Premessa
Ancor prima di arrivare sui banchi di scuola, tutti già
sapevamo che un albero un organismo vegetale composto da
radici, fusto, rami, foglie e che produce fiori e frutti.
Negli anni successivi, le brave maestre si sono prodigate ad
illustrarci 1’infinita varietà delle forme e delle strutture di
foglie, fiori e frutti, introducendo noi giovani naturalisti in erba
nel meraviglioso mondo della botanica.
Proseguendo gli studi le cose si complicavano, con noi poveri
studenti alle prese con le ingombranti formule chimiche di quel
processo mirabile che ha segnato una tappa fondamentale della
vita sulla Terra, e che porta il nome di “fotosintesi
clorofilliana”: senza farci troppo notare dai luminari nostri
docenti, per non passare per superficiali e sbrigativi,
semplificavamo notevolmente Ia questione concludendo che si
trattava di trasformazione di sostanze semplici inorganiche in
sostanze complesse organiche, operata nelle cellule delle
piante verdi grazie all’energia solare, con consumo di anidride
carbonica e acqua e produzione di preziosissimo ossigeno.
Giungevamo così al termine del ciclo di studi strenui difensori
delle foreste e dei boschi di tutta Ia Terra, pronti a diventare,
“da grandi”, promotori e organizzatori di campagne pubbliche
per Ia diffusione e 1’incremento del patrimonio arboreo ed
arbustivo del territorio.
A parte tutto, assicurarsi ampi parchi cittadini, ombrosi
giardini, siepi e filari agresti comporta notevoli vantaggi,
spesso sottovalutati; oltre alla salubrità dell’ambiente, alla
eleganza delle forme, alla gradevolezza delle ombre, alla
squisitezza dei frutti, gli alberi e gli arbusti svolgono preziose
funzioni di frangivento per riparare abitazioni e colture,
mitigano i rigori dei microclimi locali, ospitano preziosi
organismi vegetali e animali. Nelle città i parchi, i viali
alberati, i giardini e le siepi ossigenano l’atmosfera,
assorbendo in parte i nocivi residui degli inquinanti derivanti
dal traffico e dalle attività umane.
Non dimentichiamo, inoltre, che le verdi chiome sono ormai
l’ultimo rifugio dei pochi uccelli scampati ai veleni delle
campagne e alla caccia, quali merli, storni, fringuelli,
pettirossi, cince e altri gradevolissimi ospiti dei nostri giardini.
E per tutto questo che piantare un albero ci infonde
l’entusiasmo e Ia fiducia nel futuro di quando eravamo
bambini.
Elisabetta Mantovani
ACERO CAMPESTRE
Acer campestre L.
Famiglia ACERACEAE
Descrizione Albero o cespuglio a foglie caduche, alto fino a 20 metri, dalla corteccia giallo-rosea; i rami giovani portano
lenticelle longitudinali aranciate.
Le foglie sono piccole, opposte, portate da un lungo picciuolo e presentano lamina palmata con 3-5 lobi, molto
caratteristiche.
I fiori sono piccoli, giallo-verdi, riuniti in corimbi eretti, pubescenti, che si formano contemporaneamente alle
prime foglie. Il frutto è una samara con ali divergenti a 1800.
Fioritura Aprile-Maggio.
Fruttificazione Luglio-Settembre.
Distribuzione L’Acero campestre cresce in Europa, Africa settentrionale, Asia occidentale; in Italia la specie è
spontanea in tutto il territorio, tranne che all’estremo Sud, dalla pianura alla fascia montana inferiore.
Ecologia L’Acero campestre vive nei boschi mesofili misti di latifoglie, si rinviene nelle siepi, su suoli ricchi, con
preferenza per i terreni calcarei, ma si adatta bene anche a suoli asfittici e argillosi, non sopportando una
eccessiva acidità del substrato.
