OPINIONE PUBBLICA La definizione della nozione di opinione pubblica costituisce un problema epistemologico fondamentale non soltanto per i massmediologi, ma anche per gli storici e gli studiosi di scienze sociali, in quanto è proprio da questa definizione che si sono originate le diverse valutazioni, ad esempio, sul tipo di consenso dato dagli italiani al regime fascista (cfr. Colarizi, 1991) e, al giorno d’oggi, alle diverse forme di populismo che interessano le democrazie occidentali. La comparazione e la conseguente differenziazione tra l’opinione vigente all’interno dei regimi dittatoriali e quella che si sviluppa nei sistemi democratici è opportuna in quanto nei primi (per esempio, nel fascismo) «nessuna delle condizioni base di un’opinione pubblica esiste: né lo scontro di idee, né il confronto attraverso un libero dibattito, né i canali liberi per manifestarsi. La dittatura consente solo la circolazione delle opinioni formali - “pubbliche” in quanto istituzionalmente autorizzate - che promanano dalla stampa, dagli organi più importanti dello stato e dalle organizzazioni fasciste» (Colarizi, 1991, p. 4). Schimdtchen ha definito l’opinione pubblica come «il correlato del dominio: qualcosa che esiste politicamente soltanto in relazioni determinate fra dominio e popolo» (Schimdtchen, 1959, p. 255); definizione diversa da quella fornita da altri studiosi come Habermas, secondo il quale l’opinione pubblica si sviluppa all’interno della società civile attraverso la discussione razionale e la contrapposizione tra correnti di opinioni diverse su fatti concreti (cfr. Habermas, 1986). Tuttavia, anche nei sistemi democratici, la cosiddetta opinione pubblica è in realtà l’opinione che promana dalla stampa e dagli organi dello stato e da quelle organizzazioni attraverso le quali politici e opinion makers polarizzano le opinioni. Essendo l’opinione un processo sociale di diffusione e aggregazione di credenze attorno a fenomeni particolari e rilevanti, la definizione che meglio si addice al contesto democratico è esattamente quella di opinione - o meglio di opinioni - senza aggettivi, dell’opinione scritta con la “o” minuscola e non di opinione omologata e conformista, nel senso in cui già Tocqueville ne aveva parlato in Democrazia in America (cfr. Tocqueville, 19681969). Quando le opinioni si uniformano, riducendosi a un’unica formula - la “pubblica opinione”, per l’appunto - non siamo più in democrazia. Pierre Bourdieu ha provocatoriamente affermato che l’opinione pubblica non esiste (cfr. Bourdieu, 1976). Siamo, infatti, in presenza di un paradosso, nel senso che, a rigore, in un sistema democratico non si può parlare di opinione pubblica come soggetto collettivo. L’opinione pubblica - scrive Bourdieu - è sempre una «realtà duplice»: «Quando si parla di opinione pubblica si gioca sempre su un duplice registro oscillando fra la definizione confessabile (l’opinione di tutti) e quella autorizzata ed efficace ottenuta ritagliando un sottoinsieme ristretto dall’opinione pubblica democraticamente intesa» (Bourdieu, 2013, p. 106). Le scienze sociali sono piuttosto refrattarie a sostituire questa categoria con determinazioni più precise; l’opinione pubblica viene in genere considerata una categoria politica alla stregua della “sfera pubblica”, mentre non sono la stessa cosa. Si tratta di un problema sollevato più di quarant’anni fa da Habermas (cfr. Habermas, 1971) e ancor prima da Walter Lippmann (cfr. Lippmann, 1998); oggi è ancora rilevante soprattutto perché quello che in realtà dovrebbe essere còlto e misurato dalla public opinion research si dissolve in quanto grandezza inafferrabile. Afferma Habermas: «Dal momento che non esiste opinione pubblica in quanto tale, ma che comunque possono venir isolate tendenze che, in condizioni date, contribuiscono alla formazione di