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Appunti del corso di:
Diagnostica per immagini
e
Radioterapia
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Il sito degli studenti della facoltà di medicina e chirurgia della SUN
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INTRODUZIONE ALLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
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Natura e proprietà dei raggi X: nozioni di base
Un sistema fisico che trasferisca energia all’ambiente circostante viene definito sorgente e
l’energia trasferita radiazione.
In diagnostica per immagini (DxI) si utilizzano radiazioni ionizzanti (r.i.) ed non ionizzanti
(n.i.r.)
Le radiazioni ionizzanti vengono così definite perché hanno la capacità di produrre ioni
nell’interazione con la materia. Esse vengono distinte in radiazioni non corpuscolari, o
elettromagnetiche, nel caso in cui trasportino solo energia, o in radiazioni corpuscolari, se al
trasporto di energia è associato anche un trasporto di materia.
Le radiazioni non corpuscolari, a differenza delle onde sonore, si possono propagare anche nel
vuoto, in assenza di materia, perché le perturbazioni che viaggiano sono variazioni di intensità
del campo magnetico e del campo elettrico, per cui vengono anche denominate “onde
elettromagnetiche”.
Le r.i. elettromagnetiche trovano applicazione in radiologia tradizionale (RT) ed in tomografia
computerizzata (TC).
Le r.i. corpuscolari invece trovano applicazione in medicina nucleare (MN).
Entrambe vengono utilizzate in radioterapia.
Le n.i.r si impiegano in ecografia (US) ed in risonanza magnetica (RM).
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Interazioni con la materia
RADIOLOGIA TRADIZIONALE : trocostratigrafo, teleradiografo e telecomandato
I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche, formate da piccoli pacchetti di sola energia
chiamati fotoni.
I fotoni sono la risultante del passaggio di elettroni da un orbitale elettronico più esterno, e
quindi a maggiore energia, ad uno più interno, e quindi a minore energia; questo salto di
orbitale si accompagna alla emissione di una quota di energia sotto forma di radiazione.
Poiché questo salto energetico determina la produzione di radiazioni elettromagnetiche con una
lunghezza d’onda tipica dell’atomo nel quale è avvenuta la transizione elettronica: tale
radiazione viene denominata “radiazione caratteristica”.
I raggi X, nell’attraversare il segmento del corpo da esaminare, interagiscono con i tessuti
biologici, venendo deviati od in parte o del tutto attenuati in funzione della:
1. densità
2. spessore
3. peso atomico delle strutture attraversate
4. caratterizzazione energetica dello spettro del fascio di raggi X utilizzato.
L’informazione portata dalla radiazione emergente dal soggetto rappresenta l’immagine
radiante, la quale può essere concretizzata solo mediante un opportuno recettore di immagini,
che registra il fascio risultante.
I meccanismi fondamentali di interazione dei raggi X con i tessuti biologici sono:
1. effetto fotoelettrico, in cui il fotone incidente cede all’elettrone urtato tutta la sua
energia, il fotone scompare e l’elettrone viene fuori dall’atomo con una certa energia
cinetica
2. effetto Compton, in cui il fotone incidente cede all’elettrone urtato una parte della sua
energia, il fotone continua il suo cammino, deviato e con minore energia , l’elettrone
viene fuori dall’atomo con una certa energia cinetica
3. effetto diffusione coerente, detta anche diffusione classica, in cui il fotone incidente
viene deviato nella direzione da un elettrone atomico, senza perdita di energia. Questo
fenomeno non porta alcuna informazione utile ai fini diagnostici ma contribuisce alla
formazione del sottofondo grigio della pellicola, cioè alla velatura.
Vi sono altri due meccanismi di interazione dei raggi X con la materia ma sono di scarsa
rilevanza in radiodiagnostica, perché avvengono ad energie superiori a quelle di norma
utilizzate:
1. la produzione di coppie, in cui il fotone raggiunge il nucleo e si materializza dando luogo
a due elettroni, e
2. la fotodisintegrazione, in cui raggiunge il nucleo e viene assorbito.
3 Formazione della immagine radiografica
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IL TUBO RADIOGENO
In DxI i raggi X sono prodotti dal tubo radiogeno. Il tubo radiogeno è costituito da una ampolla
di vetro, dove vi è il vuoto spinto, e contiene un catodo ed un anodo. Il catodo è l’elemento
negativo, costituito da un involucro metallico, denominato testa del catodo, realizzato in nichel
o in ferro nichelato, contenente uno o due filamenti di tungsteno. Quando il filamento viene
riscaldato, all’aumentare di temperatura aumenta l’energia cinetica dei suoi elettroni: al di
sotto di un certo limite, diverso per ogni materiale, gli elettroni in questione non riescono a
superare la barriera di potenziale e rimangono confinati nella loro struttura, oltre tale limite
hanno invece energia a sufficienza per superare la barriera ed abbandonare la loro struttura ed
uscire nello spazio. Essi percorrono un breve tragitto formando una nube di elettroni, ma
vengono richiamati dai loro atomi che ora si trovano in uno stato di carica positiva per effetto
del loro abbandono. Il filamento deve raggiungere almeno 2200°C affinché si possa ottenere
una emissione elettronica utile, ma non oltre 2500°, altrimenti tenderebbe ad evaporare.
Per la formazione dei raggi X viene applicata una differenza di potenziale fra catodo ed anodo
con carica positiva all’anodo. Gli elettroni a carica negativa vengono attratti dall’anodo. Per
rendere omogeneo ed il più concentrato possibile questo fascio di elettroni, la spiralina viene in
parte avvolta dalla coppa focalizzatrice che è caricata negativamente. Il punto di impatto degli
elettroni sull’anodo prende il nome di macchia focale.
Dal frenamento per impatto degli elettroni si avrà l’1-3% di quanti di energia, i raggi X,
ovviamente “caratteristica” della natura dell’anodo ed il 97-99% di formazione di calore.
Poiché l’ampolla di vetro è circondata da una cuffia di piombo che assorbe i raggi X, questi
possono fuoriuscire solo da una piccola finestra praticata nella cuffia.
Nella loro propagazione i raggi X obbediscono alla legge della dispersione quadratica, ovvero
l’entità del flusso fotonico diminuisce in misura proporzionale all’inverso del quadrato delle
distanze percorse.
Per quanto riguarda la qualità dell’immagine, sono di fondamentale importanza, per il
raggiungimento di un buon livello qualità, i rapporti di reciproca distanza tra i tre elementi del
sistema, e cioè tra il fascio di raggi X, l’oggetto da esaminare e la pellicola radiografica (di cui
parleremo in seguito).
I fascio di raggi X, così ottenuto, ha forma conica e ciò comporta un ingrandimento dell’oggetto
esposto.
E’ possibile cercare di ridurre al minimo questo ingrandimento proiettivo avvicinando il più
possibile l’oggetto in esame alla pellicola radiografica. Un altro accorgimento al fine di ridurre
l’ingrandimento geometrico dell’immagine radiografica è quello di aumentare la distanza
fuoco-pellicola sfruttando solo le componenti centrali del fascio : queste infatti, oltre una certa
distanza (convenzionalmente 2 metri), si possono considerare parallele
fra loro e
perpendicolari al piano dell’oggetto.
IL SISTEMA RADIOLOGICO
Per un sistema radiologico sono necessari i seguenti elementi:
1. tubo radiogeno, che produce raggi X
2. generatore ad alto voltaggio, che fornisce l’energia richiesta al tubo
3. collimatore, che posizionato all’uscita del tubo limita il campo dei raggi X
4. timer elettronico, che viene usato per controllare la durata dell’esposizione
5. controllo automatico dell’esposizione, che blocca il circuito in base alla quantità di
radiazioni ricevute dal recettore dell’immagine.
RECETTORI DI IMMAGINI
Un recettore di immagine è un dispositivo che rileva e registra la quantità di radiazioni del
fascio emergente dal soggetto, l’immagine radiante, cioè la risultante dei vari assorbimenti e
quindi delle attenuazioni che il fascio di raggi X emesso dal tubo ha subito nell’attraversare i
tessuti diversi per composizione e densità. Si ha quindi un fascio emergente dal distretto
corporeo del paziente esaminato che sarà registrato come una distribuzione di intensità in
forma bidimensionale.
I recettori di immagine usati in DxI sono sostanzialmente :
1. Schermi fluoroscopici
2. Pellicole radiografiche accoppiate a schermi di rinforzo ai fosfori
3. Sistemi computerizzati con cassette ai fosfori (CR)
4. Sistemi computerizzati con dispositivi digitali diretti di lettura (DR).
Gli schermi fluroscopici vengono oggi utilizzati durante indagini invasive per il controllo del
corretto posizionamento di sonde, cateteri o protesi o come ausilio per il centraggio della zona
di interesse prima della documentazione radiografica.
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Gli schermi di rinforzo al fosforo vengono posizionati all’interno della cassetta radiografica
che ha la funzione di assicurare la tenuta alla luce ed un contatto uniforme fra le superfici
contrapposte degli schermi anteriore e posteriore e i due strati emulsionati della pellicola.
Essi furono introdotti fin dagli albori della R.T. per ridurre i tempi di esposizione, rendendoli
compatibili con il movimento degli organi da riprendere nonché con le dosi di radiazione.
L’immagine radiante è l’immagine potenziale determinata dal fascio di raggi X emergente dal
segmento in esame, sommata ora alla luminescenza degli schermi di rinforzo; essa si traduce
in immagine radiografica, quando diviene visibile in negativo sulla pellicola radiografica.
Questa è formata da un foglio di poliestere coperto su ambedue i lati da una emulsione di sali
d’argento di bromuro o di ioduro e gelatina. Benché l’uso di due schermi di rinforzo sia
giustificato da una maggiore efficienza nel rivelare i raggi X, tuttavia condizionano una minore
definizione.
Poiché quest’ultima è invece di fondamentale importanza in mammografia, per rilevare le più
fini alterazioni e calcificazioni. Per questo motivo, esclusivamente in questa indagine, si usano
cassette dedicate con schermi singoli. Infatti, per ottenere una buona visualizzazione dei
dettagli, somministrando al contempo una bassa dose di radiazioni, vengono usate pellicole
con un solo strato di emulsione, tubi a fuoco piccolo, ottime griglie antidiffusione ed infine una
tecnica di compressione della mammella con controllo della quantità di radiazioni diffuse che
raggiungono il recettore.
I sistemi computerizzati con cassette ai fosfori furono introdotti agli inizi degli anni ’80
per ottenere radiografie in formato digitale, poter elaborare ed
immagazzinare in un
computer. Questa tecnologia fu nominata radiografia computerizzata (CR) e usa delle cassette,
esternamente simili a quelle contenenti pellicole con schermi di rinforzo in fosforo. Questo
sistema differisce da quello tradizionale, poiché, mentre nel primo si aveva l’emissione da
parte degli schermi di rinforzo di fluorescenza immediatamente dopo l’assorbimento dei raggi X
con la pellicola radiografica che fungeva da recettore, qui abbiamo la sola registrazione di un
carica elettrica che è funzione del diverso grado di assorbimento e di attenuazione subito dai
raggi X. Questo segnale registrato viene letto successivamente da un dispositivo che determina
stimolazione tramite riscaldamenti localizzati degli schermi di fosforo. I segnali di luce visibile
vengono convertiti in corrente elettrica e quindi digitalizzati ed immagazzinati sotto forma di
immagini digitali in un computer. L’immagine così ottenuta potrà essere visualizzata su un
monitor o stampata su una pellicola.
I vantaggi di questa modalità, rispetto alla radiologia convenzionale, consistono in:
1. facilità di ripresa dei radiogrammi con possibile manipolazione
2. semplicità di trasmissione ed archiviazione delle immagini
3. immediata digitalizzazione di tutte le apparecchiature radiografiche disponibili.
I limiti di questa modalità consistono in:
1. permane la necessità di un ampio numero di cassette e di diverso formato
2. permane la necessità di dover cambiare la cassetta ad ogni esposizione
3. le cassetteai fosfori possono rompersi od esaurirsi
I sistemi computerizzati con dispositivi digitali diretti di lettura (DR) differiscono dai
precedenti per il fatto che non utilizzano cassette. In questo caso l’immagine è acquisita e
digitalizzata direttamente.
I vantaggi di questa modalità consistono in:
1. assenza di rischio di danneggiamento delle cassette da parte dell’operatore
2. hanno una migliore risoluzione spaziale e minore rumore di fondo dei detettori.
I limiti di questa modalità consistono in:
1. possibilità di ottenere immagini digitali solo dalla apparecchiatura che disponga
della lettura diretta
2. maggior costo rispetto al sistema CR nel digitalizzare un intero servizio.
QUALITA’ DEI RADIOGRAMMI
Per garantire una alta qualità diagnostica dei radiogrammi sono necessarie:
1. Minimizzazione delle radiazioni diffuse
2. Tecnica radiografica appropriata
3. Programma per il controllo della qualità.
Il messaggio informativo è affidato esclusivamente alla radiazione primaria. Per radiazioni
diffuse si intendono invece quelle che, oltre ai raggi X che hanno attraversato la sezione
corporea in esame ed hanno determinato l’immagine radiografica, sono state assorbite e
diffuse dai tessuti ma hanno subito anche delle deflessioni tali da compromettere la qualità
dell’immagine radiografica. Questi fotoni disturbano la visione nitida dei dati che interessano
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perché riducono il contrasto e determinano un “annebbiamento” dell’immagine, cioè un
aggiunta di segnale che non contiene nessuna informazione utile.
Per minimizzare questo inconveniente, vengono usate le griglie antidiffusione, che si
propongono di arrestare la maggior parte dei fotoni X diffusi, grazie alla interposizione, fra
volume corporeo e recettore, di una serie di sottili lamelle costituite da materiale X-assorbente,
di solito il piombo, interspaziate da sottili spessori di materiale X-trasparente: solo ai fotoni X
primari sarà consentito il transito negli interspazi X-trasparenti, mentre i fotoni X diffusi, detti
secondari, sono destinati ad impattare con il materiale assorbente, che costituisce le lamelle Xopache.
Attualmente lo spessore delle sottili lamelle di piombo è dell’ordine di 0,08-0,04 mm., quelle
per uso mammografico raggiungono addirittura di 0,03 mm.
Si distinguono 3 tipi di griglie:
1. focalizzata, in cui le lamelle sono inclinate in modo da convergere in un unico punto
chiamato fuoco della griglia
2. parallela, in cui le lamelle sono tutte parallele fra loro, adatte quando l’uso di una griglia
focalizzata non è opportuno per il variare del centraggio come, ad esempio, per le
radiografie a letto del paziente
3. crociata, in cui la combinazione delle griglie precedenti consente di esercitare la
massima selezione dei raggi diffusi, e sono utilizzate solo nei craniostati o su archi a C
con distanza focale fissa.
La quantificazione dell’effetto anti-diffondente è espresso dal “rapporto di griglia”, cioè fra
l’altezza della lamella (h) e lo spazio fra esse (d), comunemente definita ratio (R).
Infine le griglie possono essere mobili, se durante l’esposizione le lamelle sono in movimento,
per rendersi meno evidenti sul radiogramma, altrimenti si definiscono griglie fisse.
Va ricordato che la sfocatura radiografica può essere dovuta sia:
1. alle radiazioni secondarie
ma anche alla radiazione primaria per:
2. sfocatura geometrica, riducibile distanziando il fuoco dall’oggetto, cioè avvicinando
l’oggetto al recettore di immagine o diminuendo le dimensioni del fuoco del tubo
radiogeno. Esempio classico è il radiogramma standard del torace, che viene assunto
con tubo radiogeno ad almeno a 2 metri di distanza, a paziente in posizione ortostatica
in proiezione posteroanteriore, avvicinando così il più possibile l’organo cardiaco alla
pellicola per ridurne l’ingrandimento
3. sfocatura cinematica, riducibile operando in modo che fuoco, soggetto e pellicola
radiografica rimangano immobili, con fasce di compressione, tempi di esposizione brevi
ed apnea del paziente
4. sfocatura fotografica, dovuta agli schermi di rinforzo od alla pellicola, che vanno scelti in
funzione dei risultati che si vogliono conseguire.
La qualità di un’immagine è soggettiva e la sua definizione può cambiare in dipendenza delle
informazioni che desideriamo ricevere dalle immagini, ma tre caratteristiche di base sono
sempre applicabili:
1. contrasto
2. rumore
3. risoluzione spaziale.
Il contrasto è la differenza di segnale esistente tra due regioni di un’immagine. Nella scala dei
grigi, dove le differenze di segnale sono rappresentate da una variazione di sfumatura di
grigio, l’elevato contrasto sta a significare che due zone di differente composizione
nell’immagine appaiono molto scure e molto chiare. In un’immagine a basso contrasto, c’è
poca differenza di variazione dei toni di grigio. Va distinto il contrasto dell’oggetto ed il
contrasto della pellicola. Il contrasto dell’oggetto è funzione del differente segnale o intensità
dei raggi dopo aver attraversato una sezione corporea con diverse componenti. Il contrasto
della pellicola si riferisce alla abilità della pellicola a registrare il contrasto tra due parti diverse
della sezione in esame e di rappresentarla una volta esaminata davanti ad un diafanoscopio.
Nei sistemi digitali di immagine il contrasto legato ai detettori e quello legato alla visione delle
immagini sono indipendenti. La visualizzazione video, d’altra parte, permette all’osservatore la
possibilità di variazione del contrasto in funzione del bisogno.
Il rumore invece, descrive ogni componente dell’immagine che non trasmette una informazione
utile.
Ci sono due tipi di rumore:
1. il rumore random
2. il rumore strutturale.
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Il rumore random dipende dalla grana dell’immagine ed è funzione del numero di fotoni usati
nella registrazione dell’immagine. Un immagine ottenuta con una grande quantità di fotoni
apparirà meno disturbata dai rumori, o meglio si dirà che presenta un elevato rapporto
segnale-rumore, rispetto ad un’immagine ottenuta con l’uso di una minore quantità di fotoni.
Maggiore sarà il rumore random di un’immagine, maggiore sarà la difficoltà di percepire le
informazione a basso contrasto.
Il rumore strutturale è rappresentato da quelle componenti che non originano dal soggetto in
esame bensì da artefatti introdotti dai sistemi di acquisizione delle immagini o dal trattamento
delle pellicole.
La risoluzione spaziale è la capacità dell’immagine di riprodurre fedelmente i dettagli più
piccoli. Un’immagine che permette al radiologo di vedere molti più dettagli rispetto ad un’altra,
presenta una elevata risoluzione spaziale. La risoluzione spaziale si può definire massima in
una radiografia tradizionale di tipo analogico mentre diminuisce in quella digitale. Ad esempio,
la risoluzione spaziale massima ottenibile oggi in radiologia tradizionale digitale con cassette ai
fosfori è circa 0,1 mm Quest’ultima è composta infatti da una matrice, cioè l’immagine è
formata da tanti piccoli quadratini, i pixel, ognuno rappresentato da un valore, e
successivamente da un tono di grigio, all’interno del quale non è più possibile identificare la
differenza di densità tra 2 punti contigui presenti all’interno del pixel. Quindi quanti più pixel
formeranno la matrice, tanto maggiore sarà la risoluzione spaziale.
Al contrario, la radiologia digitale possiede una elevata risoluzione di contrasto, ossia la
capacità di registrare infinite differenze di assorbimento fotonico. Tuttavia poiché l’occhio
umano è in grado di apprezzare solo una ventina di differenti tonalità di grigio, è necessario
selezionare nella nostra immagine la porzione di interesse ed evidenziare tutte le differenze di
contrasto in essa presente, tramite una ridistribuzione ottimale dei livelli di grigio disponibili
nella scala in uso.
Per garantire che l’esecuzione tecnica dell’indagine sia appropriata, la legislazione italiana ha
previsto che la formazione e la presenza di un operatore sanitario specializzato, il tecnico
sanitario di radiologia medica o TSRM.
Il TSRM esegue gli esami radiografici rispettando procedure che assicurino la interpretabilità e
la ripetibilità in condizioni simili: infatti per ogni singolo organo od apparato esistono proiezioni
codificate, da utilizzare di volta in volta in rapporto alle esigenze diagnostiche. Poiché la
pellicola radiografica altro non è che la rappresentazione sommatoria, su un unico piano, di
tutti i piani corporei attraversati dal fascio incidente, in radiodiagnostica tradizionale è
frequente il ricorso ad almeno due proiezioni secondo piani tra loro ortogonali, scelti fra i tre di
riferimento: coronale, sagittale e traverso assiale. L’orientamento dei radiogrammi è,
convenzionalmente, di tipo speculare: essi cioè si osservano come se si avesse di fronte
l’individuo per cui la destra del soggetto in esame risulterà a sinistra dell’osservatore e
viceversa.
Il TSRM attua anche il programma di controllo della qualità. Esso deve ottimizzare la qualità
dell’immagine mantenendo minimi i livelli di esposizione alle radiazioni, sia verso i pazienti che
verso gli stessi operatori professionali dello staff radiologico. Oggi sono disponibili sistemi
automatici per il controllo dell’esposizione che permettono di conseguire una buona esposizione
dell’immagine con un accettabile controllo del contrasto.
Egli provvede ad archiviare le immagini, ne cura la loro conservazione o la loro trasmissione
presso altre strutture. Per facilitare quest’ultimo obiettivo, recentemente, in ambito
internazionale, è stato recepito uno standard per la trasmissione delle immagini medicali, il
DICOM.
La scelta della metodica, la loro sequenza più corretta, l’interpretazione dell’indagine e la
relativa refertazione restano secondo la legislazione italiana compito esclusivo e responsabilità
del medico chirurgo specializzato in radiodiagnostica.
DOMANDE
Quali metodiche di diagnostica per immagini impiegano le radiazioni ionizzanti?
Quali metodiche di diagnostica per immagini impiegano le radiazioni non ionizzanti?
Cosa sono i raggi X?
Quali sono i meccanismi di interazione dei raggi X con i tessuti biologici?
Che cos’è l’effetto fotoelettrico?
Che cos’è l’effetto Compton?
Che cos’è l’effetto diffusione coerente?
Come sono prodotti i raggi X?
A che serve il generatore?
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A che serve il collimatore?
Cosa è la radiazione caratteristica?
A cosa serve la coppa focalizzatrice?
A cosa serve la cuffia di piombo?
Com’è fatto un tubo radiogeno?
Che cos’è la macchia focale?
Come si ottengono i radiogrammi?
Da cosa è costituito un sistema radiologico?
Come si riduce l’ingrandimento proiettivo?
Perché si assume un radiogramma standard del torace in proiezione PA e non in AP?
Cos’è l’immagine radiante?
Quanti sono i recettori di immagine usati in radiologia ?
Che cosa sono gli schermi di rinforzo?
A che scopo vengono usati gli schermi singoli di rinforzo?
Perché in mammografia si usano schermi di rinforzo singoli?
Qual è il vantaggio di un sistema computerizzato con cassette ai fosfori (CR)?
Qual è il vantaggio di un sistema computerizzato con dispositivi digitali diretti di lettura (DR)?
Com’è formata una pellicola radiografica?
Che cos’è la radiografia digitale?
Che cos’è il DICOM?
Come si consegue una alta qualità diagnostica dei radiogrammi?
Cosa sono le radiazioni diffuse?
Cosa si intende per annebbiamento dell’immagine?
Cosa sono le griglie antidiffusione?
Cosa esprime la ratio di una griglia antidiffusione?
Quanti tipi di griglie esistono?
Chi è il TSRM?
Quali sono le caratteristiche che descrivono la qualità dell’immagine?
Che cos’è il contrasto?
Che differenza c’è tra contrasto dell’oggetto e contrasto della pellicola?
Che cos’è il rumore random?
Che cos’è il rumore strutturale?
Che cos’è la risoluzione spaziale?
Che cos’è la risoluzione di contrasto?
Che cos’è un programma di controllo della qualità dell’immagine?
RADIOLOGIA TRADIZIONALE: mammografia
L’indagine radiologica della mammella necessita di apparecchi dedicati detti “mammografi”.
Il mammografo è costituito da :
1. tubo radiogeno al molibdeno (più diffuso) od al tungsteno
2. braccio per supporto del tubo radiogeno
3. piano di appoggio per la mammella
4. dispositivo di compressione della mammella
5. alimentatore ad alta frequenza.
Inoltre, l’apparecchio mammografico può essere fornito di accessori per la stereotassia, che è
una tecnica deputata alla localizzazione tridimensionale di una eventuale lesione clinicamente
non palpabile, ma visibile alla mammografia, per la quale si renda necessario un prelievo
citologico.
Mentre in radiologia convenzionale, la notevole differenza di densità tra le diverse strutture
anatomiche (osso,parenchima polmonare,ecc.) consente un elevato contrasto della strutture
da radiografare, nella mammella la differenza di densità dei suoi componenti (tessuto fibroso o
connettivo, ghiandolare, adiposo) è modesta e non risulterebbe radiograficamente apprezzabile
con le apparecchiature radiologiche convenzionali.
I mammografi utilizzano specifici alimentatori ad alta frequenza che consentono al tubo
radiogeno di erogare un fascio di raggi abbastanza omogeneo e di bassa energia e quindi
consente di utilizzare la gamma di tonalità di grigio apprezzabili dalla nostra vista in un
ristretto range di energia dei raggi X.
Di notevole importanza sono i dispositivi di compressione che comprimendo la mammella tra
due piastre orizzontali e parallele permettono:
1. di ottenere uno spessore ridotto e uniforme dell’organo che determina una maggiore
uniformità del fascio che arriva sul film
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2. di ridurre le sfumature geometrica ed anatomica, poiché grazie alla compressione tutte
le strutture del seno vengono a trovarsi più vicine al piano dove si forma l’immagine,
riducendo i piani di curvatura
3. di aumentare il contrasto delle immagini
4. di modulare i dati di esposizione con il minor costo-biologico.
La composizione anatomo-istologica del seno di una donna nel corso degli anni è variabile:
prima della menopausa la presenza di tessuto adiposo è scarsa ma esso tende ad aumentare
con l’età, fino a diventare il tessuto più rappresentativo dopo la menopausa. Per tale motivo la
mammella di una paziente in giovane età presenta un corpo ghiandolare all’interno del quale
risulta molto difficile riconoscere eventuali lesioni.
Poiché il tumore maligno del seno determina una distorsione delle strutture normali, che
costituiscono il tessuto connettivale e può essere associata a microcalcificazioni anche di
modeste entità, oggi la mammografia viene ancora eseguita con tecniche analogiche che
garantiscono una alta risoluzione spaziale e non con tecniche digitali, la cui alta risoluzione di
contrasto non compensa la bassa risoluzione spaziale nella ricerca di suddette
microcalcificazioni.
DOMANDE
Che cos’è la mammografia?
Come è costituito un mammografo?
A che serve la stereotassia?
Quali sono i peculiari costituenti del mammografo rispetto alla radiologia convenzionale?
Per quale motivo si usa la compressione?
Perché non si pratica lo screening mammografico del tumore della mammella nelle giovani
donne?
In mammografia si utilizzano apparecchiature analogiche o digitali?
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Indicazioni alla radiologia interventistica
RADIOLOGIA TRADIZIONALE: ANGIOGRAFIA
I vasi, arteriosi o venosi, non hanno un contrasto tale da permetterne la differenziazione
rispetto ai tessuti circostanti nel contesto di in un normale radiogramma. E’ necessario l’uso di
un mezzo di contrasto che ne opacizzi il lume e consenta lo studio “angiografico”. Il termine
angiografia comprende sia la valutazione del compartimento arterioso, più appropriatamente
definita arteriografia, sia quella del compartimento venoso, detta flebografia.
In arteriografia si usano due metodiche: quella di Dos Santos che usa pungere
direttamente il vaso tributario del distretto da esaminare, e quella di Seldinger con cateterismo
selettivo di un arteria periferica, oggi la più usata. Con questa ultima tecnica si accede al
distretto arterioso tramite un arteria periferica che in genere è l’arteria femorale, più
raramente l’ascellare o l’omerale. L’arteria femorale presenta il vantaggio di essere facilmente
palpabile, di avere un grosso calibro, di non essere circondata da plessi venosi e di avere un
buon appoggio rappresentato dalla testa del femore. Si inizia con una premedicazione del
paziente con sedativi, seguita da un’anestesia locale nella sede della puntura. Successivamente
si punge il vaso prescelto per l’esame mediante apposito ago e si introduce una guida
metallica. Si passa poi alla rimozione dell’ago e alla introduzione per scorrimento sulla guida di
un catetere radioopaco del diametro di 1,4-2,3 mm, in genere di poliuretano o polietilene o
nylon, premodellato e che possiede “memoria” , riassume cioè la curvatura primitiva una volta
liberato nel contesto vasale dalla guida metallica. Dopo aver posizionato sotto controllo
radioscopico l’apice del catetere nella sede richiesta, viene iniettato il mezzo di contrasto
idrosolubile iodato a concentrazione elevata (370 mgI/ml), preferibilmente non iodato,
mediante un iniettore automatico programmato. Si assumono quindi immagini radiografiche a
cadenza programmata, fino a 5 e più al secondo con l’aiuto di un programmatoretemporizzatore.
A questo punto vengono documentate tre fasi dell’esame arteriografico:
La fase arteriosa, che con l’arteriografia rappresenta il primo momento, in cui saranno
opacizzate prima le arterie a meno che non esistano importanti fistole o malformazioni arterovenose.
La fase parenchimografica che descrive la distribuzione all’interno dell’organo in studio e che
ne rispecchia la sua vascolarizzazione.
La fase venosa in cui il mezzo di contrasto abbandona l’organo e si distribuisce nelle vene che
raccolgono il sangue refluo dell’organo esaminato.
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Questa metodica consente, grazie ai suoi rilievi radiosemeiologici, il riscontro di molte
patologie.
Infatti nell’ischemia le arterie presentano un calibro inferiore alla norma o sono obliterate, con
ridotta o assente fase parenchimatografica e ritorno venoso non evidenziabile.
Nella flogosi si ha il riscontro di un iperemia con un circolo che mantiene la normale
angioarchitettonica con fase parenchimatografica accentuata e ritorno venoso abbondante ma
in tempi fisiologici.
Nelle cisti si apprezzano dislocazioni vasali arciformi multiple con stiramenti ma senza
infiltrazioni con fase parenchimatografica assente con possibile orletto iperemico circostante e
ritorno venoso assente.
Nello studio di patologia aneurismatiche l’indagine, che non documenta eventuali trombi
endoluminali concentrici o eccentrici ma solo il lume pervio al mdc , può risultare falsamente
negativa, se il lume vero rimane eucentrico ed appare di calibro sovrapponibile alla norma e
non presenta anomale tortuosità.
