Lemae COLLANA Sum TIMONE ELEMENTI DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO Soggetti di diritto, Famiglia e matrimonio, Processo civile, Diritti reali, Obbligazioni, Successioni e donazioni SIMONE EDIZIONI GIURIDICHE ® Gruppo della Editoriale Esselibri - Simone Estratto pubblicazione 223 TUTTI I DIRITTI RISERVATI Vietata la riproduzione anche parziale Azienda certificata dal 2003 con sistema qualità ISO 14001: 2004 Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.it ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati Volume a cura del prof. Federico del Giudice Ha collaborato Anna D’Angelo Finito di stampare nel mese di ottobre 2007 dalla «Officina Grafica Iride» Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA) per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - NAPOLI Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno PREMESSA Questo volume, nello spirito della collana Il Timone, costituisce un prezioso strumento di affianco ai manuali istituzionali, consentendo, grazie alla sua linearità e sistematicità, di beneficiare di una trattazione agile ma completa delle Istituzioni di diritto romano. Pur svolgendo per l’intero il programma d’esame, infatti, il testo si sofferma su quegli argomenti che – per la loro importanza o per la frequenza con cui costituiscono domanda d’esame – rappresentano i «punti caldi» dei programmi istituzionali. Il glossario collocato al termine di ogni capitolo, con la spiegazione dei principali istituti di diritto privato vigente, favorisce il confronto fra le due discipline, tradizionalmente collocate entrambe al primo anno del corso di laurea, mentre la traduzione dei termini latini più complessi agevola quanti, provenendo da studi tecnici o professionali, siano «a digiuno» della lingua latina. Estratto della pubblicazione Al fine di completare la preparazione, si consiglia ai lettori di questo volume, durante la fase di studio e di ripetizione, la consultazione contestuale del volume Lexikon – Le parole del Diritto Romano LX21 - Lexikon - Le parole del Diritto Romano Lessico alfabetico tascabile - Guida alle domande d’esame più ricorrenti e alla comprensione dei termini latini Pagg. 144 • € 6,20 Nelle discipline romanistiche, come le Istituzioni di diritto romano, tutti coloro che non hanno conoscenze di base della civiltà e della lingua latina possono incontrare difficoltà di comprensione della materia, nonché di pronuncia e di traduzione. La collana Lexikon - Le parole del diritto, riduce i problemi lessicali, presentando, in ordine alfabetico, le definizioni delle parole chiave e degli istituti principali. L’uso di questo volume mette in condizione lo studente di entrare, prima e meglio, nello «spirito» e nella «lettera» della disciplina, e familiarizzare con la terminologia di base. Inoltre, sfogliando le principali voci, senza eccessivo sforzo, è possibile avere un quadro agile e completo di tutta la materia. Estratto della pubblicazione INTRODUZIONE IL «DIRITTO ROMANO» E LA SUA EVOLUZIONE Sommario: 1. Concetto di «diritto romano». - 2. Periodizzazione del diritto romano. - 3. Il periodo giustinianeo. 1. CONCETTO DI «DIRITTO ROMANO» A) Generalità Il «diritto romano» è il diritto che ebbe vita in Roma antica nei tredici e più secoli della sua storia (GUARINO), dalla fondazione (754 o 753 a.C.) alla morte di Giustiniano (565 d.C.). Ius, per i Romani, era il diritto sic et simplìciter, inteso cioè sia in senso obiettivo, ossia come norma giuridica (ad es. ius civile), quanto in senso soggettivo, cioè come facoltà o potere di agire in base alla norma (ius utendi). Poteva indicare anche una situazione giuridica (successio in ius) ed anche il luogo dove il magistrato amministrava la giustizia. Il termine contrapposto a ius (da cui iustus) era iniuria (iniustus): iniuria era tutto ciò che non iure fit (che succedeva contro il diritto). Va osservato, tuttavia, che almeno nel periodo romano arcaico, non mancò una vera e propria definizione del diritto: lo ius, fino al III sec. a.C. non venne contrapposto al fas, e cioè alla religione. B) Classificazione: ius civile e ius honorarium (o praetorium) Lo ius civile (1) era il diritto più antico e indicava il complesso delle norme derivanti dai mòres maiorum, dalle leges, dai plebiscìta, dai senatusconsùlta, dai respònsa prudèntium e dalle constitutiònes imperiali. Lo ius honorarium, invece, formatosi succesivamente era costituito da quell’insieme di norme sorte di volta in volta grazie all’attività interpretativa esercitata dal praetor urbanus o peregrinus. (1) Attenzione: alcuni autori premettono l’articolo «il» alla parola ius perché considerano la «i» consonante cioè «y». Estratto della pubblicazione 6 Introduzione C) Ius civile - ius gentium - ius naturale Lo ius civile era il diritto positivo vigente in Roma, e cioè il diritto della cìvitas, il diritto proprio dei romani. Lo ius gentium era il complesso di norme derivanti dalla naturàlis ràtio, valida in tutti i tempi e comune a tutti i popoli, applicabile indifferentemente a cittadini o stranieri. Lo ius naturale fu autonomamente inteso come il complesso dei precetti di convivenza dettati dalla natura derivanti dal comune senso di giustizia e propri di tutti gli esseri umani. Nel diritto giustinianeo lo ius naturale acquistò una matrice teologica e fu definito come quel diritto che giusto è sempre buono, e pertanto considerato diritto divino. D) Ius ex scripto e ius ex non scripto Lo ius ex scripto fu definito da Ulpiano come il diritto espressamente sancito dal legislatore e lo ius ex non scripto come quello derivante dalla consuetudine, dagli usi, dalla prassi etc. E) Ius publicum e ius privatum Anche questa distinzione è riportata da Ulpiano, secondo il quale ius publicum era quel ramo del diritto che ha per riferimento diretto ed immediato l’organizzazione statale e il suo funzionamento (cioè la respublica); ius privatum era, invece, quel complesso di norme che si rivolgeva direttamente al privatus, cioè al singolo pater familias, in quanto tale, per la tutela dei suoi interessi, anche se aveva un fondamento pubblicistico). F) Ius commune e ius singulare Lo ius singulare, nella definizione di Paolo, era la norma eccezionale, divergente dalla ratio iuris e suggerita da una utilità particolare e si differenziava dallo ius commune, di applicazione generale. 