1 S.AGOSTINO D’IPPONA appunti La vita, l'evoluzione spirituale e le opere di Agostino LA VITA Aurelio Agostino nacque nel 354 a Tagaste, cittadina della Numidia, in Africa (oggi nell’Algeria nord-orientale). Il padre Patrizio era un piccolo proprietario terriero, ancora legato al paganesimo (si convertì solo alla fine della sua vita). Monica, sua madre, era invece fervente cristiana. Dopo aver frequentato le scuole a Tagaste, poté recarsi a Cartagine, grazie agli aiuti finanziari di un amico del padre, per compiere gli studi di retorica (370/371). La sua formazione culturale si realizzò per intero nella lingua latina e sulla base degli autori latini (al greco si accostò solo superficialmente). Cicerone rimase per lui a lungo un modello e un punto di riferimento essenziale. Il retore, all'epoca di Agostino, aveva ormai perduto il suo ruolo antico, che era, come sappiamo, politico e civile, ed era ormai diventato essenzialmente un insegnante. Così Agostino insegnò, prima a Tagaste (374) e poi a Cartagine (375-383). Ma l’ambizione professionale e la turbolenza degli studenti cartaginesi lo spinsero a trasferirsi a Roma nel 384. Di qui, nello stesso anno, passò a Milano, dove tenne la carica di professore ufficiale di retorica della città (carica prestigiosa perché Milano allora era la capitale dell’Impero d’Occidente). A Milano Agostino era giunto grazie agli appoggi dei manichei, di cui, come vedremo, per un certo periodo fu seguace. Ma a Milano, fra il 384 e il 386, attraverso profondi travagli spirituali, maturò la conversione al Cristianesimo. Per conseguenza, Agostino si dimise dall’incarico di professore ufficiale e si ritirò a Cassiciaco (in Brianza), in una villa di campagna, dove condusse una vita in comune con gli amici, la madre, il fratello e il figlio Adeodato. Nel 387 Agostino ricevette il battesimo dal vescovo Ambrogio (il quale aveva avuto un ruolo non piccolo, anche se indiretto, nella sua conversione) e lasciò Milano per l'Africa. Sulla via del ritorno, a Ostia, morì la madre Monica. Tornato finalmente a Tagaste, vendette tutti i suoi beni e fondò una comunità religiosa, acquistando ben presto una grande notorietà per la santità della sua vita. Nel 391, mentre si trovava a Ippona, fu ordinato sacerdote dal vescovo Valerio, dietro pressione dei fedeli; qui egli aiutò Valerio soprattutto nella predicazione e fondò un monastero, dove convennero vecchi e fedeli amici ai quali si unirono nuovi adepti. Nel 396, morto Valerio, Agostino diventò vescovo di Ippona, eletto dalla cittadinanza. Nella piccola città di Ippona egli condusse grandi battaglie contro scismatici ed eretici e scrisse i suoi libri più importanti. E da quella piccola località africana, con il suo pensiero e la sua tenace opera, egli determinò una svolta decisiva nella storia della Chiesa e del pensiero dell'Occidente. Morì nel 430, mentre i Vandali assediavano la città. L'EVOLUZIONE SPIRITUALE Queste fasi della vita di Agostino e le vicende a esse connesse risultano per molti aspetti decisive ai fini della sua formazione spirituale e dell'evoluzione del suo pensiero filosofico e teologico e pertanto dobbiamo parlarne in modo dettagliato. La prima personalità che incise profondamente sull'animo di Agostino fu, senza dubbio, quella della madre Monica (la figura del padre Patrizio, invece, fu piuttosto scialba ed evanescente), la quale, con la sua ferma fede e con la sua coerente testimonianza cristiana, gettò in un certo senso le basi e costruì le premesse della futura conversione del figlio. Monica aveva una modesta cultura, ma era forte appunto di quella fede che, nella religione predicata da Cristo, mostra agli umili quelle verità che nasconde alla superbia dei dotti e dei sapienti. Dunque, le verità di Cristo viste attraverso la forte fede della madre sono il punto di partenza dell'evoluzione di Agostino, anche se egli per parecchi anni non accetterà la religione cristiana cattolica e continuerà a cercare altrove la propria identità. Il secondo incontro fondamentale fu con l’ Ortensio di Cicerone, opera che convertì Agostino alla filosofia, mentre studiava a Cartagine. In questo scritto Cicerone sosteneva un concetto di filosofia intesa in maniera tipicamente ellenistica come saggezza e arte del vivere che dona felicità. «In verità - scrive Agostino nelle Confessioni - quel libro cambiò i miei sentimenti e fece perfino diverse le mie preghiere [...] e diversi i miei voti e i miei desideri. Improvvisamente mi diventò vile ogni umana speranza e con ardore incredibile dell’anima bramavo la sapienza immortale». L'ardore acceso dall'Ortensio era, tuttavia, smorzato dal fatto che Agostino non vi trovava il nome di Cristo: «Poiché codesto nome [...] il mio cuore ancor tenero l'aveva bevuto piamente insieme con il latte materno, e lo conservava scolpito profondamente; e tutto quanto fosse senza codesto nome, per quanto letterariamente forbito e veritiero, non mi conquistava del tutto». 