Silenziosi Operai della Croce Progetto Formativo 2016 La Santità: Erano assidui e concordi nella preghiera, con Maria la Madre di Gesù (at 1, 12-14) Febbraio: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte” La Parola: Luca 5,1-11 [1]Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret [2]e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. [3]Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. [4]Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca». [5]Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». [6]E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. [7]Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. [8]Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore». [9]Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; [10]così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». [11]Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Commento: (Don Johonny Freire) Si trata di un avvenimento importante perché tutti i vangeli raccontano lo stesso episodio (cfr. Mc 1, 16-20; Mt 4, 18-22; Gv 21, 1-11) anche se in momenti diversi per ciascuno. Per Matteo e Marco la chiamata di Pietro succede ancora prima dei miracoli di Gesù a Cafarnao (Mt 4, 23-25; Mc 1, 21-34), già per Giovanni il racconto costituisce una delle apparizioni del Risorto. Luca inizia qui qualcosa di nuovo dopo che Gesù ha stabilito i punti fondamentali del suo programma a Nazaret e di essere respinto di 1 conseguenza (Lc 4, 16-30); di aver guarito dei malati e essere scapato all’intenzioni della gente di Cafarnao di averlo solo per loro (Lc 4, 31-44). Nei primi versetti del capitolo 5 di Luca Gesù viene presentato con quello che sarà il suo stile lungo tutto il vangelo: un predicatore itinerante che annuncia la Parola di Dio, in “eventi e parole” (DV 2). Il racconto di Lc 5, 1-11 ha come punto più importante la chiamata di Pietro che si presenta soltanto alla fine come punto di arrivo di un cammino, il punto alto, il climax della storia. Così il racconto è composto di tre piccole scene: 1. vv. 1-3, abbiamo Gesù che predica la Parola di Dio e abbiamo una folla disposta ad ascoltare la Parola di Dio al punto che gli faceva ressa attorno. Come non riesce a fare quello per la quale si sente chiamato sale su una barca come tante altre barche che c’erano sulla riva del lago di Gennesaret. Entra in scena anche Pietro senza sapere cosa gli attende, non sa che in lui se realizzano le parole di Gesù: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16). 2. vv. 4-10a, avviene il miracolo contro ogni probabilità, un’altro passo per il decisivo incontro nel quale Pietro trova il Maestro che diventerà il suo Signore che chiede per allontanarsi da lui perché è un uomo peccatore. Ma Gesù non si lascia trattenere dal peccato di Pietro, supera la distanza offrendo a Pietro un nuovo futuro. 3. vv. 10b-11, ed ecco il nuovo futuro di Pietro: “catturare uomini per la vita”. È questa la missione che Gesù affida a Pietro nella traduzione letterale del greco dove troviamo «pescatore di uomini». La missione di Pietro e di ciascuno di noi è quella di portare le persone che incontriamo alla salvezza, a Gesù “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6). Le tre scene sono unite tra di loro per l’elemento della Parola di Gesù che ricompare in tutte tre. È la Parola di Dio che costituisce l’elemento centrale della missione di Gesù, la stessa che la folla cerca (Lc 5, 1). È sulla Parola di Gesù che Pietro getta le retti (Lc 5, 5) e sulla stessa parola di Gesù che Pietro i suoi soci lasciarono tutto e lo seguirono (Lc 5, 11). La stessa Parola di Gesù che adoperò il miracolo cambia la vita di Pietro (e la vita di ognuno di noi). Sarà questa medesima Parola che nel futuro garantisce l’efficacia della missione di Pietro (cfr. At 3, 6). 2 Confrontandomi con le parole e con colui che è Parola mi domando: - Faccio memoria della Parola di Dio che ha cambiato la mia vita. Ricordo la Parola di Dio che mi affidò Dio nella missione che mi ha consegnato come SOdC. - Gesù va all’incontro della umanità, offre se stesso, il suo tempo, la sua cura, la sua Parola. Ed io riesco a «sedermi» con gli altri, a spendere con loro del mio tempo? - Pietro e chi era con lui nella barca «fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli». Ed io, cosa faccio quando mi trovo in una situazione difficile? Cerco di fare tutto da solo? O ho il coraggio di “fare dei cenni” a quelli che mi stano attorno per aiutarmi? La