escludono radicalmente. Le cose sacre sono quelle protette e isolate dalle interdizioni; le cose profane sono invece quelle a cui si riferiscono queste interdizioni, e che debbono restare a distanza dalle prime. Non esiste nella storia del pensiero umano un altro esempio di due categorie di cose tanto profondamente diverse, tanto radicalmente opposte l'una all'altra. L'opposizione tradizionale tra il bene e il male non è nulla al confronto… Il sacro e il profano sono stati sempre e ovunque concepiti dallo spirito umano come generi separati, cioè come due mondi tra cui non c'è nulla in comune ". Il calendario ebraico è denso di questa contrapposizione tra tempo sacro e profano: i sei giorni della settimana in rapporto al settimo giorno, il tempo specifico per l'esercizio del sacerdozio e lo stesso tempo consacrato al lavoro distinto dal tempo vano, profanazione del dono vitale divino. Lo Shabbat è il collegamento con la creazione del mondo, dove D-o dopo i sei giorni della Genesi, si è astenuto nel giorno successivo dal compiere qualsiasi opera. Scrive Erich Fromm: "La Bibbia nella sua concezione del Sabato fa un tentativo completamente nuovo di risolvere il problema: arrestando ogni intervento nella natura per un giorno il tempo è eliminato; dove non c'è mutamento, né lavoro, né intromissione umana, non esiste tempo. Invece di un Sabato in cui l'uomo si inginocchia davanti al Signore del tempo. Il Sabato biblico è il simbolo della vittoria umana sul tempo... Il Sabato è il simbolo di uno stato d'unità fra l'uomo e la natura e fra uomo e uomo. Non lavorando - cioè non partecipando al processo del cambiamento naturale e sociale - l'uomo è libero dalle catene del tempo, anche per un solo giorno alla settimana". In questa osservanza dettata nella Torah, gli ebrei hanno mantenuto ininterrottamente nel corso della storia questo filo che parte dalla Creazione per legarsi al tempo messianico, di cui, come afferma il Talmud, il settimo giorno è il suo anticipatore spirituale. Come nota il sociologo Zerubavel, nello Shabbat non vi è mai interruzione del tempo della Creazione, infatti la tradizione rabbinica definisce il settimo giorno nel suo arrivo "Moavé Sciabbat" - l'arrivo del Sabato e la partenza con "Mozzé Shabbat" - l'uscita del Sabato, non usando erroneamente i termini inizio e fine. Perché il vero inizio per l'ebraismo è stato il primo Shabbat della Creazione del mondo. JONATAN DELLA ROCCA Abraham Joshua Heschel ha dedicato al significato dello Shabbat una delle sue più belle e conosciute opere letterarie "I l Sabato", scritto da Abraham Joshua Heschel, rimane una pietra miliare della saggistica ebraica. Uscito nei primi anni Settanta e tradotto in italiano da Elena Mortara Di Veroli, è l'opera che ha diffuso al di là della cerchia degli addetti ai lavori composta da rabbini e teologi, studiosi e curiosi, i concetti basilari che si nascondono nell'osservanza del settimo giorno. L'abilità di Heschel, che è stato per tanti decenni professore di etica e mistica ebraica al Jewish Thelogical Seminary di New York, è stata di aver descritto il messaggio rabbinico in maniera chiara e semplice, iniziando un filone di letteratura biblica su temi che fino ad allora non raggiungevano le grandi masse. E' a lui che dobbiamo la divulgazione del concetto che "l'ebraismo è una religione del tempo che mira alla santificazione del tempo", tale da fargli affermare "Lo spirito mitico si aspetterebbe che dopo aver fondato il cielo e la terra, D-o creasse un luogo sacro - una montagna o una fonte sacra - sul quale erigere un santuario. Invece sembra che per la Bibbia conti più di tutto la santità del tempo, il Sabato". Su questa strada interpretativa Heschel descrive nei diversi capitoli dell'opera il concetto del Sabato ebraico inteso come "il dono più prezioso che l'umanità abbia ricevuto dal tesoro di D-o". Da qui con sensibilità e competenza, ricordiamo che l'autore proveniva da una illustre famiglia ebraica ortodossa di grandi chassidim, imparen- L'altro Zachòr Lo Shabbat contrapposto ad Amalek, ovvero due modi diversi di ricordare tata con le più famose dinastie di Tzaddikim dell'Europa orientale, nelle diverse pagine coglie il significato sabbatico, "quale giorno di astensione dal lavoro, non è deprezzamento ma valorizzazione del lavoro, una divina esaltazione della sua dignità. Ti asterrai dal lavoro il settimo giorno, è il seguito del comandamento "Per sei giorni lavorerai e farai tutta l'opera tua; ma il settimo giorno è Sabato dinnanzi al Signore D-o tuo'. Come ci viene comandato di osservare il Sabato, così ci viene comandato di lavorare". Così riesce a trasmettere al lettore il significato sabbatico nel concetto storico dell'uomo di ogni tempo immerso nel travaglio quotidiano della società di appartenenza che ritrova nello Shabbat "la nostra sorgente e il nostro punto d'arrivo giorno di indipendenza dalle condizioni sociali". Nell'articolazione esistenziale della presenza di un giorno settimanale che pone unica la relazione Uomo-D-o, Heschel integra midrash e Bibbia, commento a narrazione, in un mosaico che esalta il messaggio divino alla portata e alla comprensione del lettore. Tutta l'opera è permeata da una visione dello Shabbat come intuizione dell'eternità che viene offerta all'ebreo quale assaggio della vita messianica, in cui ritrova la sua identità originaria. J.D.R. essendo i due in netta contrapposizione. Non possono, come dice il Midrash, coesistere. Torniamo alla citazione. "Gli rispose Moshè: Non si può paragonare un bicchiere di conditum (vino speziato) a un bicchiere di aceto; tuttavia questo è un bicchiere e quello è un bicchiere. Ricorda per osservare e santificare il giorno dello Shabbàt come è detto 'ricorda il giorno dello Shabbàt per renderlo sacro' e questo [Amalèk] è ricordato per essere punito". Forse, per approfondire, si potrebbe suggerire che nella sua risposta Moshè voleva delucidare che esistono due modalità di zachòr-ricordo. Ci sono alcune cose che si ricordano con piacere ed entusiasmo ed è questo il tipo di ricordo da applicare allo Shabbàt. Altri ricordi vanno tenuti molto fortemente per il timore di non decadere in un certo tipo di comportamento o di mentalità, ma sono ricordati per essere evitati e quindi il ricordo pur essendo d'obbligo non è piacevole ed entusiasmante. Il Midrash sceglie l'esempio del vino speziato (una bevanda molto pregiata all'epoca) e l'aceto. E' ovvio che il vino è il liquido preferibile tra i due ed è quello che è consumato con piacere. A volte però bisogna consumare l'aceto, come medicinale (come veniva adoperato) o quant'altro, ma non è certo un'esperienza piacevole. Il ricordo-zachòr dello Shabbàt è quello che si mette in atto con entusiasmo, con gioia e con piacere. Il ricordo di Amalèk, d'altro canto, lo si tiene per forza maggiore: bisogna ricordare anche che c'è chi nega il Creatore e bisogna guardarsi dal cadere in quella trappola. Nella società odierna siamo più abituati a sentire lo "zachòr" legato al male, alla Shoah, che lo "zachòr" dello Shabbàt. E' chiaro però che l'ebraismo vivrà sulla base di esperienze positive e ricordi piacevoli. Mentre lo "zachòr" di Amalèk è anch'esso una mitzvà, è opportuno tenere presente che ci ricorda cosa non fare. Lo "zachòr" dello Shabbàt, invece, è quello positivo e quindi quello sul quale dovrebbero concentrarsi la maggior parte delle nostre forze. "Zachòr" per continuare ad esistere ebraicamente! SHALOM HAZAN Direttore di Chabad-Lubavitch di Monteverde (Tempio Colli Portuensi, Gan Rivkà) L'idea principale dell'articolo è adattata dall'opera Likuté Sichòt del Rebbe di Lubavitch NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 "Z achòr! - Ricorda!" Parola che conoscono in molti per le connotazioni legate al ricordo del passato, alle sofferenze subite dal popolo ebraico e soprattutto alla Shoah. Questo "zachòr" è appunto molto conosciuto ma vi è anche un altro zachòr. Narra un'antica fonte (Pirké deRabbì Eli'èzer): Moshè disse "Ricorda ciò che ti fece Amalèk per la strada quando sei uscito dall'Egitto". Gli ebrei gli dissero: «Moshè Rabbènu, un verso dice "zachòr-ricorda ciò che ti fece 'Amalèk" e un altro verso dice "zachòr-ricorda il giorno dello Shabbàt per renderlo sacro"; come potranno coesistere entrambi? Questo zachòr e quel zachòr?» I maestri spiegano il senso della domanda. Effettivamente è come se il Midrash dicesse che tra questi due ricordi vi è una contraddizione di base. Lo Shabbàt rappresenta la fede in D-o che ha creato il mondo in sei giorni e il settimo giorno per il riposo, come indicato nella Torà stessa e nella liturgia dello Shabbàt. Amalèk, d'altro canto, rappresenta il negare la presenza divina nella peggiore delle maniere, quella deliberata e voluta. I precetti della Torà possono essere suddivisi in tre categorie generali quali quelli da mettere in atto concretamente, quelli legati invece alla parola e quelli che rimangono nel mondo del pensiero. Il ricordo, il precetto di "zachòr", appartiene a quest'ultima categoria visto che, a parte gli aspetti concreti dei relativi precetti, l'invito è proprio a ricordare e quindi di mantenere in mente un pensiero o, meglio, un modo di pensare. Da qui nasce il problema. A quale di questi due "ricordi" bisogna dedicare il proprio pensiero, la propria concentrazione e meditazione? Bisogna dedicare più energia a ricordare il Sign-re oppure a ricordare chi Gli si contrappone? Certo, bisogna ricordare Amalèk per poter cancellare il suo nome (ovvero il suo effetto) ma alla fine ci si occupa di chi si contrappone a D-o! Inoltre, se ci si concentrasse su questo tipo di ricordo si verrebbe sicuramente a minimizzare la concentrazione sull'altro 5 COPERTINA Sabato: vietato lavorare. Ma è un giorno proprio di riposo? Bisogna chiarire il concetto di lavoro faccia tutti i piani da solo senza l'intervento di un ebreo può essere preso, e poi il complicato concetto del goy per lo shabbat. Chi davvero abbia voglia di comprendere l'essenza di questo fantastico regalo divino, si sciolga da tutti questi concetti, dai dubbi e dai dettagli, e si prepari a salire spiritualmente un gradino. Quelli che seguono sono soltanto spunti di riflessione su un concetto così F iumi di inchiostro, lunghi trattati, interi libri ed articoli per tentare di spiegare cosa sia lo Shabbat e quale sia il suo significato più profondo. La verità è che se ne possono tracciare linee guida e disegni sfocati, ma soltanto chi lo celebra come D-o comanda (e stavolta non è un modo di dire) può comprendere realmente perché i saggi parlano dello Shabbat come di un dono che Hashem ha voluto fare all'uomo. Definirlo "il giorno del riposo" - questa è l'espressione che si sente più spesso da chi cerca di spiegare cosa sia il sabato ebraico - appare estremamente riduttivo, almeno fintanto che non si capisca la vera accezione di riposo per l'ebraismo. Di Shabbat l'ebreo, dopo una dura settimana di lavoro, è costretto a farsi chilometri a piedi se ad esempio non ha un tempio vicino casa o dovrà farsi decine e decine di gradini a piedi se abita al quarto o al quinto piano; dunque, non era questo il giorno del riposo? Non merita forse un lavoratore o una donna che abbia sgobbato per sei giorni, di prendere la macchina o l'ascensore? Prima di rispondere, vediamo ancora qualche altro aspetto dello Shabbat che non quadra ai più diffidenti. Di sabato ci caliamo in uno spirito che viene considerato l'eccesso dell'anacronismo: nel 2014, nell'era digitale, quella in cui i bambini insegnano ai grandi come usare gli strumenti tecnologici che tutti hanno in casa, ci si astiene addirittura dall'utilizzare un interruttore per accendere la luce. Perché, avevano forse l'elettricità i nostri avi quando D-o ordinò di rispettare lo Shabbat? Terzo ed ultimo punto da chiarire: come la si mette con quegli escamotage, con quelle regole che sembrano aggirare le norme più che rispettarle? A Roma non si può trasportare ma a Yerushalaim si; le chiavi di casa possono essere trasportate solo se diventano parte essenziale di una cinta, in modo che se si levasse soltanto una chiave, si spezzerebbe la catena; l'ascensore che Quando l'"altro" entra in casa di Shabbat I non ebrei, alcuni anche personaggi famosi, che sono chiamati a svolgere lavori che gli ebrei non eseguono per rispetto del riposo sabbatico NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 G 6 eneralmente un ebreo non può chiedere ad un non ebreo di compiere alcuni tipi di lavori creativi (melachot) che halachicamente sono vietati a lui stesso durante lo Shabbat. Tuttavia esistono contesti e realtà halachiche dove il lavoro di un goy di shabbat è permesso, non in virtù di un raggiro della halachà, ma proprio perché la logica della normativa ebraica lo permette. Elementi che permettono il lavoro svolto da un non ebreo durante lo Shabbat e le feste sono per esempio il tipo di contratto con il quale il non ebreo è inquadrato, l'assenza diretta di un beneficio per il lavoro che il non ebreo svolge di Shabbat, il tipo di lavoro che egli compie, se vietato dalla Torà o per decreto rabbinico: insomma molte sono le logiche e le riflessioni halachiche che possono portare all'esistenza di quello che in yiddish veniva chiamato lo "shabbos goy", il goy di Shabbat. Quindi per poter assumere uno shabbos goy dobbiamo per forza di cose porre domande ad un rabbino. Guardando alla storia degli shabbos goym scopriamo nomi interessanti e personaggi famosi di grande livello che per una parte della loro vita hanno lavorano tra le pieghe della santità vasto che è bene approfondire con l'aiuto di un rabbino e con lo studio dell'Halachà, l'insieme di leggi pratiche che regolano la vita di ogni ebreo. Un concetto fondamentale per comprendere lo Shabbat è quello della Menuchà, del riposo; se pensiamo ad un uomo o ad una donna che svolgono lavori pesanti fisicamente, come il contadino o l'operaio, cogliamo subito quale sensazione di sollievo possano trovare astenendosi dal lavoro, ma per un notaio che ogni giorno prende la macchina per recarsi in ufficio, o per un politico con l'autista, il sabato potrebbe rivelarsi addirittura più impegnativo degli altri giorni. Questo avviene perché il riposo dello Shabbat è prima di tutto un riposo spirituale e psicologico; è un calarsi in una dimensione distante dalla materia, un lasciarsi alle spalle i problemi legati al mondo materiale, per poi riprenderli all'inizio della del giorno dello Shabbat. Il generale Colin Powell, Segretario di Stato americano dal 2001 al 2005 è stato uno shabbos goy durante i suoi anni giovanili, così come il politico italo americano Mario Cuomo, governatore di New York dal 1979 al 1982, il regista Martin Scorsese e persino il grande Elvis Presley. In una realtà americana ed in special modo newyorkese dove i confini tra i quartieri italiani, ebraici, irlandesi fino agli anni del 1970 erano netti eppure così deboli l'osmosi culturale ed i punti di incontro tra ebrei e non ebrei hanno prodotto anche questa intimità quotidiana della quale lo shabbos goy è un prodotto. Perché di fatto lo shabbos goy non è solo una dimostrazione halachica di riflessione ed influenza rabbinica rispetto ad alcune esigenze pubbliche di sicurezza o di gestione del riscaldamento di una sinagoga o di un luogo di culto, bensì lo shabbos goy è un'intima presenza che gode la fiducia totale della comunità che lo assume e che dà a lui, di Shabbat, pieni poteri sulla cosa pubblica ebraica, sui locali comunitari, sul bene comunitario stesso. Sono certo che nella memoria di molti ebrei italiani, specie di quelli nati in piccole o medie comunità, esiste l'immagine dello shabbos goy-portiere-manutentore-aiutante che apriva o apre il cancello elettronico di Shabbat, che accende il riscaldamento del Tempio, che conosce tutti ed è conosciuto da tutti in una osmosi affettiva che va ben oltre le competenze rabbiniche. Forse lo shabbos goy è il vero punto di contatto tra una realtà ebraica ed una realtà non ebraica, perché ci si incontra quando la prima chiede aiuto e la seconda offre il proprio lavoro ben cosciente di avere un ruolo che seppur tecnico sale in alto, molto in alto. P. P. P. Le 39 Melachot, i lavori proibiti di sabato 1 Arare 2 Seminare 3 Mietere 4 Formare covoni 5 Trebbiare 6 Ventilare (le biade) 7 Selezionare 8 Setacciare 9 Macinare 10 Impastare 11 Cuocere 12 Tosare 13 Sbiancare 14 Pettinare filati greggi 15 Tingere 16 Filare 17,18,19 Operazioni di tessitura 20 Separare in fili 21 Fare un nodo 22 Disfare un nodo 23 Cucire 24 Strappare 25 Tendere trappole o cacciare 26 Macellare 27 Scuoiare 28 Conciare pelli 29 Levigare pelli 30 Rigare 31 Tagliare secondo forma determinata 32 Scrivere 33 Cancellare 34 Costruire 35 Demolire 36 Accendere il fuoco 37 Spegnere il fuoco 38 Dare l’ultimo colpo di martello a un oggetto di nuova costruzione 39 Portare oggetti da una proprietà privata a una pubblica (o viceversa) fare, non lo può fare oggi, come non poteva farlo nell'antichità, quando lo schiavo era considerato un oggetto senza alcun diritto. È davvero così difficile cogliere la grandezza del concetto sabatico? Nonostante tutte le splendide spiegazioni sociali e spirituali che possiamo trarre dalle lezioni dei maestri sullo Shabbat, sarebbe comunque una mancanza di serietà non ricordare che la prima ragione per cui gli ebrei debbano rispettare l'astensione sabatica da ogni opera, è che si trova scritto sulla Torah. A questo non si sfugge; si possono ricercare tutte le ragioni, dalle più profonde alle più superficiali, ma i saggi insegnano "Naasè ve nishmà" fai, osserva, e soltanto dopo cerca di capire e approfondisci. Passando quindi all'atto pratico, alla base dell'osservanza dello Shabbat vi è il concetto di Melachà, cioè l'opera da cui ci si deve astenere. Nella Torah scritta si legge ל ֹא ַתעֲ ֶש ׂה כָ ל ְמ ָלאכָ ה, non farai nessuna opera, ma che cosa si intenda per opera e quali siano le regole pratiche per rispettare lo Shabbat in modo corretto, si scopre soltanto attraverso lo studio dell’Halachà, parte fondamentale della Torah orale. Le "attività" (Melachot) da cui ci si deve astenere di sabato sono 39 e sono strettamente legate alla costruzione del Mishkan, il Santuario costruito nel deserto che conteneva le Tavole della Legge; da queste, la tradizione orale ha poi sviluppato le minuziose regole per vivere lo Shabbat in maniera corretta anche ai giorni d'oggi. È evidente che con il passare dei secoli i Maestri abbiano dovuto affrontare la questione del progresso e dello stile di vita moderno e dove si può si agevola l'osservanza, ma chi pensa di poter giudicare le decisioni rabbiniche con la razionalità di chi non ha mai studiato i lunghi trattati di Mishnà, è davvero fuori strada, tanto che è impossibile in questo stesso articolo, addentrarsi nel merito delle Halachot di Shabbat. Chiunque voglia provare in ogni caso ad immergersi nell'atmosfera sacra del settimo giorno, si renderà conto che davanti a quella sensazione di libertà e di Menuchà, ogni dubbio sulla sensatezza del rispetto del sabato sfuma per dare spazio ad una sola grande verità: che Shabbat è il miglior regalo che D-o potesse fare all'uomo e alla donna, perché ne hanno entrambi un grande bisogno. Al giorno d'oggi più che mai. MICOL ANTICOLI ANNGIGLI LAB RE - INVENT YOURSELF Bat Mitzvà ANNGIGLI LAB ROMA - Via Cola Di Rienzo, 267 - Tel. 06 3210220 NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 settimana successiva con più energia e più grinta, perché è questo che fa l'osservanza dello Shabbat: ricarica la mente e lo spirito. Nonostante l'ebraismo veda di buon grado l'innovazione e lo sviluppo delle tecnologie, non si può nascondere che queste rappresentino - oltre a delle componenti fondamentali del nostro quotidiano - delle distrazioni incessanti e insistenti. Si pensi ad esempio alla voce della TV a tavola. Quella bellissima giornalista racconta notizie interessanti e aiuta ad informarsi sui fatti di cronaca, ma quali storie in più racconterebbe un figlio se fosse spenta? Quanti pensieri, riflessioni e discorsi vengono interrotti ogni giorno dallo squillo del telefono o dalla suoneria dei messaggi a cui non sappiamo resistere? In quel giorno scompare magicamente quella sensazione di dovere verso le schiavitù imposte da ogni società di ogni tempo. L'uomo è arrivato a dominare la natura, tanto da poterla distruggere e non è raro che qualcuno superi i limiti della civiltà con sentimenti di onnipotenza e pensando di realizzare o distruggere qualsiasi cosa si voglia. Ecco, lo Shabbat è anche lo strumento attraverso il quale l'ebreo riconosce D-o come Creatore del Mondo e come Detentore di tutto ciò che l'uomo ha soltanto in prestito, comprese la creatività e tutte le abilità fisiche e intellettive. Questo non significa però che il lavoro abbia scarso valore nella concezione ebraica; al contrario, il lavoro e la fatica sono un diritto e un dovere della persona, la rendono valorosa e ognuno deve dare il massimo durante tutti i sei giorni, a patto che il settimo ci si fermi per ricordare che le persone devono essere in grado di gestire le attività e di controllarle, perché se è il lavoro a prendere il sopravvento sulla vita dell'uomo, questa potrebbe diventare un'ossessione e sgretolare quanto di buono e genuino c'è intorno ad esso. È interessante inoltre, come lo Shabbat sia stato forse il primo elemento di bilanciamento sociale della Storia: tutta la settimana ognuno ha il proprio ruolo all'interno della società, chi impiegato, chi datore di lavoro, chi famoso, chi anonimo, chi ricco e chi povero, ma di Shabbat si torna ad essere tutti uguali. Si mette da parte il possesso, la materia, e tutto ciò che resta è l'aspetto spirituale, lo studio, gli affetti. Di Shabbat il re non può dire al suddito cosa 7 COPERTINA Un solo popolo, un solo Shabbat È il motto del movimento “Shabbat Israelit”, che con motivazioni più sociali che religiose vuole riunire attorno alla stessa tavola per il kiddush famiglie israeliane di laici e religiosi “E sembra un Sabato qualunque uno Shabbat israeliano, il peggio sembra essere passato”… Potrei iniziare questo articolo parafrasando questa canzone pop italiana di Sergio Caputo e la cosa avrebbe il suo senso perché il 24 ottobre 2014 per la seconda volta, dopo un anno, il progetto "Shabbat Israelit" trova di nuovo uno spazio di espressione. Molte sono le associazioni che hanno reso reale il progetto, dalle organizzazioni rabbiniche modern orthodox come Bet Hillel, alla organizzazione Iachad che lavora per diminuire ed abbattere le distanze tra il mondo religioso e quello laico, tra hilonim e datiiim. Come si abbattono i confini in una società così radicalizzata come quella israeliana? Si abbattono a tavola, perché come per tutti i figli del Mediterraneo il cibo è il primo veicolo di incontro. A tutti i livelli sociali, più di 6000 famiglie si sono sedute insieme lo scorso anno per celebrare una cena di Shabbat condivisa, per dividere un kiddush, per incontrarsi in una cornice certamente tradizionale ma con l'approccio di una intera gamma di colori ebraici diversi dal religioso al laico, con tutto quello che esiste tra le due definizioni. "Un solo popolo, un solo shabbat" questo è il motto del movimento "Shabbat Israelit", per il quale il senso dello shabbat condiviso sembra avere scopi sociali molto più forti di quelli religiosi. Non ci si incontra per fare in modo che più persone conoscano ed apprezzino lo Shabbat ma ci si incontra per sfatare miti, pregiudizi, dicerie che scorrono a fiumi nel solco che separa i religiosi dai non religiosi e ci si incontra di Shabbat in quanto valore e momento culturale, storico, spirituale e tradizionale comune. Materialmente la costruzione di questi ponti sociali passa per gli inviti che ognuno dei partecipanti deve inviare all'intera società che lo circonda, dal collega di lavoro al cugino lontano, sfruttando questa occasione per mostrarsi gli uni agli altri in una dimensione conviviale e rilassata, senza fronti ed eserciti schierati. Lo stesso Rav Harashi David Lau ha definito lo "Shabbat Israelit" come "uno L'Havdalà: i riti e la storia della cerimonia che conclude il Sabato NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Per distinguere e separare la fine del giorno festivo dall’inizio di quello lavorativo 8 C ome l’entrata dello Shabbat deve essere accompagnata da determinati riti (l'accensione delle candele e il Kiddush), così anche la sua uscita, con una cerimonia chiamata Havdalà. Havdalà, in ebraico significa "separazione" proprio perché separa lo Shabbat dai giorni feriali (dal verbo badàl: dividere; separare); è un rito che comprende quattro berachot: la prima sulla coppa del vino "Borè Perì Ha Gafen”, la seconda su delle erbe profumate “Borè minè vesamin”, la terza sulla luce del fuoco “Borè meorè ha esh” e l’ultima sulla divisione fra Israele e gli altri popoli, la Berachà Ha Mavdil (che distingue). L'origine dell'Havdalà si trova nei primi versi del libro di Bereshit, quando H. crea una luce primordiale prima dello Shabbat dei valori morali più grandi perché abbatte divisioni tra diversi luoghi sociali, costruisce unione ed avvicina i cuori del popolo ebraico. Un'occasione per l'unità della società israeliana, perché non esiste forza più grande dell'unità e per questo invito le famiglie israeliane ad invitare i vicini ed i conoscenti che abitano nei pressi e di non indugiare". Colpiscono, nelle parole del rav Lau, alcune riflessioni che distanziano in parte il concetto di "Shabbat Israelit" da quello dello Shabbat Project: anche per rav Lau il primo obiettivo è la società israeliana che deve beneficiare dello Shabbat come incontro sociale, prima ancora che la trasmissione spirituale dello Shabbat. Bisogna anche notare che rav Lau propone di invitare i vicini e gli amici locali in modo tale che nessuno sia costretto a guidare di Shabbat per condividere la cena del Venerdì. Ma non solo i rabbini hanno benedetto lo “Shabbat Israelit”, inviti apartitici fioccano come neve ed in questo modo di fronte allo stesso tavolo si incontrano i parlamentari di Yesh Atid con quelli di Meretz e di HaBait HaYehudi, come se in Italia ad un annuale pranzo domenicale Renzi vada a casa della Santanchè. Pare che una volta Achad Haam (Asher Zvi Hirsch Ginsberg) uno dei padri del Sionismo abbia detto: “Più che il popolo ebraico ad osservare lo Shabbat è stato lo Shabbat che ha preservato il popolo ebraico." Con “Shabbat Israelit” possiamo dire che lo Shabbat prova a salvare tutta la società israeliana dal rischio di incomunicabilità. PIERPAOLO PINHAS PUNTURELLO per separarla dalle tenebre. Adamo si accorge di questa luce solo dopo lo Shabbat e attraverso il rito che diventerà poi l'Havdalà si separa da questa luce e si prepara a rientrare nel mondo della produzione, proclamando con l'accensione del fuoco e la rispettiva Berachà che grazie allo Shabbat vorrà portare avanti l'opera della creazione per tutta la settimana, come voluto da D. I Maestri spiegano che questa separazione fra luce e tenebre non corrisponde esattamente alla distinzione del giorno dalla notte, ma ha tutt’altro significato: “D. vide che gli empi non sarebbero stati degni di godere della luce e perciò la pose in disparte per i giusti, in vista del mondo futuro". Le tenebre per tanto non rappresenterebbero la