I tumori benigni presentano circoli neoformati molto ricchi con angioarchitettonica
parzialmente conservata con fase parenchimatografica intensa e ritorno venoso abbondante ed
accelerato.
Nei tumori maligni l’angiografia è stata, prima dell’avvento della TC e della RM, la metodica di
studio fondamentale per lo studio delle neoplasie anche per il planning operatorio. E’ infatti
tipico del tumore maligno l’aumento di calibro dell’arteria afferente con circolo anarchico
neoformato con infiltrazioni irregolari e amputazioni multiple arteriose e venose con shunt
artero-venosi, una fase parenchimatografica intensa e disomogenea, con laghi venosi nel
contesto del tumore, con ritorno venoso esplosivo, con eventuali infiltrazioni arteriose e venose
circostanti e con possibili localizzazioni a distanza vascolarizzate o non.
Nella flebografia l’esame viene eseguito per puntura diretta, ed iniezione del Mdc, della
vena prescelta. In genere viene usata la vena femorale e meno comunemente la vena
succlavia, la giugulare o l’ascellare. Per lo studio del circolo venoso può essere utilizzata anche
la fase finale dell’arteriografia; ciò può evitare anche manovre più pericolose ed ad esempio
può evitare una splenoportografia potendo studiare il sistema portale anche con una fase
tardiva dell’aortografia addominale. Dato che i vasi venosi hanno una minore resistenza di
parete rispetto a quelli arteriosi avremo, in una alterazione d’organo, una dislocazione ed
infiltrazione venosa più precoce di quella arteriosa.
Così nelle infiammazioni è tipica una dilatazione venosa e nei tumori un aumento delle vene
che si presenteranno dilatate “a gavocciolo” e trombizzate.
Oggi oltre allo studio angiografico tradizionale, è possibile condurre anche l’angiografia
digitale sia per via venosa che per via arteriosa. La tecnica digitale presenta due vantaggi:
1. Possibilità di trattare l’immagine con la tecnica della sottrazione di immagine.
2. Minori quantità di Mdc in quanto sono sufficienti differenze tra vaso opacizzato e
strutture circostanti di circa il 2%.
Poiché l’immagine ottenuta in formato digitale è formata da una matrice numerica, è possibile
sottrarre alla matrice ottenuta dopo l’iniezione del Mdc la matrice uguale ottenuta all’esame
diretto, detta maschera, ed ottenere come risultato una “sottrazione d’immagine”, con
cancellazione di tutte quelle strutture anatomiche della maschera che non si sono opacizzate e
quindi un’imaging dei soli vasi.
La scarsa collaborazione del paziente e gli artefatti da movimento impediscono la buona
riuscita dell’esame digitale.
Con l’angiografia digitale sottrattiva per via venosa si incannula in genere una vena del gomito
e dopo aver centrato radioscopicamente la zona da studiare, si inietta il Mdc a concentrazione
elevata e con flusso di 12-16 ml/s e dopo un’attesa variabile dai 3 ai 25 s si acquisiscono le
immagini che verranno visualizzate sul monitor TV, memorizzate su supporto magnetico e
successivamente elaborate e fotografate. Quando si studiano i distretti polmonari si può fare
una acquisizione sincronizzata con il ciclo cardiaco in modo da ridurre al minimo gli artefatti da
movimento.
DOMANDE
Che cos’è l’angiografia?
Quali tecniche possono essere usate in arteriografia?
Come si esegue l’angiografia tramite tecnica di Seldinger?
Come si esegue l’angiografia tramite tecnica di Dos Santos?
Cosa si intende per “memoria” di un catetere?
Quali sono le fasi dell’arteriografia?
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Come si presenta l’ischemia con l’arteriografia?
Come si presenta la flogosi con l’arteriografia?
Come si presenta la cisti con l’arteriografia?
Come si presenta un tumore benigno con l’arteriografia?
Come si presenta un tumore maligno con l’arteriografia?
Che cos’è la flebografia?
Come si presenta in flebografia un tumore?
Come si presenta in flebografia un’infiammazione?
Quali sono i vantaggi dell’angiografia digitale?
Cosa può inficiare un esame agiografico digitale?
Che cos’è la “sottrazione d’immagine” ?
Che cos’è l’angiografia digitale sottrattiva per via arteriosa?
Che cos’è l’angiografia digitale sottrattiva per via venosa?
Quando usiamo la tecnica angiografica tradizionale invece di quella digitale?
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Formazione dell’immagine in TAC
TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA
Anche la Tomografia computerizzata (TC) utilizza, come la radiologia tradizionale, i raggi X.
Essa permette di ottenere immagini di sezioni assiali, e non solo, rispetto all’asse corporeo
principale. In questo modo ogni distretto corporeo può essere analizzato senza limitazione di
sovrapposizione anatomiche che invece nella radiologia tradizionale possono limitare
l’interpretazione dell’esame.
Le più recenti apparecchiature TC consentono di acquisire immagini di sezioni trasversali in
frazioni di secondi.
Il fascio di raggi X emessi dal tubo radiogeno ruota attorno al paziente disposto supino,
attraversa il sezione in esame, emerge dalla parte opposta come risultato dei vari assorbimenti
in funzione della densità corporea, e viene infine registrata da una ghiera di detettori.
Quest’ultima può essere mobile, e cioè costituita da un arco che ruota solidale ma dalla parete
opposta al tubo radiogeno, negli apparecchi TC di III generazione, o fissa, e quindi costituita
da un anello di detettori disposti a 360°, negli apparecchi TC di IV generazione. I valori rilevati
dai detettori sono successivamente elaborati con tecniche matematiche avanzate, come la
trasformata di Fourier, e da algoritmi di ricostruzione, che consentono di ottenere una
immagine bidimensionale.
E’ necessario introdurre il concetto di pixel e voxel, quali importanti componenti della
terminologia della TC, usati oggi anche in radiologia digitale.
Il pixel, picture element, è la più piccola parte costituente l’immagine bidimensionale TC, che
avrà una rappresentazione di grigio, e quindi di densità; mentre la media di tutti i punti
contenuti nell’unità di volume in esame, quindi tridimensionale, è chiamata voxel, volume
element. Da ciò deriva che più piccoli saranno i pixel, e quindi i voxel, maggiore sarà la
risoluzione spaziale di quella immagine. Come già detto, la radiologia digitale ha un alta potere
di risoluzione di densità, o meglio di contrasto. La densità delle strutture esaminate può essere
rappresentata in modo diverso: per convenzione, l’osso ed il metallo saranno bianchi, il gas e
l’aria neri, tutte le altre strutture con densità intermedia saranno rappresentate da una grande
scala di grigi. La densità viene misurata in unità Hounsfield (HU), in riconoscimento
dell’inventore della TC, G. Hounsfield. Poiché i valori HU vanno da –1000 (aria), a 0 (acqua) a
+1000 (osso compatto), e ognuno di essi può essere rappresentato da un grigio diverso,
l’immagine, se dovesse rappresentarli tutti insieme, risulterebbe povera di contrasto, proprio
per la bassa capacità che possiede l’occhio umano, che può separare circa 20 gradazioni di
grigio. Ecco perché è necessario come si dice “aprire una finestra” attraverso la quale
osservare le strutture presenti e questo viene fatto definendo il valore medio, al quale si vuole
che sul monitor corrisponda il grigio intermedio (centro della finestra) e definire l’intervallo dei
valori al di sopra e al di sotto del valore centrale, che si vuole rappresentare con le altre
gradazioni di grigio (ampiezza della finestra). Per esempio una finestra ottimale per gli organi
addominali, ad esempio fegato, milza e pancreas, è con centro della finestra a 40 HU, che
saranno rappresentate con il valore di grigio intermedio, ed ampiezza di 400 HU, che mostrerà
tutte quelle strutture che hanno un valore HU compreso tra –160 e 240, utilizzando i rimanenti
valori di grigio, più chiari per i pixel al di sopra di 240 HU fino al bianco, e più scuri per tutti
quelli al di sotto di –160, fino al nero.
Nella pratica clinica si sceglie uno spessore standard dello strato corporeo in esame di 5-10
mm, ma per avere informazioni su dettagli più piccoli, per esempio per l’osso temporale o per
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immagini ad elevata risoluzione del polmone, è possibile acquisire strati di 1 mm: in questi casi
si parla di TC ad alta risoluzione. Ad oggi le dimensioni più piccole del pixel in acquisizione
sono 1 mm., mentre in ricostruzione raggiunge 0,5 mm.
Tuttavia più piccolo è lo strato di acquisizione, minore sarà la quantità di raggi X che
raggiungerà i detettori, e dunque per ottenere comunque una ottimale qualità dell’immagine,
sarà necessario che la quantità di radiazioni somministrate al paziente per l’esame di ogni
strato sia maggiore.
Ogni esame TC è preceduto dall’acquisizione dello “scannogramma” o “scout-view” che è
ottenuta facendo scorrere longitudinalmente nel tunnel della TC, al di sotto del fascio di raggi
X, il tavolo sul quale giace il paziente. Lo scannogramma serve per definire il livello superiore e
inferiore della scansione tomografica e per valutare l’inclinazione da conferire al piano di
sezione onde adattarlo all’orientamento della struttura in studio.
Infatti con la TC è possibile ottenere non solo immagini assiali, cioè perpendicolari al tavolo su
cui è posto il paziente, ma il tubo può essere inclinato, e quindi il raggio incidente formerà col
tavolo un determinato angolo, ed ottenere così, per esempio nel caso del cervello, scansioni
che vanno dal livello più alto fino alla base del cervello stesso, o delle scansioni perfettamente
parallele al decorso obliquo dei vari spazi intersomatici vertebrali.
E’ comunque possibile, grazie a sofisticati software, ricostruire successivamente le immagini
acquisite con scansioni “dirette” assiali secondo piani “indiretti” coronali, sagittali od obliqui.
Per una migliore definizione delle strutture parenchimali si può rendere necessario
somministrare un mezzo di contrasto (Mdc) endovena (e.v.); a questo artifizio si ricorre
frequentemente nella TC dell’addome e delle pelvi, meno in quelle celebrali, ancor meno nel
polmone.
Se un paziente che deve praticare una TC con Mdc è allergico, oltre alla precauzione di usare
un Mdc non ionico, è utile ricorrere ad una premedicazione che riduca i rischi di una eventuale
reazione allergica. Quindi, nei pazienti con anamnesi di seria reazione allergica al Mdc con
laringospasmo, broncospasmo, ipotensione, bisogna valutare la possibilità di orientarsi verso
altre metodiche, quali ecografia, risonanza magnetica o la stessa TC ma senza
somministrazione del Mdc.
In ogni caso, non è possibile predire una reazione allergica alla somministrazione del Mdc,
poiché essa può verificarsi anche con Mdc non ionici od inaspettatamente in un paziente che in
precedenza non abbia mai presentato problemi.
La TC con Mdc e.v. può essere condotta anche in pazienti affetti da insufficienza renale, previa
valutazione dei parametri laboratoristici. Questi ultimi, tra cui soprattutto il valore della
creatinina, condizionano la diluizione in soluzione fisiologica del mdc iodato, così da non
sovraccaricare il rene insufficiente ed evitare una necrosi tubulare acuta; nei casi più severi, ed
in mancanza di possibili metodiche di studio alternative, è possibile condurre l’esame TC con
mdc ev a condizione che il paziente venga sottoposto successivamente a dialisi.
Per una migliore definizione delle strutture digestive o di altri organi cavi si può rendere
necessario somministrare anche altri mezzi di contrasti per vie diverse da quella endovenosa.
Per esempio, il bario o i mdc ionici, assunti per os, a concentrazione opportunamente diluita,
per evitare artefatti, sono utili per dissociare le anse digestive da organi o masse contigue, o
per uno studio dettagliato delle pareti, in caso di malattie neoplastiche od infiammatorie;
possono anche essere somministrati tramite sondini nasodigiunali, per lo studio della patologia
flogistica o neoplastica del tenue od introdotti per via retrograda rettale per lo studio di lesioni
parietali del colon o del retto. A tal fine sono utilizzati anche mdc oleosi od acquosi.
E’ possibile iniettare direttamente in vescica tramite catetere un Mdc oleoso, gas o acqua, o
iodato idrosolubile per lo studio di processi espansivi endoluminali vescicali.
La TC spirale è una recente evoluzione tecnologica della TC assiale.
Nella TC assiale, a paziente fermo ed in apnea sul lettino, ogni 3-5 secondi, il tubo radiogeno
compie un mezzo giro per raggiungere una velocità di rotazione costante, poi compie un giro
completo emettendo radiazioni, vengono acquisiti i dati della scansione, poi ancora mezzo giro
per rallentare e fermarsi, infine gira al contrario riavvolgendo il filo di alimentazione e per
tornare al punto di partenza. Nella pausa che intercorre con la successiva scansione, il paziente
riprende fiato ed il lettino portapaziente avanza di quanti millimetri, di solito 5-15mm, siano
stati in precedenza stabiliti,.
Il limite della TC assiale consiste nel rumore nell’immagine quando il paziente non riesce a
collaborare od a rispettare i tempi e la sequenza delle apnee: sono possibili falsi negativi per
piccole lesioni perché ogni scansione è contigua alla precedente ma non sicuramente continua,
perché ogni atto inspiratorio non è sempre uguale al precedente.
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Tutte queste incertezze vengono risolte con la TC spirale. In essa il tubo ruota continuamente
attorno al paziente, grazie a contatti striscianti che ne garantiscono l’alimentazione senza fili,
mentre il lettino avanza senza interruzione; è così possibile acquisire, durante un unico atto
inspiratorio di 15-20, tutti i dati di un segmento corporeo di circa 20-40 cm. di lunghezza in
tempi molto ridotti rispetto alla TC assiale.
Il termine TC spirale è equivalente a TC volumetrica, volendo proprio sottolineare che non
esistono più soluzioni di continuità fra una scansione e l’altra e che l’apparecchiatura dapprima
acquisisce tutti i dati e successivamente li ricostruisce secondo
piani desiderati, che
risulteranno tutti egualmente di ottima qualità.
Nella TC spirale il Mdc deve essere iniettato tramite una pompa di infusione elettronica con
tempi e flussi stabiliti, in funzione delle necessità diagnostiche.
E’ così possibile eseguire una angio-TC; infatti tramite un catetere di grosso calibro posto in un
vaso periferico, viene iniettato il Mdc per evidenziare, ad esempio, un aneurisma dell’aorta
addominale. In questo modo sarà possibile ricostruire l’estensione e la morfologia
dell’aneurisma in modo da programmare un intervento chirurgico mirato.
La più recente evoluzione della TC spirale è la TC (spirale) multislice o multistrato. In questa,
non solo il tubo ruota continuamente intorno al paziente, ma, invece di una sola ghiera di
detettori contro lateralmente al tubo a raggi X, sono disposte più ghiere o meglio una larga
banda di detettori, così che ad ogni rotazione del tubo su 360° vengono contemporaneamente
acquisite più sezioni del tratto in esame. Quindi, ad ogni rotazione non sarà più disponibile una
sola sezione dello spessore impostato, come nella TC spirale, ma più sezioni
contemporaneamente.
La TC multistrato presenta quindi delle caratteristiche peculiari:
1. acquisizione di più sezioni per ogni singola rotazione (ad oggi pari a 4-8 strati, ma
prossimamente 16 o più)
2. velocità massima di rotazione del sistema tubo-detettori intorno al paziente pari a 0.5
sec./360°, con
3. spessore di strato minimo 0.5 mm.
I detettori nella TC possono essere:
1. detettori a matrice fissa;
2. detettori a matrice adattabile;
I sistemi a matrice fissa sono ottenuti dividendo un detettore in parti uguali,in modo da poter
poi suddividere ogni singolo strato acquisito in strati più sottili sempre uguali tra loro.
I sistemi a matrice adattabile invece hanno detettori più sottili al centro e di dimensioni
maggiori ai lati. Richiedono una tecnologia costruttiva più sofisticata rispetto a quelli a matrice
fissa, in quanto gli strati dei detettori sono di dimensioni differenti e quindi richiedono linee di
produzione separate. Rimane comune la possibilità di suddividere gli strati acquisiti in spessori
inferiori, sempre in numero di quattro e sempre uguali tra loro.
Negli scanner multistrato viene oltremodo evidenziato l’effetto “cono”, che comporta una
risoluzione più alta al centro del campo di scansione e più bassa ai bordi, a causa dell’effetto di
allargamento del fascio: infatti lo spessore di collimazione impostato al detettore non
corrisponde più allo spessore di strato esaminato al paziente. Il fascio emesso dal tubo
radiogeno è un fascio a ventaglio sia sugli assi x e y sia sull’asse z (cranio-caudale).
DOMANDE
Che cos’è la Tomografia Computerizzata?
Come funziona la TC?
Che cos’è il pixel?
Che cos’è il voxel?
Quali sono i valori HU di aria, acqua, osso?
Come appare l’osso, l’aria e le altre strutture sulla TC?
Come viene misurata la densità in TC?
Cosa significa selezionare una finestra e scegliere una media?
Quali sono i valori di media e ampiezza della finestra in una TC addome?
Qual è lo spessore medio di uno strato in TC?
Cosa comporta l’esecuzione di strati più sottili?
Quale è la risoluzione minima del pixel in acquisizione?
Cosa si intende per TC ad alta risoluzione?
Come si ottiene uno scannogramma?
A cosa serve uno scannogramma?
Sono possibili falsi negativi con la TC assiale?
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Quali Mdc si usano in TC?
A chi sono riservati i Mdc non-ionici?
Quali precauzioni si adottano in un paziente allergico che necessita di una TC con Mdc?
E’ prevedibile una reazione allergica al mezzo di contrasto?
Come si può agire nel caso di un paziente con insufficienza renale?
In che altro modo, oltre la somministrazione e.v., possono essere somministrati i Mdc in TC?
Che cos’è la TC spirale?
Perché il nome TC spirale?
Come viene somministrato il Mdc con la TC spirale?
Cosa si intende per TC volumetrica?
Quali sono i vantaggi della TC spirale?
Che cos’è un’angio-TC?
Cosa è la TC multistrato?
Quali esami sono necessari prima di somministrare il Mdc ev?
Cosa si intende per effetto “cono” nella TC multislice?
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Formazione dell’immagine in ecografia
ECOGRAFIA
L’ecografia è una metodica di indagine che usa radiazioni non ionizzanti, gli ultrasuoni. Essi
sono onde meccaniche “elastiche”, che hanno una frequenza superiore a 20000 Hz (20000 cicli
a secondo) e quindi non percepibili dall’orecchio umano. Si tratta di onde successive di
rarefazione e compressione delle particelle di ciascun mezzo attraversato che si propagano
longitudinalmente all’interno dello stesso. La dislocazione delle suddette particelle è di frazioni
di millimetro mentre la perturbazione arriva a parecchi centimetri.
Gli ultrasuoni interagiscono con i tessuti secondo leggi che ne determinano:
1. la velocità
2. la riflessione
3. la rifrazione
4. la diffusione
5. l’assorbimento
6. l’attenuazione
La velocità di propagazione degli ultrasuoni in un mezzo è data dalla distanza percorsa
dall’onda nell’unità di tempo; essa è inversamente proporzionale alla densità ed alla
compressibilità del mezzo attraversato. Nell’aria essi si propagano con una velocità di circa 330
m/s, nel grasso 1460 m/s, nell’osso 2700-4100 m/s; nei tessuti biologici, invece, con un valore
intermedio fra grasso ed osso pari a circa 1540 m/s.
La riflessione, definita eco, si ottiene quando il fascio incontra due tessuti con differente
struttura ed una parte del fascio continua e si trasmette nel mezzo mentre l’altra viene riflessa
indietro. L’intensità della riflessione sarà proporzionale alla differenza di impedenza acustica fra
i due mezzi e l’angolo di riflessione sarà uguale a quello di incidenza, quindi massimo a 90°
gradi. Questo è il principio basilare della diagnostica ecografica.
La rifrazione è un fenomeno complesso che si verifica sull’interfaccia tra tessuti attraversati
dagli ultrasuoni a velocità diverse. La direzione del fascio nel secondo mezzo varia
diversamente dal principio della riflessione. Questo principio fisico nella pratica clinica è spesso
fonte di artefatti.
La diffusione si ottiene quando il fascio ultrasonoro incontra una superficie irregolare o di
dimensioni inferiori al fascio stesso e viene riflesso in tutte le direzioni. Questo fenomeno
contribuisce a delineare la forma degli organi in esame e la trama ecostrutturale di ciascun
parenchima.
L’assorbimento è dovuto alle forze di attrito proprie di ogni mezzo con conseguente
conversione in calore dell’energia del fascio ultrasonoro.
L’attenuazione, ovvero il decremento della intensità del fascio ultrasonoro nel suo progredire, è
in funzione dell’assorbimento, della riflessione e dell’allargamento del fascio. Il fenomeno è
direttamente proporzionale alla frequenza del fascio: quindi per analizzare tessuti profondi
sono necessarie basse frequenze mentre per tessuti superficiali è possibile utilizzare frequenze
elevate con maggiore risoluzione.
L’apparecchio ecografico e’ costituito da quattro componenti:
1. un cristallo trasduttore o sonda, che costituisce la componente periferica del sistema
che viene posta a contatto con la cute del paziente.
2. un sistema elettronico, costituito da circuiti diversi che pilotano il trasduttore generando
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3. l’impulso di trasmissione, ricevono il segnale elettrico prodotto dall’eco di ritorno della
sonda, ed amplificano ed elaborano il segnale ricevuto.
4. lo Scan converter, che ha la funzione di memorizzare i dati ottenuti durante la
scansione e di convertirli nel formato necessario per rappresentare l’ immagine o il
tracciato.
5. un sistema di visualizzazione e stampa, costituito da un monitor televisivo, che
consente di visualizzare le immagini prodotte ed una stampante che registra le
immagini su pellicole radiografiche o su carta.
Nell’esame ecografico per generare gli ultrasuoni, è necessario sfruttare la caratteristica di
“piezoelettricità” che hanno alcune sostanze quali ad esempio il quarzo ed il titanato di bario,
che consiste nell’applicare una differenza di potenziale agli estremi di un cristallo per ottenere
una variazione dimensionale, cioè una vibrazione dello stesso che genererà gli ultrasuoni.
L’ecografia si esegue con una sonda, caratterizzata da una data frequenza legata allo spessore
del cristallo contenuto in essa. Quest’ultimo viene eccitato da impulsi elettrici e genererà
energia meccanica ossia il fascio di ultrasuoni (effetto piezoelettrico inverso).Tra la sonda e la
cute del paziente viene applicato un sottile strato di gel, che serve ad ottimizzare la
trasmissione degli ultrasuoni e quindi ad evitare delle dispersioni che si potrebbero creare a
livello dell’interfaccia sonda/cute. La stessa sonda, oltre ad emettere gli ultrasuoni, funge
anche da sorgente ricevente gli “echi riflessi “ nel contesto tissutale che indurranno la
deformazione meccanica del cristallo con generazione di impulsi di tensione (effetto
piezoelettrico diretto). Questi ultimi costituiscono il punto di partenza per la formazione delle
immagini ultrasonografiche. Successivamente i voltaggi elettrici dei vari echi di ogni linea di
scansione vengono digitalizzati, cioè codificati con step numerici discreti da un convertitore
analogico-digitale. Ciò serve per poter memorizzare i voltaggi di ogni singola linea man mano
che vengono acquisite nuove linee di scansione, permettendo così la rappresentazione
bidimensionale dell’intera regione di scansione.
I trasduttori possono essere distinti in:
1. lineari
2. settoriali
3. convex
4. anulari
5. biplanari.
6. endocavitari
Ogni tipo di trasduttore può avere forma e frequenza diverse, in modo da poter essere
utilizzato in studi di organi diversi. Oggi, infatti, i più moderni ecografi permettono di modulare
a proprio piacimento la frequenza degli ultrasuoni emessi dalle singole sonde, in modo da poter
ottenere delle immagini maggiormente definite in relazione alla profondità dell’organo da
esaminare, per esempio utilizzando frequenze più alte per strutture superficiali o più basse per
organi profondi.
Il trasduttore lineare è costituito da un insieme di cristalli ravvicinati che entrano in funzione
successivamente in tempi diversi. Offrono una immagine rettangolare che se da un lato
consente una migliore visione delle strutture più superficiali, dall’altro presenta una finestra
poco ampia per le strutture più profonde. Il trasduttore, che può essere usato su sonde
endocavitarie ed in ecografia intraoperatoria, può presentare una manovrabilità limitata in
alcune zone corporee poco accessibili a causa delle sue dimensioni.
Il trasduttore settoriale offre una immagine triangolare o trapezoidale molto ampia soprattutto
alle distanze medie e profonde. Si dividono in meccanici ed elettronici. Nei meccanici un
motorino miniaturizzato fornisce al cristallo un movimento circolare o di pendolazione di tipo
ritmico. Ogni trasduttore ha un solo cristallo e quindi una sola frequenza e di conseguenza
deve essere cambiato in ragione dell’esame che si vuole eseguire. Queste sonde presentano lo
svantaggio di rompersi facilmente e sono relativamente pesanti. I trasduttori settoriali di tipo
elettronico hanno un fascio ultrasonoro che viene modificato nella sua direzione
elettronicamente eliminando così lo svantaggio dello spostamento meccanico del cristallo
mediante l’attivazione sequenziale e ritardata dei vari cristalli miniaturizzati che determina
l’angolazione del fascio.
I trasduttori di tipo convex sono un compromesso tra i due tipi sopra indicati. Sono i
trasduttori oggi più usati negli esami ecografici addominali ed hanno una finestra acustica
aperta sia a livelli molto superficiali che più profondi.
I trasduttori con cristalli anulari permettono di ottenere un fascio con focalizzazioni a vario
livello, in quanto costituito da cristalli concentrici, ognuno con una focalizzazione caratteristica.
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I trasduttori biplanari, sono utilizzati per lo studio endorettale della prostata e del retto stesso
e permettono di eseguire scansioni su due piani senza spostare la sonda stessa.
Infine esistono le sonde endocavitarie, quali la endovaginale o la endorettale, che consentono
una risoluzione maggiore delle strutture contigue rispetto alle sonde di superficie, ed il cui uso
è largamente diffuso per esempio per la valutazione del grado di infiltrazione neoplastica nello
spessore della parete dei visceri.
Come già detto, l’immagine ultrasonografica è in funzione del tipo di tessuto esaminato:
quando un’onda ultrasonora incontra un’interfaccia che separa due mezzi a struttura diversa,
con densità ed impedenza acustica differenti, parte dell’energia viene riflessa indietro verso il
trasduttore e si otterranno degli echi, e parte si trasmette al mezzo sottostante. Da ciò deriva
che diversa sarà l’immagine, e quindi gli echi che sono usati per la sua interpretazione, in
dipendenza della diversità di tessuti e di interfacce che gli ultrasuoni attraverseranno.
Per questi motivi l’aria e l’osso, per la loro alta reflettività attenuano in superficie la gran parte
dell’energia del fascio producendo, nei tessuti sottostanti, un caratteristico “cono d’ombra” e
quindi sono di ostacolo all’esame ecografico.
Per cui si parlerà di struttura anecogena, cioè priva di echi interni, ed apparirà nera; di
struttura ecogena, e quindi capace di produrre degli echi, ed apparirà bianca, ed ancora,
rispetto ad una struttura di riferimento, di strutture iper-ipo od isoecogene.
Se consideriamo una formazione a contenuto fluido interno, come in una cisti, avremo una
buona trasmissione delle onde e la parte posteriore sarà ben visibile e di colore bianco, mentre
la parte interna apparirà parzialmente anecogene e quindi di colore nero.
Il radiologo cerca sempre, attraverso un opportuno orientamento del trasduttore, di realizzare
una situazione di ortogonalità per ottenere una frazione riflessa massima, ma non sempre è
possibile perché nel tragitto degli ultrasuoni si potrebbero interporre strutture aeree e ossee.
Per questo la pratica ha indotto ad individuare, nello studio di ciascun organo profondo, siti di
accesso non comportanti l’attraversamento delle strutture suddette che prendono il nome di
finestre acustiche. Un esempio è dato dal fegato per il rene destro, o dalla milza per il rene
sinistro, o dalla vescica per l’utero.
Esistono in ecografia tre schemi di rappresentazione del segnale ecografico.
A-MODE: ( modulazione di ampiezza ) il modo più semplice di rappresentare il segnale
ecografico, ossia l’energia ultrasonica riflessa viene evidenziata sottoforma di picchi di
ampiezza proporzionale alla riflessione (oscilloscopio).
B-MODE: la classica immagine ecografica, ovvero la rappresentazione su un monitor
televisivo degli echi provenienti da una sezione del corpo attraversata dal fascio di ultrasuoni.
Ogni eco è rappresentato come un punto luminoso la cui tonalità è direttamente proporzionale
all’intensità dell’eco stesso. Sullo schermo compare l’immagine dell’organo in esame.
TM-MODE: questo tipo di tracciato è molto diffuso in cardiologia è simile all’A-MODE con
la differenza che viene registrato anche il movimento dell’eco. Questo consente di riportare su
diagrammi la dinamica di strutture in rapido movimento.
Lo studio ecografico può essere affiancato da quello Doppler e quindi parleremo di eco-doppler.
Nel Doppler l’onda ultrasonora riflessa da una struttura in movimento ha frequenza minore o
maggiore rispetto a quella dell’onda incidente a seconda che la struttura si muova
allontanandosi o avvicinandosi al trasduttore. Dall’angolo di incidenza e dalla variazione
assoluta di frequenza dell’onda riflessa è possibile calcolare la velocità di movimento della
struttura bersaglio. Nella pratica, quando le misurazioni sono effettuate su vasi sanguigni, le
frequenze riflesse sono distribuite in uno spettro più o meno ampio e sono costituite da suoni
udibili dall’operatore dopo opportuna amplificazione. In questo modo possiamo acquisire
indicazioni sulla presenza, sulla direzione e sul tipo di flusso (arterioso, venoso, laminare,
turbolento) e determinare attraverso appositi programmi di calcolo degli indici per la
caratterizzazione del flusso.
I segnali Doppler possono venir rappresentati in tre modi:
1)
sotto forma di suoni, le cui variazioni in frequenza nel tempo sono
direttamente correlate alla velocità dei globuli rossi nel vaso esplorato;
2)
sotto forma di diagrammi, in grado di rappresentare visivamente le
variazioni di frequenza delle onde ultrasonore nel tempo, la direzione del
flusso ematico esplorato e l’intensità del segnale stesso;
3)
sotto forma di mappe colorate, sovraimposte alla convenzionale immagine
ecotomografica, che rappresentano i parametri di flusso misurati
all’interno del vaso e cioè variazioni di frequenza del segnale, direzione di
flusso, modificazioni temporali.
