LIBRO
IN ASSAGGIO
STORIA DELLA
BIBBIA
ORIGINI E TRADIZIONI DEL LIBRO SCRITTO
DA DIO
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I.
COME È NATO L’ANTICO TESTAMENTO
Tanâk (la Bibbia secondo gli ebrei)
La prima cosa da sapere, per chiunque affronti la conoscenza del testo biblico e si interroghi sulle sue origini, è
che per gli Ebrei non esistono due ‘Testamenti’; anzi, non
esiste neppure il concetto di ‘Testamento’: è invece questo il modo con cui la tradizione cristiana ha definito il
canone dei libri considerati ispirati. Né per gli Ebrei si
parla di Bibbia.
La definizione è quella di Tanâk.
Questa parola è una sigla, composta dalla prima lettera di
tre parole: Torah, Neviim e Ketuvim: T N K, rese leggibili con l’aggiunta di una doppia «a»:
TaNaK
La Torah.
La Torah è l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia
(nella terminologia cattolica corrisponde al Pentateuco) e
comprende: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio;
sono, in qualche modo, i libri che fondano la religione stessa dell’ebraismo, i cinque libri di riferimento.
Tradizionalmente si pensava che fossero stati opera dello
stesso Mosè, sotto ispirazione divina. Sono i libri più
sacri del canone ebraico.
Torah, in ebraico, significa «Legge», ma più nell’accezione di ‘ammaestramento’, di ‘istruzione’, che di ‘obbigo’.
Nella Torah gli Ebrei trovano anche narrata la storia delle
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loro origini: dalla fondazione del mondo alla chiamata di
Abramo, alla liberazione dall’Egitto, l’epopea che ha originato il popolo è racchiusa nelle grandiose pagine della
Torah. Legge e storia insieme, dunque: anzi, legge che
nasce dalla e con la storia della relazione meravigliosa e
complessa tra JHWH e il popolo.
Qualcuno ha felicemente definito la Torah come la carta
d’identità dell’ebreo religioso, la cartina di tornasole
della sua fede e della sua speranza. Nella Torah Dio si è
rivelato prossimo all’uomo e lo ha fatto in modo definitivo. Perciò, nell’ebraismo, nulla può superare la Torah:
essa è la Parola prima e ultima per il credente.
I Neviim.
La traduzione di Neviim è, normalmente ‘Profeti’. Si tratta, qui, della seconda grande sezione da cui la Bibbia
ebraica è composta. Può sorprendere trovare in questa
sezione anche una serie di libri storici: la vicenda della
conquista della terra promessa, il regno del re Davide, la
figura di Samuele, la deportazione in Babilonia, tutto
questo fa parte del gruppo dei libri profetici. Il motivo è
profondo: tutta la storia di Israele è storia profetica, è una
storia ‘significativa’, in cui nulla accade senza che la
Parola di Dio sia protagonista. La profezia, per Israele,
non è conoscenza del futuro, ma rivelazione del presente:
i profeti sono le voci di Dio nella storia del suo popolo;
perciò tutta la vicenda di Israele è ‘profezia’ e profeti
sono coloro che hanno interpretato e operato per le promesse di Dio: Giosuè, i giudici, Samuele, Isaia,
Ezechiele, Geremia...
Tanâk chiama ‘profeti anteriori’ testi e figure che hanno
operato fino al consolidamento della monarchia, e ‘profeti
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posteriori’ i libri che raccolgono la predicazione dei profeti nell’epoca della monarchia consolidata, fino all’esilio.
Così commenta uno dei maggiori biblisti italiani, il prof.
P. Rota Scalabrini:
«[I Neviim] si presentano nella forma canonica della
Bibbia ebraica come commento alla Legge, come il
suo giudizio sul presente. Si noti che, all’inizio dei
profeti anteriori, Giosuè è presentato come profeta
che medita la Torah e vi trova la forza per compiere
la missione ricevuta da Dio:
«Solo sii forte e molto coraggioso, cercando di
agire secondo tutta la legge che ti ha prescritta
Mosè, mio servo. Non deviare da essa né a destra
né a sinistra, perché tu abbia successo in qualunque tua impresa. Non si allontani dalla tua bocca
il libro di questa legge, ma mèditalo giorno e notte,
perché tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto; poiché allora tu porterai a buon fine le tue
imprese e avrai successo» (Gs 1,7-8).