notte, ma il buio rimasto nel mondo terrestre dopo che D. ha tolto quella luce destinata ai giusti nell'Olam Abbà. Secondo la tradizione ebraica un po’ di questa luce tornerebbe nel cuore dell’uomo durante lo Shabbat. Esistono due tipi di Havdalà: l'Havdalà nella Tefillà che si recita la sera di shabbat nella quarta benedizione dell'Amidà e l'Havdalà sul calice di vino che prevede la lettura delle quattro berachot. In base alle parole di Rambam, il rito dell'Havdalà non richiede atti specifici; è sufficiente un riconoscimento verbale della differenza fra lo Shabbat e gli altri giorni: secondo il Talmud Bavlì infatti, originariamente l'Havdalà consisteva solo in un ringraziamento a D. per aver separato la luce dalle tenebre, in seguito sono stati introdotti i diversi riti del vino, delle erbe profumate, ecc. Prima di recitare le quattro berachot, è uso ricordare e pregare il profeta Elia affinché venga ad annunciare l'arrivo del Mashiach: "Io, primo a Siòn, annuncerò: Eccoli qua. E darò a Gerusalemme un annunciatore" (Isaia 41°, 27). Il profeta non giungerebbe mai di Venerdì perché interromperebbe la preparazione dello Shabbat, ecco perché questa preghiera va recitata al termine di quest'ultimo. Le persone che hanno la possibilità di farlo dovrebbero preparare il Melavè Malkà, il commiato dalla regina, un pasto per accomiatarsi dallo Shabbat come fosse una regina. GIORGIA CALÒ Un giorno di riposo rispettato dagli ebrei di 121 paesi S abato 25 ottobre, gli ebrei di circa 121 paesi diversi, si sono uniti per rispettare insieme lo Shabbat. L'idea di intraprendere questa esperienza è nata un anno fa in Sudafrica, dove gli ebrei di diverse comunità si sono riuniti per osservare insieme, anche per la prima volta nella vita, un unico Shabbat. Questa iniziativa, che nel progetto pilota dello scorso anno ha raccolto un gran numero di adesioni, nasce da Shabbos Project, un movimento che si basa su cinque fondamenti: l'unione, il potere dello Shabbat, un movimento sociale, un'esperienza intensa, uno shabbat. L'insieme di questi princîpi mirano a far sentir parte integrante di un unico popolo ogni ebreo prescindendo dalle divisioni e visioni ideologiche e politiche per un lasso di tempo limitato ma intenso, in cui ognuno può apprezzare e vivere l'atmosfera suggestiva dello Shabbat vivendolo così come si è mantenuto nel corso degli anni, spezzando il ritmo monotono della quotidianità e della tecnologia che lo caratterizza. In tutti i paesi coinvolti si sono svolte delle attività per donne, ragazze, uomini e bambini per prepararsi ad accogliere nel miglior modo questo shabbat: preparazione delle challot, lezioni di Torah, Kabalat shabbat nei Batè haknesset, seudot di shabbat e havdalot-concerto: insomma, tutto ciò che ogni singolo ebreo dovrebbe sempre fare per accogliere lo shabbat ma moltiplicato per migliaia di persone. Un momento in cui riflettere, meditare, risvegliare la propria anima ebraica, ricaricarsi delle energie spese durante la settimana e riscoprire anche solo il piacere dello stare con la propria famiglia attorno alla tavola di shabbat. Questo è stato un momento in cui ognuno ha potuto dare una "aggiunta" al proprio shabbat anche solo compiendo una mitzvà in più rispetto al solito. Per questo evento, il movimento Shabbos Project ha ideato un sito internet (www.theshabbosproject.org) in cui, oltre ad avere informazioni e dettagli su questa iniziativa, sullo shabbat in genere e sugli eventi organizzati in tutti i paesi che hanno preso parte a questa manifestazione, permette anche di poter essere d'aiuto nel poter portare questo shabbat nelle proprie città e altrove, dando la possibilità a chiunque di diventare un affiliato con il compito di pubblicizzare questo progetto in più luoghi possibili, un ospitante a cui viene data la possibilità di ospitare una o più persone durante questo shabbat, per poter compiere la mitzvà dell'hachnasat orchim, oppure una guida: una persona che "prende l'incarico" di aiutare un altro ebreo che non l'ha mai fatto, ad osservare lo shabbat. Anche l'Italia ha partecipato attivamente a questo evento: non solo le grandi realtà ebraiche di Roma e Milano si sono mobilitate attivamente nell'organizzazione di iniziative rivolte agli iscritti delle proprie comunità, come cicli di lezioni di ebraismo, pasti di shabbat nei diversi templi e diffusione sui social network di video "promozionali" in cui diversi personaggi di spessore hanno invitato i propri correligionari ad osservare questo shabbat, ma anche le piccole comunità si sono unite nel prendere parte all'evento. Questa iniziativa ha dato modo di dimostrare che Am Israel, il popolo d'Israele, non è unito e solidale solo nei momenti di allerta in cui è coinvolta Israele, ma ha dato la possibilità di dimostrare l'unione di un solo popolo sotto un'unica identità ebraica, spingendosi oltre le barriere ideologiche e le distanze fisiche. YAEL DI CONSIGLIO Foto: Rebecca Mieli Shabbat Project, ovvero tutti insieme appassionatamente La grande infornata delle Challot n occasione dello “Shabbat Project” del scorso 24 ottobre, evento che ha coinvolto le Comunità Ebraiche di oltre 212 tra città e paesi del mondo, è stato organizzato un incontro per preparare insieme le Challot. Si è tenuto all'interno del Palazzo della Cultura, e hanno collaborato grandi e piccini, le Scuole della Comunità Ebraica di Roma, l'ADEI, le Moròt, ed è intervenuto il Rabbino Capo Rav Di Segni. Sandra Sabatello ha portato la sua esperienza per insegnare le delicate procedure della preparazione, dall’importanza del setaccio, alla separazione delle farine, dall’ordine in cui devono essere aggiunti gli ingredienti, alla creazione degli intrecci più disparati. La Challa, simbolo della donna, del riposo, della fine della settimana, ma soprattutto del dono che le madri ebree di tutto il mondo vogliono regalarsi e regalare alle proprie famiglie, è un elemento irrinunciabile per la tradizione dello Shabbat, una tradizione che in questo giovedì di fine ottobre è stata trasmessa con gioia ai bambini delle nostre scuole. Un pomeriggio per respirare tutti insieme l'aria di questa iniziativa mondiale e per condividere lo spirito di questo "Shabbat Project" che è davvero entrato nel cuore di tutti noi. REBECCA MIELI NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 I Non è un vero Shabbat se non c'è il pane a treccia 9 MEDIO ORIENTE Il terrorismo esiste da anni, eppure non lo si vuole riconoscere È una belva feroce che non si ferma con la trattativa politica. La povertà, il disagio, l'oppressione, l’ingiustizia sono tutte scuse: chi uccide civili vuole solo scatenare la paura e il terrore NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 J 10 ohn Kerry ha fantasticato, per poi dichiararsi pentito, sul possibile nesso fra il conflitto israelo-palestinese e il terrore dell'ISIS. E le fantasie di un ministro degli Esteri americano hanno il loro peso. In questo caso, Kerry ha fatto un bel regalo ai terroristi, ha commesso un'imprudenza senza logica e senza ragione. Non si è accorto che il terrorismo dell'ISIS va dalla Siria all'Iraq, dall'Afghanistan allo Yemen, dalla Nigeria alla Libia, che il suo programma è la conquista del mondo a un califfato islamico, in cui Israele è solo un pezzetto della Ummah islamica da annettere al califfato. Che questo abbia a che fare qualcosa col problema politico di Israele e Palestina ogni mente normale vede che non c'entra niente. Se qualcuno chiedesse se gli piace la formula "due stati per due popoli" a Abu Bakhr al Baghdadi, il leader dei tagliateste, gli indurrebbe una crisi di riso. Ciò che desta più stupore è che anche Tzipi Livni sia caduta preda della stessa allucinazione di Kerry: “la questione Isis non si risolve, ha detto, senza affrontare il problema palestinese". Boh? Quale dei problemi è rilevante per Isis rispetto a questa questione? Quello della sparizione di Israele, suppongo, e di tutti gli ebrei, ma non subito: si capisce che oggi sono più rilevanti le altre battaglie in corso, le teste da tagliare, i confini dello Stato islamico da allargare, la vittoria in Siria e in Iraq. In realtà la difficoltà di sciogliere ambedue questi nodi, e non essi soltanto, è purtroppo legata all'araba fenice del terrorismo, e non c'è nessun altro nesso sul campo. Si tratta di risolvere due casi di terrorismo, uno legato a un tema più religioso, l'altro religioso-territoriale. Per il resto, solo pensare che la conquista del Califfato Universale sia condizionata al conflitto israelo-palestinese, ovvero che se quest'ultimo trovasse una soluzione allora le bandiere nere smetterebbero di sventolare, ha qualcosa di patetico. In questa misera proposizione dobbiamo tuttavia riconoscere un importante stimolo intellettuale: è ora di identificare che cosa sia il terrorismo, di darne una definizione internazionale, di imparare a combatterlo. L'occidente non sa, non può vedere il terrorismo. La mente occidentale si perde e si confonde quando vediamo atti di terrore nonostante siano secoli che infesta il nostro territorio, l'Europa. Esso non ha avuto sempre la stessa faccia, anzi, si è modificato sensibilmente a partire dagli anni ‘70. Prima, nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo il terrorismo ha avuto un aspetto più mirato, personalistico, persino romantico, anche se non certo per le povere vittime. Le Brigate Rosse miravano a personaggi, naturalmente innocenti, ma che erano chiaramente identificabili, per il loro ruolo, il loro mestiere, la loro posizione socio-intellettuale con il sistema da loro odiato. Giudici, generali, banchieri, poliziotti, sindacalisti, politici, tutti portavano il segno della loro folle ossessione, la distruzione del capitalismo. Nel passato anche i rivoluzionari russi e i patrioti irlandesi avevano mirato a chi odiavano, e non avevano teso, come oggi, a terrorizzare indiscriminatamente il passeggero dell'autobus, il giornalista, l'avventore. Al loro tempo, russi e irlandesi potevano lamentare la miseria della loro condizione di oppressi, la miseria delle masse che i giovani con atti di terrorismo affermavano di volerle liberare. Non erano né di destra né di sinistra: i terroristi russi non furono seguiti dai rivoluzionari alla Lenin, più simpatia ebbe la sinistra, anche recentemente, per gli irlandesi, ma rimase aperto un dibattito sui mezzi usati. Marx e Engels condannarono l'uso del terrore. I giovani idealisti terroristi tuttavia erano ammirati per il loro coraggio, i loro obiettivi erano chiari. Questo ha influenzato la confusione sul terrorismo anche islamista e contemporaneo. I terroristi diventarono "Compagni che sbagliano". Dopo la seconda guerra mondiale il terrorismo indossò vesti estreme di ogni tipo: gli assassini di Walter Rathenau nel 1922 erano i precursori del movimento nazista ma molto più avanti ne abbiamo visti tanti comunisti, come appunto le BR o la banda Baader Mainhof. Nel secolo scorso cominciò a diventare difficile capire se il terrorismo era di destra o di sinistra e presto il terrorismo etnico e religioso sopravanzò quello comunista o fascista, o nazionalista, e ruppe tutti gli schemi. Nessuno infatti fu più in grado di stabilire se all'origine, come i terroristi proclamavano, c'era una condizione umana e sociale intollerabile, se si stava cercando di colpire un tiranno o solo un nemico (ci furono pochissimi tentativi di uccidere Hitler e Mussolini, e nessuno di colpire Stalin). Non furono i regimi totalitari a essere attaccati ma i loro successori: lo racconta Walter Laqueur, il migliore analista del terrore, parlando della Spagna, dei Paesi Baschi, di Grecia, Germania, Italia. Qui il terrorismo arrivò dopo la fine dei regimi, non contro i regimi. Il terrorismo dunque, ha spesso tentato di presentarsi come reazione alla cattiveria umana, ma non è mai vero: anche la povertà non presenta un nesso evidente col terrore, moltissimi dei terroristi musulmani contemporanei sono cresciuti in ambienti che hanno consentito loro di emanciparsi e studiare, sia nei loro luoghi di origine (pensiamo a Bin Laden, di una ricca famiglia saudita) che nelle terre di emigrazione (Ahmed Sheikh, assassino di Daniel Peral, nato a Londra ricco e colto). I nostri terroristi italiani, tedeschi, sono in genere appartenenti alla classe media. Più avanti, il quadro si fa del tutto evidente quando si va al terrorismo islamista contemporaneo nel suo insieme, molto più che una pulsione sociale: l'islamista terrorista si vede come l'eroe del nostro tempo, combattente per una società nuova, le pulsioni evidenti sono quella religiosa e psicologica, la ricerca dell'avventura, il fascino della vita del tempo vittorioso di Maometto, il misticismo da film di cappa e spada del travestimento, le bandiere, i mitra, le scimitarre, i pick up, i cavalli, le bandiere nere al vento, il terrore dipinto sul volto della loro prossima vittima. Lo stesso vale per i terroristi palestinesi, la fascia verde intorno alla testa, le adunate di massa, l'illusione che il nemico terrorizzato da tanta determinazione scapperà come un coniglio di fronte alla potenza virile della rivoluzione terrorista di massa di Hamas, l'esaltazione dei cortei venerdì 24 ottobre un giovane palestinese è stato ucciso dalla polizia mentre lanciava bombe molotov, non caramelle, sui passanti a Gerusalemme. L'amministrazione Obama ha fatto sapere che "esprime le sue più sentite condoglianze alla famiglia". Un giornalista, Matt Lee dell'AP ha chiesto al suo portavoce Jen Psaki se fosse appropriato porgere le condoglianze del presidente americano a un uomo ucciso mentre stava portando un attacco violento a civili. "Il fatto che stesse lanciando bombe molotov non ne fa un terrorista, come dice l'amministrazione israeliana?", ha chiesto Lee, "non siete d'accordo con questo?". Psaki ha risposto misteriosamente: "No non lo siamo". Il giornalista ha insistito sul fatto che il giovane era stato seppellito con la fascia verde di Hamas, ma Psaki ha detto che non aveva niente da aggiungere. E' una presa di posizione irresponsabile, che alla fine nega ogni protezione internazionale contro il terrorismo nel momento che essa è invece necessaria in tutto il mondo. Le conseguenze politiche di questo mancato riconoscimento dell'esistenza del terrore, la sua vaghezza nella definizione devono essere prese di petto una volta per sempre. Prendiamo l'ultimo caso a Gerusalemme; un giovane si butta con la sua auto su un gruppo di cittadini che scendono dal tram, li schiaccia percorrendo tutta la pensilina, uccide una neonata, ferisce sette persone, di cui una è poi morta, una bella ragazza che aveva solo la colpa di esser scesa dal tram. Un film che mostra l'auto che si avventa sui passanti non lascia l'ombra di dubbio sulla determinazione a uccidere: il terrorista arriva a tutta velocità e anzi accelera sul corpo delle persone. Il giovane terrorista è stato ucciso. Gerusalemme est si è riempita di manifesti col viso dello "Shahid" il martire rivendicato come tale nella sua guerra contro gli ebrei, Hamas e la Jihad lo esaltano come jihadista eroico. Intanto la sua famiglia, che issa la bandiera di Hamas sulla casa, sostiene tuttavia che si è trattato di un incidente automobilistico in modo da accusare Israele di assassinio, e questo mentre si dava vita a una manifestazione di esaltazione dell'atto eroico di terrore. E’ il solito doppio sistema palestinese, da una parte terrorista e in ogni sua parte dedito alla criminalizzazione di Israele, dall'altra assecondato nel giocare la carta della disponibilità alla trattativa, in realtà negata ad ogni tentativo. Il risultato è di nuovo devastante: come può Israele fidarsi e cedere territori a Gerusalemme, o poco lontano dall'aeroporto, ovunque si possa prevedere un pericolo decisivo alla sicurezza? E' certamente una domanda molto semplice e diretta, ma ci parla in modo altrettanto diretto del terrorismo per quello che è: un' arma micidiale che non può essere placata politicamente. L'errore è pensare che si tratti di un problema di povertà, di disagio, di oppressione, niente di tutto questo. Qui sta il nesso fra Isis e terrore palestinese. E non è certo quello fra soluzione dell'uno e dell'altro problema, per carità: c'è un elemento imperialista, razzista, totalitario nell'uno e nell'altro, un rifiuto di condividere, la verità sta da un parte sola per diritto divino. FIAMMA NIRENSTEIN NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 che in Europa inneggiano contro ogni logica a Gaza e gridano morte agli ebrei. C'è nella scelta terrorista un poderoso elemento irrazionale che viene tuttavia nutrito, è inutile illudersi, da credenze religiose e anche da idee molto moderne, idee "verdi" di vita "secondo natura". Piace al nuovo selvaggio che odia il consumismo e i costumi corrotti occidentali la ferocia intrinseca nell'Islam primigenio, quello delle armate a cavallo di Maometto che conquistano il mondo nel VII secolo, quello dell'applicazione diretta e spietata della sharia, la legge coranica: teste tagliate, nessuna pietà per i traditori e gli infedeli che per loro colpa si frappongono fra i musulmani e il disegno di purificare il mondo col califfato, mani mozzate, donne rapite, vendute, stuprate. Sul giornale dell'ISIS c'è persino una spiegazione teologica di questa schiavitù sessuale inflitta alle poverine: tenendole soggette e miserande si evita, tramite l'uso legale della donna (perché è ammesso secondo loro prendere una schiava sessuale), di tradire la moglie o le mogli con amanti, proibite dalla sharia. L'odierno terrorismo è larghissimo territorialmente, indiscriminato negli obiettivi, il reclutamento molto vasto e soddisfacente da Parigi a Londra. Le risorse del moderno terrorismo sono enormi, lo si ottiene con rapimenti e petrolio, ma soprattutto il Qatar è uno degli stati che fornisce fondi senza fine; per anni ha ospitato Hamas a casa sua, e quanto all'ISIS benché faccia parte della coalizione che dovrebbe batterlo, molti analisti lo ritengono, con la Turchia (anch'essa parte della coalizione) di fatto simpatetici verso il movimento che, come piace al Qatar, è sunnita e destabilizzante abbastanza da creare spazi allo staterello che ha dalla sua petrolio e Al Jazeera, con sede a Doha. Mai si è trovata una definizione chiara di terrorismo, perché "il tuo terrorista può essere il mio combattente per la libertà", perché gli organismi internazionali sono di fatto governati da maggioranza islamiche e terzomondiste, perché la questione degli obiettivi è molto controversa: una bomba che fa saltare per aria duecento soldati americani a riposo in caserma in Libano (Hezbollah), non è un terrorista perché a essere colpiti sono soldati, e non civili? Difficile davvero stabilire che si tratta di un attacco legittimo. Per Hamas poi, ogni neonato israeliano è un soldato di domani, e quindi un obiettivo legittimo, anche se poi il suo statuto rivela che di fatto è un obiettivo legittimo perché è ebreo, e la sua Carta stabilisce che bisogna uccidere tutti gli ebrei. Il fatto è che l'immensa guerra senza definizione di cui siamo di fatto l'oggetto è irriconoscibile ai nostri occhi confusi e spaventati. Intanto cerchiamo di evitare di avere a che fare col tema "Islam", per paura che questo ci collochi su un fronte razzista islamofobico. Quando Obama dichiara, dopo l'ennesima decapitazione, che è chiaro che il problema non è l'Islam, semplicemente mette il mondo su una pista sbagliata, e di conseguenza non trova le strategie corrette. Siamo inondati di bugie in questa guerra contro il terrore: vogliamo pensare che la Turchia sia un ottimo alleato, che l'Iran ci può dare una mano mentre gli ayatollah sono la maggiore fonte di terrorismo mondiale, con l'aiuto degli hezbollah. La politica poi costringe a passi addirittura controproducenti: 11 MEDIO ORIENTE Difendere lo status quo è la sola soluzione Israele non si fida a cedere il controllo di Giudea e Samaria a un'Autorità Palestinese che vede dominata da spinte estremiste, e non abbandonerà il Golan ai jihadisti NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 I 12 nevitabilmente l'analisi politica del Medio Oriente è segnata dal succedersi di eventi tumultuosi e confusi, o almeno non facilmente leggibili dall'esterno. Si pensi solo quest'anno al fallimento della trattative fra Israele e Autorità Palestinese dovuta alla pretesa di quest'ultima di avere le sue pretese soddisfatte in partenza, senza concedere nulla in cambio; alla costituzione del governo unitario fra Fatah e Hamas; al tentativo di colpo di stato di Hamas; al rapimento dei tre ragazzi israeliani connesso come si è capito poi al progetto di uno scontro generalizzato con Israele, una nuova “intifada” in cui rientrava anche il tentativo di golpe; alla guerra provocata da Hamas e perduta poi rovinosamente; alla decisione di Abbas di abbandonare la linea “americana” delle trattative per rivolgersi all'Onu, con il contemporaneo rafforzamento dell'alleanza con Hamas. Ampliando un po' lo sguardo, si pensi alla rottura del fronte sunnita fra paesi che appoggiano più o meno apertamente il terrorismo (Turchia, Qatar) e paesi che lo combattono; al crollo del potere statale in Libia, Yemen ma anche Iraq e Siria, al sorgere di un Califfato o Stato Islamico (ISIS) nel centro del loro territorio, al nuovo interventismo (timido e di malavoglia) degli Usa in questi territori, alla resistenza curda, premessa di un nuovo stato autonomo, alla persistenza del progetto iraniano di egemonia regionale e di armamento atomico, rispetto a cui l'Occidente oscilla fra una debole resistenza e la tentazione di un'alleanza. Ancora più lontano, gli islamisti sono all'offensiva in Africa sub-sahariana, stanno riuscendo a respingere l'intervento occidentale in Afghanistan, insidiano le province cinesi dell'Asia Centrale. E' una situazione estremamente dinamica, instabile e imprevedibile, il cui dato centrale è l'attacco di forze islamiste (Isis, Fratellanza Musulmana, Turchia, Qatar, Iran, Hamas, Hezbollah), cui rispondono più che i paesi occidentali, forze locali (Egitto, Arabia Saudita, Israele). Naturalmente questo non vuol dire che gli appartenenti dei due schieramenti siano alleati, anzi vi è spesso una concorrenza fra di loro che sfocia in aperta ostilità. In Medio Oriente non vale la regola per cui il “nemico del mio nemico è mio amico” o che l' "amico del mio amico è mio amico”. Turchia e Iran appoggiano entrambi Hamas, per esempio, e sono violentemente antisraeliani; ma in Siria l'Iran appoggia Assad e la Turchia vuole rovesciarlo; di conseguenza l'Iran è (abbastanza) nemico dello Stato Islamico (Isis), che è (abbastanza) nemico di Assad, mentre la Turchia è (abbastanza) suo amico, anche se gli Stati Uniti cercano di coinvolgerla nello schieramento che lo combatte. L'ambiguità è insomma la regola. E però la divisione fondamentale corre fra coloro che tengono a mantenere la situazione sotto controllo, che magari sono islamisti a casa loro ma non vogliono “esportare la rivoluzione”, come dei trozkisti musulmani, e quelli che invece ritengono che il loro interesse consista nel sovverti- re gli equilibri attuali, in genere per costruire una superpotenza islamica di livello mondiale, naturalmente ciascuno pensando che debba essere sotto il suo controllo, il che genera la concorrenza. Per farlo si tratta innanzitutto di unificare il mondo arabo, islamizzandolo integralmente e quindi eliminando gli elementi di modernità e poi di riaffermare il proprio potere all'esterno, innanzitutto nei confini dove vi sono popolazioni miste, come i Balcani, il Caucaso, l'Africa sub-sahariana, l'Europa - grazie alla dissennata politica di aiuto all'immigrazione praticata dall'Unione e dai singoli stati - e innanzitutto Israele, la cui esistenza è vista come “umiliazione” del potere arabo (la parola è di Kerry). E' uno schieramento cui si sono alleati e che in qualche modo hanno anche promosso l'amministrazione Obama e in parte l'Unione Europea, cercando di sostituire i vecchi dittatori più o meno laici (per quanto si può esserlo nel mondo islamico) con la Fratellanza Musulmana e assumendo la Turchia di Erdogan come modello di “democrazia islamica”. Questo schieramento è accaduto qualche anno fa, sotto lo slogan di “primavera islamica”; ora è chiaro che le potenze occidentali se ne sono in parte pentite e per esempio hanno smesso di cercare di far cadere Assad. Ma alcuni elementi restano in piedi, come l'ostilità al regime militare egiziano leader dei paesi che difendono lo status quo e colpevole di aver rovesciato la Fratellanza Musulmana che guidava invece l'Egitto nel fronte “trotzkista”. O come il persistente tentativo di stringere un'alleanza strategica con l'Iran, nonostante la sua volontà chiara di non rinunciare all'armamento nucleare e alla continuazione della sua azione sovversiva e bellicista non solo contro Israele ma anche nella Penisola Araba (Yemen e Bahrein) e altrove. Lo stesso schema spiega la situazione di Israele. Il quale vuole preservare lo status quo per la semplice ragione che non vede alternative pacifiche. Israele non si fida a cedere il controllo di Giudea e Samaria ad un'Autorità Palestinese che vede dominata da spinte estremiste, aperta ai terroristi di Hamas, tentata essa stessa di riprendere a organizzare direttamente l'attività terrorista come fece Arafat dopo il 2000, comunque intenta a spargere odio e violenza contro Israele al suo interno e all'esterno. In particolare in questo momento di turbolenza estrema Israele sa di non poter cedere né il Golan, né la Valle del Giordano, né le alture che sovrastano il centro del Paese, perché se lo facesse si ritroverebbe i problemi di Gaza “moltiplicati per venti volte”, come ha detto il ministro della Difesa Ya'alon. Peraltro Israele non intende rioccupare Gaza neppure per eliminare Hamas, come ha dimostrato fermando l'operazione di questa estate, come era successo con quella del 2009. Ritiene che nonostante la macchina da guerra e il terrorismo di Hamas sia preferibile cercare di neutralizzare la sua minaccia bloccandolo dal di fuori che occupando un territorio in cui gli abitanti ostili sono un milione e mezzo e i terroristi decine di migliaia, ben armati e preparati. E tanto meno ritiene opportuno eliminare l'Autorità Palestinese e rioccupare la Giudea e la Samaria; tanto che il governo israeliano si oppone alla costruzione di nuovi insediamenti oltre alla linea verde, pur difendendo la “crescita naturale” di quelli che ci sono. Perfino per quanto riguarda il Monte del Tempio, le tombe dei patriarchi a Hebron e altri luoghi sensibili la politica israeliana è di difendere lo status quo. Chi si oppone a questa linea sono Hamas, Fatah e naturalmente il governo dell'Autorità Palestinese che compongono assieme, alleati all'amministrazione americana, ai paesi europei, al Vaticano, ai pacifisti e progressisti di tutto il mondo, che vorrebbero forzare Israele a cedere tutta la Giudea e Samaria, che giudicano, senza alcuna base giuridica già attribuiti ai palestinesi (inutile dire qui che gli accordi di Oslo firmati da entrambe le parti non contengono questa attribuzione e che non vi sono strumenti giuridici internazionali che definiscano un “territorio palestinese”, per la buona ragione che un'entità palestinese prima di Oslo non c'è mai stata). E' una politica avventurista e insensata, che porterebbe al rischio concreto e attuale della distruzione di Israele. Per citare solo i fatti più evidenti, i “confini del '67” (in realtà linee armistiziali del '49) non sono militarmente difendibili, esporrebbero Gerusalemme, Tel Aviv, l'aeroporto internazionale e tutto il centro del paese agli stessi problemi che oggi ha Sderot; la ricollocazione del mezzo milione e passa di abitanti al di là della linea verde, il 10% della popolazione sarebbe economicamente insopportabile; le forze terroriste vedrebbero il ritiro come una vittoria strategica e attaccherebbero immediatamente dalle nuove posizioni, come hanno fatto da Gaza e dal Libano. La soluzione dei due stati forse potrebbe essere possibile in futuro, se il Medio Oriente e l'Autorità Palestinese (inclusa la sua società civile) cambiassero profondamente. Ma non potrà essere mai disegnata sulle linee del '49, senza condannare Israele alla distruzione. L'Europa e l'amministrazione Obama sono anche in questo caso alleati ai “rivoluzionari islamici” senza occuparsi delle conseguenze delle loro scelte. Ma Israele, per fortuna, non ha la minima vocazione al suicidio. E continuerà nella sola politica saggia in questo momento, la difesa dello status quo. UGO VOLLI Streaming sui voli EL AL www.elal.com A disposizione dei passeggeri EL AL un sistema di intrattenimento all’avanguardia sui vostri dispositivi elettronici. Prima del volo scaricate l’applicazione Dreamstream sul vostro dispositivo, per accedere ai vostri programmi preferiti durante tutto il viaggio. Il servizio è al momento disponibile su specifici aeromobili. 