Sergio Castrucci * Il cipresso Quando quel tale mi disse "sono allergico al cipresso" pensai a una battuta di spirito. Mi pareva un'allergia talmente improbabile da risultare paradossale e in qualche modo umoristica. Poi mi fu spiegato che quel tale intendeva dire "sono allergico al polline del cipresso" e allora mi resi conto che, in fondo, anche il cipresso è un albero come gli altri e che anche lui prima o poi deve pur fiorire ed emettere del polline al quale qualche originale scriteriato possa essere allergico. Questa conclusione non è però immediata, bisogna che qualcuno vi ci faccia arrivare perché lui, il cipresso, statico e impassibile com'è, non fa nulla per farvelo capire. Anzi, diciamola tutta, lui non fa nulla e basta. Non fa fiori e non fa frutti. Non ripara dalla pioggia e non fa ombra o almeno ne fa poca e quella poca non rende certo "il sonno della morte men duro". Le bacche? Secondo il Carducci le mangiano i passeri. Balle! Le bacche del cipresso non se le mangia nessuno; è un'altra delle bufale del Carducci, come quella della nebbia agli irti colli insieme al vento di maestrale. Ho consultato il libro di Padre Indovino per sapere se la pianta del cipresso avesse almeno proprietà medicinali. Sembrerebbe di sì ma si tratterebbe di proprietà astringenti, vasocostrittive, antiemorragiche, antidiarroiche, proprietà tutte estremamente conservatrici, tendenti a stringere, a chiudere, a frenare, a bloccare qualsiasi slancio progressista dell'organismo e da una pianta così reazionaria non c'era da aspettarsi di più. Una pianta superba, ecco, insopportabilmente superba. Con quella sua forma gotica, tutta proiettata verso l'alto, del tutto indifferente ai destini dell'uomo. All'uomo non dà nulla né nulla chiede: né d'essere potata, né curata, né concimata, né annaffiata. Nulla. Vuole soltanto stare da sola, al massimo in un paio di filari magari all'ingresso di qualche villa gentilizia e sontuosa. Ma l'avete guardato un cipresso quando tira il vento? Anche forte? Il vento può squassare tutti gli altri alberi, persino la quercia, ma non il cipresso. Il cipresso al massimo muove un po' la punta, e sempre di malavoglia e in maniera arrogante. E pensare che proprio per la sua impenetrabilità, per il suo schifiltoso distacco da tutte le cure terrene, il cipresso viene considerato una pianta sacra, capite?, sacra, simbolo di eternità, di immortalità, simbolo della vittoria sulla morte, del superamento delle leggi fisiche del tempo cui tutti debbono soggiacere, tutti tranne lui, il cipresso. Ma mi faccia il piacere! Ma la cosa più incredibile è che il cipresso sia diventato l'elemento più caratteristico, il tratto irrinunciabile, quasi la "griffe" della campagna toscana, quella collinare, quella dove metro per metro l'uomo ha sostituito al capriccio della natura le sue colture, dove ha scavato ed eretto, dove ha tolto e dove ha messo. Ecco, in quei luoghi, espressione massima dell'operosità, lo stesso uomo ha disseminato questo campione di inutilità, questo monumento all'ignavia, questo supremo esempio di vacuità, e qualunque pittore voglia ormai ritrarre quel paesaggio, qualunque poeta lo voglia cantare non potrà in nessun caso prescindere da quell'insopportabile pianta. Eppure a tutto questo una spiegazione forse c'è. L'uomo che costruì quel paesaggio e che ci piantò i cipressi non esiste ormai più ma i vecchi ancora se lo ricordano. Era un uomo silenzioso, che non sprecava nulla, neppure le parole, uno che non chiedeva e che non dava, uno che non aveva mai imparato né a leggere né a scrivere ma che sapeva tutto. Era uno che lavorava da solo, mangiava da solo, pregava e bestemmiava da solo. Gli altri come lui stavano un podere più in là, in un altro mondo. Quando aprirono le fabbriche e i suoi figli se ne andarono a stare in città lui rimase lì ancora più solo. Poi morì e di lui non sarebbe rimasto nulla se non quell'albero severo e orgoglioso che tanto gli somigliava, con cui si intendeva benissimo e che qua e là aveva piantato forse, chissà, per farsi un po' di compagnia. * Past President 2005-2006 Le immagini riproducono opere dello scultore Andrea Roggi, socio del Club