2. Discorso di D`Annunzio a Roma, 13 maggio 1915 "Compagni

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1. Manifesto del Futurismo
Le Figaro - 20 febbraio 1909
1.
Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.
2.
Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3.
La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo,
l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4.
Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile
da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra
correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
5.
Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul
circuito della sua orbita.
6.
Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi
primordiali.
7.
Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La
poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo.
8.
Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose
porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna
velocità onnipresente.
9.
Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle
idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo
e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche
delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da
violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei
loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi
avventurosi che fiutano l'orizzonte, e le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio
imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire
come una folla entusiasta.
È dall'Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il
FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari. Già
per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.
Filippo Tommaso Marinetti
2.
Discorso di D’Annunzio a Roma, 13 maggio 1915
"Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni
romane. Se considerato è come crimine l'incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io
lo prenderò sopra me solo. Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei: né mi
parrebbe di averne rimordimento (rimorso - Ndr). Ogni eccesso della forza è lecito, se vale ad impedire che
la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca ad imbrattare e a
perdere l'Italia. Tutte le azioni necessarie assolve le legge di Roma.
Ascoltatemi: Intendetemi. Il tradimento è oggi manifesto. Non ne respiriamo soltanto l'orribile odore, ma
ne sentiamo già tutto il peso obbrobrioso. Il tradimento si compie in Roma, nella città dell'anima, nella città
di vita ! …
Udite! Noi siamo sul punto d'esser venduti come una greggia infetta. Su la nostra dignità umana, su la
dignità di ognuno, su la fronte di ognuno, su la mia, su la vostra, su quella dei vostri figli, su quella dei non
nati, sta la minaccia d'un marchio servile.
"Chiamarsi italiano sarà nome di rossore, nome da nascondere, nome da averne bruciate le labbra ....
"Imponiamo il fato, imponiamo la legge!
Le nostre sorti non si misurano con la spanna del merciaio, ma con la spada lunga. Però con bastone e col
ceffone, con la pedata e col pugno si misurano i manutengoli e i mezzani, i leccapiatti e i leccazampe
dell'ex-cancelliere tedesco che sopra un colle quirite fa il grosso Giove trasformandosi a volta a volta in bue
tenero e in pioggia d'oro. Codesto servidorame di bassa mano teme i colpi, ha paura delle busse, ha
spavento del castigo corporale. Io ve li raccomando. Vorrei poter dire: io ve li consegno. I più maneschi di
voi saranno della città e della salute pubblica benemeritissimi.
Formatevi in drappelli, formatevi in pattuglie civiche; e fate la ronda, ponetevi alla posta per catturarli. Non
una folla urlante, ma siate una milizia vigilante. Questo vi chiedo. Questo è necessario. È necessario che non
sia consumato in Roma l'assassinio della Patria. Voi me ne state mallevadori, o Romani. Viva Roma
Vendicatrice !".
3.
Su «Il Popolo d'Italia», l'11 maggio 1915, usciva l'articolo di Benito Mussolini dal titolo “Abbasso il
Parlamento”. Dopo aver condotto, da direttore de l'”Avanti”, una campagna a favore
dell'internazionalismo pacifista contro il «nuovo macello di popolo», Mussolini qui abbraccia le tesi
dell'interventismo di destra attaccando furiosamente i deputati della maggioranza neutralista e le
stesse istituzioni parlamentari.
“Mentre il Paese attende di giorno in giorno, con ansia sempre più spasmodica, una parola da Roma,
da Roma non ci giungono che rivoltanti storie o cronache di non meno rivoltanti manovre
parlamentari.
La vigilia del più grande cimento d'Italia è contrassegnata da questo rigurgito estremo di tutte le
bassezze della tribù medagliettata1. Sdegno e mortificazione si alternano negli animi nostri. Questi
deputati che minacciano «pronunciamenti» alla maniera delle repubblichette sud-americane, questi
deputati che vanno a scuola e a pranzo del principe di Bülow2; questi deputati che diffondono - con
le più inverosimili fantasticherie ed esagerazioni - il panico nella fedele mandria elettorale; questi
deputati pusillanimi, mercatori, ciarlatani, proni ai voleri del Kaiser; questi deputati che dovrebbero
essere alla testa della Nazione per incuorarla e fortificarla, invece di deprimerla e umiliarla
com'essi fanno; questi deputati dovrebbero essere consegnati ai Tribunali di guerra.