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Che una crescita “dal basso” vi sia è certamente vero ed è testimoniato dalle statistiche (sebbene queste vadano sempre prese con le pinze, poiché dipendono fortemente dal tipo di domande poste), ma sono convinto che la massima responsabilità ricada sul cinismo, la pochezza, la viltà delle classi dirigenti europee e occidentali che sarebbero ben liete di liberarsi dell’“ostacolo” rappresentato da Israele, senza rendersi conto che quell’“ostacolo” è anche una delle poche barriere rimaste a difendere il crollo generale. Il Parlamento inglese ha riconosciuto lo stato di Palestina con soli dodici voti contrari, ascoltando senza fiatare la dichiarazione di un parlamentare secondo cui la diffusione dell’antisemitismo in Europa è causata soltanto dalle azioni di Israele. Una simile percentuale corrisponde davvero ai sentimenti della popolazione inglese? Difficile crederlo. Ma – certo – di questo passo saranno questi atti, e non quelli del governo israeliano, a diffondere un crescente antisemitismo di massa. Il Parlamento inglese ha riconosciuto uno stato di Palestina. Quale? La “Palestina” è oggi composta di due pezzi, l’uno “moderato” che comunque nega a Israele il diritto di considerarsi uno stato ebraico (mentre riconosce tale diritto ai tanti stati islamici esistenti) e un altro pezzo governato da un’organizzazione che è stata ufficialmente dichiarata “terroristica”. È questa formazione a dir poco ambigua che dovrebbe essere considerata come uno stato? Con quali istituzioni, con quali garanzie di governo democratico e, soprattutto, con quali intenzioni nei confronti della pacificazione del Medio Oriente? Fino a che un simile messaggio – e cioè che questa formazione, includente Hamas e quindi comprendente la sua legittimazione, può essere considerata uno stato degno di NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Dott. ELISABETTA PEROSINO 14 Dermatologia Oncologia Dermatologica Chirurgia e Laser Chirurgia Dermatologia Plastica Via Cesare Pavese 300 - 00144 Roma Tel. 06.5003315-06.5001283-06.5000636 E-mail: [email protected] questo nome – poteva venire da qualche partito, da qualche gruppo estremista, da qualche stato islamico radicale, era un conto; ma se essa viene dal Parlamento di un paese considerato come una culla della democrazia occidentale, assortita di affermazioni sconsiderate sull’antisemitismo cui nessuno ha opposto obiezioni, non c’è da stupirsi che il camino dell’antisemitismo sia stato alimentato da una poderosa dose di legna asciutta. Al Cairo è stata convocata una conferenza per la ricostruzione di Gaza dove si è parlato di una somma necessaria di quattro miliardi di dollari che pare siano levitati rapidamente a cinque e mezzo. Come se non bastasse, gli Stati Uniti hanno promesso un finanziamento di più di duecento milioni di dollari e l’Unione Europea di 450 milioni di euro. Forse anche Israele avrebbe avuto bisogno di un aiuto per i danni subiti dall’aggressione e per una guerra non voluta, ma lasciamo perdere. Quel che è assolutamente incredibile è che un simile fiume di denaro venga concesso senza la minima contropartita e senza alcuna garanzia. Chi lo gestirà? Sarà Hamas? Con quali garanzie? Magari per ricominciare a scavare tunnel verso Israele? È stupefacente la larghezza di mezzi che si scopre l’Unione Europea in questi casi, mentre invita tutti gli stati a stringere la cinghia e a praticare la più dura austerità, il che stimola lo sviluppo di movimenti estremisti e che mirano alla dissoluzione della stessa Unione Europea. È stupefacente la rapidità con cui vengono decretate sanzioni per il conflitto russo-ucraino e si parla persino di spostare truppe, certamente con ottime ragioni. Ma perché tanto disinteresse per il dilagare del califfato dell’ISIS e del rischio molto concreto che i suoi successi portino all’emergere di altri nuclei di califfato, per esempio in Libia, ovvero proprio al di sotto della frontiera meridionale dell’Unione Europea? Ancora una volta l’antisemitismo (oggi nelle vesti di antisionismo) è il sintomo di una pulsione autodistruttiva dell’Europa e in generale di tutto l’Occidente. Troppi fanno finta di non vedere – per cecità? per incoscienza? in malafede? – che Israele è uno dei pochi bastioni rimasti a difendere proprio l’Occidente e, in primis l’Unione Europea. Si fa finta di considerare i fotomontaggi di San Pietro sovrastato dalla bandiera del califfato come una barzelletta. Ma quando si diffondevano gli stessi fotomontaggi anni fa, quando ancora queste forme di radicalismo islamico sembravano confinate a movimenti clandestini, era già irresponsabile ridere. Figuriamoci oggi, quando si è in presenza di uno stato dotato di un territorio che ha una consistenza definita e una forza militare temibile. E cosa si dirà se – come è purtroppo incredibilmente possibile – Baghdad cadesse nelle mani delle truppe dell’ISIS? L’ignoranza storica ha raggiunto livelli tali che nessuno ricorda che proprio Baghdad è stata per secoli la capitale del califfato musulmano (quantomeno della sua branca più importante, l’altra era in Spagna)? Ma le classi dirigenti europee continuano a occuparsi di conti pubblici, di strozzare le economie meridionali nella morsa di un’austerità suicida, tagliano e tagliano anche su quei fattori che possono perpetuare la trasmissione dell’identità culturale europea (l’istruzione), votano per il riconoscimento dello stato palestinese e patrocinano la delegittimazione di Israele. Si perdono in un mare di chiacchiere e di riunioni peggio che inconcludenti. Ancora una volta “dum Romae consulitur Saguntum expugnatur”; che speriamo non si debba declinare: mentre nelle capitali occidentali ci si consulta, Baghdad cade. GIORGIO ISRAEL Il terrorismo si vince affrontandolo e non scappando Per fermare la minaccia terroristica non è necessario ridurre le libertà individuali, è necessaria invece la cooperazione delle strutture investigative Affermazioni così semplicistiche, fatte senza minimamente accennare al problema del traffico d’armi, che gira, ad esempio, intorno e nel nostro paese, in modo assolutamente incontrollato, sono un insulto per il lettore. Ma trovo offensivo, per chiunque abbia buonsenso, se non una minima cognizione di quella che una volta si chiamava educazione civica, affermare che la vittoria dell’Isis, nella raccolta di manovalanza terroristica, si possa contrastare solo introducendo misure riduttive della libertà personale. Questo tema è strettamente legato non solo al dramma dell’immigrazione clandestina, ma certamente anche alla necessità di una politica di intelligence, che non abbia solo codici comuni ma che sia profondamente condivisa dai paesi che hanno deciso di combattere l’Isis, senza se e senza ma. Bisogna forse ricordare quanto e come si investisse in questi settori ai tempi della guerra fredda? Ricorrere agli esempi del passato, nell’era di Google, farebbe ridere, se non fosse inquietante. Ora, certo, non ci si può limitare ad una guerra fatta di spie e di codici, ma nessuno può negare di avere strumenti molto più sofisticati di allora; con i quali, se coordinati fra loro, ci si potrebbe garantire il contrasto della promozione del terrore via web. Sarebbe molto efficace introdurre forme di cooperazione più penetranti e articolate, sia pure con tempi più lunghi, che arrivino ad incidere nel tessuto socio culturale dei paesi con cui si collabora. Interventi di cooperazione che, almeno in quelle nazioni in cui modelli culturali indichino il valore perno, di una civiltà occidentale o no, in quello della vita, vanno riviste e condivise le modalità di lavoro: l’abisso è scavato da chi insegna che morire e uccidere quante più persone è salvifico della propria anima contro chi per salvare una vita investe sotto tutti gli aspetti in primis dando a questo termine ”vita” un'espressione valoriale a parametro di qualunque altra declinazione di libertà. Non credo sia un problema di libertà, impedire la circolazione sul web di immagini con padri che lapidano le figlie, o assassini che tagliano le gole a persone colpevoli di esistere, sono scelte: scelte di cui non si sente discutere in Italia, troppi presi a capire se la Leopolda è un garage o una stazione. Questo governo è entrato in carica facendo un’affermazione perentoria sul rientro dei due Marò. Dal 22 febbraio, data del giuramento è passato qualche giorno, ma sembra che anche questo Natale i Marò lo faranno nella nostra Ambasciata a Mumbai. Un governo così autoreferenziale e centripeto, ha la possibilità di leggere questa realtà e varare misure di politica estera in grado di contribuire, quanto meno, a combattere un esercito di tagliagole improvvisati ma dalle lame affilatissime? Un governo che è battuto solo dal Presidente Obama per la impercepita pregnanza delle strategie geopolitiche, preoccupati solo nell’occupazione di poltrone, ma mai dall’elaborazione di programmi strategici. Tutto ciò, fa temere che il silenzio di quel padre con la figlia colpita a morte in braccio, non abbia parlato a chi aveva il dovere e il compito di ascoltare. CLELIA PIPERNO Dal 1982 operiamo con successo nel settore dei traslochi e dei trasporti nazionali e internazionali DIVISIONE TRASLOCHI Trasporti su tutto il territorio nazionale e internazionale PARCO AUTOMEZZI ATTREZZATURE SPECIALI Scale telescopiche fino a 15 piani braccio-gru semovente SEDE DI ROMA: Via Volturno, 7 - Tel. 06.86321958 NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 I n questi giorni ho visto la foto di un padre con una figlia in braccio, che correva verso un dove qualcuno la potesse richiamare in vita, e ho sentito il silenzio del dolore, ma ho anche percepito quasi un senso di rassegnazione, di fronte all’avanzata della teoria dell’omicidio come metodo della politica da parte dell’Isis. E, a mio modesto avviso, cosa ancora più grave, ho letto articoli allarmati di persone che temono che, per tutelare la sicurezza dei cittadini, occorra mettere a repentaglio il sottile limite che separa la sicurezza dalla libertà della persona. Come molti, mi sono chiesta se chi scrive queste cose abbia la percezione di vivere in un mondo globalizzato, oppure pensi che la Befana porti i doni, volando con la scopa. SEDE DI FROSINONE: Via ASI, 4 Tel. 0775.89881 - Fax 0775.8988211 15 DIVISIONE DEPOSITO MERCI Magazzino di 18.000 mq coperti 60.000 mq scoperti DIVISIONE ARCHIVI Catalogazione e gestione di archivi cartacei ed elettronici in ambienti sicuri ed idonei DIVISIONE AMBIENTE Gestione dei rifiuti, disinfestazioni, disinfezioni, derattizzazione sicurezza degli alimenti www.devellis.it - [email protected] ISRAELE Israele o Berlino? La sfida del budino Lo scontrino della spesa di un israeliano emigrato a Berlino riapre il dibattito sul ‘caro vita’ e sul futuro dei giovani nello Stato ebraico S ucco d'arancia, pane, pasta, uova e l'equivalente tedesco del "Milky", un budino al cioccolato con panna di cui vanno ghiotti i bambini - e molti adulti - israeliani. È cominciata così la sfida di un giovane israeliano trasferitosi a Berlino che ha pubblicato su Facebook lo scontrino della spesa fatta in un supermercato della capitale tedesca, invitando i compatrioti rimasti a casa a trovare questi prodotti allo stesso prezzo in patria. Una sfida ardua, perché per portare a casa la stessa spesa, in Israele si può spendere anche tre volte di più. E tanto è bastato per rilanciare in Israele la questione del costo della vita, che già tre anni fa aveva spinto decine di migliaia di israeliani a occupare per mesi con tendopoli improvvisate le strade e le piazze del paese, chiedendo affitti e prezzi più bassi, salari più alti e una maggiore distribuzione della ricchezza. La sfida del "Milky" non ha ancora riempito molte piazze, ma ha scatenato polemiche, soprattutto perché è stata lanciata con un invito esplicito ai giovani israeliani a lasciare il loro paese. L'autore è il 25enne Naor Narkis, ex ufficiale dell'esercito e laureato in economia, che vive da qualche mese a Berlino e impartisce consigli agli israeliani desiderosi di trasferirsi in Germania tramite la sua pagina di Facebook intitolata "Olim leBerlin" un'espressione che rovescia il concetto di "aliyah" - salita - termine solitamente utilizzato per indicare l'emigrazione ebraica verso Israele. Lasciare Israele è sempre stata un'azione malvista nello Stato ebraico, quasi un tradimento. Lasciare Israele, come negli ultimi anni hanno fatto migliaia di giovani, per andare a vivere addirittura in Germania, nella capitale di quello che fu il Terzo Reich è addirittura impensabile e offensivo, soprattutto per quelle generazioni che hanno un ricordo più vivo dell'Olocausto. SALMONì OFFICINA SPECIALIZZATA VIA GALVANI 51C/D/E - 00153 ROMA ORARIO NO STOP 8,30 - 18,00 CHIUSO IL SABATO NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 ELETTRAUTO 16 AUTO DIAGNOSI MECCANICA GENERALE DIESEL E BENZINA INIEZIONE BENZINA E DIESEL FRENI ABS - ESP ASSISTENZA SCOOTER AMMORTIZZATORI ALZACRISTALLI ELETTRICI SERVIZIO CARRO ATTREZZI TAGLIANDI PROGRAMMATI E AUTORIZZATI DALLE CASE COSTRUTTRICI Tel. 06.5741137 Cell. 3394510504 - [email protected] "Mi fa pena chi non ricorda la Shoah e abbandona Israele per un budino", ha tuonato il ministro dell'Agricoltura Yair Shamir. Anche il ministro delle Finanze Yair Lapid, pur riconoscendo che in Israele il costo della vita è alto, ha definito la protesta "anti-sionista". In una serie di articoli e interviste, Narkis si è difeso dicendo di amare Israele ma di non potersi permettere di viverci. Deluso dal fallimento della protesta del 2011 l'ex ufficiale dice di agire per il bene del paese e spera che lo spettro di un esodo da Israele spaventi la leadership e spinga finalmente il governo ad agire per creare una società più equa. "Chi ha creato condizioni ideali per i ricchi e catastrofiche per i giovani non dovrebbe parlare di sionismo", ha scritto in un articolo per il quotidiano Yedioth Ahronoth. La pagina "Olim leBerlin" ha raccolto una valanga d'improperi, ma anche 20.000 "like" e tante foto di israeliani che, con un cartello in mano, chiedono al cancelliere tedesco Angela Merkel di concedergli un permesso di soggiorno in Germania. Anche se il fenomeno della crescente comunità israeliana a Berlino fa molto rumore, si tratta di una realtà ancora limitata - forse poco più di 3.000 persone trasferitesi lì stabilmente. Secondo l'ufficio centrale di statistica, l'emigrazione da Israele è ai minimi storici, e coinvolge una percentuale della popolazione molto più bassa che nella maggior parte dei paesi sviluppati. La differenza tra il numero di cittadini che lascia il paese e quelli che tornano a viverci è scesa a circa 2.200 nel 2013, mentre nei decenni precedenti si attestava intorno a 10.000-15.000 l'anno, ha spiegato al quotidiano Haaretz Sergio Della Pergola, demografo dell'Università Ebraica di Gerusalemme. Allo stesso tempo, sempre più ebrei europei, anche italiani, scelgono di trasferirsi in Israele, creando un flusso netto positivo per lo Stato ebraico. Dunque, la "protesta del Milky" ha fatto solo molto rumore per nulla? Forse. Rimangono però i sondaggi che ogni anno puntualmente indicano che un terzo dei giovani israeliani si trasferirebbe all'estero se avesse i mezzi per farlo e un visto per l'Europa o gli Stati Uniti. Rimane lo stupore per il fatto che una piccola provocazione lanciata sui social network possa scatenare un tale vespaio e provocare reazioni scomposte anche da parte di alte cariche dello Stato. Si tratta di un segnale d'insicurezza da parte dello Stato, una dimostrazione della falsa coscienza di una leadership che non fa nulla per risolvere il problema. Allo stesso tempo, la protesta è il segnale di un profondo disagio, che va ben oltre le questioni economiche, vissuto da una fetta importante della popolazione. Sempre di più la gioventù laica della classe media vede Israele come un paese che offre poche prospettive per il futuro. Mentre l'istruzione universitaria, il lavoro e la casa rimangono un'incognita, le uniche certezze sembrano essere la fine delle speranze di pace; periodici conflitti, piogge di missili e ondate di terrorismo; una sempre maggiore influenza degli ultraortodossi e dei coloni nella politica e nella società e il consolidamento del potere economico nelle mani di pochi oligarchi. Questo segnale di disagio proviene da studenti, giovani ricercatori, dai potenziali creatori della prossima start-up di successo, da insegnanti, infermieri, tecnici e impiegati. Viene da coloro che si assumono la responsabilità di difendere Israele durante tre anni di servizio militare obbligatorio e poi nelle riserve per i successivi decenni delle loro vite. E proprio perché proviene dal cuore produttivo e vitale del paese, si tratta di un segnale d'allarme che Israele non può permettersi d'ignorare. ARIEL DAVID Uomini ed attrezzature mediche per contrastare il diffondersi del virus “M assima priorità per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti” secondo Obama; “un fallimento internazionale” per le Nazioni Unite. La diffusione del virus Ebola costituisce uno dei temi in cima alle agende internazionali, specie dopo i primi casi fuori dal continente africano. Anche Israele segue attentamente l’evolversi della questione, con il duplice intento di collaborare alla lotta al virus e di prevenire il contagio all’interno dei suoi confini. Sul primo fronte, all’inizio di ottobre, Mashav, l’Agenzia israeliana per lo Sviluppo della Cooperazione Internazionale, ha mandato tre cliniche mobili in Africa occidentale per fronteggiare l’elevato rischio di infezione dal virus. L’azione è stata varata su impulso del Segretario Generale delle Nazioni Unite, del Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e di varie organizzazioni israeliane ed internazionali, con il fine di prevenire la diffusione di quella che sembra essere diventata una vera e propria pandemia. Le cliniche sono state prodotte in Israele e ricostruite sulla base delle Linee Guida dettate dall’OMS; ad esse è stato legato uno staff di medici esperti che si sono subito impegnati ad istruire il personale locale sulle modalità di procedura. Questo contributo ha seguito quelli già effettuati nelle settimane precedenti, quando un team di medici è stato inviato in Camerun e un equipaggiamento di emergenza è stato fornito alla Sierra Leone. IsraAID, organizzazione no-profit fondata nel 2001, ha poi mandato due squadre di medici esperti in Sierra Leone e in Liberia. La prima rientra in un programma per fronteggiare lo stress e le paure che accompagnano una simile epidemia. La seconda squadra si sta raccomandando con i residenti sull’igiene personale a scopo precauzionale. Per quanto riguarda i rischi sul territorio israeliano, finora non sono stati riscontrati casi di Ebola, giusto qualche falso allarme. Tuttavia, il premier Netanyahu, visti i rischi potenziali di un contagio, ha effettuato numerose riunioni con i Ministri di Salute, Interni, Esteri e Trasporti, oltre ai rappresentanti della Polizia e dell’Autorità degli Aeroporti. In un discorso ad inizio ottobre ha Prof. Silvestro Lucchese Chirurgo specialista CHIRURGIA ANO-RETTALE • CHIRURGIA DELLE ERNIE IN DAY HOSPITAL CHIRURGIA DEFINITIVA DEL PROLASSO EMORROIDARIO IN 1 GIORNO SENZA MEDICAZIONI - DOLORE E DISAGIO MINIMI RIPRESA DELLA FUNZIONE INTESTINALE IMMEDIATA ED INDOLORE Casa di Cura “Sanatrix” - Via di Trasone, 61 - Tel. 06.86.32.19.81 (24h) www.silvestrolucchese.com URGENZE: 336.786113 / 347.2698480 / 06.86321981 NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Anche Israele è in guerra contro Ebola poi dichiarato l’intenzione di rafforzare la preparazione per fronteggiare una possibile diffusione ed ha comunicato alla stampa che sono divenuti più capillari i monitoraggi sui viaggiatori in arrivo in Israele da Liberia, Sierra Leone e Guinea. Il persistere dell’allarme ha portato il premier israeliano ad intervenire pubblicamente più volte sul tema. Ha così sottolineato che “Israele è pronto a chiudere il possibile ingresso di persone affette da Ebola. È una piaga globale e stiamo cooperando con altri Paesi per proteggere i nostri confini. Speriamo che ciò non sarà necessario, ma ci stiamo preparando ad ogni eventualità”. Gli ha fatto eco il Direttore Generale del Ministero della Salute Arnon Afek: “il nostro sistema sanitario sta monitorando la situazione ed è in contatto con esperti di tutto il mondo. Stiamo migliorando la preparazione per essere in grado di affrontare l’eventuale arrivo di malati di ebola in Israele”. Anche il direttore dell’aeroporto Ben Gurion Shmuel Zakai è intervenuto, spiegando che sono in corso simulazioni sui passeggeri in arrivo da zone a rischio: vengono sottoposti a domande mirate, isolamento, trattamenti medici preliminari, evacuazione ed infine, se necessario, trasferimento in ospedale. DANIELE TOSCANO 17 ITALIA Andamento gettito otto per mille 2014 L' otto per mille è una quota dell'imposta IRPEF che viene ripartita, in base alle scelte dei contribuenti, tra lo Stato ed alcune confessioni religiose, firmatarie di specifiche Intese, quali: la Chiesa Cattolica, la Chiesa Evangelica Valdese, la Chiesa Evangelica Luterana, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa cristiana avventista del Settimo Giorno e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Ai sensi della legge che formalizza la sua intesa con lo Stato, l'UCEI si impegna a perseguire gli interessi collettivi con le risorse finanziarie ad essa concesse. Infatti, la quota dell'otto per mille devoluta all'UCEI viene destinata al finanziamento delle scuole ebraiche e delle case di riposo per anziani, nonché ai corsi di formazione per insegnanti, ai programmi per conoscere Israele, ai progetti di salvaguardia della memoria e del patrimonio storico e culturale della storia ebraica, oltre a importanti iniziative sociali per aiutare popolazioni in difficoltà (è stato ad esempio il caso del terremoto a L’Aquila o lo tsunami nelle Filippine). In base al resoconto sulla distribuzione dei fondi riferita al 2011, le attività finanziate dall’Ucei comprendevano anche il Roma Kolnoa Festival, il Centro estivo ebraico di Ostia e diversi progetti a sostegno della memoria e contro razzismo ed antisemitismo. Secondo i dati statistici pubblicati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, negli ultimi anni la quota dell’otto per mille ripartita a favore dell’Ucei, è progressivamente aumentata. Nel 2008 (redditi del 2004) l’Ucei ottenne 60.920 firme (su un totale di 40 milioni di contribuenti), e gli venne destinata la cifra di 3,8 milioni di euro (pari allo 0,37% del totale delle scelte espresse e lo 0,34% del totale delle somme erogate). Situazione rimasta sostanzialmente stabile nei due anni successivi. Nel 2011 vi è stato un leggero incremento, con lo 0,39% di attribuzione delle scelte espresse valide ed importi erogati all’Ucei pari allo 0,36% del totale, per 4,6 milioni di euro. Nel 2013, su un totale di 41 milioni e mezzo di contribuenti, l’Ucei ha raccolto 79.860 firme, incassando nella ripartizione dei fondi 5,2 milioni di euro, pari allo 0,41% del totale della ripartizione. Leggermente migliore l’andamento dell'otto per mille del 2014 (redditi del 2010): 81.457 firme per l'UCEI, lo 0,43% dei fondi, pari a 5,4 milioni di euro. Molto interessante il dato geografico che disegna l’identikit dei firmatari a favore dell’Ucei. La Regione più ‘generosa’ è la Lombardia (con 18.876 firme), a seguire Lazio (11.722), Veneto (9.300), Emilia Romagna (8.800), Piemonte (7.600), Toscana (5.700), ultime Valle d’Aosta (274), Basilicata (233) e Molise (90). L'otto per mille è una fonte di finanziamento Cinque per mille: un finanziamento in aiuto delle organizzazioni no profit NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 I 18 Sono poche però quelle che raccolgono cifre importanti e pochissime quelle ebraiche n occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi oltre alla scelta dell’otto per mille, da pochi anni dal 2006, il contribuente può devolvere il 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, a finalità di sostegno di particolari enti no profit, di finanziamento della ricerca scientifica, universitaria e sanitaria, alle associazioni sportive dilettantistiche, ad attività per la valorizzazione e la promozione dei beni culturali e paesaggistici. Il cinque per mille è una forma di finanziamento che non comporta oneri aggiuntivi al contribuente, dal momento che questi, tramite la compilazione dell’apposita sezione nella dichiarazione dei redditi, sceglie semplicemente la destinazione di una quota del proprio IRPEF. L’elenco degli Enti no profit che beneficiano del cinque per mille è lunghissimo, migliaia di piccoli e grandi organizzazioni sperano ogni anno di ricevere una piccola quota di questo finanziamento. Al primo posto (l’ultimo dato disponibile è il 2012) l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, che ha raccolto 55,7 milioni di euro; seguono: Emergency (10,3 milioni); Fondazione piemontese per la ricerca sul cancro (8,2); Medici senza frontiere (8,1); Comitato italiano per l'Unicef (5,3); Ail - Associazione italiana contro le leucemie, linfomi e mieloma (5,1); Fondazione Centro San Raffaele (5,1); Fondazione Umberto Veronesi (4,6). La quasi totalità degli enti riceve però cifre molto più modeste, di alcune decine di migliaia di euro, se non anche di meno: è difficile infatti farsi conoscere dal contribuente, raccogliere la sua fiducia ed ottenerne la firma. In questa situazione si trovano le 19 le organizza- Con l’otto per mille tutti più ricchi… o quasi Su 41,5 milioni di contribuenti l’otto per mille è così