Il TTIP Ue-USA L’instaurazione di legami sempre più stretti tra Europa e Stati Uniti è un fenomeno che va al di là dei suoi aspetti economici. Il dialogo tra i due principali attori nel commercio mondiale è recentemente sfociato nel negoziato per l’instaurazione del TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, che prevede l’instaurazione di un’area di libero scambio tra Unione europea e USA. L’accordo, che ha per oggetto l’instaurazione di un’area di libero scambio tra Ue e Stati Uniti, porterebbe all’abolizione dei dazi e alla riduzione delle barriere non tariffarie. Ulteriori materie sono: regolamentazione, appalti e commesse pubbliche, proprietà intellettuale e sviluppo sostenibile, sussidi e esportazioni in regime di dumping e sulla legislazione antitrust. Resta esclusa dalla trattativa l’editoria audiovisiva. Su tali argomenti di trattativa, al pari che sulla regolamentazione nazionale e sugli standard tecnici, si annidano spesso barriere protezionistiche, azioni distorsive dei commerci e si concentrano le politiche commerciali degli stati, dopo che nel corso degli ultimi decenni questi hanno ridotto la leva dei dazi commerciali. Il via libera al negoziato è stato dato a febbraio da parte degli USA e a giugno da parte dell’Ue. Il primo round della trattativa ha avuto luogo a Washington tra l’8 e il 12 luglio. In quella sede le parti hanno esposto le rispettive posizioni in venti aree negoziali. Il secondo round è stato fissato per ottobre a Bruxelles. Gli scambi di merci tra Ue e USA costituiscono il flusso più importante del pianeta, con 2 miliardi di euro scambiati al giorno. La Commissione europea stima un beneficio medio dell’accordo di 545 euro per famiglia europea ed un incremento del PIL della Ue dello 0,5%, mentre per le imprese europee ci si attende un incremento delle vendite negli USA di beni e servizi per 187 miliardi di euro. I benefici dell’accordo per le imprese europee discenderebbero da una barriera protezionistica “differenziale”, data dalla preferenza per i prodotti europei negli Stati Uniti e americani nell’Unione europea in seguito all’eliminazione dei dazi e degli altri ostacoli al commercio. Tale barriera equivarrebbe ad un dazio (o misura di effetto equivalente) “differenziale” sulle merci degli esportatori dei paesi esclusi dall’accordo. Questo porterebbe ad un minore prezzo per il prodotto scambiato dai membri del TTIP e ad un acquisto di maggiori quantità dello stesso. Come ulteriore effetto si avrebbe un più elevato livello di produzione, di acquisti di beni strumentali e maggiori investimenti per sopperire alla maggiore domanda. Ciò, a sua volta, avrebbe effetti benefici su occupazione e reddito. L’effetto di compressione sui prezzi di una riduzione del prezzo degli input produttivi di importazione (e quindi anche su quelli di produzione interna) porterebbe a benefici sui redditi reali e ad una minore dinamica salariale. Se fossero incluse nell’accordo la politica dei sussidi pubblici, la politica antidumping e la legislazione antitrust, si avrebbe un ulteriore beneficio, consistente nell’eliminazione dei sussidi e della conseguente distorsione delle scelte da parte degli operatori economici, non solo delle imprese esportatrici. Se il dazio medio degli stati sulle importazioni risulta spesso basso, il dazio effettivo, ovvero quello sulla tipologia di prodotti importati ponderata per i volumi, è spesso molto più elevato. Il prodotto italiano esportato verso gli Stati Uniti ricade frequentemente in questa descrizione. Inoltre, spesso il prodotto esportato dall’Italia è colpito da barriere non tariffarie molto importanti. Vista l’elevata incidenza delle voci export italiane nei campi in cui si concentrano i dazi e le barriere non doganali statunitensi, l’apertura dei mercati americani porterebbe per l’Italia maggiori benefici di quelli che porterebbe per altri paesi e comporterebbe una barriera daziaria “differenziale” rilevante nei confronti dei paesi che esportano negli stessi settori. La barriera protezionistica differenziale risulterebbe relativamente più efficace per la maggiore debolezza dell’Italia verso produttori come Cina e India. Dato l’elevato peso relativo sull’export verso gli USA di meccanica, moda, alimentari e bevande, con produzioni sensibili al prezzo ed esposte alla concorrenza asiatica, il “dazio differenziale” aiuterebbe la produzione italiana più di quanto favorirebbe quella di un paese con produzione più differenziata o a maggiore valore aggiunto o che esporta beni a domanda più rigida. Inoltre, l’elevata incidenza dell’effetto protezionistico degli standard tecnici e della regolamentazione americana sull’export italiano, porterebbe a maggiori benefici differenziali per l’Italia rispetto ad altri paesi. Rispetto agli attori comunitari, la maggiore specializzazione dell’export nei settori tradizionali del Made in Italy, maggiormente sensibili al prezzo e soggetti alle barriere non tariffarie, porterebbe ad un ulteriore maggiore beneficio in termini di export. L’inclusione di sussidi, tariffe antidumping e della legislazione antitrust nelle trattative comporterebbe un maggiore beneficio rispetto ad altri paesi esportatori, vista la maggiore incidenza per l’export Italiano delle voci “prodotti intermedi chimici” e “merci estrattive e prodotti petroliferi”, dove l’intervento pubblico è relativamente più importante che in altri settori. In caso di inclusione di tali argomenti nella trattativa, il beneficio non risulterebbe solo in una diminuzione delle voci di spesa relative, ma anche in una migliore allocazione delle risorse in seguito alla minore distorsione delle scelte economiche degli operatori (non solo le imprese). Inoltre, il beneficio risulterebbe maggiore perché l’abbandono dei sussidi e la riduzione della distorsione delle scelte degli operatori economici non sarebbero limitate all’interscambio con gli Stati Uniti. Pertanto ci si può attendere effetti benefici dell’accordo TTIP per l’Italia. Inoltre, il beneficio per gli Stai Uniti risulterebbe fortemente limitato dall’esclusione dell’audiovisivo dall’accordo e dalla forte limitazione dalla trattativa della materia agricola (settore per noi deficitario) e di brevetti, licenze e royalties, e quindi, indirettamente, anche della voce “chimica farmaceutica”, tutti settori in cui l’Italia risulta importatore netto dagli Stati Uniti. Riferimenti Prometeia, Stima degli impatti sull’economia italiana derivanti dall’accordo di libero scambio USA – Ue, giugno 2013. Portale dell’Unione europea: http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/ 2