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Note Questo elegante albero viene comunemente coltivato in parchi e giardini, ed è particolarmente adatto
per formare siepi rustiche; esso veniva tradizionalmente impiegato come tutore vivo per la vite,
sopportando bene anche la capitozzatura. Esso è molto apprezzato per la fitta ombra prodotta dalla
chioma compatta e per gli splendidi toni giallo-ambrato che assumono le foglie in autunno.
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BAGOLARO
Celtis australis L.
Famiglia ULMACEAE
Descrizione Albero caducifoglio alto fino a 20-25 metri, dalla corteccia grigia, compatta e liscia che diviene fessurata
solo negli esemplari longevi. I rami giovani sono pubescenti.
Le foglie, pubescenti sulla pagina inferiore, sono portate da un piccolo picciuolo, allungate e a margine dentellato,
con apice acuminato.
I fiori sono piccoli, solitari o in gruppi poco numerosi.
Il frutto è un drupa biancastra, bruna a maturazione, dal sapore dolciastro, della grandezza di un pisello, molto
appetita dagli uccelli. Con i nòccioli, durissimi, un tempo si facevano i rosari.
Fioritura Aprile-Maggio.
Fruttificazione Estivo-autunnale.
E’ una specie mediterranea, diffusa in Europa meridionale, Asia centro-occidentale, Africa
Distribuzione
settentrionale; in Italia il Bagolaro è comune in tutto il territorio, frequentemente coltivato e naturalizzato. Nella
nostra regione la sua presenza è sporadica, probabilmente dovuta ad esemplari inselvatichiti da coltivazione.
Ecologia Il Bagolaro predilige le stazioni assolate e aride, preferibilmente su terreni calcarei, dalla pianura alla media
collina. E una specie molto frugale, che si adatta a terreni poveri anche rocciosi: il nome di “Spaccasassi”, che pure
gli viene attribuito, ben descrive le capacità dell’apparato radicale ad insinuarsi fra le rocce.
Note - Questa pianta, molto rustica e frugale, è adatta al rimboschimento di terreni poveri, e viene coltivata anche per la
produzione di rami flessibili e di fogliame appetito dal bestiame.
La specie viene largamente impiegata nei parchi e nei giardini per il grande sviluppo delle chiome molto ombrose,
e soprattutto nelle alberature stradali, non soffrendo eccessivamente la copertura di asfalto e l’inquinamento da
autoveicoli.
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BIANCOSPINO COMUNE
Crataegus monogyna Jacq.
Famiglia ROSACEAE
Descrizione Arbusto o piccolo albero, alto fino a 6 metri, eccezionalmente anche oltre, molto spinoso.
Foglie alterne, ovali o romboidali, a margine dentato, con incisioni profonde, portanti alla base stipole appaiate.
I fiori, riuniti in corimbi, hanno petali bianchi ed emanano un dolce e delicato profumo.
I frutti sono sferici, cerosi, colorati di rosso vivo a maturità, dalla polpa farinosa e forniscono, durante i mesi
invernali, abbondante cibo agli uccelli, quali tordi e cesene. Ciascun frutto contiene un solo seme (nella
congenere C. oxyacantha -B. selvatico in ogni frutto sono contenuti due semi).
Fioritura Aprile-Maggio.
Fruttificazione Luglio-Settembre.
Distribuzione Il Biancospino comune è diffuso in Europa centrale e meridionale, nella Scandinavia meridionale, in
Russia, Asia minore, Caucaso e Africa settentrionale.
In Italia la specie è comune su tutto il territorio, dalla pianura ai 1500 metri di altitudine.
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Ecologia Il Biancospino comune è una specie frugale, eliofila, moderatamente xerofila, comune nelle
macchie, al margine dei boschi, nelle siepi, nei boschi xerofili e luminosi, che predilige i terreni
calcarei.
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Note Questo arbusto a crescita rapida viene ampiamente coltivato per formare siepi impenetrabili di grande longevità,
sopportando anche potature annuali. Se lasciata crescere liberamente, la pianta assume un bel portamento ad
alberello.
