“CARNAP: DALLA SINTASSI
ALLA SEMANTICA”
PROF. MAURO DI GIANDOMENICO
Università Telematica Pegaso
Carnap: dalla sintassi alla semantica
Indice
1
IL PRINCIPIO DI TOLLERANZA ---------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
LA PLURALITÀ DEI LINGUAGGI ED IL RUOLO DELLA FILOSOFIA -------------------------------------- 6
3
L’APERTURA SEMANTICA ---------------------------------------------------------------------------------------------- 10
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Il Principio di tolleranza
Affronteremo in questa lezione quella che può essere chiamata la “seconda fase” della
riflessione carnapiana del linguaggio, incentrata non solo sulla determinazione delle caratteristiche
sintattiche di enunciati e proposizioni, ma anche sull’apertura ad orizzonti di analisi non
esclusivamente formalistici.
Abbiamo accennato precedentemente come intento essenziale della sua Sintassi logica del
linguaggio sia quello di mostrare, attraverso un’effettiva costruzione formale, la possibilità di
molteplici strutture logiche dipendenti solo dalla scelta degli elementi e delle regole di
combinazione. Questo volume, considerato una delle pietre miliari della contemporanea filosofia
del linguaggio, è suddiviso in cinque ampie parti:
-Il linguaggio definito I;
-La costruzione formale della sintassi del linguaggio I;
-Il linguaggio indefinito II;
-Sintassi generale;
-Filosofia e sintassi, dedicato di proposito alla rielaborazione delle tesi neopositivistiche
nella nuova prospettiva dell’analisi sintattica.
Il punto di partenza teorico della Sintassi logica (deve esservi ormai chiaro) è il rifiuto della
tradizionale filosofia del linguaggio che incentrava la sua speculazione sul confronto tra il piano del
linguaggio ed il piano di una realtà extralinguistica. Carnap invece considera il linguaggio nella sua
struttura formale, come complesso di segni in base ai quali si costituiscono e si trasformano gli
enunciati. C’è da aggiungere che il segno non ha una funzione simbolica di rappresentazione della
realtà. Per questo motivo l’analisi logica prende in considerazione i segni e le loro combinazioni
prescindendo dal problema del loro riferimento. D’altra parte, nella costruzione dei protocolli non
entra la logica, ma la fisica e la biologia ed il motivo è semplice: l’analisi logica studia
semplicemente i segni e le loro combinazioni, cioè diviene analisi sintattica, mentre la fisica e la
biologia forniscono i protocolli sulla base dei quali si costruiscono i sistemi linguistici. Se per questi
ultimi non esiste un problema di riferimento, all’analisi logica non rimane che indagarne la struttura
formale, nell’intento di determinare la loro sintassi; la metodologia, pertanto si identifica con
l’analisi sintattica del linguaggio.
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Dobbiamo subito osservare che la neutralità formale della tecnica costruttiva non impedisce
a Carnap di utilizzare la sintassi per la fondazione della logica della scienza la quale, nei suoi
intenti, dovrebbe costituire la più completa espressione della “filosofia scientifica”. Possiamo
domandarci, quindi, quale sia il collegamento tra l’aspetto formale costruttivo della Sintassi logica
del linguaggio e l’altro aspetto, che in essa rivela uno schietto intendimento neopositivistico. La
risposta può essere indicata nella interpretazione della logica libera da ogni schema privilegiato.
Infatti, all’unicità della logica del realismo empirico del Tractatus wittgensteiniano
Carnap contrappone la molteplicità dei sistemi formali dipendenti solamente da una scelta. La
libertà del gioco formale è, pertanto, generalizzata a principio della convenzionalità della logica. Il
motivo convenzionalistico, già presente ne La costruzione logica del mondo, appare nella Sintassi
logica del linguaggio l’esigenza caratteristica e fondamentale del suo pensiero, quella a cui egli
rimane fedele nelle varie fasi della sua concezione neopositivistica. Il tentativo di conciliazione tra
l’istanza logica e quella empirica, con il quale il Circolo di Vienna aveva iniziato la sua attività, si
trasforma così in un tentativo di conciliazione tra l’istanza empiristica e quella convenzionalistica,
che ha assorbito in sé, profondamente trasformandola, l’esigenza logica.
