Le foto del Ghetto di Varsavia Fotografi delle SS agli ordini di Jürgen Stropp, 1943 Nel 1941 i tedeschi concentrarono nel ghetto al centro di Varsavia oltre 400 mila ebrei. Essi erano puniti con la morte se attraversavano i confini del Ghetto. Con la morte era punito anche chi li avesse aiutati. (a sinistra) Bambini nel ghetto di Varsavia, 1941 (a destra) Manifesto bilingue: condanna a morte per gli ebrei trovati fuori dal Ghetto di Varsavia e per chi li aiuta Alla fine del 1942 gli ebrei nel Ghetto erano ridotti a poco più di 70.000 per effetto della fame, della malattie, del sovraffollamento e delle deportazioni in massa. Quando fu chiaro che il destino dei suoi sfortunati abitanti era segnato, il Ghetto di Varsavia insorse. Era il 18 gennaio 1943. Il 19 aprile 1943, alla vigilia di una importante festa ebraica, 2.000 SS tedesche al comando di Jürgen Stropp entrarono nel Ghetto per quella che lui chiamò Grossaktion, (La grande operazione). In quattro giorni la rivolta fu domata nel sangue. La sinagoga di Varsavia fu distrutta e oltre 56.000 persone furono trucidate sul posto o uccise nei campi di sterminio. Il Ghetto fu dato alle fiamme e raso al suolo. Joseph Stropp, nato nel 1895, licenza elementare, si arruolò volontario nell’esercito tedesco allo scoppio della Prima guerra mondiale, che terminò con il grado di sergente. Si iscrisse al partito nazista (NSDAP) ed entrò nelle SS nello stesso anno, il 1932. Percorse una rapida carriera nel corpo delle SS. Nel 1941 cambiò il suo nome in Jürgen ritenendolo più “ariano”. Fu inviato a Varsavia per sostituire un altro ufficiale SS, Ferdinand von Sammern-Frankenegg, che non aveva saputo stroncare la rivolta ai suoi inizi. Stroop (al centro, con il berretto) assiste al rogo del Ghetto di Varsavia, 1943 Il Ghetto di Varsavia interamente distrutto, 1943 Stropp preparò un dettagliato rapporto corredato di 48 fotografie, del quale fece tre copie. Una la inviò a Hitler, un’altra ad Heinrich Himmler, capo delle SS, e tenne per sé la terza. Il rapporto Stroop: http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Holocaust/nowarsaw.html (il rapporto è qui tradotto in inglese. Si noti che mentre per i suoi caduti Stroop usa la parola “killed”, uccisi, gli ebrei sono “destroyed”, distrutti, come se si trattasse di oggetti. Le foto del rapporto: http://www.deathcamps.info/Stroop/stroop.htm Stropp aveva con sé la terza copia del rapporto quando fu arrestato dalla Polizia militare americana nel 1945. Qui la sua foto segnaletica. Stropp fu condannato a morte ma la condanna fu sospesa. Fu estradato in Polonia, nuovamente processato, condannato a morte e impiccato nel 1951. Qui una foto durante il processo. Verbale dell’interrogatorio di Jurgen Stropp di fronte alla Commissione alleata, 24 febbraio 1946 (in inglese): http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Holocaust/strooptest.html Il Ghetto di Varsavia nel cinema. Alcuni riferimenti, alcune citazioni dei testi visuali …. e in più il cortometraggio di Ettore Scola “’43-’97” sul rastrellamento del Ghetto di Roma Kanal di Andrzej Wajda, 1957, è dedicato all’insurrezione di Varsavia nel 1944. Titolo italiano: I dannati di Varsavia. Kanal in polacco sono le fogne, attraverso cui tentavano di fuggire gli insorti. La cultura visuale dei fotografi delle SS Tre cartoline militari tedesche della Seconda guerra mondiale FOTO DEL RASTRELLAMENTO DEL GHETTO DI VARSAVIA Molti riconoscono in questa fotografia il simbolo della crudeltà e del cinismo dell’operato e dell’ideologia nazista durante la seconda guerra mondiale. La fotografia in questione appartiene al cosiddetto rapporto Stroop1, un memoriale di 75 pagine e 49 foto intitolato Il ghetto di Varsavia non esiste più, di cui l’autore, il generale Jurgen Stroop, fece tre copie: una per Hitler, una per Himler ed una per se stesso. Foto 1: rastrellamento del ghetto di Varsavia La fotografia mostra un episodio relativo al rastrellamento definitivo del ghetto di Varsavia (aprile-maggio) 1943 ordinato da Stroop in seguito all’estremo tentativo di ribellione, stroncato nel sangue, degli Ebrei