NotaCSCNr.9 - Confindustria Avellino

NOTA DAL CSC Numero 12-9
25 agosto 2012
Numero 2012-9
NOTA DAL CSC
Crescita cinese più lenta, con nodi strutturali da sciogliere
Manuela Marianera
La locomotiva cinese rallenta, ma continuerà a essere la principale fonte di crescita per
l’economia mondiale e una fonte di opportunità di investimento e di mercato per le
imprese italiane. Il dragone sta entrando in una fase più matura di sviluppo e il suo ritmo di
espansione si abbassa fisiologicamente.
La crescita della Cina si basa su alcuni elementi di forza che ne impediscono il
deragliamento, tra cui: lo sviluppo delle aree interne del paese, che convergono verso i
livelli di PIL pro capite delle zone costiere, grazie alla loro maggiore competitività;
l’inarrestabile processo di urbanizzazione, esteso a tutto il paese, e il costante aumento
della produttività, determinante nel generare le risorse per i forti aumenti delle retribuzioni.
Vi sono però alcuni importanti nodi da sciogliere per mantenere l’economia su un sentiero
di crescita duratura. Anzitutto un riequilibrio delle componenti della domanda che porti
l’economia a fare maggior affidamento sui consumi delle famiglie e una riforma del
sistema bancario che favorisca la libera concorrenza tra imprese statali e non.
Le riforme, e in generale le politiche economiche, hanno un passo rallentato in questa fase
perché è in corso il decennale cambio di leadership. Per avere un’accelerazione occorrerà
attendere che i nuovi vertici si insedino e assumano il pieno controllo.
1. Le fonti della crescita cinese: go west policy, urbanizzazione e produttività
L’obiettivo minimo di avanzamento del PIL nel 2012, fissato da Pechino al 7,5%,
rappresenta l’incremento annuo più basso dal 1990 e inferiore al 10,2% medio conseguito
dal 2000 in poi (Grafico A). Ma pur così ridotta, la dinamica della Cina contribuirà
comunque a un terzo della crescita globale di quest’anno stimata dal Fondo monetario al
3,5%, grazie all’aumento del peso dell’economia cinese sul PIL mondiale (14,3% nel 2011;
era al 7,1% nel 2000).
1
NOTA DAL CSC Numero 12-9
La crescita dei prossimi anni verrà in
12
convergenza verso i livelli di PIL pro-
10
zone
8
costiere, le più sviluppate, come
6
fortemente
Governo
4
attraverso la go west policy. Il loro
2
sviluppo deriva dallo spostamento
0
voluto
dalle
dal
della produzione verso aree più
1990
raggiunti
processo
Fonte: elaborazioni CSC su dati NBS.
2010
2011
2012 H1
di
il
2007
2008
2009
continueranno
2004
2005
2006
14
2000
2001
2002
2003
regioni centrali e occidentali, che
1997
1998
1999
16
già
maggiore
1994
1995
1996
dalle
capite
sempre
1991
1992
1993
misura
Grafico A - La crescita cinese rallenta
(Pil reale, var. % annua)
competitive in termini di costo del
lavoro (Grafico B), secondo un meccanismo ben noto e osservato in passato. Le aree
interne del paese già da metà anni 2000 crescono più velocemente di quelle della costa e
il loro peso economico sta aumentando: a fine 2011 aveva raggiunto il 44% del PIL
nominale, dal 40% del 20051 (ultimi dati dell’istituto di Statistica cinese). Il ritmo medio
nazionale di crescita del PIL sarà più lento ma la varianza tra le province rimarrà elevata,
giacché molte di esse continueranno ad avanzare a ritmi a due cifre nei prossimi anni,
offrendo nuove opportunità alle imprese italiane, in termini di localizzazione della
produzione e di ampliamento dei mercati di sbocco.
Un’altra fondamentale e solida fonte di sviluppo nei prossimi anni, questa volta estesa a
tutto il paese, è l’inarrestabile processo di urbanizzazione: oltre dieci milioni di cinesi ogni
anno si spostano dalle campagne alle città, attivando nuova spesa in infrastrutture e
domanda di alloggi e contribuendo all’aumento del monte-salari e allo sviluppo della
classe media. Si stima che entro il 2020 vi saranno almeno 100 milioni di nuovi residenti
nei centri urbani, per un totale di 750 milioni e ciò porterà la popolazione a superare il
milione di abitanti in quasi 200 città2.