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Con questa tecnica, pertanto, si evidenziano insieme sia caratteristiche morfologiche del vaso
in esame (mediante l’immagine ecografica) che gli aspetti funzionali dello stesso (le
caratteristiche di flusso al suo interno).
Esistono diversi metodi di campionamento Doppler :
1) Doppler CW (ad onda continua). Si avvale di due gruppi di cristalli, di cui uno emette
continuamente un segnale ultrasonico, mentre l’altro assolve la funzione di ricevere gli echi di
ritorno. Questo tipo di analisi non discrimina la profondità da cui provengono i riflessi ma e’ in
grado di rilevare la presenza di flussi lenti e di piccola entità, e di dare una notevole precisione
circa le misure delle alte velocità.E’ una metodica impiegata nello studio dei flussi nei tronchi
sopraortici, nei vasi periferici arteriosi e venosi.
2) Doppler PW (ad onda pulsata). Si avvale di un trasduttore che funziona alternativamente da
emettitore e da ricevitore, è in grado di discriminare la profondità da cui provengono i riflessi.
3) Doppler HPRF (ad alta ripetizione di impulsi). E’ un doppler ad alta frequenza di ripetizione
di impulsi, che permette di aumentare il limite della massima velocità misurabile, ottenendo
cosi
una riduzione delle “aliasing” (artefatto del PW).
4)Dual Vector Doppler. E’ un doppler che ha sviluppato la metodica del doppler PW.
5)Eco-color-doppler. Tramite macchine sofisticate permette la codificazione dell’immagine
tramite colore rosso se il flusso è diretto verso il trasduttore, blu se si allontana e con una
tonalità di luminosità correlata alla velocità del flusso. Lo studio eco-doppler o eco-colordoppler consente non solo la valutazione del flusso vasale, ma anche lo studio della
vascolarizzazione delle lesioni focali.
6)Power Doppler. E’ una metodica che analizza l’intensità delle frequenze doppler. Tale
metodica è sensibile nel rilevare la presenza di minimi flussi ma presenta lo svantaggio di non
fornire informazioni sulla direzione del flusso stesso.
Quindi e tecniche Doppler sono anch’esse basate sull’utilizzo di fasci di ultrasuoni. Invece di
analizzare posizione spaziale ed intensità delle riflessioni del fascio al fine di costruire
immagini, queste valutano le variazioni in frequenza che il fascio subisce al momento in cui
incontra una struttura in movimento; specificatamente, i globuli rossi all’interno dei vasi.
Il medico specialista radiologo ha, per cultura e bagaglio professionale, la capacità di utilizzare
plurime e diverse tecniche di indagine per esaminare i propri pazienti. Ha obbligo di legge di
valutare la congruità della richiesta di esame inviatagli dal medico curante e di scegliere, a
fronte della stessa, gli strumenti più idonei a rispondere al quesito clinico postogli, tenendo in
primo luogo conto della necessità di utilizzare, se clinicamente appropriate e indicate, le
tecniche di indagine che non impiegano radiazioni ionizzanti.
I vantaggi dell’ecografia sono:
1. basso costo di acquisizione e manutenzione della apparecchiatura
2. maneggevolezza nel trasporto ed ubiquitarietà1
3. non invasività
4. mancata esposizione a radiazioni
5. possibilità d’uso in bambini e donne gravide
6. visione dinamica delle strutture in esame
7. possibilità di esecuzione di biopsia mirata
I limiti sono:
1. metodica operatore-dipendente
2. impossibilità del fascio ultrasonografico ad attraversare strutture contenenti aria
(polmone) od ossa
3. dipendenza della risoluzione dell’immagine dalla profondità (in un obeso la qualità
dell’immagine non è ottimale), dalla collaborazione del paziente, da una adeguata
preparazione
4. difficoltà nell’esaminare pazienti nell’immediato post-operatorio per la presenza di
drenaggi e medicazioni
5. campo di vista ridotto con difficoltà nello studio di masse voluminose.
DOMANDE
Che cosa sono gli ultrasuoni?
Come si generano gli ultrasuoni in ecografia?
Quali sono i componenti dell’apparecchio ecografici?
In quanti modi si può rappresentare l’immagine ecografica?
Che cos’è un trasduttore?
Che cos’è uno scan converter?
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Qual è la velocità di propagazione degli ultrasuoni?
Quali sono le interazioni degli ultrasuoni con la materia vivente?
Cosa si intende per riflessione?
Cosa si intende per rifrazione?
Quando si ottiene la diffusione?
A cosa è dovuto l’assorbimento?
Cosa condiziona la attenuazione?
Come funzione la sonda ecografia?
Per quale motivo è possibile cambiare la frequenza di una sonda?
Come si ottiene l’immagine ecografia?
Che significato hanno il colore nero e bianco in ecografia?
L’ecografia offre una visione statica o dinamica delle strutture in esame?
Quali tessuti non possono essere esaminati in ecografia?
Come appare una cisti in ecografia?
Che cos’è l’effetto piezoelettrico inverso?
Che cos’è l’effetto piezoelettrico diretto?
Che cos’è una finestra acustica?
Un esempio di finestra acustica.
Quali sono i vantaggi dell’ecografia?
Quali sono i limiti dell’ecografia?
Come viene rappresentato il segnale ecografici in A-Mode?
Come viene rappresentato il segnale ecografici in B-Mode?
Come viene rappresentato il segnale ecografici in TM-Mode?
Che cos’è l’effetto doppler?
Cos’è una sonda lineare?
Cos’è una sonda convex?
Cos’è una sonda settoriale?
Cos’è una sonda endovaginale?
Cos’è una sonda biplanare?
Cos’è una sonda anulare?
Cos’è una sonda endocavitaria?
Cos’è il doppler CW?
Cos’è il doppler PW?
Cos’e il doppler HPRF?
Cos’è il doppler DVD?
Esistono Mdc ad uso ecografico?
Che cos’è l’eco-color-doppler?
Cos’è il Power Doppler?
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Formazione dell’immagine in risonanza magnetica
RISONANZA MAGNETICA
Un tomografo a risonanza magnetica è un sistema complesso, composto da
1. magnete
2. sistema di radiofrequenze
3. sistema informatico di elaborazione.
Il compito principale del magnete è di produrre un campo statico che serve a differenziare i
livelli energetici degli spin in modo da renderli suscettibili al processo di eccitazione e capaci di
produrre un segnale.
Essi si distinguono secondo:
1. caratteristiche del campo magnetico.
2. tipo di magnete
3. intensità del campo generato
4. criteri funzionali
5. geometria del magnete.
Le caratteristiche di un campo generato dal magnete sono:
1. l’intensità
2. l’omogeneità
3. la stabilità.
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Secondo il tipo si distinguono magneti:
1. permanenti
2. resistivi
3. ibridi
4. superconduttivi.
I magneti permanenti generano un campo magnetico grazie alle proprietà magnetiche dei
materiali di cui sono costituiti (ferrite o leghe a base di terre rare). Tali metalli vengono
disposti in modo da costituire un campo magnetico che risulti confinato entro un’area il più
possibile delimitata. I valori tipici di intensità di questi magneti sono compresi di solito tra 0.1T
e 0.3T. I limiti intrinseci di questo tipo di magnete sono il peso notevole, una certa instabilità
termica e una non perfetta uniformità del campo.
I magneti resistivi sono elettromagneti. Conformando dei tubi di rame in modo da creare una
sfera, il passaggio della corrente al loro interno crea un campo magnetico che si localizza al
centro della sfera stessa. A causa della notevole produzione di calore si rende necessario il
raffreddamento con acqua. Questi magneti sono capaci di produrre intensità di campo fino a
0.15 Tesla.
I magneti ibridi combinano i principi su cui si basano i magneti resistivi e permanenti. I poli del
magnete permanente vengono avvolti da spire di rame nelle quali viene indotta una corrente
elettrica. Il campo magnetico da essa generato va ad incrementare il campo del magnete
permanente.
I magneti superconduttivi sono costituiti da avvolgimento di materiale superconduttore, ossia
una lega metallica, la cui resistenza elettrica si azzera a basse temperature. Un
superconduttore perfetto può trasportare una corrente elettrica senza dispersioni. In RM si
utilizzano comunemente conduttori in Titanio-Niobio all’interno di un grosso avvolgimento di
rame il cui raffreddamento è ottenuto con elio liquido a circa –268 C°, contenuto in speciali
contenitori con un’intercapedine in cui viene fatto il vuoto. Questi magneti hanno di solito
intensità comprese fra 0,5-1,5 Tesla.
Secondo il criterio funzionale, i sistemi RM si distinguono in sistemi a corpo intero, che
consentono di esaminare tutti i distretti corporei, e sistemi dedicati, per lo studio di uno
specifico distretto.
Secondo la geometria, possono essere classificati in sistemi a magnete chiuso o aperto.
I primi possono avere un tunnel lungo, di tipo tradizionale, o più corto, detti “short-bore”, con
magnete più compatto e svasato verso l’esterno, per ridurre la sensazione di claustrofobia e
consentire l’accesso anche a pazienti obesi.
I secondi, a magnete aperto, innovativi, hanno forma di C, resistivi o permanenti, o forma di
tempietto, permanenti o superconduttivi, riducono al minimo la sensazione di claustrofobia,
consentono manovre chirurgiche ma sono attualmente limitati a campi medi-bassi.
Il sistema di radiofrequenza invia gli impulsi necessari alla formazione del campo H nonché
riceve e trasmette il segnale al sistema di elaborazione dati.
Esso è costituito da:
1. emettitore di impulsi o trasmettitore radio
2. antenna o bobina RF (in base alla zona corporea da esaminare si distinguono antennacorpo, antenna-testa, antenna di superficie)
3. ricevitore.
Il sistema informatico di elaborazione dati elabora, presenta e memorizza i dati acquisiti; la
consolle di studio non è più solo un banco di comando ma un centro di refertazione, con
capacità evolute di presentazione, confronto e correlazione di immagini.
Il fenomeno della risonanza magnetica (RM) fu evidenziato già nel 1946 da Felix Bloch a
Stanford e da Edward M. Purcell a Harvard, ai quali fu conferito nel 1952 il Premio Nobel per la
Fisica. La RM si basa sul principio, come il nome suggerisce, che alcuni nuclei atomici sono in
grado di “risuonare” ossia di assorbire e successivamente cedere energia se sottoposti
all’azione di campi magnetici.
Alla base del fenomeno RM c’è il fatto che alcuni nuclei atomici come H1, P31, C13, ed altri,
possiedono uno spin intrinseco, ovvero essi ruotano sul proprio asse generando un campo
magnetico detto momento magnetico nucleare. In definitiva possono essere considerati dei
dipoli che sono normalmente orientati casualmente ma che se sottoposti all’azione esterna di
un campo magnetico si allineano secondo la direzione di quest’ultimo. Una condizione di
equilibrio è rappresentata dai nuclei di idrogeno costituenti i tessuti biologici nel corpo umano:
nel momento in cui si interviene disturbando tale condizione tramite una opportuna
radiofrequenza avremo una data risposta dei nostri nuclei di idrogeno che al termine della
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applicazione della radiofrequenza rilasceranno l’energia assorbita sotto forma di radiazione
elettromagnetica della stessa lunghezza d’onda della radiofrequenza di disturbo.
Il riassestamento del nucleo rilascia un segnale, che verrà utilizzato in seguito per
l’elaborazione dell’immagine RM. con una tecnica di ricostruzione analoga a quella della TC
L’immagine RM è formata dalla elaborazione di un segnale elettrico ottenuto dalla captazione
delle variazioni di campo magnetico generate dal moto di processione degli spin del campione.
Il segnale RM da interpretare non è legato alla densità fisica delle strutture in esame, come
nella TC, ma è funzione di molteplici parametri (densità protonica, tempi di rilassamento T1 e
T2) e l’operatore può scegliere tra le diverse procedure di indagine – le cosiddette “ sequenze
di impulsi - a seconda del parametro da esaminare. Le sequenze più comunemente impiegate
sono:
1. Spin-Echo (SE) multi-echo
2. Inversion-Recovery (IR)
3. Tecniche di Echo-Gradient (EG)
I fattori che influenzano l’immagine sono:
1. Rapporto segnale/rumore
2. Intensità del campo magnetico
3. Dimensione della matrice
4. Numero di rilevamenti del segnale
5. Lo spessore dello strato
6. Tempo dell’esecuzione dell’esame
L’intensità del segnale è funzione di specifici tessuti, della loro densità e dell’ambiente chimico
che li circonda. I tessuti che appariranno più chiari saranno iperintensi, mentre se il segnale
determinerà un’immagine più scura allora si parlerà di segnale ipointenso, mentre un segnale
intermedio tra le due situazioni estreme sopra indicate, sarà definito isointenso.
Non vi è differenza di qualità fra i campi magnetici prodotti da magneti di diverso tipo; variano
invece i valori dei parametri di caratterizzazione del campo, cioè l’intensità e la omogeneità.
L’intensità di campo è direttamente proporzionale alla capacità di far risuonare i protoni di
idrogeno presenti nel corpo umano: maggiore è l’intensità, maggiore il numero di protoni che
si allineano nella direzione del campo magnetico statico.
La intensità di un campo magnetico viene misurata in Tesla (m-Kg-s) che corrisponde a 10000
Gauss (cm-g-s). 1 Tesla è pari a 20000 volte l’intensità del campo magnetico terreste. Nei
sistemi attualmente commercializzati, le più comuni intensità di campo sono di 0.3, 0.5, 1.0, e
1.5 Tesla; i magneti di 1.0 Tesla o maggiori sono definiti a “alta intensità di campo” mentre
quelli inferiori a 1.0 Tesla, sono definiti a “bassa intensità di campo”. Apparecchiature con
campi d intensità maggiore, 3 Tesla, non sono ancora autorizzati per l’attività clinica e riservati
alla ricerca.
In risonanza si parla di immagini T1 e T2 pesate che sono rappresentative delle caratteristiche
fisiche dei tessuti sottoposti a determinate radiofrequenze a determinati intervalli di tempo.
Tessuti differenti hanno diverse proprietà T1 e T2, basate sulla risposta dei loro nuclei di
idrogeno agli impulsi di radiofrequenza del magnete. Queste differenti proprietà sono usate per
stabilire dei parametri (TR e TE) che saranno caratteristici delle immagini in T1 e T2. Il TR
rappresenta l’intervallo di tempo degli impulsi somministrati, TE rappresenta l’intervallo di
tempo tra la somministrazione dell’impulso e la ricezione (l’eco) dello stesso; entrambi
vengono espressi in millisecondi (ms). I parametri che tengono conto delle proprietà in T1 e T2
saranno caratteristici delle immagini a “densità protonica”.
Per esempio, il comportamento del grasso e dell’acqua è opposto nelle immagini T1 e T2
pesate: il grasso è iperintenso nelle immagini T1-pesate e lo è di meno nelle immagini T2pesate, l’acqua invece è ipointensa nelle immagini T1-pesate ed iperintensa nelle immagini T2pesate. Questi principi sono importanti da ricordare perché la maggior parte dei processi
patologici sono associati ad un incremento del contenuto di acqua e quindi appariranno
iperintensi nelle immagini T2-pesate ed ipointensi nelle T1-pesate. Può aiutare ricordare World
War II che sta per water is white in T2 e quindi l’acqua è bianca in T2.
Ma anche altri tessuti sono chiari nelle immagini T1-pesate come i prodotti degradati del
sangue (la metaemoglobina nelle emorragie subacute), il materiale proteico, la melanina ed il
gadolinio (mezzo di contrasto usato in RM). Appaiono invece scuri nelle immagini T2-pesate il
calcio, i gas, gli esiti remoti di emorragie (emosiderina) ed i tessuti fibrosi.
Grazie a questo differente comportamento che il sangue ha in una emorragia, è possibile fare
considerazioni, per altro approssimative, circa la datazione della stessa: un’emorragia in fase
acuta (ossi e desossiemoglobina) è ipointensa o isointensa nelle immagini T1-pesate, diviene
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iperintensa in fase subacuta ed infine ipointensa in tutte le sequenze per la presenza di
depositi di emosiderina nell’ematoma cronico.
Si può usare per uno studio mirato anche una sequenza “fat suppression”. Infatti molti
processi patologici sono associati ad un aumento del contenuto di acqua e quindi nelle
immagini T2-pesate appariranno chiari, ma il grasso rimane anch’esso chiaro nelle immagini
T2-pesate e per questo potrebbe mascherare il segnale patologico. Per questo la “fat
suppression” serve per meglio evidenziare il segnale patologico in T2. Queste tecniche sono
anche utili negli esami con somministrazione endovenosa di contrasto, nelle quali le immagini
postcontrasto solo solitamente T1-pesate e l’enhancement dei tessuti potrebbe essere
apprezzato con difficoltà, particolarmente per le anormalità adiacenti al grasso epidurale o
sottocutaneo.
Per stabilire se una immagine è T1 o T2-pesata dobbiamo guardare il TE ed il TR. I TE bassi
sono circa 20 ms e quelli alti circa 80 ms; i TR bassi sono circa 600 ms, e gli alti sono circa
3000 ms. Le immagini T1-pesate avranno dunque basso TE e basso TR, mentre se TR e TE
sono alti l’immagine sarà T2-pesata; infine bassi TE ed alti TR sono utilizzati nelle immagini a
densità protonica.
L’angioRM (MRA), permette lo studio esclusivo dei vasi. Saranno visualizzate solo le immagini
dei vasi mentre le immagini delle altre strutture saranno soppresse e si può ulteriormente
selezionare lo studio in base alla direzione del flusso e quindi studiare arterie e vene. Questa
modalità d’esame RM è utile per valutare i pazienti con sospetto interessamento da parte di
processi cerebrovascolari (circolo di Willis e carotide) ed anche per lo studio di trombosi dei
vasi venosi profondi.
Anni addietro le vie biliari vengono esaminate soprattutto con l’esame colecistografico o
colangiografico. Dal 1980 la disponibilità degli US, della TC, e più recentemente ancora, dalla
fine degli anni 90, della ColangioRM, ha progressivamente ridotto il ricorso a queste prime due
indagini, al punto tale che oggi Mdc colangiografico non è più disponibile sul mercato per la
riduzione del profitto delle industrie che lo producevano. La colangioRM consente una ottima
visualizzazione delle vie biliari intra ed extraepatiche ed ha oggi del tutto sostituito l’esame
radiologico tradizionale dell’albero biliare.
Di pari passo si sono andate diffondendo nel uso clinico altre due metodiche di indagine: la PTC
(Colangiografia Percutanea Transepatica) ed l’ERCP (Colangio- Pancreatografia-Retrograda per
via Endoscopica ). La PTC si pratica iniettando, mediante un ago sottile attraverso la cute, un
Mdc iodato idrosolubile direttamente nella via biliare che deve essere sufficientemente dilatata.
Quindi per poter procedere ad una richiesta di PTC è necessario accertarsi di questa
condizione, magari con un controllo ecografico o da un alto valore di bilirubina diretta. Trova
indicazione elettiva nello studio degli itteri ostruttivi, soprattutto per lo studio del tratto a
monte della stenosi oppure può assumere un ruolo terapeutico consentendo la derivazione
esterna della bile (drenaggio esterno).
Nell’ERCP, dopo aver introdotto un catetere nella papilla di Vater raggiunta per via
endoscopica, si inietta il mezzo di contrasto iodato idrosolubile sotto controllo scopico, in modo
da opacizzare selettivamente sia la via biliare principale che il dotto di Wirsung. Le principali
indicazioni sono rappresentate dall’ittero colostatico persistente, stenosi della via biliare,
tumori dell’epato-coledoco, visualizzazione del tratto a valle della stenosi biliare. Svolge anche
un ruolo terapeutico quando dopo l’indagine radiografica viene condotto anche una
sfinterotomia o l’estrazione di un calcolo incuneato nella via biliare; consente, posizionando un
drenaggio nella via biliare, la derivazione interna della bile (drenaggio interno).
La R.M. Funzionale Cerebrale (fMRI) consente l’individuazione di quali strutture encefaliche
siano state attivate da una stimolazione sensomotoria o cognitiva, rilevando piccole variazioni
dell’ossigenazione ematica che si producono con le modificazioni del flusso ematico locoregionale indotte dall’attivazione cerebrale.
I vantaggi della RM rispetto alla TC sono: l’uso di radiazioni non ionizzanti, la possibilità di
acquisizione di immagini multiplanari (assiali, coronali, sagittali, oblique), ottimi dettagli
anatomici, una maggiore sensibilità nello studio delle alterazioni tissutali, capacità di
discriminare tra vari tessuti in base all’intensità del segnale, migliore contrasto di tessuti
rispetto alla TC.
I vantaggi della TC rispetto alla RM sono: migliore valutazione di calcificazioni e anomalie di
ossificazione dei muscoli, esame di prima istanza nello studio del torace, addome ed organi
pelvici, indagine meno costosa, più veloce nell’esecuzione, senza disturbi nei claustrofobici.
Per le donne gravide la MR viene riservata alle emergenze (es: compressione del cordone
spinale) poiché non è stato completamente dimostrato se il feto, sottoposto ad intensi campi
magnetici, subisce o meno danni, soprattutto nel primo trimestre della gravidanza.
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Le controindicazioni all’esecuzione di una risonanza sono determinate dalla presenza di
dispositivi e materiali suscettibili di movimento o di danneggiamento da parte di campi
elettromagnetici: pacemakers cardiaci, impianti cocleari o altri dispositivi di biostimolazione,
alcune valvole cardiache, clips aneurismatiche nel cervello, frammenti o schegge metalliche
(periorbitali), fissatori vertebrali, etc.
La potenza dei campi magnetici potrebbero interferire con l’operatività di tali dispositivi.
Per tali motivi è necessario che il radiologo raccolta una accurata anamnesi prima dell’indagine
RM e che escluda dall’indagine i pazienti con queste controindicazioni. Nei pazienti operati è
necessario che il paziente esibisca una attestazione del chirurgo che dichiari sia stato usato
materiale amagnetico.
Inoltre è indispensabile un avviso di avvertimento sia posizionato vicino alla stanza del
magnete sia nell’area esterna contigua; inoltre è necessario che tale area non sia percorsa né
da pedoni né da traffico di veicoli, perché movimenti di masse metalliche in ferro (ascensori,
macchine, camion, muletti) potrebbero perturbare il campo magnetico e modificarne
l’omogeneità.
Il campo magnetico della RM può smagnetizzare, rendendo inutilizzabili, carte di credito,
bancomat o altre tessere magnetiche, nastri magnetici usati per il sistema di archiviazione per
immagini, orologi analogici.
La maggior parte dell’acciaio inossidabile non è magnetico e pertanto può essere utilizzato con
tranquillità vicino al magnete, ma non tutto l’acciaio inossidabile è sicuro. Aspirapolvere,
carrelli, secchi od altri oggetti metallici non dovrebbero essere introdotti all’interno della stanza
RM
Addirittura anche i percorsi di evacuazione in caso di emergenza (fuoco,terremoto) devono
essere disegnati tenendo presente che in tali evenienze non si passi nelle vicinanze della
stanza RM.
DOMANDE
Che significa Risonanza Magnetica?
Quali sono le 3 caratteristiche di un campo magnetico?
Quali sono i valori tipici di intensità di un magnete permanente?
Quali sono i valori tipici di intensità di un magnete resistivo?
Quali sono i valori tipici di intensità di un magnete superconduttivo?
Come si distinguono i magneti secondo il tipo?
Come si distinguono i magneti secondo un criterio funzionale?
Come si distinguono i magneti secondo la geometria?
Che cos’è il momento magnetico nucleare?
Qual è il principio alla base della Risonanza Magnetica?
Com’è composta una RM?
Come si forma l’immagine RM?
Quali sono i fattori che influenzano l’immagine RM?
Che cosa si intende per segnale in Risonanza Magnetica?
Che cos’è l’intensità di segnale?
Che cosa significa iperintenso, ipointenso e isointenso?
Qual è l’unità di misura dei campi magnetici?
Che differenza esiste tra magneti ad alta e bassa intensità di campo?
Che cosa sono le immagini T1 e T2 pesate?
Che cosa sono il TR ed TE?
Che cosa sono le immagini a densità protonica?
Come appaiono acqua e grasso nelle immagini T1 e T2 pesate?
Quali altri tessuti appaiono bianchi (iperintensi) nelle immagini T1-pesate?
Quali sono i tessuti che appaiono scuri (ipointenso) nelle immagini T2-pesate?
Come si comporta un’emorragia nei suoi vari stadi nelle varie sequenze?
Quali sono i range in ms del TE e del TR?
Che TE e TR hanno le immagini T1 e T2 pesate e quelle a densità protonica?
Che cos’è l’angiografia RM?
Cosa ci permette di studiare l’angiografia RM?
Cosa ci permette di studiare la colangio RM?
Quali sono i vantaggi della RM rispetto alla TC?
Quali sono i vantaggi della TC rispetto alla RM?
Può essere usata la RM in una donna gravida?
Quali sono le controindicazioni per l’esecuzione di una RM?
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Che cos’è la fat suppression?
In quali casi è usata la fat suppression?
Quali sono i vantaggi di una RM aperta?
Quali sono i limiti di una RM aperta?
Cos’è la colangiografia RM?
Cos’è un drenaggio biliare interno?
Cos’è un drenaggio biliare esterno?
Quali sono oggi le metodiche di studio delle vie biliari?
Cos’è la PTC?
Cos’è l’ERCP?
Cos’è la RM funzionale cerebrale?
Cos’è la RM aperta?
Cos’è la RM short-bore?
Perché è necessario schemare un campo magnetico?
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Caratteristiche chimiche e farmacologiche dei mezzi di contrasto
I MEZZI DI CONTRASTO
In DxI, per esaltare il contrasto fra i diversi componenti del tessuto, si fa ricorso all’uso di
mezzi di contrasto (Mdc).
Essi si distinguono in tre classi principali in base al loro impiego:
per metodiche che utilizzano raggi X
per metodiche che utilizzano ultrasuoni
per metodiche che utilizzano campi magnetici.
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Contrasto naturale e contrasto artificiale
MDC PER RAGGI X
Si può distinguere una “contrastografia naturale” ed “artificiale.”.
Agli inizi la radiologia sfruttava unicamente le diverse capacità di assorbimento dei diversi
tessuti, utilizzando la contrastografia naturale.
In effetti i tessuti organici, ad esclusione dell’osso, anche se presentano composizione chimica
e funzionalità diversa, presentano densità ai raggi X non molto dissimili e di conseguenza una
radiopacità che non consente una buona differenziazione all’esame diretto radiografico; l’osso,
invece, costituito quasi esclusivamente da calcio, con numero atomico elevato, offre una valida
barriera al passaggio dei raggi X e quindi si differenzia facilmente dai tessuti molli circostanti.
La limitazione della scarsa risoluzione di contrasto della contrastografia naturale indusse allo
ricerca ed all’introduzione di sostanze che potessero modificare, quando immesse
nell’organismo, l’assorbimento dei raggi X e quindi permettere la differenziazione di alcuni
organi rispetto ad altri contigui. Queste sostanze, a cui è stato dato il nome di Mdc, hanno dato
inizio alla contrastografia artificiale.
Oggi, in radiologia vengono usati Mdc fondamentalmente per due scopi:
per opacizzare alcune strutture, quali ad esempio tubo digerente, vasi ed emuntorio renale,
per osservare il loro decorso o contenuto (es. difetti di riempimento, anormalità del contorno,
ecc.)
per esaltare il contrasto fra tessuto normale e patologico (es. tumori, infiammazioni, ecc.)
sfruttando il diverso incremento di densità dopo l’iniezione del Mdc endovena, altrimenti non
apprezzabile
I Mdc possono presentare un assorbimento inferiore o superiore rispetto agli organi in cui
vengono introdotti, e quindi vengono distinti in “negativi” e” positivi”.
I Mdc negativi o radiotrasparenti sono fondamentalmente riconducibili alle sostanze gassose
quali 02 e CO2 che hanno densità e numero atomico bassi. Esempi del loro uso sono la
radiografia del torace, eseguita in inspirazione profonda, che permette l’inalazione di una
maggiore quantità di aria che così distende gli alveoli ed il polmone diviene più trasparente ai
raggi X, e nel corso degli esami a doppio contrasto del tubo gastroenterico.
I Mdc positivi o radioopachi posseggono un elevato numero atomico determinando così una
minore penetrabilità dei raggi X attraverso gli organi in cui vengono introdotti. Le
caratteristiche richieste ad un buon Mdc radioopaco sono, oltre ad un elevato numero atomico,
una buona tollerabilità, l’assenza di azione farmacologia ed una rapida e totale eliminazione.
Essi possono essere divisi in baritati (contenenti BaSO4) e iodati (liposolubili ed idrosolubili).
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Il BaSO4 fu introdotto nel 1911 ed il suo impiego è limitato alla diagnostica gastroenterologica.
Questo, a differenza degli altri sali di bario, è insolubile nell’acqua e nei liquidi organici e
quindi, quando viene ingerito od introdotto per via rettale o attraverso un sondino nasodiguinale nel tubo digerente, non è assorbito ed è, perciò, facilmente eliminato. Esso possiede
una elevata radioopacità, una buona tollerabilità, una assente azione farmacologica ed una
rapida e totale eliminazione, ad eccezione in casi in cui, usato nei pazienti anziani, può indurre
una transitoria costipazione. Il BaSO4 deve essere puro e non misto ad altri sali altrimenti
potrebbe essere assorbito e quindi diventare tossico. Già dal 1924 Vallebona introdusse, per lo
studio dello stomaco, l’uso contemporaneo alla sospensione baritata disposta sulle pareti di
sostanze gassose per distendere i visceri, dando l’avvio alla metodica detta a “doppio
contrasto”. Questa metodica, ripresa poi e perfezionata negli anni ’80 da ricercatori giapponesi,
è un esempio di associazione di Mdc positivi e negativi.
Prima di essa, lo studio baritato delle vie digestive veniva condotto a calco, cioè ottenendo
delle immagini di riempimento del viscere (stomaco, duodeno, ecc.) che mostravano solo
un’impronta di “plus” o di “minus”. La metodica a doppio contrasto, cioè con l’uso di due
contrasti, uno radiotrasparente, in genere aria, che offre la distensione del viscere, ed uno
radiopaco, una sospensione baritata con peculiari caratteristiche, consente di evidenziare i più
fini rilievi di superficie, con una visione finale quasi tridimensionale del viscere. La sospensione
baritata deve avere una appropriata micronizzazione e devono essere presenti alcuni additivi.
