STONES (Pietre) ORTO-DA Theatre Group (Israele)

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STONES (Pietre)
ORTO-DA Theatre Group (Israele)
una creazione di Yinon Tzafrir, tratta da “The Warsaw Ghetto Uprising Monument” di Nathan Rappoport
(1911-1987)
con Avi Gibson Bar-el, Mott Sabag, Hila Spector, Nimrod Ronen, Michael Marks, Yinon Tzafrir
regia di Yinon Tzafrir, Daniel Zafrani
drammaturgia di Yifat Zandani Tzafrir
scene di MIki Ben Knaan
parrucche e attrezzeria di Tova Berman
suono di Daniel Zafrani,Yinon Trafrir
luci di Uri Morag
consulente artistico Avi Gibson Bar-El
PRESENTAZIONE
Principali Premi ricevuti da Stones:
Premiato come uno dei 10 migliori nuovi spettacoli al mondo (Germania/NRW - 2007)
Premio del pubblico e premio del Comitato Artistico alla Feira de Teatro de Castilla Y Leon (Spagna - 2007)
Migliore spettacolo al PUF Festival di Pola (Croazia 2008)
Premio per la migliore messa in scena al concorso Kipod Hazahav (Israele - 2008)
4 premi dall’organizzazione mondiale del teatro per ragazzi ASSITEJ nel 2011:
Premio per la migliore coreografia
Premio per il miglior spettacolo interdisciplinare
Premio per il miglior disegno luci
Premio per il miglior design degli oggetti di scena
Unico, emozionante, pluripremiato, internazionale, Stones (Pietre), inserito nel percorso “L’altro”, e in
cartellone per la Giornata della Memoria, racconta, con un nuovo e potente linguaggio espressivo e un
effetto visivo sorprendente, un viaggio immaginifico attraverso il dramma dell’esodo, della deportazione, dei
campi di concentramento, l’arrivo in Israele e la lotta, ancora oggi, per una pace che non arriva.
Stones si ispira al monumento scolpito da Nathan Rapoport alla memoria delle vittime dell’Olocausto e dei
resistenti del Ghetto di Varsavia e posto nel 1948 all’ingresso del Ghetto. Truccati sorprendentemente, in
modo da rappresentare le figure del monumento stesso, gli attori, all’inizio immobili come pietre, si animano
gradualmente sino a prendere vita. Proiettati nel 21o secolo, i personaggi intraprendono un viaggio intimo
nelle coscienze e nel tempo, un viaggio poetico, nelle menti e nelle memorie, nel presente e nella storia.
LA COMPAGNIA
La compagnia israeliana Orto-Da Theatre Group, che fin dall’esordio ha riscosso un grande successo in tutto
il mondo e ha vinto numerosissimi premi teatrali, è nata quasi vent’anni fa dalla specifica volontà dei suoi
fondatori, Yinon Tzafrir, Yifat Zandani Tzafrir e Avi Gibson Bar-El, di creare e presentare eventi teatrali unici.
Da sempre studia e si impegna a fare in modo che tutti possano comprenderli; quindi utilizza il linguaggio
internazionale del mimo, delle immagini evocative e della musica che accompagna gesti e situazioni, il tutto
sempre declinato attraverso una lunga ricerca del comportamento umano e fisico. Il loro nome infatti
contiene una parte della parola “ortodossia”, ciò che muove metà della gente a credere nelle tradizioni, e
una parte della parola “dada”, simbolo del movimento culturale che ha esplorato l’arte e il progresso
attraverso gli occhi della fantasia
Inoltre, sempre in ebraico, il termine rimanda ad altri due concetti: or significa luce, toda vuol dire grazie. In
queste radici etimologiche risiede la chiave del lavoro della compagnia, i cui componenti portano in scena
una fusione post moderna di mimica corporea, clownerie con un tocco “dark”, danza e visual art, creando in
questo modo uno stile unico e di grande immediatezza, che raggiunge il pubblico oltrepassando qualsiasi
barriera linguistica e culturale.
LA RECENSIONE
Sul palcoscenico si innalza una struttura alta e larga, costellata da figure scolpite: si tratta infatti della
ricostruzione di un bronzo realizzato nel 1946 dallo scultore Nathan Rapoport e terminato due anni dopo.