1
Per dettagli sulla crescita delle principali province cinesi si veda pag. 68 di Scenari Economici nr. 14,
giugno 2012. Per approfondimenti sulle loro caratteristiche economiche si veda Scenari Economici nr. 10,
dicembre 2010.
2
Stime China Monitor, Global Insight.
2
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Grafico B – Nelle province centrali il lavoro costa meno
(Salari minimi mensili nelle province cinesi, yuan 2011)
Fonte: elaborazioni CSC su dati NBS.
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NOTA DAL CSC Numero 12-9
Una terza importante fonte di crescita
continuerà
a
essere
Grafico C - La scalata della produttività cinese
(Produttività del lavoro, PIL reale su occupati;
indici, 2000=100)
costituita
300
dall’aumento della produttività: negli
280
ultimi quarant’anni la produttività del
260
per
i
forti
aumenti
arrestarsi
grazie
al
100
80
delle
retribuzioni e il processo non accenna
ad
120
2011
risorse
140
2010
stato determinante nel generare le
Italia
160
2009
annuo del 10,7% (Grafico C). Ciò è
180
2008
2011 dell’84%, a un tasso medio
USA
2007
cresciuta del 1.500% e dal 2005 al
200
2006
è
2005
occupati,
2004
e
2003
costanti
2002
prezzi
2001
a
Germania
220
2000
lavoro, calcolata come rapporto tra PIL
Cina
240
Fonte: elaborazioni CSC su dati NBS e Ocse.
continuo
spostamento della forza lavoro dall’agricoltura all’industria e al terziario e al
riposizionamento della manifattura verso settori a maggior valore aggiunto. L’aumento
delle retribuzioni alimenta il potere d’acquisto delle famiglie e i consumi.
2. I nodi irrisolti: riequilibrio delle componenti della domanda e riforma del settore
bancario
Tutto ciò non toglie che il modello di crescita cinese sia diventato inadeguato rispetto allo
stadio di sviluppo raggiunto dall’economia. Il paese deve affrontare una serie di nodi
strutturali che nel medio termine potrebbero minare la stabilità sociale, condizione
necessaria per la legittimazione del potere politico. Del resto tutti i paesi che navigano
verso la maturità economica sono soggetti a importanti fasi di transizione e di discontinuità
in cui le poste in gioco sono alte e gli aggiustamenti non indolori. È già successo negli anni
Sessanta in Giappone e nei Settanta in Corea del Sud, Taiwan e Hong Kong.
Un primo nodo da sciogliere è il riequilibrio della domanda interna tra consumi e
investimenti (Grafico D). I secondi sono stati negli ultimi anni il vero traino dell’economia
cinese: le spese per impianti, macchinari, edifici e infrastrutture hanno rappresentato il
46% del PIL nominale nel 2011, mentre le esportazioni, che nel 2006 avevano raggiunto il
picco del 39%, ora incidono molto meno (29% nel 2011). I consumi delle famiglie, che in
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teoria dovrebbero essere lo scopo ultimo dell’attività produttiva, contano soltanto per un
terzo del PIL.
Ciò non significa che la Cina non
Grafico D - Gli investimenti formano quasi la metà
del PIL cinese
(Pesi % sul PIL nominale)
abbia bisogno di fare più investimenti,
ma
che
economiche
140
dovrebbero spingere l’aumento dei
120
consumi
le
più
investimenti,
chiaramente
politiche
di
come
nelle
quello
già
degli
indicato
direttive
del
Importazioni
100
80
60
20
0
spesa per investimenti non risulta
-20
rispetto alla
mole dei
risparmi, che è elevatissima: 54% del
29
16
14
13
Esportazioni
35
40
46
Spesa pubblica
46
39
34
Investimenti
fissi lordi
-21
-32
-26
Consumi privati
2000
2005
2011
40
dodicesimo Piano quinquennale. La
squilibrata
23
37
-40
Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI.