Per micronizzazione si intende l’uniformizzazione delle particelle di bario solfato (circa 1
micron), mentre le sostanze additive servono ad evitare la sedimentazione, la flocculazione, la
formazione di schiuma del bario solfato ed a migliorare l’adesività.
L’uso del bario è controindicato nel sospetto di perforazione poiché il bario indurrebbe una
peritonite chimica e causando aderenze secondarie successive: in questi casi deve essere
somministrato Mdc iodato idrosolubile, benché rispetto al bario abbia una minore capacità di
creare contrasto e non permette ovviamente l’esecuzione di un esame a doppio contrasto.
Questo Mdc iodato idrosolubile è a sua volta controindicato nei pazienti con anamnesi positiva
per reazioni allergiche ai Mdc iodati e nei pazienti a rischio di aspirazione, nei quali il mezzo di
contrasto iodato aspirato potrebbe provocare edema polmonare e polmoniti chimiche.
Lo studio radiologico del tubo digerente viene solitamente distinto in studio delle prime vie
digestive, che comprende l’esofago, lo stomaco ed il duodeno, del piccolo intestino, che
comprende il digiuno e l’ileo, e del grosso intestino.
L’indagine radiologica delle prime vie digestive può essere condotta per lo studio dei disordini
funzionali, impiegando una pasta baritata ed osservando in scopia e video-registrando il
transito, o per la ricerca di lesioni organiche, come diverticoli, esofagiti, varici, ulcere, stenosi e
tumori, utilizzando la metodica a doppio contrasto.
Lo studio radiologico dell’intestino tenue viene condotto con il clisma seriato o il clisma a
doppio contrasto.
Nel primo il paziente beve 500-700 ml di bario solfato e successivamente vengono acquisisti,
circa ogni quarto d’ora, radiogrammi panoramici o mirati su un gruppo di anse, qualora ci sia
un sospetto. Questa metodica presenta degli inconvenienti per la facile flocculazione, la
frammentazione e segmentazione del Mdc e per l’esposizione del paziente ad una dose
eccessiva di radiazioni.
Per l’esecuzione di un clisma del tenue a doppio contrasto, o enteroclisma, è necessario che il
tenue sia completamente deterso. Tra i vari purganti, oggi il più diffuso è una soluzione
isotonica di 3-4 litri da ingerire il giorno prima. Il Mdc baritato viene somministrato
direttamente nel piccolo intestino dopo aver posizionato un sondino naso-duodenale oltre il
Trietz. Dopo il bario, che vernicia la mucosa del tenue, viene introdotto aria o metilcellulosa,
per ottenere l’effetto a doppio contrasto.
L’indagine è più invasiva ma presenta maggiore sensibilità. I vantaggi del clisma del tenue
sono: una panoramicità dell’intero intestino, un’ottimale distensione delle anse, la possibilità di
esplorare le anse sovrapposte grazie alla loro trasparenza, la visione diretta delle strutture
anatomiche e patologiche.
Le indicazioni all’esecuzione di un clisma del tenue a doppio contrasto sono: sospette
ostruzioni, la ricerca di lesioni alla base di un sanguinamento, le possibili cause di una diarrea
o di un malassorbimento, possibili tumori, eventuali localizzazioni di un Crohn.
Per lo studio radiologico del colon o grosso intestino si esegue il clisma a doppio contrasto.
Le indicazioni per la sua esecuzione sono: la valutazione di sanguinamenti gastrointestinali,
sospetti cancri o polipi, diverticoli, ostruzioni coliche, malattie infiammatorie dell’intestino,
impossibilità di esecuzione di una pancoloscopia.
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Il colon deve essere completamente deterso: anche per il colon si usa la stessa soluzione
isotonica di 3-4 litri il giorno prima dell’indagine, come per il tenue.
Viene introdotta una sonda rettale facendo defluire circa 500 ml di sospensione baritata nel
colon, che dopo aver verniciato la mucosa, con tecnica di sifonaggio si fa riuscire. Quindi si
insuffla aria fino ad ottenere un doppio contrasto dell’ultima ansa ileale.
In età pediatrica il clisma del colon può svolgere oltre un ruolo diagnostico anche terapeutico in
caso di intussuscezione colo-colica od ileo-colica che può risolversi con spinta della colonna
baritata.
I Mdc iodati si distinguono in lipo od idrosolubili.
I Mdc iodati liposolubili sono degli oli iodati nei quali lo iodio è legato ad acidi grassi insaturi di
oli vegetali; sono sostanze insolubili in acqua e nei liquidi organici e pertanto non possono
essere impiegati endovena ed endoarteria ed il loro uso si limita alle indagini linfografiche,
broncografiche, mielografiche ed isterosalpingografiche, tutte oggi di raro impiego clinico, ad
eccezione della prima che ancora viene condotta in centri specialistici di riferimento. Per
eseguire una linfografia, occorre dapprima identificare il vaso linfatico iniettando sottocute del
blu di metilene che lo renderà visibile, poi incannulato il vaso con aghi molto sottili, iniettare il
mdc a lenta velocità per non romperne le pareti, utilizzando uno specifico iniettore a bassa
pressione e portata.
I Mdc iodati idrosolubili rappresentano la grande maggioranza di tutti i contrasti iodati e
vengono usati in indagini quali lo studio delle vie biliari ed urinarie, lo studio vascolare e delle
cavità cardiache, l’artrografia, la mielografie e le indagini TC. Anche qui come nel caso dei Mdc
iodati liposolubili, l’elevata radiopacità dipende dall’elevato numero atomico che possiede lo
iodio (Z=53).
I Mdc iodati idrosolubili si distinguono in ionici e non-ionici.
I Mdc idrosolubili ionici, o ad elevata osmolarità, sono composti da sali che si dissociano in
cationi ed anioni; l’osmolarità risultante è cinque volte maggiore del sangue, in conseguenza
del non favorevole rapporto (3:2) tra atomi di iodio e particelle osmolarmente attive, l’anione
triiodato ed il catione. L’iperosmolarità induce scambi idrici fluido/fluido e cellula/fluido, turbe
emodinamiche,
alterazioni
delle
cellule
ematiche,
danno
endoteliale
capillare,
permeabilizzazione della barriera ematoencefalica.
I Mdc idrosolubili non ionici, o a bassa osmolarità, presentano un rapporto iodio/particelle di
3:1 e sono composti da monomeri che non sono sali e che non si dissociano; hanno quindi una
osmolarità più che dimezzata rispetto ai Mdc ionici, pari a circa due volte quella del sangue,
per la costituzione di legami intermolecolari che riducono il numero di particelle osmolarmente
attive effettivamente presenti in soluzione.
L’uso dei Mdc di tipo non ionico presenta, dunque, alcuni vantaggi rispetto a quelli di tipo
ionico; infatti la somministrazione dei primi è seguita da minori effetti collaterali rispetto ai
secondi, è di ottimale impiego in pazienti atopici in cui l’iperosmolarità può indurre una
reazione allergica, risulta indispensabile in campo neuroradiologico, per la necessità di
immetterli nello spazio subaracnoideo particolarmente reattivo a stimoli iperosmolari, e sono
meno nefrotossici nei pazienti con insufficienza renale ed hanno una migliore tollerabilità
locale.
Al contrario gli svantaggi connessi all’uso dei Mdc non ionici rispetto a quelli ionici, sono:
il prezzo elevato dei Mdc non ionici, pari oggi a circa 5-10 volte quello dei Mdc ionici, e
l’alta attività anticoagulante dei Mdc ionici, che assume rilevanza nelle manovre invasive
vascolari.
Quindi, oggi, i Mdc ionici sono usati di routine, mentre i non ionici vengono riservati ad alcune
categorie: pazienti con anamnesi di reazione allergica, di asma, di allergia, con funzione
cardiaca e/o respiratoria compromessa, con insufficienza renale, e nei bambini.
La quantità di Mdc iodato somministrato in un esame contrastografico è di solito pari ad
1cc/Kg.
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Effetti collaterali e reazioni avverse dei mezzi di contrasto
L’incidenza di reazioni avverse per l’uso di Mdc è di circa il 5-12 % per quelli ionici e del 1-3 %
con quelli non-ionici.
Esse possono essere di tre tipi :
1. idiosincrasia
2. non idiosincrasia
3. reazioni locali.
La reazione idiosincrasia, detta anche anafilattoide, viene così definita perché i meccanismi
patogenetici che sono alla base non sono conosciuti, risultano dunque reazioni imprevedibili,
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anche se alcune condizioni ne aumentano il rischio. L’eziologia è probabilmente multifattoriale ,
coinvolgendo il rilascio di serotonina ed istamina, con conseguente aumento della permeabilità
capillare e la broncocostrizione per la contrazione delle fibrocellule muscolari lisce dell’albero
bronchiale. Sono incluse nelle reazioni anafilattoidi l’orticaria, l’edema facciale e della laringe,
il broncospasmo, l’ipotensione, ed altre reazioni che possono minacciare la vita del paziente.
Le reazioni non-idiosincrasiche sono quelle che hanno un effetto diretto su di un organo come
la possibile nefrotossicità, l’aritmia cardiaca, l’ischemia miocardia, la reazione vaso-vagale.
Le reazioni locali sono dovute allo stravaso del Mdc dai vasi nei tessuti molli circostanti e sono
nella maggior parte dei casi assimilabili a necrosi locali.Questo tipo di reazioni è più frequente
con l’uso dei Mdc di tipo ionico. Altri tipi di reazione locale sono le flebiti secondarie al danno
endoteliale procurato dal Mdc.
La maggior parte delle reazioni si hanno nell’arco di 20 minuti dalla somministrazione del Mdc.
Le reazioni di tipo ritardato invece sono rare e di solito non richiedono un trattamento
terapeutico.
Le reazioni al Mdc possono essere distinte in lievi, moderate e severe.
Le lievi non richiedono terapia ed includono ad esempio i formicolii. Quelle moderate richiedono
terapia ma non sono tanto gravi da minacciare la vita del paziente. Le severe richiedono un
immediato trattamento terapeutico.
L’ipotensione è una reazione frequente dopo la somministrazione di Mdc. Essa però può essere
sia di tipo idiosincrasico sia da reazione vaso-vagale ed è perciò importante poter riconoscere
l’una o l’altra per il diverso trattamento che necessitano: una ipotensione da reazione
idiosincrasica è associata a tachicardia, mentre la bradicardia è tipica di una reazione vasovagale.
Un episodio ipotensivo vaso-vagale può essere trattato con atropina o con somministrazione
intravenosa di fluidi, mentre un ipotensione da reazione idiosincrasica deve essere trattata con
beta-bloccanti (c’è bradicardia).
Nel caso di una reazione anafilattoide il trattamento dipende dalle circostanze cliniche del
paziente (es. il broncospasmo viene inizialmente trattato con broncodilatatori), ma in generale
si somministra ossigeno e fluidi ev. Nel caso di broncospasmo non responsivo, un edema della
faccia e della laringe, un’ipotensione con tachicardia, si usa epinefrina 1:1000, nella dose di
0,1-0,3 ml per via sottocutanea (ripetuta per tre volte); se dovesse risultare inefficace o se si
avesse collasso periferico vasale, allora la diluizione sarà di 1:10000 nella dose di 1,0-3,0 ml
per ev.
Ci sono alcune condizioni che aumentano il rischio di incidenza di reazioni avverse: diabete
grave con
danni renali, insufficienza renale, gravi cardiopatie o disturbi respiratori, asma,
anamnesi positiva per reazioni avverse alla somministrazione di Mdc, anamnesi positiva per
allergie, pazienti molto giovani o molto anziani. Rimane controverso l’uso dei Mdc in situazioni
quali: l’anemia falciforme, la miastenia grave, il lupus, il mielosa multiplo, l’ipertiroidismo ed il
feocromocitoma.
E’ stato osservato che un pretrattamento con steroidi diminuisce l’incidenza di reazioni avverse
e viene usato nei pazienti che più facilmente potrebbero avere una reazione al contrasto.
Questa premedicazione consiste nella somministrazione di prednisone per via orale 13, 5 ed 1
ora prima della somministrazione del Mdc; difenidramina per via orale nella dose di 50mg 1
ora prima della somministrazione del Mdc.
E’ riportata una mortalità per reazioni avverse al Mdc ionico di circa 1 su 100.000; non
esistono ampie casistiche per i Mdc non-ionici.
Prima di sottoporre un paziente ad una indagine radiologica con somministrazione endovena di
Mdc ionico, il radiologo deve valutare il quesito clinico e alcune indagini di laboratorio.
Essi sono: la creatininemia, per conoscere la funzionalità renale, la proteinuria di Bence Jones,
per rilevare la presenza di proteine anomale che possono precipitare, ed il quadro proteico
elettroforetico completo del tracciato, per valutare picchi anomali e i valori dell’albumina e
delle globuline, che veicolano il Mdc. Inoltre è necessario disporre già, per il rischio di shock, di
un ECG e di un RX torace.
Successivamente, in relazione al distretto corporeo da esaminare, saranno scelti la
concentrazione del mdc, pari di solito a 300-370, la sede di iniezione, di solito una vena
periferica del dorso della mano o del gomito, e la velocità di infusione, di solito da 3 a 10
ml/sec, condizionata dal calibro dell’ago cannula, da 14 a 23 gauge, e del vaso prescelto.
MDC PER ULTRASUONI
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L’ecografia rappresenta la metodica di immagine di più ampio uso nella pratica clinica, in
relazione all’ampia diffusione, al gradimento del paziente, al basso costo ed alla non invasività.
Nonostante i notevoli progressi tecnologici, fondamentalmente rappresentati dall’introduzione
del color-Doppler e del powerDoppler, e, più recentemente, dai trasduttori a larga banda e
plurifocalizzazione, l’ecografia presenta significative limitazioni nella definizione di strutture
patologiche che presentino caratteristiche acustiche simili a quelle del parenchima normale
circostante e nella valutazione di flussi a bassa velocità ed a bassa portata.
Lo sviluppo dei Mdc ecografici, anche definiti “eco-amplificatori”, deve essere considerato come
il tentativo di incrementare la sensibilità dell’ecografia per superare tali limitazioni.
Si distinguono tre classi di mezzi di contrasto per ultrasuoni:
- agenti intravascolari, che intensificano il segnale proveniente dal sangue circolante;
- agenti organo-specifici, che intensificano il segnale proveniente da strutture all’interno di
organi normali o patologici;
- agenti orali, ad uso gastrointestinale, che riducono gli artefatti dovuti alla presenza di aria
nel tratto gastrointestinale.
Mdc intravascolari
Sono costituiti da microbolle contenenti gas e circondate da membrane stabilizzanti di
differente natura. Dopo essere state iniettate nel circolo ematico per via endovenosa, restano
all’interno dei vasi, mimano i globuli rossi intensificando il segnale ecografico proveniente dal
sangue e producono all’interno di lesioni vascolarizzate un aumento circoscritto di impedenza
acustica.
Le prime forme farmaceutiche di Mdc ecografico erano su base di polvere sterile. Questa ultima
conteneva in massima parte galattosio (99,9 %) e in piccolissima quantità acido palmitico
(0,1%). La polvere sterile prima dell’uso veniva diluita in acqua per preparazioni iniettabili, in
modo da ottenere concentrazioni diverse di microparticelle/ml. Nell’utilizzo pratico il radiologo
rispettava tabelle di concentrazione che valutavano l’età ed il peso del paziente, il tipo di
esame ecografico da effettuare e soprattutto il distretto anatomico vascolare da indagare;
inoltre la dose veniva aumentata o diminuita per ottenere un maggiore effetto o una maggiore
durata dell’amplificazione del segnale, naturalmente senza oltrepassare le dosi massime
consigliate.
L’amplificazione dell’ecoriflettività era indotta principalmente dalle microbolle formatesi dopo la
sospensione della polvere in acqua. La presenza dell’acido palmitico garantisce la stabilità delle
microbolle per parecchi minuti, mentre queste transitano attraverso il cuore e nei polmoni,
nonché successivamente nel letto vascolare prima di dissolversi nel torrente ematico. Le
microparticelle di galattosio, invece, si distribuiscono nello spazio extracellulare, dove è
soggetto al metabolismo del glucosio non insulino dipendente. Il fegato metabolizza le
molecole di galattosio che se superano la concentrazione plasmatici di 50 mg/100 ml vengono
escrete per via renale.
Le controindicazioni sono galattosemia e gravidanza e nei pazienti con insufficienza
cardiovascolare grave è bene valutare il carico osmotico totale.
Occasionalmente, nella sede di iniezione può manifestarsi sensazione di dolore, di caldo o di
freddo durante o dopo l’iniezione . Escludendo rarissimi casi di nausea, vomito, senso di
vertigine, manifestazioni cutanee ed irritazione transitoria aspecifica dell’endotelio vasale, gli
effetti collaterali sono praticamente inesistenti.
Più recentemente le microbolle sono state circondate da una membrana stabilizzante, che ha
consentito di aumentare la durata dell’effetto contrastografico rispetto alle microbolle non
stabilizzate e di permettere il passaggio transpolmonare dopo l’iniezione endovenosa.
Si differenziano Mdc di prima generazione, costituiti da microbolle stabilizzate contenenti aria,
e di seconda generazione, costituiti da microbolle contenenti gas diversi dall’aria.
Nei Mdc di seconda generazione si impiegano gas atossici dotati di alta densità, diminuita
diffusibilità e/o scarsa solubilità rispetto all’aria (perflurocarboni, Sf6).
Il Mdc presenta il picco di concentrazione plasmatica dopo 1 minuto la somministrazione in
bolo. Il 40-50% della dose iniettata viene eliminata attraverso l’espirato nel primo minuto dopo
la somministrazione. Dopo 4 minuti è presente una concentrazione plasmatica del 17% e dopo
6 minuti del 12%.
Il meccanismo di azione è condizionato dal diametro e dalla concentrazione delle microbolle,
dalla differenza di impedenza acustica sangue/microbolle e dalle proprietà armoniche delle
microbolle.
Inoltre alcuni ecografi hanno predisposto specifici software per amplificare l’effetto del Mdc, al
fine di migliorare la visualizzazione della morfologia degli organi in studio o condurre studi di
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perfusione per valutazioni funzionali. Grazie a questi software è possibile ottenere immagini
ecografiche valutando “curve intensità-tempo”, “flash echo”, “combined contrast chain”,
“coherent contrast imaging”, “real time power modulation”, “real time perfusion”, “pulse/phase
inversion” ed “harmonic imaging”.
Il Mdc è indicato in tutti gli esami ecografici Doppler mono e bidimensionali del flusso ematico,
in cui i pazienti presentano un segnale Doppler di intensità insufficiente. Inoltre viene utilizzato
per agevolare la diagnosi di lesioni epatiche, mammarie, renali e prostatiche sulla base delle
differenze della microcircolazione rispetto al parenchima normale o per distinguere tra lesioni
benigne e maligne sulla base delle caratteristiche della loro microcircolazione.. Infine si è
dimostrato utile nel reperimento di traumi parenchimali.
Il Mdc viene trova indicazione anche nello studio delle alterazioni di calibro dei singoli distretti
cardiaci e vascolari in ecocardiografia B.-mode.
Mdc organo-specifici
Alcuni preparati più recenti hanno anche proprietà organo-specifiche: sono cioè selettivamente
captati dalle cellule di Kupffer del sistema reticolo-endoteliale (RES) dopo una fase vascolare di
5-10 minuti, e determinano un enhancement del parenchima sino ad un’ora dopo la
somministrazione.
Anche alcuni prodotti disegnati come Mdc puramente vascolari hanno mostrato una fase
organo-specifica di tipo tardivo. Questi eco-amplificatori hanno, dunque, una doppia fase di
utilizzo diagnostico: una fase iniziale, legata alla loro presenza in circolo (“blood pooling
effect”) ed una seconda, che possiamo definire organo-specifica. Tale fenomeno rimane ad
oggi comunque sconosciuto.
Mdc orali
Lo studio ecografico di vie biliari e pancreas può risultare difficoltoso, e quindi
diagnosticamente inadeguato, in presenza di gas nello stomaco o nell’intestino.
In passato sono stati utilizzati diversi presidi empirici, prevalentemente acqua o succhi di
frutta, con lo scopo di riempire lo stomaco, disperdendo la quota gassosa, con risultati
piuttosto variabili.
Alcuni hanno proposto l’utilizzo di una soluzione di cellulosa che ha migliorato la visualizzazione
dell’intestino e dell’anatomia addominale, riducendo gli artefatti da gas.
Seguendo questo approccio è stato sviluppato un preparato gastrointestinale per
somministrazione orale costituito da sospensione acquosa di fibre di cellulosa rivestite di
simericone. Le fibre consentono la dispersione dei gas presenti nel tratto gastrointestinale,
riempiono il lume distendendo la parete gastrica, e producono un’immagine ecografica
omogenea che permette la creazione di una finestra acustica utile per l’indagine ecografica del
retroperitoneo.
Studi clinici hanno dimostrato che tale prodotto, somministrato a dosi medie di 400 ml,
migliora la
visualizzazione degli organi addominali e potrebbe essere utile anche nella valutazione di
anomalie funzionali del tratto gastrointestinale superiore, con riferimento a patologia da
reflusso gastroesofageo, gastroparesi e valutazioni post-operatorie, nonché del tratto distale
della via biliare principale e del pancreas.
MDC PER RM
Analogamente agli altri mezzi di contrasto, anche quelli da utilizzare in RM devono possedere
le usuali caratteristiche:
1. Dipendenza dell’effetto dalla concentrazione
2. Assenza di reattività in vivo
3. Atossicità delle dosi utilizzate
4. Emivita biologica breve
5. Facile disattivazione ed eliminazione dall’organismo.
Invece, a differenza dei MdC radiologici e dei radiofarmaci, i quali manifestano la loro presenza
in forma diretta, queste sostanze agiscono indirettamente sull'immagine modificando i tempi di
rilassamento dei nuclei di H1. Il contrasto tra due tessuti in RM può essere aumentato sia
abbattendo che aumentando l’intensità di segnale di uno dei due tessuti.
Essi si distinguono o in base al tropismo od alle proprietà.
In base al tropismo di organo, i Mdc in RM, oggi disponibili, vengono distinti in 7 classi:
Mdc di prima generazione
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Extracellulari:, sono costituiti da ioni metallici chelati a molecole prive di specificità tissutale,
capaci di diffusione interstiziale ed escreti per filtrazione glomerulare;
Mdc di seconda generazione
Epatobiliari: nei quali è forzata l'escrezione biliare attraverso l'introduzione nella molecola di
gruppi chimici specifici;
Reticoloendoteliali: costituiti da sostanze, «particolate» para- o superparamagnetiche
assoggettate a fagocitosi reticoloendoteliale;
Intravascolari: costituiti da macromolecole a lunga persistenza in circolo, come l'albumina e la
polilisina, legate a ioni paramagnetici;
Linfografici: come la magnetite iniettata sottocute;
Tumore-specifici: come anticorpi monoclonali e nanopolimeri complessati con ioni
paramagnetici, ferrosomi fagocitati da macrofagi peritumorali.
Gastrointestinali: costituiti da complessi paramagnetici o superparamagnetici dissolti in
sostanze approvate per uso alimentare. Sono distinti in positivi o negativi, secondo l’effetto
sull’intensità di segnale delle cavità intestinali, o in miscibili o non con il contenuto delle cavità
intestinali.
In relazione alle proprietà magnetiche, i Mdc in RM possono essere distinti in 4 classi:
1. Diamagnetici;
2. Paramagnetici;
3. Ferromagnetici;
4. Superparamagnetici.
Sostanze diamagnetiche (bario-perfluoro-carboni-017) Sono sostanze che presentano un
momento magnetico nullo, cioè hanno elettroni orbitali appaiati e non vengono pertanto
influenzati dalla presenza del campo magnetico. La loro suscettibilità magnetica è molto piccola
e quindi la loro influenza sui tempi di rilassamento T1 e T2 dell'acqua è trascurabile. Queste
sostanze non presentano un interesse clinico rilevante; sono state proposte unicamente come
m.d.c. per il tratto gastrointestinale.
Sostanze paramagnetiche (Gd3+, Mn2+, Fe3+). Sostanze che contengono atomi con mo-mento
magnetico positivo (elettroni orbitali spaiati). La caratteristica di queste sostanze è quella di
non presentare una "memoria magnetica". Le proprietà paramagnetiche sono presenti, infatti,
solo se sottoposte all'azione di un campo magnetico esterno; quando questo viene rimosso
l'effetto magnetico della sostanza è perso. Le sostanze paramagnetiche che vengono
generalmente utilizzate come m.d.c. positivi (T1 rilassanti) sono quelle più interessanti e più
utilizzate da un punto di vista clinico (Gd e Fe) perché caratterizzate da un elevato effetto
contrastografico accanto ad un elevato range di sicurezza per il paziente. Infatti anche se la
maggior parte degli ioni paramagnetici posseggono un profilo tossicologico sfavorevole questi
sono utilizzati solo sotto forma di chelati. Si riduce in tal modo la tossicità dello ione ed il
chelante funge nel contempo da veicolo tessutale influenzandone la distribuzione corporea e
.l'escrezione. Lo ione paramagnetico di maggior interesse è il Gd+++, il quale possiede 7
elettroni spaiati e ha quindi un momento, magnetico elettronico elevato. Il chelato più diffuso è
i1 Gd-DTPA salificato con metilglucamina. Il Gd-DTPA non induce, di norma, alterazioni
emodinamiche. Il Gd-DTPA è escreto rapidamente per via urinaria (emivita di 20 minuti). La
farmacocinetica è simile a quella dei MdC iodati uroangiografici. La tossicità è modesta e si
estrinseca con incostante, lieve e transitorio aumento del Fe serico per un periodo massimo di
24 ore, e con rare, ma possibili, reazioni anafilattoidi. L'incidenza di effetti secondari (cefalea,
nausea, vomito, ipotensione, tachicardia) è molto bassa circa 2%.
Sostanze superparamagnetiche (ossidi di ferro) Sono sostanze di piccole dimensioni che
mutano la loro azione magnetica una volta che si aggregano in formazioni di dimensioni
maggiori detti "domini " (0>50 nm). L'effetto sulla suscettibilità magnetica provocato
dall'aggregazione è esponenziale e di circa mille volte superiore a quello che si sarebbe
ottenuto
dalla
semplice
sommatoria
delle
suscettibilità
delle
singole
particelle
(superparamagnetismo).
Queste particelle (ossido di ferro) sono facilmente magnetizzabili fino ad un valore di
saturazione dopo il quale, all'aumento del campo magnetico, non corrisponde un aumento di
magnetizzazione indotta. La magnetizzazione delle particelle svanisce all'eliminazione del
campo magnetico. Queste sostanze, per la loro grande efficacia contrastografica, sono state
adottate come base per molti m.d.c. negativi sia per il tratto gastrointestinale che per il fegato.
La loro azione è più evidente qualora si lavori con sequenze T2 pesate.
Sostanze ferromagnetiche Sono composti di ossido di ferro che conservano un momento
magnetico macroscopico anche dopo che il campo magnetrico esterno è stato rimosso. Queste
sostanze non vengono generalmente utilizzate come m.d.c.
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Ad oggi, il gadolinio è il Mdc ev metallico paramagnetico iniettato più diffuso in RM.
Produce un aumento dell’intensità del segnale nelle immagini T1-pesate. Non presenta
controindicazioni, tranne un’anamnesi positiva a reazioni allergiche per l’uso stesso di
gadolinio. Sono state infatti descritte reazioni avverse all’uso del gadolinio fino alla morte del
paziente, ma fino ad oggi queste sono state molto rare. La possibile reazione anafilattoide al
gadolinio richiede un trattamento simile a quella per l’uso di Mdc ionici e non. La quantità di
gadolinio da somministrare in un esame di RM è di 0,1 mmol/kg per ev (anche 0,2 mmol/kg),
per cui un paziente di 70 kg riceverà una dose approssimativa di 14 ml di gadolinio.
DOMANDE.
Quali tipi di mdc ev si usano in radiologia tradizionale?
Quali tipi di mdc ev si usano in ecografia?
Quali tipi di mdc ev si usano in risonanza magnetica?
Perché si usano i mezzi di contrasto a somministrazione endovenosa in radiologia?
Quanti tipi di Mdc a somministrazione endovenosa conosci?
Quali sono i vantaggi dei Mdc non ionici?
Quali sono gli svantaggi dei Mdc non ionici?
In che percentuale si hanno reazioni avverse alla somministrazione di Mdc?
Che reazioni si possono avere dopo somministrazione di Mdc sia di tipo ionico che non-ionico?
Cosa sono le reazioni anafilattoidi?
Che cosa sono le reazioni non-idiosincrasiche?
Che cosa sono le reazioni locali?
Come sono divise, in base alla gravità, le reazioni al Mdc?
Come si distinguono le reazioni ipotensive da reazioni vaso-vagale e da reazioni idiosincrasia?
Quali sono i trattamenti da adottare nei casi di ipotensione?
Quali condizioni controindicano assolutamente l’uso dei Mdc?
Per quali condizioni è controverso l’uso dei Mdc?
In cosa consiste la premedicazione nei pazienti a maggior rischio di reazioni avverse al Mdc?
Qual è la mortalità per l’uso dei Mdc?
Quale è il trattamento in una reazione anafilattoide?
Che cos’è il gadolinio?
Quali controindicazioni ha l’uso del gadolinio?
In che dose è usato il gadolinio?
Quante sono le classi di mdc in RM?
Perché si ricorre all’uso di mdc in ecografia?
Quali Mdc sono usati in radiologia per lo studio dell’apparato digerente?
Perché si usa il bario?
Che cos’è un esame a doppio contrasto?
Che caratteristiche deve avere il bario solfato per un esame a doppio contrasto?
Quando è controindicato l’uso di bario?
Quando è controindicato l’uso di mezzi di contrasto iodici idrosolubili?
Quali sono le indicazioni per un esame dell’esofago?
Come viene eseguito un esame dell’esofago?
Che cos’è uno studio del tratto gastrointestinale superiore?
Quali sono le indicazioni per uno studio del tratto gastrointestinale superiore?
Come deve essere eseguito lo studio dello stomaco a doppio contrasto?
Quali sono le metodiche usate per lo studio del piccolo intestino?
Che cos’è un clisma del tenue?
Quali sono le indicazioni per l’esecuzione di un clisma del tenue?
In cosa consiste la preparazione intestinale per l’esecuzione di un clisma del tenue?
Come viene eseguito un clisma del tenue?