Che cosa vuol dire tutto questo?
Vuol dire che l’interpretazione convenzionalistica della logica ha una chiara motivazione da
un punto di vista formale: la libertà della costruzione formale è da lui eretta immediatamente a
norma della sua indagine sintattica ed espressa nella forma di “principio di tolleranza in sintassi” o,
come egli preferirà chiamarlo in seguito, “principio di convenzionalità”.
Carnap scrive:
“Non è nostro compito stabilire delle proibizioni, ma soltanto giungere a delle convenzioni.
Alcune delle restrizioni che fino ad oggi sono state proposte hanno avuto una certa utilità
storica, in quanto sono servite a porre in rilievo importanti differenze e a renderle universalmente
note. Ma simili proibizioni possono venir rimpiazzate da una differenziazione definizionale. In molti
casi ciò può essere fatto per mezzo di indagini simultanee (analoghe a quelle sulle geometrie
Euclidea e non-Euclidea) su forme di linguaggio di differenti tipi, ad esempio, su un linguaggio
definito e uno indefinito, su un linguaggio ove la Legge del terzo escluso è ammessa e uno ove non
lo è.
[...] In logica non vi sono morali. Ognuno è libero di costruire la propria logica, cioè la
propria forma di linguaggio, nel modo che vuole. Tutto quello che si esige da lui, se egli intende
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dar ragione del proprio metodo, è che lo stabilisca chiaramente e suggerisca regole sintattiche
invece di argomenti filosofici”.
(R. Carnap, Sintassi logica del linguaggio, cit., pp. 88-89).
Cerchiamo di chiarire ulteriormente questa importante posizione teorica di Carnap.
I segni linguistici si connettono in espressioni che, a suo avviso, sono semplici successioni
di segni ed il concatenamento logico delle espressioni è la trasformazione di una serie di segni in
un’altra serie di segni. Il linguaggio, perciò, da un punto di vista formale, è un calcolo; e come in
questo si stabiliscono dapprima le condizioni che permettono di determinare il tipo di una formula e
poi le condizioni in base alle quali è possibile trasformare una formula in un’altra, così anche il
sistema formale di una lingua consiste di regole di formazione e di regole di trasformazione.
Le regole, d’altra parte, sono delle convenzioni, hanno un carattere stipulativo: per cui,
contrariamente a quanto sosteneva Wittgenstein, la struttura di un linguaggio non è unica. Al
contrario, si possono scegliere liberamente le regole di costruzione degli enunciati e delle loro
trasformazioni. Non esiste, perciò, il problema di giustificare queste ultime: i problemi riguardano
le conseguenze sintattiche cui conduce l’una o l’altra scelta e tra questi anche il problema della non
contraddittorietà. In tal modo la libertà della costruzione sintattica viene espressa nel principio di
tolleranza delle forme linguistiche: non ci sono divieti, ma solo scelte e cioè convenzioni. Le
regole di formazione indicano i simboli e gli enunciati ammissibili; a queste si aggiungono le regole
di trasformazione del linguaggio, unitamente ad un certo numero di concetti che possono essere
usati per caratterizzare il linguaggio stesso.
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2 La pluralità dei linguaggi ed il ruolo della filosofia
Posto il principio di tolleranza a postulato fondamentale della sua ricerca, Carnap ne saggia
la portata attraverso la costruzione effettiva di due lingue distinte, con regole di formazione e di
trasformazione diverse.
Anche se nell’ordine dei paragrafi della Sintassi la costruzione della prima lingua precede
l’enunciazione del principio di tolleranza, il carattere generale dell’opera di Carnap impedisce nel
modo più assoluto di intendere quest’ultimo come generalizzazione indotta da ricerche particolari:
le due lingue sono esemplificazioni concrete, nel campo formale, di un principio sulla cui natura
l’autore non si sofferma, lasciando così aperto il problema della “decisione convenzionale”.