PIL nel 2011. Inoltre la dotazione di beni capitali procapite è ancora molto bassa: pari a un
quarto di quella degli Stati Uniti, se calcolata a PPA. Ad esempio, nonostante il mercato
immobiliare traballi, perché i prezzi sono saliti molto e ci sono tante abitazioni invendute,
c’è un alto fabbisogno insoddisfatto di case: nel 2010 c’erano circa 150 milioni di alloggi
nei centri urbani, 85 milioni meno del numero di famiglie urbane residenti (ultimi dati
disponibili). D’altro canto, il peso dei consumi sul PIL è in calo da dieci anni, nonostante
essi siano aumentati in Cina più che in tutti gli altri principali paesi mondiali.
Bisogna considerare, però, che i consumi si adeguano alle variazioni del reddito con un
certo ritardo temporale; ciò perché le intenzioni di spesa si formano sulla base delle
abitudini che si sono radicate in passato, plasmate da una cultura contadina parsimoniosa,
con pochi bisogni da soddisfare e lenta da mutare, e sono dettate dalle attese ex-ante sul
livello futuro del reddito, attese che nelle fasi di forte sviluppo vengono sistematicamente
superate dalla crescita effettiva del reddito stesso e producono così un tasso di risparmio
involontariamente molto più elevato del programmato. Un fenomeno che si è già
osservato, per esempio, in Italia negli anni del boom economico. Quindi, così come la
crescita dei consumi è salita in passato più lentamente di quella dei redditi, generando a
posteriori un’elevata propensione al risparmio, allo stesso modo avverrà l’opposto negli
anni a venire. In conseguenza della minore crescita del PIL, l’aumento dei redditi frenerà
ma quello dei consumi molto meno, o affatto, e così il loro peso sul PIL aumenterà.
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NOTA DAL CSC Numero 12-9
Questa forma di aggiustamento da sola non è tuttavia sufficiente a ribilanciare le
componenti della domanda interna. Per favorire un sostanziale e stabile aumento dei
consumi è necessario continuare a rafforzare la rete di sicurezza sociale (sanità e
pensioni), le cui carenze accentuano le motivazioni previdenziali e precauzionali del
risparmio. Secondo la Banca mondiale, la Cina spende il 5,7% del PIL in reti di protezione
sociale, rispetto al 12,3% medio dei paesi emergenti nella stessa fascia di reddito pro
capite. Molti studi dimostrano che una maggiore spesa sociale favorirebbe i consumi,
diminuendo proprio l’elevato risparmio precauzionale: si stima che un aumento di un punto
percentuale della quota della spesa sociale sul PIL, diviso equamente tra sanità, istruzione
e pensioni, porterebbe a un aumento dell’incidenza dei consumi delle famiglie sul PIL di
1,25 punti percentuali3. Inoltre, secondo altri calcoli, nelle aree urbane ogni yuan
aggiuntivo speso dal Governo per la sanità pubblica libererebbe due yuan di spesa per
consumi4.
Un secondo nodo da sciogliere riguarda il sistema bancario. Le misure di stimolo
dell’economia per far fronte alla crisi hanno innescato un boom creditizio: dal 2008 al 2009
l’indebitamento del settore privato è balzato dal 103,7% del PIL al 127,2%, un aumento di
23,5 punti in un anno, attestandosi al 127,4% del PIL nel 2011 (fonte FMI; per la Cina,
questo dato include i prestiti alle imprese statali). Un salto così pronunciato e concentrato
nel tempo non è ripetibile e può causare squilibri finanziari. Tuttavia vi sono due grandi
peculiarità, rispetto agli altri paesi, che rendono il sistema bancario cinese più resistente,
paradossalmente per gli stessi motivi per cui risulta inefficiente: primo, la Cina può contare
su un elevatissimo numero di risparmiatori che non possono indirizzare altrove i propri
capitali, in termini sia di intermediari sia di paesi in cui investire (in ciò ricorda molto
l’autarchia finanziaria dell’Italia negli anni 70 e 80); secondo, nessun credito incagliato
diventa perdita se non se ne chiede il rimborso, quindi è poco probabile che lo Stato, che
possiede sia le banche creditrici sia le imprese pubbliche debitrici, inneschi tale
meccanismo.