Come si studia il colon?
Quali sono le indicazioni per un clisma del colon?
Quale è la preparazione intestinale per il clisma del colon a doppio contrasto?
Qual’è la preparazione intestinale per un clisma del colon?
Come va eseguito un clisma del colon?
Quando un clisma del colon può essere anche terapeutico?
Uso delle indagini di diagnostica per immagini: Sensibilità, Specificità, Accuratezza,
Valore predittivo positivo e negativo
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Quando un’indagine ricerca un determinato parametro in una popolazione, in base ai risultati,
si distinguono 4 gruppi di individui:
Veri positivi (VP) : l’indagine è risultata positiva ed era presente la malattia
Veri negativi (VN) : l’indagine è risultata negativa e non era presente la malattia
Falsi positivi (FP) : l’indagine è risultata positiva ma non era presente la malattia
Falsi negativi (FN) : l’indagine è risultata negativa ma era presente la malattia
Infatti, per quanto valida possa essere una indagine, essa non fornisce mai risultati
perfettamente rispondenti alla realtà: c’è sempre il rischio, o meglio la probabilità, che
classifichi come positivi individui sani, o come negativi pazienti ammalati.
Quindi non esistono indagini che forniscano risultati certi ed affidabili in tutte le situazioni e nel
100% dei casi.
L’esito a favore o meno della presenza di un parametro della malattia ricercata, deve essere
visto come una indicazione di probabilità, tranne nei rari casi di indagini patognomoniche.
Infatti, le indagini di diagnostica per immagini si possono distinguere in due categorie: test
patognomonici e non patognomonici.
Si definisce patognomonica un’indagine che quando positiva indica con sicurezza la presenza
della parametro ricercato; non patognomonica quella che indica presumibilmente la presenza o
l’assenza del parametro ricercato.
Il convincimento che i test patognomonici siano migliori di quelli non patognomonici è errato:
questo non è sempre vero, perché nel giudicare un’indagine migliore di una altra, occorre
tenere presente una serie di fattori, quali dei costi maggiori o una frequenza più elevata dei
falsi negativi.
Per stimare la capacità di una indagine di individuare fra gli individui di una popolazione quelli
provvisti del carattere ricercato si impiegano due indici: la sensibilità e la specificità.
La sensibilità esprime la frequenza con la quale una indagine risulta positiva in una popolazione
di soggetti che hanno la malattia cercata, cioè la capacità dell’indagine di identificare la
presenza
della
malattia.
Essa
si
calcola
applicando
la
seguente
formula:
sensibilità=VP/(VP+FN)
La specificità esprime la frequenza con la quale una indagine risulta negativa in una
popolazione di soggetti che non hanno la malattia cercata, cioè la capacità dell’indagine di
accertare l’assenza della malattia. Essa si calcola applicando la seguente formula :
specificità=VN/(VN+FP)
Quindi sensibilità e specificità definiscono l’affidabilità di una indagine, quantificando la
tendenza a risultare rispettivamente positiva nei soggetti portatori della malattia cercata e
negativa nei soggetti sani. Si tratta di indici cosiddetti aprioristici, che si riferiscono in senso
generale alla metodica diagnostica.
Talvolta, invece, è possibile raffrontare la concordanza di due indagini applicati alla stessa
popolazione, se si presuppone che una delle due indagini sia infallibile.
Questo indice, detto di concordanza, esprime la proporzione di individui identificati
correttamente come portatori/non portatori del carattere ricercato da un indagine diagnostica.
In questo caso si può parlare anche di efficienza della indagine. Alcuni utilizzano come
sinonimo il termine accuratezza.
Essa si calcola applicando la seguente formula accuratezza diagnostica
=
(VP+VN)/(VP+VN+FP+FN). L’utilità di questo indice rimane controverso.
Questi tre indici, tuttavia, non esprimono l’attendibilità del risultato diagnostico, positivo o
negativo, ottenuto in uno specifico soggetto che abbia effettuato l’esame.
Questo aspetto del problema, cosiddetto aposterioristico, ha come oggetto di attenzione il
risultato dell’indagine: viene valutata non più la scelta se effettuare o meno l’indagine anche in
riferimento alle altre disponibili, ma il risultato ottenuto. In altre parole si chiede di quantizzare
la probabilità che il soggetto, dopo un’indagine in cui sia risultato positivo per la malattia
cercata, abbia realmente quella malattia.
In questo caso si preferisce utilizzare altri due indici.
Il primo è detto valore predittivo positivo (vpp) ed esprime la frequenza con la quale la
malattia è realmente presente nella popolazione di soggetti risultati positivi al test. Esso si
calcola applicando la seguente formula vvp = VP/(VP+FP).
Questo valore è però influenzato dalla oculatezza con la quale il medico filtra i pazienti da
sottoporre all’indagine, selezionando di fatto, una popolazione di soggetti con più o meno alta
probabilità di presenza di malattia.
Il secondo è detto valore predittivo negativo (vpn) ed esprime la frequenza con la quale la
malattia è realmente assente nella popolazione di pazienti risultati negativi al test. Esso si
calcola applicando la seguente formula vpn = VN/(VN+FN).
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Quindi vpp e vpn esprimono il grado di credibilità che è possibile attribuire rispettivamente al
risultato positivo o negativo di una indagine.
Medicina Nucleare.
Premesse generali.
Il ruolo della Medicina Nucleare è condizionato dalle altre metodiche disponibili, dalle
caratteristiche del paziente, dal contesto operativo (che va visto a livello di routine con tempi,
apparecchiature e competenze che sono molto spesso diverse da quelle che sembrano
standard sui libri e su riviste scientifiche), dalla complessità e durata dell’iter diagnostico, da
problematiche socio economiche, tra le quali sia la disponibilità e la distribuzione delle strutture
sul territorio che i recenti livelli essenziali di assistenza.
Ma l’apporto della Medicina Nucleare non è solo simile a quello delle altre tecniche di
diagnostica per immagini, cioè di tipo “morfostrutturale”, che ha l’anatomia patologica come
golden standard, ma anche di tipo “funzionale”, in cui acquistano valore i presupposti
fisiopatologici delle malattie.
Per questo motivo la Medicina Nucleare è in grado di esprimere prerogative assolutamente
originali.
Tuttavia è opportuno eliminare alcuni pregiudizi nei suoi confronti legati, con assoluta
preminenza, alla paura dei suoi rischi e, con minore rilievo, ai suoi costi.
Rischi (e costi).
Un grande problema per la piena diffusione della Medicina Nucleare è costituito dalla sua
sostanziale identificazione, da parte di tutti quelli che non hanno una corretta informazione,
con Hiroshima e Chernobyl.
Alcuni infatti commettono questo errore grossolano, dovuto alla materializzazione irrazionale
della paura del rischio che considera uguali i rischi della bomba atomica o di un incidente ad
una centrale nucleare con quelli presenti in un esame scintigrafico.
Per avere una valutazione corretta dei rischi presenti in un esame diagnostico con radioisotopi
(scintigrafia) occorre analizzare 5 punti fondamentali:
la differenza tra pericolo e rischio;
la differenza tra rischio e paura del rischio;
cosa significa rischio “stocastico”;
qual è l’ordine di grandezza dell’irradiazione legata ad una scintigrafia;
qual è l’ordine di grandezza del rischio di una scintigrafia comparato ad altri rischi.
Differenza tra pericolo e rischio.
Il rischio dipende dal prodotto del pericolo per la probabilità.
La probabilità dipende dalla entità dell’esposizione al pericolo e dalla suscettibilità del soggetto.
Pericolo: Il pericolo di morire cadendo da una montagna è estremamente più alto rispetto a
quello di morire cadendo da un marciapiede.
Probabilità: La probabilità di cadere sedendo a 10 metri dal precipizio di una montagna è
nettamente più bassa rispetto a quella che esiste stando in equilibrio su di un piede su di un
marciapiede.
Esposizione: La probabilità di cadere stando in equilibrio su di un piede aumenta all’aumentare
del tempo in cui viene tenuta questa posizione.
Suscettibilità: la probabilità di cadere stando in equilibrio su un marciapiede è maggiore per
una persona anziana che per un ragazzo.
Quindi ha il maggior rischio di morire per caduta, nell’esempio sopra riportato, una persona
anziana in equilibrio per un tempo lungo su un marciapiede.
In Medicina Nucleare, le radiazioni ionizzanti sono sicuramente pericolose. Il rischio di morire è
peraltro legato alla probabilità che esse determinino danno. Questa è molto alta per un’alta
esposizione, quale quella legata ad una bomba atomica o ad un incidente nucleare.
Estremamente più bassa per la dose di irradiazione legata agli esami scintigrafici, che è molto
bassa, come vedremo successivamente.
Differenza tra rischio e paura del rischio.
La paura di volare in aereo è aumentata enormemente dopo l’episodio terroristico delle torri
gemelle.
Il rischio di volare è rimasto assolutamente immodificato dopo l’11 settembre 2001 e rimane
legato con maggiore probabilità ad eventi non terroristici.
La probabilità di morire in un volo aereo non aumenta linearmente all’aumentare dei voli,
potendo “concretizzarsi” anche al primo volo.
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La probabilità che l’evento terroristico avvenga sul proprio volo è minima.
Il rischio di morire in aereo è 20 volte più basso rispetto a quello che si corre in auto e 400
volte minore, nel caso si usi un motorino.
In Medicina Nucleare, il rischio legato agli esami scintigrafici è estremamente più basso della
paura del rischio nei suoi confronti. Nella paura del rischio c’è un altissimo fattore di
moltiplicazione irrazionale dovuto all’identificazione delle scintigrafie con Hiroshima e
Chernobyl.
Cosa significa rischio stocastico (vedi anche capitolo di radioprotezione).
Rischio stocastico, significa che avviene casualmente. L’evento che determina il cancro può
non avvenire mai o avvenire la prima volta che viene eseguito un esame scintigrafico. La
probabilità di avere un cancro dopo scintigrafia non aumenta linearmente, vale a dire non
cambia significativamente aumentando il numero degli esami a cui uno si sottopone. Un modo
semplice per capire questo punto è pensare ad un superenalotto al contrario: chi gioca per la
prima volta una sola colonna può vincere; può non vincere chi ha giocato un milione di
schedine. In entrambi i casi la probabilità di vincere è estremamente bassa.
Lo stesso ragionamento va fatto per gli esami diagnostici di Medicina Nucleare. Per capire
l’entità del rischio di morire legato ad essi occorre ricordare che l’immagine in medicina
nucleare ha come base della sua formazione le radiazioni gamma, radiazioni di origine nucleare
(da qui il nome di Medicina Nucleare) emesse da un numero estremamente piccolo di molecole
radioattive (radionuclidi e/o radioisotopi e/o radiocomposti) somministrate al paziente. Le
radiazioni gamma sono radiazioni elettromagnetiche, senza massa né carica, e proprio per
queste caratteristiche hanno una bassissima probabilità di colpire, per l’esiguità del loro
numero e l’alto potere penetrante (che le fa uscire per la quasi totalità dal paziente), il
bersaglio “fondamentale”, il DNA in moltiplicazione, che occupa una piccolissima parte dello
spazio biologico da loro attraversato. Tra l’altro, eventuali mutazioni possono anche non
determinare danno perché il cancro può svilupparsi solo se il DNA è colpito in alcuni punti
critici dove le mutazioni possono diventare oncogene.
Occorre anche ricordare che la cascata oncogenica può non portare alla morte perché esiste
una possibile azione riparativa sul DNA, perché esistono cellule di difesa dell’organismo in
grado di distruggere le prime cellule trasformate, perché le prime cellule neoplastiche possono
non trovare uno stroma ed un pabulum idoneo, perché la neoplasia che si sviluppa può avere
malignità così ridotta da poter non essere la causa di morte del paziente. Il rischio certamente
esiste ed è più alto là dove esiste una maggiore radiosensibilità (suscettibilità), come in
gravidanza e in età pediatrica. Ciò, peraltro, non comporta controindicazioni assolute nel
senso che esiste la possibilità di eseguire esami scintigrafici in tutti i pazienti, se c’è
l’indicazione clinica ed esiste un favorevole rapporto costo/beneficio nei confronti di metodiche
concorrenti allo stesso obiettivo diagnostico. In tal senso, ricordando come premessa assoluta
che “primum non nocere”, se è vero che non esistono al momento significative giustificazioni
ad un esame in gravidanza sono moltissimi i pazienti pediatrici
in cui il rapporto
costo/beneficio degli esami scintigrafici è estremamente favorevole.
4) Qual è l’ordine di grandezza dell’irradiazione legata ad una scintigrafia.
Che i rischi legati agli esami diagnostici di Medicina Nucleare siano estremamente ridotti lo si
desume avendo consapevolezza del livello di irradiazione legato agli esami scintigrafici. Le
radiazioni che colpiscono un uomo non sono legate solo agli esami medico nucleari. Esiste una
radiazione cosmica, la cui entità varia al variare dell’altezza, ed un’ampia serie di cause di
irradiazione dovute ad es. alla radioattività naturale, al radon degli impianti di rilevazione degli
incendi, agli impianti televisivi, etc. Per non parlare delle problematiche legate alle
comunicazioni telefoniche. A titolo esemplificativo la dose da radiazione cosmica ricevuta
durante un volo in Concorde (a 15.000 metri) corrisponde a 10 uSv /ora; volando in Boeing
(10.000 m) tale dose si riduce ad un valore di 5, per diventare 0.1 a Bormio (2000 m) e 0.03 a
Rimini (livello del mare). La dose che un paziente riceve per un esame medico nucleare varia a
seconda dell’esame effettuato. Facendo alcuni esempi, essa è di 0.4 mSv/ora per una
scintigrafia renale, di 1 per una scintigrafia tiroidea, di 3.6 per una scintigrafia scheletrica, e
per altri esami ancora inferiore. Si tratta di una dose mediamente più bassa rispetto alla dose
di esami radiologici tradizionali o CT corrispondenti. E i suoi valori sono estremamente bassi,
come risulta dal confronto con l’irradiazione cosmica. Per capirlo, basta notare che l’esecuzione
di una scintigrafia renale comporta una dose di irradiazione corrispondente a quella ricevuta in
40 ore di volo in Concorde.
5) Qual è l’ordine di grandezza del rischio di una scintigrafia comparato ad altri rischi.
La diretta conseguenza della bassa dose di irradiazione di questo discorso è che il rischio di
morte dovuto a cancro dovuto ad esami scintigrafici è estremamente più basso rispetto alla
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naturale incidenza del cancro nella popolazione generale ( 35 - 250 casi per milione di
persone). Tale rischio di morte corrisponde a quello presente in attività giornaliere quali
viaggiare 3000 Km in motocicletta, arrampicarsi 75 minuti in montagna, 17 ore di vita
quotidiana di un uomo di 60 anni.
Va anche messo in evidenza nell’analisi dei rischi comparati che gli esami medico nucleari non
hanno controindicazioni assolute, per l’assenza di tossicità, che rende possibile l’esecuzione di
esami scintigrafici in tutti i pazienti, senza dover temere pericoli inaspettati o essere costretti
ad eseguire esami preliminari. A tale proposito, è opportuno ricordare che i rischi collegati agli
esami diagnostici non sono solo quelli dovuti alle radiazioni ionizzanti, ma anche quelli legati
alla tossicità ed alle reazioni avverse (come per alcuni mezzi di contrasto), alla modalità di
somministrazione (come nelle metodiche angiografiche), alla presenza di pacemakers e parti
metalliche (come per la Risonanza), alla narcosi, ai farmaci e/ o allo stress ergometrico
collegati ad esami cardiologici o nefrologici, etc.
Quindi a conclusione di tutto questo discorso i rischi legati agli esami scintigrafici sono
estremamente bassi. Peraltro gli esami scintigrafici devono essere eseguiti solo quando il
rapporto costo/beneficio li giustifica, cioè quando esiste un reale interesse clinico originale o
sostitutivo anche nei confronti di metodiche che non utilizzano radiazioni ionizzanti. Va anche
ricordato che il rapporto costo/beneficio va valutato complessivamente alla luce degli elementi
segnalati nelle premesse generali.
Un altro pregiudizio nei confronti della Medicina Nucleare è legato al fatto che molti pensano
che tutti gli esami scintigrafici sono estremamente complessi e costosi. Al contrario, si tratta di
esami, nella stragrande maggioranza dei casi, estremamente semplici e atraumatici, con un
costo che in moltissimi casi è compreso nelle decine di migliaia di lire. Tra l’altro il “costo di
produzione” di un esame scintigrafico può essere estremamente variabile, con significativi
risparmi ottenibili aumentando il numero delle prestazioni o ottimizzando l’organizzazione del
lavoro. Infatti, all’aumentare del numero degli esami non si abbassano soltanto i costi legati
alle apparecchiature ed al personale, ma soprattutto quello dei materiali. La grande
maggioranza dei radiocomposti iniettati nel paziente si ottengono aggiungendo in una fiala
contenente un liofilizzato una quota variabile di radioattività. Tale fiala potrà essere utilizzata,
allo stesso costo, sia per un solo paziente che per molte unità, con significativi risparmi
economici in quest’ultimo caso, da aggiungere a quelli legati ad un’ottimale gestione delle
problematiche legate al cosiddetto “decadimento” della radioattività. A queste riduzioni dei
costi si aggiunge poi il risparmio complessivo ricavabile nel caso in cui la prestazione determini
un guadagno negli iter diagnostici, nella scelta terapeutica, nella riduzione dei tempi di
diagnosi e degenza.
Generalità della Medicina Nucleare.
La Medicina Nucleare è quella branca specialistica della Medicina
che utilizza a scopo
diagnostico e/o terapeutico sostanze radioattive. Ha campi di applicazioni sia “in vivo” che “in
vitro”.
In vivo viene utilizzata sia in ambito diagnostico che terapeutico (quest’ultima detta anche
terapia radiometabolica). L’ambito diagnostico si esprime sia attraverso l’analisi di immagini,
che rappresenta il campo nettamente prevalente di tutte le applicazioni, che utilizzando sonde
di rilevazione della radioattività. Tali ultime metodiche, senza immagini , che avevano ristretto
le loro indicazioni in ambiti estremamente specialistici, stanno scatenando interessi crescenti
grazie alla diffusione di sonde mobili che hanno reso possibile la chirurgia radioguidata alla
base, ad es., della metodica di individuazione intraoperatoria del cosiddetto linfonodo
sentinella o altre nuove applicazioni quali la VEST, che permette il monitoraggio continuo della
frazione di eiezione del ventricolo sinistro, durante la normale vita quotidiana.
Spazi applicativi in crescita sono anche presenti nella terapia radiometabolica. Accanto alle
applicazioni “storiche” del radioiodio nel carcinoma differenziato della tiroide e negli
ipertiroidismi, diventano sempre più numerose le indicazioni, ad es., nella terapia palliativa
delle metastasi ossee, nei neuroblastomi ed in altri tumori di origine neuroectodermica, nella
radiosinoviectomia, nei tumori cerebrali, nei linfomi.
Le applicazioni “in vitro” della radioattività hanno rivoluzionato la diagnostica di laboratorio e
continuano a rappresentare un importante strumento a disposizione dei clinici e della ricerca.
Va peraltro detto che le metodiche radioimmunologiche, messe a punto per il dosaggio
dell’insulina da Yalow e Berson, che grazie ad esse conquistarono in tempi rapidissimi il premio
Nobel, stanno perdendo spazio clinico a favore di altre tecniche immunometriche che non
utilizzano la radioattività. Allo stesso modo, l’analisi in vitro sui liquidi biologici della
radioattività somministrata al paziente, che permette il calcolo rigoroso, ad es., del volume
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plasmatico ed ematico o della sopravvivenza eritrocitaria, ha una scarsa diffusione e quindi
ridotto impatto clinico.
Elementi di fisica nucleare.
La Medicina Nucleare prende il suo nome dal fatto che utilizza, a scopo diagnostico o
terapeutico, radiazioni di origine nucleare. Tali radiazioni vanno distinte in elettromagnetiche
(gamma) e corpuscolate (alfa e beta). Già si è parlato delle caratteristiche delle radiazioni
gamma, senza massa né carica, e del fatto che i radionuclidi gamma emittenti sono alla base
della diagnostica medico-nucleare. Più articolato è il discorso sulle radiazioni corpuscolate. Le
radiazioni alfa corrispondono ad un nucleo di elio, sono cioè costituiti da 2 neutroni e due
protoni ed hanno quindi carica positiva. Subito dopo la loro emissione dal nucleo, poiché hanno
dimensioni “grandi” nel contesto delle grandezze di riferimento molecolare, vanno a colpire
quasi subito un bersaglio biologico, determinando un danno locale. Quindi, i radionuclidi alfa
emittenti sarebbero, a livello teorico, un ottimo strumento terapeutico dei tumori perché,
qualora si concentrassero esclusivamente ed omogeneamente a livello del tessuto neoplastico,
distruggerebbero il tumore salvaguardando i tessuti sani circostanti. Il problema è che se si
concentrano al di fuori della neoplasia possono determinare danni anche gravi sui tessuti sani.
Inoltre, se non si concentrano omogeneamente nella neoplasia possono non distruggere una
parte di essa non avendo quindi effetto risolutivo. Nei confronti dei radionuclidi alfa emittenti
c’è quindi un grande interesse di ricerca, legato in particolare ad un possibile uso per
somministrazione intratumorale, ma estrema circospezione a considerarli già uno strumento
terapeutico maneggevole. Caratteristiche più favorevoli ad un uso in terapia hanno i
radionuclidi beta emittenti, intendendo con tale denominazione quelli che emettono radiazioni
beta negative. Tali radiazioni nucleari hanno la massa di un elettrone e carica negativa.
Ricordando che cariche dello stesso segno si respingono, avviene che dopo la loro emissione,
trovandosi a viaggiare in un universo fatto prevalentemente di cariche negative (gli elettroni),
riescono a fare un discreto tragitto nella materia (in un ordine che va dai microns ai millimetri)
prima di colpire il bersaglio “biologico”. Se è quindi vero che hanno minor poter distruttivo
locale rispetto alle radiazioni alfa, è anche vero che creano minori problemi, possedendo
caratteristiche preferenziali per un uso in terapia radiometabolica. L’emettitore beta più usato
è lo Iodio-131, che ha un ruolo importante nella terapia del cancro tiroideo differenziato e
nell’ipertiroidismo. Un discorso completamente diverso è quello che riguarda le radiazioni
nucleari beta positive o positroni, che hanno anch’esse la massa dell’elettrone, ma carica
positiva. Ricordando che cariche di segno opposto si attraggono, avviene che, subito dopo
l’emissione dal nucleo, il positrone interagisce con un elettrone orbitale, carico negativamente,
dando vita ad una reazione che prende il nome di annichilazione. Questa reazione porta alla
scomparsa della massa del positrone e dell’elettrone e alla loro trasformazione nell’energia di
due radiazioni gamma, emesse nella stessa direzione, ma con verso opposto. Si tratta di una
splendida dimostrazione dell’equivalenza tra massa ed energia, ipotizzata da Einstein. A livello
pratico, quello che importa sapere è che un radionuclide emettitore di positroni equivale ad un
radionuclide che emette radiazioni gamma, trovando quindi spazio nel campo della diagnostica
e non della terapia. I radionuclidi emettitori di positroni sono la base della metodica che
rappresenta, al momento, il vertice metodologico della Medicina Nucleare, la Tomografia ad
emissione di positroni (o PET).
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Tecniche medico nucleari
Apparecchiature e tecniche
Le metodiche diagnostiche di Medicina Nucleare sono dette ad emissione. In altre parole, il
segnale alla base dell’immagine è nelle radiazioni gamma emesse da un paziente al quale è
stato somministrato un radiocomposto.
Come per la Radiologia tradizionale, anche per la Medicina Nucleare esiste la possibilità di
metodiche planari o tomografiche (tridimensionali).
Le metodiche planari vengono eseguite utilizzando la Gamma camera, che può produrre
immagini statiche o sequenziali. L’immagine statica planare prende il nome di scintigrafia.
L’acquisizione dinamica permette la valutazione della cinetica di un radiocomposto
(concentrazione, transito, eliminazione, etc.) dando vita ad esami che prendono il nome dalla
fase o dall’organo valutato (isotopoangiografia, scintigrafia renale sequenziale, scintigrafia
epatobiliare, etc.). E’ importante notare come, a differenza di quanto avviene negli esami
dinamici radiologici, quali la urografia,
dove ogni nuova immagine accresce il carico
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dosimetrico, in medicina nucleare si possono acquisire centinaia di immagini senza aumentare
la dose di irradiazione del paziente.
Le metodiche tomografiche ad emissione vengono distinte sulla base dei radionuclidi utilizzati.
Prende il nome di SPET (Tomografia ad emissione di fotone singolo) quella che utilizza
radionuclidi emittenti radiazioni gamma; il termine PET (Tomografia ad emissione di positroni)
è invece dato alla metodica che utilizza gli emettitori di positroni. Senza entrare in analisi
troppo tecniche,
diciamo che la SPET è nettamente più diffusa perché è basata sui
radiocomposti usati nella routine clinica di tutti i giorni. La PET, invece, ha bisogno per una
sua ottimale utilizzazione della disponibilità nelle sue adiacenze della macchina che produce i
più importanti radionuclidi emettitori di positroni, il ciclotrone. Ne risulta un aumento dei costi
operativi e la necessità di strutture ad organizzazione complessa, con la conseguenza di una
minore presenza di sistemi PET sul territorio. D’altra parte, esiste oggi in tutto il mondo con
un sistema sanitario avanzato un grande sforzo per rendere clinica la PET aumentandone la
diffusione, in particolare per le indicazioni estremamente importanti in oncologia dell’analogo
radiomarcato del glucosio, il Fluoro-18 deossiglucosio. Stimolanti prospettive cliniche, ma con
ambiti applicativi attuali prevalentemente legati alla ricerca, sono quelle legate ad altri
radiocomposti marcati, oltre che con il fluoro-18, con carbonio-11, azoto – 13 e ossigeno-15,
che permettono la marcatura delle più importanti molecole di interesse biologico.
Un'altra linea di sviluppo fondamentale che riguarda le apparecchiature, già disponibile sul
mercato, è legata alla messa a punto di metodiche in grado di sovrapporre l’informazione
funzionale, ottenuta con un esame PET o SPET, a quella morfostrutturale, ottenuta con la TC o
la Risonanza Magnetica. Questo approccio permette di avere su una sola immagine la precisa
definizione anatomica, tipica delle metodiche radiologiche, insieme alla caratterizzazione
biologica della Medicina nucleare, con un valore diagnostico aggiunto che presenta grandi
prospettive cliniche per una migliore definizione diagnostica, per meglio definire i campi di
radioterapia, per una biopsia guidata sulla parte vitale del tumore . L’apparecchiatura
attualmente al vertice tecnologico della Medicina Nucleare è appunto la PET-TC, cioè una
macchina che è in grado di fare nello stesso paziente, in contemporanea un esame PET ed un
esame TC ad alta risoluzione.
Ad integrazione di quanto detto, ricordiamo che in Medicina Nucleare esistono anche tecniche
di acquisizione sincronizzate con l’elettrocardiogramma, che prendono il nome di tecniche
“gated”, in grado di fornire utili informazioni sulla cinetica cardiaca. Più recentemente, sono
state proposte anche metodiche di sincronizzazione degli esami con gli atti respiratori, per
migliorare l’analisi a livello polmonare.
Alle apparecchiature per l’imaging occorre anche aggiungere le sonde, che permettono un
informazione clinica senza immagini. Accanto a quelle tradizionali che hanno applicazione, ad
es. , nello studio della captazione tiroidea o dei siti di emocateresi, stanno acquisendo
interesse sempre crescente quelle mobili, utilizzate per la chirurgia radioguidata, cioè per
tecniche quali l’individuazione del linfonodo sentinella nel carcinoma mammario. Interessante è
anche la cosiddetta VEST, un sistema Holter che permette la rilevazione continua per molte ore
della frazione di eiezione del ventricolo sinistro, in condizioni di vita quotidiana, durante test
farmacologici, etc.
Un ruolo centrale per la Medicina Nucleare ha infine il Computer. Esso viene utilizzato non solo
per la ricostruzione degli studi tomografici, ma anche per “computerizzare” gli esami. In questa
definizione il termine computerizzato viene presentato con un’accezione diversa rispetto a
quella solita, equivalente a “digitale”. Computerizzato viene infatti qui usato per definire la
capacità di esprimere il dato diagnostico in termini numerici, ai fini della possibilità di una
valutazione quantitativa con i vantaggi che vedremo descritti fra breve. Evidentemente,
nell’esame computerizzato esistono tutti i vantaggi generali dell’esame digitale, legati alla
possibilità di elaborazione, sottrazione e sovrapposizione di immagini, diminuzione degli errori
di acquisizione, capacità di archiviazione elettronica, telediagnosi, etc. che sono presenti in
tutti gli esami , anche non medico nucleari, che utilizzano il computer.
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Formazione della immagine scintigrafica
Caratteristiche dell’imaging in Medicina Nucleare
L’imaging radioisotopico si basa su presupposti di concentrazione del radiofarmaco (e non di
differenze di densità).
L’esame è possibile solo sul vivente e permette una valutazione “funzionale”. Ciò significa che
viene visualizzato solo ciò che concentra e che si ottengono informazioni fisiopatologiche e non
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morfostrutturali. In altre parole, se si utilizza un radiocomposto, come il radiocollide, che si
concentra negli organi dove si trovano cellule reticoloendoteliali si visualizzano il fegato e la
milza ( e in minor misura il midollo), ma non i reni che sono adiacenti. La concentrazione
avverrà anche in sede eterotopica in presenza, ad es., di tessuto splenico in sede pelvica,
ad.es., a condizioni che tale tessuto sia funzionante. Non avverrà quando a livello della milza o
del fegato esiste un alterazione grave di flusso (es. shunts intraepatici nella cirrosi grave), una
sostituzione cellulare, una alterazione della funzione collidopessica (anche temporanea).
Accanto agli esami “d’organo” (scintigrafia tiroidea, scintigrafia epatica, scintigrafia renale,
etc.) esistono i cosiddetti esami “total body” eseguiti utilizzando radiocomposti che si
concentrano secondo meccanismi presenti in tutto il corpo. Un esempio è la scintigrafia ossea
con metilendifosfonato marcato che si concentra in tutti i punti normali e patologici dove è
presente attività osteoblastica dalla testa ai piedi.
