Quali rischi per un’etica senza Dio?
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15 febbraio, 2012
«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Giovanni Botta, dottore di ricerca in
Filosofia all’università cattolica di Milano. Diplomatosi al Conservatorio “S. Pietro a Majella” di
Napoli, laureatosi in Estetica musicale all’Università Cattolica di Milano con il Prof. Roberto
Diodato, è stato docente presso il Conservatorio “U. Giordano” di Foggia ed è Direttore
editoriale della Rivista di Filosofia ed estetica
“Studium Veritatis”
, dove si occupa principalmente del rapporto tra il logos estetico musicale e la rivelazione
cristiana»
di Giovanni Botta*
*dottore di ricerca in Filosofia
«Secolarizzazione e bioetica» è il tema della relazione che il filosofo americano Tristram H.
Engelhardt
,
uno dei più importanti bioeticisti del mondo, direttore del
Journal of Medicine and Philosophy
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,
ha tenuto
a Torino. L’intervento del filosofo ha portato alla ribalta un tema naturalmente complesso ma
decisivo per la nostra salvezza e la nostra sopravvivenza. La domanda potrebbe essere
formulata in questo modo:
possiamo avere un’etica senza Dio e senza un fondamento assoluto?
Per il filosofo in questione, tutte le etiche che prescindono da un fondamento assoluto e
incontrovertibile come quello del Dio rivelato, ad esempio, diventano solo delle mere narrative
contingenti storicamente e culturalmente condizionate ma la questione è assai complessa. La
risposta a prima vista per noi credenti, semplice e immediata, diventa inaccettabile per i nostri
tempi. Ma perche? Possiamo solamente tratteggiare appena alcune linee essenziali della
contemporaneità, la prima delle quali è definibile linea del
Dispotismo del Desiderio
e del
Dispotismo dell’individualismo
.
Tramontate tutte le ideologie, le verità forti e le grandi narrazioni, assistiamo da alcuni decenni
alla elefantiasi del soggetto e delle sue pretese al godimento continuo, e ad una estetizzazione
diffusa della sua esistenza che prescinde da qualsiasi eteronomia e da qualsiasi tradizione
veritativa o storica. Il soggetto consuma in solitudine l’affrancamento totale e irreversibile da un
plesso fino a poco fa indisgiungibile tra la realizzazione della propia esistenza e le norme da
seguire per raggiungerla. Il soggetto postmoderno ha fagocitato qualsiasi legge morale
trasmessa dalla tradizione dei nostri padri e
si è liberato
dal Dovere e da costrizioni esterne. Libero da e libero di, il soggetto si muove ora nella
completa anarchia
in una situazione di anomia da un lato e di distopismo dall’altro, libero solo di seguire le propie
mozioni endogene, mancanza di legge e di utopia o di semplice futuro inteso come il luogo della
propria emancipazione progettuale, e quindi libero anche da qualsiasi escatologia secolare o
religiosa. L’uomo (se ancora di umano si puo parlare) è in balia del
potere libidico
e distruttivo del desiderio impazzito che consuma se stesso fino all’autodistruzione, il soggetto
consuma nella sua voracità la fine del legame etico ed intersoggettivo. Senza un’etica
condivisa, tuttavia, non c’è piu spazio per la comunità
come luogo dell’accadere dell’incontro
, esiste solo da un lato il vissuto desiderante anarcoide e dall’altro il diritto positivo che serve
solo a regolamentare e disciplinare, ma solo nei limiti appena consentiti, la sua possibile
degenerazione. I freni regolatori consistono non piu in norme morali religiose o laiche ma solo
nella
paura dell’infrazione
e della relativa pena…
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Ma, per concludere questa piccola analisi fenomenologica ed eziologica, cosa vediamo nella
società
dei diritti che
ha destituito e detronizzato il diritto inteso come
ius
, come espressione di leggi non scritte ma sentite e vissute nella loro connaturalità paticamente
vissuta? La società che ha rinunciato allo
ius
(preso nella sua singolarità), che è a sua volta la base dello
iustum
, dell’uomo giusto, ha rinunciato anche allo
iussum
comandato come comandamento; è una società in preda all’
angoscia
più profonda, alla
disperazione
più totale. E’ una società liquida che ha rinunciato alla tradizione e a Dio, e si ritrova
sola e consumata
dal suo stesso desiderio impazzito. L’uomo non può vivere da solo,
ha bisogno
di Dio e della trascendenza. Dobbiamo solo noi, credenti, resistere saldi e comunicare la
dolcezza del nesso tra
libertà e obbedienza
, tra
dovere morale e felicità
. Kant intuì nella postulazione del concetto di Dio, anima e libertà, la necessità per l’etica di un
principio assoluto
che giustifica il bene e il dovere ottemperato e la sua futura gratificazione. Dobbiamo
rappresentare per le etiche particolari, frutto di culture contingenti ed effimere, il fondamento
certo e inamovibile della nostra stessa vita, la Verità è per noi cristiani non una cosa, non
un’ideologia, non una mera corrispondenza del concetto, ma qualcosa che
rimane a dispetto di tutto ciò che cambia
, un’esperienza che fonda e libera l’uomo dall’angoscia della sua solitudine. L’uomo non è “una
passione inutile” come voleva
Sartre
, ma è un dono di Dio che si trova immerso nel mondo a sua volta donato. La verità dell’etica
cristiana non può essere fondata, ma
fonda essa stessa
anteriormente la nostra coscienza etica e può solo essere
comunicata nella testimonianza diretta
come comunicava per noi Cristo con la sua prossimità. Vivere la fede significa
rendere tangibile e operosa
la nostra etica.
Oggi non possiamo più eludere questa scelta tra l’imperialismo del desiderio distruttivo,
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effimero, nichilista, teso alla soddisfazione e all’appagamento continuo nell’istante, e la scelta
etica come rispetto di leggi immutabili che conducono l’uomo verso il prossimo. Vivere
eticamente è primariamente vivere in una logica opposta a quella del mondo (pensiamo
alla cristologia giovannea:
“chi è del mondo non è di Dio”
), laddove la forza, la violenza, il desiderio di potenza e le verità deboli o il non senso, trionfano.
L’etica semina con il suo altruismo, la sua compassione, il suo amore per gli ultimi, la sua carità,
la sua fede e la dolcezza della verità che permane….dobbiamo essere il sale del mondo,
solo
ancorarsi a Dio
può rendere l’etica capace di
umanizzare
lo scenario tragico della
contemporaneità
. Dobbiamo proporre al mondo di elaborare etiche
capaci di fare i conti con Dio e spingerlo a impegnarsi nella necessaria traduzione simbolica del
contenuto della religione…perché solo un’etica che fa i conti con Dio
può veramente salvare l’uomo in deriva da se stesso
.
Tratto da: http://www.uccronline.it/2012/02/15/quali-rischi-per-unetica-senza-dio-commento-a-e
ngelhardt/
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