Ciò non toglie che il sistema vada profondamente riformato, come più volte ribadito
dall’attuale leader politico, Wen Jabao. Il governo sta muovendo alcuni primi passi, ad
esempio introducendo una graduale liberalizzazione del tasso di interesse sui depositi
3
4
Si veda Emanuele Baldacci et al., FMI, 2010.
Si veda Steven Barnet e Ray Brooks, FMI, 2010.
6
NOTA DAL CSC Numero 12-9
bancari, attualmente vincolato a un determinato tetto. Se questo tetto fosse innalzato, le
piccole banche avrebbero più spazio per offrire condizioni migliori ai risparmiatori,
spiazzando in parte le grandi. In Cina, la ricerca di rendimenti più elevati ha spinto i
risparmiatori più abbienti a investire nei cosiddetti “prodotti di gestione della ricchezza”,
particolari strumenti di risparmio a breve termine che offrono una migliore remunerazione
del capitale; alla fine del primo trimestre 2010 (ultimi dati disponibili), questi prodotti
ammontavano a 10,4 trilioni di yuan, pari al 12% dei depositi. La loro recente
proliferazione (con il benestare della Banca centrale) sta di fatto anticipando la
liberalizzazione dei tassi di interesse.
Le riforme, e in generale le politiche economiche, hanno un passo rallentato in questa fase
perché è in corso il decennale cambio di leadership. Per avere un’accelerazione occorrerà
attendere che i nuovi vertici si insedino e assumano il pieno controllo.
Sarà fondamentale nei prossimi mesi osservare i segnali, anche deboli, provenienti sia
dall’economia sia dalla politica. Per esempio, a fine maggio ha destato sospetto la perdita
di valore del renminbi rispetto al dollaro, probabilmente causata da un deflusso di capitali.
Per ora il processo di indebolimento del cambio si è arrestato ma resta da monitorare.
Importanti sono state, come detto sopra, anche le ripetute dichiarazioni dell’attuale leader,
Wen Jabao, sulla necessità di riformare il sistema bancario; l’arduo compito sarà lasciato
alla prossima leadership, la sesta in ordine temporale. Inoltre, in maggio il governo ha
annunciato un pacchetto di stimoli fiscali che ha le stesse caratteristiche di quello del
2009-10, ma è di ammontare molto più contenuto, e altre misure di sostegno ai consumi
sono in agenda5. Infine, dallo scorso giugno i tassi di interesse stati ridotti per due volte e
la Banca centrale ha adottato varie misure espansive per iniettare liquidità nel sistema.
Questi ultimi tre elementi rappresentano una conferma che il governo è consapevole che
l’unica strada per preservare la stabilità sociale è mantenere cospicua la crescita
economica e migliorare le condizioni di vita, non solo materiali, di gran parte della
popolazione.
Ciò detto, la Cina resta una vitale fonte di crescita globale e la sua rilevanza internazionale
è destinata ad aumentare. Oltre a essere primo esportatore mondiale (10,4% dell’export
globale nel 2011) e prima potenza industriale (21,7% della produzione mondiale) è anche
5
Per ulteriori dettagli su queste misure si veda pag. 67 di Scenari Economici nr. 14, giugno 2012.
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un importantissimo investitore. Il dragone sta scalando la classifica dei paesi che
generano i maggiori flussi di IDE in uscita, salendo nel 2010 al quarto posto (5,1% degli
investimenti diretti esteri mondiali). Gli IDE realizzati dalle imprese cinesi sono in costante
crescita, dai 10,2 miliardi di dollari nel 2005 ai 72,7 nel 2011, e sono per lo più indirizzati in
settori di enorme rilevanza strategica per l’approvvigionamento energetico e di materie
prime6.
6
Per ulteriori dettagli sul ruolo della Cina come investitore internazionale e sui principali settori di
investimento si veda la Nota dal CSC nr. 2, La Cina vince in due mosse nel risiko delle materie
prime per l’industria, Ciro Rapacciuolo, giugno 2012.
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