E’ una pianta medicinale: fiori, foglie, corteccia hanno proprietà toniche; dall’infuso dei fiori si ricava una
bevanda dall’azione blandamente sedativa.
I fiori vengono usati nell’industria cosmetica; dai frutti si ricava una gelatina molto ricca di vitamina C.
L’impianto del Biancospino è attualmente vietato per limitare la diffusione del “colpo di fuoco”; una
malattia che colpisce anche le coltivazioni di pero e melo.
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CILIEGIO SELVATICO
Prunus avium L.
Famiglia ROSACEAE
Descrizione Elegante albero alto dai 3 ai 20 metri (gli individui selvatici possono mantenere un aspetto
cespuglioso), dalla corteccia liscia e lucida, caratterizzata da lacerazioni nastriformi che si arrotolano
su se stesse. I rami giovani portano lenticelle trasversali. La pianta, se ferita, emana una secrezione di
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resina gommosa. Le foglie sono pendule, a lamina lanceolata, dentellata, verde scuro superiormente, chiare
inferiormente, alterne e lungamente picciolate e portano alla base due ghiandole ben visibili. I fiori, a petali
bianchi, sono riuniti in ombrelle e compaiono prima delle foglie: la candida fioritura primaverile è spettacolare.
Il frutto è una drupa rosso scuro a maturità, dolce e commestibile, la ciliegia, molto appetita dagli uccelli.
Fioritura Aprile-Maggio.
Fruttificazione Giugno-Luglio.
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Distribuzione L’areale originario del Ciliegio è incerto, ma pare avesse il suo centro nell’area Pontica (dal
Caucaso ai Balcani). La specie è stata diffusa dall’uomo e dagli uccelli. In Europa esso è spontaneo in
tutto il territorio, tranne che al Nord; in Italia è comune ovunque, dalla pianura ai 1500 metri di
altezza.
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Ecologia Il Ciliegio selvatico è una specie eliofila, ben adattabile, che predilige i terreni freschi: cresce nei boschi,
nelle macchie e nelle siepi.
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Note Il Ciliegio selvatico, incrociato e selezionato, ha dato origine a tutte le varietà coltivate e maggiormente
fruttificanti. Viene coltivato su larga scala e usato come portainnesto su cui crescono i congeneri più
produttivi. Il duro legno è molto pregiato e viene utilizzato in ebanisteria. I frutti sono diffusamente
impiegati sia dall’industria alimentare e dolciaria che farmaceutica: da essi si ricavano sciroppi e
medicamenti contro la tosse.
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FARNIA
Quercus robur L.
Famiglia FAGACEAE
Descrizione Albero longevo, a crescita lenta, alto fino a 25 metri, la Farnia o Quercia comune è la più grande di tutte
le querce a foglie caduche (sono documentati esemplari di oltre 40 metri!).
La corteccia, liscia e lucida, si fessura con l’età.
Le foglie, molto caratteristiche, sono alterne, lobate, con 4-6 lobi arrotondati per lato, subsessili.
La Farnia è una specie monoica, con fiori riuniti in amenti: i maschili sono penduli, i femminili portati in
glomeruli avvolti da brevi squame.
I frutti, in gruppi di 2-3, sono ghiande lungamente peduncolate, ovali o ellissoidali, con cupola ricoprente solo la
base, molto appetite dai roditori.
Fioritura Aprile-Maggio.
Fruttificazione Settembre.
Distribuzione La specie vive in Europa e nel Caucaso ed è comune in Italia settentrionale e centrale. E questa la tipica
quercia della pianura, che unitamente ad altre latifoglie (pioppo bianco, salice bianco, carpino bianco, ontano
nero, olmo, ecc.) costituiva le foreste naturali della Padania prima dell’antropizzazione.
Ecologia La Farnia è una specie mesofila, eliofila, resistente ai freddi invernali, che predilige i terreni umidi, argillosi e
limosi. Essa cresce in boschi su suoli ricchi, con falda freatica elevata, nelle pianure alluvionali e nelle valli
umide, fino a 800 metri di quota.