Se il blocco della collezione dei profeti inizia con la
consegna della Legge, allo stesso modo la conclusione del corpo profetico rimanda alla sua osservanza,
come scrive la chiusura di Malachia:
«Tenete a mente la legge del mio servo Mosè, al
quale ordinai sull’Oreb, statuti e norme per tutto
Israele». [...]
[...] In sintesi i profeti attualizzano la Tôrah denunciando le deviazioni da essa e mostrando le promesse che sono connesse alla sua osservanza fedele».
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I Ketuvim.
Infine, i Ketuvim: traducibile semplicemente come ‘scritti’; questa parola indica testi di diversa natura: poetici,
sapienziali, storici, apocalittici.
IL CANONE DELLA BIBBIA EBRAICA
(II sec. a.C.. tra parentesi i titoli secondo la formulazione ebraica)
LEGGE (TORAH)
Genesi (All’inizio);
Esodo (Questi sono i nomi),
Levitico (JHWH chiamò Mosè),
Numeri (Nel deserto),
Deuteronomio (Queste sono le parole).
PROFETI (NEVIIM)
Profeti anteriori:
Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re
Profeti posteriori:
Isaia, Geremia, Ezechiele,
I dodici profeti
(Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum,
Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia).
SCRITTI (KETUVIM)
Salmi, Giobbe, Proverbi, Rut,
Cantico dei Cantici,
Qoèlet, Lamentazioni, Ester, Daniele,
Esdra-Neemia (uniti), 1 e 2 Cronache.
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Differenze tra Tanâk e Primo Testamento.
Chi apre la Bibbia cattolica e cerca un confronto tra i libri
lì presenti come Primo Testamento e quelli qui sopra citati come Bibbia ebraica, nota subito una non indifferente
diversità: in Tanâk infatti non si trovano ben sette libri che
la tradizione cattolica considera importanti e ispirati:
Tobia,
Giuditta,
1e2 Maccabei,
Sapienza,
Siracide,
Baruc.
La tradizione ebraica non considera ispirati questi libri e
quindi non li annovera nella Tanâk.
Perché i cristiani fanno questa differenza?
L’elenco riconosciuto dalla Chiesa cattolica è diverso da
quello ebraico poiché si rifà a una tradizione del testo
biblico più tarda (III secolo dopo Cristo) approntata in
ambiente ebraico ellenistico, ad Alessandria d’Egitto. In
questa tradizione, il testo di riferimento è la versione
greca della Bibbia, cosiddetta dei Settanta, che comprende anche i libri appena citati e alcune parti dei libri di
Ester e Daniele non presenti in Tanâk.
La Bibbia ebraica e quella cristiana non coincidono,
dunque, perfettamente anche quando si parli di Primo
Testamento.
La formazione del canone ebraico.
In realtà, anticamente e almeno fino al I secolo dopo
Cristo, vi erano gruppi del giudaismo che restringevano
ancora ulterioremente il campo e riconoscevano come
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‘canonici’ soltanto i primi cinque libri, quelli della Torah;
si tratta per esempio dei samaritani, e (ma non se ne è
certi) dei sadducei; forse anche il gruppo giudaico-cristiano degli ebioniti aveva questa concezione.
Fu però alla fine del II secolo avanti Cristo che il canone
ebraico, come l’abbiamo descritto, prese la sua forma
pressoché definitiva, sancita, come vorrebbe la tradizione, dal Concilio di Jabneh.
Il Concilio rabbinico di Jabneh o Jamnia
(fine I secolo).