Parola del nostro Fondatore Gli ammalati realizzatori ed apostoli La “Sapienza della Croce” quale dono dello Spirito, è presente concretamente in coloro che realizzano oggi la beatitudine evangelica: “Beati coloro che piangono!” e questo non soltanto per se stessi ma nell’interesse soprannaturale dell’intera umanità, nel piano della misericordia che è un attributo della Carità di Dio che vuole espandersi verso tutti. La gioiosità di tanti sofferenti che oggi nella Comunità cristiana testimoniano il mistero pasquale di Cristo che soffre per amore e trasforma lo stato negativo del dolore in fonte positiva di bene, è la migliore testimonianza della validità attuale del messaggio cristiano che è carità verso Dio e verso il prossimo nell’esercizio vicendevole della misericordia. Giovanni XXIII nel Discorso del 19 marzo 1959 ai Volontari della Sofferenza riuniti in San Pietro, indica i motivi della gioiosità che deve pervadere il cuore di ogni sofferente che ponga se stesso in servizio dell’umanità con l’offerta del proprio dolore: “Attuino i sofferenti questo programma nella loro vita; non si sentiranno più soli; in Paradiso vedranno i frutti immensi della loro spirituale attività, là dove non ci sono più nè lacrime nè dolori, nè separazione, nè possibilità di offendere Dio”. Il motivo ditale gioia Giovanni XXIII l’indica con molta chiarezza: “La santificazione del lavoro e del dolore attira la misericordia di Dio sul genere umano”. Con il Convegno Internazionale “ Gli ammalati realizzatori ed apostoli dell’Amore misericordioso del Cuore di Gesù”, 3 tenuto nella Casa Cuore Immacolato di Maria in Re di Novara in occasione dell’indizione dell’Anno Giubilare della Redenzione, il Centro Volontari della Sofferenza ha voluto responsabilizzare ancora una volta i propri iscritti affinché con l’apostolato associato che essi svolgono attraverso i Gruppi di Avanguardia diano nelle Chiese Locali la loro incidenza apostolica in conformità con la finalità della Chiesa stessa e della testimonianza cristiana che ogni singolo membro deve dare in forza della propria vocazione (cf Apostolato dei Laici, 19). E la vocazione di ogni sofferente è quella di essere un realizzatore ed apostolo dell’Amore misericordioso del Cuore di Gesù. La pastorale, quindi, non può prescindere dalla realtà della croce del Cristo che si prolunga nei secoli attraverso la croce di ogni uomo nella sua ben precisa finalità: spandere luce di fede e riconciliare l’umanità col Padre. “ Cristo ha chiamato il dolore ad uscire dalla sua disperata inutilità e a diventare, se unito al suo, fonte positiva di bene, fonte non solo delle più elette virtù che vanno dalla pazienza all’eroismo e alla sapienza, ma altresì alla capacità espiatrice, redentrice, beatificante, propria della croce di Cristo” (Paolo VI, 27 marzo 1968). Gli ammalati di oggi, per il mondo di oggi, completano quello che manca alla passione di Cristo “a pro del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24). “Essi che portano nel loro corpo le “stigmate di Cristo” (cf Gal 6, 17) e che hanno imparato ad anteporre le ragioni della vita alla stessa vita, sono certamente più consapevoli della grandezza dell’amore misericordioso che Dio ha testimoniato al mondo in Cristo Gesù, Crocefisso e Risorto. Che la grazia di Dio dilati sempre più tale amore, che purifica e redime, secondo la larghezza, l’altezza e la profondità di quello di Gesù, che morendo per gli altri, è diventato causa di salvezza e fonte di misericordia”. (Lettera autografa di Sua Santità Giovanni Paolo Il inviata a Mons. Luigi Novarese, Direttore del Centro Volontari della Sofferenza).Di qui l’imperativo di Giovanni Paolo II “ Voi siete e potete essere apostoli, cioè annunciatori del messaggio di Cristo, rendendolo credibile mediante l’esercizio della pazienza cristiana, che è frutto della virtù della fortezza cristiana” (Giovanni Paolo 11, 31-8-1983). La presenza dell’ammalato richiama di per se stessa il suo inserimento nell’attività pastorale della Chiesa Locale in virtù del Battesimo che lo impegna a vivere la propria specifica vocazione; da qui la pastorale della sofferenza dove l’ammalato scopre e vive la vocazione di cui è stato investito e che lo spinge ad uscire dal proprio isolamento per “ dare agli 4 altri fratelli infermi coraggio, sostegno, speranza e gioia di vivere” (dalla Lettera citata). Le varie tematiche tenute da Vescovi ed esimi teologi al Convegno Internazionale di Re mirano tutte a dilatare