2 Agostino si rivolse quindi alla Bibbia, ma non la comprese. Lo stile con cui era scritta, tanto diverso da quello ricco di raffinatezze della prosa ciceroniana, e il modo antropomorfico con cui sembrava parlare di Dio (nell’Antico Testamento) costituirono un blocco insuperabile. A diciannove anni (373) Agostino abbracciò il Manicheismo, che sembrò, insieme, offrirgli una dottrina di salvezza a livello razionale e far posto anche a Cristo. Il Manicheismo, che è una religione fondata dal persiano Mani nel III secolo, implicava un acceso razionalismo, un marcato materialismo e un radicale dualismo nella concezione del bene e del male, intesi come principi non solo morali, ma anche ontologici e cosmici, vale a dire come due divinità antagoniste. Ecco alcuni stralci dallo scritto Sulle eresie di Agostino, che illustrano alcuni dei punti salienti di questa religione. I manichei, scrive Agostino, affermarono «l'esistenza di due principi tra loro diversi e avversi e, nel tempo stesso, eterni e coeterni [...] e, seguendo altri eretici antichi, immaginarono due nature e sostanze, del bene e del male. Secondo i loro dogmi, affermano che queste due sostanze sono in lotta e commiste tra loro [...]». La dottrina manichea - riferisce ancora Agostino - presentava i modi in cui il bene si purifica dal male facendo largo uso di narrazioni fantastiche. Il bene è la luce, sole e luna sono i vascelli che riconducono a Dio la luce sparsa in tutto il mondo e mescolata al principio opposto. La purificazione del bene dal male è operata anche dalla classe degli uomini "eletti" che, insieme a quella degli "uditori", costituiva la loro chiesa. Gli eletti purificavano il bene, non solo con una vita pura (castità e rinuncia alla famiglia), ma anche astenendosi dai lavori materiali e seguendo un’alimentazione particolare. Gli "uditori", che vivevano una vita meno perfetta, procuravano, in compenso, ciò che occorreva alla vita degli "eletti". Per i manichei, Cristo fu rivestito solo di carne apparente, e apparenti furono quindi la sua morte e la sua resurrezione. Mosé non fu ispirato da Dio, ma da uno dei prìncipi delle tenebre, e perciò l’Antico Testamento era da respingere. La promessa dello Spirito Santo fatta da Cristo si sarebbe realizzata in Mani. I manichei giungevano, nel loro dualismo estremo, a non attribuire il peccato al libero arbitrio dell’uomo, bensì all’universale principio del male che agisce anche in noi: «La concupiscenza della carne [...] vogliono che sia una sostanza contraria [...] e che due anime e due intelligenze, l’una buona, l’altra cattiva, lottino fra loro nell’uomo, essere unico, quando la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne». Il "razionalismo" di questa eresia sta nell'eliminazione della necessità della fede, più che nella spiegazione di tutta la realtà con la pura ragione. Mani è un orientale, e, come tale, fa largo posto alla fantasia e all’immaginazione. Agostino, di conseguenza, venne colto assai presto da molti dubbi. L’incontro avuto con il vescovo manicheo Fausto lo convinse dell’insostenibilità di quella dottrina. Fausto, infatti, che pure era considerato la maggiore autorità di quella setta in quel momento, non fu in grado di risolvere nessuno di quei dubbi e lo ammise anche sinceramente. Già nel 383/384 Agostino si distaccò, interiormente, dal Manicheismo e fu tentato di abbracciare la filosofia degli Scettici , secondo la quale l'uomo deve dubitare di ogni cosa, perché di nulla può avere conoscenze certe. Ma ancora una volta, non si sentì di seguire gli scettici, perché nei loro scritti non trovava il nome di Cristo. Del Manicheismo, tuttavia, manteneva ancora il materialismo, che gli pareva l’unico modo possibile di intendere la realtà, e il dualismo, che gli sembrava dar ragione dei forti conflitti fra bene e male che sentiva nel suo animo. Gli incontri risolutivi di Agostino ebbero luogo a Milano. • Dal vescovo Ambrogio apprese il modo corretto di affrontare la Bibbia, che, di conseguenza, gli diventò intellegibile. • La lettura dei libri dei neoplatonici gli rivelò la realtà dell’immateriale e la non realtà del male. • Dalla lettura di san Paolo apprese, infine, il senso della fede, della grazia e del Cristo redentore. Gli antichi ceppi, che lo avevano tenuto così a lungo legato, si spezzarono definitivamente. Data l’importanza di questi incontri, alcune precisazioni risultano necessarie. Dapprima Agostino ascoltò Ambrogio con interesse da professionista, ossia come retore che ascolta un altro retore. Però - egli scrive sempre nelle Confessioni - «mentre aprivo il cuore per accogliere l’eloquenza, vi entrava, del pari, anche la verità, ma a poco a poco [...]: specialmente dopo ch’ebbi sentito esporre e molto spesso risolvere passi oscuri dell’antica Scrittura, che io prendevo alla lettera, rimanendone ucciso». Il ripudio manicheo dell’Antico Testamento gli parve ormai ingiustificato e infondato. Gli autori neoplatonici Plotino e Porfirio gli suggerirono, finalmente, la soluzione delle difficoltà ontologicometafisiche in cui si trovava invischiato. Oltre che la concezione dell’incorporeo e la dimostrazione che il male non è sostanza ma semplice privazione, Agostino trovò nei platonici anche molte tangenze con la Scrittura, ma, ancora una volta, non vi trovò un punto essenziale, ossia che Cristo figlio di Dio morì per la remissione dei peccati degli uomini: «Questo - egli scrisse - non vi si legge». Quella del Cristo crocifisso per la remissione dei peccati degli uomini è una verità che Agostino non poteva trovare in nessuno dei filosofi, perché, secondo la dottrina cristiana, come abbiamo già ricordato, Dio ha voluto tenerla nascosta ai sapienti, per rivelarla agli umili e, quindi, è una verità che, per essere acquisita, richiede un’interiore rivoluzione non di ragione ma di fede. E per operare questa interiore rivoluzione, proprio il Cristo 3 crocifisso è la via. Agostino apprende tutto questo soprattutto da Paolo, come egli stesso ci dice nelle Confessioni: «Altra cosa è scorgere la patria della pace da un cocuzzolo avvolto dalla boscaglia e non trovare la strada che conduce a essa e affaticarsi inutilmente per luoghi impraticabili, assediati tutt’intorno e infestati da disertori fuggitivi [...]; altra cosa, invece, trovarsi sulla strada buona, resa sicura, per la sollecitudine dell’imperatore celeste, dagli assassini che la celeste milizia hanno disertato, i quali, anzi, la evitano, come fosse un supplizio. Queste verità mi penetravano in modo meraviglioso, mentre leggevo