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DIABETE
Febbraio 2014 SIEDP Journal Club_Diabete Commento su: Coxsackievirus B1 Is Associated With Induction of β‐Cell Autoimmunity That Portends Type 1Diabetes. Laitinen OH, et al. Diabetes 2014;63:446‐55. A cura di M. Loredana Marcovecchio, Clinica Pediatrica, Universita’ degli Studi ‘G. D’Annunzio’, Chieti Breve introduzione Il diabete di tipo 1 (T1D) è una patologia complessa che risulta dalla interazione di vari fattori genetici e ambientali. Nel corso delle ultime decadi l’incidenza del T1D è aumentata in maniera esponenziale nella fascia di età 0‐14 anni. Da un punto di vista epidemiologico, tale aumento si e’ verificato in un arco di tempo troppo breve per poter essere giustificato da cambiamenti nel background genetico, mentre appare essere più facilmente spiegabile con cambiamenti in fattori ambientali. Tra i fattori ambientali piu’ ampiamente studiati in rapporto allo sviluppo del T1D vi sono le infezioni, soprattutto da parte di enterovirus. Il meccanismo attraverso cui gli enterovirus contribuiscono al rischio di T1D sono complessi, ma probabilmente coinvolgono l’interazione tra il virus stesso, il sistema immune, le beta cellule pancreatiche e il genotipo del paziente. Tuttavia, non tutti gli studi hanno confermato l’ asssociazione tra infezioni eneterovirali e T1D, e non e’ ancora ben chiaro quale/i sierotipo/i enterovirali siano coinvolti. Riassunto dell’articolo: L’obiettivo dello studio di Laitinen e colleghi e’ stato quello di identificare sierotipi di enterovirus coinvolti nella patogenesi del T1D, attraverso lo screening di anticorpi neutralizzanti contro 41 diversi sierotipi in campioni ematici raccolti longitudinalmente. Per raggiungere tale obiettivo e’ stato condotto uno studo caso‐controllo di tipo ‘nested’, con selezione dei casi e dei controlli all’interno della coorte dello studio DIPP (Type 1 Diabetes Prediction and Prevention Project), che in Finlandia ha reclutato dal 1994 e seguito in maniera prospettica (fino all’esordio di T1D o all’eta’ di 15 anni) tutti i neonati a rischio di sviluppare T1D. Il presente studio ha incluso 183 casi positivi per almeno due utoanticopi del T1D, e 366 controlli, negativi per gli autoanticorpi. Nella prima parte dello studio gli anticorpi neutralizzanti sono stati valutati contro 41 sierotipi enterovirali nei primi campioni ematici risultati positivi per autoanticorpi nei casi, e in campioni raccolti durante lo stesso intervallo temporale nei controlli. 1
SIEDP Journal Club_Diabete Il principale risultato dello studio e’stata un’associazione statisticamente significativa tra presenza di anticorpi contro il sierotipo 1 dei Coxsackievirus di gruppo B (CBV1) e rischio di sviluppare autoimmunita’.Gli anticorpi anti‐CBV1 erano piu’ frequenti nei casi che nei controlli: 59% vs 50.1%, corrispondente ad un odd ratio di 1.5. Tale effetto era particolarmente evidente se l’infezione da CBV1 si verificava pochi mesi prima della comparsa degli autoanticorpi. Un altro importante risultato dello studio e’ stato il riscontro di una ridotta prevalenza di anticorpi neutralizzanti contro altri due sierotipi dei Coxsackievirus B, CBV3 e 6, nei casi rispetto ai controlli (CBV3: 5.8 vs 12.8%; CBV6 26.6 vs 35.3%), con un oddds ratio di 0.4 e 0.6, indicativi di protezione. Nessuna significativa associazione veniva riscontrata per gli altri sierotipi analizzati. Un ulteriore interessante risultato e’ stata l’evidenza di una associazione filogenetica tra i tre sierotipi CBV1, CBV3 e CBV 6 e una loro interazione nel contesto dell’autoimmunita’ per il T1D. In particolare, la presenza di anticorpi per CBV1 se associata a contemporanea presenza anticorpi verso CBV3 o CBV6 non si associava ad un aumentato rischio di sviluppare autoanticporpi. Cio’ suggerisce una una potenziale cross‐protezione indotta da CBV3 o CBV6 nei confronti di CBV1. Discussione I risultati di questo studio, insieme a precedenti osservazioni indicanti una capacita dei CBV1 di indurre insulinite in modelli sia animali che umani, rende questo sierotipo un verosimile fattore ambientale implicato nella patogenesi del T1D, e un potenziale target per lo sviluppo di potenziali strategie preventive. Interessante il fatto che una simile associazione tra CBV1 e rischio di T1D e’ stata riportata in altro studio di recente pubblicazione e condotto in diversi paesi europei (Oikarinen S et al., Diabetes 2014;63:655‐62) Importante sottolineare alcuni punti di forza dello studio ma anche suoi potenziali limiti. Punti di forza sono rappresentati dal disegno dello studio, dall’ ampio campione studiato, dal metodo ben validato utilizzato per la diagnosi di avvenuta infezione, attraverso anticorpi neutralizzanti. Potenziali limiti sono il fatto che lo studio e’ stato condotto in un solo Paese (Finlandia), la valutazione di solo una parte dei sierotipi enterovirali noti; la possibilita’ di mancanza di sufficiente potere dello studio nell’ identificare il ruolo di sierotipi con effetto piu’ debole rispetto a CBV1, la mancanza di informazione sulla power calculation relativa allo studio. 2