Non intendiamo soffermarci troppo su questo aspetto del pensiero carnapiano. In linea
generale, questi due particolari linguaggi simbolici, chiamati linguaggio I e linguaggio II,
comprendono:
a) il primo, l’aritmetica elementare dei numeri naturali, ed è qualificato un linguaggio
“definito”;
b) il secondo, oltre l’aritmetica dei numeri reali, l’analisi matematica, la teoria degli insiemi,
ma anche la fisica classica e quella relativistica (ed anche il linguaggio I come sottolinguaggio) ed è
qualificato come “indefinito”.
Carnap sottolinea il fatto che ambedue i linguaggi sono esempi di sintassi speciale e precisa
che nella teoria delle forme delle espressioni di un linguaggio (cioè nella sintassi logica) bisogna
distinguere tra il linguaggio che è oggetto di indagine, o linguaggio oggetto, ed il linguaggio in cui
è formulata la sintassi generale del linguaggio oggetto, che viene detto linguaggio sintattico e che
non si riferisce ad alcun singolo linguaggio in particolare, bensì a tutti i linguaggi in generale.
In tal modo, il linguaggio sintattico (chiamato anche metalinguaggio), se è reso
sufficientemente preciso da permettere di costruire in esso un sistema concettuale rigoroso per la
sintassi logica, si costituisce come teoria generale delle forme linguistiche.
Carnap così estende a qualsiasi tipo di linguaggio il modello dell’indagine operante nella
metamatematica di David Hilbert (1862-1943) e nella metalogica di Alfred Tarski (1901-1983), che
prescindono dalla considerazione del significato dei segni e delle formule matematiche o logiche.
Egli le considera in maniera puramente formale come segni formati in determinati modi e
suscettibili di combinazioni e trasformazioni secondo precise regole. In tal modo, oggetto della
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sintassi logica diventano gli aspetti formali del linguaggio, non il linguaggio nel suo complesso, e la
filosofia diventa logica della scienza, ovvero sintassi logica del linguaggio scientifico, in quanto
non tratta degli oggetti di cui si occupano le varie scienze, ma solo delle frasi riguardanti tali
oggetti.
A questo punto sorge in noi spontanea la domanda: ma è possibile che tutta la vasta
problematica trattata dalla filosofia (dalla natura della realtà al senso della vita umana, dalla
bellezza della natura al percorso storico dell’uomo, e così via) possa essere ricondotta ad una fredda
ed asettica analisi linguistica espressa per di più con formule logiche che molto somigliano ad
equazioni matematiche?
Ebbene sì, risponde Carnap, perché è l’unico modo per assegnarle il suo vero ruolo e per
eliminare le “fumose elucubrazioni” metafisiche (ovviamente stiamo banalizzando le sue risposte).
Vediamo come.
Egli inizia col distinguere i problemi considerati in qualsiasi campo teorico - e analogamente
le corrispondenti proposizioni e asserzioni - in problemi oggettivi ed problemi logici. I primi sono
quelli che riguardano gli oggetti del campo considerato; i problemi logici, viceversa, non si
riferiscono direttamente agli oggetti, bensì alle proposizioni, ai termini, alle teorie, che concernono
appunto gli oggetti dati. Nel campo della zoologia, ad esempio, i problemi oggettivi riguardano le
proprietà di animali, le relazioni degli animali fra di loro e con altri oggetti, e così via. I problemi
logici, invece, concernono le proposizioni della zoologia e le connessioni logiche fra esse, la natura
logica delle definizioni comprese in tale scienza e l’analoga natura delle teorie e delle ipotesi che
possono venire, o che effettivamente sono state, ivi formulate, e così via.
Stando all’uso tradizionale – continua Carnap - il termine “filosofia” indica una
designazione complessiva di indagini di tipo assai diverso. In tali indagini, infatti, si incontrano sia
problemi oggettivi sia problemi logici. Parte di questi problemi oggettivi riguarda oggetti fittizi (così
egli li definisce) che non sono reperibili nei vari campi di oggetti studiati dalle scienze (ad esempio,
la cosa in sé, l’assoluto, il trascendentale, l’idea oggettiva, la causa ultima del mondo, il non-essere,
ed entità come i valori, le leggi morali assolute, l’imperativo categorico, e così via); ciò si verifica
soprattutto in quella branca della filosofia comunemente nota come metafisica.