2. PERIODIZZAZIONE DEL DIRITTO ROMANO La periodizzazione più nota ripartisce la storia di Roma in quattro fasi. A) Il periodo arcaico o quiritario Il periodo arcaico corrisponde a quello della cìvitas quiritaria, e viene tradizionalmente compreso tra l’VIII sec. a.C. e la metà del IV sec. a.C. (ossia, dal 754 a.C., anno della fondazione di Roma, al 367 a.C., anno delle Estratto della pubblicazione Il «diritto romano» e la sua evoluzione 7 c.d. leges Liciniae Sextiae, che permisero ai plebei l’accesso ad una delle due magistrature consolari). La cìvitas Quiritium sorse dalla progressiva aggregazione delle tre tribù insediate sulle rive del Tevere, intorno al colle del Quirinale che assieme agli altri colli costituiva il c.d. Septimontium (Palatino, Esquilino e Celio). Le tribù erano quella dei Ramnes, dei Tities e dei Luceres, che, a loro volta, risultavano dall’unione di minori raggruppamenti politico-parentali (le gentes) derivanti dalle familiae. In questa prima fase, l’ordinamento giuridico della civitas arcaica si fondava su: 1. accordi federatizi (o foedera) intervenuti tra i capi delle gentes (appartenenti alle tre tribus) all’atto dell’aggregazione; 2. deliberazioni (o leges) proclamate davanti ai comitia; 3. mores maiòrum, cioè dalle consuetudini che regolavano la pacifica convivenza tra le familiae e che costituivano il fondamento consuetudinario del diritto. Col termine ius Quiritium furono inizialmente denominati solo i mores maiòrum che, rispetto ai foedera e alle leges, si caratterizzavano per la maggiore vetustà e per la particolare autorevolezza, trattandosi di antichi usi aviti. La fine della cìvitas quiritaria fu causata dalla rivoluzione plebea, che terminò con l’emanazione delle leges Liciniae Sextiae, le quali affidarono il comando dello Stato a due praetores-consules, uno dei quali poteva provenire anche dalla plebe. Con la rivoluzione plebea si affermò, a fianco del ius Quiritium, un nuovo sistema giuridico il ius legitimum vetus, il cui nucleo fu costituito dalle leggi delle XII Tavole (451-450 a.C.). Tali leges rappresentarono una conquista della plebe, in quanto fissarono definitivamente e per iscritto i principi fondamentali del ius Quiritium, senza, peraltro, contenere previsioni a favore di essa. Tra la fine del V e l’inizio del IV sec. a.C. emerse una ulteriore fonte di produzione indiretta di ius, costituita dall’attività interpretativa del diritto da parte del collegio sacerdotale dei pontìfices (c.d. interpretatio pontìficum): in tal modo, ius Quiritium e ius legitimum vetus, integrati con l’attività interpretativa pontificale, finirono progressivamente con l’unificarsi, confluendo, in concomitanza con la formazione della repubblica, in un sistema normativo unitario che venne definito ius civile Romanorum. Estratto della pubblicazione 8 Introduzione B) Il periodo preclassico o repubblicano Il periodo che è ricompreso fra la metà del IV sec. e la fine del I sec. (o meglio, dal 367 a.C. al 27 a.C.) è denominato preclassico o repubblicano, caratterizzato, cioè dalla nascita della repubblica. Organismi fondamentali della res publica romana furono le magistrature (2), uffici muniti di potere di gestione della cosa pubblica e, talora, anche civile e militare; le assemblee popolari, che eleggevano i magistrati; il senato, che aveva funzione consultiva nei confronti dei magistrati ed i cui atti erano denominati senatusconsùlta. Nel periodo preclassico, la spina dorsale dell’ordinamento giuridico romano fu costituita dal ius civile vetus costituito da: — gli antichi mores maiòrum del ius Quiritium; — le leges del ius legitimum vetus; — la interpretatio prudèntium, attività esercitata da giuristi laici (prudentes) che si dedicavano allo studio del diritto. A partire dalla seconda guerra punica (218-201 a.C.), ebbe inizio l’espansione romana nel Mediterraneo: essa comportò la trasformazione della società romana da agricola a mercantile, a cui fece seguito un mutamento dello Stato, con l’affermazione, in luogo delle originarie aspirazioni nazionalistiche, di tendenze imperialistiche. Conseguenza di tale evoluzione socio-economica fu la trasformazione dell’ordinamento giuridico romano cui contribuì l’attività delle due nuove figure magistratuali: — il praètor urbanus (istituito intorno al 367 a.C.): emanava ogni anno, all’atto della sua entrata in carica, un edictum, col quale indicava i criteri generali cui si sarebbe attenuto nell’amministrazione della città. Il pretore non poteva abrogare le norme del ius civile ma, in forza dell’imperium di cui era titolare, poteva regolare il caso concreto in modo differente, qualora l’applicazione del ius civile avesse condotto a risultati reputati iniqui da lui e dalla mutata coscienza sociale. Le nuove regole introdotte presero il nome di «ius honorarium», il quale non giungeva mai sino al punto di negare la validità dello ius civile ma, (2) Il «magistrato» in diritto romano svolgeva pubbliche funzioni, con competenze di carattere prevalentemente amministrative; non si identifica, quindi con l’odierna figura del magistrato che svolge funzioni «giudiziarie». Il «diritto romano» e la sua evoluzione 9 se in contrasto con esso, si limitava a sostituirlo di fatto nella pratica applicazione; — il praètor peregrìnus: aveva il compito di dirimere le controversie tra Romani e stranieri o tra stranieri che si trovassero nel territorio della res publica attraverso una procedura molto agile (per concepta verba), creando la regola di giudizio da adattare al caso concreto. Il praètor peregrinus risolveva le liti in base ai principi comuni a tutti i popoli, perché fondati sulla naturalis ratio e non in base al diritto romano, di applicazione esclusiva