confinati nel ghetto in risposta alla 1 Il rapporto Stroop: http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Holocaust/nowarsaw.html 1 soluzione finale della questione ebraica2 decretata da Hitler. Nella foto emerge una sorta di struttura ad x: infatti, se tracciamo le diagonali, il centro è il rapporto tra madre e figlio, anche se in realtà non sappiamo se effettivamente i due sono parenti. Sul fondo vediamo soldati della SS, perfettamente equipaggiati, che non hanno nemmeno il bisogno di essere crudeli, sono controllori, si limitano a sorvegliare questo traffico con una fredda indifferenza. Foto 2: il centro dell’immagine Analizzando in profondità la foto, emerge un doppio punto di vista: quello dello spettatore, che in questa foto legge il dramma di un bimbo che così piccolo deve arrendersi come un soldato, e della donna al suo fianco, e quello dei soldati tedeschi che, nel 1943, in queste foto3 non leggevano una denuncia, ma la testimonianza 2 Il termine soluzione finale della questione ebraica (in lingua tedesca Endlösung der Judenfrage) fu usato dai nazionalsocialisti a partire dalla fine del 1940, dapprima per definire gli spostamenti forzati e le deportazioni della popolazione ebraica che si trovava allora nei territori controllati dalla Wehrmacht, poi, dall'agosto del 1941, per riferirsi allo sterminio sistematico della stessa. 3 Le foto del rapporto Stropp: http://www.deathcamps.info/Stroop/stroop.htm 2 dell’efficienza nell’eseguire un ordine. Questa foto è stata forse quella maggiormente usata in senso umanitario proprio in quanto celebrazione di un dramma Anche le prossime fotografie mostrano la ‘grande’ vittoria dei soldati nazisti su donne e uomini praticamente senza difese. Nella prima, addirittura, sulla destra della foto, si vedono i combattenti tedeschi sorridere alla resa degli Ebrei. Foto 3: altre foto del rastrellamento 3 Ancora una fotografia della deportazione degli ebrei dal ghetto di Varsavia Foto 4: altre foto del rastrellamento Il fotografo scatta una scena che diventa un simbolo, fa un perfetto reportage, descrivendo gli aspetti tecnici del rastrellamento. Emerge la tradizione iconica tedesca, l’efficienza della fotografia bellica propria anche delle cartoline belliche, di cui vediamo un esempio. 4 Foto 5: cartolina bellica tedesca Dal punto di vista dei soldati tedeschi si nota come essi ed i loro apparati tecnici si fondino, tutto deve essere efficiente, tutto gronda efficienza chirurgica. Vera e propria compenetrazione tra l’uomo e la sua macchina da guerra. Le truppe tedesche sono il massimo di tecnologia ed efficienza; dall’altra parte gli ebrei di Varsavia, considerati dei subumani. Proprio la minaccia delle armi rivolte contro bambini e donne rappresenta la testimonianza della mancanza di umanità nelle rappresaglie tedesche. 5 È indubbio che il protagonista della fotografia sia il bambino in primo piano con le mani alzate. Come detto, esso rappresenta il dramma della guerra che non risparmia nessuno, neanche un ragazzino di sei o sette anni. Ma chi è in realtà questo giovane ebreo? Foto 6: il bambino protagonista della foto Studi recenti hanno cercato d’indagare la vera identità di questo sfortunato bambino. Ebbene, ancora non si conosce con certezza chi sia effettivamente. Tuttavia, ad oggi, tre sembrano essere i profili da seguire per dare un giusto identikit a al ragazzo. 1) Artur Dab Siemiatek: già nel 1950 si sospettava che il bambino fotografato fosse lui. Questo è quanto afferma Jadwiga Piesecka, una donna residente a Varsavia. Secondo una sua dichiarazione firmata il 24 gennaio 1977, il ragazzo nella foto è Artur Siemiatek nato a Lowicz nel 1935, figlio di Leon Siemiatek e Sara Dab. 2) Zvi Nussbaum: nel 1982, un otorinolaringoiatra di Rockland County, New York, si fece avanti affermando che, nel 1943, all'età di sette anni, era stato arrestato a Varsavia: durante la cattura gli era stato ordinato di alzare le mani da un uomo delle SS di fronte a lui che gli puntava una pistola contro. Anche se non riusciva a ricordare se gli fosse stata scattata una fotografia, il dottor Nussbaum credeva