le pagine del "minimo'' dei tuoi apostoli». L'ultima fase della vita di Agostino fu caratterizzata dagli scontri polemici e dalle battaglie contro gli eretici. Fino al 404 durò la stagione polemica contro i manichei. Successivamente Agostino fu impegnato in prevalenza contro i donatisti, i quali sostenevano la necessità di non riammettere nella comunità quanti durante le persecuzioni avevano ceduto ai persecutori apostatando o sacrificando agli idoli, e sostenevano di conseguenza la non validità dei sacramenti amministrati da vescovi o da preti che si fossero macchiati di tali colpe. Agostino comprese bene che l’errore di Donato e dei suoi seguaci consisteva nel far dipendere la validità del sacramento non dalla grazia di Dio, ma dalla purezza del suo ministro. Nella conferenza di vescovi tenuta a Cartagine nel 411 Agostino colse i frutti della sua polemica con una netta vittoria. Dal 412 Agostino polemizzò in particolare contro Pelagio e i suoi seguaci, che sostenevano essere sufficienti per la salvezza dell'uomo la buona volontà e le opere, trascurando la necessità della grazia. Sant'Agostino mostrò in una serie di opere come la rivelazione cristiana, contrariamente a quanto sostenevano i pelagiani, ruoti essenzialmente intorno alla necessità della grazia. La sua tesi trionfò nel Concilio di Cartagine del 417 e il papa Zosimo condannò il Pelagianesimo. La tesi di Pelagio era in sostanziale sintonia con la convinzione che i Greci avevano circa l’autarchia della vita morale dell'uomo; per contro, la tesi di Agostino era che il Cristianesimo capovolgeva quella convinzione. Scrive giustamente il filologo tedesco Max Pohlenz: «Il fatto che la Chiesa si pronunciasse per tale dottrina segnò la fine dell’etica pagana e di tutta la filosofia ellenica: e così cominciò il Medioevo». LE OPERE La produzione letteraria di Agostino è immensa. Ricorderemo le opere principali. Scritti di carattere prevalentemente filosofico: Contro gli Accademici, La vita felice, I soliloqui, L'immortalità dell'anima. Il capolavoro teologico è La Trinità (399-419). Il capolavoro apologetico è La Città di Dio (413-427). Numerosi poi sono gli scritti contro i manichei, i donatisti e i pelagiani. Generi letterari nuovi costituirono le Confessioni (397), che sono un vero capolavoro anche dal punto di vista letterario, e le Ritrattazioni (426/427), in cui Agostino riesamina e rettifica alcune tesi contenute nella sua precedente produzione che non erano o non gli sembravano perfettamente in linea con la fede cristiana. LA CENTRALITA’ DELL’IO L’opera più nota di Sant’Agostino è “Confessiones” (in 13 libri), scritta intorno al 400, unanimemente ritenuta tra i massimi capolavori della letteratura cristiana. In essa, Sant'Agostino, rivolgendosi a Dio, narra la sua vita e in particolare la storia della sua conversione al Cristianesimo. Si tratta di un’opera complessa, in cui la narrazione si intreccia con la preghiera e con la riflessione filosofica e teologica. Ma soprattutto è un’autobiografia, in cui l’autore parla sinceramente della propria esistenza, giudicandola severamente con l’atteggiamento del peccatore pentito. Il fatto che un filosofo scriva un’autobiografia costituisce una novità nella storia del pensiero: nessun filosofo antico aveva narrato la propria vita e aveva scandagliato la propria anima con tanta profondità. Per questa capacità di scavo interiore le Confessioni sono considerate un’opera di grande modernità, che prelude alla narrativa introspettiva del Novecento, alla psicologia e alla psicanalisi. Ma da che cosa nasce questa novità? I filosofi antichi non riflettevano e non scrivevano sulle proprie vicende biografiche (se non incidentalmente e occasionalmente) perché per loro l’esistenza individuale aveva scarso valore; essi erano interessati a ciò che è universale e permanente, non al singolo individuo, particolare e transitorio. Invece il singolo individuo diventa interessante e acquista un valore infinito per gli autori cristiani, perché per il Cristianesimo ogni individuo è creato da Dio e, soprattutto, è oggetto dell’amore di Dio, quindi nella vita di ogni individuo si manifesta l’azione del Dio eterno. Infatti la vita di Agostino è contrassegnata da una ricerca inquieta, tormentata, della verità e della felicità, ricerca che lo ha condotto, passando attraverso errori (intellettuali) e colpe (morali), fino alla scoperta di Gesù Cristo - Dio. Nella conversione al Cristianesimo Agostino trova finalmente la verità e la pace. Egli capisce però che l’inquietudine, la sete inesausta di verità e felicità, è suscitata nel cuore umano da Dio stesso, che vuole farsi cercare: l’uomo è alla ricerca di Dio perché Dio è alla ricerca dell’uomo! L’interesse fondamentale e il problema prioritario di Agostino è l’uomo, non però l’uomo in astratto, in generale, ma l’io, l’individuo, la persona; Agostino è ad un tempo il soggetto e l’oggetto della sua filosofia, che acquista quindi un carattere esistenziale e personale sconosciuto alla filosofia greca. 