Note E questo un albero maestoso, simbolo della forza (dal latino “robur” = forza), il cui legno è stato utilizzato sin
dall’antichità per fabbricare navi, suppellettili, a causa della sua resistenza ed eleganza.
E particolarmente consigliato per la nostra pianura di cui è tipico, da diffondere e tutelare nei parchi e giardini,
nelle campagne e presso i corsi d’acqua.
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FRASSINO MERIDIONALE
Fraxinus oxycarpa Bieb.
Famiglia OLEACEAE
Descrizione Elegante albero alto fino a 25 metri, a foglie caduche, opposte, composte, imparipennate, con 513 foglioline lanceolate, dentellate, pubescenti sulle nervature. La corteccia, liscia da giovane, si fessura
con l’età e presenta caratteristiche lenticelle romboidali. I fiori sono poco appariscenti, riuniti in brevi
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pannocchie, per lo più unisessuali, privi di calice e corolla, con antere purpuree. Il frutto è una samara pendente.
Fioritura Novembre-Gennaio.
Fruttificazione Settembre.
Distribuzione La specie è diffusa in Europa meridionale e sud-orientale, a nord fino alla Cecoslovacchia e
all’Ungheria.
Ecologia Il Frassino meridionale vive in boschi umidi e forre, dalla pianura fino a circa 1000 metri di quota; è una
specie igrofila, che ben si adatta a terreni argillosi e calcarei.
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Note Questa pianta è adatta ai suoli umidi, per giardini e parchi come ornamentale per la sagoma elegante.
Nella scelta di questa specie va posta particolare attenzione, in quanto viene spesso confusa con la
congenere F. excelsior, il Frassino maggiore, tipico degli ambienti montani.
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LECCIO
Quercus ilex L.
Famiglia FAGACEAE
Descrizione Il Leccio è una quercia sempreverde che può raggiungere i 25 metri d’altezza, anche se talora può
mantenere l’aspetto di cespuglio.
La chioma è scura, emisferica, la corteccia grigia, minutamente screpolata.
Le foglie possono assumere aspetti diversi: quelle giovani sono spinose, simili all’Agrifoglio, mentre quelle
adulte, tipicamente alterne, sono lanceolate o ellittiche, intere, a volte dentate, verde scuro e lucide
superiormente, bianco tomentose o pubescenti inferiormente, molto coriacee, persistenti per 2-3 anni. La specie
è monoica, con i fiori riuniti in amenti: quelli maschili, lunghi 4-6 centimetri, maturano con la comparsa delle
nuove foglie, quelli femminili, molto piccoli e formati da pochi fiori.
Il frutto è una ghianda, avvolta per metà dalla cupola, molto appetita da Corvidi e roditori.
Fioritura Aprile-Giugno.
Fruttificazione Nel Settembre dello stesso anno.
Distribuzione Il Leccio è una specie steno-mediterranea, diffusa in Europa meridionale, Africa settentrionale e Asia
minore.
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Ecologia Il Leccio è una specie termofila, principale componente 10 della macchia mediterranea, resistente
alla siccità e al vento,anche salmastro.
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In Italia settentrionale, la specie si rinviene dalla pianura fino ai 600 metri d’altezza, in Sicilia (Etna) arriva a
quota 1800 metri.
Il legno, duro e compatto, è un buon combustibile. La pianta, molto adatta alle zone costiere, teme il ristagno
idrico e le gelate.
LIGUSTRO
Ligustrum vulgare L.
Famiglia OLEACEAE
Descrizione Cespuglio alto fino a circa 2 metri, dalla corteccia bruno-verdastra, liscia, con lenticelle ellittiche; i rami
sono flessibili, leggermente pelosi quelli giovani.