di essere il bambino nella foto. 3) Levi Zelinwarger: verso la fine del 1999, Avrahim Zelinwarger affermò che il bambino della foto era suo figlio Levi. Inoltre, riconobbe nella donna accanto al bambino la madre dello stesso, Chana Zelinwarger. Addirittura, Avrahim Zelinwarger 6 suggerisce che la strada in cui la fotografia è Kupiecka Street, nei pressi di Nalewki Street. Oggi la maggior parte degli studiosi identifica nel bambino Zvi Nussbaum, il quale, dopo la cattura, fu trasportato nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Sopravvissuto, si rifugiò dapprima in Palestina e poi negli Stati Uniti, dove è diventato medico. Foto 7: il bambino della foto (1943) Foto 8: Zvi Nussbaum (1945) due anni dopo la presunta foto Foto 9: collage esposto nella sala d’attesa dello studio di Zvi Nussbaum a dimostrazione dell’autenticità della versione La questione, tuttavia, non è del tutto chiarita: ci sono due punti, in particolare, nel racconto di Zvi Nussbaum che non coincidono. 7 1) Egli afferma di essere stato arrestato il 13 luglio 1943, ma sappiamo che il rastrellamento del ghetto di Varsavia si è consumato tra la fine di aprile e l’inizio di maggio. Ad avvalorare tale ipotesi il fatto che il bambino nella foto indossa una giacca troppo pesante per il caldo del mese di luglio. 2) Il dottore dice di essere stato catturato nel cortile dell’hotel Polski, al di fuori dei confini del ghetto, mentre le fonti giunteci testimoniano il fatto che tutte le foto del rapporto Stroop sono state scattate all’interno del ghetto stesso. Vari studi4 hanno cercato di indagare anche l’identità delle altre persone presenti nella fotografia. Effettivamente di alcuni sono stati scoperti nomi e cognomi, ripercorrendo, in alcuni casi, anche la loro vita posteriore all’istante dello scatto. Foto 10: alcune persone identificate nella fotografia 4 Un approfondito studio è presente in R. Raskin ‘A Child at Gunpoint’, Aarhus University Press, Aarhus, 2004 8 Sono state identificate con certezza cinque persone ritratte nell’istantanea: quattro Ebrei catturati e una SS. Gli arrestati sono: Hanka Lamet Matylda Lamet Goldfinger Leo Kartuzinsky Golda Stawarosky L’SS riconosciuto è: Josef Blosche Foto 11: Hanka Lamet, 7 anni gasata a Majdanek Foto 12: Matylda Lamet Goldfinger madre di Hanka, forse morta anche lei a Majdanek Foto 13: Leo Kartuzinsky, forse deportato e ucciso Foto 14: Golda Stavarowski, forse deportata e uccisa 9 Come detto, invece, il soldato delle SS riconosciuto è Josef Blosche, il soldato tedesco che punta il suo fucile verso il bambino. Era un Rottenführer (caporale) delle SS ‘responsabile’ del ponte di legno che divideva i due settori del ghetto di Varsavia. Foto 15: Josef Blosche punta il fucile verso il bambino Catturato, lo stesso Blosche si riconosce nella foto: ‘Ho guardato la fotocopia data. Per quanto riguarda la persona in uniforme delle SS, in piedi in primo piano in un gruppo di membri delle SS e in possesso di un mitra in posizione di tiro e indossare un elmetto con occhiali da moto, questo sono io L'immagine mostra che io, come membro della Gestapo di ufficio nel Ghetto di Varsavia, insieme ad un gruppo di membri delle SS, sono alla guida di un gran numero di cittadini ebrei fuori da una casa. Il gruppo di cittadini ebrei è composto prevalentemente da bambini, donne e anziani, cacciato da una casa attraverso un gateway, con le braccia alzate. I cittadini ebrei sono stati poi portati alla cosiddetta Umschlagplatz, da cui sono stati trasportati al campo di sterminio di Treblinka.’ Firmato Josef Blösche5 5 WDR Documentario TV (da H. Schwan). La SS Josef-Man Blösche. 