4 «Io non comprendo tutto quello che sono» , «Io ero diventato un problema a me stesso» (Confessioni) L’io è il problema per Agostino perché è in una condizione di crisi e di dispersione, di inquietudine e di ricerca; il problema dell’io quindi rimanda a Dio come termine e fine di questa ricerca: «Tu, o Dio, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non trovi riposo in te» (Confessioni). «Io desidero conoscere Dio e l’anima. Nient’altro, assolutamente» (Soliloqui). Per Agostino quindi la ricerca della verità dell’io e la ricerca di Dio coincidono. FEDE E RAGIONE Per Agostino fede e ragione sono complementari, rimandano l’una all’altra, e anche se la fede in definitiva ha il primato, la posizione di Agostino non è affatto quella di un fideismo irrazionale (tipo “credo quia absurdum”). Infatti secondo Agostino la fede illumina il cammino che deve essere percorso dalla ragione, la fede introduce alla verità, che poi deve essere indagata, chiarita e spiegata con la ragione. D’altra parte la ragione spiegando e vagliando criticamente la verità rivelata dalla fede rafforza e giustifica la fede stessa. Questo è il significato della nota formula: «Crede ut intelligas, intellige ut credas» (credi per capire, capisci per credere). C’è una ragionevolezza della fede, che consiste nel credere a Gesù Cristo (fidarsi di Lui) e ai suoi testimoni con “buoni motivi”. Il problema di fondo, per Agostino, è la conoscenza della verità, che trascende l’uomo, e a cui l’uomo tende sia con la fede sia con la ragione . LA CONOSCENZA DELLA VERITA’ Il processo di conoscenza della verità chiarisce meglio sia il rapporto tra l’Io e Dio sia il rapporto fede-ragione. Agostino parte dalla critica del dubbio scettico: gli scettici dicono che nessuna verità è certa e che bisogna dubitare di tutto, di qualsiasi affermazione. Agostino risponde: «Si fallor, sum» (Contro gli Accademici) = «se m’inganno, esisto», cioè posso ingannarmi, posso sbagliare nell’affermare qualsiasi cosa, ma certamente per sbagliare, per ingannarmi, per dubitare devo esistere: quindi nel dubbio è insita la certezza dell’esistere; «Chiunque comprende di essere in dubbio vede una cosa sicura della quale è certo, pertanto chiunque dubita se la verità esista, ha in sé qualcosa di vero di cui non può dubitare: ora il vero non è tale se non in forza della verità» (La vera religione), quindi il dubbio presuppone, per sua stessa natura, un rapporto dell’uomo con la verità. Ma come e dove ricercare la verità? la risposta di Agostino è sintetizzata nella celebre frase «Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso, la verità abita nell’interno dell’uomo, e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Ma ricorda, quando trascendi te stesso, che tu trascendi la tua anima che ragiona. Tendi pertanto là dove s’accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti ogni buon ragionatore se non alla verità? Poiché la verità non giunge affatto a se stessa col ragionamento, ma essa è ciò cui tendono coloro che ragionano. Riconosci che tu non sei ciò che essa è, appunto perché non cerca se stessa; ma tu sei giunto ad essa cercandola, non di luogo in luogo, ma con l’affetto della mente...» (La vera religione). Vediamo passaggio per passaggio il significato di questa frase: Agostino segue l’itinerario platonico: la mutevole percezione dei sensi non basta a spiegare il fenomeno della conoscenza, infatti noi conosciamo la realtà perché abbiamo in noi dei criteri con cui giudicarla. Questi criteri contengono un plus rispetto agli oggetti corporei, infatti gli oggetti corporei sono mutevoli e imperfetti mentre i criteri con cui l’anima giudica sono immutabili e perfetti. E ciò risulta nella maniera più evidente quando giudichiamo gli oggetti sensibili per mezzo di concetti matematici o geometrici, oppure estetici, oppure morali: infatti i concetti matematici e geometrici, quelli estetici e quelli morali hanno un carattere necessario e immutabile, gli oggetti a cui li applichiamo sono contingenti e mutevoli (ecco perché “la verità abita nell’interno dell’uomo”). Sorge allora il problema : da dove derivano all’anima questi criteri? li produce essa stessa? No, perché anche l’anima è mutevole. Perciò bisogna riconoscere che all’interno dell’anima, ma al di sopra di essa , vi è un criterio immutabile che si chiama Verità (Agostino dice infatti: “se troverai mutevole la tua natura trascendi anche te stesso. Tendi pertanto là dove tende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti ogni buon ragionatore se non alla verità?”). L’anima giudica con la verità che trova in se stessa, ma non coincide con la verità e non la produce, anzi dipende da essa (e infatti la verità si pone come oggetto immutabile della ricerca della ragione). La verità poi è costituita, in accordo con Platone, dalle Idee che sono i parametri secondo cui sono state fatte le cose. Tuttavia Agostino si discosta da Platone su due punti: 1) Le Idee non sono autosussistenti, ma sono i pensieri di Dio (il Logos, il Verbo di Dio) secondo cui Dio ha creato ogni cosa. 2) Secondo Platone l’anima conosce le Idee 5 per reminiscenza (conserva un ricordo delle Idee viste nell’iperuranio prima di incarnarsi). Per Agostino l’uomo conosce le Idee per “illuminazione” divina. Infatti Dio, che è l’Essere, con la creazione ci rende partecipi dell’essere, e Dio, in quanto è Verità, con l’illuminazione ci rende partecipi della verità (e delle idee) permettendoci così di conoscere le cose. I° NOTA BENE: la verità che riceviamo direttamente da Dio (secondo la dottrina dell’illuminazione) non è la conoscenza della realtà ma il criterio che permette la conoscenza (l’intelligenza) della realtà, così come la luce non è la vista delle cose ma permette la vista delle cose. II° NOTA BENE: la teoria della conoscenza di Agostino, pur differenziandosi da quella di Platone nel modo che abbiamo evidenziato, presenta comunque il problema di far consistere la conoscenza in un’esperienza interiore e di attribuire alla realtà materiale, corporea, un ruolo marginale; in questo caso l’influenza di Platone ha impedito a S.Agostino di riconoscere pienamente il valore positivo della realtà materiale e dell’esperienza empirica, nonostante la dottrina biblica della creazione. LA TRINITA’ Il “De Trinitate” costituisce l’opera teologica più importante di Agostino; in essa Agostino riflette sul mistero dell’unità e trinità di Dio (mistero rivelato e dogma fondamentale del cristianesimo), ma