L’originale è alto 11 metri, tutto in bronzo e granito. Le luci sono soffuse, la vista si lascia accarezzare da
ombre e sensazioni; una voce fuori campo spiega che questa opera fu voluta per onorare il ghetto di
Varsavia, che ebbe il coraggio di ribellarsi ai nazisti del Terzo Reich e difatti la scultura si trova esattamente
dove l'insurrezione iniziò, in un punto preciso.
Continua la voce ricordando che l’artista cercò il granito in Svezia e che trovò proprio quella lastra
gigantesca che Hitler aveva ordinato per realizzare un monumento al suo Terzo Reich, i cui lavori erano stati
però bloccati dalle denunce di sterminio in Europa.
Il ritrovamento permise di compiere una duplice vendetta: usare il blocco del dittatore tedesco per celebrare
la mancata scomparsa di un popolo, gravemente ferito ma ancora vivo. Vivo come le sculture che appaiono
sul palco, che iniziano progressivamente a muoversi: una figura maschile gira la testa, quello piegato sulle
ginocchia si alza, una ragazza con un bimbo tra le braccia lo culla dolcemente. Tutti si muovono piano,
senza parole, solamente suoni di spari, di mitra, urla, poi quiete, pianti. Silenzio. Ululati di cani, odore di talco
che ricorda la cenere dei forni, fumo in sala nella penombra. Poi un vento, certamente gelido perché fa
tremare tutti i personaggi ancora un po’ statue ma ormai rappresentazioni di chi vogliono ricordare. Così
sorridono, qualcuno suona un piccolo flauto e sembra ancora possibile ridere e abbracciarsi.
Ora si gioca con l’illusione di potersi fare un bagno, ci si vorrebbe lavare, togliersi di dosso pulci, pidocchi e
chissà cosa ancora, ma le docce non sono per l’acqua ma per il gas, non servono a pulire ma ad uccidere
per poi bruciare i corpi senza vita. Altro buio e ora molte stelle gialle a sei punte, note come ‘le stelle di
David’, poggiate sui petti dei nostri monumenti viventi si sollevano e si distinguono nel buio più totale perché
sono fosforescenti. Appare anche nella notte una piccola luna che gioca con le stelle.
Buio, altra scena: ora tutti stanno dietro a un filo spinato che li trattiene e finiscono per giocarci, tra gracidii di
rane, finché la fantasia li porta a usare il filo spinato come fosse corde di strumenti, come un’arpa, un violino,
e infine tutti cantano seguendo la melodia di Nicola Piovani creata per La vita è bella di Benigni. Quindi è la
volta di una nave che li porterà via. La storia racconta che tutto finisce ma, in modo molto simbolico, ancora
oggi ci sono tanti piccoli Hitler che tentano di ricreare nuovi stermini. Uno spettacolo denso di momenti
magici, con un insolito gioco fra orrore e poesia, fino alla fine.
Daniela Cohen, http://www.saltinaria.it/
VARSAVIA
Varsavia è una città che conserva in ogni angolo, suo malgrado, le tracce della storia, soprattutto dopo
essere stata completamente rasa al suolo a seguito dell’insurrezione del 19 aprile 1943. Per due mesi un
gruppo di ebrei tentò di ribellarsi all’occupazione tedesca, migliaia di persone persero la vita e il Ghetto
ebraico venne incendiato. Nel centro della città sorgono oggi diversi monumenti a memoria del coraggio
dimostrato dagli ebrei polacchi, tra cui il Monumento alla Rivolta nella piazza Krasińkich (costruito nel 1989
su progetto di Vincent Kućmy e Jack Pudding) e il Monumento agli Eroi del Ghetto (opera del 1948 dello
scultore ebreo Nathan Rapoport). D’altronde la forza di volontà di questo popolo si evince anche dal grande
impegno impiegato per la ricostruzione della città, tra quelle maggiormente distrutte durante la guerra: molti
monumenti (come il castello) furono riedificati solo grazie alla presenza di opere d’arte che li ritraevano, tra
cui diversi quadri di pittori italiani.
Link di approfondimento:
https://www.youtube.com/watch?v=W6DKKCSdMhs
http://www.klpteatro.it/stones-orto-da-recensione
http://www.tempoliberotoscana.it/event/stones-orto-da-theatre-group-di-nuovo-a-rifredi-in-occasione-dellagiornata-della-memoria-2015/
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