ripartito: solo il 45,7% esprime una scelta per la destinazione dell’otto per mille della sua dichiarazione dei redditi; il 53,8% dei contribuenti (pari ad oltre 22 milioni) non esprime alcuna preferenza. Dal 2008 ad oggi il gettito dell’otto per mille ha ‘arricchito’ quasi tutti: • lo Stato è passato da 99 milioni di euro a 170 milioni (+72%); •la Chiesa Cattolica da 928 milioni di euro ad oltre 1 miliardo (+13%); •l’Unione Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno da 1,8 milioni di euro a 2,2 milioni (+22%); • l’Assemblee di Dio in Italia da 778 mila euro a 1,4 milioni (+80%); • la Chiesa Evangelica Valdese da 6,9 milioni di euro a 40,8 milioni (+500%); • la Chiesa Evangelica Luterana in Italia da 2,5 milioni di euro a 4 milioni (+60%); • l’Unione Comunità Ebraiche Italiane da 3,8 milioni di euro a 5,4 milioni (+42%). fondamentale per le comunità ebraiche italiane che permette di gestire ed organizzare importanti aspetti della vita comunitaria, ed il suo aumento, seppur modesto ma graduale, mostra una più diffusa sensibilità ed attenzione nei confronti dell'ebraismo italiano a livello nazionale. CARLOTTA LIVOLI zioni ebraiche italiane che – riconosciute come onlus – partecipano al cinque per mille, alcune con risultati lusinghieri. Di seguito l’elenco aggiornato al 2012: • Deputazione Ebraica di Assistenza e Servizi Sociali (Roma): 976 firme, per una somma raccolta di 67.759 euro; • Cdec - Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea: 354 firme, pari a 26.430 euro; • Comunità ebraica di Torino: 212 firme, per 17.000 euro; • Comunità Ebraica di Roma: 224 firme, per 11.320 euro; • Fondazione per la scuola della Comunità ebraica di Milano: 118 firme, per 10.649 euro; • Casa famiglia e Centro ebraico italiano "Giuseppe e Violante Pitigliani" (Roma): 160 firme, per 9.700 euro; • Fondazione Keren Kayemeth LeIsrael - Fondo nazionale ebraico Italia: 147 firme, per 9.186 euro; • Comunità ebraica di Venezia: 156 firme, per 7.468 euro; • Comunità ebraica di Trieste: 96 firme, per 6.666 euro; • Fondazione cultura ebraica (Casale Monferrato): 40 firme, per 5.700 euro; • Comunità ebraica di Bologna: 53 firme, per 5.600 euro; • Comunità ebraica di Genova; 92 firme per 4600 euro; • O.S.E. Italia - Organizzazione sanitaria ebraica assistenza all'infanzia: 61 firme, per 3.500 euro; • Fondazione per i beni culturali ebraici in Italia (Roma): 22 firme per 1.700 euro; • Centro ebraico di Monteverde (Roma): 44 firme, per 1.500 euro; • Comunità ebraica di Ferrara: 27 firme, per 1.480 euro; • Fondazione museo ebraico di Bologna: 5 firme, per 442 euro; • Rete Eco Rete degli ebrei contro l'occupazione (Torino): 8 firme, per 429 euro; • Fondazione Elio Toaff per la cultura ebraica: 6 firme, per 221 euro. I falsi eroi che piacciono alla generazione dei nuovi storici e qualcuno ha mai pensato che l’ideologia comunista è crollata sotto l’implosione dell’Unione Sovietica, ebbene, si ricreda. La maggior parte di chi è passato attraverso quella storia sanguinosa, ha cercato di riciclarsi nascondendo il proprio passato sotto una presentazione di se stesso come una parte della propria vita non fosse mai esistita. La parola magica, che ha ripulito le biografie di politici, intellettuali, artisti è stata ‘democrazia’. Erano tutti, nel dopoguerra, democratici, l’essere stati comunisti per almeno 40 anni veniva ignorato, via le tessere del partito, via le firme sotto la propaganda più vistosa, se qualcosa occorreva ammettere, allora la colpa era dello stalinismo, il marxismo-comunismo era salvo, “difesa della democrazia” lo definivano. Poi saltò tutto in aria, l’Urss ritornò ad essere la Russia – anche se con un nuovo zar al Cremlino, dopo la breve pausa libertaria di Yelstin – le ‘democrazie popolari’ europee si liberavano dalla schiavitù dei regimi comunisti, insomma, l’Europa era cambiata, la via verso i valori veri della democrazia sembrava obbligata. Ma il virus affascinante, che in ogni generazione miete vittime sull’altare della dittatura travestita da democrazia, continua a propagarsi ancora oggi, a babbo comunista morto, Museo della Shoah aggiudicati i lavori. "Si inizia a gennaio" Sarà un consorzio guidato dal costruttore Cerasi a realizzare il Museo della Shoah a Villa Torlonia. È il risultato emerso dalll'apertura delle buste per la gara d'appalto, avvenuta lo scorso 4 novembre, a cui hanno partecipato 24 aziende. Il vincitore ha offerto 13 milioni e 299 mila euro. "Con l'aggiudicazione provvisoria della gara spiega Paolo Masini, assessore alla Infrastrutture - è stato compiuto un altro passo avanti importante. Il nostro impegno è di accelerare i passaggi per l'avvio dei lavori in coincidenza con la commemorazione del 27 gennaio, mentre sotto il profilo della legalità, grazie anche alla collaborazione con il prefetto Pecoraro, manterremo alta la vigilanza sulla correttezza di tutti i passaggi e sul sistema dei subappalti". questa volta nelle vesti di un relativamente giovane ricercatore, tale Marco Albertaro, che approda sulle pagine de La Stampa, le meno adatte per ospitare un articolo in lode di Jean-Paul Sartre, con un articolo che dimostra in modo esemplare l’assunto che apre queste mie note, e che rivela magistralmente l’ideologia che guida l’autore. Il filosofo francese viene lodato in termini così entusiasti per il fatto che 50 anni fa rifiutò il Premio Nobel, perché “voleva mantenersi libero da qualsiasi legame con il potere”, ricorda il nostro laudatore. Ma gli anni precedenti, quelli dell’occupazione nazista, si guarda bene dal citarli, è come se non fossero mai esistiti. Eppure negli ultimi anni ci sono state in Francia moltissime discussioni sulle responsabilità degli intellettuali che avevano flirtato con l’occupante nazista. E Sartre era uno di questi. Ma Albertaro non ne è a conoscenza, o gli fa comodo non esserlo, se scrive “un’intransigenza innata, che non gli ha mai permesso di accettare il minimo compromesso con il potere stabilito”. Bum! Ma qui arriva il bello, tanto da ritenere che Sartre sia servito al nostro per arrivare ai tempi attuali, una chiave per esaltare un altro “eroe” che sicuramente fa parte del firmamento degli eroi moderni che piacciono al nostro giovane ricercatore, approdato non si sa come a un grande giornale nazionale. Scrive infatti “il grande studioso di letteratura comparata che ha messo la propria voce al servizio di numerose cause… sempre alla continua ricerca della verità ..”. Chi è questo nuovo eroe? Ma Edward Said, chi sennò, uno degli odiatori di Israele più celebrato, già membro del direttivo dell’Olp, si definiva cristiano palestinese, ma era vissuto sempre in Usa dove insegnava alla prestigiosa Columbia University, “un influente maestro di pensiero, ma anche formidabile polemista, sempre capace di rovesciare il punto di vista comune, mai propenso ad accettare l'opinione che sembra così ovvia da essere considerata un 'fatto'“. Così lo definiva Wlodek Goldkorn sull’Espresso nel novembre 2007. Perché Said piaceva anche in ambiente ebraico, si definiva come uno ‘sempre nel posto sbagliato’, e questa espressione, sicuramente attraente, era piaciuta, eliminando – anche per lui, come per Sartre – le altre parti della sua vita che avrebbero rivelato un altro Said, quello che, forte della sua statura intellettuale, poteva permettersi di portare il proprio figlio, ancora un ragazzino, in Israele per insegnargli come si lanciano le pietre contro i soldati di Tzahal. Peccato che una fotografia lo abbia immortalato per sempre in quella posizione, mentre con in mano una pietra gli mostrava come effettuare il lancio. Era pur sempre un docente, anche se non alla Columbia. Sono questi gli eroi che piacciono alle nuove generazioni di ricercatori storici. Li guida l’eterna ideologia che prepara l’avvento dei sistemi dittatoriali, quelli che continuano a vedere il nemico nella democrazia israeliana e l’amico nei regimi autoritari. Non essendoci più fogli con il simbolo della falce e martello, scomparsi dalle edicole per mancanza di acquirenti, approdano sui giornali che un tempo avremmo definito liberali. ANGELO PEZZANA NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 S Personaggi di cui si dimenticano gli aspetti problematici e l’uso della violenza PERIZIE E VINTAGE RESTYLING 19 FOCUS Chi sei popolo di Israele? L’amore verso gli altri è la grande responsabilità collettiva che ricade su tutti gli ebrei S NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 empre più spesso gli Ebrei si sentono perseguitati e terrorizzati. Da ebreo spesso mi chiedo il motivo di questa sofferenza senza fine. Alcuni credono che le atrocità della seconda guerra mondiale sarebbero inconcepibili ai giorni nostri. Eppure vediamo con quanta facilità e asprezza si stia ricreando la situazione che ha preceduto l'olocausto; sempre più spesso e sempre più apertamente si sente gridare “Hitler aveva ragione”. Ma c'è speranza. Possiamo invertire questa tendenza e per questo è necessario prendere coscienza del quadro generale. 20 Dove ci troviamo e da dove veniamo L'umanità si trova ad un incrocio. La globalizzazione ci ha resi interdipendenti ma, allo stesso tempo, odio e alienazione aumentano tra le persone. Questa situazione, insostenibile e decisamente esplosiva, ci impone di decidere quale direzione dovrà prendere l'umanità. Ma per capire come noi, il popolo Ebraico, siamo coinvolti in tutto questo, dobbiamo tornare al passato, quando tutto ebbe inizio. Il popolo di Israele si formò circa 4000 anni fa nell'antica Babilonia. Babilonia era una civiltà fiorente e il suo popolo si sentiva interconnesso e unito. Com’è scritto nella Torah, “Tutta la terra aveva un medesimo linguaggio e usava le stesse parole” (Genesi 11:1). Il loro legame si rafforzava sempre più ma al contempo cresceva anche il loro ego. Cominciarono a sfruttarsi l’un l’altro e infine ad odiarsi. Così, mentre i Babilonesi si sentivano connessi, tra di loro aumentò l’alienazione a causa dell’ego crescente. Di conseguenza i Babilonesi si sentivano tra l’incudine e il martello e cominciarono a cercare una soluzione alla loro difficile situazione. Due soluzioni alla crisi La ricerca di una soluzione portò a due opinioni contrastanti. La prima, quella di Nimrod, il re di Babilonia, era naturale e istintiva: la dispersione. Il re sosteneva che quando le persone sono lontane tra loro non litigano. La seconda soluzione era quella di Abramo, un famoso saggio babilonese dell’epoca. Egli sosteneva che, in base alla legge della Natura, la società umana era destinata a unirsi e quindi si impegnò a unire i Babilonesi, a dispetto e al di sopra dell’ego crescente. In breve il metodo di Abramo prevedeva l’unione delle persone al di sopra del loro ego. Quando cominciò a divulgare questo suo metodo tra i suoi conterranei “migliaia e decine di migliaia di persone si riunirono intorno a lui, e… instillò questo principio nei loro cuori”, scrive Maimònide (Mishneh Torah, Parte 1). Il resto del popolo scelse il metodo di Nimrod, la dispersione, come fanno i vicini litigiosi che cercano di evitarsi a vicenda. Queste persone che si dispersero divennero nel tempo ciò che oggi chiamiamo “la società umana”. Soltanto ora, dopo circa 4000 anni, cominciamo a capire chi aveva ragione. Le Radici del Popolo di Israele Nimrod costrinse Abramo e i suoi discepoli ad abbandonare Babilonia ed essi si stabilirono nella terra che ora conosciamo come “la terra di Israele”. Essi lavorarono per costruire unione e coesione in base al principio “ama il tuo prossimo come te stesso”, si unirono al di sopra dei loro ego e così scoprirono “la forza dell’unione”, l’energia nascosta della Natura. Ogni sostanza consiste di due forze opposte, connessione e separazione, e queste forze si equilibrano a vicenda. Ma la società umana si evolve usando solo la forza negativa, l’ego. In base al piano della Natura è necessario che noi, coscientemente, compensiamo la forza negativa con quella positiva, l'unione. Abramo scoprì la saggezza che porta all'equilibrio, oggi noi la chiamiamo “la saggezza della Kabbalah”. Israele significa diretti al Creatore I discepoli di Abramo si definirono Ysrael (Israele) per via del loro desiderio di andare Yashar El (diretti a Dio, il Creatore). Essi desideravano scoprire la forza di unione della Natura, in modo da riequilibrare l’ego che si ergeva tra loro. Grazie alla loro armonia si ritrovarono immersi nella forza di unione, la forza superiore, la forza radice della realtà. Oltre a questa scoperta il popolo di Israele apprese anche che nel corso dello sviluppo umano gli altri Babilonesi, quelli che seguirono il suggerimento di Nimrod, disperdendosi nel mondo, e che sono poi divenuti l'attuale umanità, avrebbero anch’essi dovuto raggiungere l’unione. Questa contraddizione tra il popolo d’Israele, formatosi attraverso l’unione, e il resto dell’umanità, formatasi come conseguenza della separazione, è sentita persino ai nostri giorni. Esilio I discepoli di Abramo, cioè il popolo di Israele, attraversarono molte lotte interiori. Ma per quasi 2000 anni la loro unione prevalse e fu il fattore che tenne insieme le persone. Infatti i loro conflitti ebbero un unico scopo, quello di far aumentare l’amore tra loro. Tuttavia, circa 2000 anni fa, l’ego scoppiò tra loro a una tale intensità che essi non riuscirono a mantenere la loro unione. Odio immotivato ed egoismo proruppero e imposero loro la via dell’esilio. Questo esilio, più che un esilio dalla terra fisica di Israele, è esilio dall’unione. L’alienazione all’interno della nazione di Israele causò la loro dispersione tra le nazioni. Tornando al presente, oggigiorno l’umanità si trova in uno stato analogo a quello degli antichi Babilonesi: uno stato di interdipendenza, da una parte, odio e alienazione dall’altra. E, visto che siamo completamente interdipendenti in questo nostro “villaggio globale”, il metodo di Nimrod che prevede la divisione non è più praticabile. Ora è necessario adottare il metodo di Abramo: questo è il motivo per cui gli ebrei, che applicarono il metodo di Abramo connettendosi, ora devono ritrovare la loro unione e insegnare il metodo della connessione all'intera umanità. E se non lo faremo di nostra spontanea volontà, le nazioni del mondo ci costringeranno a farlo con la forza. A tale proposito è interessante leggere le parole di Henry Ford, fondatore della casa automobilistica Ford e noto antisemita, nel suo libro The International Jew - The world’s foremost problem (L’ebreo internazionale - Il problema più importante del mondo): “La società ha una grande rivendicazione nei suoi confronti (l’ebreo): che egli… inizi ad Alla base dell'antisemitismo Dopo migliaia di anni, passati nel tentativo di costruire una società umana di successo usando il metodo di Nimrod, le nazioni del mondo stanno iniziando a comprendere che la soluzione ai loro problemi non è tecnologica, né economica o militare. Inconsciamente sentono che la soluzione sta nell’unione, che il metodo di connessione esiste tra la gente di Israele e quindi riconoscono che dipendono dagli Ebrei. Per questo biasimano gli Ebrei, perché essi possiedono la chiave della felicità del mondo. Così, quando la nazione di Israele cadde dall’altezza morale dell’amore per gli altri, tra le nazioni del mondo iniziò l’odio nei confronti di Israele. E così, tramite l’antisemitismo, le nazioni del mondo ci spronano a svelare il metodo della connessione. Rav Kook, il primo rabbino capo di Israele, fece riferimento a questo fatto affermando “Amalek, Hitler e così via ci risvegliano alla redenzione” (Essays of the Raiah - Saggi del Raiah, Vol. 1). Ma il popolo di Israele non sa di possedere la chiave della felicità del mondo e che la vera origine dell’antisemitismo sta nel fatto che gli Ebrei portano dentro di loro il metodo della connessione, la chiave della felicità, la saggezza della Kabbalah, ma non la rivelano a tutti. Il dovere di svelare la Saggezza Mentre il mondo geme sotto la pressione di due forze contrapposte, la forza globale di connessione e la forza di repulsione dell’ego, stiamo ripiombando nella stessa situazione esistente nell’antica Babilonia prima della sua rovina. Ma oggi non possiamo separarci gli uni dagli altri per sedare i nostri rispettivi ego. L’unica opzione è lavorare per la nostra connessione, per la nostra unione. Dobbiamo aggiungere la forza positiva nel mondo, la quale bilancerà la forza negativa dell’ego. Il popolo di Israele, che discende da quegli antichi Babilonesi che seguirono Abramo, deve mettere in pratica la saggezza della connessione, cioè la saggezza della Kabbalah. E’ necessario che esso sia d’esempio per l’intera umanità e quindi diventi una “luce per le nazioni”. Le leggi della Natura stabiliscono che raggiungeremo tutti uno stato di unione. Ma esistono due vie per raggiungerla: 1) una via lastricata di sofferenze a livello mondiale (guerre, catastrofi, epidemie e disastri naturali) o 2) una via che porti al graduale riequilibrio dell’ego, la via lungo la quale Abramo condusse i suoi discepoli. E quest’ultima è quella che noi suggeriamo. L'Unione è la soluzione È scritto nel Libro dello Zohar “Tutto si basa sull’amore” (Porzione VaEtchanan), dato che “ama il tuo prossimo come te stesso” è la legge fondamentale della Torah ed è anche l’essenza del cambiamento che la saggezza della Kabbalah offre all’umanità. È un dovere per il popolo Ebraico unirsi allo scopo di condividere il metodo di Abramo con l'intera razza umana. Secondo Rav Yehuda Ashlag, autore del commentario Sulam (La scala) del Libro dello Zohar, “È responsabilità della nazione di Israele qualificare se stessa e tutte le persone del mondo... per svilupparsi fino ad assumere la responsabilità del sublime lavoro dell'amore verso gli altri, che è la scala che porta allo scopo della Creazione.” Se facciamo questo, troveremo le soluzioni a tutti i problemi del mondo, incluso l'antisemitismo. MICHAEL LAITMAN * Su concessione dell’autore. Articolo pubblicato sul New York Times il 20 settembre, su El Mundo il 28 settembre e sul Jewish Telegraph Newspaper il 3 ottobre u.s. Michael Laitman è professore di Ontologia, ha conseguito un dottorato in Filosofia e Kabbalah e una specializzazione in Bio-cibernetica medica. E’ stato il discepolo prediletto e l’assistente personale di Rav Baruch Ashlag (RABASH). Ha pubblicato oltre 40 libri, tradotti in molte di lingue. NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 adempiere… all’antica profezia per cui per suo tramite tutte le nazioni della terra dovrebbero essere benedette”. 21 FOCUS Oltre i conflitti “L La creazione del mondo e la missione del popolo ebraico NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 a vita e la morte ho posto davanti a te [...] scegli dunque la vita...” (Devarim 30, 15-19 ). Gli ebrei sono l’unico popolo che simbolicamente fa iniziare la storia con la Genesi. L’inizio sottolinea l’unità del genere umano affinché nessuno possa dire: «Mio padre è meglio del tuo». La rivelazione che fa del popolo ebraico «un popolo di sacerdoti» (‘am kohanim), al servizio di D-o e dell’umanità, non impone la rivelazione mosaica al resto del genere umano. Nessuno è tenuto a fare propria la cultura ebraica. E’ sufficiente che ognuno rispetti le leggi etiche fondamentali, che valgono per ognuno. I giusti fra le nazioni, non sono meno cari a D-o dei giusti fra gli ebrei. Nel commento all’Esodo, gli angeli vorrebbero unirsi a Israele nel canto, ma Dio, madre e padre di ogni essere vivente, lo vieta. Coloro che annegano nei flutti sono anch’essi figli suoi. L’appello di Abramo ad abbandonare la sua terra, per dare ascolto all’anima e al cuore è anche un viaggio interiore. Nella logica del pensiero biblico la differenza di Israele sottolinea l’unità del genere umano e il valore di ogni cultura. «Settanta persone» discesero in Egitto, e settanta sono per la Bibbia i confini che separano le nazioni. È un aspetto dell’Ebraismo che limita l’espansione all’esterno ai danni di altri popoli, privilegiando la memoria e il tempo. In ogni generazione, il racconto dell’Esodo dovrebbe essere commentato come se la liberazione riguardasse proprio quella generazione. (Talmud, Pesachim, 116b). La scelta tra la morte e la vita riguarda ogni momento. La voce che annulla il comando di sacrificare il figlio, esisteva nella mente divina prima che il mondo fosse stato creato. 22 L’inizio nell’universo ebraico significa che l’altro non ha il ruolo di comparsa, non è riducibile alle nostre proiezioni. Esiste in sé e per sé. Il comandamento biblico di amare il prossimo ha qui un suo preciso significato. Poiché D-o ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, nello sguardo dell’altro è la Divinità che si annuncia e viene incontro. L’offesa contro l’umanità è un oltraggio all’immagine divina. È per l’amore verso la Divinità, madre e padre di ogni vivente, che il sentimento della compassione deve essere esteso a ogni creatura. Sei millenni di calendario sono il simbolo di un inizio in cui il prima è rappresentato da un’origine comune e dove la patria è il mondo intero e la terra appartiene al Signore. L’inizio cui si richiama l’Ebraismo per celebrare il nuovo anno è ciò da cui ha preso corpo il tutto. È impegnativo anche nei rapporti con la natura e ha un valore ecologico. In questa prospettiva i figli non appartengono ai genitori, sono il più prezioso dei doni. Contro possibili fraintendimenti sul senso da dare a un comandamento spesso disatteso, Ben Azzai non esita a rintracciare nel passo biblico sulla storia della famiglia umana («Questo è il libro delle generazioni dell’uomo») il fondamento di ogni cosa. La parola acher, che in ebraico significa altro, si compone di tre lettere che fungono da acrostico. La alef indica l’achariut con cui si intende il sentimento della responsabilità; la chet sta per chaver e chevratiut con cui si indicano l’amico e l’amicizia. Solo se questi due aspetti del comportamento sono stati introiettati l’altro diventa una persona e non una mera proiezione. Chi nella prima infanzia e nell’adolescenza non ha sperimentato il valore dell’amicizia, avrà poi difficoltà a vivere una relazione che non sia meramente utilitaristica e di provare gioia per la sola presenza di una persona cara. Le benedizioni che D-o rivolge a Israele non escludono le altre nazioni. Il patriarca Abraham è capostipite di popoli e nazioni che in lui sono benedette. Ishma’el (Ismaele), suo primogenito, è nella tradizione ebraica il capostipite dei popoli arabi e islamici. ’Esau (Esaù), primogenito di Itzchaq, il secondo dei patriarchi, è il capostipite dei popoli cristiani. La consonante h di Abraham, quinta dell’alfabeto, è il segno di una presenza divina che avvolge l’intero mondo. Trasferitasi dalla moglie Sarai (che diventa Sarah) al marito, dopo la terribile prova cui ha fatto fronte, la duplice h di Abraham e di Sarah è il segno di un rinnovamento che appartiene al mondo. Anche nella tragedia, l’Ebraismo non ha mai negato ai suoi oppositori la loro umanità. Non era stato Abraham a mettere in discussione il diritto divino a distruggere Sodoma se vi erano dieci giusti? Ishma’el ed ’Esau, fratelli carnali dei patriarchi di Israele, sono nel Midrash i simboli dell’Islam e del Cristianesimo. Poiché non è consentita la rappresentazione per immagini, la tradizione ebraica ricorre a una figura astratta in cui sono simbolicamente rappresentati i fori attraverso cui l’uomo ascolta, vede e respira. Proiettando su uno schermo sotto forma di cerchi e cerchietti gli occhi, i fori nasali e le orecchie, si ottiene l’immagine di un candelabro a sette braccia. Espressione di una proiezione simbolica del volto, il candelabro sta a indicare i legami indissolubili che uniscono il genere umano di cui Israele si è posto storicamente e religiosamente come testimone. Le due mani poste sulla fronte dei figli con l’indice e il medio, l’anulare e il mignolo rispettivamente uniti corrispondono alle quattro lettere del Nome impronunciabile. Nonostante le persecuzioni, l’Ebraismo è riuscito a conservarsi e rinnovarsi perché non è mai chiuso in se stesso. Anche nei momenti più difficili della sua storia non ha mai smesso di pensarsi in termini universali oltre che specifici e particolari. La stagione degli ebrei spagnoli fu il risultato di un incontro con la civiltà islamica, pur all’interno di una condizione di subalternità in cui non mancarono la paura, l’angoscia e le persecuzioni. L’esplosione di creatività degli ebrei che uscivano dai ghetti, dopo l’emancipazione, fu il risultato di un incontro creativo con la cultura circostante, per quanto doloroso e carico di ambiguità. Sin dalla loro apparizione sulla scena storica gli ebrei sono in cammino. La terra è una promessa che si trasfigura nella nostalgia di un ritorno al futuro in cui realizzare le speranze mancate e le aspirazioni del passato più antico e recente. Nell’umorismo ebraico la patria può essere un violino, più facile da portare con sé in caso di abbandono forzato. Per parafrasare il poeta Heinrich Heine, il violino è come la Torah, «una patria portatile». Si può trasportare con sé in una piccola valigia. Non è un peso e non ingombra. Rispetto al pianoforte lo si può portare in una piccola valigia, come la Torah, il talleth e i tefillin, non ingombra. storia più antica. Il posto della patria è stato preso da un Libro rinnovato nei suoi significati di generazione in generazione. Il passato idealizzato è trasfigurato in un programma di rinnovamento che investe ogni aspetto della vita. Nella mistica è il mondo intero che vive in questa attesa. Nel canto gioioso di Lekhah Dodì con cui si accoglie la sposa mistica, rappresentata dallo Shabbath, è possibile sperimentare come certezza un frammento di futuro messianico. La parentela semantica delle parole galuth e gheullah è per i mistici della Qabbalah anche una parentela di sostanza. Di fronte alla tragedia delle persecuzioni il più oppresso dei popoli sa di essere interiormente più libero dei suoi oppressori. Nonostante le apparenze, sono i persecutori e gli oppressori a non essere liberi, perché si sono staccati dalla fonte primaria dell’Essere. Il D-o “che si nasconde” è tale solo nella confusione prodotta dallo smarrimento e dal dolore. In realtà D-o non è mai assente, anche se in questa presenza non vi è ormai più nulla delle teofanie trionfali con cui lo spirito ingenuamente religioso ne aveva cercato i segni. Il rapporto che l’Ebraismo intrattiene con la Terra non è di appropriazione, né di saccheggio, né di dominio. La Terra non attribuisce il nome al popolo, ma viceversa è il popolo che dà un nome a una terra di cui è custode. La memoria della condizione straniera nella schiavitù, è un appello rivolto al futuro che assume il sentimento di estraneità come valore costitutivo dell’essere umano contro la tentazione regressiva dell’idolatria nazionalistica e statalistica. La condizione straniera, come ripete con insistenza il Devarim, è una condizione ontologica che prescinde dalla condizione materiale e dalla sovranità. In questa logica, la libertà non si misura sul potere che si ha sugli altri. Quella è la libertà del Faraone che conduce il mondo alla catastrofe. Non è una questione di territorio o di provenienza. Abraham è un ebreo (’ivrì) perché è altrove non nel senso fisico e materiale del