anche sulla costituzione della mente umana, offrendo un esempio di quel rapporto di complementarietà tra fede e ragione precedentemente esposto. Secondo la fede cristiana Dio è un’unica sostanza divina (è quindi confermato il monoteismo ebraico) in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo, definite filosoficamente, ma a partire da nomi biblici, Essere, Verità, Amore). La ragione non può comprendere pienamente questo mistero, però può avvicinarsi ad esso attraverso un’analogia con la realtà creata e in particolare con l’anima umana. Infatti tutta la creazione porta in sè l’impronta, le tracce del suo creatore, e ciò vale in particolare per l’uomo che è stato creato “ad immagine e somiglianza di Dio”. Infatti in tutta la realtà Agostino evidenzia strutture triadiche che rimandano appunto alla Trinità creatrice. Ma soprattutto la mente umana è immagine della Trinità, perché anch’essa è una e triplice, in quanto nella sua unità sono congiunte tre facoltà: la memoria (su cui si fonda l’identità dell’anima, cioè il suo essere, nel fluire del tempo), l’intelligenza, con cui l’anima conosce, la volontà con cui l’anima ama. Esiste pertanto una corrispondenza fra le facoltà del’anima e le persone della Trinità divina, la quale, conosciuta per fede, orienta l’analisi della mente, e l’analisi della mente permette di penetrare nel mistero dell’unità e trinità divina. LA CREAZIONE Agostino volendo chiarire il senso della dottrina biblica secondo cui Dio ha creato tutte le cose dal nulla, distingue la creazione dal nulla da: A) la generazione, in cui si produce qualcosa dalla propria sostanza, e il generato è uguale (della stessa sostanza) del generante; B) la fabbricazione, in cui si produce qualcosa utilizzando sostanze preesistenti. L’uomo può generare e può fabbricare, non può invece creare dal nulla. Dio invece ha creato le cose facendole sorgere dal nulla, donando loro tutto l’essere. Questa spiegazione dell’origine della realtà era del tutto estranea al pensiero greco, e anche Platone, che nel Timeo aveva spiegato l’esistenza del mondo facendo riferimento a una divinità creatrice (il Demiurgo), aveva detto che il Demiurgo plasma una materia preesistente secondo il modello delle Idee preesistenti (quindi si tratta di fabbricazione, non di creazione ex nihilo). Anche secondo Agostino la creazione avviene secondo dei modelli ideali, che però non sussistono al di fuori di Dio, ma sono i pensieri stessi di Dio. La creazione è un dono gratuito e libero di Dio, dovuto alla sua bontà e alla sua potenza, e poiché tutto deriva da Dio (anche la materia) tutto è buono. La teoria creazionista incontra due problemi: quello del tempo (quando è avvenuta la creazione?) e quello del male (se tutto deriva da Dio, supremo bene, come si spiega il male?) IL TEMPO Quando è avvenuta la creazione? Cosa faceva Dio prima di creare il mondo? questi interrogativi presuppongono una concezione del tempo come dimensione assoluta, che contiene anche Dio, e che quindi sfugge alla creazione. Agostino risponde che il tempo è creato insieme all’universo, è una dimensione della realtà creata e quindi deriva anch’esso da Dio. Dio poi esiste al di fuori del tempo, l’eternità di Dio non va intesa come un’estensione infinita del tempo ma piuttosto come un “eterno presente” (quindi l’interrogativo “cosa faceva Dio prima della creazione?” non ha senso). Agostino dimostra la natura creata del tempo attraverso due argomentazioni: 6 A) il tempo è connesso al movimento, non possiamo percepire il tempo in sè, ma solo attraverso il movimento, quindi il tempo esiste solo insieme alle cose che si muovono. B) il tempo è costituito da passato, presente e futuro, e tuttavia il passato non c’è più, il futuro non c’è ancora e il presente è soltanto l’istante inafferrabile in cui il futuro scorre nel passato: dunque il tempo non ha alcuna consistenza propria. Eppure il tempo esiste, ma esiste nella mente dell’uomo: esiste nella memoria (= presenza del passato), esiste nell’attesa (= presenza del futuro), esiste nell’intuizione (= presenza del presente). Anche in questo caso il tempo si rivela dimensione della realtà creata. IL MALE “Si Deus, unde malum?”. Se esiste un unico Dio (che è il bene supremo) da dove deriva il male?. Questo problema aveva travagliato Agostino sin dalla giovinezza e lo aveva spinto ad aderire al manicheismo, il quale affermava l’esistenza di due principi divini , il Bene e il Male, in lotta fra di loro nel mondo e anche nell’anima dell’uomo. Successivamente Agostino aveva abbandonato il manicheismo e aveva criticato questa teoria dei principi divini contrapposti: se il Dio-Bene può essere danneggiato o distrutto dal Male, allora non è Dio, perché non è assoluto e incorruttibile, e prima o poi il Male prenderà il sopravvento e rimarrà l’unico Dio; se invece il DioBene non può essere danneggiato e distrutto dal Male, allora non c’è nessuna vera lotta. La risposta convincente al problema del male Agostino la trovò nella filosofia neoplatonica: il male non è una sostanza, non è essere, ma è mancanza di essere. A partire da questo principio Agostino esamina le manifestazioni del male distinguendo tre aspetti: A) ontologico: sul piano ontologico non esiste il male ma solo diversi gradi di essere. Secondo una prospettiva parziale (pertanto falsa) potrebbe essere considerato un male il limite, potrebbe per esempio essere considerata “male” l’inferiorità di una creatura rispetto ad un’altra oppure la finitudine di tutta la creazione di fronte a Dio; ma considerato nel suo insieme, tutto ha un senso e una funzione positiva, tutto (anche ciò che è limitato e inferiore) concorre a formare un’armonia e quindi è bene. B) morale: il male morale, cioè la colpa, il peccato