dei cittadini Romani. Dall’editto che il pretore emanava si formò così un ordinamento speciale, che, per le caratteristiche enunciate, fu detto ius gentium. Applicato originariamente ai rapporti tra Romani e stranieri, ben presto fu adottato per regolare anche i rapporti tra cittadini, in forza dei vantaggi che esso presentava. Si trattava, infatti, di un sistema molto agile e duttile, del tutto privo di forme solenni e perciò più rispondente alla necessaria speditezza degli affari. Esso si fondò essenzialmente sulla buona fede. C) Il periodo classico o del Principato Il periodo classico corrisponde a quello del principatus che viene convenzionalmente fatto decorrere dal sec. I a.C. sino alla fine del sec. III d.C. (dal 27 a.C. colpo di stato di Augusto, al 284 d.C. morte di Diocleziano). Accanto alle sopravvissute (anche se solo formalmente) strutture repubblicane (magistrature, comizi, senato), il prìnceps si affiancò e si affermò come supremo moderatore della cosa pubblica, acquistando una posizione di preminenza costituzionale nel sistema politico romano, in forza di due poteri «classici» concessigli, almeno formalmente, dalle assemblee repubblicane: — la tribunicia potestas, di cui erano titolari in origine i soli tribuni della plebe, e che si sostanziava nel potere di intercessio, cioè di arresto, contro tutti gli atti dei magistrati repubblicani; — l’imperium proconsulare maius et infinitum, consistente nel supremo potere militare. I previgenti sistemi giuridici, pur ancora formalmente in vita, persero rapidamente ogni capacità evolutiva e finirono per essere considerati ius vetus. Si andò poi affermando una nuova fonte di diritto, frutto dell’intervento diretto del prìnceps nella direzione della vita politica, giuridica e sociale. 10 Introduzione Tale intervento si manifestava attraverso atti denominati constitutiones, che si distinguevano in: — edìcta: enunciavano i criteri direttivi cui gli imperatori desideravano si attenessero i magistrati delle province; — mandàta: erano le istruzioni impartite dal principe ai funzionari amministrativi da lui direttamente dipendenti, circa il modo di svolgere la loro attività; — rescrìpta: erano i responsi del principe sulle questioni sottoposte alla sua cognizione; tali atti, a loro volta, potevano assumere la forma di: — epìstulae, se consistevano in lettere di risposta indirizzate dal principe ai magistrati o funzionari che a lui si erano rivolti per il parere; — rescrìpta, in senso stretto, che consistevano in un parere annotato in calce alla richiesta (libellum) presentata da un privato; — decrèta: erano vere e proprie sentenze emanate dal principe senza il rispetto delle forme di procedura ordinaria (iudicia extra ordinem). Ulteriore fonte di diritto fu, nel perido classico, lo ius publice respondendi, consistente in una sorta di patente di buon giurista concessa dall’imperatore, per effetto della quale il parere espresso dal giurista che ne era insignito godeva di particolare autorevolezza ed il suo parere doveva essere comunemente accettato. Tale istituto, tuttavia, decadde ben presto e già con Traiano (II sec. d.C.) può ritenersi scomparso. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Cosa rappresenta la constitutio Antoniniana? La Constitutio Antoniniana, fu emanata dall’imperatore Antonino Caracalla nel 212 d.C.; con la quale fu concessa la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero. Per effetto di tale concessione il diritto romano divenne diritto comune di tutto l’Impero (prima, invece, ciascuna privincia era retto dal proprio diritto). La conseguenza fu che ben presto si crearono conflitti fra il diritto locale ed il diritto romano universale, che finì non poche volte con l’adeguarsi a quello locale. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ D) Il periodo post-classico Il periodo post-classico del diritto romano è caratterizzato, come forma di governo, dalla monarchia assoluta (o «dominato») e cronologicamente si colloca tra l’impero di Diocleziano (284) e l’ascesa di Giustiniano I (527): in tale periodo tutto il territorio dell’impero era considerato come dominio assoluto dell’imperatore. Il «diritto romano» e la sua evoluzione 11 La conseguenza di tale concezione fu la definitiva affermazione della volontà del principe come fonte unica del diritto. Il diritto creato dalle constitutiones imperiali fu denominato ius novum, in contrapposizione all’ormai superato ius vetus, che raccoglieva tutto il diritto precedentemente in vigore. Accanto all’assolutismo del potere del principe, intervennero altri fattori che contribuirono a stravolgere il diritto romano: — la progressiva sostituzione del cristianesimo al paganesimo che portò alla radicale modificazione del sistema economico e di molti istituti giuridici (abolizione della schiavitù, limitazione del divorzio, diversa concezione della proprietà privata etc.); — il venir meno dello strapotere della classe senatoria, portatrice delle tradizioni politiche e giuridiche; — il sovrapporsi, alla popolazione dell’impero ed alla civiltà romana, di nuovi elementi non romani né romanizzati, i c.d. barbari; — il trasferimento in Oriente del centro dell’Impero, con il lento, ma continuo prevalere degli influssi ellenistici sulla cultura, tradizione e, in misura minore, sul diritto; — l’involuzione dello spirito giuridico, che portò alla graduale sostituzione della efficacia ed immediatezza del pensiero classico con un approccio «bizantinista» che, in luogo di centrare subito le questioni, si perdeva in dotte e sterili dissertazioni. E) La produzione giuridica post-classica Tra i numerosi elaborati della giurisprudenza postclassica ricordiamo: — raccolte di iura, tra cui vengono annoverati: — i Tutuli ex corpore Ulpiani, trattazione breve ed elementare di brani gaiani ed ulpianei; — le Pauli Sententiae, antologia di scritti giuridici compilata durante il principato di Diocleziano, sulla base di opere di Paolo; — l’Epitome Gai, opera in due libri compilata sulla base delle Institutiones di