termine, ma con la mente e con lo spirito. Il suo orizzonte mentale è una giustizia rivolta a tutta l’umanità e che si estende al mondo animale e vegetale. La responsabilità verso il creato è assoluta e la terra è solo in affidamento. Questo concetto esplosivo è la grande vera sfida che Israele, rinascendo come nazione sovrana, lancia al mondo. Se ci si pensa bene, sta qui uno dei significati reconditi del rifiuto di cui è oggetto da destra e da sinistra. DAVID MEGHNAGI NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 La vita nella diaspora non è stata solo una valle di lacrime. Diaspora ed esilio non sono sinonimi. L’immagine della Sukkah, la capanna in cui dimorarono gli ebrei nel deserto, non è un’immagine di perdita, ma di una presenza di vita che nessuna realtà statuale potrebbe mai surrogare. Per i padri fondatori, il sionismo voleva dire recupero di un più antico passato nazionale che riportava gli ebrei dentro la storia. La valorizzazione della Bibbia rispetto al Talmud rientra in questo quadro perché racconta una teodicea dentro la storia. Il Talmud colloca i personaggi biblici fuori dalla storia, li trasforma in figure archetipiche e in metafore di un discorso situato fuori dal tempo storico, valido in ogni epoca. Che un evento raccontato nel Midrash si svolga due o tremila anni fa ha poca importanza. L’obiettivo del Midrash è di attualizzare il testo biblico e i suoi insegnamenti. La drammatizzazione delle ansie della comunità, la gestione delle angosce e delle paure collettive, la loro sublimazione sono funzionali al rinnovamento della vita comunitaria e alla costruzione di un futuro possibile. L’immagine del ritorno conservata nella liturgia è stata caricata, generazione dopo generazione, di significati nuovi che hanno reso possibile il rinnovamento dell’esistenza. Il ritorno è anche pentimento, riparazione e restaurazione dell’anima. Nella visione messianica tornare a Gerusalemme è un ritorno al futuro. Combinando le immagini di un passato idealizzato con la speranza in un futuro diverso per l’umanità intera, l’Ebraismo si è rinnovato nei secoli conservando i legami con la 23 MONDO Inaugurato a Varsavia il Museo della storia ebraica in Polonia I nazisti annientarono il 90% dei 3,3 milioni di ebrei polacchi I NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 presidenti della Polonia Bronislaw Komorowski e di Israele Reuvin Rivlin, insieme ad alcuni sopravvissuti all'Olocausto (tra cui Roman Polanski) hanno partecipato alla cerimonia ufficiale di inaugurazione del nuovo museo multimediale che racconta la storia di 1.000 anni di vita ebraica in Polonia. Parlando in ebraico, Rivlin – al suo primo viaggio all’estero come Capo di Stato – ha detto: "Quando sei un Ebreo, anche se non sei nato in Polonia, il nome stesso di 'Polonia' suscita timore e ansia nel tuo cuore". "Questo paese – ha ricordato Rivlin – è stato un luogo di creazione dello spirito della nazione ebraica e – ahimè! - è anche il più grande cimitero ebraico. Qui è nata la città ebraica (shtetl) ma qui è stata anche uccisa, e gli ebrei sono stati chiusi a chiave nei ghetti ma non hanno mai smesso di lottare, fino a quando non sono stati assassinati da tedeschi nazisti. " "Anche se gli ebrei sono stati strappati dalla Polonia – ha concluso –, è difficile se non impossibile strappare la Polonia agli ebrei. Non si può cancellare una storia così ricca e dolorosa allo stesso tempo". Il presidente polacco Komorowski si è detto convinto che il museo contribuirà a rimuovere falsità e distorsioni nel modo in cui i polacchi e gli ebrei vedono l'un l'altro, e in tal modo contribuirà alla costruzione di nuove relazioni tra le due nazioni la cui vita e culture si sono intrecciati per secoli. L'edificio che ha già aperto al pubblico 24 nell'aprile 2013, in occasione del 70esimo anniversario dell'insurrezione del ghetto di Varsavia contro i nazisti, attirando 400mila visitatori, è una struttura in vetro, costruita sul luogo dove c'era il ghetto. Di fronte, il Monumento agli Eroi, dove nel 1970 il cancelliere tedesco Willy Brandt si inginocchiò per chiedere perdono per le violenze inflitte dal regime nazista durante la guerra. Il nuovo museo, che vuole ricordare la cultura ebraica anche e soprattutto "prima" del ghetto, ha una superficie di 4mila metri quadri ed è diviso in otto sale tematiche. E' stato realizzato su progetto degli architetti finlandesi Rainer Mahlamaeki e Ilmar Lahdelma, scelto tra oltre 100 candidati. "Polin" – questo il nome del museo ("Polonia" e "Riposati qui" in ebraico) è un museo "narrativo", secondo la direttrice dei programmi Barbara Kirshenblatt–Gimblett. In altre parole, cerca di rievocare il passato grazie a delle installazioni multimediali e a delle scene di vita o dei paesaggi urbani ricostituiti. Sponsorizzato da donatori privati, da fondazioni tedesche, dal governo polacco dalla città di Varsavia e dall'Ue, il progetto è costato 50 milioni di euro. La facciata in vetro del nuovo museo è come divisa in due da una "frattura", esattamente davanti al monumento agli eroi del ghetto. I nazisti annientarono il 90% dei 3,3 milioni di ebrei che componevano la comunità ebraica anteguerra in Polonia. In più, rasero al suolo Varsavia, in una furia distruttiva con cui i curatori del museo hanno dovuto fare i conti anche in termini di reperti da esporre. Del primo periodo di presenza ebraica in Polonia restano oggi una selezione di lapidi funerarie, una collezione di monete e poco di più. Così il museo fa ampio ricorso al multimedia e anche alle riproduzioni, come quella di una sinagoga del 18esimo secolo, una copia del luogo di culto ebraico della cittadina di Gwozdziec: parte della memoria che il nuovo museo di Varsavia vuole ricostruire, più che mettere in mostra. La storia emblematica di Umberto Vorchheimer che ha lottato anni per riottenere la cittadinanza italiana N EW YORK – Si è spento a Filadelfia il 1° ottobre scorso in seguito ad una operazione a cuore aperto per sostituire la valvola aortica, l’81enne Umberto Vorchheimer. Milanese trapiantato a Filadelfia, la sua scomparsa segna un grave lutto non solo per la moglie Carol, le due figlie Ellen Mandelberg e Shoshana Siegelman e i suoi cinque nipoti Laura, David, Elisha, Aaron e Sara, ma anche per i tanti ebrei italiani costretti dalle leggi razziali del Duce a scappare all’estero, di cui fu vero pioniere. L’ex dirigente della General Electric in pensione era finito sulle prime pagine dei giornali nel 2009, quando, dopo anni di inutili tentativi, era riuscito ad ottenere da Roma il riconferimento della cittadinanza rubatagli dai fascisti nel ‘39, in quanto ebreo. Primo di una serie di anziani ebrei italiani – tra cui la 91enne Stella Levi, sopravvissuta ad Auschwitz dove perse i genitori Miriam e Jehuda – che usarono il suo precedente per farsi valere al ministero degli Interni, dopo anni di penosi dinieghi (la Levi riottenne la cittadinanza nel 2011). L'odissea di Vorchheimer inizia nel febbraio del 1933 a Milano, dove l'unico figlio di Vittorio Felice - facoltoso commerciante di origine tedesca trasferitosi in Italia nel 1912 e dal 1936 cittadino italiano - vede la luce in un bell’appartamento in via Visconti di Modrone. Tre anni più tardi la serena esistenza della sua famiglia va in frantumi. «Nel giro di pochi mesi mia madre morì di cancro a 31 anni», mi confidò Vorchheimer nel 2008, durante il suo braccio di ferro con la burocrazia romana - Mussolini ci revocò la cittadinanza e papà fu costretto a svendere per poche lire ai fascisti il suo negozio di cappelli in corso Venezia». Dopo un pellegrinaggio tra Liguria e Svizzera, dove frequenta la scuola e viene accudito dall'adorata nonna materna Omi, nel maggio 1940 deve dire addio all'Italia. «Il giorno del mio settimo compleanno nonna mi disse che sarei partito per New York insieme a papà, mentre lei avrebbe raggiunto i suoi figli a Buenos Aires», mi spiegò nella stessa intervista. L'ultimo giorno di scuola, quando un compagno gli grida dietro «l'America perderà», lui non capisce di cosa stia parlando. Dopo aver ritirato il visto al consolato americano di Napoli, padre e fi- glio si recano al cimitero Maggiore di Milano per dire addio alla moglie e madre: «Papà recitò sottovoce il Kaddish, mentre io deposi una pietra sulla tomba». Salpano per l'America da Genova a bordo del transatlantico S.S. Rex e al loro arrivo a New York vengono accolti da zio Julius, tratto miracolosamente in salvo da Dachau dal fratello Vittorio Felice verso la metà degli anni ‘30, proprio in quanto “parente diretto di un cittadino italiano”. Ma un decreto in data 15/12/1939 emanato da Vittorio Emanuele III su proposta di Mussolini revocherà «ad ogni effetto» la loro cittadinanza italiana. Da quando, anni fa, seppe che Usa e Italia avevano introdotto la doppia cittadinanza, Vorchheimer non si è dato pace anche se mille cavilli burocratici hanno rischiato di far naufragare il suo sogno. «Mi domando come sarebbe stata la mia vita se non mi avessero cacciato dall'Italia - mi disse un giorno -. Milano è la mia città, un buon posto per crescere e diventare vecchi». In un’altra occasione aveva riflettuto sui tanti ebrei italiani esuli all’estero, meno fortunati di lui. «Chissà quanti di loro sono morti in terre lontane senza poter mai correggere quell'ingiustizia», aveva detto. Come Giorgina DeLeon Vitale, 83enne ebrea torinese emigrata in Connecticut, stroncata da un tumore al seno dopo una annosa e inutile lotta per riavere il passaporto italiano. L’amarezza ha accompagnato anche la vita di Vorchheimer Senior fino alla morte: «Papà era un uomo infelice, non l'ho mai visto ridere». Nell’adottiva America, invece, lui si costruisce una nuova vita. Si laurea, diventa un attivista contro la guerra del Vietnam e come i suoi coetanei va pazzo per Bob Dylan, i Beatles e Pete Seeger. Più tardi diventa pilota dell’aereonautica al servizio dello Strategic Air Command e intenta causa alla Central High School, il più antico liceo pubblico d’America allora solo maschile, che si rifiuta di iscrivere la figlia Susan. Dopo ben 8 anni di contenzioso stravince, in una sentenza giudicata “storica” negli annali della pubblica istruzione Usa. “Umberto era un ebreo progressista”, lo ricorda l’amico Richard Juliani, “insieme ad un gruppo di noi aveva fondato una delle prime Chavurah, o Underground Synagogue, le sinagoghe senza rabbino e senza muri nate in America tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70, come alternativa egalitaria e progressista alle istituzioni ebraiche giudicate troppo formali e ingessate”. ALESSANDRA FARKAS NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Quegli ebrei fuggiti dall’Italia ma con l’Italia nel cuore 25 MONDO Una storia di coraggio Malala Yousafzai è una ragazza pakistana che lotta da sola contro l'intolleranza e l'oscurantismo dei talebani. È stata insignita del premio Nobel per la pace I l 10 ottobre 2014 è stata una giornata storica: Malala Yousafzai, Pakistana di soli 17 anni, è diventata la più giovane vincitrice del premio Nobel per la pace, premio che riceverà il 10 Dicembre a Oslo insieme all'indiana Kailash Satyarthi. La motivazione del comitato di Oslo per il Nobel è stata: "per la loro lotta contro l'oppressione dei bambini e dei giovani e per il diritto alla loro istruzione ... e di non essere sfruttati economicamente". L'attività di Malala è cominciata a soli 11 anni, quando, con coraggio e rischio della vita, ha scritto su un blog della BBC, descrivendo la vita quotidiana sotto il regime del talebani in Pakistan e criticando la loro politica che non rispetta i diritti delle donne e dei bambini negando loro la possibilità di studiare. Malala è nata in una famiglia in cui il padre, preside di scuola, l'ha incoraggiata a studiare e dove la parola "educazione" era la più sentita in casa. Il 9 ottobre 2012, ritornando sull'autobus da scuola, è stata fermata da due talebani, che identificandola come Malala Yousafzai, le hanno sparato tre proiettili alla testa ed al collo, riducendola in gravi condizioni. Inizialmente è stata ricoverata in un ospedale militare in Pakistan e successivamente trasferita in un ospedale di Birmingham in Inghilterra. Il 15 ottobre, per la prima volta dopo essere stata col- pita, ha aperto gli occhi, e le sue prime parole sono state: "grazie per essere ancora viva". Poco tempo dopo è ritornata studiare e a continuare la sua lotta. Il giorno in cui compiva 16 anni ha parlato alle Nazioni Unite a New York, pronunciando queste parole: "un bambino, un insegnante, un libro ed una penna possono cambiare il mondo". L'11 ottobre 2013, ha incontrato il presidente degli USA Barack Obama e la sua famiglia alla Casa Bianca, ed è stata ringraziata per il suo impegno. A Malala sono state assegnate varie onorificenze come il premio Sakharov, per la libertà di pensiero, è stata ospitata al Parlamento Europeo e le è stata conferita la cittadinanza onoraria in Canada, assegnata anche a leader come Nelson Mandela ed il Dalai Lama. Inoltre per il "Time Magazine" nel 2013 è stata una delle 100 persone più influenti nel mondo. Ha pubblicato un libro autobiografico "Io sono Malala", che è diventato un best seller. Il suo sogno sarebbe stato quello di essere medico, ma per la sua attività in giro per il mondo e per la possibilità di ispirare le persone, ha deciso di continuare la sua missione politica in favore della libertà e dell'educazione. Per Malala il cielo è il solo limite. YAARIT RAHAMIM CENTRO EBRAICO ITALIANO “IL PITIGLIANI” NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 LA DOMENICA PASSALA CON NOI Per i bambini dai 3 ai 10 anni 26 DOMENICHE DI EBRAISMO A BOTTEGA CHI CI STA…? TEATRO Per tutti coloro che vogliono scoprire tutto sulle feste ebraiche, ebraismo ed ebraico con corsi di lingua Giornate divertenti con attività, giochi, gite, baby parking, orari flessibili e tanto altro ancora… Spettacolo, merenda e laboratorio inerente il testo Dalle 10:30 alle 15:30 PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA Dalle 8:30 alle 20:00 Ore 11:00 PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA 7 DICEMBRE: A bottega chi ci sta…? + Domeniche di Ebraismo = Aspettando Channukkà 14 DICEMBRE: A bottega chi ci sta…? + Teatro = Ester e il disastro di Channukkà 21 DICEMBRE: A bottega chi ci sta…? + Domeniche di Ebraismo = È arrivata Channukkà Per info e prenotazioni: Giorgia Di Veroli – [email protected] Via Arco de’ Tolomei, 1 - Roma tel. 06.5897756 - www.pitigliani.it Patrick Modiano, un Nobel per le identità sul confine di sicuro di risulta del tutto estraneo a Patrick Modiano è invece l'anagrafe di una qualsiasi Comunità o Congregazione. Forza, che abbiamo vinto un altro Nobel. Non è così, infatti. La letteratura non tollera semplificazioni né banalizzazioni. La letteratura parla sempre d'altro, e dunque dell'altro presente nelle nostre vite. C'è l'altro alle origini dell'universo e ne costituisce l'essenza, parla a noi servendosi di noi. Si procede dunque come la psicoanalisi di Jacques Lacan, che Modiano sente profondamente congeniale. Per lo scrittore l'altro più assoluto è la Francia occupata dopo la disfatta del 1940, gli altri sono i genitori. Nato nel 1945, Patrick viene battezzato nel settembre 1950. Il padre, Albert Modiano è un ebreo di origini greco-egiziane-italiane. La madre, Louisa Colpijn, un'attrice fiamminga. Albert ha un passato ambiguo, è riuscito a non farsi registrare come ebreo dalle autorità di Vichy, è sopravvissuto grazie al mercato nero e forse ha lavorato per la Gestapo. E forse ha salvato alcuni partigiani. Doppio e triplo gioco, chissà. Non si occupa del figlio, gli dedicherà solo qualche ora di passaggio nell'atrio delle grandi stazioni. Anche Louisa non ha tempo, lo affida ai nonni materni. Il fiammingo è la madrelingua di Patrick. Nasce un fratello, che muore ancora bambino. C'è però un amico fraterno, Georges Perec. Un grandissimo della moderna letteratura francese, erede di una storia peggiore. Nato ebreo nel 1936, poi battezzato per sottrarlo alla furia nazista. Il padre è ferito mortalmente in combattimento, la madre assassinata ad Auschwitz. Ecco due scrittori angosciati e disorientati dalla dicotomia tutta europea "ebreo-non ebreo". Parlare di ricerca di identità risulta banale per definizione, quando si tratta di ebrei che sono ebrei in modo molto deviante, e che opporrebbero strenua resistenza ad ogni tentativo di immobilizzarli dentro confini precisi. Ma leggiamo la motivazione proposta dall'Accademia di Svezia: l'opera di Modiano merita il premio "Per l'arte della memoria con la quale egli ha fatto riapparire i destini più inafferrabili e svelato il mondo delle vite vissute sotto l'occupazione.". Ci lamentiamo spesso dell'Italia, però Fleur Pellerin, ministro francese della Cultura nel più acclamato dei ministeri, legge poco, non ha tempo, non sapeva nulla di Modiano. L'Accademia manda spesso messaggi cifrati, mentre le sue scelte che talvolta arrivano del tutto inaspettate, ed è il caso di Modiano, seguono una logica ferrea. Decisione fulminante, esemplare. Il messaggio è tutt'altro che cifrato: nella storia recente, l'occupazione è una ed una soltanto, non c'è neppure bisogno della maiuscola. L'occupazione coincide con Parigi e la Francia 1940-1945, e basta, con buona pace di quelli che amano confondere "occupazione" con amministrazione di territori nell'attesa di un trattato definitivo di pace. PIERO DI NEPI NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 A Patrick Modiano basterebbero due titoli, Rue des Boutiques Obscures (1978) e Dora Bruder (1997). In Via delle Botteghe Oscure, proprio nel centro storico di Roma e a un passo dal quartiere antico degli ebrei romani, Modiano ha abitato per davvero in anni ormai lontani. Ecco dunque la vicenda di un uomo che si fa chiamare Guy Rolland, ma non sa nulla del suo passato e non conosce neppure la sua vera, originaria identità. Lavora per un'agenzia di investigazioni private, non deve far altro che fare il proprio mestiere quando il proprietario se ne va in pensione a Nizza e lo nomina titolare. Guy si mette al lavoro, arriva fino a Bora Bora in Polinesia, passa da Roma. Non approda a nulla. E' destinato a non conoscere niente di sé. Dora Bruder invece è un nome che compare tra gli annunci di richiesta informazioni su persone scomparse. Però si tratta di una pagina di Paris-Soir del 31 dicembre 1941. Dora ha quindici anni, e chiaramente è ebrea. Il 26 maggio 1978 Modiano, scrupoloso fino all'ossessione, scrive a Serge Klarsfeld, un cacciatore di nazisti temuto quanto e più di Simon Wiesenthal. Klarsfeld ha raccolto il libro della memoria della Shoah in Francia. Più di 70.000 nomi. Luoghi, persone, atmosfere avvolti nella penombra. Modiano vuole impedire che dalla penombra si scivoli nell'oblio. Esattamente come Proust, sa che la parola scritta cerca e trova il tempo perduto. Ma il tempo perduto nel suo caso non è la Belle Epoque, bensì la notte e le nebbie della Francia occupata per cinque anni, la Francia di Petain e Laval, della Gestapo e dei collaborazionisti. Di romanzi Modiano ne ha pubblicati finora 29, e ha sceneggiato 8 film. Uno è assolutamente straordinario e giustamente celebre. Lacombe Lucien di Louis Malle (1974) trasforma in immagini la corruzione morale assoluta che il regime di Vichy ha consegnato alla Francia del dopoguerra. Il romanzo Une jeunesse è portato sugli schermi nel 1983 dal regista israeliano Moshe Mizrahi. Rende esplicito il legame di ogni ebreo "nato dopo" con un passato sfuggente e con la propria giovinezza, che da questo passato è segnata. Ma nella vicenda, ovviamente, di ebrei non si parla. Se si vuole davvero rivelare qualcosa di Patrick Modiano e dei suoi libri è meglio prendere lo spunto risalendo la corrente, all'indietro, come lui stesso ha sempre fatto fin dal suo primo romanzo del 1968, Place de l’Etoile. Proiettarsi su qualcun altro, e in qualcun altro. Dunque neppure questa volta Philip ce l'ha fatta. A vincere il Nobel, naturalmente. E forse è meglio così. Dichiaratamente ateo, Philip Roth disorienta tuttora la nomenklatura. Non pochi, infatti, negano la patente di leale e reale ebraicità all'autore del Lamento di Portnoy e di Operazione Shylock. Invece Patrick Modiano lo hanno immediatamente arruolato d'ufficio. Gli ebrei più liberal non si sono lasciati sfuggire l'occasione, neanche in Israele. Ma è l'occasione sbagliata. Certamente Patrick Modiano ha qualcosa di profondamente ebraico, e cioè la ricerca angosciosa del chi sono io? e del sé. Tanto più inquietante in chi è nato dopo, ma rivela comunque una storia personale di "testimone del non-provato" (un concetto che dobbiamo a Raffaella Di Castro e al suo bel libro del 2008). Nelle foto, quello di Patrick Modiano è un volto che evoca famiglie ben conosciute nelle diaspore e in Israele. E anche nella storia della Shoah. Ciò che 27 LIBRI Da Modillano a Modiano La genealogia di una grande famiglia sparsa per il mondo che annovera il Premio Nobel per la Letteratura Patrick Modiano NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 O 28 gni 2 anni si incontrano in qualche parte del mondo: la prima volta fu a Firenze su iniziativa di Guido Modiano, e poi Milano, Napoli, Tel Aviv, Salonicco, Venezia, Parigi; il prossimo anno sarà Washington. I Modiano sono una grande famiglia che abita in tutto il mondo – USA, Messico, Italia, Francia, Grecia, Turchia – ed ha compreso nomi illustri del panorama intellettuale mondiale: uno per tutti Patrick Modiano, recentemente insignito del Premio Nobel per la letteratura, figlio del francese Albert e dell’attrice fiamminga Louisa Colpijn. Malgrado fosse un grandissimo romanziere, non si aspettava di ricevere tale onorificenza, conferita “per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e svelato la vita reale durante l’Occupazione”. Di lui scrive il giornalista Mario Modiano z.l., che purtroppo è scomparso l’anno scorso, ma ha fatto in tempo a consegnare ai posteri la pubblicazione in proprio della genealogia della sua famiglia, realizzata ad Atene nel 2000 in inglese: “Hamehune Modillano. The Genealogical Story of the Modiano Family from 1570 to our days” in cui si annoverano circa 1700 membri in 400 anni di storia. Le prime notizie della famiglia Modiano si riferiscono ad un certo rabbino Samuel Modillano che, alla fine del XVI secolo, dall’italiana Modigliana (vicino a Forlì), va nella Salonicco dominata dagli Ottomani. Il volume, frutto di una ricerca durata oltre dieci anni, descrive le origini del cognome, tra Salonicco, Livorno e Modigliana, parla dei rabbini Samuel Isaac, Joseph Isaac e Joseph Samuel e poi illustra i vari rami della famiglia con dovizia di particolari e riproduzioni di alberi genealogici per rendere più semplice la comprensione dei vari rami familiari. L’autore nella prefazione ci avverte che non si tratta della storia esaustiva della famiglia Modiano, impresa titanica considerate le sue ramificazioni, ma del tentativo di colmare alcune lacune nella ricerca delle proprie radici. “Lo racconterai ai tuoi figli” è uno degli impegni più importanti nella tradizione ebraica che i genitori devono mettere in pratica nei confronti del proprio passato e del proprio futuro: Mario Modiano ha consegnato ai propri discendenti uno strumento fondamentale per aiutarli nella ricerca della propria identità e per stimolarli verso nuove ricerche nella galassia familiare dei Modiano. SILVIA HAIA ANTONUCCI A cena dalla Regina Rutu Modan Giuntina, p.32 € 15 Con tocco lieve e divertito l’autrice, l’israeliana Rutu Modan, ci coinvolge nell’avventura della protagonista Nina. Monella e rossa di capelli, un po’ Pippicalzelunghe, Nina non rispetta le regole che le impartiscono i genitori, soprattutto quando è l’ora dei pasti: “Mangia con la bocca chiusa” ,“stai dritta”, la rimproverano, fin quando un araldo con tanto di marsina le recapita un invito dalla Regina d’Inghilterra. Nina, molto preoccupata, arriva a corte, viene presentata alla Regina e invitata a sedersi a tavola… Che cosa succederà? Farà una figuraccia? O sarà la Regina a ritrovare la spontaneità, ormai frenata da regole troppo rigide? Rutu Modan, illustratrice fumettista, nel racconto gioca sul rovesciamento delle regole e su come i bambini riescano a farci vedere il mondo con i loro occhi magicamente… Maschio e femmina Dio li creò La donna nell’ebraismo AA.VV. Sovera edizioni p. 144 € 12 Un libro sul ruolo della donna, scritto da sole donne, “Maschio e femmina Dio li creò” è una accurata ricerca nelle varie fonti rabbiniche, fatta per rispondere alle numerose domande sui pregiudizi nei riguardi della donna nell’ebraismo. Dopo la rivoluzione femminista anche l’ebraismo è stato sottoposto a forti critiche. Il libro si apre con la presentazione del Rabbino Capo Riccardo Di Segni e si susseguono gli approfondimenti delle autrici su diverse questioni: dalla creazione dell’uomo e della donna alla benedizione del mattino, dai tre precetti della donna, alla sua voce, all’insegnamento, alla redenzione fino ad arrivare al ruolo delle filosofe ebree del Novecento come Edith Stein, Simone Weil, Hannah Arendt e Jeanne Hersch. Prezioso. “Non era una donna, era un bandito” Rita Rosani una ragazza in guerra Livio Isaak Sirovich CIERRE edizioni, p.400 €18 La figura di Rita Rosani, maestra ventitreenne uccisa per mano nazifascista nel 1944, viene ricordata in questa preziosa biografia, basata su rapporti epistolari e sugli atti dei processi a carico dell’assassino della donna. L’autore, Livio Sirovich, nel libro descrive altre due persone, il cui destino inevitabilmente si intreccia con quello di Rita: il fidanzato Kubi, che sarà internato prima nel campo di concentramento in Calabria e in Abruzzo per poi trovare la morte ad Auschwitz e il colonnello Ricca, reduce di Russia. Scappata dai pogrom, Rita con la famiglia si rifugia in Veneto. Divenuta partigiana in una unità autonoma, verrà uccisa il 17 settembre 1944 sul Monte Comun, a nord di Verona durante uno scontro a fuoco. A Rita, unica donna morta in combattimento, medaglia d’oro al valor militare e l’intitolazione di due strade, una a Trieste e l’altra a Verona. Sinagoghe in Italia Franco Bonilauri - Vincenza Maugeri Mattioli 1885, p.160 € 16 In Italia la bimillenaria presenza ebraica è dimostrata da significative tracce storiche in diverse città e nei piccoli centri, dove le comunità ebraiche si radicarono. L'elemento più rappresentativo è la Sinagoga, da sempre punto di riferimento per ogni ebreo e il luogo sacro per eccellenza. Gli autori, Franco Bonilauri e Vincenza Maugeri, con questa opera offrono un prezioso aiuto a chiunque voglia scoprire quei luoghi così importanti per l'ebraismo. La guida è arricchita dalla prefazione di rav Alberto Sermoneta, da una introduzione generale sulla storia degli ebrei italiani con dettagliate schede di approfondimento e dalla descrizione delle Sinagoghe con note storiche. Il tutto corredato da splendide foto. A cura di JACQUELINE SERMONETA Il miracolo della rinascita G eneralmente le autobiografie di personaggi in vita rischiano di apparire noiose perché c'è sempre il rischio che l'autore cada nella tentazione di autoelogiarsi o di trasformare la sua vita in una serie ininterrotta di epiche e clamorose vicende, più romanzate che reali. Non è il caso del libro