GLI ANIMALI DA COMPAGNIA COME AUSILIO NELLE ATTIVITÀ EDUCATIVE E TERAPEUTICHE In corso di stampa Cosa si intende per Pet therapy L’espressione pet therapy, ormai diffusa, per quanto non molto corretta, è venuta a indicare, nel linguaggio corrente, interventi molteplici, il cui fattore unificante è la presenza di animali in rapporto a esseri umani in situazioni programmate e più o meno standardizzate. E’ un termine sotto il quale vengono classificate attività molto diverse tra loro, che comprendono, ad esempio, quelle svolte con l’ausilio di: animali da assistenza (l’esempio più noto è quello dei cani per ciechi) la cui presenza è finalizzata a compensare, soprattutto in termini pratici, lo svantaggio della persona handicappata ; animali utilizzati come mediatori relazionali in percorsi educativi, per disabili e non; animali che collaborano alla riabilitazione motoria, cui forniscono un supporto sia a livello fisico, sia a livello motivazionale (es. montare a cavallo stimola alcune fasce muscolari, e contemporaneamente dà al paziente una motivazione in più per impegnarsi a compiere determinati movimenti); animali che collaborano alla terapia o alla riabilitazione, fornendo al paziente sollecitazioni a livello psichico. Terapie e attività assistite da animali Solo negli ultimi due casi si può parlare propriamente di “terapia”. Per questo motivo la Delta Society, ente americano che coordina le iniziative con l’ausilio di animali, ha coniato i termini più specifici e corretti di AAT (Terapie con l’Ausilio di Animali) e AAA (Attività con l’Ausilio di Animali), che indicano rispettivamente gli interventi finalizzati a curare la salute psicofisica dell’individuo e quelli orientati a migliorare la qualità della vita, intervenendo in situazioni prevalentemente educative o ricreative. Non sempre tuttavia la linea di confine tra queste due tipologie di intervento risulta chiara. La ricerca ha infatti indicato che non solo le sessioni di terapia, ma anche altre modalità di contatto con gli animali, sono fonte di input emotivo/sensoriali gioiosi e rilassanti, che di per sé possono avere effetti terapeutici dal punto di vista psicofisiologico. E’ stato dimostrato, ad esempio, che la compagnia costante di un cane o di un gatto contribuisce a migliorare le condizioni fisiche di cardiopatici e ipertesi. La possibile comparsa di questi positivi “effetti collaterali” richiede che, nella progettazione di interventi con l’ausilio di animali, sia sempre prevista, per seguire il cliente, un’ampia équipe che va dallo psicologo all’educatore, dal medico allo psicomotricista, in modo che tutte le potenzialità dell’intervento possano essere individuate e sfruttate al massimo. Origini e fondamenti del lavoro con animali Ma come nasce e su che basi si sviluppa la cosiddetta pet therapy? La scoperta, se così si può definire, dell’utilità dell’animale nel contesto terapeutico, fu fatta, piuttosto casualmente, negli anni cinquanta da Boris Levinson, psichiatra americano con una pratica ormai consolidata nei metodi psichiatrici e psicoanalitici tradizionali. Secondo quanto egli stesso racconta1, un genitore disperato aveva fissato un appuntamento per suo figlio, il cui progressivo isolamento era già stato trattato senza successo da altri specialisti per diversi anni. Il caso volle che il ragazzo e suo padre arrivassero per errore all’appuntamento con un’ora di anticipo, mentre Levinson lavorava nello studio con accanto il suo cane. Dimenticandosi di quest’ultimo, lo psichiatra fece entrare il ragazzo che, senza mostrare alcun timore, si avvicinò al cane, iniziò ad accarezzarlo e a fare domande su di lui, esprimendo infine il desiderio di ritornare nello studio a giocare con lui. Il ghiaccio era rotto, e tra lo psichiatra e il ragazzo, che difficilmente usciva dal suo isolamento e dal mutismo, si iniziò a stabilire un rapporto proficuo, che dette, nel tempo, ottimi risultati. A questa prima esperienza ne sono seguite molte, soprattutto negli Stati Uniti, dove le attività e terapie con l’ausilio di animali sono state progressivamente sistematizzate e diffuse. Cani, gatti, conigli, e altri piccoli animali vengono oggi utilizzati, oltre che in America anche in diversi paesi europei, non solo a scopo strettamente terapeutico, nel trattamento di gravi disturbi fisici o mentali, ma anche in ambito ricreativo e educativo, soprattutto nei casi in cui sono presenti disabilità o disagi sociali. Con la loro accettazione incondizionata, i loro atteggiamenti giocosi e un po’ infantili, sembra che gli animali abbiano una capacità innata di focalizzare la simpatia di chi sta loro intorno, rendendo anche la comunicazione tra esseri umani più rilassata ed efficace. A chi non è capitato di incontrare per la strada