non consiste nel desiderare o amare il male, ma nel desiderare e amare un bene inferiore più del bene supremo (per esempio l’avidità è un peccato non perché la ricchezza sia un male in sè ma perché l’avido antepone il valore della ricchezza ad altri valori superiori). Il male morale non è commesso da una forza cattiva che agisce nell’uomo (questa era la teoria dei Manichei), ma dipende dalla libertà dell’uomo che può scegliere fra diversi beni. C) fisico: il male fisico (cioè la sofferenza e la morte) è la conseguenza del peccato originale, ma nella storia della salvezza anche questo ha un significato positivo, perché aiuta l’uomo a riconoscere il male morale e ad emendarlo. LA LIBERTA’ E LA GRAZIA Gli antichi greci avevano fatto coincidere la moralità con la sapienza affermando che chi conosce il bene fa il bene e che il comportamento malvagio deriva da ignoranza del bene (intellettualismo morale); Agostino invece, sulla scia della cultura latina (che aveva messo in risalto il ruolo della volontà) e dell’insegnamento di San Paolo (“video meliora deteriora sequor”), nota che la ragione può conoscere il bene e la volontà può respingerlo, perché ragione e volontà sono facoltà distinte. La volontà dispone del libero arbitrio, cioè della capacità di scegliere fra possibilità diverse, ma la vera libertà è adesione a Dio, alla sua volontà, perché solo questa adesione è il “bene” per l’uomo, cioé la piena realizzazione umana, la felicità. Questa adesione a Dio deve essere volontaria, non obbligata, e quindi il libero arbitrio è la condizione della vera libertà. Il peccato originale però ha corrotto la volontà umana, per cui la volontà non è più capace di aderire pienamente e continuativamente al bene (Agostino ha dedicato profonde analisi alla scissione e alla debolezza della volontà che “vuole e non vuole”, che “vorrebbe volere”). Per questo la volontà è bisognosa della grazia divina: l’uomo, senza l’aiuto della grazia divina, non è capace di vivere rettamente. La grazia non abolisce la libertà dell’uomo, al contrario essa rende veramente libera la volontà, poichè le restituisce la capacità di aderire al bene che ha scelto. In questa prospettiva l’amore, cioè la tensione della volontà al bene, diventa più importante della sapienza: “Ama, et fac quod vis”. (la necessità della grazia è affermata da Agostino in opposizione all’eresia del monaco Pelagio, il quale sosteneva che tutti gli uomini sono naturalmente liberi e capaci di scegliere il proprio destino e conseguire la virtù cui aspirano; nelle opere dedicate alla polemica con Pelagio Sant’Agostino afferma la necessità della grazia a tal punto da svalutare il ruolo della libertà e dell’impegno umano: ciò ha permesso a Martin Lutero di trovare in questi testi di Agostino una giustificazione e un’anticipazione della sua dottrina sulla salvezza “per la fede e non per le opere”) 7 LA CITTA’ DI DIO E LA RIFLESSIONE SULLA STORIA Il “De Civitate Dei” (in 22 libri) fu scritto da Agostino in occasione del sacco di Roma del 410 e in risposta alle accuse dei pagani contro i cristiani, imputati di aver attirato su di Roma l’ira degli Dei. Ma l’opera supera il motivo occasionale e sviluppa una grande riflessione sulla storia. Agostino afferma che, come la volontà del singolo è scissa fra opposte aspirazioni, così pure l’umanità nel suo insieme è scissa fra “l’amore di Dio e l’amore di sè” e nella storia edifica due “città” contrapposte, la città di Dio e la città terrena. Una è la società dei giusti, dei santi, l’altra la società degli empi. Tuttavia sulla terra queste due città sono sempre intrecciate e mescolate e non si identificano mai con un particolare momento della storia o con qualche istituzione storica (per esempio Chiesa e Stato), perché esse dipendono soltanto da ciò che ogni singolo uomo decide di essere: «I cittadini della città terrena sono dominati da una stolta cupidigia di predominio che li induce a soggiogare gli altri; i cittadini della città celeste si offrono l’uno all’altro in servizio con spirito di carità...». La vera storia è quella realizzata dalla città celeste, anche se sulla terra essa appare nascosta o sconfitta. Solo alla fine dei tempi si renderà manifesta la città di Dio e in essa troverà compimento tutta la storia umana, perché la città di Dio costituirà la realizzazione dell’ aspirazione alla giustizia e alla pace presente anche, sia pure in modo distorto, nella città terrena. Il “De civitate Dei” è importante anche perché getta le basi della successiva filosofia della storia. Presso i Greci non esisteva ancora una filosofia della storia in senso stretto, perché la loro conoscenza filosofica era rivolta alla forma permanente, a ciò che permane sempre identico, quindi svalutavano il divenire e concepivano la storia come uno svolgimento circolare in cui ritornano sempre le stesse forme. Il cristianesimo invece rifiuta la “teoria atea degli inutili cicli”, affermando che ognuno di noi vive e muore una sola volta: alla visione ciclica si sostituisce quella lineare imperniata sulla creazione e sul peccato originale come inizio della storia, sull’incarnazione di Cristo come evento centrale e redentivo, sul Giudizio finale come fine e compimento della storia. In secondo luogo, il cristianesimo, insistendo sull’origine comune che unisce tutti gli uomini, perviene all’idea di un’unica storia universale comprendente tutte le genti. In terzo luogo, il cristianesimo si rapporta alla storia non come a una serie di eventi senza senso ma come a una totalità dotata di significato e di scopo. Per Agostino il principio unificatore degli eventi è dato dalla nozione di Provvidenza (l’agire di Dio nella storia) che conferisce alla storia il significato di storia della salvezza che si