Le foglie sono intere, opposte, munite di piccolo picciuolo, caduche (nelle zone a clima mediterraneo possono
persistere anche in inverno), con lamina ellittica e lanceolata. I fiori sono tetrameri, profumati, riuniti in
pannocchie compatte terminali, con la corolla bianco-lattea.
I frutti sono bacche subsferiche, grosse come piselli, nere e lucide, persistenti tutto l’inverno, tossiche.
Fioritura Aprile-Giugno.
Fruttificazione Settembre.
Distribuzione La specie è comune in Europa e Asia occidentale.
Ecologia Il Ligustro predilige i suoli calcarei e ben drenati, ed è comune nei boschi caducifogli termofili, soprattutto ai
margini delle boscaglie degradate, nei cespuglieti e nelle siepi, dalla pianura ai 1300 metri.
Note Il Ligustro viene spesso coltivato in parchi e giardini, soprattutto per siepi, sopportando potature anche intense: il
fusto, alla base, forma stoloni, dando luogo ad una intensa diffusione per via vegetativa e formando così densi
cespugli. Le bacche, tossiche, venivano un tempo usate per fare tinture; il decotto delle foglie ha proprietà
astringenti.
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NOCCIOLO
Corylus avellana L.
Famiglia CORYLACEAE
Descrizione Arbusto o alberello, alto fino a 8 metri, dal fusto eretto, ramificato alla base, dalla corteccia grigio-bruna,
lucida, liscia e molto ricca di lenticelle e dai rami giovani pubescenti.
Le foglie, molto caratteristiche, sono portate da un breve picciuolo, irsuto e ghiandoloso, caduche, alterne, con
lamina ellittica o subrotonda, base cuoriforme e apice acuto, a margine seghettato.
La specie è monoica: gli amenti maschili, che fioriscono sin dall’inverno, sono giallo oro, lunghi e penduli, in
autunno rosei, quelli femminili, simili a gemme, portano un ciuffo di stimmi purpurei e fioriscono in primavera.
I frutti sono nocciole, riuniti in gruppi di 2-5, quasi completamente avvolti da due brattee fogliacee pubescenti e
sfrangiate, molto appetiti da roditori, colombacei, ghiandaie, gazze, fagiani, cinciallegre.
Fioritura Gennaio-Aprile.
Fruttificazione Agosto-Settembre.
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Distribuzione Il Nocciolo è diffuso in un vasto areale che va dall’Europa all’Asia occidentale e all’Africa
settentrionale. In Italia, la specie è presente allo stato spontaneo in tutte le regioni, venendo
frequentemente coltivata.
Ecologia E’ questa una specie frugale, molto adattabile al substrato, che predilige i terreni profondi e sciolti,
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freschi e di buona fertilità. Vive nel sottobosco delle foreste di latifoglie e aghifoglie, ai margini dei boschi, in
macchie e siepi, dalla pianura ai 1700 metri di quota.
Note Il Nocciolo è molto adatto alla formazione di siepi, specialmente se intercalato con altri arbusti che conferiscono
maggiore resistenza e densità.
Esso viene ampiamente coltivato per la produzione del frutto, sin dalla preistoria, per le sue proprietà mellifere,
e per il legno tenero, buon combustibile.
Anche le foglie sono molto appetite dal bestiame.
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ORNIELLO
Fraxinus ornus L.
Famiglia OLEACEAE
Descrizione Cespuglio o alberello, alto fino a 10 metri, dalla corteccia grigia, opaca, compatta e molto liscia,
caratterizzato da rami opposti.
Foglie caduche, opposte, composte e imparipennate: le foglioline, in numero variabile da 7 a 9, sono portate da un
breve picciuolo, lanceolate, finemente dentate.
I fiori, portati in vistose infiorescenze a pannocchia, sono molto profumati, generalmente apicali, con petali bianco
crema.
I frutti sono samare ellittico-spatolate che permangono sull’albero anche dopo la caduta delle foglie.
Fioritura Aprile-Maggio.
Fruttificazione Settembre.