I presupposti funzionali degli esami medico nucleari determinano caratteristiche originali, che
possono talora produrre una diagnosi precoce, perché l’alterazione funzionale precede quella
anatomo patologica, un migliore rapporto con prognosi e terapia, un’informazione integrativa
rispetto al dato morfostrutturale, basata sulla definizione del parenchima e della sua
caratterizzazione biologica. L’esame medico nucleare esprime, in genere, la funzione
“parenchimale”. Quando si confrontano esami di flusso eseguiti con altri approcci di imaging
con gli esami di perfusione medico- nucleari occorre ricordare che le altre metodiche tendono a
fornire informazioni sul flusso intravasale; la medicina nucleare definisce invece il flusso
analizzando la concentrazione di un tracciante da parte delle cellule a valle del vaso; viene
quindi anche valutata l’importanza dei circoli collaterali o la presenza di un’alterazione
parenchimale dissociata dall’alterazione di flusso.
Un’ altra caratteristica non unica, ma che la Medicina Nucleare ha sviluppato in termini
estremamente significativi, è l’analisi quantitativa. Intendiamo per analisi quantitativa
l’espressione del dato diagnostico in termini numerici. Ad esempio, eseguendo una scintigrafia
renale sequenziale computerizzata, esiste la possibilità di calcolare il filtrato glomerulare
separato dei reni destro e sinistro. Utilità si individua anche negli esami statici, planari e
tomografici, ad es., per calcolare la quota di parenchima funzionante residuo prima di un
intervento chirurgico polmonare con la scintigrafia perfusionale o per definire una possibile
soglia diagnostica differenziale tra lesioni benigne e maligne captanti, usando la PET con F-18
fluorodeossiglucosio (PET-FDG). In generale, sono state messe a punto un altissimo numero di
metodiche accurate, riproducibili, eseguibili in tutti i pazienti, non operatore dipendenti, che
permettono valutazioni anche in condizioni di stress ergometrico o farmacologico. L’analisi
numerica che ne deriva può permettere, tra le altre cose: 1) Individuazione di patologia non
focale. 2) Migliore valutazione del dato funzionale. 3) Migliore analisi nel follow up. 4) Migliore
valutazione della riposta alla terapia. 5) Una più rigorosa esecuzione di test da stimolo; 6) una
più precisa valutazione diagnostica.
I più importanti radionuclidi utilizzati in Medicina Nucleare
Come detto precedentemente,
esistono differenti caratteristiche ottimali dei
radionuclidi usati in diagnostica o in terapia. In diagnostica il radionuclide ideale non
deve emettere radiazioni corpuscolate, che fanno danno senza fornire informazioni
utili. Al contrario, è utile che i radionuclidi utilizzati in terapia radiometabolica
permettano, oltre all’azione terapeutica determinata dalle radiazioni corpuscolate,
anche un imaging (legato a radiazioni gamma concomitanti o a radiazioni X da
frenamento) per definire preterapeuticamente, a dosi traccianti molto più basse la
possibile efficacia terapeutica.
In diagnostica si utilizzano radionuclidi gamma emittenti o emettitori di positroni.
Gamma emittenti:
Tecnezio-99m. Il più diffuso, utilizzato per marcare la maggior parte dei composti e cellule. Il
pertecnetato è un analogo biologico dello iodio.
Iodio-123
Iodio- 131 (anche in terapia perché emette radiazioni gamma e beta).
Gallio-67. Come citrato è utilizzato in oncologia, in particolare nei linfomi, e nella diagnosi e
definizione di attività di malattie infiammatorie.
Tallio – 201. Il cloruro è un analogo biologico del potassio (uso in cardiologia ed oncologia).
Indio-111. Utilizzato in particolare per la marcatura dell’octreotide, analogo della
somatostatina.
Emettitori di positroni:
Utilizzati per la PET (tomografia ad emissione di positroni).
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I più importanti sono il carbonio-11, l’azoto-13, l’ossigeno-15 e il fluoro- 18 (alogeno che
può marcare il deossiglucosio, permettendo l’analisi del metabolismo del glucosio, che
aumenta, tra l’altro, nei tumori maligni e nell’ischemia miocardica).
Poiché hanno una breve semivita richiedono la contiguità con il ciclotrone (“la macchina” che
li produce) e quindi strutture complesse ed alti costi organizzativi.
In terapia: Si utilizzano prevalentemente radionuclidi beta emittenti , in particolare lo
Iodio-131. Tra gli altri ricordiamo lo stronzio-89, il renio- 186, il fosforo-32,il samario-153.
Presupposti fisiopatologici ai più importanti esami di medicina nucleare.
Per capire il possibile ruolo di un esame medico nucleare bisogna conoscere i meccanismi di
concentrazione dei radiocomposti utilizzati e le basi fisiopatologiche delle malattie che si
vogliono studiare.
La concentrazione di un radiocomposto avviene anche in sedi eterotopiche e l’accumulo è
presente esclusivamente in presenza di cellule “funzionalmente attive” a livello del territorio
esaminato, non essendo possibile, ad es., dove c’è fibrosi o necrosi.
Le variazioni di concentrazione e quindi la definizione di un evento patologico
possono precedere le variazioni delle caratteristiche morfostrutturali di una lesione.
Alcuni esempi generali:
Traccianti iodomimetici (radioisotopi dello iodio e pertecnetato) possono essere usati per lo
studio della tiroide, delle salivari, nella ricerca della mucosa gastrica eterotopica.
Traccianti vascolari, ed in particolare globuli rossi marcati, possono essere usati oltre che
per l’angiocardioscintigrafia, che permette lo studio quantitativo della cinetica cardiaca, anche
per l’individuazione di emorragie intestinali o per la diagnosi di certezza di angioma.
Traccianti di funzioni multiple. Alcuni traccianti danno informazioni multiple quando lo
studio viene effettuato in più tempi. Ad es. il metilendifosfonato (MDP), utilizzato nella
scintigrafia ossea dà informazioni sul flusso ematico nel primo minuto dopo l’iniezione, sul
volume vascolare (blood pool) dopo 5-10 minuti, sull’attività osteoblastica a 2-4 ore.
In oncologia possiamo usare indicatori negativi (che definiscono la scomparsa delle cellule
normali) o positivi , la cui concentrazione è aumentata nel tumore.
Alcuni indicatori positivi (o oncotropi) usati in oncologia hanno un accumulo prevalente per
meccanismi “non specifici” quali l’aumentato metabolismo (Fluorodeossiglucosio),
l’aumentata cellularità (sestamibi, tetrofosmina, tallio) o meccanismi non completamente ben
definiti (gallio citrato).
In alcuni casi i meccanismi sono più specifici: radioiodio nelle metastasi da carcinoma tiroideo
differenziato; octreotide e metaiodobenzilguanidina in tumori di origine neuroectodermica;
anticorpi monoclonali diretti contro antigeni legati alla neoplasia.
Nell’infiammazione e nelle infezioni possiamo utilizzare o radiocomposti che definiscono la
presenza di malattia attraverso l’individuazione dell’alterazione funzionale o traccianti
dell’infiammazione, come i leucociti marcati o il gallio-citrato che è indicatore di attività di
malattia in patologie come la sarcoidosi, la tubercolosi, le interstiziopatie.
Non esistono controindicazioni agli esami medico nucleari ma, proprio per la fisiologicità
dell’esame, pur non necessitando nessuna preparazione, può essere indicata la sospensione di
farmaci (ad es. in studi cardiaci e renali), di terapie ormonali (ad es. nella tiroide), la
lontananza da possibili cause di interferenza farmacologica (ad es. contrasti iodati e captazione
tiroidea).
Presupposti fisiopatologici nello studio dei vari organi e apparati.
Cuore:
Approcci principali (in particolare nella cardiopatia ischemica)
Scintigrafia miocardica con traccianti di perfusione
Angiocardioscintigrafia con traccianti vascolari
In entrambi i casi l’esame viene fatto a riposo e dopo stress (ergometrico o
farmacologico)
Miocardioscintigrafia con traccianti
tetrofosmina, Tallio-201 cloruro).
di
perfusione
(Tc-99m
sestamibi,
Tc-99m
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Si tratta di molecole che vengono captate dalle cellule miocardiche proporzionalmente al flusso
ematico distrettuale fornendo quindi immagini della perfusione (e della vitalità). Non può
esistere concentrazione dove c’è necrosi.
Nell’ischemia l’esame è basato sul confronto tra studio a riposo, che è normale, e studio dopo
stress che mostra ridotta concentrazione a valle del vaso stenotico (se non c’è un buon
compenso emodinamico). Possono essere ottenute informazioni anche nello studio del
cosiddetto “miocardio vitale”.
L’esame standard è tomoscintigrafico (SPET).
Esiste la possibilità della cosiddetta gated SPET, che valuta oltre alla perfusione anche la
contrattilità del ventricolo sinistro.
Angiocardioscintigrafia con traccianti vascolari (globuli rossi marcati con Tc-99m)
Permette l’analisi della cinetica ventricolare attraverso la valutazione quantitativa globale e
regionale delle variazioni di volume e forma delle cavità cardiache in condizioni di riposo e
stress con il calcolo accurato e riproducibile dei più importanti parametri sistolici e diastolici.
Altri approcci:
Traccianti metabolici: (fluoro-18 desossiglucosio, acidi grassi liberi marcati) possono fornire
informazioni sulla presenza di ischemia ed in particolare nella caratterizzazione del cosiddetto
miocardio vitale.
Traccianti recettoriali (metaiodobenzilguanidina marcata con Iodio-123) permette
l’individuazione dell’alterazione dell’innervazione catecolaminica che è un importantissimo
indicatore prognostico.
Altri : indicatori della necrosi (pirofosfato) e , ancora in fase di ricerca, indicatori della placca
aterosclerotica e dell’apoptosi.
Linfoscintigrafia
Somministrando con iniezione interstiziale particelle colloidali marcate, queste vengono
drenate nel flusso linfatico e vanno a concentrarsi a livello dei linfonodi regionali in funzione del
flusso e della pervietà delle vie linfatiche, dell’integrità e della capacità funzionale
colloidopessica dei linfonodi.
Accanto ad un ruolo nello studio del linfedema sta acquistando importanza crescente come
premessa alla cosiddetta tecnica del linfonodo sentinella che è ormai diventata applicazione
clinica nel ca della mammella e nel melanoma. Si tratta della più importante tra le metodiche
di chirurgia radioguidata basate sulla rilevazione intraoperatoria dell’accumulo mediante sonda
rivelatrice della radioattività.
Cervello
SPET del flusso cerebrale con traccianti di perfusione.
Traccianti lipofili (Tc99m PAO, Tc-99m ECD) si concentrano proporzionalmente al
flusso ematico cerebrale.
Appariranno ipocaptanti non solo le aree necrotiche e quelle ischemiche, ma anche i territori ad
essi neurologicamente collegati (diaschisi).
Saranno ipercaptanti le aree “iperattive”, come i focolai epilettogeni in fase critica. Non ci sarà
captazione in caso di morte cerebrale.
Altri esami:
PET con Fluoro-18 desossiglucosio (FDG)
Analogo del glucosio, nutriente fondamentale a livello cerebrale. Non può essere captato in
assenza di cellule e quindi a livello di territori necrotici o fibrotici e quindi permette la migliore
valutazione della presenza di recidiva. Nei tumori maligni la sua concentrazione è legata alla
malignità biologica. La concentrazione si riduce in tutte le condizioni patologiche caratterizzate
non solo da riduzione del numero delle cellule o della perfusione, ma anche da ridotta attività
funzionale.
Altri indicatori di neoplasia (Tc-99m Mibi, Tc-99m tetrofosmina, Tallio-201 cloruro) o di
infezione (leucociti marcati).
Indio-111 octreotide: diagnosi di adenomi ipofisari ed in particolare dei GH secernenti. La
captazione può predefinire l’efficacia di un trattamento con analoghi della somatostatina.
Mielocisternoscintigrafia. Iniettando mediante rachicentesi un tracciante radioattivo (Indio111 DTPA) è possibile studiare la dinamica liquorale o evidenziare le fistole liquorali.
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Metodica collegata è quella dell’iniezione di un tracciante radioattivo nel reservoir della valvola
di derivazione liquorale extratecale per valutare la pervietà del sistema di derivazione
liquorale.
Altri traccianti recettoriali (non ancora di uso clinico): dopamina, serotonina, acetilcolina.
GABA, etc.
Scheletro
Scintigrafia ossea globale.
Usando traccianti osteotropi, quali il metilendifosfonato marcato con Tc-99m, si evidenzieranno
come aree di aumentata captazione tutte le aree dove è presente aumentata attività
osteoblastica (anche fisiologica).
L’aumentata concentrazione può individuare con alta sensibilità, ma senza avere criteri di
specificità, tutte le lesioni caratterizzate da rimaneggiamento osseo e quindi non solo
neoplastiche, ma anche traumatiche (nelle fratture accumulo solo in caso di eventi recenti),
infettive, metaboliche, etc.
L’uso nella ricerca di metastasi ossee deve essere definito sulla base della probabilità di
malattia essendo particolarmente indicato nei tumori della prostata, della mammella, del
polmone o in presenza di una sintomatologia algica.
Scintigrafia ossea segmentarla trifasica.
Iniettando il paziente sotto la gamma camera ed eseguendo rilevazioni precoci e tardive, è
possibile conoscere nel distretto selezionato sulla base dei sintomi, non solo l’eventuale
aumento dell’attività osteoblastica, ma anche l’incremento del flusso ematico (caratteristico ad
es. dell’infezione acuta) e del volume ematico (presente ad es. nell’infiammazione). Tale studio
è utile per la diagnostica differenziale di alcune lesioni ossee (quale l’osteoma osteoide), la
diagnosi e valutazione di attività delle osteomieliti e delle necrosi, lo studio dei distacchi ed
infezioni delle protesi.
Scintigrafia osteomidollare con microcolloidi marcati a tropismo per le cellule
reticoloendoteliali.
Rene
Scintigrafia renale sequenziale:
Valuta perfusione, funzione ed escrezione renale (con possibile analisi anche della patologia
uretero-vescicale). Permette l’analisi quantitativa globale e “separata” a livello dei singoli reni
dei più importanti parametri funzionali quali il filtrato glomerulare (usando analoghi dell’inulina,
quali il Tc-99m DTPA) o il flusso plasmatico renale (con traccianti dell’hippuran, quali lo Iodio123 hippuran o il Tc-99m MAG3). Per la maggiore estrazione si dà oggi, specie per gli studi di
interesse urologico, la preferenza a traccianti a secrezione tubulare ed in particolare al Tc-99m
MAG3.
Si può collegare a due test principali:
Test al captopril: per identificare pazienti con ipertensione arteriosa, sulla base della messa
in evidenza dell’alterazione del sistema renina-angiotensina dal lato della stenosi dell’arteria
renale.
Test alla furosemide: durante l’esame viene somministrata endovena furosemide allo scopo
di aumentare il flusso e di differenziare quindi una dilatazione delle vie escretrici renali (in
particolare nel sospetto di stenosi del giunto pielo-ureterale e nel megauretere) di natura
organica da una dilatazione di natura funzionale, definendo quindi la strategia da adottare.
Scintigrafia renale statica
Utilizza radiocomposti (Tc99m DMSA) che si concentrano a livello della corticale. E’ la migliore
metodica per definire la presenza e la quota di parenchima funzionante, anche in sede
eterotopica o a livello di patologia displasica. Il dato patologico esprime la ridotta
concentrazione globale o focale ed è legata al filtrato glomerulare ed alla riduzione delle cellule
funzionali. In particolare
è utile per la definizione del danno parenchimale renale
nelle infezioni delle vie urinarie (cicatrice o scar).
Cistoscintigrafia diretta minzionale.
Serve ad individuare il reflusso vescico-ureterale dopo somministrazione previo cateterismo
vescicale di Tc-99m.
Esiste anche una cistoscintigrafia indiretta, parte finale della scintigrafia renale sequenziale
che, pur essendo più semplice, ha minore accuratezza diagnostica e richiede collaborazione del
paziente.
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Polmone
Esiste uno studio fondamentale, la scintigrafia polmonare perfusionale, uno di secondo livello,
la scintigrafia ventilatoria, ed un ruolo in oncologia e nello studio dell’infiammazione, che verrà
valutato più avanti.
Scintigrafia polmonare perfusionale.
Dopo somministrazione endovenosa di microemboli radioattivi marcati con Tc-99m si valuta la
perfusione polmonare, intrappolandosi il radiocomposto a livello del primo circolo capillare
incontrato e distribuendosi in misura proporzionale al flusso ematico regionale.
L’esame è particolarmente importante nella definizione della presenza di embolia polmonare,
dove il deficit perfusivo precede l’alterazione della Rx del torace, rimanendo normale la
ventilazione.
Scintigrafia polmonare ventilatoria, con aerosol radioattivi marcati con Tc-99m, che
somministrati per via inalatoria si distribuiscono proporzionalmente alla ventilazione regionale.
Ghiandole salivari.
Il Tc-99m pertecnetato, analogo biologico dello iodio, si concentra e viene secreto a livello
salivare. Esiste la possibilità di uno studio funzionale, con test di stimolo con succo di limone,
che permette una valutazione quantitativa che mette in evidenza sia i deficit di concentrazione
che l’alterazione escretoria, legata, ad es., ad ostruzioni.
Tutte le condizioni focali, benigne e maligne, corrispondono ad un’area di ridotta
concentrazione, ad eccezione del t. di Warthin, che è ipercaptante, perché concentra, ma non
elimina il radiocomposto.
Fegato (vie biliari, milza)
Esistono due approcci principali, quello dei traccianti a tropismo per l’epatocita, alla base della
scintigrafia epatobiliare, e quello dei traccianti a tropismo per le cellule reticoloendoteliali, usati
nella cosiddetta scintigrafia epatosplenica.
Tra gli indicatori positivi particolare interesse hanno i globuli rossi marcati con Tc-99m nella
diagnosi di angioma epatico.
Scintigrafia epatobiliare
Usando traccianti lipofilici (IDA marcata con Tc-99m) mimetici della bilirubina è possibile
valutare quantitativamente la funzionalità epatocitaria, il transito biliare intra ed extra epatico,
la funzione e la capacità contrattile della colecisti, la funzione vicariante del coledoco nei
colecistectomizzati, il transito nelle anse intestinali prossimali, il reflusso duodeno-gastrico, la
presenza di fistole e/o di spandimenti peritoneali.
L’interesse per l’esame è accresciuto oltre che dalla possibilità di un’analisi quantitativa, dalla
scomparsa dal mercato della biligrafia e dalla ridotta diffusione o dalle difficoltà operative di
altre metodiche (ERCP, Risonanza Magnetica) concorrenti.
Scintigrafia epatosplenica.
Somministrando per via endovenosa sostanze colloidali marcate con Tc-99m è possibile
studiare la funzione reticolendoteliale, alla base della scintigrafia epatosplenica.
I colloidi si distribuiscono in base alla distribuzione delle cellule reticoloendoteliali e al flusso
ematico epatico, alterandosi la distribuzione intra ed extraepatica in collegamento con
l’ipertensione portale e con la presenza di shunts.
Tutte le alterazioni sostitutive benigne e maligne appaiono come aree di ridotta captazione. La
presenza di captazione colloidale definisce l’assenza di neoplasia e può essere dato utile nella
diagnosi differenziale tra tumore ed iperplasia focale nodulare.
La captazione del radiocomposto avviene anche in milze accessorie, in sede eterotopica,
trapiantate definendone la natura e l’attività funzionale. Possibile anche l’uso dei globuli rossi
denaturati marcati.
Valutazione dei transiti gastroenterici.
L’assunzione di solidi o liquidi radiomarcati, non assorbiti dalla mucosa enterica, permette una
misura quantitativa accurata della progressione e della funzione del tubo digerente, in
particolare a livello esofageo e gastrico.
Esiste la possibilità di valutazioni fisiologiche che utilizzano pasti standard e la capacità di
individuare reflussi o , in pediatria, aspirazione polmonare.
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Tra gli indicatori positivi utilizzati nello studio della patologia gastrointestinale ricordiamo l’uso
di granulociti marcati nella definizione di attività di malattia nel m. di Crohn.
Ricordiamo anche l’uso del Tc-99m pertecnetato nella diagnosi di diverticolo di Meckel, con
mucosa gastrica eterotopica.
Tiroide.
Traccianti iodomimetici (Tc-99m pertecnetato, Iodio-123, Iodio-131).
La concentrazione avviene anche in sede eterotopica (es. tiroide sublinguale) definendo la
presenza di attività funzionale. Il dato patologico globale, fatta salva l’analisi di possibili cause
di interferenza farmacologica, individuerà l’ipertiroidismo attraverso un’aumentata captazione
(che può essere presente anche in caso di carenza iodica e/o in caso di incremento del TSH) e
l’ipotiroidismo (anche nelle tiroiditi pseudo ipertiroidee) con ridotta captazione.
Relativamente ai noduli esistono 3 possibili patterns: il nodulo ipercaptante definisce
l’adenoma autonomo di Plummer (determinando l’inibizione funzionale del parenchima
circostante), il nodulo isocaptante è in genere benigno è può essere slatentizzato come nodulo
autonomo grazie al test di soppressione del feedback tiroide-ipofisi con T3. Il nodulo
ipocaptante e/o freddo è compatibile sia con patologia benigna che maligna.
Indicatori positivi
Indicatori di cellularità (Tc-99m mibi, Tc-99m tetrofosmina, tallio-201 cloruro),
Fluoro- 18 deossiglucosio (FDG), la cui captazione aumenta in funzione della malignità
biologica, che può essere utile nella stadiazione e nel follow up dei tumori poco differenziati
Traccianti del carcinoma midollare tiroideo che sono il Tc-99m Penta-DMSA (di cui non si
conosce il meccanismo di concentrazione) o i traccianti dei tumori neuroendocrini (Iodio-123
Metaiodobenzilguanidina, Indio-111 octreotide).
Total body con Iodio-131 (o Iodio-123)
Nei pazienti con carcinoma differenziato della tiroide esiste la possibilità di individuare la
presenza di metastasi iodocaptanti attraverso la scansione totale corporea (total body) con
Iodio-131. Lo iodio-131 può in caso di accumulo essere usato anche a livello terapeutico. L’uso
terapeutico può essere efficace , a dosi minori, anche nell’ipertiroidismo.
Paratiroidi
Esiste la possibilità di diagnosticare l’adenoma paratiroideo e, con minore accuratezza
l’iperplasia, sia in sede ortotopica che eterotopica, utilizzando traccianti positivi di perfusionecellularità ed in particolare il Tc-99m mibi, che a livello dell’adenoma presenta concentrazione
e cinetica differente rispetto alla tiroide.
L’accuratezza può ulteriormente aumentare attraverso la metodica di sottrazione all’immagine
ottenuta con il Tc-99m mibi di quella ottenuta con il Tc-99m pertecnetato, che si concentra
nella tiroide, ma non nelle paratiroidi.
Corticosurrene
Si utilizzano analoghi del colesterolo marcato, con Iodio-131 o Selenio- 75, che si concentrano
elettivamente nel corticosurrene. La concentrazione aumenta nell’adenoma autonomo cortisolo
secernente , per l’inibizione della concentrazione a livello dell’altro surrene, dovuto alla
riduzione dell’ACTH. Nell’iperaldosteronismo la diagnosi viene fatta previo test di soppressione
con desametazone, che inibisce la concentrazione nel surrene normale mediante riduzione
dell’ACTH, che non ha effetto a livello dell’aldosteronoma.
Midollare del surrene e tessuto cromaffine
Si utilizza la metaiodobenzilguanidina (MIBG), marcata con iodio-123 o iodio-131, analogo
della noradrenalina, la cui concentrazione aumenta selettivamente a livello del feocromocitoma
e dei tumori di origine neuroectodermica con particolare riguardo al neuroblastoma (nei
confronti del quale è anche possibile una terapia con MIBG marcato con iodio-131).
Il MIBG viene anche usato per lo studio dell’innervazione catecolaminica cardiaca.
Localizzazione di focolai flogistici
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Iniettando leucociti marcati con Tc-99m o Indio-111 è possibile individuare la loro
concentrazione “in vivo” e quindi diagnosticare la presenza di infezioni (protesi articolari,
osteomieliti,ascessi cerebrali, etc.) o l’estensione e l’attività di malattia, in particolare nel m. di
Crohn.
Scintigrafia con Gallio-67 citrato
I meccanismi di accumulo non sono completamente noti, ma sono dovuti almeno in parte alle
caratteristiche ferromimetiche, con aumentata captazione in focolai neoplastici o infiammatori,
legata a parametri quali l’aumento della proliferazione cellulare, della permeabilità, della
risposta macrofagica. Può essere utile nel follow up (e staging) di neoplasie, con particolare
riguardo al linfoma, per visualizzare focolai infiammatori, definire l’attività di malattia nella
sarcoidosi, nella tubercolosi, nelle interstiziopatie, permettere l’individuazione del focolaio
responsabile di una febbre di natura da dimostrare..
Scintigrafia con analoghi della somatostatina
I recettori della somatostatina aumentano nei tumori di origine neuroectodermica. L’uso
dell’octreotide marcato con Indio-111. analogo della somatostatina,
può permettere di
evidenziare il tumore primitivo, recidive loco-regionali, metastasi a distanza in particolare nei
GEP.
Può essere utile anche in tutti i casi in cui esista un incremento di captazione dovuto ad
un’aumentata espressione dei recettori, come negli adenomi ipofisari GH secernenti o ad
un’infiltrazione da parte di linfociti attivati, come nell’esoftalmo da Graves, anche in funzione
della definizione di una terapia.
Mammoscintigrafia
Indicatori positivi cationici (traccianti di perfusione-cellularità) quali il Tc-99m mibi, Tc-99m
tetrofosmina e il Tallio-201 cloruro, permettono di identificare con buona accuratezza i
carcinomi mammari (specie se di dimensione superiore a 1 cm) e l’interessamento ascellare.
PET –FDG (con fluoro-18 deossiglucosio)
A livello della maggioranza dei tumori maligni c’è un incremento della glicolisi anaerobica
(Warburg) e quindi del metabolismo glucidico.
La PET-FDG ha un ruolo crescente nella diagnosi, stadiazione e follow up di numerosi tumori
(polmone, linfomi, melanomi,etc.). L’accumulo non è completamente specifico, anche se
relativamente più alto rispetto a patologie benigne captanti, ma il ruolo è accresciuto dal
collegamento con la vitalità cellulare che può fornire utili dati integrativi a metodiche
morfostrutturali (anche attraverso tecniche di fusione di immagini) o importanti nella diagnosi
di recidiva, non essendoci captazione a livello della fibrosi.
E’ in corso di valutazione clinica il ruolo per definire la capacità di valutare precocemente la
risposta ad una terapia.
DOMANDE
Cosa si intende per radiofarmaco?
Cosa emettono i radioisotopi?
Quali sono i vantaggi della medicina nucleare?
Quali sono gli svantaggi della medicina nucleare?
Quali sono le applicazioni della medicina nucleare?
Cosa e’ la scintigrafia?
Cosa si intende per tracciante?
Quali sono le componenti della Gamma Camera?
Quali sono i radionuclidi usati in scintigrafia?
Cosa si indica per indicatore positivo ed negativo?
Come si articola una scintigrafia?
Chi e’ sottoposto a scintigrafia?
Cosa e’ la PET?
Cosa e’ il fenomeno di annichilazione?
Quali sono gli emettitori di positroni nella PET?
Dove trova impiego la PET?
Cosa e’ FDG?
Cosa e’ la SPET?
Dove trova impiego la SPET?
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Aspetti legali della radioprotezione
RADIOPROTEZIONE
LEGISLAZIONE IN RADIOPROTEZIONE
Le radiazioni ionizzanti, che sono un flusso di energia con la capacità di produrre ioni
nell’interazione con la materia che attraversano, si distinguono in:
A)Radiazioni non corpuscolari, o elettromagnetiche, come i Raggi X e i Raggi Gamma
B)Radiazioni corpuscolari come le Particelle alfa, gli Elettroni, Positroni, Deutroni, Protoni e
Neutroni.
Le radiazioni ionizzanti, necessarie per ottenere l’imaging radiologico grazie alla loro capacità
di produrre ioni nell’interazione con la materia biologica che attraversano, sono pericolose per
il danno potenziale che possono indurre.
Perciò è stato necessario istituire delle norme di sicurezza che tutelino gli operatori sanitari e i
pazienti, tali norme vengono definite radioprotezione.
La radioprotezione in Italia ha uno sviluppo storico che ha origine dal T. U. delle Leggi Sanitarie
(1934), e dal relativo Regolamento di Applicazione (1935), i quali per la prima volta nella
nostra Nazione hanno regolamentato l’esercizio della radiologia medica.
Nel 1956 con Decreto sono state introdotte le visite mediche preventive e periodiche per i
lavoratori addetti a mansioni implicanti l’uso del radio, dei raggi X e delle sostanze radioattive.
L’attuale normativa si basa sul:
o
D. Lg. 230/95: Attuazione delle direttive EURATOM 80/836, 84/467, 84/466, 89/618,
90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti;
o
D. Lg. 187/00: Attuazione della direttiva EURATOM 97/43 in materia di protezione
sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni
mediche;
o
D. Lg. 241/00: Attuazione della direttiva EURATOM 29/96 in materia di protezione
sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti.
PRINCIPI DI RADIOPROTEZIONE
Per il D. Lg. 187/OO la radioprotezione si basa su tre principi generali:
> Giustificazione è la valutazione dei potenziali vantaggi diagnostici o terapeutici rispetto al
danno alla persona che l’esposizione potrebbe causare.
> Ottimizzazione riguarda la scelta delle attrezzature, la produzione adeguata di una
informazione diagnostica o del risultato terapeutico, la delega degli aspetti pratici nonché i
programmi per:
a)controllo della qualità;
b)esame e valutazione delle dosi o delle attività somministrate al paziente.
Questo principio si basa sulla ALARA (As Low As Readly Achievable) e cioè sul cercare di
mantenere la dose di esposizione a livello più basso ragionevolmente possibile.
> Livelli diagnostici di riferimento (LDR) vanno intesi come strumenti di lavoro
per ottimizzare le prestazioni. Sono grandezze (tempi, indice di dose topografica pesata,
attività, prodotto dose lunghezza) facilmente misurabili e tipiche per ogni procedura
diagnostica. Le verifiche degli LDR su richiesta del responsabile delle apparecchiature devono
essere effettuate dal Fisico Specialista. Il responsabile dell’impianto radiologico è tenuto, per le
prestazioni per le quali sono stati definiti i LDR e per ogni apparecchiatura a promuovere con
periodicità biennale, la verifica degli stessi.