Gaio; — gli Scholia sinaitica, commento ai Libri ad Sabinum di Ulpiano; — i Fragmenta Vaticana, costituiti da frammenti di opere di Paolo, Ulpiano, Papiniano e costituzioni imperiali; — la Collatio legum Mosaicarum et Romanarum, tesa a dimostrare che le leggi romane derivavano da quelle mosaiche; — il Liber Syro-Romanus, ove è raccolto solo ius civile, aggiornato con le costituzioni emanate da Costantino in poi; — compilazioni più ampie formate da iura e leges. Estratto della pubblicazione 12 Introduzione Nel periodo di transizione tra principato ed Impero, inoltre, furono redatte due raccolte di leggi speciali, il Codex Gregorianus, compilato forse da un certo Gregorius, collazionando rescritti di Adriano e Diocleziano e destinato alla pratica civile, ed il Codex Hermogenianus, che costituisce un’ampliamento ed appendice di aggiornamento al Codex Gregorianus. Nel 438 l’imperatore Teodosio II fece compilare un Codex, che prese il nome di «Theodosianus» che raccoglieva solo leges generales, cioè provvedimenti normativi generali, ed integrò e completò i due codici precedenti, ai quali fu conferito riconoscimento ufficiale. Le leggi romano-barbariche, che subirono l’influenza dei costumi germanici etc., costituirono la parallela produzione occidentale delle compilazioni giustinianee, subirono l’influenza dei costumi germanici, etc., furono: — il Codex Eurici, pubblicato intorno al 476 d.C. dal re dei Visigoti Eurico, successore di Teodorico I, che governava buona parte della Gallia occidentale e della Spagna. Il Codex Eurici si ritenne applicabile non solo ai Romani, ma anche ai Visigoti; — l’Edictum Theodorici, emanato in Italia tra i primissimi anni del secolo VI e il 524 da Teodorico II, re dei Visigoti della Gallia, pertanto esso si applicò sia alla popolazione romana sia a quella visigota; — la Lex Romana Wisigothorum, pubblicata nel 506 dal re visigoto Alarico II; — la Lex Romana Burgundionum emanata da Gundobado, re dei Burgundi, intorno al 500 d.C. 3. IL PERIODO GIUSTINIANEO E LA «SISTEMAZIONE» DEL DIRITTO L’impero di Giustiniano I (527-565) segnò l’ultimo grande bagliore della romanità. Anche Giustiniano, come gli imperatori che lo avevano preceduto, mirò alla raccolta di iura e leges vigenti. Col termine iura si fa riferimento a frammenti di opere di giuristi classici; per leges si intendono, invece, le costituzioni imperiali. L’insieme delle compilazioni è stata denominata dai posteri Corpus iuris civilis; il suo grande merito, tuttavia, fu di trovare il giusto punto di incontro tra le esigenze pratiche ed il modello del diritto classico, riuscendo a trasfondere lo spirito classico nel diritto allora vigente. Estratto della pubblicazione Il «diritto romano» e la sua evoluzione 13 La produzione giuridica di Giustiniano si fonde in una serie di opere: — il Codex Iustinianus. La grandiosa opera di compilazione ebbe inizio con una raccolta di leggi progettata da Giustiniano, dalla moglie Teodora, e dal suo ministro Triboniano (quaèstor sacri palatii dell’imperatore). Nel 528 Giustiniano, con una costituzione (Haec quae necessario), nominò una commissione di 10 membri con il compito di compilare un nuovo codice, che doveva compendiare tutto il materiale dei codici Gregoriano, Ermogeniano e Teodosiano (iura) e le ultime costituzioni imperiali (leges). L’opera fu compiuta in brevissimo tempo e, infatti, il codice venne pubblicato dopo appena un anno: il 7 aprile 529; — Digesta seu Pandectae. Il 15 dicembre del 530 Giustiniano, con una costituzione (Deo auctore) indirizzata a Triboniano, ordinò la realizzazione di una compilazione di iura: i Digesta o Pandectae. Si trattava di raccogliere l’opera dei giureconsulti classici muniti di ius publicae respondendi, senza l’obbligo di preferire il parere di un autore rispetto ad un altro. Il Digesto fu pubblicato dopo tre anni, il 16 dicembre 533. — le Institutiones Iustiniani Augusti. Mentre era ancora in corso il lavoro per il Digesto, Giustiniano ordinò a Triboniano, Teofilo e Doroteo di compilare anche un trattato elementare di diritto, destinato a sostituire le vetuste Istituzioni di Gaio. Le Institutiones vennero pubblicate il 21 novembre del 533; — Codex repetitae praelectionis. L’emanazione di numerose costituzioni innovative, a partire dal 530 d.C., rese necessaria una nuova e più aggiornata edizione del Codex. Della sua compilazione furono incaricati Triboniano, Doroteo e tre avvocati, già membri della commissione dei Digesta. L’opera fu pubblicata il 17 novembre del 534. Il Novus Codex Iustinianus repetitae prelectionis è diviso in dodici libri. In esso ogni costituzione è preceduta da una praescrìptio col nome dell’imperatore e del destinatario, ed è seguita da una subscriptio, con il luogo e la data di emanazione. La compilazione è giunta fino a noi; — le Novellae. Giustiniano non limitò la sua opera alla compilazione, ma si dedicò anche alla pubblicazione di nuove costituzioni (Novellae), delle quali alcune si segnalano per la vasta portata innovatrice, in particolare in materia di successioni legittime e di matrimonio; — il Corpus Iuris. Il complesso dell’opera legislativa giustinianea è stato chiamato, a partire dal XII secolo, Corpus iuris civilis. CAPITOLO PRIMO I SOGGETTI DI DIRITTO Sommario: 1. La «persona» in diritto romano: caput e status. - 2. Le persone fisiche. - 3. Lo status libertatis: la schiavitù. - 4. Segue: La manumissio: liberazione dello schiavo. - 5. Lo status civitatis (la cittadinanza). - 6. Lo status familiae. - 7. Cause minoratrici della capacità. - 8. La persona giuridica. 