La gran parte degli studiosi fa risalire la definizione del
canone ebraico nella sua forma definitiva a un concilio,
tenutosi nella città di Jabneh (piccolo centro a sud dell’odierna Tel Aviv) fra il 90 e il 110 d.C.. La tradizione vuole
che i discepoli di Hillel, il famoso rabbino, avessero ottenuto da Tito, dopo la distruzione di Gerusalemme, di
poter aprire una scuola rabbinica: fondata da Rabbi
Johanan ben Zakkai, dopo il 70 d.C., vide alla sua guida
negli anni seguenti figure di grande spicco, quali
Gamaliel II e Eleazar ben Azariah.
La convocazione del concilio era inizialmente legata a un
conflitto di autorità tra rabbini e alla definizione della possibilità di inserire tra i libri di Tanâk anche due testi che, tradizionalmente, creavano problemi: il Cantico dei Cantici e
il libro di Qoelet; soprattutto questo secondo presentava
posizioni religiosamente ‘estreme’.
È di questo periodo anche l’affermazione dello storico ebreo
Flavio Giuseppe che, nel suo Contra Apionem, afferma:
«Presso di noi non ci sono miriadi di libri [...], ma
solo ventidue. Cinque contengono la Legge e la tra-
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dizione dalla creazione dell’uomo fino alla fine della
vita di Mosè. Questo lasso di tempo comprende 3000
anni. Dalla fine di Mosè fino ad Artaserse [...] i profeti dopo Mosè hanno scritto gli eventi in tredici
libri [...]. Gli ultimi quattro contengono inni a Dio
e precetti morali per gli uomini. Da Artaserse fino al
nostro tempo, tutto è stato scritto, ma questo non è
degno della stessa fiducia accordata ai libri precedenti, perché non c’è più stata una precisa successione profetica».
Per cui, dal concilio e dallo scritto di Giuseppe Flavio,
sembrerebbe proprio che alla fine del I secolo il canone di
Tanâk non fosse ancora così ben precisato e che alcuni
libri creassero problemi: se la Torah e i libri storici non
sollevavano alcun dubbio, ben diversa era la posizione dei
rabbini nei confronti dei libri che noi chiamiamo ‘sapienziali’: il Cantico e il Qoelet, ma anche la sequenza dei
Salmi e altre parti (in particolare la letteratura apocalittica,
che poi non confluì nel canone ma che a quell’epoca di
eventi così tragici era fortemente diffusa).
Uno dei maggiori studiosi della formazione del canone, J.
M. Sánchez Caro, scrive:
«Nel cap. 14 [del cosiddetto Quarto libro di Esdra,
un testo apocrifo del tardo giudaismo] si narra come
Esdra, ispirato dalla divina sapienza, detti a cinque
scribi 94 libri in 40 giorni. Secondo le direttive divine essi devono pubblicare i primi 24 affinché siano
letti da tutti, e conservare gli altri 70, per consegnarli alla lettura soltanto dei sapienti. In questa narrazione troviamo vari punti interessanti. Si parla innanzitutto di un canone di 24 libri biblici, probabilmen-
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te gli stessi di Giuseppe Flavio, ma con un computo
separato di Rut e Lamentazioni; troviamo inoltre una
difesa dei libri apocalittici, il cui numero qui è settanta. Questa apologia consiste nel farne risalire l’origine allo stesso Esdra e allo Spirito di sapienza presente in lui. Scopriamo così, di nuovo, il criterio che
la corrente del giudaismo farisaico aveva imposto per
l’accoglimento nella lista canonica di determinati
libri, e precisamente che fossero stati composti sotto
ispirazione profetica e tramandati senza soluzione
di continuità fino ad Esdra. Tutto perfettamente
comprensibile, se teniamo presente che queste pagine sono scritte proprio al tempo di Jabneh, quando
i rabbini si mostrano chiaramente ostili a gran parte
della letteratura apocalittica esistente, distinguendola
con precisione dai libri canonici»1.
Il mondo ebraico, che aveva appena patito la dispersione
del popolo, a Jabneh trovò, probabilmente, un modo per
conservare la propria distinzione: non c’era più un
Tempio; non c’era più una città; non c’era più una nazione: che cosa restava? I libri. I libri, dovettero pensare i
rabbini riuniti in concilio, potevano essere il vero collante della religione per il tempo dell’esilio: occorreva sceglierli bene, garantire al popolo disperso che Tanâk
sarebbe stata espressione di una storia di popolo assolutamente insuperabile, nonostante il dramma dei tempi
presenti. Probabilmente questo fu anche il motivo per cui
i ‘settanta’ libri apocalittici vennero esclusi dal canone:
1
A.M. Artola – J.M. Sánchez Caro, Bibbia e parola di Dio, Brescia
1994, pag. 76.