La disciplina deve cominciare dall'alto, se si vuole che sia rispettata in basso. Quanto a me, io sono
sempre più fermamente convinto che per la salute d'Italia bisognerebbe fucilare, dico fucilare, nella
schiena, qualche dozzina di deputati e mandare all'ergastolo un paio almeno di ex ministri. Non
solo, ma io credo, con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia il bubbone pestifero
che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo.
Da: Benito Mussolini, Scritti e discorsi, Hoepli, Milano, 1954.
1 I deputati e i senatori portavano come contrassegno della loro appartenenza al Parlamento una piccola
medaglia d'oro con su inciso il loro nome e la indicazione della legislatura.
2 Bernard von Bülow, “diplomatico e statista tedesco, ambasciatore in varie capitali d'Europa e cancelliere
del Reich dal 1900 al 1908. Sul finire del 1914 fu mandato a Roma come inviato speciale perché impedisse l'
entrata in guerra dell'Italia al fianco dell'Intesa con la promessa di buoni uffici presso il governo austriaco p
er il raggiungimento di un accordo per la questione del Trentino e delle altre terre irredente. Visto inutile og
ni tentativo in questo senso, fece ritorno in Germania. Fu in buoni rapporti col Giolitti”. (Desideri)
4.
Il manifesto di Kienthal (aprile 1916).
«Ai popoli che la guerra rovina e uccide!
Due anni di guerra mondiale! Di rovine, di massacri, di reazione. Dove sono i responsabili? Si
cerchino fra i privilegiati. Dopo avere, essi, precipitato nella tomba milioni di uomini, piombato nella
desolazione milioni di famiglie, creati milioni di vedove e di orfani, dopo aver accumulato rovine sopra
rovine, e distrutto una parte della civiltà, questa guerra criminosa si è immobilizzata.
Malgrado le ecatombi su tutte le fronti nessun risultato decisivo: né vincitori né vinti; o piuttosto tutti
vinti, cioè tutti dissanguati, rovinati, esausti. Così ancora una volta vien dimostrato che questi
socialisti, i quali, nonostante le persecuzioni e le calunnie, si sono opposti al delirio nazionalista,
esigendo la pace immediata e senza annessione, sono gli unici che abbiano bene meritato dai loro paesi.
Si alzi il coro solenne delle vostre voci ad aggiungersi alle nostre, al grido: Abbasso la guerra! Evviva la
pace!
Lavoratori delle città e delle campagne!
I vostri Governi, le cricche imperialiste ed i loro giornali vi dicono che bisogna persistere nella
guerra a fondo per liberare i popoli oppressi. È questa una mistificazione ideata dai nostri padroni
allo scopo di prolungare la guerra. Il vero scopo della carneficina mondiale è: per gli uni di
assicurarsi il possesso del bottino che essi hanno accumulato attraverso i secoli e mediante
altre guerre; per gli altri di raggiungere una nuova spartizione del mondo, nell'intento di
annientare i popoli, abbassandoli al livello dei paria. I vostri Governi ed i loro giornali vi dicono
che inoltre bisogna continuare la guerra per uccidere il militarismo. Essi vi ingannano! Il militarismo di
un popolo non può essere ucciso che da questo popolo stesso. I vostri Governi ed i loro giornali vi
dicono ancora che bisogna protrarre all'infinito la carneficina, perché questa guerra sia l'ultima guerra.
Essi vi ingannano sempre. Mai la guerra ha ucciso la guerra. Anzi essa suscita sentimenti e velleità di
rivincita. In questo modo i vostri padroni, votandovi al sacrificio, vi chiudono in un cerchio infernale.
Né le illusioni del pacifismo borghese saranno capaci di farvi uscire da questo cerchio. Non vi è che un
mezzo definitivo per impedire le guerre future: la conquista dei Governi e della proprietà capitalistica
per parte dei popoli stessi. La pace duratura sarà il frutto del socialismo trionfante.
Proletari, guardatevi attorno! Chi sono coloro che parlano della guerra ad oltranza? della guerra fino alla
vittoria? Sono i re, fautori responsabili della guerra stessa; i giornali alimentati dai fondi segreti; i
fornitori degli eserciti e tutti coloro che dalla guerra traggono alti profitti; sono i socialisti
nazionalisti; sono coloro che pappagallescamente ripetono le formule guerresche coniate dai
Governi; sono i reazionari che si rallegrano in cuor loro di veder cadere sui campi di battaglia quei
socialisti, quei lavoratori organizzati, quei contadini coscienti che ieri ancora minacciavano i loro
privilegi usurpati. Ecco da chi è composto il partito dei prolungatori della guerra.