I danni da esposizione a radiazioni ionizzanti si possono verificare per mezzo di due processi:
A)
IRRAGGIAMENTO può essere esterno ed interno:
>l’irraggiamento esterno è dato da sorgenti che si trovano al di fuori dell’organismo (macchine
radiogene);
>l’irraggiamento interno è secondario all’introduzione di radionuclidi del nostro corpo ed è
provocata da particelle alfa, beta raggi gamma e da altri fotoni emessi nella disintegrazione
nucleare.
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B)
CONTAMINAZIONE
per la quale si intende l’esposizione a radiazioni ionizzanti
attraverso il contatto di sostanza radioattive non sigillate, ad esempio radionuclidi o radio
isotopi radioattivi (sostanze in grado di emettere radiazioni), tra cui i più tossici sono il piombo,
il plutonio, radio, torio, e tutti gli elementi transuranici.
La gravità della contaminazione dipende da tre fattori:
organo o organi di deposizione;
natura dell’emissione del contaminante;
periodo di dimezzamento del contaminante
La contaminazione si distingue in:
>
contaminazione esterna quando interessa soltanto la cute per la quale il processo di
decontaminazione risulta essere relativamente più breve e meno complicato.
>
contaminazione interna quando viene superata la barriera cutanea e/o mucosa, ad
esempio per la presenza di abrasioni cutanee; in questo caso il processo di contaminazione
interna è aggravato dal verificarsi anche del processo di irraggiamento.

Il processo di contaminazione interna si verifica mediante quattro tappe:
deposizione del contaminante lungo la via d’entrata;
trasporto al sangue o alla linfa del contaminante;
incorporazione cioè deposizione dell’organo o negli organi critici del contaminante;
eliminazione direttamente (es. per filtrazione renale) o indirettamente (es. con un meccanismo
inverso a quello di incorporazione) e rimessa in circolo del contaminante.
EFFETTI DELLE RADIAZIONI
Le radiazioni possono indurre due tipi di danno: stocastico e non stocastico detto anche
deterministico.
GLI EFFETTI STOCASTICI sono del tutto o del nulla nel senso che si manifestano o non si
manifestano affatto, non sono dipendenti dalla dose e la probabilità di comparsa si ipotizza non
abbia una soglia e che cresca linearmente con la dose.
Si differenziano in:
SOMATICI se interessano l’individuo direttamente esposto (leucemie e tumori solidi)
GENETICI se interessano i figli che nasceranno dai soggetti esposti a radiazioni.
GLI EFFETTI NON STOCASTICI (O DETERMINISTICI ) comprendono quei danni per i quali
esiste una dose soglia dalla quale la gravità dell’effetto aumenta con la dose stessa (eritema,
desquamazione cutanea, cataratte, fibrosi, danno emopoietico).
L’effetto di minore entità è l’eritema ed interviene per una dose somministrata di 2-3 Gray.
La dose di radiazioni assorbita per l’esecuzione di un radiogramma, quale un torace in PA, o un
rachide cervicale in PA, o un addome in PA, è rispettivamente di 0.15, 0.95 e 3.0 milliGrays.
Per tale motivo, prima che venga raggiunta una dose pari a quella minima necessaria per
avere un eritema dobbiamo fare 10.000 esami rx del torace o 100 TC o 30 minuti di
fluoroscopia.
Tutte le figure professionali che operano in un servizio di diagnostica per immagini, TRSM e
radiologi,
non raggiungono soglie di assorbimento di radiazioni grazie a misure
radioprotezionistiche applicate in tutti gli ambiti di lavoro a rischio.
Quindi, non è possibile eliminare effetti stocastici per i quali non è riconosciuta una dose soglia,
ma è possibile sicuramente azzerare gli effetti non stocastico (o di tipo deterministico).
Proprio per tali motivi, legati al possibile danno da radiazioni, ogni indagine che impiega
radiazioni ionizzanti, deve avere una sua logica giustificazione, per ottimizzare il rapporto
rischio/beneficio.
L’assorbimento naturale di radiazioni provenienti dall’atmosfera, dalla terra, dagli isotopi
radioattivi presenti in natura, è stimato pari ad una dose di 3.2 milliSievert, considerando il
Sievert come unità di misura del danno da radiazioni nel Sistema Internazionale. Ogni anno gli
operatori di un servizio di diagnostica per immagini sono esposti ad una dose che è molto
inferiore a quello che è l’assorbimento naturale.
Restano ad oggi maggiormente esposti gli angiografisti ed i cardiologi, che lavorano a
procedure interventistiche sotto guida fluoroscopia. Per ridurre l’esposizione, è necessario agire
sulla durata dell’esposizione, sulla distanza dalla fonte delle radiazioni e sull’uso di misure
protettive, quali camici e guanti di piombo che proteggono dall’esposizione. Un grembiule di
piombo di 0,5 mm riduce l’assorbimento delle radiazioni del 95%.
Per quanto riguarda le donne gravide, l’esposizione a radiazioni ionizzanti, prima dell’impianto
dell’ovulo, cioè 9 giorni dopo il concepimento, può provocare o la morte dell’embrione o nessun
danno, quindi non ha senso prendere alcun provvedimento se inavvertitamente la donna
dovesse essere stato esposta a radiazioni.
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Il feto è più sensibile al danno da radiazioni ionizzanti nelle 8-15 settimane dopo il
concepimento, per cui intervengono anomalie di sviluppo e ritardi mentali specialmente quando
viene superata una dose di assorbimento di 40 cGray. Anche la possibilità di insorgenza di
leucemia e di cancro nei bambini deve essere considerata per una esposizione in utero ed il
rischio aumenta del 4-6 per 10000 per ogni cGray assorbito. E’ stata determinata una dose
soglia di assorbimento per le gravide che svolgono attività in radiologia e che è valutabile nella
dose di 0.5 milliSievert. Quindi nel caso di una donna gravida a maggior ragione l’esecuzione di
un esame radiologico richiede una valutazione del rapporto rischio/beneficio che dovrà tendere
il più possibile vicino allo zero.
Resta da valutare quanto i piccoli assorbimenti nel tempo abbiano un ruolo nel determinare un
danno sulla popolazione. Non è possibile valutare quante neoplasie sia state indotte da piccoli
e successivi assorbimenti nel tempo di radiazioni ionizzanti da quelli non provocati dalle stesse.
Di certo, nel momento in cui l’esposizione sarà la più modesta possibile, più facilmente i
meccanismi di riparazione del danno genetico potranno operare ed ovviare al danno, al
contrario un danno sarà più probabile e quindi meno facilmente riparabile quanto maggiore
l’esposizione.
13
radioprotezione del paziente e degli operatori professionalmente esposti
FIGURE PREPOSTE ALLA RADIOPROTEZ!ONE
Datori di lavoro e dirigenti: rispettivamente eserciscono e dirigono le attività.
Preposti: sovrintendono all’attuazione delle cautele di protezione e di sicurezza.
Medico Autorizzato-Competente: addetti alla sorveglianza medica.
Esperto Qualificato - Fisico Specialista: addetti alla sorveglianza fisica.
CLASSIFICAZIONE DEI LAVORATORI
I lavoratori vengono classificati in:
o
non esposti: i lavoratori che nell’arco di un anno non superano l’esposizione globale di
1 mSv (milli sivert) equivalente a 1000 mille micron sivert.
o
esposti: i lavoratori che nell’arco di un anno possono superare come esposizione globale
1 mSv e vengono a loro volta classificati in Categoria A (se superano i 6mSv) ed i restanti in
Categoria B.
SORVEGLIANZA MEDICA
Secondo il D. Lg. 230 del ‘95 e D. Lg. 241 del 2000 la SORVEGLIANZA MEDICA dei lavoratori e
dei pazienti è affidata a particolari figure mediche (il cui nominativo deve essere comunicato
all’ispettorato provinciale competente) che si distinguono in:
- medici autorizzati
- medici competenti.
La sorveglianza medica dei lavoratori esposti di categoria A cioè che sono suscettibili a ricevere
in un anno solare una dose superiore a 6mSv degli apprendisti e degli studenti è affidata a
medici autorizzati mentre quella dei lavoratori di categoria B è affidata a medici autorizzati o
competenti.
La sorveglianza medica comprende:
1)VISITA MEDICA PREVENTIVA che serve al medico autorizzato e competente per formulare il
giudizio di idoneità per l’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Essa viene eseguita secondo una
rigida sequenza di punti:
-anamnesi familiare;
-anamnesi personale;
-anamnesi patologica;
-esame obiettivo con particolare riguardo alla cute, allo stato di sanguificazione, alle stazioni
linfatiche, al fegato, alla milza, ai reni e all’apparato respiratorio;
-esami di laboratorio quali emocromo, VES, glicemia, azotemia, creatininemia, protidogramma,
esame urine, rx torace e ECG.
In base alla visita preventiva i lavoratori vengono giudicati:
-idonei;
-idonei a determinate condizioni;
-non idonei.
2)VISITA PERIODICA effettuata ogni sei mesi per i lavoratori di categoria A almeno una volta
l’anno per i lavoratori di categoria B.
3) VISITA STRAORDINARIA;
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4) INDAGINI SPECIALISTICHE E DI LABORATORIO;
5)PR0VVEDIMENTI E DISPOSIZIONI SANITARIE ADOTTATE.
L’insieme di questi accertamenti sanitari costituisce il DOCUMENTO SANITARIO PERSONALE (D.
O. S. P.) che deve essere aggiornato e conservato per ogni lavoratore per almeno trenta anni.
Dopo la cessazione del rapporto di lavoro insieme alla scheda dosimetrica deve essere inviato
dal medico addetto alla sorveglianza medica all’Ispettorato Medico Centrale del Lavoro (I. S.
P. E. S. L.) di Roma.
SORVEGLIANZA FISICA
Secondo il D. Lg. 230 del ‘95 e il D. Lg. 241 del 2000 oltre alla sorveglianza medica è prevista
anche la SORVEGLIANZA FISICA cioè il complesso dei dispositivi adottati, delle valutazioni,
delle misure e degli esami effettuati sull’ambiente di lavoro e l’istituzione e l’aggiornamento di
una scheda personale dosimetria del lavoratore, accertamenti effettuati da esperti qualificati
iscritti in appositi elenchi presso l’Ispettorato Medico Centrale del Lavoro.
L’esperto qualificato effettua accertamenti dosimetrici ambientali e individuali, così per quanto
riguarda l’ambiente di lavoro si possono in generale distinguere due zone:
zona controllata rappresenta l’ambiente in cui sussiste per i lavoratori il rischio di superamento
di 6mSv dose.
zona sorvegliata rappresenta l’ambiente in cui il rischio di esposizione per i lavoratori è
compreso tra 1 mSv e 6mSv.
Il lavoratore viene fornito di dosimetro che mensilmente viene controllato e di tutti i presidi
protettivi, quali grembiuli, guanti, occhiali anti x, salvagonadi. L’esperto qualificato redige per i
lavoratori di categoria A una valutazione semestrale sulle dosi ricevute, annuale per gli altri
lavoratori.
Tali valutazione dovranno essere trasmesse al medico addetto alla sorveglianza medica che le
dovrà annotare nel D. O. S. P..
DOMANDE
Come può essere il danno indotto da radiazioni?
Quali sono gli effetti stocastici?
Quali sono gli effetti deterministici?
Qual è la dose minima per avere un danno non stocastico da radiazioni ionizzanti?
A quale danno sono sottoposti gli operatori di radiologia?
Quale è l’assorbimento naturale che ogni uomo ha di radiazioni ionizzanti?
Qual è l’assorbimento annuo dei radiologi e dei tecnici di radiologia?
Qual è la soglia di controllo per un assorbimento da esposizione professionale?
Quali medici sono sottoposti ad un assorbimento maggiore di radiazioni?
Come si riduce il rischio di assorbimento per gli esposti?
Di quanto riduce l’assorbimento delle radiazioni un grembiule di 0.5 mm?
Qual è l’effetto delle radiazioni ionizzanti sulle donne gravide?
Come bisogna comportarsi con una donna incinta?
E’ possibile differenziare il danno indotto da piccoli assorbimenti da radiazioni nel tempo da
quelli non indotti da esse?
Cosa si intende per Radioprotezione?
Su quali Decreti Legislativi si basa l’attuale normativa?
Quali sono i processi che determinano i danni da esposizione a radiazioni ionizzanti?
Quanti tipi di irraggiamento esistono?
Quanti tipi di contaminazione esistono?
Che si intende per giustificazione?
Che si intende per ottimizzazione?
Che si intende per ALARA?
Che si intende per LDR?
Quali sono i principi generali di radioprotezione secondo il D. Lg. 187/00?
Di cosa si interessa il datore di lavoro?
Di cosa si interessa il preposto?
Di cosa si interessa il Medico Autorizzato Competente?
Di cosa si interessa l’Esperto Qualificato e Fisico Specialista?
Come vengono classificati i lavoratori?
In cosa consiste la Sorveglianza Medica?
Cosa si intende per D. O. S. P.?
In cosa consiste la Sorveglianza Fisica?
47
Quali sono le zone in cui è distinto l’ambiente di lavoro?
Cos’è il dosimetro?
13
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Tecniche radioterapiche
Principi di Radioterapia Oncologica
La Radioterapia viene realizzata mediante la somministrazione di un’adeguata dose di
radiazioni, espressa in Gray (Gy), al volume di interesse. Il bersaglio è rappresentato dalla
massa neoplastica (Gross Tumor Volume) più le sedi potenzialmente a rischio per diffusione
microscopica della malattia (Clinical Target Volume). A questo occorre aggiungere un margine
(Planning Target Volume) da definire in rapporto alle caratteristiche tecniche del trattamento e
ad altri fattori, quali ad esempio, i movimenti del paziente e degli organi al suo interno.
Attenzione deve essere posta ai cosiddetti “organi a rischio”, cioè i tessuti sani inclusi nel
volume trattato, al fine di ridurre 1’ incidenza di possibili effetti collaterali o complicazioni.
La Radioterapia impiega radiazioni di differente natura:
A.
elettromagnetiche, caratterizzate dal solo trasporto di energia, suddivisibili
ulteriormente in “non ionizzanti” e “ionizzanti”
Sono caratterizzate da
1.
Lunghezza d’ onda : distanza che separa due creste d’onda successive [metro]
2.
Frequenza : numero di oscillazioni nell’ unità di tempo [Hertz ]
3.
Periodo : tempo di una oscillazione completa [secondo s ]
4.
Energia [elettronvolt ev]
La capacità di penetrazione di una radiazione elettromagnetica è direttamente proporzionale
alla frequenza ed inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda.
Tra le prime ricordiamo le U.L.F e le E.L.F., i cui acronimi fanno riferimento alle loro frequenze
che risultano essere molto basse; le onde elettriche e le onde Hertziane, suddivisibili in
lunghissime, lunghe, corte RF, ultracorte, microonde (MO); i raggi Infrarossi, la luce visibile ed
infine gli Ultravioletti. Queste radiazioni riescono solo ad ”eccitare “ 1’atomo, cioè a far passare
un elettrone da un’ orbita più interna ad una più esterna, con emissione di energia quando
esso torna sull’orbita originaria.Ciò si verifica, quindi, quando l’apporto di una quantità di
energia è insufficiente a determinare la rimozione di un elettrone.
Tra le seconde ricordiamo i raggi X e gamma; esse sono in grado di “ strappare un elettrone
dalla propria orbita, allontanandolo addirittura dall’atomo di appartenenza. Si verifica quando
la quantità di energia fornita dall’impatto di una particella corpuscolare di una radiazione
elettromagnetica con un atomo è sufficiente a rimuovere uno o più elettroni dai suoi orbitali. La
conseguenza di questa interazione è la formazione di una ‘coppia di ioni’, uno positivo,
formatosi dopo la rimozione dell’elettrone, ed uno negativo, rappresentato dall’elettrone
espulso. La radiazione incidente, se mantiene, dopo la cessione di energia necessaria per
strappare l’elettrone dall’atomo, un sufficiente livello energetico può interagire con altri atomi.
Anche la coppia di ioni formatasi in seguito all’evento di ionizzazione è in condizione di
determinare successive ionizzazioni di altri atomi, creando così una cascata di eventi.
B
Corpuscolari, che assieme all’energia comportano un trasporto di materia e, spesso,
anche di carica elettrica.
Esse comprendono gli elettroni, i protoni, i neutroni e gli ioni leggeri e pesanti e producono
“ionizzazione”: in pratica, interagendo in modo probabilistico con gli atomi della materia
irradiata, sono in grado di impartire agli elettroni degli orbitali più periferici una energia
cinetica sufficiente a liberarli dal legame con i rispettivi nuclei.
La produzione di ionizzazioni provoca alterazioni spesso rilevanti sulla struttura chimica delle
molecole che costituiscono il materiale biologico irradiato, intervenendo essenzialmente sull’
acqua, che è il costituente principale della materia vivente. Oltre l’80% del corpo umano è
infatti composto da acqua. I legami tra i diversi atomi possono essere di tipo ionico, per
attrazione tra particelle di segno opposto oppure di tipo covalente, quando sono dovuti alla
condivisione di elettroni sugli orbitali dei due atomi, come avviene nella maggior parte dei
legami presenti nelle molecole organiche ed anche nel caso della molecola d’acqua. Questo
significa che quattro degli elettroni più esterni dell’orbitale dell’ossigeno sono impegnati nei
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legami covalenti con gli atomi di idrogeno e sono quindi “appaiati”, mentre quattro sono liberi.
La separazione dell’atomo di idrogeno senza che venga rimosso un elettrone impegnato in
legami covalenti (elettrone appaiato) determina la formazione di ioni; al contrario, se dalla
divisione della molecola si forma un nucleo con un elettrone orbitale derivante dalla rottura del
legame covalente si ottiene la formazione di radicali liberi. I radicali liberi sono altamente
reattivi e hanno quindi vita brevissima. Il radicale OH0 è un ossidante (accettore di elettrone),
mentre il radicale HO è un riduttore (donatore di elettrone). La ionizzazione e la formazione di
radicali liberi dell’acqua sono la conseguenza della radiolisi dell’acqua. La formazione di radicali
liberi può avvenire in modo diretto, ed in questo caso si parla di radiolisi eccitativa, oppure in
modo indiretto, radiolisi ionizzativa.
Possiamo, in definitiva, parlare di un effetto “Radiobiologico" “.
Coinvolti in tale effetto sono:
1.
FATTORI FISICI inerenti alla radiazione incidente
2.
FATTORI BIOLOGICI inerenti alla materia colpita
3.
FATTORI AMBIENTALI
4
FATTORI CHIMICI: radiosensibilizzanti e radioresistenti
FATTORI FISICI
1.
Quantità (proporzionalità diretta tra dose ed effetto)
Qualità (concetto del LET, Trasferimento lineare di energia).
La quantità di energia depositata da una radiazione ed il numero di ionizzazioni per unità di
spazio percorso nella materia dipendono dalla carica e dalla velocità della particella ionizzante.
Il numero di ionizzazioni per unità di percorso della radiazione si esprime in KeV per micron di
tessuto attraversato. In genere il LET è inversamente proporzionale alla capacità di
penetrazione delle radiazioni; ad esempio le radiazioni gamma molto penetranti, utilizzate nella
diagnostica della medicina nucleare, producono una quantità inferiore di ionizzazioni lungo il
loro percorso rispetto alle radiazioni alfa, assai poco penetranti.
3.
Durata dell’esposizione (proporzionalità diretta con l’effetto biologico) frazionamento
della dose totale L’aumento del numero di frazioni di irradiazione consente di aumentare la
dose totale, mantenendo inalterato l’effetto, in quanto viene favorita la riparazione del danno
ai tessuti normali.
4.
Anche l’intensità (il cosiddetto rateo di dose) ha una sua ben nota influenza.
L'irradiazione ad elevata intensità (più di 2 Gy al minuto) determina una maggior quantità di
danno.
15
Elementi di dosimetria clinica
FATTORI BIOLOGICI
Quando si parla di fattori biologici, ci si riferisce essenzialmente alla “radiosensibilità”
Il riferimento è all’importante enunciato di Tribondeau e Bergonie secondo il quale la
radiosensibilità di un tessuto è direttamente proporzionale alle mitosi cellulari ed inversamente
proporzionale al grado di differenziazione.
Gli effetti dei fattori fisici si evidenziano in tempi brevissimi, inferiori ai millisecondi mentre
quelli degli effetti biologici richiedono grandezze temporali superiori. La frazione di
sopravvivenza delle cellule esposte alle radiazioni (SF2) è legata strettamente all’ attività
proliferativa delle diverse linee cellulari:
1.
Cellule intermitotiche vegetative (eritroblasti, cellule delle cripte intestinali, strato
germinativo della cute, cellule germinali)
2.
Cellule intermitotiche che si dividono ( mielociti, cellule connettivali)
3.
Cellule postmitotiche reversibili ( fegato)
4.
Cellule postmitotiche fisse ( cellule nervose,cellule muscolari, ossee dell’ adulto)
La radiosensibilità non è, comunque , “costante” essa può essere modificata da alcuni fattori
“intrinseci” dipendenti cioè dalla cellula stessa e da altri estrinseci” dipendenti dal micro e dal
macroambiente.
Da ricordare che la radiocurabilità è un concetto a sé stante che prescinde dalla radiosensibilità
ed identifica le possibilità della radioterapia di essere vantaggiosa in termini curativi nei
confronti di una malattia neoplastica.
FATTORI AMBIENTALI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
49
Sesso
Età
Stato ormonale
Temperatura
Vascolarizzazione
Ossigenazione
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FATTORI CHIMICI
1.
Effetto ossigeno
2.
Radiosensibilizzanti e radioresistenti ( amifostina etc.)
Praticamente da sempre si sa che la cute ischemica è meno sensibile alle radiazioni di quella
irrorata. La presenza di ossigeno facilita, quindi, la possibilità di distruggere il tumore. Per
spiegare la proprietà dell’ ossigeno di potenziare il danno da radiazioni sono state proposte
numerose teorie; la più valida ritiene che l’ossigeno agirebbe sia formando prodotti tossici
mediante combinazione con radicali o con gli elettroni che si producono nell’ irradiazione dell’
acqua sia non favorendo reazioni molecolari di “protezione" della cellula.
Anche taluni composti chimici, se presenti nel sistema, possono aumentare l’effetto provocato
dalla irradiazione. Sostanze radiosensibilizzanti sono utilizzate in maniera quasi esclusiva per
potenziare gli effetti della radioterapia e modificare il rapporto tra danno al tessuto patologico
ed al tessuto sano, a favore di quest’ultimo. Molti farmaci antiblastici hanno un potenziale
effetto addittivo; altre sostanze radiosensibilizzanti sono la 5-bromo-desossiuridina e la 5-iododesossiuridina, sostanze che possono entrare a far parte della struttura del DNA, rendendo più
efficace l’azione lesiva dell’irradiazione. Altre sostanze hanno invece una azione di
radioprotezione ed hanno importanza sia in radioterapia che nella protezione di persone
esposte alle radiazioni per altre ragioni. I radioprotettori devono tuttavia essere somministrati
prima dell’irradiazione per poter essere efficaci, in quanto devono essere presenti a livello
cellulare per ridurre l’entità del danno.
LE UNITA’ DI MISURA IN RADIOTERAPIA
Roentgen ( R ) unità di esposizione
GRAY ( Gy ) unità di assorbimento
Sievert ( Sv) unità di assorbimento nel corpo umano
APPARECCHIATURE IN RADIOTERAPIA
Si suddividono in due gruppi:
1.Teleradioterapia
2 Brachiterapia
La prima può essere ulteriormente divisa in Roentgen tradizionale e in terapia con alte energie
ed ancora in Roentgenterapia propriamente detta e Plesioterapia.
La terapia con alte energie può essere suddivisa in Teleisotopoterapia (Cobalto 60, Cs 125 ) e
terapia con Acceleratori (LINAC betatrone etc. ).La Teleradioterapia è detta così perché viene
effettuata con sorgenti poste ad una certa distanza dal paziente.Prima dell’ avvento delle
apparecchiature ad alta energia, l’energia massima posseduta da un ‘apparecchiatura di
Radiote7~pia non superava i 400 KeV (Roentgenterapia tradizionale, mesoplesio, dermoplesioetc). Queste apparecchiature sfruttano lo stesso principio di produzione di radiazioni X della
Radiologia Diagnostica.
Con l’avvento delle apparecchiature ad alta energia, si sono ottenuti indubbi vantaggi circa la
riduzione sensibile del tempo di esposizione ed una migliore collimazione del fascio.
La Teleisotoporadioterapia sfrutta l’ emissione di radiazioni da parte di radionuclidi
(Co60, Cs 125 etc)
Le Macchine Acceleratrici permettono, invece, di aumentare la velocità della radiazione
incidente e quindi ridurre il LET con aumentata capacità di rilascio di dose in profondità.
La Brachiterapia si effettua con tecniche che portano a contatto le sorgenti sigillate con il
focolaio da irradiare.
Due le tecniche principalmente utilizzate:
1.
Infissionale, con l’utilizzo di aghi, forcine, etc. da infiggere direttamente nella lesione
neoplastica
2.
Endocavitaria con sorgenti impiantate in cavità corporee preformate.
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In tempi recenti, la brachiterapia sfrutta il caricamento ritardato ( Afterloading ) delle sorgenti:
esse sono poste in contenitori impiantati, dopo opportune verifiche del corretto posizionamento
al fine di ottenere la geometria di impianto programmata
DOMANDE DI RADIOTERAPIA
Quale è il rapporto tra i tessuti e la radiosensibilità?
Quali sono i fattori ambientali?
Che cosa è l'effetto ossigeno?
Quale è la differenza tra radiocurabilità e radiosensibilità?
Che cosa si intende per frazionamento della dose totale in radioterapia?
Che cosa è il Roentegen (R)?
Che cosa è il Gray (Gy)?
Che cosa è il Sievert (Sv)?
Che cosa è il Curie?
Che cosa è la teleradioterapia?
Che cosa è la brachiterapia?
Quali sono le apparecchiature di teleradioterapia?
Quali sono le tecniche di brachiradioterapia?
Che cosa significa radioterapia con alte energie?
Che cosa è la plesioRoentgenterapia
Che cosa è la teleisotoporadioterapia?
Quali sono le macchine acceleratrici in radioterapia?
Che cosa è la terapia infissionale?
Che cosa è la terapia endocavitaria?
GLOSSARIO
A-mode: modalità di rappresentazione in ecografia, in cui l’energia ultrasonica riflessa viene
evidenziata sotto forma di picchi di ampiezza proporzionale alla riflessione.
Anodo: elettrodo positivo costituente il tubo radiogeno, su cui impattano gli elettroni
provenienti dal catodo ed emettono di conseguenza radiazioni elettromagnetiche (raggi X)
B-mode: modalità di rappresentazione in ecografia, in cui la rappresentazione degli echi
provenienti da una sezione corporea attraversata da ultrasuoni viene visualizzata su un
monitor televisivo ricostruendo l’immagine dell’ organo in esame.
Catodo: elettrodo negativo costituente il tubo radiogeno, che riscaldato rilascia elettroni
Contrasto: e’ la differenza di segnale esistente tra due regioni di un’immagine. Una grande o
piccola differenza di variazione nella scala dei grigi significa rispettivamente elevato o basso
contrasto.
Cristalli piezoelettrici: sono i principali costituenti delle sonde ecografiche.
Eco-Color-Doppler: permette la codificazione dell’immagine sul monitor tramite colore rosso,
se il flusso è diretto verso il trasduttore, blu se si allontana da quest’ultimo.
Eco-Doppler: studio ecografico affiancato dal Doppler, che permette di studiare strutture in
movimento. Dall’angolo di incidenza e dalla variazione di frequenza dell’onda riflessa è
possibile calcolare la velocità di movimento della struttura bersaglio (es: flusso sanguigno).
Griglie Antidiffusione: sono costituite da lamelle di piombo focalizzate sulla sorgente radiogena
(fuoco) e costituite da materiale X-assorbente,
interspaziate da spessori di materiale
radiotrasparente. Cosi mentre la radiazione primaria può attraversare i canali, la radiazione
diffusa viene ostacolata diffondendo in diverse direzioni e quindi assorbita dalle pareti di
piombo della griglia
Immagine Radiografica: immagine ottenuta su una pellicola dopo che questa è stata esposta ai
raggi X attenuati dalle diverse sezioni corporee in esame.
Magnete: è un dispositivo capace di produrre un campo magnetico. Può essere di tipo
permanente, resistivo, superconduttivo, e ibrido. Le più comuni intensità di campo sono: 0.3 0.5-1-1.5; essi vengono distinti in magneti a bassa intensità di campo se inferiori a 1 Tesla e
ad alta intensità di campo se superiori 1 Tesla.
Pellicola Radiografica: recettore di immagine costituito da un supporto di poliestere ricoperto
da un emulsione di sali di bromuro o ioduro d’argento e gelatina.
Pixel e Voxel: la più piccola parte costituente l’immagine bidimensionale TC, chiamata pixel,
che avrà una rappresentazione di grigio, e quindi di densità. Il pixel è la media di tutti i punti
contenuti nell’unità di volume in esame, quindi tridimensionale, chiamata Voxel.
Power Doppler: è una metodica che analizza l’intensità delle frequenze Doppler.
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Risoluzione spaziale: e’ la capacità dell’ immagine di riprodurre fedelmente i dettagli più piccoli.
Un immagine che permette al radiologo di vedere molti più dettagli rispetto ad un’altra
presenta una elevata risoluzione spaziale.
Rumore: descrive ogni componente dell’immagine che non trasmette un informazione utile; si
distinguono due tipi di rumore: rumore random e strutturale.
Schermi di rinforzo: presenti nella cassetta radiografica, sfruttano il fenomeno della
fluorescenza restituendo la parte assorbita di raggi X in energia di lunghezza d’onda
corrispondente alle zone dello spettro tra l’azzurro ed il violetto. Questo permette una
riduzione di dose nell’esposizione radiografica.
Superconduttore: conduttore elettrico perfetto caratterizzato dal fatto di non avere dispersioni
di energia.
TC assiale: si ottengono sezioni assiali del corpo umano acquisite facendo ruotare il tubo
radiogeno intorno al paziente, che in apnea ed immobile sul lettino, avanza a scatti nel tunnel
della TC.
TC spirale: è una evoluzione della TC assiale. In essa il tubo radiogeno ruota senza sosta
intorno al paziente, che in apnea ed immobile sul lettino, avanza in modo continuo nel tunnel
della TC. Viene definita anche TC volumetrica perché invece di acquisire singole sezioni assiali,
il computer a fine esame dispone dei dati di un intero volume degli organi in esame ed è così
possibile visualizzare qualunque sezione secondo qualunque piano, senza soluzioni di
continuità.