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Israele, la propria apocalisse la stava vivendo; non aveva
bisogno di promesse tragiche, ma di memorie e speranza.
E ne avrebbero avuto bisogno per diciannove secoli.
I libri ‘che sporcano le mani’.
I rabbini facevano distinzione, secondo il loro linguaggio,
tra i ‘libri che sporcano le mani’ e quelli ‘che non le sporcano’. Con una mentalità completamente diversa dalla
nostra, i libri ‘che sporcano’ sono quelli ispirati da Dio:
essi, infatti, pretendono, dopo essere stati toccati, che si
eseguano le abluzioni di rito. Il sacro ‘contamina’!
Il concilio di Jabneh, dunque, concluse che tutti i libri
composti dal giudaismo alessandrino e presenti solo nella
traduzione dei LXX venissero esclusi dal canone; qualcuno sostiene che a questa decisione, dovette contribuire
anche il fatto che la ‘Bibbia’ dei LXX era stata adottata
dal cristianesimo nascente (il quale, rivolgendosi ai pagani, trovava perfetto quel testo scritto in greco).
I libri ‘che non sporcano le mani’.
Erano, al contrario, i testi presenti nella LXX e non nel
Canone ebraico: Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Baruc,
Siracide e Sapienza; oltre a questi, anche alcune parti greche dei libri di Daniele e di Ester godevano della medesima caratteristica.
LA ‘RIVELAZIONE’ DI ISRAELE,
UNA STORIA COMPLESSA
Per quanto non si possa qui approfondire quanto meriterebbe la tradizione biblica di Israele, una cosa ancora va
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accennata: il valore, accanto alla ‘Bibbia’ scritta, di una
‘rivelazione’ orale. Non tutto infatti è stato scritto: per la
fede di Israele, la tradizione orale (i commenti, le discussioni, la fede viva) entrano a comporre la rivelazione come
una ‘fonte’ parallela, in fieri. A fianco della Torah scritta,
esiste una Torah orale. I Sifre (commentari) a Deuteronomio,
una delle raccolte più antiche di commentari rabbinici (III
sec. a.C.) riferendosi al passo di Deuteronomio in cui si parla
di Torot (plurale di Torah) scrivevano:
«Questo insegna che due Torah sono state date a
Israele, una scritta e una orale. Un governatore domandò a Rabbi Gamaliele: ‘Quante Torah sono state date a
Israele?’ Egli rispose: ‘Due, una scritta e una orale’».
Nel medesimo testo troviamo anche queste altre parole:
«Rabbi Chaggai [...] diceva: Sono state dette parole
per bocca e sono state dette parole per scrittura. Noi
non sappiamo quali siano, delle due, le più preziose.
Ma poiché sta scritto: Perché per bocca di queste
parole ho contratto un’alleanza con te e con Israele
(Esodo 34,27), si deve dire che le più preziose sono
quelle orali».
E l’inizio di Avot (padri), trattato della Mishnah in cui
sono elencate catene di maestri che hanno trasmesso la
Torah orale, così conferma :
«Mosè ricevette la Torah dal Sinai
e la trasmise a Giosuè,
e Giosuè agli Anziani,
e gli Anziani ai Profeti,
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e i Profeti agli Uomini della Grande Assemblea.
Questi dicevano tre cose: Siate cauti nel giudizio;
educate molti discepoli; fate una siepe intorno alla
Torah»
Fare una siepe intorno alla Torah.
L’espressione «fare una siepe intorno alla Torah» esprime
la grande e intensa comprensione del fenomeno ‘scrittura
sacra’ nell’ebraismo: costruire una siepe significa proteggere, difendere dagli sguardi di chi non conosce e non
può comprendere il mistero. La siepe sono i precetti che
salvaguardano i corretti criteri di interpretazione, che permettono una conoscenza nella tradizione e non quello che
potrebbe essere considerato una ‘violenza’ alla Parola.