Ad esso è riservata la massima libertà di propagare la continuazione dei massacri e delle rovine.
A noi vittime il diritto di tacere, di soffrire lo stato d'assedio, la censura, la prigione, la minaccia, il
bavaglio. Questa guerra, o popoli lavoratori, non è guerra vostra e pure voi ne siete le vittime! Nella
trincea in prima linea, negli assalti cruenti, esposti alla morte, vediamo i contadini e i lavoratori
delle officine; al retrofronte, al sicuro, vediamo la grande maggioranza dei ricchi ed i loro
lacchè imboscati. Costoro per guerra intendono la morte degli altri. E della guerra essi
approfittano per continuare ad accentuare la loro lotta di classe contro di voi. L'ingiustizia sociale
e l'antagonismo tra le classi diventano più evidenti ancora nella guerra, che nella pace. Nella pace il
regime capitalista toglie al lavoratore la gioia della vita; nella guerra esso gli toglie tutto, gli
toglie la vita stessa. Troppi sono i morti, troppe le sofferenze.
Basta! troppa pure è la rovina economica. Tocca e toccherà ancora a voi, popoli lavoratori, di
sopportare il peso di questi disastri. Oggi centinaia di miliardi vengono inghiottiti nell'abisso
della guerra e sottratti così al benessere dei popoli, alle riforme sociali che avrebbero
migliorato la vostra sorte. Domani schiaccianti imposte graveranno sulle vostre spalle curvate.
Già troppo avete pagato col vostro lavoro, col vostro denaro, colle vostre esistenze. Scendete in lotta
per imporre una immediata pace senza annessioni! Dalle officine e dai campi dei paesi belligeranti
sorgano i lavoratori donne e uomini, a protestare contro la guerra e le sue conseguenze. Alzino le loro
voci per il ristabilimento delle libertà confiscate, per le leggi operaie, per le rivendicazioni dei lavoratori
dei campi! I socialisti di tutti i paesi agiscano conformemente alle decisioni dei Congressi socialisti
internazionali, che fanno obbligo alle classi operaie di compiere ogni sforzo per mettere prontamente
fine alla guerra. Esercitate perciò contro la guerra la massima pressione possibile; sui deputati
da voi eletti, sui Parlamenti, sui Governi! Imponete la fine immediata della collaborazione
socialista coi Governi; esigete che nei Parlamenti i socialisti d'ora innanzi votino contro i
crediti destinati a prolungare la guerra.
Con tutti i mezzi che sono in vostro potere arrestate la fine del macello mondiale. Esigete un
immediato armistizio. Popoli cui la guerra precipita nella morte, in piedi contro la guerra! Su, in alto i
cuori! Non dimenticate che, nonostante tutto, siete ancora in numero e potreste essere la forza! Fate
sentire ai Governi di tutti i paesi che cresce in voi di continuo l'odio contro la guerra, e la ferma volontà
di una rivincita sociale: così l'ora della pace sarà avvicinata.
Abbasso la guerra!
Viva la pace, la pace immediata, senza annessioni!
Viva il Socialismo internazionale! »
I Krupp indicano alla Germania gli obiettivi della guerra.
5.
Gustav Krupp al capo del gabinetto civile prussiano Von Valentini (31 luglio 1915).
Poiché non è escluso che a seguito di qualche decisivo successo per terra o per mare o anche a seguito
di particolari congiunture politiche si ponga per così dire dall'oggi al domani la possibilità o la necessità
di trattative di pace con l'una o con l'altra potenza in guerra con noi, non appare prematuro [...] fissare
alcuni punti di primario interesse nel porre le basi dello sviluppo avvenire della Germania.