scritto da Israel Meir Lau (rabbino capo di Israele dal 1993 al 2003 e attuale presidente dell'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme), un libro - e non sono solito usare aggettivi elogiativi per nessuna recensione - di una sconvolgente bellezza, e di una tale profondità da lasciarmi spesso senza fiato. "Dalle ceneri alla storia" è il racconto di un bambino di otto anni che - come scrive lo stesso Lau - dopo essersi "laureato all'università di Buchenwald", dopo essere miracolosamente sopravvissuto alla Shoah (che ha distrutto tutta la sua famiglia lasciandolo orfano), dopo essere stato nascosto in un sacco dal 'fratello-custode', giunge in Israele senza saper leggere una lettera di ebraico e da qui inizia un lungo percorso di studio ma soprattutto di riaffermazione della propria identità ebraica. Il piccolo Lau è cosciente di rappresentare una famiglia di rabbini da 36 generazioni e sa che il padre, rav Moshe Haim, consapevole della tragedia che si stava abbattendo sugli ebrei dell'est Europa, ha affidato la salvezza e l'educazione del piccolo Israel al fratello maggiore Naftali. E Naftali, tra mille insidie, riuscirà nell'impresa di salvare il fratello dal campo di sterminio, di portarlo nel nascente stato di Israele e di seguirne gli studi rabbinici. Impossibile raccontare un libro che è il racconto di un uomo che nell'arco della sua vita, negli incontri privati e in quelli ufficiali con i leader del mondo (Fidel Castro, Obama, Clinton, Gorbaciov, Clinton, il re Hussein di Giordania, il presidente egiziano Mubarak, Nelson Mandela, la regina Elisabetta, i pontefici Giovanni Paolo II e Ratzinger) ha sempre avuto a cuore la ricostruzione dell'ebraismo che i nazisti tentarono di distruggere: si trattasse di recuperare un vecchio sefer torà, di portare matzot (pane azzimo) dove non si celebrava più Pesach, di riaccendere la fiamma dell'ebraismo nei cuori di ebrei che erano soli e abbattuti dal dolore. Una campagna di ricostruzione umana e culturale, degli ebrei e dell'ebraismo, che Israel Lau ha condotto prendendo forza dal suo stesso dolore ma che ha trovato insegnamento dai suoi Maestri (rav Itzhak Yedidya Frenkel, rav Josef Kahaneman, rav Shlomo Zalman Auerbach, rav Menachem Mendel Schneerson) e nell'azione del primo capo rabbino di Israele, Itzhak Halevi Herzog, che durante la seconda guerra mondiale cercò più volte inutilmente di incontrare papa Pio XII, per chiedere alla Chiesa un intervento in difesa degli ebrei. Solo alla fine del conflitto Pio XII riceverà Herzog che gli chiederà di consentire ai conventi e alle associazioni cattoliche di rilasciare i bambini ebrei che erano stati nascosti dalle autorità ecclesiali. Alla fine dell'incontro tra il papa e il rabbino capo di Israele - ricorda rav Lau - Herzog chiese di andare immediatamente in un mikve. Sono tantissimi gli aneddoti e gli incontri che Israel Lau raccoglie, racconta, dimostrando che dietro l'apparente quotidianità, vi è un disegno segreto, uno scopo ultimo, una immanente presenza divina che riesce a dare un senso al dolore, all'abbandono, alla precarietà che solo chi ha vissuto la Shoah ha provato. E' un libro profondamente 'religioso', non perché lo sia l'autore, ma perché afferma la fede nella bontà dell'uomo, e soprattutto l'ottimismo che l'eredità che il popolo ebraico tramanda di generazione in generazione da migliaia di anni, non si interromperà mai, nonostante e al di là dei nostri nemici. E' un libro prezioso - arricchito nella versione italiana dalle prefazioni di rav Riccardo Di Segni, Shimon Peres e Elie Wiesel - che dovrebbero leggere soprattutto gli adolescenti, spesso combattuti da un senso di incertezza e precarietà. Lau ci racconta che la vita è lotta, è impegno, studio, amore per la propria famiglia e per i propri Maestri e che davanti a noi c'è la responsabilità "che la fiaccola della tradizione ebraica non si spenga". Solo in questo modo un piccolo bambino indifeso - quello che appare nella copertina del libro - ha potuto, partendo dalle ceneri della distruzione, arrivare ad essere protagonista della storia del popolo ebraico e dello stato di Israele. G. K. ‘Dalle ceneri alla storia’ Israel Meir Lau Gangemi Editore 431 pp. 25 € NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Israel Meir Lau in un libro autobiografico racconta la sua incredibile storia di bambino sopravvissuto alla Shoah, ma anche la ferrea volontà di ricostruire un ebraismo orgoglioso di se stesso 29 LIBRI Dan Segre, viaggiatore della conoscenza Quei finanzieri eroi e Giusti tra le Nazioni Una sorta di testamento spirituale è il suo ultimo libro "Storia dell'ebreo che voleva essere eroe", pubblicato nei giorni in cui è venuto a mancare Severino racconta la storia degli uomini delle Fiamme Gialle protagonisti di azioni umanitarie per salvare ebrei e perseguitati dal nazismo NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 V 30 ittorio Dan Segre è deceduto alla fine di settembre, all' età di 92 anni. Nelle stesse settimane è uscita la sua ultima opera "Storia dell'ebreo che voleva essere eroe", edito da Bollati Boringhieri. Va detto subito che è un libro scritto con indubbia maestria. E' vero che si tratta di un'autobiografia, ma è altrettanto vero che è verosimile a un romanzo che si legge fluidamente, senza pause. Con la penna brillante di sempre, Dan Segre, oltre a darci l'idea delle tante esperienze professionali vissute - militare dell'esercito britannico, giornalista, diplomatico e docente universitario - riesce a coinvolgerci nei tanti temi di riflessione suggeriti nelle quasi trecento pagine del libro. Vuoi che la cornice sia Venezia o Gerusalemme, Bellaggio o Sde Boker, trapela dalle righe la ricerca dell'autore verso risposte esistenziali, frutto di una vita spesa senza mai tirare il fiato. Così le vicende scritte divengono lo spunto di dinamiche sociali, storiche ed umane, che vanno al di là del contesto specifico spazio-tempo in cui si svolgono. L'autore si serve del dialogo per comunicare idee e riflessioni su ciò che lo circonda. E' una tecnica che funziona, che dà ritmo e leggerezza alla lettura. La stessa descrizione lucida degli incontri avuti con i vari interlocutori, che siano colleghi o amici, viene impreziosita sempre da una sensibilità linguistica che seduce il lettore. Intimità e storia, pubblico e privato divengono così, grazie alla vena magica dell'autore, un tutt'uno. Le stesse persone che incontriamo, da Jeff a Daud da Samira fino a Vantor incarnano lo specchio con cui si confronta Segre per disquisire dalla politica a temi più spirituali: dalle annose questioni della storia di Israele con il mondo arabo ai temi teologici dell'aldilà e della reincarnazione. Ma, soprattutto, bisogna sottolineare che è un libro scritto a cuore aperto, perché Segre non lesina di esternare il lato umano della sua personalità. Affetti e sensazioni, percezioni intime e rivelazioni private che sono descritte con eleganza e senza reticenze. Forse tutto ciò è dettato dal momento di profonda riflessione, in cui l'autore sente con l'avanzare della malattia la voglia di mettere per iscritto suggestioni metabolizzate e maturate per un'intera vita. E sono la testimonianza di un uomo dai molteplici interessi, curioso del mondo e delle culture che lo animano. Perché Segre, oltre ad essere stato un viaggiatore incallito, per professione e per piacere, con un’identità che scorre sul binario Italia-Israele, si rivela con questa opera un esploratore interiore della propria coscienza. Questa ansia di conoscenza pervade tutto il libro e lo accompagna in tutte le vicissitudini della sua vita. Va ringraziato per averci lasciato, per l’ennesima volta, dopo una carriera costellata di soddisfazioni, l’ennesimo scritto piacevole e pieno di spunti. A dimostrazione di un degno atto finale di un protagonista del giornalismo italiano che lascia la scena con un acuto indimenticabile. JONATAN DELLA ROCCA “I l contrabbandiere di uomini” e “Un anno sul Monte Bisbino” (entrambi Carlo Delfino Editore) sono alcune delle preziose opere di ricostruzione e documentazione storica del capitano della Guardia di Finanza Gerardo Severino, Direttore del Museo Storico e Comandante del Centro Studi Storici e Beni Museali del Corpo. Nel “Contrabbandiere di uomini” l’autore ha reso legittimo onore al giovane Giovanni Gavino Tolis, alla cui memoria il Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano ha conferito, nel 2010, una Medaglia d’Oro al Merito Civile. Nato in Sardegna nel ‘19, Tolis crebbe secondo i principi della tradizione cattolica locale e della dottrina fascista imperante in quegli anni, votando la sua vita, fin da bambino, alle fiamme gialle. L’entrata in guerra lo vede in servizio presso Ponte Chiasso, comandato a reprimere le attività illegali di traffico ed espatrio, già intensificatesi dopo l’emanazione delle leggi razziali. Sarà la firma dell’armistizio a rappresentare la svolta fatale nella sua vita. Coerente con i suoi alti principi di umanità, rispetto e solidarietà verso il prossimo, si unirà alle formazioni partigiane delle Fiamme Gialle, fino all’epilogo avvenuto con l’arresto e la tragica fine a Mauthausen, del dicembre ’44. “Un anno sul Monte Bisbino” ha lo scopo di ricordare “l’oscuro finanziere sardo” vittima dell’attentato fascista: Salvatore Corrias. Il giovane, nato nel 1909 in una piccola comunità di pastori ed agricoltori del cagliaritano, rimasto ben presto orfano del padre, crebbe facendo propri gli insegnamenti del tempo, soprattutto quelli legati alla tradizione rurale e all’esempio patriottico che molti uomini di quelle terre avevano fino ad allora incarnato. Raggiunta l’età per la leva Salvatore lascia la Sardegna per il continente per indossare la divisa da finanziere. Da quel momento la sua biografia si legherà strettamente alle vicende storiche del nostro Paese, che lo vedranno approdare sulle sponde del lago di Como con l’ordine di presidiare il delicato confine montano italo-svizzero. Grazie alla puntuale ed appassionata ricostruzione storica dell’autore è possibile comprendere come lo scoppio del secondo conflitto prima e la firma dell’Armistizio poi, siano stati gli eventi che più profondamente hanno inciso sulla vita dei quei luoghi. Se prima di allora il Monte Bissino era stato l’avamposto della lotta contro il contrabbando, sia di valuta che di merci, dopo il settembre del ’43 sarà la “caccia all’uomo” l’attività più praticata dal regime, nonostante fosse già in tragico declino. Fu proprio a questo punto che le qualità umane degli individui emergendo fecero la differenza. Così avvenne per il giovane finanziere il quale, violando il giuramento e gli ordini della Repubblica Sociale, sfidando fascisti e tedeschi, abbracciò la lotta partigiana di liberazione aiutando ebrei, antifascisti, ex prigionieri, uomini e donne in fuga dal regime a trovar rifugio oltre confine. L’epilogo di tale vicenda umana è stato fatale ed eroico, doveroso da illuminare e ricordare, per un uomo, il finanziere sardo Salvatore Corrias, che non voleva essere un eroe, ma che da eroe è morto, “Giusto tra le Nazioni”. J.S. A colloquio con lo scopritore dei misteri di Roma o incontrato Roy Doliner al Ghetto di Roma e durante l'intervista numerose persone hanno interrotto il nostro colloquio per salutarlo: dopo vent'anni che Roy vive a Roma è perfettamente integrato nella comunità ebraica. Nei suoi scritti ci sono numerosi elementi riguardanti il Midrash, il Talmud e la Kabala; vi sono pubblicazioni con correlazioni tra Kabala ed alcune opere famose che sono in Vaticano (Cappella Sistina) e riceve incarichi come guida particolarmente edotta sui misteri delle storie vaticane. Roy sostiene che nella sua vita vi sono state tante combinazioni e coincidenze che lo hanno portato a Roma, la penultima fermata prima dell'ultima tappa, l'Aliah in Israele. Dove è nata la tua curiosità e la passione per la storia di Roma ed il tuo amore per la scrittura? Io sono nato e cresciuto a Brooklyn nel quartiere italo-americano, l'Italia fa parte del mio DNA; parlavo sempre con i nonni di tutti i miei amici italiani e la cultura italiana la conosco fin da bambino. Ho avuto sempre ampia apertura mentale, anche se non sono nato in una famiglia religiosa ebraica, andavo molto di più spesso nelle chiese con tutti i miei amici italiani cattolici che nella sinagoga. Ho lavorato a New York city in corsi universitari di storia dell'arte come interprete per sordi: la storia dell'arte era il loro argomento preferito. Ho svolto questi corsi in cinque delle università più importanti di New York, avrei potuto prendere la laurea almeno cinque volte. In questo modo ho raggiunto una notevole formazione culturale e, senza rendermene conto, ho iniziato una strada che mi avrebbe portato a Roma. Da teenager nella mia prima vacanza in Italia mi sono sentito subito a casa, già parlavo italiano anche se limitatamente. Un'altra tessera del puzzle si è aggiunta anni fa, quando Rav Hazan di Habad mi ha chiesto di fare da guida a visitatori religiosi poiché ero l'unico ebreo a Roma di lingua madre inglese che conosceva la storia dell'arte e la storia di Roma antica da un punto di vista ebraico; tale incarico ha avuto molto successo ed i miei clienti sono aumentati perché chiamato da tutti gli amici dei miei clienti. Perché nei tuoi libri sulla storia dell'arte e di Roma, usi elementi della Kabala? Grazie ai miei studi di Talmud, Kabala e Midrash, ho imparato a pensare a tanti livelli allo stesso tempo: ogni lettera, ogni parola ed ogni frase ha tanti significati. La comprensione dell'arte è un dono di Dio; con questa affermazione si riesce a vedere l'arte a tanti livelli nello stesso tempo e queste informazioni non sono disponibili nel corso normale della storia dell'arte. Nel tuo libro "Il disegno segreto, i segreti della Sistina", parli del rapporto fra la Cappella Sistina e la Kabala. Lo puoi spiegare? Facendo la guida in Vaticano, anche dentro la Cappella Sistina, a volte di notte quando c'è poca gente, avevo tempo anche per me stesso per studiare gli affreschi di Michelangelo e così ho scoperto negli affreschi segreti e messaggi. Anche 30 anni prima di Michelangelo, dentro ogni affresco del Rinascimento, i grandi artisti fiorentini nascondevano nelle loro opere tanti messaggi con simboli segreti. Firenze era la culla di studi del Talmud, del Midrash e della Kabala, condivisi tra ebrei e cattolici. L'arte rinascimentale fiorentina è "permeata" di ebraismo, e pertanto una persona della Firenze rinascimentale vedeva tanti significati come li vedo io che ho una formazione simile alla loro, mentre una persona senza questa formazione molto speciale guarda un affresco e vede solo i colori senza capire. Perché hai deciso di scrivere il libro "Caravaggio una luce nelle tenebre"; che cosa è la luce, e che cosa sono le tenebre? Questo libro è stato per me un grandissimo onore. Quattro anni fa a Roma c'è stata la mostra più importante nel mondo sul Caravaggio. Il Professor Claudio Strinati, grandissimo storico dell'arte, ha lavorato tanti anni per riuscire ad organizzare questo mega mostra sulle opere di Caravaggio. In genere in una mostra ci sono solo tre o quattro quadri di Caravaggio, in questa vi erano ventisei capolavori. Per questa occasione mi avevano commissionato un nuovo libro sui segreti di Caravaggio, libro che è divenuto il "best seller" della mostra dopo il catalogo e sono state vendute tutte le copie. Caravaggio non era fiorentino, non era uno studioso di ebraismo come Michelangelo e nei suoi dipinti non ci sono segreti ebraici. Però Caravaggio simboleggia con tutta la sua vita un concetto Kabalistico e Talmudico, con il cuore umano diviso in due parti: Yetzer Hatov (inclinazione a fare il bene), e Yetzer Hara (inclinazione a fare il male). In noi quest'altalena dura tutta la vita, perché non vince mai un'inclinazione o l'altra, ci sono sempre alti e bassi: a volte facciamo cose buone, e facciamo "Averot", pecchiamo, per cose sbagliate impulsive. ÈAnche la vita di Caravaggio era cosi, oscillava dalla luce alle tenebre. La luce nella sua vita (Yetzer Hatov) era quando lui si comportava da angelo, quando dipingeva, era positivo; "Yetzer Hara" invece, quando lui non stava nel suo studio, girava nel mondo, faceva a botte, era fuori controllo. Nella sua arte c'è molto più buio che luce, come purtroppo nel mondo e il mondo di Caravaggio era cosi; la luce si trova solo nelle tante scintille di luce nelle sue opere. Vedi il tuo lavoro di scrittore come una missione? C’è stato un film tanti anni fa "The Blues Brothers", loro dicono: "we are in mission from God". Siamo tutti "Shlihim" (inviati), per lo più non consapevoli; anche io non ero consapevole fino ad ora, poi finalmente ho capito la mia missione. Cosa puoi raccomandare ad un scrittore che sta all'inizio della carriera? Dobbiamo avere un rapporto serio con le pagine e le parole. Dobbiamo avere appuntamenti seri con noi stessi, come se fossimo in un ufficio ed avere delle scadenze. Come è scritto nel "Pirke Avot", nel Talmud: "devi fissare" un tempo preciso per studiare Torah, così dobbiamo fissare un appuntamento preciso con la nostra scrittura. L'altra cosa è sorprendere sia i lettori che te stesso e devi fare sempre due passi davanti al tuo lettore. A CURA DI YAARIT RAHAMIM NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 H Incontro con Roy Doliner 31 CINEMA Trent’anni di carriera dei Fratelli Coen Prossimamente su Sky la serie televisiva Fargo A ndrà in onda su Sky durante l’inverno la miniserie vincitrice dell’Emmy e presentata in anteprima europea al RomaFictionFest Fargo ispirata al film del 1996 vincitore di diversi Oscar scritto e diretto dai Fratelli Coen. Uno show televisivo di grandissima qualità, interpretato da Billy Bob Thornton, Allison Tolman e Martin Freeman proposto al pubblico nell’anno in cui Joel e Etan Coen festeggiano i loro ‘primi’ trent’anni di carriera. Era, infatti, il 1984 quando lo humour noir di Blood Simple – Sangue Facile debuttò, conquistando immediatamente l’attenzione della critica di tutto il mondo. Un inizio folgorante per i due cineasti di Minneapolis che ci hanno regalato dei grandi film come Mr.Hula Hoop, Il grande Lebowski, L’uomo che non c’era, Il Grinta, Burn after reading solo per citarne alcuni. Un cinema insolito, intelligente, ricco di humour di cui proprio i due Fratelli sono, paradossalmente, meno consapevoli. “Razionalmente è difficile staccarci da quello che siamo, perché non conosciamo altro da noi stessi”, dicono i due fratelli. “Il nostro cinema, dunque, ri- flette problematiche più ampie che sono espressione della nostra visione del mondo. Forse talora c’è un po’ di pessimismo, anche se non ne siamo del tutto 'sicuri'”. Joel e Etan Coen sono attualmente al lavoro sul nuovo film Hail, Cesar! La cui uscita è prevista nel 2015, interpretato da George Clooney (con cui avevano realizzato l’indimenticabile Fratello, dove sei?) Scarlett Johansson e Ralph Fiennes. Come sempre, guardano alla loro carriera con pacatezza, senza tradire grandi entusiasmi “Qualcuno dice che il nostro cinema sia diviso tra commedie e pellicole più drammatiche: la realtà è che noi siamo solo vagamente al corrente di quale siano le une e quali le altre” Spiega Etan: “Ad essere onesti succede tutto in maniera casuale e noi seguiamo l’ordine dettato dalle esigenze finanziarie che ci consentono, alla fine, di riuscire a mettere su un film prima di un altro, trovando le produzioni adatte. Non si tratta di una scelta cosciente, ma di una serie di coincidenze dettate dai soldi e dalla disponibilità degli attori. Negli anni non abbiamo mai avvertito una dose maggiore di pressione rispetto al passato. Sinceramente non abbiamo mai percepito nessuna pressione particolare nel nostro lavoro. Le aspettative che ci sono per quello che ci riguarda sono le stesse che ogni persona può vivere nel suo quotidiano. Noi cerchiamo sempre di fare del nostro meglio”. Il loro cinema ha spesso parlato di ebraismo come, nel caso, di A Serious Man e Joel Coen conclude “Essere ebrei è stato sempre una parte molto importante delle nostre identità. Ma poiché lo siamo da sempre è difficile dire quanto l’ebraismo abbia influenzato il nostro lavoro e, in particolare, i nostri ultimi film. Probabilmente se Michelangelo Antonioni fosse nato e cresciuto a Minneapolis avrebbe fatto film come i nostri.” MARCO SPAGNOLI NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 infoline>06.43251954 32 Allestimenti eventi con buffet dolci e salati Dolci per shabbath • Kiddushim per i Templi Torte e pasticceria tradizionale e monoporzioni Torte artistiche • Wedding cakes edasitalia.com Via Michelangelo Pinto 10/16 - Tel. 06.6531328 Via del Portico d’Ottavia 1A - Tel. 06.69309396 www.koshercakes.it - cell. 393.8598192 Informazione pubblicitaria Conoscersi e sposarsi: Simantov ti aiuta a trovare l’anima gemella allo shtetl al mondo globalizzato: con questa frase si può sintetizzare il lavoro di “Simantov® international” (in ebraico “buon segno”). Nella civiltà yiddish, infatti, capitava spesso che si organizzassero incontri tra single dei diversi villaggi ebraici; oggi questo processo viene riprodotto su larga scala, coinvolgendo gli ebrei di tutto il mondo. Simantov ® international è nata nel 1975 a Strasburgo, in Francia, come associazione con lo scopo di far conoscere giovani ebrei desiderosi di un matrimonio ebraico. Inizialmente si rivolgeva solo ai più religiosi, riprendendo la tradizione dello Shidduch, diffuso presso gli ebrei dell’Europa orientale, e coinvolgeva la Francia e i Paesi limitrofi (Germania, Svizzera, Belgio). Nei suoi primi anni ha riscosso molto successo, diventando, nel 1985, anno in cui è stata rilevata dall’ebreo di origine colombiana Josè Weber, una vera e propria azienda, con i suoi molteplici collegamenti, come la partnership con le Maccabiadi europee del 2015. Da quel momento ha ampliato il suo raggio d’azione a quasi tutta l’Europa e poi al resto del mondo, rivolgendosi a tutti gli ebrei e non solo ai religiosi. Dal 1975 a oggi ha contribuito a formare più di 500 coppie; ogni mese una o due coppie nascono grazie a Simantov. L’organizzazione si ramifica in gran parte del mondo: ha clienti in Europa Occidentale ed Orientale, in Sudamerica, negli Stati Uniti, in Israele, in Australia, a Hong Kong, a Singapore. Non sono mancati matrimoni particolari, come quello tra una ragazza siberiana e un uomo francese. Si rivolge a chi ha dai 21 ai 50 anni, ma il messaggio è indirizzato a tutti coloro che vogliono costruire una famiglia ebraica. È Rachel (che preferisce mantenere anonimo il cognome), la proprietaria della società, a raccontare in un’intervista a Shalom attività e progetti di Simantov. Lei ha ereditato due anni fa il suo ruolo da Weber, che continua a svolgere la funzione di direttore. Rachel racconta la sua storia, che ritiene emblematica per comprendere l’attività della sua azienda. Di origine estone, di bell’aspetto, tre titoli accademici, quattro lingue parlate fluentemente, ma, superati i trent’anni, era ancora single. I genitori le propongono di rivolgersi a Simantov: nonostante lo scetticismo, accetta di effettuare un incontro con Weber e gli espone i criteri con cui sceglierebbe il suo uomo ideale; dopo un paio di tentativi andati a vuoto che sembravano confermare la sua impressione, trova però l’amore della sua vita, con cui sta insieme da cinque anni. Lei stessa è rimasta sorpresa dall’efficienza di questo sistema: “La storia talmente buffa è che un uomo di più di 60 anni (Weber) sapeva meglio di me di che tipo di uomo avessi bisogno” ha concluso Rachel il suo racconto. “Ognuno è unico”: Simantov parte da questo presupposto per raggiungere il suo obiettivo. Effettuano quindi colloqui molto approfonditi con i propri iscritti, in modo da capire quali sono le caratteristiche di ciascuno e, conseguentemente, i partner più compatibili, perché non mirano ad unire individui uguali, ma chi abbia dei tratti complementari. Non usano computer, formule o algoritmi, ma svolgono un’attenta analisi di ciascun profilo come attività preliminare. L’auspicio di Rachel è quello di ampliare la sua attività anche all’Italia, le cui comunità ebraiche finora sono state coinvolte solo marginalmente, in modo da rafforzare anche qui i matrimoni ebraici. D. T. NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 D È un'organizzazione internazionale che sul modello del tradizionale shidduch, organizza occasioni di incontro per giovani e adulti 33 ROMA EBRAICA Camminata silenziosa: più forte di qualsiasi museo N on è stato possibile farla proprio il 16 Ottobre per via dei Moadim, ma non poteva mancare l’annuale camminata silenziosa con i sopravvissuti per ricordare la deportazione del 16 Ottobre 1943. L’evento quest’anno ha avuto una sfumatura diversa: si è parlato infatti di vita, di speranza, di affetto, in memoria di David Di Veroli, deportato a Fossoli e poi ad Auschwitz e in memoria di Mario Limentani, deportato a Mauthausen e scomparso di recente. Nonostante il freddo moltissime persone si sono unite al corteo e hanno camminato intorno al ghetto ascoltando il lungo elenco di nomi di persone strappate dalle loro case, dai loro affetti, da una vita normale dalla furia e dalla violenza nazi-fascista. Dopo la proiezione di un emozionante video, realizzato da Daniel Di Porto, curatore dell’evento da ben quattro anni, il corteo si è radunato all’interno del Tempio Maggiore, accompagnato dal coro dei bambini. “Riusciremo mai a realizzare un museo della Shoà qui a Roma? E’ doloroso sentire le persone che parlano di questo progetto come qualcosa che ha a che fare solo con i soldi, quando in realtà è una cosa che riguarda tutti i cittadini italiani”. Queste sono state le parole di Marcello Pezzetti, ma fondamentale è stato l’intervento del Rabbino Capo rav Di Segni : “La Shoà è il nostro lutto, noi non abbiamo bisogno di musei per ricordarla, ne hanno bisogno gli altri. Questo sabato leggeremo la Parashà di Noah e del diluvio universale: dopo il diluvio Noah e la sua famiglia sono usciti dall’arca e hanno trovato un mondo distrutto da ricostruire, ecco i sopravvissuti si sono ritrovati alla fine della guerra a dover ricostruire la memoria con la loro testimonianza.” Tra lacrime e sorrisi e la commozione negli occhi dei sopravvissuti, la Comunità ha dimostrato che non esiste una sola data per ricordare la deportazione, la memoria va portata avanti ogni giorno. GIORGIA CALÒ Un premio per gli imprenditori web altruisti NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Si terrà a Roma il 3 dicembre in una serata di gala, l’Internet Entrepreneurs Prize. Nato su iniziativa della Conferenza dei Rabbini Europei premia le migliori eccellenze 34 L a religione nella sfera pubblica è spesso pensata come uno stile di vita arcaico e lontano dalla ricerca. In realtà niente potrebbe essere più lontano dalla verità, lo dimostra ad esempio l’impegno della Conferenza dei Rabbini Europei (CER) che fra gli altri promuove ogni anno la consegna Internet Entrepreneurs Prize. Si tratta di un riconoscimento che vuole premiare con un sostegno economico l'eccellenza e l'innovazione delle imprese digitali e del web, che siano però animate da uno spirito sociale e da una filosofia che si avvicini al princi- pio ebraico del 