qualcuno che porta a spasso il suo cane e di fermarsi a chiacchierare con spontaneità e immediatezza, superando tutte le barriere usualmente imposte dalle convenzioni sociali? Inoltre, offrendo il suo supporto a professionisti competenti, l’animale può diventare un importante ausilio per svolgere ogni tipo di attività, da quelle ricreative a quelle terapeutiche, a quelle strutturate per stimolare lo sviluppo cognitivo, emozionale o della socializzazione. Per questo motivo cani o altri “pets” sono stati introdotti nelle scuole, negli ospedali, nelle prigioni, diventando co-educatori, co-terapeuti, o semplicemente co-animatori in comunità in cui il disagio fisico ed emotivo, l’isolamento e la monotonia tendono a suscitare sensazioni di malessere e di sconforto. L’interazione sociale La socializzazione è forse l’ambito in cui è più evidente la funzione dell’animale da compagnia. Proviamo a portare un cane in un gruppo, si tratti di adulti, anziani o bambini, immediatamente si determinerà un avvicinamento, anche fisico, dei presenti gli uni agli altri e intorno a un fulcro rappresentato dall’animale. Qualcuno potrà essere intimorito, e resterà ai margini, ma difficilmente rimarrà isolato, perché scambierà con gli altri almeno qualche parola sull’animale stesso o sui suoi timori. Il cane non fa differenze tra vecchi e giovani, sani o malati, e si limiterà a offrire imparzialmente i suoi favori a chi gli darà in cambio carezze o interazioni giocose. Questo avrà l’effetto di rendere il gruppo più solidale, perché sarà privilegiato chi è più altruista, non chi cerca di prendere il sopravvento. In presenza di animali i giochi infantili tendono a perdere le caratteristiche di competitività talvolta presenti e diventano piuttosto gare di coccole. In questa atmosfera anche il ragazzo disabile ha il suo posto ed è facilmente integrato, anche perché l’animale non fa discriminazioni tra disabili e normodotati e spesso, in una gara di generosità, il disabile è tra i più “abili”. Come afferma Desmond Morris2, l’interazione sociale è fortemente condizionata da segnali non verbali (movimenti del corpo e delle mani, espressioni del viso, ecc.), che permettono all’interlocutore, anche in modo subliminale, di intuire l’umore, le idee non espresse, le intenzioni dell’altro. Le origini di tali segnali, di solito inconsapevoli, spesso si possono rintracciare in alcuni comportamenti presenti nel mondo animale, sebbene nell’uomo abbiano assunto forme più complesse e culturalmente determinate. A chi non possiede un adeguato linguaggio del corpo, o tende a evitare l’espressione corporea, il rapporto, anche tattile, con l’animale può insegnare ad accettare il contatto fisico e a modulare meglio i comportamenti non verbali, potenziando così uno degli aspetti fondamentali della capacità sociale. In uno studio condotto nel 1977 dai Corson3 presso un ospedale psichiatrico, un gruppo di cani venne messo in contatto con 47 ricoverati gravi, che si erano mostrati resistenti ad altre forme di terapia. I pazienti vennero stimolati a prendersi cura degli animali e a interagire con loro in una serie di situazioni terapeutiche programmate. Durante e dopo le sedute furono tenute sotto osservazione, anche tramite videoregistrazioni, le variazioni comportamentali dei malati. I risultati indicarono che le relazioni dei pazienti tra loro e quelle tra i pazienti e il personale all’interno dell’ospedale erano complessivamente molto migliorate. Inoltre alcuni dei ricoverati, i cui casi erano stati selezionati per un approfondimento della ricerca, mostrarono un significativo incremento della quantità e ricchezza del linguaggio verbale e delle risposte agli stimoli del terapeuta, e una diminuzione dei comportamenti problematici. L’evoluzione emozionale Il contatto con l’animale avviene sempre a un livello pre-logico e pre-verbale con un profondo coinvolgimento emotivo. Le percezioni tattili, gli odori, il calore, sollecitano sentimenti di affetto e intimità e offrono gratificazioni corporee immediate. L’affetto che lega l’animale all’essere umano è poi di tipo molto speciale: è un legame totalmente leale (gli animali non sanno mentire), che non contempla tradimenti, ambiguità, ipocrisie: dà un senso di sicurezza, una certezza di continuità e di accettazione, che difficilmente si riscontrano nel mondo degli umani e che contribuiscono a offrire la certezza di essere amati e apprezzati. Inoltre, prendersi cura dei bisogni di un animale è un compito di responsabilità, in quanto gli animali domestici sono quasi totalmente dipendenti dall’uomo per la loro sopravvivenza. Rispettare un impegno così importante, rendersi garanti, almeno in parte, del benessere di un altro essere vivente accresce la fiducia nelle proprie