Presentazione di Antonio Natali Direttore della Galleria degli Uffizi Pensieri sulla “natura” Non sarà forse una mostra di facile intelligenza, questa che s’inaugura oggi agli Uffizi. Non lo sarà – presumo – perché, al contrario della maggior parte delle rassegne attuali, propone un pensiero critico (dunque soggettivo) invece del percorso monografico d’un artista (pur sempre in qualche modo soggettivo; e però di più facile approccio). Una mostra – quella odierna – che, pur delineando un tracciato lungo più d’un secolo, non si offre come vetrina di maestri celebrati (tuttavia presenti in gran numero nelle varie sezioni), bensì come lettura prospettica d’una linea espressiva che fu culturalmente ragguardevole a Firenze e che potremmo definire – sommariamente, per necessità – “naturalistica”. Intendo dire che questa mostra è tutt’altra cosa da quei tragitti che nella titolazione evocano artisti in gran voga (con l’abusato: da… a…) senza che poi nelle stanze votate all’esposizione emerga l’assunto che dovrebbe esserne sotteso (anche perché spesso l’assunto non c’è, essendo tutto demandato alla fama dei nomi menzionati; di cui peraltro si potrà trovare, sovente, a mala pena un’ombra esangue). Anche nel caso nostro, a capo e coda del titolo avremmo potuto collocare, quali termini cronologici, due artefici eminenti; e non sarebbe stata finzione, giacché davvero eminenti sono i pittori e gli scultori che si pongono ai limiti del percorso; ma non meno lo sono (o dovrebbero esserlo nella considerazione comune) quelli che si collocano all’interno dell’itinerario disegnato. I due curatori – Alessandra Giannotti e Claudio Pizzorusso – sono stati costretti a un lavoro di paziente cesello per illustrare le loro congetture riguardo all’adesione al dato naturale nell’arte fiorentina dalla fine del Quattrocento agl’inizi del Seicento, non tanto perché gli esempi scarseggiassero, quanto perché in molti casi l’opera che si prefigurava come la più emblematica per la dimostrazione d’un loro convincimento non poteva essere concessa in prestito. Né ognora facile riusciva trovare una sostituzione che fosse parimenti persuasiva. E nella critica d’arte, specie quando la materia si faccia spinosa e i discrimini siano sottili, bisogna poter contare su riscontri inoppugnabili. Coi curatori condivido da tempo l’interesse per il tema ch’è fulcro dell’esposizione. Sul “naturalismo” nella pittura del Cinquecento a Firenze m’è occorso negli anni d’indagare spesso, segnatamente nella preparazione delle mostre sulla nascita della “maniera” (1996), su Andrea del Sarto (1986), su Rosso e Pontormo (2014), sul Bronzino (2010), sull’Empoli (2004) e poi studiando Santi di Tito (ai primi anni Ottanta del secolo scorso). Ragionando sull’aspirazione (d’artefici così disparati) a esprimere veridicamente, nella loro lingua figurativa, la “natura”, il “reale”, il “vero”, vieppiù sentivo declinare il valore e il significato di categorie critiche che ingabbiano quegli artisti medesimi e financo ne scompigliano le disposizioni culturali. Voci come “manierismo” (vocabolo che vorrebbe qualificare in una sola formula classificatoria le poetiche, fra loro discordi, per esempio, del Pontormo, del Rosso e del Bronzino) quasi si sfaldano al cospetto dell’attenzione perspicua che al dato “naturale” volsero quegli stessi pittori, peraltro per lo più attratti da quell’astrazione della forma cui solitamente s’allude quando vengono, appunto, definiti “manieristi”. Anche a queste riflessioni credo indurrà la mostra stimolante che Alessandra e Claudio hanno concepito e ordinato.