'Tikkun Olam' - riparare il mondo. Una nuova generazione di giovani imprenditori nel settore di internet e delle start-up digitali è infatti in crescita in tutto il mondo, aprendo la strada a innumerevoli applicazioni di successo che hanno un enorme potenziale. La maggioranza di questi imprenditori sono motivati esclusivamente dal lucro, dal desiderio di guadagno e poco riflettono sul valore sociale di un bene o servizio; quelli mossi da una motivazione più altruistica sono pochi e trovano difficoltà ad essere riconosciuti e premiati: la solidarietà e l’altruismo sono poco redditizi. Perciò i rabbini europei vogliono con questo premio coltivare una generazione di imprenditori di talento e altruisti. Quest’anno la cerimonia di premiazione si svolgerà a Roma il 3 dicembre all’Ara Pacis, in una serata di gala, alla presenza dei rappresentati del mondo politico, intellettuali, studiosi delle nuove tecnologie e VIP. La Conferenza dei rabbini europei riunisce più di 700 leader religiosi di tutto il continente. Fondata nel 1956 su iniziativa del Rabbino capo del Regno Unito Sir Israel Brodie, al fine di rilanciare le comunità ebraiche distrutte in Europa, l'organizzazione è gestita da un comitato permanente di 35 membri che si riunisce due volte l'anno, in una delle capitali europee. I membri del Comitato permanente sono, in generale, i Rabbini capo delle più importanti città europee e giudici rabbinici. La conferenza generale del Rabbinato si riunisce una volta ogni due anni per discutere questioni di grande importanza per la comunità ebraica mondiale. La conferenza è stata progettata per difendere i diritti religiosi degli ebrei in Europa, ed è diventata la voce del giudaismo per il continente europeo. Attualmente il presidente del CER è il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldschmidt, che ha ricoperto il ruolo di presidente del Comitato permanente per oltre dieci anni e uno dei due vice presidenti è il rabbino capo di Roma Rav Riccardo Di Segni. Il vincitore e tutti i concorrenti sono invitati alla serata di presentazione di gala, che si tiene ogni anno in una capitale europea e a cui partecipano parlamentari, rappresentanti delle Istituzioni Locali, opinion makers e membri della CER. Alla scoperta del Museo ebraico: quei foglietti che raccontano una terribile storia Le ricevute per la raccolta dei 50 chili d’oro Straordinari filmati risalenti agli anni ‘20 delle famiglie Di Segni e Della Seta L o scorso 5 Ottobre, in occasione di "Domeniche di carta: la voce della storia", giornata di apertura straordinaria degli istituti archivistici italiani, si è svolta, all'interno dell'Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario, la cerimonia di proiezione di una serie di bobine cinematografiche amatoriali, contenenti scene di vita quotidiana di due famiglie ebraiche del 1923. L'evento è stato organizzato in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT). I negativi sono stati girati da Salvatore Di Segni, conservati da Paolo Della Seta, e completamente restaurati e catapultati nell'era digitale dall'ICRCPAL. Inoltre, risultano essere anche gli unici filmati ritraenti momenti della quotidianità degli ebrei italiani prima delle leggi razziali. La romantica scena di un matrimonio, una giornata ad Anzio, un'allegra scampagnata con tanto di pasticcini e una curiosa scena girata in montagna, con i numerosi membri della famiglia ripresi nel tentativo di sciare. I filmati, seppur amatoriali, vennero girati con la pellicola di 35 millimetri, un formato professionale costosissimo, davvero raro per l'epoca, ma che contemporaneamente rende le bobine un materiale preziosissimo per la sua unicità. Una testimonianza storica incredibile, uno scenario ebraico ma inquadrato in un contesto tutto italiano, in cui le due famiglie medioborghesi, non sembrano percepire ancora le terribili vicende che quindici anni dopo li avrebbero catapultati nella realtà delle leggi razziali. Durante l'evento sono intervenuti Maria Cristina Misiti, direttore dell'ICRCPAL, Michele Sarfatti, direttore del CDEC, Claudio Della Seta, Fabrizio Della Seta, Fabio Isman, Mario Musumeci del Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale, Marcello Pezzetti, direttore del Museo Nazionale della Shoah e Rafi Erdreich, Consigliere e direttore dell'Ufficio Affari Pubblici e Politici dell'Ambasciata d'Israele. Le bobine verranno conservate presso gli archivi della fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), all'interno del Museo Yad Vashem e presso il Museo Nazionale della Shoah. REBECCA MIELI N el Museo Ebraico di Roma, nella Sala dedicata alla storia della Comunità dall'Emancipazione ai nostri giorni, dove è oggi allestita la Mostra temporanea “Il Teatro di Alessandro Fersen”, a ridosso delle splendide vetrate che all’inizio degli ’80 furono realizzate da Eva Fisher, si trovano delle teche contenenti quelli che a prima vista sembrano solo decine di fogli, foglietti e diversi documenti. Quei fogli rappresentano la memoria di due momenti estremamente dolorosi e importanti nella storia di tante famiglie della Comunità ebraica di Roma. Molti di questi fragili foglietti, sono infatti le matrici, o meglio le ricevute della donazione di oggetti in oro che gli ebrei romani fecero piegandosi al ricatto dell’Ufficiale nazista e alla richiesta di 50 Kg d’oro. Nonostante lo scioglimento del Partito Fascista, le leggi razziali, nell’estate del 1943, erano ancora in vigore. Dopo l’armistizio e la frettolosa fuga da Roma del Re e del capo del Governo Badoglio le forze militari italiane prive di ordini e riferimenti non riuscirono ad opporsi alle truppe tedesche e Roma cadde velocemente sotto il controllo nazista. Alla fine del Settembre 1943 Kappler a cui il comando nazista di Roma faceva riferimento, convocò presso la Villa Wolkonsky non lontano da Via Tasso, il Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane Dante Almansi e Ugo Foà, Presidente della Comunità Ebraica di Roma. Fu allora che Kappler fece l’esosa richiesta di raccogliere in sole 36 ore, 50Kg d’oro minacciando altrimenti la deportazione degli ebrei romani. Il Vaticano, indignato e solidale, si rese disponibile a prestare alla Comunità ebraica di Roma l’oro eventualmente mancante, ma non fu necessario perché ne fu raccolto più di quanto richiesto: gli ebrei di Roma già provati da anni di difficoltà, guerra e privazioni, si privarono di fedi nuziali, monete d’oro, catenine e ricordi. I foglietti esposti al Museo sono proprio le matrici delle ricevute per la raccolta dell’oro, sulle ricevute esposte nella teca del Museo, i nomi dei tanti donatori, compresi anche quelli che poi all’alba del Sabato 16 ottobre di 71 anni fa, furono comunque deportati. Tra i documenti nella teca del Museo vi è anche la circolare che la mattina del 16 ottobre i nazisti distribuirono agli oltre 1000 ebrei deportati, con le istruzioni su ciò che avrebbero potuto portare con loro durante il viaggio: istruzioni da eseguire meticolosamente in soli venti minuti, radunare tutta la famiglia, portare documenti di identità, viveri, soldi, gioielli o valori, biancheria ed un solo bagaglio a mano. Fra le diverse avver- tenze, si ricordava anche beffardamente, di chiudere a chiave il proprio appartamento. Questi pochi fogli esposti al Museo Ebraico, rappresentano davvero due diversi momenti di un autunno drammatico per la storia della Comunità ebraica di Roma, la raccolta dell’oro e la razzia del 16 ottobre che ogni anno gli ebrei di Roma sentono il dovere di ricordare. Termino ricordando le righe che mio nonno Sergio Tagliacozzo, che purtroppo non ho potuto conoscere, e che amava scrivere poesie, scrisse a proposito del 16 ottobre e del ritorno di sua madre (la mia bisnonna Tosca) dai campi di concentramento: "Eppoi il 16 ottobre ricordate che Roma fu colpita dal terrore quante e quante famiglie rovinate e quanti sopraffatti dal dolore. 16 ottobre è solo una tragedia tu mi dirai ch’è un fatto ch’è successo a queste colpe qui non si rimedia colpa a chi ha fatto e colpa a chi ha permesso!! […] Ricordo il giorno ch’è tornata mamma che credevamo morta e seppellita si concludeva per noi tutti un dramma e un’esperienza dura della vita. Me la ricordo che mi pare ora bella, vestita chiara ed entusiasta, co’ un sorriso materno che innamora e una voglia di vivere rimasta. E lei sembrava un inno alla vittoria con quel viso abbronzato e mai dipinto e dimostrava quasi per la storia che alla fine chi ha ragione ha vinto. […]" Sergio Tagliacozzo SARAH TAGLIACOZZO ASSOCIAZIONE D.A.N.I.E.L.A DI CASTRO AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA L’“Associazione Daniela Di Castro Amici del Museo Ebraico di Roma” è nata per aiutare il Museo Ebraico di Roma nella tutela, conservazione, promozione, diffusione e sviluppo della ricchezza del suo patrimonio. PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI: www.associazionedanieladicastro.org [email protected] Tel. 334 8265285 NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Quando ritorna la memoria 35 ROMA EBRAICA Il Tallet di mio padre “Wahavienu leZion beRinnà". “Riportaci a Zion con Gioia”. Una storia familiare che ha del miracoloso NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 N 36 el Talmud è scritto che nella vita nulla succede per caso e nulla accade se non perché noi stessi ci rendiamo in qualche modo artefici degli eventi o non ne creiamo i presupposti perché essi accadano. Per questo, fatti incredibili ed inverosimili possono sembrarci tali a prima vista, perché in effetti non sono altro che il risultato dei nostri consapevoli o inconsapevoli interventi. Come sarebbe altrimenti possibile comprenderne il significato, se non attribuendolo a misteriosi ed imperscrutabili fenomeni di magia? Può infatti accadere per questo che nel naturale e monotono scorrere del tempo singoli personaggi e situazioni casuali, distanti tra loro anche nello spazio, vengano tuttavia fatalmente a contatto. Quando ciò accade, semplici episodi personali, prima totalmente avulsi l’uno dall’altro, si riaccordano con pazienza pezzo dopo pezzo, proprio come le tessere sparse di un puzzle che ritrovano ordinatamente il proprio giusto spazio, arrivando poi a delineare e a dar forma ad un quadro completo e definito che non avremmo mai neppur immaginato un giorno di poter vedere e toccare con mano. Spesso, come dicevo, i protagonisti di queste incredibili storie non si sono mai conosciuti e nemmeno mai incontrati tra loro, ma hanno ugualmente contribuito, ognuno per proprio conto e quasi mai volontariamente, a modificarne il corso naturale, spingendole a diventare esperienze uniche ed affascinanti per il solo fatto di essere casualmente capitati nel posto giusto al momento giusto. La filosofia araba è portata a spiegare questi accadimenti con una sola parola: maktub. E' scritto! Definendo così ermeticamente il destino di ciascuno di noi come un fatto già stabilito e preordinato dall'Alto e dal quale nessuno può prescindere o sfuggire. Chi invece come me crede che nella logica dei gesti ci sia qualcosa di Divino e di trascendente, è portato a ritenere che con la scelta delle proprie azioni sia possibile condizionare la propria vita e quella degli altri, determinando per questo cambiamenti epocali e direi in qualche caso anche miracolosi. Quella che sto per raccontare è verosimilmente una storia come queste che non ha però per protagonista un eroe e nemmeno un'eroina, né un miracolato, né l'artefice di un accadimento magico, ma è l'incredibile storia, il tragitto di un oggetto sacro, un prezioso manto di preghiera, un Tallet di seta. Quello di mio padre. Colui che lo aveva così finemente tessuto e ricamato a Tripoli, quasi centocinquanta anni fa, aveva probabilmente già stabilito quale sarebbe stato il suo meraviglioso destino. Tripoli 1915: uno Shabbat di Febbraio di quell'anno. Bar Mitzva di papà Roberto. Slà el Kbira (Tempio Maggiore). Nonno Alfonso, alla fine della Amidà di Musaf, benedice commosso il proprio figlio con il suo Tallet. Se ne copre il capo, tenendo tra le dita due dei quattro Zizziot degli angoli e poi, poggiando le lunghe mani nodose da ebanista sul capo del suo primogenito, recita in ebraico le parole antiche della Benedizione così cariche di sacralità e di solennità che, partendo dalle labbra, arrivano direttamente dal cuore all'anima: “Che H. ti benedica e ti protegga, Faccia risplendere il Suo Volto su di te e ti custodisca, Volga H. il Suo sguardo su di te e ti infonda la Pace”. Alla fine, di questo rituale, le urla festose delle donne avvolte nei loro sgargianti barracani di seta, si levano dal matroneo in segno di gioia mentre spruzzi di essenza di fiori d'arancio e acqua di rose vengono sparsi nell'aria per la gioia di tutti e dell'olfatto. Da lì a un po' di anni, il Tallet che era stato fino ad allora del nonno, passò di dritto a mio padre, che ne fece uso per tutto il resto della sua vita. Giunse in Italia, assieme a tutto il resto dei bagagli della famiglia, via nave da Tripoli, nel 1948, destinazione Eretz Israel, dove però non riuscì più ad arrivare, ma questa è un'altra storia. Papà continuò ad indossarlo durante i tanti Shabbatot della sua lunga vita vissuta a Roma, benedicendo a sua volta nei giorni solenni tutti noi figli ed in seguito anche i tanti nipoti che nel frattempo avevano reso la nostra famiglia più numerosa. Passano gli anni ed il giorno del mio matrimonio con Barbara è finalmente in arrivo. I preparativi preliminari scorrono con allegria, ma anche con fatica, fino a che, in un torrido pomeriggio di Luglio, sotto la Kup- pà come vuole la tradizione, davanti a due Rabbanim, gli sposi pronunciano il fatidico sì sotto al grande Tallet di papà. Alle nostre spalle, i rispettivi genitori poggiano le loro mani sul capo degli sposi, assecondano con commozione e qualche lacrima le parole della Berachà che ci viene impartita dal Cantore. Purtroppo dopo pochissimi anni da quel giorno, dopo una breve malattia, papà ci lasciò per sempre. Era la Vigilia di Shavuot. Noi figli, tutti stretti intorno a nostra madre, vedevamo amici e parenti avvicendarsi in casa amorevolmente e senza sosta, in quelle tristissime prime ore dopo la sua dipartita. Venivano a farci visita dimostrandoci il loro sincero affetto e la loro partecipazione al nostro grave lutto. A causa della ricorrenza di Shavuot, il funerale fu ritardato di due giorni, durante i quali le visite di condoglianze non si interruppero mai, anzi si intensificarono, cosa che oltre a darci un grande conforto, ci faceva sentire meno soli, amati e coccolati e placava in effetti un po’ di quell’enorme dolore che sentivamo dentro. Arrivò quindi il giorno più terribile, quello del funerale. Durante quelle poche, ma interminabili ore, in casa si respirava una fortissima tensione, mentre le persone addette facevano con zelo quanto necessario per preparare nostro padre, secondo la Tradizione, verso il suo ultimo viaggio. Per questo, il Rabbino che dirigeva i rituali ci chiese di consegnar loro il Tallet di papà, nel quale sarebbe stato avvolto per sempre. In quei frangenti, ognuno di noi si era ritagliato il proprio spazio tra le stanze della casa, da dove poter osservare e seguire in silenzio lo svolgere delle cose. Uno dei miei fratelli, seduto accanto a me nella stessa camera, raccogliendo la richiesta del Rabbino, andò verso un armadio e ne tirò fuori una custodia di velluto blu, con sopra ricamato in oro un grande Maghen David e gliela porse. In quel preciso momento, uno di quegli avvenimenti inspiegabili di cui parlavo prima, si stava per delineare e definire ed infatti, afferrata d'istinto quella custodia di velluto e stringendola al petto come a proteggerla, mi fece dire al Rabbino, in una immediatezza quasi automatica: No!! Quel Tallet lo avrei tenuto io in ricordo di mio padre. E così gliene porsi subito un altro. Conservai da allora in casa mia quello scialle prezioso, senza mai più utilizzarlo, fino a quando, qualche anno dopo, per un moto di nostalgia, decisi di ricordare mio padre indossandolo durante le preghiere del nostro giorno più sacro, lo Yom Kippur. Aprii la custodia blu, slacciando i suoi due bottoni di madreperla e ne tirai fuori il manto di seta centenario per controllarne lo stato. Mi resi subito conto però, che lungo le ripiegature si erano venute creare delle lacerazioni che ad una semplice pressione delle dita si aprivano vistosamente come carta velina. Ripiegai il tutto con delicatezza estrema e lo riposi di nuovo nel suo sacchetto di velluto, facendo cui è la responsabile, "udite udite!!”, della cura e la ricerca di oggetti provenienti dalla Diaspora ebraica nel Mondo. Come non parlarle allora del nostro Tallet, della sua storia e della volontà di donarlo al suo Museo? E così, durante un suo successivo viaggio a Roma, Gioia venne a trovarci a casa per visionare il manto. Lo srotolammo assieme con estrema cura, stendendolo poi sul pavimento. Rivedendolo così adagiato dopo tanti anni, mi resi di nuovo conto della sua affascinante bellezza e delle enormi dimensioni, mentre con commozione i miei occhi attenti seguivano ogni suo dettaglio, ogni suo particolare e le dita, sfiorando delicatamente la seta, seguivano invece quelle sue eleganti striature d'argento, i piccoli fiocchi laterali ed in fine quella larga fascia a protezione del collo, sulla quale si intravedeva a malapena una scritta in ebraico ricamata ton sur ton. Gioia lo osservò anch'essa con attenzione, fotografandolo da ambo i lati e poi, riavvolto di nuovo con egual cura, lo portò via con sé, destinazione Jerushalaim. In quel momento il destino si stava rimettendo in moto; quasi tutti gli elementi del puzzle erano ora in buona parte al loro posto, ma non ancora del tutto. Passati forse tre o quattro mesi da quell'incontro, ricevetti da Gioia un'altra bellissima notizia. Il Museo d'Israele, accettava definitivamente il nostro Tallet tra le sue Collezioni di reperti antichi, avendolo riconosciuto un manufatto prezioso e di grande interesse storico-artistico, testimone dell'antica Cultura e dell'Arte ebraica di Libia. Ancor più emozionante fu poi per noi l'apprendere poco tempo dopo che il Tallet di nostro padre Roberto Avraham Arbib z'L', sarebbe stato esposto definitivamente, da lì a poche settimane, in una teca del Museo. Una gioia, ed un orgoglio infiniti per noi tutti, figli, nipoti e pronipoti compresi, era già stato l'aver appreso quella fantastica notizia che ora potevamo aggiungere all'irrefrenabile desiderio e alla curiosità di arrivare al più presto a Gerusalemme per ammirare il manto e vedere dove e come era stato esposto. Da tanti anni oramai, la nostra famiglia trascorre in Israele, quasi tutta riunita, la festa di Pesach ed anche quel 2014-5774, non ha URTISTI E RICORDARI A ROMA TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO Foto di Frédéric Brenner Il Dipartimento Beni e Attività Culturali e il Centro di Cultura Ebraica stanno organizzando per la fine di novembre un evento su urtisti e ricordari a Roma attraverso interviste, documenti ed immagini. Info su data e location: [email protected] 06.5897589 fatto eccezione. Appena arrivati chiamai Gioia per telefono e le chiesi, quando fosse stato possibile andare da lei al Museo. Fissammo un giorno e, con quella stessa agitazione e quell'ansia identiche solo a quelle già provate quando, alla fine del Liceo controllavamo nelle bacheche i risultati degli esami, arrivammo finalmente davanti all'ingresso del Museo a Gerusalemme. Gioia era lì che ci aspettava assieme ad un fotografo ed una curatrice, in attesa di condurci davanti alla teca. L'ansia provata fino a poco prima si trasformò immediatamente in una profonda commozione ed una gran voglia di piangere e di cantare l'Hallel e Bar-Yochay. Rimasi a guardare e riguardare incantato quel manto che così bene ricordavo e sotto al quale decine e decine di volte avevo sentito le grandi mani di mio padre poggiate sul mio capo. Un oggetto della nostra famiglia, un pezzo della nostra storia era ora lì, perfettamente composto su di un lungo busto di legno, per farsi ammirare da tutti. Mentre l’ultimo piccolo tassello di questa incredibile storia stava per trovar posto nell’unico spazio ancora rimasto vuoto, mi avvicinai al vetro della teca, incuriosito da quelle scritte didascaliche bilingue che erano state apposte sul vetro, in ebraico ed in inglese e lessi: Prayer swall (tallit) Tripoli-Lybia, late 19th- early 20th century Silk, metal thread Gift of Eliyahu, Moshe, Ever, Aliza, Ariel Arbib Rome. In memory of their father, Avraham Roberto Arbib, Liturgical phrase woven on the neck band “Bring us to Zion rejoicing”. Il mio inglese, se pur accettabile, non comprendeva ancora nel mio vocabolario la parola “rejoicing”. Mi avvicinai quindi a Gioia e guardandola negli occhi, gliene chiesi il significato. Mi rispose prontamente: “Ci ricondurrai a Zion con Gioia”. La fissai incredulo per qualche istante e, rimettendo insieme in un interminabile attimo tutte le idee, urlai dunque con meraviglia: "Con Gioia? Allora è con te ?! Sei tu la Gioia di cui parla la frase ricamata". Fu subito chiaro dunque, che quello era l'incredibile epilogo ed il destino oramai definitivamente compiuto, scritto già molto più di un secolo prima sul collo del Tallet. Un destino che in tanti e dopo tanto tempo, abbiamo probabilmente contribuito, ciascuno per proprio conto a realizzare e a portare a compimento. Abbracciai Gioia commosso e la ringraziai ancora una volta per ciò che aveva reso possibile, ma sul Taxi che mi riportava a Tel Aviv, riflettendo su tutto ciò che era stato, mi resi conto che avevo finalmente davanti a me il "puzzle" completo e la totale visione d'insieme di una storia alla quale non mi fu difficile attribuire qualcosa di miracoloso. Questa è dunque la storia di un Tallet centenario e delle sue lunghe e straordinarie peripezie. Ora e per ancora moltissimi anni, riposerà proprio lì, dove da sempre, ostinatamente aveva voluto arrivare: Har Zion. Il Monte Sion! ARIEL ARBIB NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 attenzione a ricoprire bene i lunghi Zizziot. Per tanto, per quell’anno e per tutti i successivi, continuai ad usare il mio Tallet abituale. Passati ancora diversi anni da quell'episodio, mi arrivò voce che al Museo ebraico di Roma si stava allestendo una sezione dedicata alla Storia e alla Cultura ebraica tripolina. In quel periodo, la Direttrice del Museo era la nostra cara e amatissima amica Daniela Di Castro, z'L' e proprio a lei mi rivolsi per sapere se fosse stato possibile far dono al Museo del famoso Tallet, perché trovasse posto in una vetrina della nuova sezione. Quando però visionammo assieme il manto, ci rendemmo conto che non sarebbe stato possibile esporlo se non dopo un inevitabile intervento che eliminasse tutte le smagliature e le lacerazioni che si erano venute a creare per il passare degli anni. Daniela mi indirizzò per questo ad un laboratorio specializzato nella salvaguardia proprio dei tessuti antichi ed al quale mi rivolsi subito dopo, consegnando il Tallet per le dovute cure. L'esperto, prima di procedere, ci tenne però a precisare che dopo il trattamento, non avrei più potuto usare lo scialle, se non per esporlo o per conservarlo, ma mai più per farne l'uso per cui era stato creato. Me lo riconsegnò, dopo lunghi mesi di lavoro, avvolto in un tubo di cartone, perfetto e senza più quelle cicatrici del tempo che lo avevano compromesso e deturpato. Così rimase, in un angolo della nostra casa per ancora tantissimo tempo perché intanto la vetrina del Museo ebraico di Roma, che avrebbe dovuto ospitarlo, si era già riempita di tanti altri reperti e manufatti che avevano tolto spazio al nostro Tallet. Sembrava, ancora una volta, che un destino imperscrutabile avesse deciso per lui qualcosa di diverso e che quella quindi, non dovesse essere la sua destinazione finale. Arrivando ai giorni nostri, durante una cena di famiglia, ebbi l'occasione di sedermi vicino un'altra adorabile e cara amica, Gioia Perugia che vive a Gerusalemme, per di più divenuta parte della nostra famiglia per via di un matrimonio tra suo fratello e una nostra nipote. Discorrendo assieme di tutto un po' mi spiegò, tra le altre cose, che lavorava presso il Museo d'Israele a Gerusalemme di 37 ROMA EBRAICA INSIDE OUT. Dentro casa, fuori nel mondo Il 23 novembre al Palazzo della Cultura la tradizionale kermesse enogastronomica ‘Gusto Kosher’, promosso da Lebonton Catering. Attesi oltre 3.000 visitatori T orna anche quest’anno a Roma, domenica 23 novembre 2014, al Palazzo della Cultura in Via del Portico d’Ottavia, GUSTO KOSHER: l'evento di Lebonton Catering in collaborazione con il Creativity Lab ICPO dedicato ai saperi e ai sapori della tradizione enogastronomica ebraica, dall’antico al contemporaneo. Il tema del 2014 è INSIDE OUT. Dentro casa, fuori nel mondo. Nato quattordici anni fa come degustazione di etichette kosher d'eccellenza, dal 2010 Gusto Kosher è cresciuto diventando un evento enogastronomico e culturale. Nel 2013 quasi 5000 persone hanno preso parte, nel cortile del Palazzo della Cultura, alle degustazioni in 9 ore di manifestazione, per la quale sono stati cucinati 40 kg di ceci, 30 kg di cous cous, 50 kg di concia, 1500 polpettine di carne con sedano e cannella, 3000 pizzarelle con il miele. Lo scorso anno Gusto Kosher ha affrontato il tema Roma/Tel Aviv. Sacro e Profano con l’obiettivo di mettere in contatto e a confronto due mondi culinari che hanno radici comuni ma espressioni distanti. L’edizione 2014 ‘INSIDE OUT. Dentro casa, fuori nel mondo' porta avanti la riflessione sulla cucina ebraica come espressione - da un lato - di tradizioni antiche e sapori semplici che sanno di casa e di famiglia e - allo stesso tempo - complice la dispersione geografica e i continui movimenti migratori che hanno sempre caratterizzato la storia degli ebrei, come manifestazione di numerose contaminazioni che fanno della trazione culinaria ebraica una delle più eclettiche e internazionali sulla scena. “Molte delle festività ebraiche si celebrano in tavola, con menù che prevedono pietanze speciali e abbinamenti particolari. - spiega Gio- Quando il restauro è un'arte Lo spiega Claudio Bracci che ha trasformato una passione in lavoro NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 “È 38 iniziato tutto per gioco quando studiavo alla Ort. Dopo scuola, il pomeriggio, andavo in negozio da mio cugino che si occupava di quadri e restauro. Così ho imparato l'arte del restauro, diventata poi il mio lavoro e, soprattutto, una grande passione”, così inizia la storia di Claudio Bracci, noto restauratore romano. Tra i suoi lavori più importanti, la restaurazione di una trave ritrovata dentro San Pietro in Vincoli in cui c'era un'incisione che riportava la donazione da parte di un cardinale dell'intera capriata sopra il tetto che risale al 1500 con marchio papale. Le restaurazioni più sentite emotivamente sono quelle eseguite per la Comunità Ebraica di Roma, a cui appartiene. “Man mano che passavano gli anni – ci racconta – mi sono occupato dell'Aron Ha Kodesh del Tempio Spagnolo e del Tempio Askenazita sito in via Balbo”. Una storia, invece, che merita maggiore riguardo è quella della cosiddetta “sedia di Eliahu Ha'Navi”: “lavorando in Comunità, molto spesso