2003 10 Blosche sarà arrestato, condannato per crimini di guerra e giustiziato il 29 luglio 1969 Dopo aver analizzato i personaggi, resta da chiedersi chi sia effettivamente l’autore della fotografia. Poiché contenuta nel rapporto Stroop, molti tendono a credere che si stata scattata da una SS incaricata dallo stesso Stroop di documentare fotograficamente il rastrellamento del ghetto di Varsavia. Studi recenti, tuttavia, hanno attribuito la paternità di questa fotografia a George Kadish, un ebreo lituano già autore di molte fotografie scattate a testimonianza delle condizioni di vita del ghetto di Kovno, in Lituania. Foto 16: George Kadisch 11 È quanto sostiene Richard Raskin6, un ebreo americano che insegna in Danimarca e che sta studiando molte delle foto scattate nei ghetti europei durante la seconda guerra mondiale. Foto 17: il libro scritto dal Prof.Raskin 6 R. Raskin, op.cit. 12 In particolare, il Professor Raskin riconduce la paternità della foto a tre indizi fondamentali: 1) Alla fine della guerra, George Kadisch era in possesso di una copia in negativo della foto riprodotta su una lastra di piombo7 (un clichè). La cosa è alquanto strana visto che fino al 1950 praticamente nessuno era a conoscenza dell’esistenza della foto, salvo le SS presenti al momento dello scatto ed i destinatari del rapporto Stroop Foto 18: la foto su lastra di piombo appartenuta a Kadisch 2) Kadisch è autore di altre foto con tema simile: quello della crudeltà nazista operata contro i più deboli, in particolar modo bambini: questi due, ad esempio, moriranno un mese dopo questa foto a Majdanek 7 Oggi conservata nell’Holocaust Memorial Museum di Washington 13 Foto 19: bambini nel ghetto di Kovno, Lituania 3) Come si vede dalle foto, Kadisch è un fotografo anti-nazista e i soggetti e le situazioni immortalate rappresentano sicuramente uno spirito di disapprovazione e di denuncia nei confronti del regime Viene da chiedersi come mai la foto indagata, se effettivamente scattata da un fotografo anti-nazista, sia contenuta nel rapporto Stroop. Raskin sostiene che, probabilmente, in origine la foto doveva essere utilizzata come testimonianza di propaganda anti tedesca. Tuttavia fu intercettata e riciclata come esempio dell’ordine e dell’abnegazione dell’esercito ariano. Nonostante Raskin sembra essere sicuro delle sue ricerche ancora molti dubbi avvolgono l’origine effettiva della foto. Probabilmente la fotografia è stata scattata con una Leika, fotocamera ufficiale delle forze armate tedesche durante la guerra, grazia alla sua qualità, la rapidità di scatto, le dimensioni ridotte e la praticità. La foto studiata, oltre a rappresentare un’icona indelebile nella lotta alle ideologie estreme, come il nazismo, che denigrano alcuni gruppi etnici, degradandoli dalla condizione di esseri umani, è evocativa anche dal punto di visti di coloro che l’hanno prodotta, le SS naziste. 14 Foto 20: Jurgen Stroop durante il processo che lo condannerà a morte nel 1951 Viene completamente capovolto il fine per cui le fotografie erano state scattate. Esse, infatti, dovevano documentare l’efficienza tedesca, ed in particolare quella di Stroop, nel reprimere e nell’assoggettare tutti coloro i quali si permettevano di ribellarsi al potere della razza ariana. Il fine di queste istantanee era dunque quello di testimoniare il trionfo dei tedeschi e l’annientamento degli Ebrei, almeno di quelli del ghetto di Varsavia. Tuttavia, come detto, dopo la fine della guerra, ed in particolar modo durante il processo post bellico contro i gerarchi e gli ufficiali nazisti catturati, proprio le fotografie saranno utilizzate contro gli stessi nazisti come prova indelebile dei loro abominevoli crimini. Uno dei casi più emblematici è proprio quello di Stroop, il quale, trovato in possesso della copia del rapporto sui fatti del ghetto di Varsavia, fu giudicato colpevole ed impiccato proprio a partire dalla testimonianza certa delle 49 fotografie che corredavano il rapporto, oltre naturalmente alle descrizioni scritte degli accadimenti. L’idea iniziale dei tedeschi era proprio quella di documentare le loro imprese, consci del fatto che tali fotografie non avrebbero mai superato determinati confini di distribuzione. Ed in effetti, forse, se Stroop non fosse stato catturato o se il suo rapporto fosse andato perduto probabilmente oggi non avremmo queste istantanee a 15 testimoniare un importante avvenimento storico della seconda guerra mondiale come il rastrellamento del ghetto di Varsavia. Ciò testimonia la relativa facilità anche nel passato di produrre immagini