un’opinione pubblica, questa va definita soltanto in modo comparativo, coerentemente all’essenza di un processo storico: un’opinione può chiamarsi pubblica nella misura in cui emerge allo stesso tempo dall’elemento pubblico interno di un’organizzazione di pubblico formato dai membri dell’organizzazione stessa e dalla dimensione pubblica che si crea nella discussione fra organizzazioni sociali e istituzioni dello Stato» (Habermas, 1962, p. 293). Le opinioni - sostiene Habermas - perdono carattere pubblico allorché si «invischiano nel contesto comunicativo di una massa». In una democrazia di massa, pertanto, «il contesto comunicativo di un pubblico può crearsi soltanto a patto che la circolazione formalmente circuitata dell’opinione “quasi pubblica” sia mediata con il campo informale delle opinioni finora non-pubbliche attraverso una pubblicità critica accesa in momenti pubblici interni delle organizzazioni» (Habermas, 1963, pp. 293-294). Habermas si richiama a Wright Mills, il quale «ricava empiricamente dalla contrapposizione di “pubblico” e “massa” alcuni criteri valevoli per una definizione di opinione pubblica»: «Nel pubblico, come noi lo intendiamo, a) ci sono virtualmente tante persone che esprimono loro opinioni quante sono quelle che subiscono le opinioni altrui; b) le comunicazioni pubbliche sono organizzate in modo tale che è possibile rispondere immediatamente ed efficacemente a qualsiasi opinione espressa in pubblico; c) l’opinione formatasi in tale discussione subito sfocia in un’azione efficace, se necessario anche contro l’autorità; d) gli istituti dell’esecutivo non penetrano nel pubblico, che pertanto agisce in maniera più o meno autonoma. Nella massa, a) coloro che esprimono un’opinione sono di gran lunga meno numerosi di coloro che la ricevono, per cui la comunità si riduce a una grezza quantità di individui sottoposti passivamente ai mezzi di informazione; b) la comunicazione di notizie e opinioni è quasi sempre organizzata in modo tale che è difficile o impossibile all’individuo controbattere immediatamente e con efficacia; c) il passaggio dall’opinione all’azione è controllato dalle autorità che si preoccupano di indirizzare l’azione stessa; d) la massa non è ancora autonoma rispetto alle istituzioni: in essa penetrano anzi gli agenti delle autorità, riducendo irrimediabilmente le possibilità degli individui di formarsi autonomamente un’opinione attraverso la discussione» (Mill, 1966, p. 284). Studi più recenti, come quelli di Fishkin (cfr. Fishkin, 1997), Price (cfr. Price, 2004) e di Noelle Neumann (cfr. Neumann, 2002), convengono sul fatto che personificare l’opinione pubblica sia da considerarsi certamente un errore. Lo psicologo sociale Jean Stoetzel aveva già indicato negli anni ’60 che nella ricerca della spiegazione storica si fa spesso ricorso «alla pretesa efficacia immediata del fattore opinione pubblica» (Stoetzel, 1964, pp. 290-291). Rifacendosi all’affermazione di Strayer secondo cui «lo storico parte dall’atto, dal fatto compiuto e ne deduce l’opinione che ha resto l’atto possibile» (Strayer, 1957, p. 440), egli dimostra l’erroneità di questo ragionamento: l’«autore non vede il circolo, che consiste nell’inferire la causa a partire dall’effetto, al fine di spiegare questo» (Stoetzel, 1964, p. 291). Di diversa natura è invece il «malinteso giornalistico», per utilizzare un’espressione di Allport (cfr. Allport, 1937, pp. 7-23), secondo cui l’opinione pubblica s’identifica con le affermazioni enunciate dagli organi di informazione collettiva (cfr. Stoetzel, 1964). Altro elemento caratterizzante l’opinione pubblica è il suo carattere contingente. Come afferma ancora Stoetzel: «i fenomeni collettivi di opinione non avvengono spontaneamente né nel vuoto. La causa o l’occasione ne è l’avvenimento, l’attualità, il cui carattere