Per una lettura cristologica e trinitaria
del «subsistit» in ecclesiologia eicumenica
Un confronto tra J. Ratzinger e E. Jüngel
Una delle parole che ha contrassegnato maggiormente la storia dell‟elaborazione
dei testi del Concilio Vaticano II e la loro successiva interpretazione è stato il termine
«subsistit in» che troviamo presente nella costituzione dogmatica Lumen Gentium (=
LG) al n. 8 e nel decreto sull‟Ecumenismo Unitatis Redintegratio (= UR) ai nn 4 e 13,
in cui si afferma che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, e infine nella
dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae al n. 1, in cui si afferma che
«questa unica vera religione sussiste nella Chiesa cattolica e apostolica»1. Senza
voler ripercorre tutta la storia di questo termine ed analizzare in maniera dettagliata le
ragioni della sua introduzione, in questo contributo vorremmo richiamare invece la
recente discussione sul tipo di lettura che si è dato al «subsistit», specialmente in
ecclesiologia ecumenica.
Confronteremo innanzi tutto due posizioni, quella del cardinale Joseph
Ratzinger e quella del teologo luterano Eberhard Jüngel. In un secondo momento
faremo riferimento alla dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la
dottrina della fede, per individuare quale lettura questo documento offre del
«subsistit» e farne vedere anche i limiti in sede ecumenica2. Nel terzo momento
cercheremo di coniugare le due letture proposte , quella cristologica e trinitaria, per
offrire un‟interpretazione trinitaria nel senso economico e non immanente del
«subsistit».
1. Lettura del «subsistit» nel pensiero del card. Joseph Ratzinger e nel teologo
luterano Eberhard Jüngel
Presentiamo brevemente la posizione del card. Ratzinger così come è delineata
in un‟intervista pubblicata originariamente su Frankfurter Allgemeine Zeitung e poi
in traduzione italiana sull‟Osservatore Romano3. Pio XII aveva dichiarato nella sua
1
Cf CONCILIO VATICANO II, Documenti ufficiali del Concilio Vaticano II 1962-1965, in Enchridion
Vaticanum, vol. 1, EDB, Bologna 1981. Secondo il Presidente del Pontificio Consiglio per l‟Unità
dei Cristiani, card. Walter Kasper, «l‟esatta interpretazione del subsistit è ancora un compito da
svolgere. In questo contesto dobbiamo lasciare aperta la questione se il subsistit vada inteso nel
senso del concetto aristotelico-scolastico di hypostasis/subsistentia o non piuttosto in un senso più
generale, allo scopo, in sostituzione dell‟est, di fare spazio a Chiese e Comunità ecclesiali che sono
al di fuori della struttura della Chiesa cattolica» (W. KASPER, «L‟unica Chiesa di Cristo. Situazione
e futuro dell‟ecumenismo», in Il Regno-attualità, 46 (2001), 127-135, ivi 129).
2
Cf CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dominus Iesus. L’unicità e l’universalità
salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, EDB, Bologna 2000.
3
Cf Frankfurter Allgemeine Zeitung Nr. 221, Venerdì, 22.09.2000, pp.51s e ripubblicata poi in J.
RATZINGER, «“Es scheint mir absurd, was unsere lutherischen Freunde jetzt wollen” - Die Pluralität
der Bekenntnisse relativiert nicht den Anspruch des Wahren: Joseph Kardinal Ratzinger antwortet
seinen Kritikern», in M.J. RAINER (RED.), “Dominus Iesus”. Anstößige Wahrheit oder anstößige
1
enciclica Mystici Corporis che la Chiesa romana cattolica «è» l‟unica Chiesa di Gesù
Cristo; in tal modo si esprimeva una totale identificazione, per cui non rimaneva nulla
della Chiesa al di fuori della Chiesa Cattolica. Secondo Ratzinger questo non
corrisponde all‟indiscussa dottrina cattolica, condivisa anche da Pio XII, secondo cui
le Chiese locali della Chiesa d‟Oriente, separate da Roma, sono vere Chiese locali.
Solo per quanto riguarda le Comunità ecclesiali sorte con la Riforma del XVI secolo
si può affermare che si sono costituite diversamente «ma anche lì “avviene la
Chiesa”, se così si può dire»4.