gli orizzonti di ogni iscritto al Centro Volontari della Sofferenza e di quanti desiderano scoprire la fecondità del dolore vissuto in piano di grazia.I sofferenti così, ancora una volta, sono chiamati e responsabilizzati a vivere il programma della Madre della Chiesa, la quale a Lourdes ed a Fatima ha indicato la preghiera e la penitenza quali strumenti insostituibili che attirano misericordia per l’umanità. Sac. Luigi Novarese (Rivista l’Ancora 1983) La Parola interroga la vita (Don Cristian Catacchio) Il Signore fin dall’inizio della sua missione decide di coinvolgere l’uomo nella sua avventura. Chiama le persone a seguirlo più da vicino, a essere compartecipi di un’esperienza che non ha eguali. Mostra fiducia nell’uomo e corre serenamente il rischio di riporre la sua fiducia in una creatura fragile e non esente dall’infedeltà e dal peccato. Questo ci fa riflettere: il Signore chiama tutti a collaborare con lui. Esiste una vocazione che è comune ad ogni cristiano: quella del battesimo. Essa è vocazione alla fede, alla testimonianza di una vita retta, riconoscente e generosa. Vocazione che poi si incarna e si esplicita in scelte di vita particolari: professionali, familiari, di consacrazione. Chi accoglie la chiamata di Gesù e diventa suo discepolo fa propria l’esperienza di Simone, di Giacomo e di Giovanni suoi soci. Il Signore sale ancora sulla nostra barca, entra nella nostra vita e la trasforma. Egli oggi continua a parlare dalla nostra barca, cioè dalla nostra vita e per mezzo della nostra vita. Ogni comportamento, ogni scelta, ogni discorso che facciamo testimonia ciò che arde nel nostro cuore ed è quindi, specchio della nostra fede. Ed è appunto attraverso la nostra vita che il Signore getta le sue reti. Non le nostre, con le quali “fatichiamo tutta la notte e non prendiamo nulla”, ma le sue. La nostra adesione di fede alla chiamata di Gesù comporta, infatti, lasciarci pienamente coinvolgere da lui, nella sua avventura di vita: diventare pescatori di uomini! Dio ci viene incontro, ha bisogno di noi, del nostro tempo, delle nostre energie, delle nostre risorse. Poco importa se ne siamo degni, poco importa se siamo pieni di fragilità. Il Signore vuole farci diventare dei pescatori di uomini. Cioè capaci di far uscire umanità dal nostro cuore e dal cuore di tante persone 5 che incontriamo. Pescatori di uomini, capaci di raccogliere attorno al maestro dei discepoli che vivendo il Vangelo diventano più uomini. Dinamiche per la vita associata (Roberta Guastamacchia) L'incontro tra Gesù e Pietro dice che la relazione tra le persone nasce dalla capacità di "vedere" e la qualità di tale relazione si basa non solo su "cosa si vede" ma "come", cioè dallo sguardo che i protagonisti hanno verso se stessi, verso gli altri, verso il contesto in cui sono inseriti. Cosa vede Pietro? Pietro guarda il mare e guarda le sue reti vuote, non vede subito la bellezza della missione, Pietro vede il "fallimento". Agli occhi di Pietro il mare rappresenta la fatica senza frutto! Pietro guarda le sue reti e vede il vuoto, l'inutilità del suo impegno, la delusione. Pietro vede i limiti che scoraggiano, che portano a ritirarsi e a rinunciare. E Gesù, invece, cosa vede Lui? Gesù vede la possibilità di una nuova sfida. Non è che Gesù non vede la grandezza del mare e la fatica del "gettare nuovamente le proprie reti"! Gesù ha visto bene ma vede anche e soprattutto il resto e questo resto riscatta il senso di fallimento e di inutilità di Pietro e dei compagni. Gesù vede la possibilità di una nuova crescita, di un cambiamento di vita, di una relazione nuova e feconda. L'accoglienza dello sguardo di Gesù introduce Pietro in una nuova realtà, nell'esperienza di una fraternità fatta di fiducia, di aiuto reciproco, di stupore: di una fraternità feconda e costruttiva. Ed ora la domanda è posta a ciascuno di noi: di fronte al mare della quotidianità, cosa vediamo? Che sguardo abbiamo? Possiamo fermarci di fronte a questo mare, magari tenendo tra le mani le reti dei nostri "Sì" e dei nostri "no" e riconoscere la qualità del nostro "sguardo". È uno sguardo che sa "guardare soprattutto il resto" o uno sguardo ingenuo, risentito, abbattuto? Uno sguardo ingenuo è uno sguardo distratto, che non trova niente di interessante nel passato, che non coglie connessioni tra ieri e oggi. E' il tipico sguardo di chi, interrogato, non ha niente da dire di sé, oppure dice:"tutto bene". Per rimanere ingenuo, spesso deve negare espetti di sofferenza del passato. Ma in realtà è uno sguardo che si alimenta della paura dell'incontro con l'altro, che teme di andare più a fondo e di trovare magari il perchè del proprio malessere. 