Naturalmente premesso sempre, in conformità all'opinione delle più ampie cerchie del popolo tedesco,
che rimane esclusa la possibilità di una «conferenza della pace» - cui si mira da parte
americana e da altre parti -, e che anzi secondo le parole di S. M. il re e imperatore ai nemici la pace
potrà e dovrà essere dettata. Ma se dovremo concludere la pace, dobbiamo sin dagli odierni successi
da noi conseguiti sui campi di battaglia sperare che la Germania ottenga un prezzo che compensi il
sangue dei nostri figli e dei nostri fratelli. Di conseguenza bisognerà ottenere per la Germania - o
per meglio dire per il popolo tedesco nel senso più ampio - una base di attività che gli
garantisca decenni di pacifico lavoro. I tedeschi non devono diventare un popolo di pensionati,
devono rimanere anzi un popolo laborioso quale è stato sinora; in fondo, è sul lavoro tedesco, sul senso
tedesco del dovere e sullo zelo nell'ossequio al dovere che poggiano in buona parte i grandiosi risultati
dell'attuale elevazione e dispiegamento di forza. Bisogna conservare e potenziare in ogni circostanza
questa parte della natura tedesca; per questo bisogna dischiudere anche alla penetrazione del
lavoro e della operosità tedeschi un ampio territorio, il più possibile inesauribile. Ne derivano
tre obiettivi, che bisogna per primi considerare:
1. Bisogna considerare come nucleo dell'Europa e raggruppare il più possibile l'intera
comunità germanica. Con ciò non si deve intendere che si debbano ricomprendere tutti i tedeschi nel
Reich tedesco, ma in primo luogo si tratta piuttosto di fare in modo che la cultura tedesca - nel senso
più ampio della espressione - diventi in Europa quella dominante e che conformemente a ciò
le sia garantita forza di attrazione e di espansione in tutte le direzioni. La cultura tedesca ne ha il
diritto, perché essa non è esteriore vernice, ma è parte integrante dell'animo tedesco, del cuore
tedesco, essa affonda le sue basi più intime nella concezione del mondo tedesca e nel tedesco timor di
Dio.
2. Bisognerà curarsi dal punto di vista politico, militare e navale, che in un futuro prevedibile non
possa essere più praticata contro il Reich tedesco una politica di accerchiamento e di
strangolamento.
3. Come in Europa anche nei territori d'oltremare bisognerà realizzare un sensibile ampliamento
dell'attività economica tedesca.
Solo se nuovi grandi compiti per tutti gli strati del popolo tedesco contribuiranno dopo la guerra a
spazzar via la miseria delle piccole questioni d'ogni giorno, piccole questioni che hanno tenuto
occupato così ingloriosamente sino allo scoppio della guerra la Germania e con il loro inestricabile
intreccio hanno creato difficoltà quasi insormontabili per tutte le grandi decisioni politiche; solo se
saranno aperte ampie prospettive al sano impulso tedesco alla operosità, che è stato risvegliato
dalla guerra, e all'intraprendenza tedesca, solo allora la guerra avrà reso possibile una solida
ricostruzione della nostra vita politica ed economica foriera di successi.
…
D'altra parte ogni persona ragionevole è consapevole di quali difficoltà interne si oppongano
all'annessione di territori stranieri, a questo e ad altri scopi, per esempio strategici. Il Reich tedesco
deve rimanere uno Stato nazionale esclusivamente tedesco e non può diventare una
mescolanza di popoli. I territori a noi circostanti sono più o meno densamente abitati da altri popoli.
Si pone il problema in quale misura essi possano essere annessi senza pregiudicare in tal modo noi
stessi. A superare il conflitto dei due punti di vista contribuiscono solo due cose alle quali ci dovremo
decidere, per gravi che possano apparire al nostro animo iperequo. Bisogna fare in modo che gli
abitanti di lingua straniera dei territori annessi non acquistino alcuna influenza sui nostri affari
politici, ossia non abbiano alcuna partecipazione al suffragio per il Reichstag. In secondo luogo
si abbasserà il numero di questi abitanti di altra lingua in modo decisivo facendo sì che in base al
trattato di pace siano accolti nella misura più ampia possibile dal paese che cede i territori e
facendo in modo d'altra parte che questo Stato ci fornisca come indennità di guerra - che questa
volta non si potrà o non si vorrà ricevere in denaro - terre, miniere di carbone e di metalli, ed
anche industrie siderurgiche e altre importanti grandi imprese, sicché in un futuro prossimo
l'influenza tedesca possa dominare e tedeschizzare questi territori. Soltanto con l'accettazione di
questi due principii sarà possibile avere le mani libere per sfruttare veramente la vittoria in Europa. […]
Da: Krupp und die Hohenzollern. A cura di Boelcke, Berlin, Rütten & Loening, 1965, pp. 149-153.
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