capacità e migliora l’autostima. L’apprendimento La lunga esperienza maturata durante i programmi educativi-terapeutici con i delfini (che svolgo dal 1993) mi ha insegnato che, nel corso delle immersioni, i bambini non solo sembravano più felici e rilassati, ma anche più competenti a livello cognitivo. Ad esempio, bambini che nelle sedute a terra non mostravano di sapersi orientare nello spazio (non eseguivano correttamente una richiesta come lascia le scarpe “sotto” il tavolo), se si diceva loro che il delfino stava passando “sotto” di noi, abbassavano prontamente la testa per guardarlo. Abbiamo ritenuto che il delfino fornisse una motivazione sufficiente per indurli ad eseguire un compito probabilmente non facile e altrimenti evitato. Una ricerca longitudinale condotta da Antonio Machado Teixeira4 in Portogallo su circa 3.000 bambini in età scolare ha permesso di rilevare che quelli che possedevano un animale da compagnia avevano un rendimento scolastico più elevato degli altri. L’analisi dei risultati ha inoltre portato alla conclusione che il miglioramento scolastico dipendeva dalla maggiore stabilità emotiva e dal basso livello di ansia mostrato dai possessori di animali. Appare perciò possibile, lavorando sia sulla motivazione che sulla stabilizzazione emotiva rilevata da Teixeira costruire, con l’aiuto dell’animale, anche un vero e proprio percorso didattico. Uno o più animali, portati regolarmente in classe fungeranno da catalizzatore per la curiosità e l’interesse dei bambini in molteplici ambiti. Si potrà così studiare la biologia e l’etologia, scrivere un episodio in cui l’animale è protagonista, leggere storie e fiabe in cui sono descritti gli animali che conosciamo, disegnare o modellare gli animali, giocare con loro in attività motorie in cui, ad esempio, un cane addestrato per l’agility potrà essere molto stimolante. Le possibilità sono infinite, alla fantasia di ogni insegnante di inventarne sempre di nuove e affascinanti. Tranquillante naturale Fin dalle origini, e per milioni di anni, la specie umana, come tutte le specie animali, ha vissuto prevalentemente a contatto con la natura. Solo negli ultimi 50-100 anni innovazioni, quali l’industrializzazione e il conseguente progressivo inurbamento, hanno alterato in modo sostanziale e in tempi molto brevi, il nostro modo di vivere e di relazionarci. Forse l’eccessivo affollamento o i ritmi concitati del mondo di oggi non sono del tutto consoni alla natura umana, o forse l’uomo deve ancora adattarsi a questi cambiamenti, ma è verosimile che essi rappresentino una delle cause dell’aumento esponenziale dei casi di nevrosi e di stress negli adulti e di insicurezza e iperattività nei bambini. Avere vicino gli animali è un modo di ritrovare alcuni dei legami con la natura che abbiamo perduto. I nostri amici a quattro zampe ci impongono infatti di rispettare le loro esigenze e i loro ritmi, che sono poi quelli della natura, scanditi dal nutrimento, la pulizia, le passeggiate quotidiane, le corse e i giochi in spazi aperti, tutte occasioni che costituiscono, anche per l’uomo, momenti per rilassarsi e scaricare lo stress. Studi recenti hanno dimostrato che in cardiopatici e ipertesi, la vicinanza di un animale determina una diminuzione dei fattori di rischio. Uno studio condotto in Australia su 5.741 soggetti ha dimostrato che la pressione sistolica e il tasso di colesterolo sono più bassi tra chi possiede un animale da compagnia5. Si ritiene che l’effetto sia dovuto ai momenti di serenità e di rilassamento che si godono insieme con un animale, portandolo a passeggio, curandolo, coccolandolo. E’ perciò verosimile che questi stessi effetti rilassanti e rasserenanti si verifichino su persone che non hanno problemi organici e su cui quindi non sono rilevabili variazioni fisiologiche significative: in questo caso l’effetto è esclusivamente psicologico, ma non per questo meno importante. Uno dei comportamenti infantili più frequenti è quello di portarsi a letto un morbido peluche per tranquillizzarsi e addormentarsi meglio. Anche se non sempre si può portarlo a letto, un animale vero, in carne, ossa e pelo, ha di sicuro un effetto ancora più rilassante. 1) B. Levinson: “The dog as a co-therapist”, in Mental Hygiene n. 46, 1962 2) D. Morris: “L’animale uomo”, Mondadori, Milano 1994 3) S. A. Corson et alii: “Pet dogs as nonverbal communication links in hospital psychiatry”, in Comprehensive Psychiatry, Vol 18 n. 1, Jan./Feb. 1977 4) A. M. Teixeira: Relazione al Convegno “Il rapporto tra l’uomo e l’animale da compagnia”, Milano 9.11.1991 5) W.P. Anderson et alii: “Pet ownership and risk factors for cardiovascular diesease”, Relazione alla Sixth International Conference “Animals and us”, Montreal, 19-25 July 1992