In questo modo, la molteplicità delle interpretazioni si
coniuga con la continuità, la novità si permea di tradizione, le intuizioni arricchiscono il passato ma non nascono
orgogliosamente senza di esso. La conoscenza della
Scrittura di Dio pretende un avvicinamento a una terra
santa e richiede di non esporre a occhi curiosi ciò che non
possono comprendere. È ciò che anche Gesù ribadirà nel
Vangelo: «Non si danno le perle ai porci».
La siepe: Mishnah e Talmud.
L’antica tradizione orale d’interpretazione del testo sacro
è raccolta nei due caposaldi della fede ebraica: la
Mishnah e il Talmud.
Mishnah.
La Mishnah (letteralmente: ripetizione, dal verbo shanah
= ripetere) raccoglie i detti dei tannaim (dall’aramaico
tene = studiare). Questi sono gli studiosi che vissero dal-
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l’inizio dell’epoca talmudica (contemporanei di Cristo,
per esempio, furono Hillel e Shammai) fino al 200 d.C..
Il redattore finale della Mishnah fu Giuda ha-Nasì.
Talmud.
Il Talmud (letteralmente: studio) è un commento alla
Mishnah e raccoglie il pensiero dei maestri dal 200 al 600
d.C.. Esistono due grandi recensioni del Talmud: quella
palestinese o gerosolimitana (Talmud Jerushalmi) e quella babilonese (Talmud Babli) della fine del sec. VI.
Il messaggio del Talmud si presenta in due forme: la
Halakhah (ossia: Via da seguire), che riguarda le prescrizioni legali; e la Haggadah (ossia: Racconto), che è un
vero e proprio insegnamento ‘narrativo’.
CREAZIONE DEL CIELO E DELLE ‘LETTERE’
(un esempio di commento midrashico)
«Se esaminano il primo verso della Torah ci rendiamo conto
che esso dice “Bereshit Barà Elokim ET...”.
Potremmo leggere: “In principio D-o creò ET.”. L’articolo
ET (il), generalmente riferito al cielo, è formato dalla prima
e dall’ultima lettera dell’alfabeto ebraico. Da qui i Maestri
imparano che la prima creazione di D-o sono state le lettere, attraverso le quali ha poi creato cielo e la terra. La “lingua sacra” quindi, come parte integrante della Creazione,
come strumento della Creazione. Dire che tutto il mondo la
parlava vuol dire che tutti si trovavano in condizione di partecipare alla Creazione del mondo attraverso l’ottemperanza
al volere Divino espresso dalle lettere dell’alfabeto ebraico».
(www.torah.it)
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INDICE
INTRODUZIONE ..........................................................pag.
7
PRIMA PARTE
ORIGINI E TRADIZIONE
I.
Come è nato l’Antico Testamento ................pag.
11
II.
Autori e tempi della Bibbia ebraica..............pag.
23
III. Il contenuto dei libri dell’Antico Testamento
(secondo il canone cattolico) ........................pag.
48
IV. Come è nato il Nuovo Testamento..................pag.
65
V.
Con che criterio i testi
venivano considerati ‘canonici’? ..................pag.
90
VI. Chi sono gli autori del Nuovo Testamento?
E quando hanno scritto?................................pag.
95
VII. Il contenuto dei libri
del Nuovo Testamento ..................................pag.
132
VIII. La complessa questione
degli scritti apocrifi ......................................pag.
148
IX. Gli scritti dei Padri apostolici ......................pag.
154
X.
La questione dell’ispirazione:
lo Spirito santo come autore della Bibbia ......pag.
160
XI. La questione delle traduzioni della Bibbia ....pag.
166
SECONDA PARTE
ANTOLOGIA ..........................................................pag.
172
BIBLIOGRAFIA ............................................................pag.
189
Aggiornata il martedì 5 agosto 2008
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
www.mondolibri.it
© MONDOLIBRI S.P.A. – PIVA: 12853650153
PAG. 2