D’altro lato, i problemi oggettivi della filosofia concernono anche cose che rientrano nelle
scienze empiriche (come l’umanità, la società, il linguaggio, la storia, l’economia, la natura, lo
spazio ed il tempo, la causalità, ecc.); ciò si verifica soprattutto in quelle branche che sono
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denominate filosofia della natura, filosofia della storia, filosofia del linguaggio, e così via. I
problemi logici, invece, emergono specialmente nella logica (compresa la logica applicata) ed anche
nella cosiddetta teoria della conoscenza (o gnoseologia), ove, tuttavia, risultano per lo più mescolati
con problemi psicologici. Ed infine i problemi epistemologici, relativi ai fondamenti filosofici delle
varie scienze (come la fisica, la biologia, la psicologia, la storia), sono in parte questioni oggettive
ed in parte questioni logiche.
Carnap giustifica così queste sue affermazioni:
“L’analisi logica dei problemi filosofici mostra che questi sono di tipi assai diversi. Per
quanto concerne le questioni oggettive, i cui oggetti non sono compresi nelle scienze elaborate
rigorosamente, da un esame critico è risultato trattarsi di pseudo-problemi. Le fittizie proposizioni
della metafisica, della filosofia dei valori, dell’etica (nella misura in cui è considerata una
disciplina normativa e non uno studio psico-sociologico di fatti) sono pseudo-proposizioni: esse
non hanno alcun contenuto logico, non essendo altro che espressioni di sentimenti che tendono a
loro volta a suscitare sentimenti e volizioni in coloro che le ascoltano. Nelle altre parti della
filosofia, invece, occorre anzitutto eliminare i problemi psicologici; essi rientrano nella psicologia,
che è una scienza empirica, e debbono pertanto venir trattati mediante l’impiego dei metodi
empirici di questa. [...].
I restanti problemi, vale a dire, nella terminologia ordinaria, i problemi della logica, della
teoria della conoscenza (o epistemologia), della filosofia naturale, della filosofia della storia, e
simili, sono talvolta considerati, da coloro che giudicano la metafisica non scientifica, come
problemi di filosofia scientifica. Stando alla loro formulazione usuale, questi problemi sono in
parte logici, ma in parte anche oggettivi concernendo gli oggetti delle varie scienze. Secondo i
filosofi, tuttavia, le questioni filosofiche riguarderebbero i medesimi oggetti investigati dalle
singole scienze, per quanto da un punto di vista. del tutto differente, cioè, dal punto di vista
puramente filosofico. In opposizione a ciò, sosteniamo che tutti questi ultimi problemi filosofici
sono problemi logici. Anche le questioni oggettive fittizie sono questioni logiche inadeguatamente
formulate. Il presunto punto di vista specificamente filosofico dal quale dovrebbero venire
investigati gli oggetti della scienza si rivela illusorio, come, in precedenza, si era dissolta, una volta
sottoposta ad analisi, la presunta sfera di oggetti specificamente filosofica propria della metafisica.
Prescindendo dai problemi delle singole scienze, gli unici genuini problemi scientifici sono quelli
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dell’analisi logica della scienza, delle sue proposizioni, termini, concetti, teorie, e simili. A questo
complesso di problemi daremo il nome di logica della scienza. […].
La logica della scienza prende il posto di quell’inestricabile groviglio di problemi che è noto
sotto il nome di filosofia. Se a ciò che in tal modo rimane sia preferibile o no applicare il termine
“filosofia” o “filosofia scientifica”, è una questione di opportunità”.
(R. Carnap, ibidem, pp. 376-378).