conclude e si compie nell’ESCATON (=il Giudizio finale e l’avvento del Regno di Dio). Si noti che buona parte della successiva filosofia della storia (soprattutto ottocentesca) ha secolarizzato lo schema escatologico ebraico-cristiano, concependo la “salvezza” o il compimento finale della storia in termini immanentistici anziché trascendenti: cosicché le filosofie e le ideologie moderne hanno interpretato la storia come un processo in cui si realizza progressivamente un certo valore “laico”, come la scienza, la giustizia, la libertà, la razionalità ecc. letture SANT’AGOSTINO, La “TERZA NAVIGAZIONE” Da un’intervista a Giovanni Reale: “Platone è il filosofo laico più venduto al mondo, al pari di Agostino. Una piccola casa editrice, qualche anno fa, fece una statistica, secondo la quale su Agostino si pubblica in Occidente un libro al giorno. Anni dopo il presidente della casa editrice Città Nuova mi disse che il libro religioso più venduto dopo la Bibbia erano le Confessioni. Io sono sempre stato un grande amante dell’opera, ma nonostante l’abbia letta e studiata per sessant’anni, la capisco solo adesso, perché è un libro talmente ricco e straordinario che richiede una serie di conoscenze che in passato non tutti avevano. (…) Nel secondo trattato, commentario a Giovanni, egli introduce un concetto che io definisco Terza navigazione. Bisogna tenere presente che Agostino ha fatto due conversioni: la prima al platonismo, che gli ha insegnato l’esistenza di un essere che non è quello fisico, mentre prima concepiva Dio come un corpo infinito; la seconda invece è quella religiosa. Agostino ha inoltre spiegato molto bene la differenza tra i platonici e i credenti. I primi sono riusciti a vedere al di là del mare, la patria, e a descriverla in maniera esatta; però, non sono stati in grado di darci lo strumento per attraversare il mare della vita. Platone, in un bellissimo passo del Fedone, afferma che la filosofia è come una zattera, se la si governa bene tiene a galla, altrimenti fa affondare. Se però venisse una rivelazione, dice, avremmo una nave bella, comoda e sicura. Ebbene, Platone si sbagliava: la nave è venuta, ma è tutt’altro che comoda, è quella che Agostino individua nella croce. La croce aiuta ad attraversare il mare della vita anche se non si è riusciti a vedere, come i filosofi, al di là del mare. Essa salva chiunque, ma richiede umiltà, ed è perciò invisa ai filosofi, che per propria 8 natura spesso peccano di superbia, quella che i Greci definivano ΰβρις. Agostino scrive che bisogna attraversare questo mare sul lignum crucis, con la guida di Cristo. È una rivelazione di grandissima importanza perché prima della venuta di Cristo bisognava andare a Dio, ma il percorso era difficile e pochissimi arrivavano. Così, Dio, vedendo queste difficoltà, ha mandato suo figlio, che con la croce insegna a risanare tutti i propri mali e con questo ad attraversare il mare della vita. Agostino fa parte delle filosofia tardo antica-cristiana, non medievale, come spesso si crede. Un’altra cosa che mi piace di Agostino è la sua fede forte, quasi rocciosa, che quando si legge pare di bere acqua purissima e dissetante. La confessione è il rivelare a Dio tutti i propri peccati, ma ha senso soltanto perché è Dio stesso che ci ha guarito da quelli. In quella guarigione Agostino gode ed elogia il Signore. Egli dice di scrivere quel libro affinché tutti i suoi fratelli conoscano il male che ha compiuto in vita e come è guarito, in modo che anch’essi possano guarire o ritenersi fortunati per non aver mai commesso il male. Dal libro decimo in poi Agostino non parla più di peccati ma di tentazioni, perché, come dice la Bibbia, tutta la vita dell’uomo è una continua tentazione. In questo colloquio uomoDio troviamo la rivoluzione più grande: nasce il concetto di persona, che non esisteva nell’antichità. La persona è quella che instaura un rapporto dell’Io con il Tu. Questo rapporto con il tu può avere due valenze. Il rapporto con il tu minuscolo, ovvero con l’altro, e con il Tu maiuscolo. Il vero rapporto con l’altro lo si può instaurare e rendere saldo soltanto se si arriva triangolarmente al vertice, all’altro Tu. Dal “Commento al Vangelo secondo Giovanni”, di sant’Agostino. In principio era il Verbo. E' sempre lo stesso, sempre allo stesso modo; è così come è da sempre, e non può mutare: semplicemente è. Questo suo nome lo rivelò al suo servo Mosè: Io sono colui che sono. Colui che è, mi ha mandato (Es 3, 14). Chi dunque potrà capire ciò, vedendo come tutte le cose mortali siano mutevoli; vedendo che tutto muta, non solo le proprietà dei corpi: che nascono, crescono, declinano e muoiono; ma anche le anime stesse, turbate e divise da sentimenti contrastanti; vedendo che gli uomini possono ricevere la sapienza, se si accostano alla sua luce e al suo calore, e che possono perderla, se per cattiva volontà si allontanano da essa? Osservando, dunque, che tutte queste cose sono mutevoli, che cos'è l'essere, se non ciò che trascende tutte le cose contingenti? Ma chi potrebbe concepirlo? O chi, quand'anche impegnasse a fondo le risorse della sua mente e riuscisse a concepire, come può, l'Essere stesso, potrà pervenire a ciò che in qualche modo con la sua mente avrà raggiunto? E' come se uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a quella stabilità dove ciò che è è, perché esso solo è sempre così com'è. E anche se già scorgiamo la meta da raggiungere, tuttavia c'è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere la meta, poiché molti neppure riescono a vedere dove debbono andare. Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare. E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà. Vi sono stati, per la verità, filosofi di questo mondo che si impegnarono a cercare il Creatore attraverso le creature. Che il Creatore si possa trovare attraverso le sue creature, ce lo dice esplicitamente l'Apostolo: Fin dalla creazione del mondo le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità, onde sono inescusabili. E continua: Perché avendo conosciuto Dio... Non dice: perché non hanno conosciuto Dio, ma al contrario: Perché avendo conosciuto Dio, non lo glorificarono né lo ringraziarono come Dio, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore insipiente si ottenebrò. In che modo si ottenebrò il loro cuore? Lo dice chiaramente: Affermando di essere sapienti, diventarono stolti (Rm 1, 20-22). Avevano visto dove bisognava andare, ma, ingrati verso colui che aveva loro concesso questa visione, attribuirono a se stessi ciò che avevano visto; diventati superbi, si smarrirono, e si rivolsero agli idoli, ai simulacri, ai culti demoniaci, giungendo ad adorare la creatura e a disprezzare il Creatore. Giunsero a questo dopo che già erano caduti in basso. Fu l'orgoglio a farli cadere, quell'orgoglio che li aveva portati a ritenersi sapienti. Coloro di cui l'Apostolo dice che conobbero Dio, videro ciò che dice Giovanni, che cioè per mezzo del Verbo di Dio tutto è stato fatto. Infatti, anche nei libri dei filosofi si trovano cose analoghe, perfino che Dio ha un unico Figlio per mezzo del quale furono fatte tutte le cose. Essi riuscirono a vedere ciò che è, ma videro da lontano. Non vollero aggrapparsi all'umiltà di Cristo, cioè a quella nave che poteva condurli sicuri al porto intravisto. La croce apparve ai loro occhi spregevole. Devi attraversare il mare e disprezzi la nave? Superba sapienza! Irridi al Cristo crocifisso, ed è lui che hai visto da lontano: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio. Ma perché è stato crocifisso? Perché ti era necessario il legno della sua umiltà. Infatti ti eri gonfiato di superbia, ed eri stato cacciato lontano dalla patria; la via era stata interrotta dai flutti di questo 9 secolo, e non c'è altro modo di compiere la traversata e raggiungere la patria che nel lasciarti portare dal legno. Ingrato! Irridi a colui che è venuto per riportarti di là. Egli stesso si è fatto via, una via attraverso il mare. E' per questo che ha voluto camminare sul mare (cf. Mt 14, 25), per mostrarti che la via è attraverso il mare. Ma tu, che non puoi camminare sul mare come lui, lasciati trasportare da questo vascello, lasciati portare dal legno: credi nel Crocifisso e potrai arrivare. E' per te che si è fatto crocifiggere, per insegnarti l'umiltà; e anche perché, se fosse venuto come Dio, non sarebbe stato riconosciuto. Se fosse venuto come Dio, infatti, non sarebbe venuto per quelli che erano incapaci di vedere Dio. Come Dio, non si può dire che è venuto né che se n'è andato, perché, come Dio, egli è presente ovunque, e non può essere contenuto in alcun luogo. Come è venuto, invece? Nella sua visibile umanità. Agostino: Fede e ragione Il brano qui proposto contiene la risposta illuminante data da Agostino a un certo Consenzio, che in una precedente lettera aveva espresso perplessità nei confronti di qualsiasi tentativo di approfondire con la ragione il mistero trinitario: Agostino coglie l'occasione per chiarire quale sia, a suo giudizio, il rapporto fra fede e ricerca razionale. Mi chiedi di discutere con circospezione e prudenza la questione della Trinità, cioè della Unità della natura divina e della distinzione delle Persone. Vorresti che la chiarezza del mio insegnamento [...] dissipasse la nebbia della vostra mente [...]. Guarda però innanzitutto se codesta tua richiesta è conforme alla tua convinzione dichiarata precedentemente. Di fatto al principio della medesima lettera, in cui mi fai tale richiesta, dichiari d’avere l’intima convinzione che la verità deve raggiungersi più con la fede che con la ragione [...]. Considera perciò se in armonia con queste tue parole [...] tu non debba seguire piuttosto l’autorità dei santi, anziché domandare a me una spiegazione razionale per comprenderlo. E anche allorché proverò di farti entrare in qualche modo nella comprensione di tale mistero (il che non mi sarà affatto possibile, se Dio non illuminerà la mia mente), con la mia esposizione non farò altro che dartene la spiegazione razionale nei limiti del possibile. Se dunque esigi ragionevolmente da me o da qualsiasi altro maestro tale spiegazione razionale per comprendere le verità della fede che tu credi, correggi la tua convinzione; non si tratta di rigettare la fede, ma di percepire con la luce della ragione le verità che già credi con la ferma fede. [...] Lontano da noi il pensiero che Dio abbia in odio la facoltà della ragione, in virtù della quale ci ha creati superiori agli altri esseri animati. Lontano da noi il credere che la fede ci impedisca di trovare o cercare la spiegazione razionale di quanto crediamo, dal momento che non potremmo neppure credere, se non avessimo un’anima razionale. Quando perciò si tratta di verità concernenti la dottrina della salvezza, che non possiamo ancora comprendere con la ragione (ma lo potremo un giorno), alla ragione deve precedere la fede; essa purifica la mente e la rende capace di percepire e sostenere la luce della suprema ragione divina [...]. Ecco perché proprio con coerenza razionale il profeta afferma: Se non credete, non comprenderete (Isaia, 7, 9). In questa frase il profeta distingue senza dubbio le due facoltà, consigliandoci anzitutto a credere per poter poi comprendere ciò che crediamo. E quindi un precetto ragionevole che la fede preceda la ragione. [Agostino, Epistola 120 (410), trad. it. di L. Carozzi, in Opere di Sant'Agostino: Le lettere, vol. 1, Roma, Città Nuova Editrice, 1969, pp. 1189-1191]