Distribuzione La specie è diffusa nell’Europa centro-meridionale e nell’Asia occidentale; in Italia è presente su tutto il
territorio, molto comune nell’area prealpina.
Ecologia L’Orniello è una pianta eliofila, che ben si adatta a tutti i terreni, sopportando anche il freddo; esso cresce in
boschi misti, nelle boscaglie degradate, dalla pianura ai 1400 metri.
Note L’Orniello trova numerosi impieghi: per la sua frugalità viene largamente utilizzato nel rimboschimento di terreni
argillosi e calcarei; il legname è adatto a lavori di falegnameria e alla 13 produzione di carbone; soprattutto in Italia
meridionale e in Sicilia, la specie è abbondantemente coltivata a scopi medicinali, per ricavarne la “manna”,
sostanza zuccherina che trasuda dai rami incisi, avente blande proprietà lassative.
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PIOPPO BIANCO
Populus alba L.
Famiglia SALICACEAE
Descrizione Albero (talora cespuglio) alto sino a 25-30 metri, caratterizzato da una corteccia biancastra, liscia che con
l’età si sfalda in solchi larghi. I giovani rami sono ricoperti da una lanugine bianca, simile a ragnatela. Le
lenticelle sono rombiche.
Le eleganti foglie, decidue, alterne, sono picciolate, con lamina ovale, più o meno lobata, di un bel verde scuro
superiormente, bianco lanose nella pagina inferiore.
Il Pioppo bianco è una specie dioica: le infiorescenze maschili sono amenti cilindrici lunghi 5-8 centimetri,
quelle femminili di 3-7 centimetri; la fioritura precede la fogliazione.
Le infruttescenze sono composte da capsule glabre portanti semi cotonosi.
Fioritura Febbraio-Marzo.
Fruttifìcazione Maggio.
Distribuzione L’areale del Pioppo bianco è molto vasto e comprende l’Europa centro-meridionale, l’Asia occidentale,
il Nord Africa. In Italia la specie è comune in tutto il territorio, dalla pianura ai 1000 metri d’altezza.
Ecologia La specie è eliofila, prediligendo i terreni fertili e umidi e si rinviene lungo i corsi d’acqua e nelle stazioni
inondate.
Note Tipico albero della Pianura Padana, il Pioppo bianco viene largamente coltivato per la sua rapida crescita e per la
candida eleganza del tronco e delle foglie. Grazie alla protezione della peluria sulle foglie e sui giovani rami, la
specie è particolarmente adatta a filari stradali o a frangivento, anche prossimi al mare, ben tollerando la
salsedine.
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TAMERICE
Tamarix gallica L.
Famiglia TAMARICACEAE
Descrizione Albero o arbusto alto fino a 5 metri, talora anche oltre, dalla chioma espansa e irregolare, caratterizzato da
tronco breve, sinuoso, corteccia grigio-bruna e giovani rami porporini.
Crescendo in prossimità del mare, le minuscole foglie sono adatte a ridurre al minimo la perdita di acqua, dovuta
all’aridità edafica, alla salsedine e ai venti. Esse sono, infatti, lunghe pochi millimetri, squamiformi, ad inserzione
alterna, caduche o più o meno persistenti.
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I fiori sono riuniti in infiorescenze a racemi densi, cilindrici, e presentano corolla a 5 petali di colore da
bianco a rosa. I frutti sono piccole capsule piramidali.
Fioritura Maggio-Giugno.
Fruttificazione Settembre.
Distribuzione La specie è diffusa nel bacino mediterraneo occidentale. In Italia essa cresce spontaneamente in Liguria,
nei litorali lungo la Penisola e nelle isole.
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Ecologia La Tamerice vive nelle zone prossime alla costa, resistendo bene alla salsedine, al vento, ai suoli
poveri e aridi. Essa è quindi molto diffusa sulle dune sabbiose litorali, dove spesso viene favorita dall’uomo
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per consolidare terreni incoerenti. A volte, nelle valli salmastre costiere o presso le foci dei fiumi, è l’unica pianta
arbustiva o arborea che riesce a sopravvivere.