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3 L’apertura semantica
Nonostante l’impegno profuso da Carnap per la costruzione di un linguaggio unificato della
scienza, i vari tentativi compiuti dai “circolisti” nelle ricerche analitiche sui concetti principali delle
singole scienze naufragano di fronte alla impossibilità di conciliare le due istanze teoriche
fondamentali (ed opposte): quella empiristica e quella logico-formale. Il suo stesso tentativo di
trasferire l’ipotesi convenzionalistica dal campo formale a quello della logica generale della
scienza, in realtà trasforma tale ipotesi da semplice accorgimento metodologico a canone
ermeneutico con precise connotazioni speculative che mal si conciliano con la presunta neutralità
della sintassi logica del linguaggio.
Prendendo atto di tali difficoltà, le sue ricerche, soprattutto dopo il trasferimento negli Stati
Uniti d’America, assumono una decisa curvatura in senso semantico. Una chiara testimonianza è
offerta dall’Introduzione alla Semantica (l942), dove viene evidenziato che nell’uso del linguaggio
intervengono tre fattori (la persona che parla, le espressioni di cui si serve e ciò a cui queste si
riferiscono), che spetta alla semiotica (che esamineremo in una prossima lezione) trattare nel loro
complesso.
Stabilita questa tripartizione, Carnap opera un’ulteriore distinzione tra:
1. semantica pura
2. semantica descrittiva
3. sintassi pura
4. sintassi descrittiva.
La semantica e la sintassi descrittive sono discipline empiriche che analizzano e descrivono
linguaggi storicamente dati. La sintassi e la semantica pure riguardano la costruzione e l’analisi di
sistemi semantici e sintattici che dipendono dalla scelta di regole determinate, le quali possono
avere (o non avere) relazioni con linguaggi esistenti. In ogni caso, gli sviluppi dei vari sistemi sono
semplicemente le conseguenze analitiche delle regole poste. Conseguentemente, la semantica
consente l’esatta sistemazione dei sistemi linguistici in cui i segni sono interpretati, riferiti ai loro
designata. La sintassi, d’altra parte, permette di formalizzare tali sistemi con la costruzione di un
calcolo corrispondente.
Partendo da queste premesse, egli chiarisce che alcuni concetti, considerati precedentemente
di tipo sintattico, sono in realtà concetti semantici: questo vale, ad esempio, per i concetti di campo,
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estensionalità, analitico, sintetico, contraddittorio, implicazione, equivalenza. Possiamo rintracciare
la giustificazione di questo cambiamento giustificativo nella sua constatazione che, in una certa
misura, l’uso ordinario e la prassi scientifica richiedono prevalentemente un’analisi di tipo
semantico piuttosto che un’analisi di tipo sintattico.
Seguendo questa linea interpretativa, egli rivede le sue vedute a proposito dei compiti della
filosofia. Questi ora vengono assorbiti dalla logica del significato, che non è più respinta, come
nella fase sintattica, ma viene presentata come l’oggetto della semantica. Mentre alla fine della
Sintassi logica del linguaggio(1934) Carnap aveva dato la traduzione di enunciati filosofici in
termini sintattici, egli presenta nella Introduzione alla Semantica (1942) traduzioni meno artificiose
di enunciati filosofici in termini semantici. Dobbiamo, però, riconoscere che, anche nella fase
americana, Carnap si occupa più dei problemi formali del linguaggio che non di quelli semantici.
Ed infatti la semantica a cui si dedica, soprattutto in Formalizzazione della Logica (1943) ed in
Significato e necessità (1947), è fondamentalmente una semantica logica e, come tale, essa rientra
nella parte tecnica della logica formale, poiché nei linguaggi di cui si occupa non affronta la
relazione tra i segni e i designata, bensì tratta della struttura logica che li contraddistingue, nonché
delle regole che indicano le entità designate dai simboli. La semantica carnapiana, pertanto, si
differenzia dalla sintassi logica solo per il fatto che consente una definizione rigorosa dei concetti,
pur esercitando questa prerogativa soltanto nei confronti dei linguaggi simbolici dalla struttura ben
determinata, in base ai loro aspetti morfologici.