passavo davanti al vanni Terracina di Lebonton Catering – Oggi la trazione culinaria ebraica è un ricco melting pot, è un’ibridazione di profumi e sapori che racconta il tentativo, la necessità e il piacere di aprirsi al mondo, pur rimanendo fedeli alla propria casa.” Domenica 23 novembre saranno due le tavole rotonde di Gusto Kosher 2014 ispirate al tema INSIDE OUT: Ebraismo e social eating: l’ospitalità 2.0 è l’incontro per esplorare le nuove tendenze del mangiare sociale, per raccontare la scelta di chi apre la propria casa privata al mondo, dalle cene clandestine ai supper clubs, dai guerilla restaurants ai cooking party, e per scoprire che la tradizione ebraica è, tutto sommato, un caso di social eating ante litteram; Cucina ebraica: elogio del senza, del low cost e degli avanzi è l’appuntamento dedicato al “cucinare senza”, per necessità o come forma di espressione e di estro, così che lo scarto diventa gourmet. Tra le novità 2014 anche una esposizione sul tema Il design in cucina. Progetti da Israele, una selezione di alcuni interessanti e nuovi progetti di industrial design legati alla cucina, a cura di studenti diplomati nelle migliori accademie di design in Israele. Infine le conferme: il Book corner a cura della libreria Kiryat Sefer e il Kids corner con l’appuntamento Parannanza e Pannolini dedicato ai temi che ruotano intorno ai bambini e ai genitori. Tra le novità di quest’anno c’è anche l’anteprima di sabato 15 novembre alle ore 20.00 presso Il Pitigliani, in collaborazione con Marco Lombardi e Kolno’a Festival, per una cena Cinegustologica e Kosher, un percorso gastronomico di quattro portate abbinate a quattro film israeliani d’autore. deposito e, un giorno, notai una sedia delle milot semidistrutta. Ironia della sorte, uno dei componenti della Società dei Compari aveva bisogno di una sedia da donare per le milot. Decidemmo di ristrutturarla, scoprendo poi che si trattava realmente della sedia di Eliahu Ha'Navi risalente al 1700 circa, di origine romana, decorata con un grande Maghen David. Le condizioni, però, erano critiche: mancava un bracciolo e la doratura era coperta da porporina e vernice. Sono stato felice di riuscire nel mio lavoro, ridando nuovamente valore a quell'oggetto importante e riportandolo al suo uso originario.” Il lavoro del restauratore, infatti, può portare anche a scoperte storiche sensazionali: è il caso del restauro dei portoni del Tempio Maggiore. Claudio Bracci ha infatti ritrovato i resti dei sigilli posti dagli ufficiali tedeschi nel periodo dell’occupazione di Roma nel 1943, apposti per la chiusura del Tempio. Per non rovinarli o toccarli, Claudio ha inserito delle placche di plexiglass che lasciano vedere la rimanenza della ceralacca, mantenendo vivo il ricordo. “Quando lavori sul restauro cerchi di capire che cosa stai facendo e toccando e molto spesso si ritrovano cose molto importanti per la storia, cose che ti danno soddisfazione a prescindere dal discorso economico”, ci confida lui. L'ultimo lavoro importante che gli è stato affidato, ci racconta, è il portone di Palazzo Costaguti: “anche qui ho avuto modo di scoprire che la parte dietro risale al 1600. Il mio lavoro è stato, quindi, di riportare l'oggetto a quelle che erano le sue origini, eliminando tutti gli influssi di cose messe sopra di esso in un secondo tempo”. Ma un restauratore deve avere anche uno spiccato estro creativo: “In un grande attico del centro ho inserito delle cornici sul contorno delle finestre, facendo diventare il panorama di Roma un vero e proprio quadro. Nello stesso palazzo ho rivestito anche l'interno dell'ascensore, facendolo diventare un'opera d'arte”. Sicuramente, il restauro è un lavoro che dona molte soddisfazioni a chi lo esegue. Senza i restauratori molti oggetti del passato sarebbero andati irrimediabilmente distrutti. MIRIAM SPIZZICHINO clic rtata di o p a ie r alo alimento. SCIO: le c certo cibo o ingrassare un ancora New n o i t a r e Gen re ce quanto fa sticcino oppu etta che ti di semplice pa un o, modio , rit no Una macchin ge ni to potrà se in nti ad un pa es va qu da to lte asan vo Quante o quanto ingr mo sapere qu : se lo mangi aron's voglia le ac ro m pa i un ic pl lio meg sa. In sem uomini. che di molti ra massa gras ando ficare la nost ni donna, e an og o, grande qu di hi da cc an re sica dom piccolo appa este qu un i o rc nt da serò? La clas pu à a tr da oggi po no ha messo e ia ch el , ra si si: is os co ar am na Un te che funzio di raggi infr do e dotato e invenzione al an ili ni m ut ge co ni le io lla te az de un nome verse inform ste. SCIO è il ci fornisce di to en im al preziose rispo di un o tablet. la superficie smartphone ny Physics se passato su ni sul nostro io az o alla Compa rm at fo in pp ilu te sv es qu a: a ic ic oppure et ar st e sc solo all’e gravi allergie non si ferma e soffrono di ch e ssono on po rs e pe ch La sua utilità are alimenti o aiuto per le pr lid m va co un no re vo può esse cietà che de ilizzato da so i. a web può essere ut composizion la piattaform ro g, attraverso zioni nella lo in ra dr te costo ol al il G re n ed bi ia , su on e Dam ilione di euro ori, Dror Shar sciuto già un m riu ev è ric à o et I suoi invent nn ci so ha . La stessa ro , Kickstarter, eu ng di ri ila m un ito 0 df st di crow euro da inve era di circa 20 i 2 milioni di fase iniziale tr in al o re pp lie ilu og sv di ione a racc re dell'invenz ta per il valo della società, mer" nel sito su . ls on "c ge an ne dei io ed privati rsi problemi lo, nella vers risolvere dive ibile comprar à ss tr po po è e gi ch og Ad strumento 0 dollari. Uno AMATI a meno di 25 EDOARDO i. or consumat Una rubrica, scritta per i giovani, utile anche agli adulti per conoscere mode, gusti, tendenze di figli e nipoti. BENE’ B E RITH: S Abbiam TART U o promo P… IN M sso, insie Carucci, me a Ru OVIMEN l’incontr th Dureg TO! o tr a gli stu durante hello ed denti de il quale, il Presid l Liceo L e Rav il giovan rienza n evi ed Il e Ilan, h elle start an Misa a raccon up in Is no dente. In ta to raele ed la propri occasion il percors a espee dell’in ha chies o forma contro, la to notizie tivo pre studente sullo “Sta cetupBus” ssa Sharo rtupBus ? Ecco la n Zarfati ” “Dopo u . d In e scrizione cosa con n'attenta siste lo “ degli org selezion di talento Staranizzato e 25 pro avranno ri. gramma modo in sviluppa to ri, grafic sole 72h re una s i e impre , dal 25 a tartup in pare un nditori l 28 otto novatric biglietto bre, di id e che po per la fin 6 Paesi eare e ssa perm ale euro si sfidera ettergli pea al Pio nno per di strapa bordo neers Fe portare di un Bu s tival di V a casa la s! Per dar m ienna. startup odo ai p vincente artecipa , il tutto cesso, S nti di riu tartupBu scire ne s offre la stiere, m l loro via possibilit entors, p ggio vers à di inco ersonag o il sucle nazion ntrare e g i in ale e sta fl u e sperti d n ti dell'ecos rtup attiv Un'occas el meistema im e sul terr ione un prendito itorio. ica di in con i qu riac o ntrare in ali confr vestitori ontarsi a delle Sta , giorna l fine di rtup." Gra listi ed portare zie ad Il esperti tupBus" sempre an, Sharo e, grazie più in a n si è is lto l'Itali all'intere scita a s critta all a sse e l'im uperare 'iniziativ pegno d brillante a "Starimostrati mente i Zumba e , Sharon test d'am far parte è riumissione del grup Kr po dei 2 entrand Il Benè 5 ragazz o così a per ben av Maga Berith R i it a oma ha liani sele Nate dall eficenz alle spes quindi d zionati. 'incontro e di viag a eciso di tenuto d gio che mese si Al rientr contribu alla sede d sono svo o v o rà ire d s m i o S il lt s haron Z anese de e due div tenere. Zumba e incontro arfati, o ll'ADEI W ertentiss una di Kra con nuo rg im IZ a O e n , iz a v in tt z M v eremo u ività di fi Scupola, e idee e aga. La le questo smo che insegnan tness, un n altro soprattu zione di Z dobbiam te di danza a lezione tto con umba è st o ai nos za", e que d l’entusia del "Centr i a tr ta lla di Kra i tenuta da ragazzi. M o A a v rt rio Ve Maga da istico Cult Federica il nome a ll'istrutto nezia urale Am ttribuito re Stefan , ic alle nuov V i D ic e alla racco ll e a Dano Astrolo Presid e iniziati del Be lta di una go. Wizo ve sportiv ente somma p nè Be fit, quest essere si e dell'AD er la cost rith R o curo al 10 E I WIZO fin ru oma zi 0 o % n e . La scelta coinvolgim di un asilo alizzate della Zum ento e da in Israele ba e della che possa lla diffusi in tutta It Krav Mag one di qu alia, e i d a derivan este disci ue eventi come Face o dal pline, ne sono stati book e In lla capita pubblicizz stagram. le come che mira ati tramit Insomma no ad un e Social N , occhio a ire la ben to giovan etwork lle iniziati eficenza ile, che sp ve di que con il div e ss Sociale co st'anno, o viene a ertimento me quest mancare ed il coin e. Eventi nelle Ass volgimen per ricop sportivi, ociazioni rire tutti cu di Promo lt i u g ra usti e tutt li ganizzatr , re zione li g iosi e ine e le età, e ice, Valen renti alla contribuir tina Haza a disposi moda, e a una b n, ha ring zione dell uona cau raziato tu 'ADEI WIZ queste se sa. L'ortt i coloro ch O e che h rate: Mic e si sono anno coll ol Pipern e Federica messi aborato a o per la lo Scupola, lla realizz cation, gli e per l'org azione di Nicole Ca istruttori anizzazio lò, Martin Stefano A ne Federi a Terraci strologo ca Calò, na e Mass Sharon D imiliano S i Segni, pagnolett o. REBECC A MIELI DOVE E QUANDO NOVEMBRE 15 20.00 IL Pitigliani Cena cinegustologica kosher in 20 La Parashà della settimana, G I O V E D I Toledot - Commento di Rav Roberto Di Veroli S A B A T O collaborazione con Gusto Kosher 16 17 20.00 Adei Wizo e Marco Lombardi Prenotazione obbligatoria: [email protected] ----------------------------------------------- 17.00 Le Palme Si gioca: Tombola, Memory e ... DOMENICA tanto altro ----------------------------------------------- 21.00 IL Pitigliani Incontro con Gavriel Levi: Qual L U N E D I era la Torà del Baal Shem Tov? Introduzione al Chassidismo ----------------------------------------------- 18 18.00 Centro di Cultura Ebraica Libreria Kiryat Sefer M A R T E D I Lezione con Yarona Pinhas: Il pensiero chassidico di Rabbi Nachman di Breslav Lezione a pagamento. Posti limitati. Prenotazione obbligatoria: 06.45596107 ----------------------------------------------- 19 10.00 Adei Wizo Vittorio Della Rocca 19.00 Medicina e Shoah Centro di Cultura Ebraica – UCEI Fondazione Museo della Shoah Casa della Memoria e della Storia, Via di San Francesco di Sales, 5 Presentazione del libro: “Non vi ho dimenticati” di Alberto Israel. Intervengono con l’Autore: Silvia Marinozzi, Sami Modiano, Marcello Pezzetti, Fabio Gaj. Modera: Roberto Coen ADEI WIZO NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Lunedì 17 e 24 novembre ore 15.00 in sede incontri di burraco e corso di burraco per principianti con insegnante. 40 23 Giovedì 20 novembre ore 9.00/10.30 corso base di lingua ebraica con la Prof. Luisa Basevi (un incontro a settimana di 1 ora e ½) Disponibilità limitate. Info e costi in sede: 065814464 - 3246388500 PROVINI TALENT SHOW Hai tra i 5 e i 18 anni? Ti piace ballare, recitare, cantare in duetto o in coro oppure sai suonare uno strumento musicale? Tira fuori il tuo talento e donalo agli altri!!! Iscriviti al più presto al talent show ARTISTI IN ERBA che ADEI WIZO e ASILI ISRAELITICI RAV ELIO TOAFF stanno organizzando per lunedì 9 febbraio 2015 al Teatro Orione di Roma. INnfo su partecipazioni e provini: Lezione di challot e pillole di Torah: preparazione del pane dello Shabat con lezione di Torah tenuta dalla Prof.ssa Ruky Levi Info e prenotazioni in sede: 065814464 - 3246388500 ----------------------------------------------- 10/13 E 15/18 IL Pitigliani Creatività al femminile: DOMENICA mostra di Danièle Sulewic, pranzo e laboratori manuali per tutti con stoffe, collage e materiali da riciclo Info e prenotazioni: Micaela Vitale 17.00 Le Palme 26 Scherzi e risate Pomeriggio di cabaret ----------------------------------------------- 16.30 Adei Wizo Un libro al mese: il gruppo MERCOLEDI commenterà il libro "L'inizio di Lezione di Torah e pensiero MERCOLEDI ebraico a cura di Rav Chajm 17.00 Le Palme 30 qualcosa di bello" di Lizzie Doron. Ed. Giuntina ----------------------------------------------- 10.00/19.00 Adei Wizo Sala delle Colonne del Palazzo DOMENICA della Cultura Gran Bazar di Chanukkà. Consueto appuntamento con lo shopping in vista delle festività. 02 DICEMBRE 17.30 Istituto della Enciclopedia Italiana M A R T E D I Palazzo Mattei di Paganica, Sala Igea - Piazza della Enciclopedia Italiana, 4 ADEI WIZO: 065814464 [email protected] ASILI RAV ELIO TOAFF: 065803668 - asili. [email protected] IL PITIGLIANI Ancora posti disponibili per i nostri corsi Martedì 25 novembre e 9 dicembre dalle ore 17.00 alle ore 19.00 appuntamento con il corso di arte insieme a Cesare Terracina 30 novembre dalle ore 10.00 alle ore 14.00 seminario Feldenkrais con Irene Habib Gruppo Ghimel: OGNI GIOVEDì DALLE 16.30 con Davide Spagnoletto ed Elisabetta Anticoli Moscati Programmi educativi: Lunedì 17 novembre ore 17.00, lezione di teatro, movimento e percussioni con il corpo insieme al gruppo israeliano Derech 04 GIOVEDI Presentazione del volume: Isaac Orobio de Castro – Prevenciones divinas contra la vana idolatría de las gentes. Edizione critica, con introduzione, note di commento e riassunti parafrasi in italiano a cura di Myriam Silvera Relatori: Massimo Bray, Riccardo Di Segni, Anna Foa. Presiede: Tullio Gregory. Sarà presente la curatrice Info: 06.68982233 [email protected] ----------------------------------------------- 16.30 Le Palme In cucina con Giuliana Astrologo SHABAT SHALOM Parashà: Hayei Sarà Venerdì 14 NOVEMBRE Nerot Shabath: h. 16:32 Sabato 15 NOVEMBRE Mozè Shabath: h. 17:34 --------------------------------------------------Parashà: Toledot Venerdì 21 NOVEMBRE Nerot Shabath: h. 16.26 Sabato 22 NOVEMBRE Mozè Shabath: h. 17.29 --------------------------------------------------Parashà: Vayetzè Venerdì 28 NOVEMBRE Nerot Shabath: h. 16.23 Sabato 29 NOVEMBRE Mozè Shabath: h. 17.25 --------------------------------------------------Parashà: Vayshlach Venerdì 5 DICEMBRE Nerot Shabath: h. 16.21 Sabato 6 DICEMBRE Mozè Shabath: h. 17.24 Haketzev per tutti dai 6 ai 10 anni Domenica 23 novembre, domenica 7 e 14 dicembre dalle 10.30 alle 15.30: domeniche di ebraismo per tutti i bambini dai 3 ai 10 anni con corso di lingua tenuto da insegnante madrelingua Domenica 14 dicembre ore 11.00 spettacolo teatrale per bambini (3-10 anni) Da "Ester e il disastro di channukkà", DI J. Sutton Ed. Giuntina, 2014. Con Graziano Sonnino. Regia di Giordana Moscati Info: Giordana e Simona A bottega chi ci sta? Tutte le domeniche di dicembre dalle 8.30 alle 20.00 Prenotazione obbligatoria Info: Giorgia Di Veroli educazione@ pitigliani.it SAVE THE DATE: concerto di Channukkà – sabato 20 dicembre NASCITE Dana Buccilli di Fabio e Ines Di Neris MATRIMONI Lucian Lior Marcovici – Diletta Perugia Angelo Sonnino – Chiara Di Segni Rebecca, Laura Gabriella Gai di Massimo, David e Giorgia Vivanti Jonathan Funaro di Simone e Marika Efrati AUGURI Nathan, Chaim Moresco di Emanuele e Dora Piperno Rafael, Moshè Moscati di Cesare e Micol Nahon Mazal tov a Simone Funaro e Marika Efrati per la nascita di Jonathan. Auguri alla famiglia, in particolare al nonno Ugo Funaro, custode del Liceo ebraico. È nato Nathan Moresco. Auguri ai genitori Emanuele Moresco e Dora Piperno, consigliere della CER. Alisa Batia Besso di Ugo e Gaia Piperno Gioele Calò di Alberto e Roberta Spizzichino Sarah Enrica Moscati di Emanuele e Loredana Scarfò Alessio Settimio Moscati di Emanuele e Loredana Scarfò Alessandro Della Seta di Fabrizio e Gaia Pitigliani Andrea Livoli di Alberto e Alessia Di Nepi Flavia Sed O Piazza di Samuel e Virginia Pavoncelli Angelo Terracina di Alessandro e Dafna Sonnino Cesare Terracina di Alessandro e Dafna Sonnino Alberto Funaro di Elio e Clelia Astrologo Jonathan Di Veroli di Umberto e Letizia Caviglia Simone Di Veroli di Cesare e Anna Zimmardi Daniel Del Monte di Maurizio e Sara Di Segni Ludovica Sonnino di Angelo e Barbara Zarfati Gady Claudio Di Capua di Adolfo e Stefania Efrati Noa Milano di Stefano e Dalida Sassun LA TOP TEN DELLA LIBRERIA KIRYAT SEFER 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 HALACHA’ ILLUSTRATA di Moise Levi ed Levi MASCHIO E FEMMINA DIO LI CREO’ di AA VV ed Sovera IL BRACCIALETTO di L.Levi, ed E/O GIUDA DI AMOS di Amos Oz ed Feltrinelli LA MATRIARCA di G.B. Stern ed Sonzogno LA VIA DI FUGA di F. Fubini ed Mondadori HO DORMITO NELLA CAMERA DI HITLER di T. Tenenbom ed Bollati Boringhieri IL PATTO DI ABRAMO di Menachem Artom ed Belforte SUL SACRIFICIO di Moshe Halbertal ed Giuntina IL VANGELO DEI BUGIARDI di N. Alderman, ed Nottetempo I migliori auguri a Cesare Moscati e Micol Nahon, insegnante della scuola elementare ebraica, per la nascita di Rafael. Mazal tov ad Angelo Sonnino e Chiara Di Segni, custode della scuola media ebraica, per il loro matrimonio. Lo scorso 27 agosto 2013 - 1 Elul 5774 è nata Greta, Ilanit di Joseph Matalon e Laura Raccah. Auguri dalla redazione. Gioele Calò ha celebrato il suo Bar Mizvà. Auguri al festeggiato, alla famiglia, in particolare alla mamma Roberta Spizzichino, insegnante della Scuola elementare ebraica. LA DEPUTAZIONE RINGRAZIA Un affettuoso ultimo saluto al nostro amico Settimio Di Porto, fedele sostenitore della Deputazione Ebraica da oltre 90 anni. A Giacomo Terracina, il più piccolo sostenitore della Deputazione Ebraica un caloroso ringraziamento per il tenero gesto manifestato in occasione di Rosh Ha-Shanà. Il Presidente ed il Consiglio della Deputazione Ebraica ringraziano Yohan Benjamin e Nicole Rachel Fadlun per la donazione effettuata in occasione delle loro Nozze. Ai neosposi, da sempre amici e attivi sostenitori della Deputazione, un grandissimo Mazal Tov per un futuro ricco di gioie e felicità. Il Presidente della Deputazione Ebraica e il Consiglio desiderano ringraziare Fabrizio dell'Ariccia e Alberto Mieli che in occasione delle loro nomine a Hatan Torà ed a Hatan Bereshith hanno deciso di devolvere quanto destinato ai loro regali all'aiuto di sei famiglie in gravi difficoltà della nostra Comunità. A Fabrizio ed ad Alberto, amici sempre sensibili, con riconoscenza e gratitudine un sincero e affettuoso Mazal Tov. Inoltre, desiderano ringraziare anche tutti gli altri Hatanim Torà e Bereshit che in occasione delle loro nomine hanno destinato le offerte all'Ente. RINGRAZIAMENTI La Scuola Vittorio Polacco ringrazia per le generose offerte Janet Di Nepi, già assessore alle Scuole della nostra Comunità, e Mario Di Segni la cui donazione è stata fatta in memoria del padre Angelo z.l. La loro generosità ha permesso ad alunni in stato di bisogno di frequentare con serenità il nuovo anno scolastico. CI HANNO LASCIATO Marco Calò 07/09/1934 - 04/10/2014 Caterina Del Giorno ved. Kalowski 18/08/1929 – 16/10/2014 Letizia Della Torre ved. Di Nepi 11/03/1928 – 06/10/2014 Velia Di Porto ved. Moscati 02/02/1920 – 10/10/2014 Elvira Piperno ved. Terracina 12/02/1914 – 15/10/2014 Ester Tagliacozzo ved. Allegri 01/09/1931 – 21/10/2014 Rosetta Sermoneta Ajò 19/04/1926 – 25/09/2014 IFI 00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55 NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 BAR-BAT MIZVÀ 41 ROMA EBRAICA Berto l’edicolante B La vendetta erto tirò su le saracinesche dell'edicola, raccolse i pacchi dei giornali e li trascinò all'interno. L'aria era frizzante e il cielo limpido. Prometteva di essere una bella giornata. Tagliò i lacci dei pacchi, dispose i quotidiani sul banco e appese fuori espositori e riviste. Poi finalmente sedette e respirò a pieni polmoni. L'odore della carta stampata lo inebriò come sempre. Quell'effluvio lo aveva sedotto da bambino e aveva segnato il suo destino. Lasciò scorrere lo sguardo sulla strada ancora sonnolenta. Di lì a poco sarebbe iniziato il caos ma c'era ancora tempo. Si versò un caffè dal thermos e cacciò dalla borsa il cornetto che aveva preso sotto casa. Sette meno un quarto. La signora Rosy era in ritardo. Come sempre al pensiero di quella donna elegante e piena di sussiego gli scappò un sorriso. Il fatto è che di lei conosceva certe insospettabili vicende… La vide da lontano. Finì il caffè, ripose quel che restava del cornetto sotto il banco e si sporse in avanti. Lei ora era di fronte a lui. “Ciao Berto. Come va?” “A gonfie vele, come sempre... Messaggero e Settimana Enigmistica...?” Lei fece un cenno distratto e cercò le monete nel borsellino. “Hai sentito che casino?” Il giornalaio la fissò incerto. “Qui è tutto un casino…” “Parlo di Gaza… Quei porci maledetti hanno bombardato di nuovo.” Berto annuì guardingo. Non voleva misurarsi di prima mattina su un terreno tanto scivoloso. “Beh” disse “speriamo che finisca presto.” “Non finirà” replicò quella inviperita, “li vogliono uccidere tutti. Vogliono completare il genocidio.” Berto trasse un profondo respiro e serrò forte i pugni. Genocidio a casa sua non era mai stata una parola qualunque. Suo padre, pace all’anima sua, era ebreo ed era sfuggito per caso alla retata del 16 Ottobre. I nonni non erano stati altrettanto fortunati. “Se solo Hamas la finisse di tirare i suoi missili…” provò a dire. “Non finirebbe uguale… Quelli hanno fiutato il sangue e non mol- leranno la presa. Sono cani rabbiosi…” “Sarà… Ma torti e ragioni non sono mai tutti da una parte” provò ancora a quietarla Berto, porgendole i giornali. “Ce l’hanno nel sangue. Sono viscidi e crudeli. Quello che hanno subito da Hitler ora lo infliggono a quei poveri bambini.” Berto si contenne ma dentro schiumava rabbia. “Non ha senso confondere il governo di Israele con gli ebrei in generale!” “Si vede che tu di ebrei non ne conosci… Lasciatelo dire: sono tutti uguali. E poi scusa, se da che mondo è mondo tutti li perseguitano, una ragione ci sarà pure!” Era troppo! Berto la squadrò acido mentre un’idea maligna gli baluginava per la mente “A volte ci si sbaglia sulla gente…” “Io non mi sbaglio!” “Ah no?” disse lui vago, chinandosi a raccogliere una vecchia rivista e infilandola non visto fra Messaggero e Settimana Enigmistica. La vide andare via con quella sua aria un po’ altera da signora di periferia, stretta nel suo abitino bon ton. Povera imbecille pensò e si mise a ridere come un bambino. Pensava al momento in cui lo sguardo di lei si sarebbe posato su quella rivista che a lui era capitata fra le mani e che aveva nascosto agli occhi di chiunque. La posa in cui la signora Rosy era ritratta era di quelle che non possono essere fraintese. “A volte ci si sbaglia sulla gente…” ripeté fra sé. E non smise di ridere. MARIO PACIFICI Gan Eden NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 Agenzia di Onoranze Funebri ebraica 42 Siamo Kosher nei modi e nei prezzi Massimo rispetto per i defunti e per gli avelim Assistenza legale e cimiteriale Via Casilina 1854/c - Roma Tel. 327/8181818 (24 ore su 24) [email protected] - www.ganeden.eu LETTERE AL DIRETTORE voce lettori La dei La famiglia di Marco Calò z.l, ringrazia Egregio Direttore, la moglie Franca, i figli Luciano, Elisabetta, Lidia, Giorgio, i fratelli Pallino, Giorgio, Peppe, le sorelle Fatina, Rossana, Fiorina, Rina, le cognate Graziella, Marina, Adriana, Lisa, Rosetta, Settimia, i nipoti Chantal, Diletta, Sarah, Michal, Samuel, Ever, Massimo, Gabriel, Benedetta, Rebecca, Michal, Marco, tutti i nipoti da parte degli zii e le zie, ringraziano i parenti, gli amici e i colleghi che con parole, calore e affetto hanno accompagnato la perdita e sostenuto nel dolore per il marito, il padre, il nonno, lo zio e l'amico MARCO CALO’ Zezè. Un grazie allo staff medico dell’Ospedale Sentitamente ringraziamo l'ospedale israelitico, nello specifico il reparto di medicina del terzo piano, il personale tutto, medici e infermieri che hanno accudito nostro padre con infinito amore e dedizione. Emma, Angelo, Cesare e Alberto Limentani SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Giacomo Kahn Direttore responsabile Edoardo Amati Rebecca Mieli Micol Anticoli Fiamma Nirenstein Silvia Haia Antonucci Mario Pacifici Ariel Arbib Angelo Pezzana Giorgia Calò Clelia Piperno Ariel David Pierpaolo P. Punturello Jonatan Della Rocca Yaarit Rahamim Jael Di Consiglio Jacqueline Sermoneta Jacqueline Sermoneta Segretaria di redazione Piero Di Nepi Marco Spagnoli Alessandra Farkas Miriam Spizzichino Ghidon Fiano Sarah Tagliacozzo Shalom Hazan Francesca Tardella Giorgio Israel Daniele Toscano Carlotta Livoli Mario Venezia David Meghnagi Ugo Volli HATAN TORÀ: Haym Dabush HATAN BERESHIT: David Zahar Gerbi HATAN MEONÀ: Robert Moshe Hassan ERRATA CORRIGE Andrea Di Veroli è stato Hatan Bereshit del Tempio della Casa di Riposo e non Cesare Limentani come erroneamente segnalato nello scorso numero di Shalom. Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto. Possiamo parlarne con leggerezza, anche perché certamente non è precipitata nell’indigenza. Prende possesso della sua scrivania al posto di comando più prestigioso del giornalismo planetario nei primi giorni di settembre 2011. Jill Abramson è la prima donna a occupare la poltrona di direttore del New York Times. E’ anche una upper class jewish woman. Riceve a valanga complimenti, congratulazioni, panegirici. Nel suo piccolo, l’establishment ebraico si sforza di essere planetario anche lui. E così anche dall’Italia parte il coro: evviva, è uno dei nostri. Anzi, delle nostre. Fired, che nel mondo anglosassone sta per licenziato/licenziata in tronco, dall’editore in persona il 14 maggio 2014, con 5 anni di anticipo (sulla pensione). Adesso ha 61 anni e annuncia una start-up che si occuperà di giornalismo. E tte pareva. Astenersi da commenti beneauguranti. Smokéd PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ [email protected] Cell. 392.9395910 DIREZIONE, REDAZIONE Lun­gotevere Sanzio, 14 - 00153 Roma Tel. 06.87450205/6 - Fax 06.87450214 E-mail: [email protected] [email protected] - www.shalom.it Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposto a riconoscerne il giusto compenso. AB­BO­NA­MEN­TI I­ta­lia: an­nuo � 60,00 - E­ste­ro: an­nuo � 112,00 c/c po­sta­le n. 33547001 in­te­sta­to a Co­mu­ni­tà E­brai­ca di Ro­ma Un nu­me­ro � 6,00 (solo per l’I­ta­lia) Sped. in ab­b. po­st. 45% comma 20/B art. 2 - L. 662/96 Filiale RM Autorizzazione Tribunale di Roma n. 2857 del 1° settembre 1952 Progetto grafico: Ghidon Fiano Composizione e stampa: Nadir Media s.r.l. Visto si stampi 5 novembre 2014 GARANZIA DI RISERVATEZZA DLGS 196/03 sulla tutela dei dati personali Si informano i lettori che i loro dati personali sono stati archiviati e vengono utilizzati da ‘Shalom’ esclusivamente per consentire la spedizione postale del giornale. I dati non saranno ceduti, comunicati o diffusi a terzi, e i lettori potranno richiederne in qualsiasi momento la modifica o la cancellazione al responsabile del trattamento Prof. Emanuele Di Porto scrivendo alla Segreteria della Comunità - Lungo­tevere Cenci - Tempio 00186 - Roma • Tel. 06/68400641. NOVEMBRE 2014 • CHESHVAN 5775 HATANIM TEMPIO OR YEHUDÀ 43 PASCARELLA CARNI KASHER ... non serve lanciare la monetina SE CI PROVI UNA VOLTA, TORNI DI SICURO PASCARELLA CARNI KASHER Roma - Via C. Pascarella, 24-26-28 Tel. +39 06/58.81.698