1. LA «PERSONA» IN DIRITTO ROMANO: CAPUT E STATUS Il termine «persona», che attualmente indica il soggetto di diritti, nella terminologia romanistica aveva il significato originario di «maschera teatrale» e, più frequentemente, era sinonimo di soggetto giuridico. I Romani non ricorrevano all’uso di termini tecnici idonei ad esprimere i concetti di soggetto di diritto e di persona giuridica, così come intesi nel diritto vigente, ma facevano uso di diverse espressioni come, ad es, il termine caput che designava l’essere umano in ogni sua possibile condizione. «Caput», infatti, significava letteralmente «testa» e quindi, per traslato, «individuo», il quale poteva essere indifferentemente un «servile caput» o un «liberum caput» (di condizione servile, oppure libero). Più importante era, nella terminologia romanistica, la parola «status», che indicava la posizione dell’individuo in relazione ad un determinato sistema di rapporti: o come uomo libero (status libertátis), o come cittadino (status civitátis), o come membro della famiglia (status familiae). 2. LE PERSONE FISICHE La persona fisica iniziava la vita con la nascita: bisognava, però, esser nati vivi e anche un solo breve istante di vita bastava perché la persona acquistasse diritti e li trasmettesse, immediatamente dopo la morte, ai propri successori. Tendenzialmente, i giuristi romani ritennero che il nascituro, non essendo in rerum natura (cioè non essendo in vita quando si trova nel ventre materno) fosse privo di soggettività giuridica; col tempo il concepimento trovò rilievo a vari fini (e sempre nell’interesse del concepito): a) per il nascituro istituito erede o beneficiato di un legato la legge prevedeva la nomina di un curatore speciale, il cúrator véntris, con il compito di conservare i beni che sarebbero spettati al nascituro (Paolo, D, 1, 5, 7); Estratto della pubblicazione I soggetti di diritto 15 b) per il principio del fávor libertátis, nasceva libero e non servo il figlio di chi era libero al momento del concepimento, ma aveva successivamente perso la libertà. Giustiniano stabilì il principio che per determinare lo status del neonato si dovesse applicare il criterio del concepimento o quello della nascita a seconda del maggiore vantaggio che ne potesse derivare al nascituro. L’estinzione della persona fisica avveniva con la morte. Per il caso di commorienza, e cioè di morte nello stesso momento di più persone (imparentate tra loro in modo che l’una potesse acquistare diritti dall’altra) senza che ci fosse la possibilità di stabilire ex post chi fosse morto per primo, il diritto classico presumeva in modo assoluto (presunzione iuris et de iure, e cioè che non ammette prova contraria) che tutti fossero morti nello stesso momento; in diritto giustinianeo, invece, nel caso della morte del genitore e del figlio, prevalse il principio della maggiore o minore resistenza fisica: si consideravano, pertanto, morti prima i più deboli (ad es. i genitori più vecchi rispetto ai figli puberi, ed i figli impuberi rispetto al genitore). Con la morte di un soggetto, le situazioni giuridiche che a lui facevano capo si trasferivano ai successori o, se personali (es.: matrimonio), si estinguevano. 3. LO STATUS LIBERTÁTIS: LA SCHIAVITÙ La fondamentale distinzione nell’ambito del diritto delle persone è che tutti gli uomini sono o liberi o schiavi. A loro volta tra gli uomini liberi si distinguono gli ingenui (nati liberi), e i liberti (liberati da una schiavitù in modo conforme al diritto). Lo status di schiavo si assumeva: — per nascita «ex ancilla», cioè da una donna schiava al momento del parto; — in seguito a condanne penali o provvedimenti normativi che riducevano in schiavitù soggetti colpevoli di gravi delitti; — a seguito di captivitas, cioè la prigionia di guerra. Si riteneva che cadessero in schiavitù sia gli stranieri fatti prigionieri dai Romani, che i Romani fatti prigionieri dai nemici: il prigioniero (captívus) perdeva tutti i diritti. Il cittadino libero caduto nelle mani del nemico subiva la cápitis deminutio maxima e cadeva in stato di sérvitus iniusta, cioè non conforme allo Estratto della pubblicazione 16 Capitolo Primo ius civile: lo stato servile non si considerava definitivo e cessava se il captívus riusciva a rientrare entro i confini dello Stato romano con l’intenzione di restarvi. In questo caso il captívus riacquistava ipso iure nella sua interezza lo status di cittadino libero e, di conseguenza, tutti i suoi precedenti diritti. Tutto ciò accadeva in virtù di un risalente principio consuetudinario, detto postlimínium o ius postlimínii (diritto di ritornare in patria). Il dóminus aveva sullo schiavo lo stesso potere che la legge attribuiva sulle cose al proprietario (ius vitae ac necis, diritto di vita e di morte). La facoltà di disporre, che arrivava sino alla uccisione, fu, con l’evolversi della società, grandemente temperata; la sensibilità dei giuristi romani ritenne perseguibile il dominus che ingiustificatamente avesse ucciso uno schiavo, o gli avesse arrecato maltrattamenti ripugnanti per la collettività. In ordine ai rapporti patrimoniali, la condizione degli schiavi era simile a quella dei filii familias, giacché la capacità patrimoniale spettava solo al pater familias: quest’ultimo, però, soleva assegnare ai più meritevoli tra i suoi sottoposti un piccolo patrimonio (peculium) che di fatto apparteneva al beneficiario, pur se di diritto spettava al pater. Lo schiavo poteva compiere atti giuridici, i cui effetti ricadevano, però, nella sfera giuridica del dóminus; attraverso lo schiavo era possibile, inoltre, per il dóminus acquistare ed esercitare il possesso. Se lo schiavo commetteva un delitto privato, il dominus poteva pagare la pena pecuniaria o consegnare il reo al danneggiato (noxae deditio). Qualora lo schiavo fosse stato abbandonato dal dóminus (c.d. derelíctio), il dominium ex iure Quiritium su di lui poteva essere acquistato da un altro soggetto per occupazione. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Quali erano i casi di iusta servitus (giusta servitù)? a) Nel caso del debitore venduto dal creditore trans Tíberim (oltre il Tevere) per non aver pagato il debito, né aver presentato garanti a seguito della manus iniectio; b) nel caso del cittadino che non avesse provveduto a farsi iscrivere nelle liste del censo (incénsus), e fosse stato egualmente venduto trans Tíberim; lo stesso avveniva per l’ínfrequens, cioè per chi si era sottratto volontariamente alla leva militare; c) nel caso del cittadino che, per aver violato il ius gentium, era stato consegnato dal pater patratus al popolo straniero offeso (c.d. noxae deditio). Il patrimonio del cittadino caduto in iusta sérvitus apparteneva al suo padrone; quello del cittadino caduto in iniusta sérvitus rimaneva alla sua famiglia. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 17 I soggetti di diritto 4. Segue: LA MANUMÍSSIO: LIBERAZIONE DELLO SCHIAVO A) Gli effetti della manumíssio: i liberti Il principale modo di acquisto della libertà dello schiavo fu la manumíssio, un atto irrevocabile (che tollerava, tuttavia, l’apposizione di una condizione) che faceva divenire il servo, ad un tempo, libero e cittadino romano. Lo schiavo manomesso si chiamava libértus; il soggetto che poneva in essere la manumíssio, patronus. Tra i due soggetti intercorreva il rapporto giuridico di patronátus: alla morte del patrono la titolarità del rapporto si trasmetteva ai suoi discendenti agnati. Con la manumíssio lo schiavo non diventava in tutto uguale all’uomo nato libero, ma acquistava uno status particolare, quello della libertínitas, divenendo libertínus. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Quali limitazioni subiva il libertinus rispetto all’ingenuus? I liberti erano esclusi da alcune cariche pubbliche e il loro voto aveva minore valore rispetto a quello degli ingenui. Le liberte non potevano contrarre matrimonio con soggetti di rango senatorio. Il liberto doveva al patrono obséquium (nel senso che egli non poteva esercitare nessuna azione criminale o infamante contro il patrono né altra azione senza il permesso del magistrato), bona (nel senso che il patrono vantava diritti sui beni del liberto che moriva intestato senza figli) e operae. L’obbligo delle operae si concretava in una obbligazione naturale che imponeva una prestazione di servigi, quali l’amministrazione dei beni, la cura dei figli del patrono. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Il patrono ed il liberto avevano l’obbligo reciproco degli alimenti. Nel diritto giustinianeo la categoria dei liberti fu abolita quasi del tutto. B) Forme di manumissio Tre furono le forme solenni con le quali venivano affrancati gli schiavi: — la manumíssio vindícta: consisteva in un finto processo nel quale un cittadino, il c.d. adsértor in libertátem, in forma solenne, dichiarava nei confronti del padrone lo stato di libertà dello schiavo (vindicatio ex servitúte in libertátem); non opponendosi il padrone a tale dichiarazione, il magistrato pronunciava l’addictio libertátis, confermava cioè la dichiarazione dell’adsertor. In seguito non si ritenne più necessario l’intervento dell’adsertor libertatis; 18 Capitolo Primo — la manumíssio censu veniva compiuta dal padrone e consisteva nell’iscrivere lo schiavo che si voleva affrancare nelle liste dei cittadini; — la manumíssio testamento era la dichiarazione, fatta dal padrone nel proprio testamento, di volere affrancare il proprio schiavo e poteva aversi: a) directis verbis, cioè quando era ordinata direttamente dal testatore, con la conseguenza che lo schiavo diventava libero al momento dell’accettazione dell’eredità da parte dell’erede; b) per fideicommíssum, quando il testatore imponeva all’erede, al legatario o al fedecommissario l’obbligo di liberare un servo determinato: il soggetto affrancato diventava libertus del manumittente. Altre forme di manumissio meno solenni furono: — la manumíssio inter amícos, di epoca repubblicana, che avveniva in forma orale davanti a testimoni; — la manumíssio per epistulam, di epoca classica, consistente in uno scritto indirizzato ad una persona, in cui era espressa la volontà di liberare lo schiavo; — la manumíssio per mensam, di epoca post-classica, fatta durante un banchetto alla presenza dei convitati; — la manumíssio in Ecclesia, di epoca imperiale, consistente in una solenne dichiarazione di voler liberare lo schiavo fatta dal padrone davanti all’autorità ecclesiastica. 5. LO STATUS CIVITATIS (LA CITTADINANZA) La cittadinanza romana era il secondo requisito richiesto per l’acquisto della piena capacità giuridica. In età arcaica, cives (cioè cittadini) erano solo gli abitanti dell’Urbe (Roma e territori limitrofi). Quando Roma conquistò nuovi territori, lo Stato si allargò ma non fu abbandonata la vecchia concezione dello Stato-città: gran parte di questi sudditi non cives era costituita dai peregrini (gli stranieri), i quali facevano parte di popolazioni viventi nell’orbita dello Stato romano e da questo soggiogate. A) I Latini Latini erano i cittadini delle città latine facenti parte del foédus Latínum (federazione con le città del Lazio) e costituivano una categoria intermedia tra cives e peregrini. Estratto della pubblicazione I soggetti di diritto 19 Le fonti distinguono in tre gruppi i Latini a seconda delle capacità loro riconosciute: a) Prisci, che erano gli antichi abitanti del Lazio e delle città latine federate con Roma. Ad essi fu riconosciuta una limitata capacità: — il ius commercii (la capacità di concludere con i Romani negozi giuridici secondo le forme solenni previste dal ius civile); — il ius connubii (la capacità di sposarsi con cittadini Romani); b) Coloniarii, che erano gli appartenenti alle colonie latine formate da Latini e cittadini e avevano capacità identica a quella dei Latini Prisci; c) Iuniani, che erano i Latini creati dalla lex Iunia Norbana del 19 d.C. (la quale disciplinò le affrancazioni non solenni) — costoro erano privi della capacità di fare testamento — nonché Aeliani, che erano i Latini creati dalla lex Aelia Sentia del 4 d.C. (cioè i servi manomessi in età inferiore ai trenta anni, contro il divieto della suddetta legge, i quali erano in condizioni identiche a quelle dei Latini Iuniani). B) I peregrini Peregrini erano gli stranieri, e cioè coloro che non erano né Romani né Latini; essi si distinguevano in: 1) peregrini alicùius civitatis: erano gli abitanti delle città straniere conquistate da Roma, ma non distrutte. A costoro era