TC multistrato: è la più recente evoluzione della TC spirale. In essa, contrapposto al tubo
radiogeno i detettori, invece di essere disposti su di una sola fila, come nelle TC assiali e
spirali, sono disposti in più file adiacenti, multipli di quattro. Ad ogni rotazione su 360° del tubo
radiogeno rispetto alla TC spirale consente di acquisire un più ampio volume.
TM-mode : modalità di rappresentazione in ecografica. Simile all’A-mode con la differenza che
viene registrato anche il movimento dell’eco. Questo consente di riportare su diagrammi
strutture in rapido movimento.
Trasduttore: detto anche sonda è il dispositivo generatore e rilevatore di ultrasuoni, in cui il
suo componente principale è un cristallo con proprietà di piezoelettricità.
Tubo radiogeno: è costituito da una ampolla di vetro sotto vuoto contenente un catodo che
riscaldato emette elettroni i quali accelerati dalla differenza di potenziale, all’interno
dell’ampolla di vetro, incidono sull’anodo,
trasferendo a questo la propria energia con
emissione di raggi X.
Mezzi di contrasto (Mdc) : sono composti che servono
per ottenere una migliore
rappresentazione delle strutture in esame. Si distinguono in radiotrasparenti o negativi, ed in
radiopachi o positivi; quest’ultimi sono distinti in baritati ed iodati, al loro volta in lipo od
idrosolubili, questi ultimi a loro volta distinti in ionici e non.
Mdc radiotrasparenti: sono sostanze che presentano assorbimento delle radiazioni inferiore a
quello degli organi nei quali vengono introdotti; si tratta di sostanze allo stato gassoso(O2 ,
CO2 ,aria).
Mdc radioopachi : sono sostanze che presentano un assorbimento delle radiazioni superiore a
quello degli organi nei quali vengono introdotti, grazie alla loro densità ed all’elevato numero
atomico (Bario, Iodio).
Mdc baritati: si presentano sottoforma di sospensioni di solfato di bario che rende inassorbibile
il bario, tossico per l’organismo. Sono impiegati nello studio dell’apparato gastroenterologico.
Nella metodica a doppio contrasto, la sospensione di bario rappresenta il contrasto opaco ed
unitamente ad un contrasto trasparente (aria, CO2 , metilcellulosa) consente lo studio della
mucosa e della parete intestinale in trasparenza.
Mdc iodati: vengono distinti in liposolubili ed idrosolubili. I liposolubili sono degli oli iodati nei
quali lo iodio stesso è legato ad acidi grassi insaturi. Pertanto essendo insolubili in acqua e nei
liquidi organici non possono essere impiegati endovena e endoarteria. Quindi il loro uso è
limitato a determinati esami (linfografia, broncografia, mielografia), quasi tutti oggi desueti. Gli
idrosolubili si distinguono in ionici e non ionici.(Vedi Mdc ionici; non ionici). Sono solubili in
acqua e nei liquidi organici, trovando larghissimo impiego in radiologia.
Mdc ionici: sono Mdc composti da sali ……….. . Possono provocare in pazienti allergici reazioni
di tipo anafilattico per la loro capacità di legarsi alla frazione proteica del plasma. Vengono
eliminati attraverso l’emuntorio renale, alcuni per quello biliare.
Mdc non ionici : sono Mdc sono composti da monomeri che non sono sali e che non si
dissociano; presentano un osmolarità più che dimezzata rispetto a quelli ionici. Sono più
costosi e sono riservati solo ad alcune categorie: pazienti atopici, pazienti con funzione
cardiaca e respiratoria compromessa, con insufficienza renale e bambini.
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Ecografia: esame di diagnostica per immagini che utilizza le caratteristiche degli ultrasuoni, i
quali vengono riflessi e rifratti nell’impatto con le superfici di separazione tra mezzi aventi
caratteristiche acustiche diverse (interfacce). Le onde riflesse (echi), captate dalla sonda
vengono convertite in altrettanti punti luminosi, che proiettati sullo schermo di un monitor
disegnano le strutture anatomiche. Sinonimo di ultrasuonografia ed ecotomografia .
Immagine T1 e T2: sono rappresentative delle caratteristiche fisiche dei tessuti sottoposti a
determinate radiofrequenze. Pertanto differenti tessuti presentano diverse proprietà T1 e T2.
Queste proprietà consentono di stabilire il TR e TE. Per stabilire se un immagine è T1 o T2
pesata si analizzano il TE e il TR. L’ immagine T1 pesate avrà bassi valori dei TR e TE, mentre
quella T2 pesata avrà valori alti dei TR e TE.
TR: In RM rappresenta l’intervallo di tempo (millisecondi) degli impulsi somministrati. Per
definirlo è stabilito un range di tempo compreso tra 600 ms (basso valore) e 3000 ms (alto
valore).
TE: In RM rappresenta l’intervallo di tempo (millisecondi) tra l’impulso somministrato e la sua
ricezione (Echi). Per definirlo è stabilito un range di tempo compreso tra 20 ms (basso valore )
e 80 ms (alto valore).
Segnale Ipointenso: In RM rappresenta il segnale che determinerà un’immagine più chiara.
Segnale Iperintenso: In RM rappresenta il segnale che determinerà un’immagine più scura.
Segnale Isointenso: In RM rappresenta il segnale che determinerà un’immagine intermedia tra
quello ipointenso ed iperintenso.
Lesione iperdensa: in TC rappresenta una lesione con valori tomodensitometrici espressi in
unità Hounsfield superiori ad una di riferimento
Lesione ipodensa: in TC rappresenta una lesione con valori tomodensitometrici espressi in
unità Hounsfield inferiori ad una di riferimento
Lesione isodensa: in TC rappresenta una lesione con valori tomodensitometrici espressi in
unità Hounsfield eguali ad una di riferimento
RM: esame di diagnostica per immagini che si basa sul principio che alcuni nuclei atomici sono
in grado di “risuonare” ossia sono in grado di assorbire e successivamente cedere energia se
sottoposti all’azione di campi magnetici. Alcuni nuclei atomici (H1, P31,C13) possiedono spin
intrinseco,cioè ruotano intorno al proprio asse generando campi magnetici detto momento
magnetico nucleare; pertanto questi nuclei atomici possono essere considerati dei dipoli che in
assenza di campo magnetico si orientano in modo casuale, mentre in presenza di campo
magnetico si allineano secondo la direzione del campo magnetico stesso. Si viene a
determinare in alcuni nuclei (Es. H) una condizione di equilibrio che può essere disturbata da
una data radiofrequenza, per cui i nuclei di idrogeno al termine della radiofrequenza
rilasceranno l’energia assorbita sottoforma di
radiazione elettromagnetica della stessa
lunghezza d’onda della radiofrequenza di disturbo. Il riassestamento del nucleo rilascia un
segnale, che verrà utilizzato per l’elaborazione dell’immagine RM.
Hounsfield: unità che misura la densità nella TC, i cui valori vanno da –1000 (aria) a 0 (acqua)
a +1000 (osso compatto).
Tesla: misura l’intensità del campo magnetico ( 1 tesla = 10000 gauss). I magneti utilizzati
maggiormente producono un campo magnetico di intensità compresa tra 0.3 e 1.5 tesla.
Scannogramma: è una scansione preliminare che precede l’esame TC e consente di stabilire i
limiti superiore ed inferiore della regione da esaminare.
Finestra acustica: in ecografia rappresenta il sito d’accesso, che permette lo studio di organi la
cui visualizzazione è compromessa da strutture aeree o ossee (fegato per il rene destro, milza
per il rene sinistro, vescica per l’utero).
documento analogico: documento formato utilizzando una grandezza fisica che assume valori
continui, come le tracce su carta (esempio: documenti cartacei), come le immagini su film
(esempio: pellicole mediche, microfiche, microfilm), come le magnetizzazioni su nastro
(esempio: cassette e nastri magnetici audio e video). Si distingue in documento originale e
copia
documento digitale: testi, immagini, dati strutturati, disegni, programmi, filmati formati
tramite una grandezza fisica che assume valori binari, ottenuti attraverso un processo di
elaborazione elettronica, di cui sia identificabile l’origine
documento informatico: documento digitale sottoscritto con firma digitale ai sensi dell’articolo
8 del Testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.
445 e del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 febbraio 1999 e successive
modificazioni
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supporto ottico di memorizzazione: mezzo fisico che consente la memorizzazione di documenti
digitali mediante l’impiego della tecnologia laser (quali, ad esempio, dischi ottici, magnetoottici, DVD)
memorizzazione: processo di trasposizione in formato digitale su un qualsiasi idoneo supporto,
attraverso un processo di elaborazione, di documenti analogici o digitali, anche informatici
archiviazione digitale: processo di memorizzazione, su un qualsiasi idoneo supporto, di
documenti digitali, anche informatici, univocamente identificati mediante un codice di
riferimento, antecedente all’eventuale processo di conservazione
documento archiviato: documento digitale, anche informatico, sottoposto al processo di
archiviazione digitale;
documento conservato: documento sottoposto al processo di conservazione;
esibizione: operazione che consente di visualizzare un documento conservato e di ottenerne
copia;
riferimento temporale: informazione, contenente la data e l’ora in cui viene ultimato il processo
di
conservazione digitale, che viene associata ad uno o più documenti digitali, anche
informatici. L’operazione di associazione deve rispettare le procedure di sicurezza definite e
documentate, a seconda della tipologia dei documenti da conservare, dal soggetto pubblico o
privato che intende o è tenuto ad effettuare la conservazione digitale ovvero dal responsabile
della conservazione nominato dal soggetto stesso
GLOSSARIO RADIOPROTEZIONE
ALARA: termine le cui iniziali stanno per “As Low As Readily Achievable .Le radiazioni
devonoessere utilizzate con esposizioni a livello il più basso ottenibile
ALI (limite annuale di introduzione): quantità di radionuclide che introdotta nell’organismo,
determina per lo stesso un equivalente di dose efficace corrispondente al limite di dose
annuale di 2OmSv
ATTIVITA’: rapporto tra il numero di trasformazioni nucleari nell‘unità di tempo dN / dt in cui
tali trasformazioni si verificano .Si esprime in Becquerel (Bq).
BECQUEREL (Bq) : indica 1’unità di misura del S.I. per l’attività: lBq=1 disintegrazione al
secondo .I parametri di conversione da utilizzare quando l’attività è espressa in Curie (Ci) sono
i seguenti: lCi=3,7X 10 l0 Bq, l Bq=2,7X 10-11 Ci
CONTAMINAZIONE RADIOATTIVA :contaminazione di una matrice, ,di una superficie, di
un’area lavorativa o di un individuo ,prodotta da sostanze radioattive .Nel caso del corpo
umano la contaminazione radioattiva include sia la contaminazione esterna che quella interna.
CONTROLLO DELLA QUALITA’: rientra nella garanzia della qualità. Una serie di operazioni
(programmazione, coordinamento, attuazione, monitoraggio) intese a mantenere o a
migliorare la qualità.
DETRIMENTO INDIVIDUALE PER LA SALUTE: gli effetti negativi clinicamente osservabili che si
manifestano nelle persone o nei loro discendenti e la cui comparsa è immediata o tardiva e, in
quest’ultimo caso, probabile ma non certa;
DOSE AL PAZIENTE: la dose somministrata ai pazienti o ad altra persona sottoposta ad
esposizioni mediche;
DOSE ASSORBITA (D): definisce il rapporto tra dE /dm, in cui dE è l’energia media ceduta dalle
radiazioni ionizzanti alla materia in un elemento volumetrico e dm la massa di materia
contenuta in tale elemento volumetrico. Essa costituisce pertanto l’energia media ceduta dalla
radiazione all’ unità di massa di materia sottoposta ad irradiazione .Si esprime in Gray (Gy).
DOSE EFFICACE: è data dalla somma dei prodotti dell’ equivalente di dose per il fattore di
ponderazione tessutale di ciascun tessuto .Si misura in Sievert (Sv).
DOSE EQUIVALENTE: indica la somma dei prodotti della dose assorbita per il fattore di qualità
di ciascun tipo di radiazione. Anch’ essa si misura in Sievert (Sv).
DOSE EQUIVALENTE IMPEGNATA: equivalente di dose efficace ricevuta da un organo o da un
tessuto in un determinato periodo di tempo in seguito all’ introduzione di uno o più radionuclidi
nell’ organismo.
DOSIMETRIA ESTERNA che consente di effettuare la misura e la valutazione della dose dovuta
all’esposizione ad una sorgente esterna all’organismo e la DOSIMETRIA INTERNA che
rappresenta la metodica che permette di quantificare le dosi in singoli organi o tessuti o
all’organismo in toto a seguito della introduzione nell’organismo di sostanze radioattive.
DOSIMETRIA BIOLOGICA: insieme delle tecniche clinico-biologiche che consentono la
valutazione della dose ricevuta da un individuo mediante il rilevamento di modificazioni
biologiche di tessuti o di singole cellule
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DOSIMETRIA: procedimenti attraverso i quali viene misurata e valutata la dose .Distinguiamo
la DOSIMETRIA DEI PAZIENTI: la dosimetria relativa ai pazienti od ad altre persone sottoposte
ad esposizioni mediche
DOSIMETRO: è lo strumento mediante il quale si misura direttamente una grandezza associata
alla dose di radiazione assorbita.
EFFETTI STOCASTICI : effetti che colpiscono a caso, differenziabili in somatici, se interessano
l’individuo direttamente esposto (leucemie e tumori solidi), e genetici, se interessano i figli che
nasceranno dagli esposti a radiazioni , non dipendenti dalla dose e la cui probabilità di
comparsa si ipotizza che non abbia una soglia e che cresca linearmente con la dose.
EFFETTI DETERMINISTICI: sono quelli per i quali esiste una soglia di dose a partire dalla quale
la gravità dell’effetto aumenta con la dose stessa“
ESPERTO QUALIFICATO: figura professionale che possiede le cognizioni e l’addestramento
necessari per effettuare misurazioni ,esami ,verifiche atti ad assicurare il corretto
funzionamento dei dispositivi di protezione e la capacità di fornire tutte le altre indicazioni e i
provvedimenti tesi a garantire la sorveglianza fisica della protezione dei lavoratori e della
popolazione.
ESPOSIZIONE :indica una qualsiasi modalità di incontro tra la persona e le radiazioni
ionizzanti.
ESPOSIZIONE INTERNA:prodotta da sorgenti situate all’esterno dell’organismo
ESPOSIZIONE INTERNA: prodotta da sorgenti introdotte nell’organismo
ESPOSIZIONE TOTALE: data dalla combinazione dell’esposizione esterna e di quella interna
ESPOSIZIONE GLOBALE: intesa come esposizione del corpo intero
ESPOSIZIONE ACCIDENTALE: nella quale si verifica il superamento involontario di uno dei
limiti di dose fissati per i lavoratori esposti
ESPOSIZIONE D’EMERGENZA che si verifica in condizioni particolari(salvataggio di un individuo
o di una installazione) e che determina il superamento di uno dei limiti di dose fissati per i
lavoratori esposti
ESPOSIZIONE ECCEZIONALE CONCORDATA che e’ ammessa in via eccezionale con il consenso
dell’ interessato dopo aver acquisito il parere favorevole del Medico Autorizzato
ESERCENTE: il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la
responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, intesa come stabilimento o
struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnicofunzionale;
esperto in fisica medica: una persona esperta nella fisica o nella tecnologia delle radiazioni
applicata alle esposizioni che rientrano nel campo di applicazione del presente decreto
legislativo, con una formazione ai sensi dell’articolo 7, comma 5, e che, se del caso, agisce o
consiglia sulla dosimetria dei pazienti, sullo sviluppo e l’impiego di tecniche e attrezzature
complesse, sull’ottimizzazione, sulla garanzia di qualità, compreso il controllo della qualità, e
su altri problemi riguardanti la radioprotezione relativa alle esposizioni che rientrano nel campo
di applicazione della presente direttiva;.
ESPERTO IN FISICA MEDICA: persona esperta nella fisica o nella tecnologia delle radiazioni
applicata alle esposizioni che rientrano nel campo di applicazione dei decreti legislativi con una
formazione ai sensi dell’articolo 7, comma 5, e che agisce o consiglia sulla dosimetria dei
pazienti, sullo sviluppo e l’impiego di tecniche e attrezzature complesse, sulla ottimizzazione,
sulla garanzia di qualità,, compreso il controllo di qualità
FATTORE DI PONDERAZIONE: fattore di correzione della dose assorbita che tiene conto del tipo
di radiazione e del tipo di tessuto o organo irradiato
FATTORE DI QUALITA’ : fattore di correzione che tiene conto della qualità della radiazione
FONDO NATURALE : si intende con questo termine la quota di radiazioni ionizzanti derivanti da
sorgenti naturali ,terrestri e cosmiche
GARANZIA DELLA QUALITÀ: le azioni programmate e sistematiche intese ad accertare con
adeguata affidabilità che un impianto, un sistema, un componente o un procedimento
funzionerà in maniera soddisfacente conformemente agli standard stabiliti;
GRAY: unità del Sistema Internazionale(S.I.) di dose assorbita 1Gy=1lJKg-l .I fattori di
conversione quando la dose espressa è espressa in rad sono 1 rad =0,01 Gy 100 rad
INCIDENTE: evento imprevisto che provoca danni ad una installazione e può comportare dosi
superiori ai limiti
IRRADIAZIONE: e’ data dall’incontro di un corpo o di un organismo con le radiazioni
LAVORATORI ESPOSTI: persone sottoposte per l’attività che svolgono a un ‘esposizione che
può comportare dosi superiori ai limiti fissati per le persone del pubblico .Sono lavoratori
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esposti di categoria A i lavoratori suscettibili di ricevere in un anno solare una dose superiore
ad uno dei seguenti valori:
a)
6 mSv per esposizione globale o di equivalente di dose efficace;
b)
3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose fissati per il cristallino (150 mSv) ,per la pelle
(500 mSv), per le estremità (500 mSv). Gli altri lavoratori esposti sono classificati in categoria
B
MEDICO AUTORIZZATO: medico responsabile della sorveglianza medica dei lavoratori esposti,
la cui qualificazione e specializzazione sono riconosciute secondo le procedure e le modalità
stabilite nel presente decreto;
MEDICO COMPETENTE: specialista in Medicina del Lavoro ,Medicina Preventiva dei Lavoratori e
Psicotecnica o discipline equipollenti che può però visitare soltanto i lavoratori esposti
classificati in Categoria B
PERSONA DEL PUBBLICO: individuo della popolazione esclusi i lavoratori ,gli apprendisti
esposti in ragione della loro attività
PRESCRIVENTE: il medico chirurgo o l’odontoiatra, iscritti nei rispettivi albi;
RADIAZIONI IONIZZANTI radiazioni che hanno energia tale da causare nell’ interazione con la
materia la formazione di ioni
RESPONSABILE DI IMPIANTO RADIOLOGICO: il medico specialista in radiodiagnostica,
radioterapia o medicina nucleare individuato dall’esercente. Il responsabile di impianto
radiologico può essere lo stesso esercente qualora questo sia abilitato a svolgere direttamente
l’indagine clinica;
RESPONSABILITÀ CLINICA: la responsabilità riguardo a esposizioni mediche individuali
attribuita ad uno specialista. In particolare: giustificazione; ottimizzazione; valutazione clinica
del risultato; cooperazione con altri specialisti e con il personale eventualmente delegato per
aspetti pratici; reperimento di informazioni, se del caso, su esami precedenti; trasmissione, su
richiesta, di informazioni radiologiche esistenti o di documenti ad altri medici specialisti o
prescriventi; informazione dei pazienti e delle altre persone interessate, se del caso, circa i
rischi delle radiazioni
ionizzanti;
SIEVERT: esprime secondo il Sistema Internazionale l’equivalente di dose e l’equivalente di
dose efficace fattori di conversione in rem sono 1 rem =0,01 Sv; 1 Sv = 100 rem
SORVEGLIANZA MEDICA: l’insieme delle visite mediche, delle indagini specialistiche e di
laboratorio, dei provvedimenti sanitari adottati dal medico, al fine di garantire la protezione
sanitaria dei lavoratori esposti;
SORVEGLIANZA FISICA l’insieme dei dispositivi adottati, delle valutazioni, delle misure e degli
esami effettuati, delle indicazioni fornite e dei provvedimenti formulati dall’esperto qualificato
al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione;
SPECIALISTA: il medico chirurgo o 1‘odontoiatra che ha titolo per assumere la responsabilità
clinica per le esposizioni mediche individuali ai sensi dell’articolo 7, commi 3 e 4;
ZONA CLASSIFICATA: ambiente di lavoro sottoposto a regolamentazione per motivi di
protezione contro le radiazioni ionizzanti. Le zone classificate possono essere zone controllate o
zone sorvegliate.
ZONA CONTROLLATA: un ambiente di lavoro, sottoposto a regolamentazione per motivi di
protezione dalle radiazioni ionizzanti, in cui si verifichino le condizioni stabilite con il decreto di
cui all’articolo 82 ed in cui l’accesso è segnalato e regolamentato.
ZONA SORVEGLIATA: un ambiente di lavoro in cui può essere superato in un anno solare uno
dei pertinenti limiti fissati per le persone del pubblico e che non è zona controllata.
GLOSSARIO DI MEDICINA NUCLEARE
Radiocomposto. In esso va distinta l’etichetta radioattiva che permette la visualizzazione
dall’esterno (Radioisotopo, radionuclide) dal composto (molecola, farmaco, cellula, etc.) che
rappresenta il vettore che determina la distribuzione in vivo e definisce il tipo di esame.
Ricordiamo che isotopo non significa radioattivo, ma appartenente alla stessa casella nella
tavola di Mendeleiev. In altre parole, sono isotopi nuclidi che hanno lo stesso numero atomico
(protoni ed elettroni) , ma diverso peso (diverso numero di neutroni). Gli isotopi di uno stesso
elemento hanno lo stesso comportamento biologico e quindi i radioisotopi dello iodio, ad es., si
concentrano negli stessi organi e secondo gli stessi meccanismi dello iodio stabile.
Tracciante. Traccia il comportamento della stessa molecola/cellula non marcata avendo la
stessa distribuzione e seguendo gli stessi meccanismi di concentrazione.
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Possono essere distinti, a seconda del meccanismo di concentrazione in traccianti di perfusione
(che analizzano il flusso ematico), vascolari (che forniscono informazioni sul pool ematico),
metabolici, recettoriali, etc.
Indicatore: definisce le modalità di concentrazione. Possono essere distinti in:
Indicatori Negativi: si concentrano maggiormente nel tessuto sano, utilizzando meccanismi
tipici delle cellule dell’organo (es. cellule tiroidee e capacità iodocaptante, cellule
reticoloendoteliali e capacità colloidopessica). Il dato patologico sarà espresso tipicamente da
una riduzione di concentrazione (Ipocaptante o “freddo”). E’ importante notare che il termine
freddo non significa “maligno”. Un nodulo tiroideo freddo, ad es., può essere dovuto ad una
cisti e non necessariamente ad un tumore.
Indicatori Positivi: si concentrano secondo meccanismi, in genere non tipici, alterati nel
territorio patologico. Quelli che hanno un accumulo “preferenziale” nel tessuto neoplastico
possono anche essere chiamati “oncotropi”. Il dato patologico è individuato da un’area di
captazione o di ipercaptazione. Anche in questo caso ipercaptante non vuol dire maligno. Ad
es., nella scintigrafia ossea un’area di ipercaptazione può essere dovuta ad una metastasi, ma
anche ad un osteomielite.
Risoluzione spaziale. E’ definita dal potere discriminativo delle apparecchiature.
E’ il parametro che individua la capacità di vedere la più piccola lesione ed ha valore
soprattutto quando si utilizzano indicatori negativi. E’ in genere minore rispetto ad altre
metodiche di imaging, raggiungendo peraltro valori di pochissimi millimetri con la PET. Va
detto, peraltro, che anche nei casi in cui potere di risoluzione sia minore rispetto a metodiche
alternative, l’esame permette una buona accuratezza diagnostica, con un possibile valore
diagnostico originale o aggiunto quando esiste necessità di una caratterizzazione funzionale
(come nella patologia nodulare tiroidea), di definire la quota parenchimale a livello di un
organo, la ripartizione quantitativa di una funzione, etc.. Occorre anche notare che in alcuni
casi (non frequenti), come nella diagnosi di cicatrice renale post pielonefritica, la sensibilità
delle metodiche scintigrafiche con indicatori negativi può essere maggiore rispetto all’ecografia.
La risoluzione geometrica non è un problema determinante in alcuni esami dove il dato
patologico è definito non sulla base della presenza di una lesione focale, ma sulla valutazione
globale di un parametro funzionale. E’ questo il caso, ad es,
della scintigrafia renale
sequenziale, dell’angiocardioscintigrafia e di molti altri esami. Va anche evidenziato che nel
caso occorra incrementare un valore predittivo in un iter diagnostico, le metodiche
scintigrafiche possono, in alcuni casi, fornire un valore aggiunto maggiore rispetto a quello
ottenibile dalla somma delle informazioni ottenute sommando due metodiche di imaging
basate su simili presupposti di densità, come l’ecografia e la TC.
Risoluzione biologica. E’ definita dalle modalità di concentrazione del radiocomposto e
dipende meno dall’apparecchiatura.
Se si utilizza un indicatore positivo e si ha la fortuna di un meccanismo di
concentrazione che porta ad una forte differenza di captazione tra tessuto patologico
e sano si può avere precocità di diagnosi, perché il dato patologico può essere
evidente anche mesi prima del configurarsi del dato patologico ottenuto utilizzando
la corrispondente metodica morfo-strutturale. E’ quello che accade, ad es., con la
scintigrafia ossea che può diagnosticare precocemente metastasi scheletriche nei
confronti dell’esame radiografico. Per capire il vantaggio della favorevole risoluzione
biologica degli indicatori positivi, si può pensare a come è più facile vedere una
formica di giorno su un marmo bianco che una balena di notte. Un altro esempio è
quello di un faro, immediatamente individuabile di notte se è l’unica luce accesa, che
può non essere riconosciuto di giorno, guardandolo dalla stessa distanza, perché
confuso tra i mille oggetti che si trovano intorno.
Una diagnosi precoce e quindi un’altra modalità favorevole di risoluzione biologica è
quella che può essere ottenuta con i traccianti di perfusione, che individuano
immediatamente l’ischemia o l’embolia come difetto di concentrazione, anche in
assenza di alterazioni morfostrutturali. Ed ancora più affascinante, come
dimostrazione delle capacità dell’imaging funzionale, è la possibilità di evidenziare la
cosiddetta diaschisi cerebrale. Si tratta della capacità di mettere in evidenza, ad es.,
a livello dell’emisfero cerebellare controlaterale ad un tumore cerebrale, la riduzione
di flusso o metabolismo, in assenza di modifiche strutturali, perché dall’area del
tumore partono meno stimoli che utilizzano il fascio crociato cerebro-cerebellare. La
conseguenza sarà quella della riduzione dell’attività funzionale dell’emisfero
cerebellare controlaterale e quindi una ridotta concentrazione dei radiocomposti
utilizzati. E ancora più evidente è la dimostrazione inversa, dell’aumento di flusso e
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metabolismo a livello della scissura calcarina in un soggetto normale che passa dalla
condizione ad occhi chiusi a quella ad occhi aperti.
Caratterizzazione biologica e fisiopatologica (Rapporti con prognosi e terapia)
Il ruolo delle metodiche medico nucleari può essere integrativo rispetto a quello ottenuto con
l’imaging morfostrutturale grazie alla capacità di fornire informazioni sulla caratterizzazione
biologica di una lesione definendo al suo livello l’attività di malattia, l’attività metabolica, la
presenza di recettori, etc. Ad es., nella sarcoidosi polmonare, rispetto ad un dato radiologico
patologico che rimane immodificato, l’accumulo del radiogallio aggiunge l’informazione sulla
presenza di una fase attiva di malattia, creando quindi il razionale per una terapia. Una
situazione analoga è quella che si verifica nella malattia di Crohn, utilizzando leucociti marcati.
Un altro aspetto fondamentale della caratterizzazione biologica e fisiopatologica è che essa
permette lo studio delle cause delle patologie endocrine iperfunzionanti, caratterizzando anche
la presenza di autonomia funzionale. Ancora,
esiste spesso la possibilità di ottenere
informazioni prognostiche, essendo la concentrazione di alcuni radiocomposti legata alla
differenziazione cellulare, all’ attività metabolica, alla espressione di recettori, etc.
L’informazione prognostica si ottiene anche correlando, ad es., una scintigrafia perfusionale
con una metodica angiografica. Ad es., in presenza di una stenosi coronarica, una scintigrafia
miocardica normale esprime una prognosi favorevole perché indicativa della presenza di un
buon circolo collaterale. Nella caratterizzazione fisiopatologica esistono poi premesse di grande
interesse per definire una strategia terapeutica. Ad es., dimostrare la concentrazione di
octreotide (analogo della somatostatina) marcato a livello di un adenoma ipofisario GH
secernente, crea i presupposti per una razionale terapia utilizzando analoghi della
somatostatina. La condizione ideale è quella che lega tra loro diagnosi e terapia medico
nucleare. E’ quello che avviene nel carcinoma tiroideo differenziato. L’evidenza in fase
diagnostica dell’accumulo del radioiodio nelle metastasi crea i presupposti per un efficace
terapia utilizzando lo stesso radioiodio a dosi estremamente più elevate. E situazioni simili
sono state messe a punto per la terapia radiometabolica dei neuroblastomi, la terapia
palliativa delle metastasi scheletriche e in altri ambiti.
Nel follow up delle neoplasie, esprimendo in generale le metodiche medico nucleari la presenza
di cellule, possono determinarsi condizioni favorevoli alla diagnosi differenziale tra recidiva e
fibrosi, non potendoci essere concentrazione in assenza di cellule. Ancora, la variazione di
concentrazione del glucosio (e quindi del suo analogo radiomarcato fluoro-18 deossiglucosio)
varia molto più rapidamente rispetto alle variazioni dimensionali e strutturali viste con
metodiche di imaging morfostrutturale. Si ottengono così informazioni precoci che possono
portare alla modifica di strategie terapeutiche che altrimenti porterebbero danno senza
produrre risultati soddisfacenti. Infine, nei confronti della terapia, le metodiche medico
nucleari possono essere utili nel predire il residuo funzionale prima di un intervento (ad es. nel
cancro polmonare o renale) o nel monitorare effetti tossici terapeutici (adriamicina e
cardiotossicità, cisplatino e nefrotossicità, etc.).