La curvatura semantica delle teorie linguistiche carnapiane, come potete ben capire, incide
in maniera profonda nel dibattito relativo ad una delle tematiche che hanno più appassionato gli
epistemologi ed i logici, non solo contemporanei. Ci riferiamo, ovviamente, al problema della
verifica, empirica o formale, delle proposizioni scientifiche ed in particolare alla verifica
riguardante le scienze sperimentali. Ricorderete come Ayer abbia affrontato la questione e come il
principio di verificazione, nella formulazione neopositivistica classica, ponga un problema di
primaria importanza, poiché, in base ad esso, tutte le leggi scientifiche risulterebbero prive di
significanza, in quanto non è possibile verificarle in modo definitivo. Nel caso delle leggi della
fisica (e di tutte le scienze empiriche), la presenza del dato protocollare dovrebbe essere accertata
addirittura un numero infinito di volte.
Carnap allora, riconoscendo che le ipotesi scientifiche non possono mai essere
definitivamente verificate dall’evidenza osservativa, propone di liberalizzare il criterio del
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significato, che il Circolo di Vienna aveva indicato nella verificabilità. Egli lo interpreta come una
semplice raccomandazione rivolta a chi intenda costruire un linguaggio scientifico, senza rischiare
d’introdurre proposizioni metafisiche, come potrebbe essere la stessa proposizione: ”Ogni
proposizione è empirica”.
Bisogna sottolineare il fatto che Carnap ora, anziché insistere sulla verificabilità diretta di
una teoria mediante dati empirici, propone il criterio della confermabilità proprio per salvare il
principio empirista per cui la significanza si fonda sull’esperienza: se le leggi non possono essere
verificate (come or ora si è detto), esse tuttavia possono essere confermate attraverso il controllo di
diverse loro esemplificazioni particolari.
In altri termini, il criterio di verificabilità viene sostituito con quello di confermabilità,
basato sul controllo di un numero limitato di casi. L’idea di Carnap si sviluppa dalla nozione di
osservabilità: un predicato esprime una proprietà osservabile se, e solo se, è possibile stabilire la
verità o la falsità dell’enunciato ottenuto dalla sua applicazione ad un dato soggetto. La nozione di
osservabilità è poi usata per spiegare la confermabilità: così, una proposizione S vien detta
“confermabile” (completamente confermabile, oppure incompletamente confermabile), se la
conferma di S è “riducibile” (completamente riducibile, oppure incompletamente riducibile) a quella
di una classe di predicati osservabili.
Ma c’è un punto che dobbiamo sottolineare: egli pone la questione se sia possibile definire
un concetto quantitativo di grado di conferma e risponde distinguendo vari livelli, che vanno dalla
controllabilità completa alla controllabilità non completa (come quella riguardante le leggi di
natura, che sono enunciati generali), sino alla semplice confermabilità, che è tuttavia sufficiente per
escludere gli enunciati propri della metafisica.
In questo orizzonte di problemi, Carnap affronta anche le questioni relative ai rapporti tra
controllabilità, induzione e probabilità, in particolare nei Fondamenti logici della probabilità
(1950). Egli ritiene, infatti, che ogni ragionamento induttivo, su cui si fonda la formulazione delle
leggi scientifiche, è un ragionamento in termini di probabilità, cosicchè la logica induttiva, ossia la
teoria dei principi di tale ragionamento, coincide con la logica probabilistica. Questa, però, deve
fondarsi non sul concetto di probabilità intesa come frequenza, ed usato in statistica, ma sulla
probabilità vista come relazione logica tra due enunciati; per essere precisi, come il grado di
conferma di un’ipotesi (conclusione) sulla base di dati elementi probatori (premesse). In questo
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senso, ciò a cui mette capo l’inferenza induttiva è, appunto, la determinazione del grado di
conferma di un’ipotesi.
Da tutto quello che abbiamo fin qui esposto, potete ben capire che il punto essenziale della
teoria carnapiana della significanza sta nel concetto di grado di conferma, inteso soprattutto come
mezzo per la costruzione di un sistema di logica induttiva che, applicato all’intero linguaggio della
scienza, costituirebbe il fondamento logico dell’induzione. Ma proprio qui si sviluppa un ampio
dibattito che, come vedremo successivamente, mette in discussione la stessa categoria di
verificabilità, in qualsivoglia forma declinata.
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