prescritta l’osservanza del ius civile novum (cd. ius gentium) nei rapporti con i Romani ed era loro concessa la facoltà di ricorrere alla giurisdizione del praetor peregrinus; 2) peregrini dediticii (arresi): erano gli abitanti di città straniere distrutte dai Romani perché arresesi dopo una resistenza ad oltranza; a costoro era prescritta esclusivamente l’osservanza del ius gentium, godevano, cioè, di un regime meno favorevole ed erano considerati meno integrati nel sistema. C) Conclusioni Già verso la fine dell’età repubblicana la distinzione tra cives, Latini e peregrini perse rilievo. Infatti una lex Iulia del 90 a.C. accordò la cittadinanza romana agli abitanti del Latium; la lex Plautia Papiria dell’89 a.C. la accordò agli alleati italici; la lex Roscia del 49 a.C. la accordò agli abitanti della Gallia Tran- Estratto della pubblicazione 20 Capitolo Primo spadana. In seguito, di volta in volta, gli imperatori concessero la cittadinanza a intere comunità o singole persone, fin quando nel 212 d.C. la Constitutio Antoniniana estese la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’Impero organizzati in comunità. 6. LO STATUS FAMILIAE Lo status familiae indicava l’appartenenza di un soggetto liber e civis ad una determinata familia. Lo status familiae, di per sé, non influiva sulla capacità giuridica; in ambito familiare, si distingueva: — la persona sui iuris, che aveva piena capacità giuridica. Era sui iuris l’individuo che non era soggetto ad alcun potere familiare, cioè che non aveva ascendenti maschi o che era stato emancipato: questi, se di sesso maschile, si chiamava pater familias, anche se privo di discendenti o sottoposti; — la persona alieni iuris (o alieno iure subiectae) che era quella sottoposta ad una qualsiasi potestà familiare, e che quindi era: — in potestate (i figli legittimi e gli adottivi); — in manu (le donne entrate nella familia per matrimonio col pater o con le persone a lui sottoposte); — in mancípio (coloro che si trovavano nella familia perché venduti o dati in noxa dal loro pater familias). Per l’acquisto della piena capacità giuridica, occorreva che il soggetto fosse nato libero, civis romanus e sui iuris. La piena capacità giuridica si articolava nei seguenti diritti: a) ius commercii, e cioè la capacità di compiere negozi giuridici di natura patrimoniale, seguendo i precetti del ius civile, che si applicava ai soli cives Romani; b) ius connubii, e cioè la capacità di concludere iústae nuptiae con persona appartenente alla cívitas (ossia civis); c) testamenti factio activa, e cioè la capacità di fare testamento; d) testamenti factio passiva, e cioè la capacità di ricevere per testamento; e) ius suffrágii, e cioè il diritto di voto; f) ius honórum, e cioè il diritto di rivestire cariche pubbliche. 7. CAUSE MINORATRICI DELLA CAPACITÀ Non sempre la capacità di agire coincideva con la capacità giuridica: un infante libero, cittadino e sui iuris, pur avendo la capacità giuridica e potendo essere titolare di diritti, non godeva della capacità di agire. Estratto della pubblicazione I soggetti di diritto 21 Le cause che escludevano o diminuivano la capacità di agire o comunque modificavano la situazione giuridica delle persone erano: A) Età I Romani, ritenendo che lo sviluppo fisico fosse accompagnato da un analogo sviluppo intellettuale, ammisero che la piena capacità giuridica si acquistasse col raggiungimento dell’età pubere, a cui corrispondeva l’uso della toga virílis per i maschi. Il soggetto impúbere sui iuris era soggetto a tutela. Mentre per i Sabiniani bisognava accertare lo stato di pubertà caso per caso mediante inspectio corpóris (ispezione corporale), per i Proculiani (1) l’età pubere era raggiunta senz’altro al compimento dei 14 anni per i maschi e dei 12 per le donne. Per ragioni di pudicitia, Giustiniano accolse l’opinione dei Proculiani. B) Infamia L’infamia era connessa all’esercizio di determinati mestieri, che i Romani consideravano turpi, come il lenocinio, l’attività gladiatoria e l’arte del teatro (2); essa, inoltre, colpiva il responsabile di atti socialmente riprovevoli quale, ad es., il matrimonio con una vedova prima del decorso del lutto vedovile (c.d. tempus lugendi, vedi Cap. Terzo, Sez. Prima, par. 3, lett. C) o di delitti (furto, rapina, iniuria) e gli esclusi dall’esercito per ignominia (per missio inhonésta). L’infamia privava il cittadino del ius suffrágii e del ius honórum. C) Addicti e nexi Addicti erano i debitori inadempienti, i quali venivano, con la manus iniéctio, asserviti al proprio creditore. Questi aveva la facoltà di tenerli in catene nel suo carcere privato o venderli come schiavi o ucciderli. Nexi erano i debitori consegnatisi volontariamente al creditore a garanzia del proprio debito, con la facoltà di riscattarsi prestando a suo favore servizi. (1) Si noti che la dottrina nell’età repubblicana seguiva due grandi scuole di pensiero: quella capeggiata da Sabino Masuro, detta sabiniana e quella diretta da Ateio Capitone, detta proculiana. (2) Ciò spiega peché i teatranti usavano una maschera, detta persona, per non farsi riconoscere nella vita di tutti i giorni. 