contingente è irriducibile. Ma nell’annuncio dell’avvenimento, l’elemento efficace riguardo all’opinione pubblica è il suo significato […]; e questo significato è trasmesso da un linguaggio di cui gli elementi e il loro raggruppamento (lo stile) costituiscono degli insiemi ideologici e di valore. Questo linguaggio non è solamente la forma sotto la quale le informazioni e le idee vengono trasmesse nel processo collettivo di diffusione, ma anche quella nella quale vengono posti i problemi, e finalmente esso costituisce “l’universo del discorso” dell’opinione pubblica» (Stoetzel, 1964, pp. 304-305). Ad esempio, durante le campagne elettorali, il modo in cui si formano le opinioni e, successivamente l’espressione del voto, spesso non sono conseguenti alle convinzioni politiche dell’elettorato. Una delle rappresentazioni più efficaci del processo di formazione delle opinioni è il cascade model di Deutsch, in cui compaiono cinque livelli “a cascata”: nel primo circolano le idee delle élites economiche e sociali, nel secondo si confrontano le élites politiche e di governo. Il terzo è costituito dalla rete della comunicazione di massa; il quarto dai leader di opinione a livello locale; il quinto e ultimo, dai diversi tipi di pubblico nei quali si suddivide il demos. Secondo Deutsch, in ciascuno di questi livelli si ritrova un circuito a sé stante di formazione dell’opinione in cui i processi di interazione sono orizzontali. Ogni passaggio da un livello all’altro costituisce un vero e proprio salto, uno stacco, l’inizio insomma di un nuovo ciclo a un livello differente; ma non è detto che il processo sia sempre discendente. Possono verificarsi degli eventi eccezionali che fanno invertire il corso del cascade model (cfr. Deutsch, 1970). È il caso soprattutto delle guerre, delle rivoluzioni e di eventi che dipendono dalla volontà umana e che possono persino inibire l'azione politica. Recentemente Noam Chomski ha rilevato, a questo proposito, che anche i regimi democratici adottano delle strategie di costruzione del consenso secondo criteri propagandistici. L’ingegneria del consenso non è però sufficiente a far funzionare la democrazia e l’azione comunicativa non può essere intesa in senso meramente meccanicistico e strumentale (cfr. Chomsky, 1994). Lorella Cedroni Riferimenti bibliografici F.H. ALLPORT, Toward a Science of Public Opinion, in “Public Opinion Quarterly” n. 1 (1937), pp. 7-23. P. BORDIEU, L’opinione pubblica non esiste, in “Problemi dell’Informazione”, n. 1 (1976), pp. 7188. P. BOURDIEU, Sullo Stato. Corso al Collège de France, vol. I, Feltrinelli, Milano 2013, p. 106. N. CHOMSKI, Il potere dei media, Vallecchi, Firenze 1994. S. COLARIZI, L’opinione degli italiani sotto il regime, Laterza, Bari 1991, p. 4. K. W. DEUTSCH, Politics and Government, How People decide their fate, Houghton Mifflin and CO., Boston 1970. J. FISHKIN, The Voice of the People. Public Opinion & Democracy, Yale University, 1995. J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Bari 1971. J. HABERMAS, Teoria dell'agire comunicativo, Bologna, Il Mulino, 1986. W. LIPPMANN, Opinione pubblica, Comunità, Milano 1963; Donzelli, Roma 1998. C. W. MILLS, L’élite del potere, Milano 1966, p. 284. E. NOELLE-NEUMANN, La spirale del silenzio: per una teoria dell'opinione pubblica, Roma, Meltemi, 2002. V. PRICE, L’opinione pubblica, il Mulino, Bologna 2004. G. SCHIMDTCHEN, Die Befragte Nation, Freiburg 1959, p. 255. J. STOETZEL, Psicologia sociale, Armando, Roma 1964, pp. 290-291. J. R. STRAYER, The Historian’s Concept of Public Opinion, in M. Komarowsky (a cura di), Common Frontiers of the Social Sciences, Free Press, Glencoe Illinois 1957, p. 440. A. DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America, in ID., Scritti politici (a cura di N. Matteucci) vol. II, Utet, Torino 1968-1969, 2 voll.