6 Uno sguardo risentito è un notare negativo, uno sguardo arrabbiato con la vita: qualcosa è andato male. Ciò che non va oggi, tutto quello che non si riesce a fare e a vivere oggi, è colpa dello ieri, espressa in quei "se" senza fine che recriminano e alimentano una continua insoddisfazione. Uno sguardo abbattuto oscilla tra l'autoaccusa: "E' colpa mia non sono capace, sbaglio sempre", e il lamento: "capitano tutte e me, sono sfortunato". In ultima analisi si attribuisce all'esterno ogni causa di isoddisfazione: dipende da fuori e non si vede cosa cambiare. Lo sguardo abbattuto è caratteristico di chi fa dipendere la propria fatica ad aprirsi e a mettersi in gioco in relazioni significative da "come sono fatti gli altri" o, se dipende da "come sono fatto io", comunque non vede vie d'uscita. Lo sguardo abbattuto resiste al cambiamento: sarà sempre così. Non c'è solo il passato come oggetto del nostro sguardo. E il presente? come guardiamo gli altri? come guardiamo la comunità dove siamo inseriti? come guardiamo il servizio e gli impegni, le situazioni e gli eventi che capitano? Come vediamo il limite e gli ostacoli e come li interpretiamo? Lo sguardo sul presente può essere sospettoso, superficiale, a senso unico. Uno sguardo sospettoso porta a sentire l'altro come una minaccia - "ma cosa vuole"? - come possibilità di giudizio e di rifiuto. L'altro, il fratello o la sorella, è un nemico da temere o un concorrente da vincere. Nasce allora, anche in modo nascosto e mascherato, paura e aggressività. La competizione entra come un veleno sottile nella relazione: l'altro o io. Ciò che viene dato agli altri - compiti, impegni, ecc. - è vissuto come tolto a sé Uno superficiale si tiene a distanza di sicurezza, quel tanto che basta, un poco indifferenti, per non rischiare di "incontrare" l'altro. Si vorrebbe andare d'accordo con tutti, ma si cerca di evitare sia intimità sia conflitti. Gentili con tutti, non si cerca nessuno. Le relazioni sono spesso orientate a quello che c'è da fare. Si guarda con un pò di superiorità chi investe in legami affettivi o si coinvolge emotivamente. In relatà c'è paura, paura che andare vicino agli altri e sperimentare affetti sia pericoloso; paura di soffrire, per cui è meglio non sentire troppo; paura di perdere un controllo di sè che da sicurezza. 7 Lo sguardo a senso unico può essere possessivo oppure, in senso contrario, eccessivamente responsabilizzato. Uno sguardo possessivo vede l'altro solo in quanto può dare: è possibile fonte di piacere; può dare sicurezza, stima, affetto, sostegno. E' cercato per questo e non si vedono le sue esigenze. Uno sguardo responsabilizzato vede con grande sensibilità le sofferenze degli altri e subito sente di dover dare. Il problema non è il dare, naturalmente, ma il non saper ricevere. Istintivamente si percepisce l'altro come "uno che ha bisogno di me", mai come uno "di cui ho bisogno". Si ascoltano tutti ma non ci si confida con nessuno. Non si sa chiedere ed è come se si stentisse di non aver diritto alcuno per sé. Da qualche parte restano in deposito i propri problemi, le proprie fatiche ed ansie che nascostamente ingombrano. Questi sono solo esempi di "sguardi" che possono influenzare la nostra vita di relazione. Possiamo cercare di individuare il nostro sguardo prevalente e chiederci se, in che modo e che misura frena il nostro cammino verso l'altro e con l'altro verso la costruzione di una vita autenticamente fraterna. Il punto di confronto è lo sguardo di Gesù, uno sguardo che vede tutto questo ma vede anche e soprattutto il resto. Non possiamo banalizzare fatti e sentimenti; non possiamo ritenere normale ogni difficoltà. Gesù insegna ad interrogarsi, ad aprire lo sguardo in profondità. Costruire una vita fraterna significativa e feconda, chiede allora di "purificare il proprio sguardo". Porsi in un cammino fraterno con altre persone, significa coltivare uno sguardo che sa fare verità senza condannare. Questo è lo sguardo della misericordia, uno sguardo che conosce bene la lentezza e la fatica del cammino e l'abbraccia, senza evitare il percorso di ciò che è umano, perchè sa che la vita fraterna si costruisce tra persone che insieme cercano una nuova comprensione di sé e di Dio, nella certezza della misericordia ricevuta. 8