fotografiche, ma dall’altro lato, sottolinea la difficoltà nella riproduzione e nella distribuzione su più media. Michele Pannozzo 16 HEINZ JOST: LE FOTO PROIBITE DEL GHETTO DI VARSAVIA Il 19 settembre 1941, Heinz Jost, un soldato tedesco appassionato di fotografia, entrò nel Ghetto di Varsavia (dove era stato e sarebbe stato più volte) e realizzò 129 fotografie. Vita quotidiana nel Ghetto e strade affollate: 500.000 persone abitavano in 4 kmq Si tratta di un documento1 straordinario perché in genere le immagini dei fotografi ufficiali che erano SS consideravano gli ebrei come degli oggetti, non dei soggetti, mentre Jost ha uno sguardo diverso e mostra una particolare empatia con i soggetti ripresi. 1 Altre foto del ghetto e dell’olocausto al sito http://www.liceoberchet.it/eventi/mutti.htm I poveri e i ricchi convivevano gli uni accanto agli altri. Borghesi a passeggio: ricchi e poveri sono già destinati alla stessa fine Da ricordare che nel luglio 1941 l’esercito aveva vietato ai soldati di realizzare fotografie amatoriali, forse per timore di documentazioni compromettenti. Una venditrice di fasce con la stella di David: economiche in carta stampata, care di lino ricamato con elastico. La vita continua, come dimostra il manifesto teatrale Non parlò mai di queste immagini allora, ma negli anni 80 le consegnò a ‘Stern’2 che però non le pubblicò. Sono state esposte per la prima volta nel 1988 a Gerusalemme. 2 Rivista settimanale tedesca (http://www.stern.de/ ) fondata da Henri Nannen nel 1948. Nel 1983, la rivista pubblicò i diari di Hitler, provocando uno scandalo. La rivista fa oggi parte del gruppo editoriale Bertelsmann. ‘Stern’ è più conosciuto per le sue copertine, per le sue fotografie e per le sue continue ricerche di scoop, che per i contenuti dei suoi servizi Un esempio del carattere provocatorio delle copertine di Stern Un brillante esempio della ricerca di Sternin fatto di copertine e di immagini e fotografia a sensazione. In questo numero, edito il 4 giugno 2009 si mette in risalto, ironicamente, la situazione politica e privata del tempo del Premier italiano3 3 Traduzione: ‘Titolo: ‘Italien. Macht & Amore’ (‘Italia. Potere e amore’); sottotitolo: ‘Come Berlusconi governa il nostro Paese delle vacanze preferito’. Enzo Biagi Varsavia 1943 come fosse ieri “Corriere della Sera”, 14 aprile 2002, pag. 1 Per me l' antisemitismo è rappresentato da un' immagine: il ghetto di Varsavia 1943. Un fotografo della Propaganda Staffel [Ufficio di Collegamento Propaganda, n.d.r.], l' ufficio che curava l' immagine del regime nazista, scatta una scena che diventa un simbolo: c'è un ragazzino, con un berrettuccio di panno, un cappotto ormai troppo corto che lascia scoperte le gambe troppo magre, lo sguardo sgomento, le braccia alzate: si chiama Tvusi Nussbaum. Sono andato a cercarlo: ora fa il medico e vive a Rockland, negli Stati Uniti, in una graziosa villetta, circondata da prati verdi. Ha quattro bambine. Mi raccontò quel giorno anche se, mi disse, «probabilmente nell' inconscio, cerco di sopprimere il passato». Rivedeva il cortile dell' Hotel Polski, dove davano le autorizzazioni per emigrare. Era il 13 luglio 1943. I tedeschi li suddividevano per gruppi familiari. «Chiamavano uno dopo l' altro - rievocava Nussbaum - e dicevano che si andava in Palestina, ma invece ci hanno portati nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Quando urlarono i nomi dei miei zii, i miei genitori erano morti, il mio non figurava nell' elenco. Ricordo quel momento perché mi è stato detto: "Mani in alto". E mi rivedo con le mani alzate». Qualcuno ha detto che chi non conosce il passato sarà costretto a riviverlo. Ed è anche vero che non esistono isole felici. E in Israele, nella «terra promessa», i superstiti dei lager e i loro figli sono ancora ossessionati dal senso del provvisorio. Ci può essere un «kamikaze» nel tuo destino. Vicino al mercato di Gerusalemme una donna è saltata in aria portandosi dietro sei innocenti e lasciando per terra decine di feriti. «Lontano da dove?» si chiedevano gli ebrei nei giorni della Shoa. La domanda è ancora attuale.