22 Capitolo Primo D) Auctoráti e redémpti ab hóstibus Auctoráti erano coloro i quali avevano locato i loro servigi al c.d. lanísta, e cioè ad un impresario di ludi gladiatorii. Redémpti ab hóstibus erano i cittadini riscattati (da un altro soggetto: redémptor) dalla loro prigionia. Entrambi restavano formalmente liberi, ma di fatto erano subordinati gli uni al lanista e gli altri al redémptor, a cui vantaggio dovevano prestare determinati servigi. E) Limitazioni alla capacità di contrarre matrimonio Fino al V secolo a.C. i plebei furono privi del connubium (o ius connubii) nei confronti dei patrizi: non potevano, cioè, contrarre matrimonio con questi ultimi; la lex Canuleia del 445 a.C. abolì tale limitazione, concedendo la possibilità di contrarre liberamente le nozze tra patrizi e plebei. F) Limitazioni della capacità collegate all’esercizio di particolari mestieri Oltre ai mestieri «turpi» (lanista, gladiatore, lenone, becchino etc.), va ricordato che per altri, come quello di fabbro, pompiere, minatore, tessitore e mugnaio, vigeva in epoca postclassica il principio dell’appartenenza coattiva, nel senso che chi svolgeva tale attività non poteva intraprenderne altra, e la stessa si trasmetteva d’autorità anche ai discendenti. G) Sesso Nell’ordinamento patriarcale romano, in cui aveva una notevole importanza la potéstas del pater familias, le donne si trovavano in stato di netta inferiorità rispetto agli uomini. La donna era esclusa da ogni partecipazione alla vita pubblica e, una volta raggiunta la pubertà, continuava ad essere considerata parzialmente incapace, per cui uscita dalla tutela degli impuberi, ricadeva sotto la speciale tutela mulierum. H) Appartenenza a determinate religioni Nell’epoca pagana il credo religioso non influiva sullo stato delle persone, dal momento che tutti i culti erano egualmente tollerati. Al contrario la religione cristiana trovò a Roma ostilità per il rifiuto, opposto dai fedeli, di onorare l’imperatore come se fosse una divinità. Tale atteggiamento rientrava tra i crimina pubblica: era considerato, infatti, crimen maiestatis punibile con la pena capitale. Estratto della pubblicazione I soggetti di diritto 23 Dopo l’Editto di Costantino del 313 d.C., con cui veniva sancito il trionfo del cristianesimo, vennero meno le dette sanzioni. I) Infermità fisiche e mentali Alcune infermità fisiche, se permanenti, davano luogo ad incapacità. Gli impotenti e gli evirati non potevano contrarre matrimonio. Il sordomuto, il sordo e il muto non potevano compiere il testamento orale. In generale i sordomuti erano incapaci di compiere qualsiasi atto solenne del ius civile dal momento che non potevano porre in essere tutte quelle formalità e quelle dichiarazioni orali necessarie all’esistenza dell’atto. Quanto alle infermità mentali, i Romani non sancirono regole generali, ma disciplinarono solo alcune ipotesi: a) il furiosus (pazzo) era del tutto incapace di agire ed era sostituito nella sua attività da un curator furiosi: poiché l’infermità di mente non si riteneva desse luogo ad uno stato di incapacità permanente, l’atto del furiosus era ritenuto valido se compiuto durante un lucido intervallo; b) il mente cáptus cioè il soggetto che si fosse fatto per debolezza condizionare in ordine al testamento era equiparato al furiosus; c) il pródigus (individuo affetto da prodigalità) era equiparato al furiosus, perdeva il ius commercii ed era sottoposto a curatela, dopo che il magistrato, constatata la prodigalità, pronunciava la sua interdictio; d) per analogia con il furiosus e con il pródigus, erano incapaci e sottoposti a curatéla i débiles, cioè coloro che per una qualsiasi ragione non potevano bene occuparsi del proprio patrimonio. 8. LA PERSONA GIURIDICA I romani non conoscevano il concetto di «persona giuridica». Tuttavia, una certa soggettività giuridica fu riconosciuta — sin dal periodo classico — a taluni enti associativi, quali: A) Il populus romanus Quiritium (p.r.Q.) Il populus romanus Quiritium inteso come ente astratto (e caratterizzato da spiccate connotazioni politiche), si distingueva dai singoli cittadini e dalle comunità assoggettate, in virtù della sua sovranità. Il p.r.Q. disponeva di un proprio patrimonio, distinto da quello dei singoli cittadini: l’aerárium populi Romani cui si riferivano le colonie repubEstratto della pubblicazione 24 Capitolo Primo blicane e a cui si affiancò, in età imperiale, il fiscus Caésaris, che nel periodo postclassico, ebbe maggiore rilievo perché gestiva i rapporti con le nuove e più ricche colonie. B) I municípia e le colóniae I municípia erano comunità alle quali era stata concessa la cívitas Romana cum suffrágio o sine suffrágio (con o senza diritto di voto); le colóniae erano anch’esse sparse nell’Impero, ma caratterizzate dal fatto che i loro sudditi erano Romani (c.d. colóniae cívium Romanorum) o parificati ai Latini (colóniae Latinae). La loro sovranità poteva venir meno nei rapporti con i privati; in origine, tali enti erano privi della testamenti factio passiva (cioè della capacità di ricevere per testamento), pur se col tempo si ammise che potessero essere destinatari di legati e fedecommessi. C) I collégia e le sodalitátes I collégia erano associazioni private (chiamate anche sodalitátes, societátes o universitates) con i più svariati obiettivi (culturali, professionali) ed erano rette da propri statuti; in particolare, i collegia avevano in prevalenza scopo di culto, le sodalitátes avevano scopi ricreativi e di mutua assistenza. I collégia e le sodalitátes avevano un ordinamento proprio, con una struttura analoga a quella del populus romanus, con la differenza che erano vincolati all’osservanza del diritto privato. Tali enti potevano essere titolari del diritto di proprietà ed acquistare diritti ed obblighi; la legislazione imperiale attribuì ad essi anche la capacità di succedere. Inoltre indirettamente l’ente poteva agire in giudizio, dal momento che il pretore ammise che in suo nome potesse agire il soggetto indicato dalla legge costitutiva. Verso la fine della repubblica alcuni provvedimenti di Cesare e di Augusto (in particolare, la lex Iulia de collégiis), per ragioni politiche, introdussero un regime restrittivo: la maggior parte dei collégia e delle sodalitátes finì col trasformarsi in sette politiche. Per la loro costituzione divenne necessaria l’approvazione del senato: tale approvazione non comportava riconoscimento della personalità, ma serviva ad esercitare sugli enti un controllo per ragioni di ordine pubblico. È da rilevarsi, altresì, che i debitori dell’ente non erano obbligati verso i singoli soci, così come i soci non erano responsabili per i debiti contratti dall’ente. D) Le fondazioni: piae causae e l’heréditas iácens Si nega generalmente che i Romani abbiano riconosciuto le c.d. fondazioni, cioè «i patrimoni destinati a beneficio di una categoria di persone o Estratto della pubblicazione