Note La Tamerice è particolarmente adatta alle zone costiere, dove viene largamente impiegata per il
consolidamento delle dune a mare e nei giardini, isolata o in filari a siepe, come ornamentale di grande
eleganza.
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Alberi e arbusti autictoni del Ferrarese
Ginepro comune (Juniperus communis L.)
Salice bianco (Salix alba L.)
Salice fragile (Salix fragilis L.)
Salicone (Salix caprea L.)
Salice cinereo (Salix cinerea L.)
Pioppo bianco (Populus alba L.)
Pioppo nero (Populus nigra L.)
Pioppo cipressino (Populus nigra var. italica Duroi)
Ontano nero (Alnus glutinosa (L.) Gaertner)
Carpino bianco (Carpinus betulus L.)
Carpino orientale (Carpinus orietalis Miller)
Nocciolo (Corylus avellana L.)
Leccio (Quercus ilex L.)
Farnia (Quercus robur L.)
Olmo comune (Ulmus minor Miller)
Crespino (Berberis vulgaris L.)
Pero selvatico (Pyrus pyraster L.)
Agazzino (Pyracantha coccinea M.J. Roemer)
Biancospino comune (Crataegus monogyna Jacq.)
Biancospino selvatico (Crataegus oxyacantha L.)
Pruno selvatico (Prunus spinosa L.)
Rosa canina (Rosa canina L.)
Rovo bluastro (Rubus caesius L.)
Rovo comune (Rubus ulmifolius Schott)
Acero campestre (Acer campestre L.)
Fusaggine (Euonymus europaeus L.)
Marruca (Paliurus spina-christi Miller)
Spinocervino (Rhamnus catharticus L.)
Frangola (Frangula alnus Miller)
Olivello spinoso (Hippophae rhamnoides L.)
Cisto rosso (Cistus incanus L.)
Tamerice comune (Tamarix gallica L.)
Sanguinella (Cornus sanguinea L.)
Corniolo (Cornus mas L.)
Frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa Bieb. = F. angustifolia Auct.)
Orniello (Fraxinus ornus L.)
Ligustro (Ligustrum vulgare L.)
Fillirea (Phillyrea angustifolia L.)
Sambuco comune (Sambucus nigra L.)
Palle di neve ( Viburnum opulus L.)
Caprifoglio comune (Lonicera capnfolium L.)
Caprifoglio etrusco (Lonicera etrusca Santi)
Notizie e consigli per la corretta messa a dimora delle piante
Scelta delle specie - Il buon esito delle operazioni di messa a dimora delle piante dipende innanzitutto da una
scelta oculata e intelligente delle specie più adatte al sito.
Se si vorrà evitare lo squallore e la stentatezza di molte piante esotiche, completamente avulse dal
contesto ambientale e paesaggistico locale, si dovrà mirare all’ampia possibilità di alternative offerte
dalla flora spontanea autoctona, che garantisce sicuro attecchimento ed ampie soddisfazioni non solo
estetiche.
Nel mettere a dimora una pianta si devono sempre tenere presenti le dimensioni degli individui
adulti, per evitare... indesiderate sorprese e deleteri spostamenti.
Si sottolinea, infine, che i più felici risultati di buon attecchimento ed adattamento si ottengono
utilizzando esemplari giovani o molto giovani, ai quali vanno assicurati tutti i requisiti ecologici
tipici di quella determinata specie (natura del terreno, insolazione, umidità, ecc.).
Operazioni preliminari all’impianto - Le piantine a radice nuda estratte dai vivai non devono restare a lungo
allo scoperto, per non rischiare la “crisi di trapianto”, dovuta al danneggiamento dell’apparato
radicale. Non potendo procedere alla messa a dimora immediata, le piantine vanno riparate dal
vento, dal gelo e dal sole, preferibilmente coperte con sabbia e moderatamente innaffiate. Al momento della messa a dimora, si dovranno eliminare, con una leggera potatura, le radichette
eventualmente spezzate, secche o colpite da marciume, favorendo così la ripresa.
Periodo dell’impianto - Deve, di regola, coincidere con quello del riposo vegetativo (dall’autunno fino
all’inizio della primavera), escludendo le giornate in cui il terreno è gelato o troppo umido,nonché le ore
centrali della giornata.
Preparazione del terreno e delle buche - Di norma, il terreno va preventivamente lavorato, fino ad una
profondità di 50-80 centimetri, asportando pietre e residui plastici; la presenza di pietrisco in
profondità non disturba, in quanto favorisce il drenaggio. Se il terreno lo richiede, sarà opportuno
fertilizzare con concimi organici naturali. Le buche vanno effettuate al momento del trapianto e
devono essere larghe in modo da poter ben distendere le radici, e profonde tanto da interrare la
pianta fino al “colletto” (parte divisoria tra radici e fusto). Le distanze tra le buche vanno calcolate in
modo tale da consentire il pieno sviluppo delle piante, quando queste avranno raggiunto la piena
maturità.
Messa a dimora delle piante - Se le piante sono munite di pane di terra, bisognerà eliminare l’involucro di
plastica o effettuare tagli e larghe aperture se esso è di carta o paglia, avendo cura di non spezzare il
pane di terra. Le piante vanno disposte con il tronco ben dritto. Eventuali curvature presenti nelle piante
vanno rivolte a Nord, poiché tale accorgimento facilita il successivo raddrizzamento del fusto. Posta la
pianta nella buca, si procederà al riempimento con terreno sciolto, che andrà pressato per strati in modo
da farlo ben aderire alle radici affinché non rimangano dannose sacche d’aria. Se il terreno è molto
asciutto, si intercaleranno leggere innaffiature fino a completare la colmatura delle buche, al livello del
terreno circostante, pressando a peso d’uomo: evitare la formazione di cumuli al piede della pianta, con
l’intento di dare maggiore stabilità, che si ottiene con la giusta profondità delle buche e con la posa di
“tutori”. Se dopo qualche tempo, in seguito all’assestamento del terreno, il livello intorno alla pianta si
abbassa, è necessario aggiungere altra terra, sempre fino al “colletto”.
Cure colturali successive - Successivamente alla messa a dimora delle piante, andranno assicurate per
almeno 4-5 anni cure colturali adeguate, consistenti in:
periodiche innaffiature nei periodi siccitosi;
periodiche lavorazioni superficiali del terreno attorno alla pianta, sia per estirpare erbe infestanti, sia
per arieggiare il sito di impianto;
rincalzi di nuovo terreno attorno alla pianta per compensare l’effetto del vento e del gelo;
leggere potature, non prima del terzo, quarto anno, per asportare i rami morti e dare forma alla pianta,
da eseguirsi con strumenti ben taglienti, così da permettere una rapida cicatrizzazione;
controllo della tenuta dei “tutori”, al fine di garantire la stabilità e la crescita regolare della pianta.
Bibliografia consigliata
AGOSTONI F., MARINONI C.M. (1991), Manuale di progettazione di spazi verdi Zanichelli, Bologna.
CHIUSOLI A. (1983), Guida pratica agli alberi e arbusti in Italia Selezione dal Reader’s Digest, Milano.
FENAROLI L. (1974), Gli alberi d’Italia Giunti Martello, Firenze.
GOLDSTEIN M., SIMONETTI G., WATSCHINGER M. (1990), Guida al riconoscimento degli alberi d’Europa Mondadori, Verona.
LANZARA P. PIZZETTI M. (1977), Alberi. Mondadori, Verona.
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Le illustrazioni sono tratte dal volume “Alberi e arbusti dell’Emilia-Romagna” dell’Azienda Regionale delle Foreste (autorizzazione n.19197 del
18/9/’90).