La Chiesa di Cristo, però, non è la somma di molte Chiese. Sia la Chiesa
cattolica sia la Chiesa ortodossa sono convinte che una simile concezione di Chiesa
non si accorda con la promessa di Cristo. C‟è veramente la Chiesa di Cristo e non ci
sono solo dei pezzetti. Con la parola «subsistit in» il Concilio Vaticano II voleva
affermare due importanti elementi:
* che questa Chiesa di Cristo esiste veramente ed è data nella storia: il Signore ne
garantisce l‟esistenza nonostante e contro il nostro peccato;
* che al di fuori della Chiesa Cattolica c‟è realtà ecclesiale: questa apparente
contraddizione spinge alla ricerca dell‟unità. Il termine «subsistit» è una modalità
dell‟«est». Quando si afferma che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa Cattolica, si
vuole dire che la Chiesa di Cristo è presente propriamente in essa e trova in essa il suo
proprio soggetto. Ciò non esclude che impropriamente trovi anche altrove una “certa
presenza”.
Nel suo intervento durante il Simposio sul Vaticano II il card. Ratzinger ha
esplicitato ulteriormente la lettura cristologica del «subsistere». Tale termine è usato
nei Concili per parlare dell‟unione ipostatica: come Gesù sussiste nel Verbo come
tale e c‟è solo una sola sussistenza del Logos, così c‟è solo una sussistenza ecclesiale
della Chiesa di Cristo. «La parola subsistit deriva dall‟antica filosofia ulteriormente
sviluppatasi nella scolastica. Ad essa corrisponde la parola greca hypostasis, che nella
cristologia ha un ruolo centrale, per descrivere l‟unione di natura divina ed umana
nella persona di Cristo. “Subsistere” è un caso speciale di “esse”. È l‟essere nella
forma di un soggetto a se stante. Qui si tratta proprio di questo. Il Concilio vuol dirci
che la Chiesa di Gesù Cristo come soggetto concreto in questo mondo può essere
incontrata nella Chiesa cattolica. Ciò può avvenire solo una volta e la concezione
secondo cui il subsistit sarebbe da moltiplicare non coglie proprio ciò che si
intendeva dire. Con la parola subsistit il Concilio voleva esprimere la singolarità e la
non moltiplicabilità della Chiesa cattolica: esiste la Chiesa come soggetto nella realtà
storica»5.
Kirche?, Lit Verlag Münster 2001, 29-45; J. RATZINGER, «Sulle principali obiezioni sollevate
contro la Dichiarazione “Dominus Iesus”», in Oss. Rom., 8 ottobre 2000, 4.
4
Traduzione nostra dall‟originale: «[...] aber dort “ereignet sich Kirche”, um es einmal so
auszudrücken» (Cf J. RATZINGER, «“Es scheint mir absurd, was unsere lutherischen Freunde jetzt
wollen”», cit., 33)
5
ID., «L‟ecclesiologia della costituzione Lumen Gentium», in Nuova Umanità, 22 (2000), 383-407,
ivi 402-403.
2
Alla possibilità di leggere il «subsistit» in chiave trinitaria, così come fa
Eberhard Jüngel, Ratzinger obietta che la traduzione latina del termine greco
hypostasis è persona e non subsistentia. Il termine «sussistere» non è adatto, perciò,
per esprimere l‟unità e la differenza intratrinitarie6. Inoltre trasportare il linguaggio
trinitario in ecclesiologia senza le dovute riserve rischia di condurci ad una fede
triteista e a rinnegare il monoteismo trinitario. Infine, alle palesi contraddizioni tra le
Chiese e le Comunità ecclesiali non possono corrispondere le distinzioni
intratrinitarie.
A queste obiezioni Eberhard Jüngel7 replica che l‟uso del «subsistit» nel
Concilio Vaticano II non voleva avere un significato esclusivo, cioè che la Chiesa di
Cristo sussiste solo ed esclusivamente nella Chiesa Cattolica, ma che con tale
formulazione il Concilio voleva esprimere che nonostante le divisioni della
Cristianità la Chiesa di Cristo continua ad esistere nella Chiesa cattolica e che anche
al di fuori dei suoi confini visibili si possono trovare elementi di ecclesialità. Inoltre
l‟uso filosofico della parola latina «subsistere» significa innanzi tutto: realizzare,
esserci realmente e concretamente. Per esempio: l‟umanità sussiste in tutto ciò che è
umano, la divinità sussiste nelle persone trinitarie. Il Concilio Vaticano II non ha
ristretto l‟uso del «subsistere» come fa il documento della Congregazione per la
Dottrina della fede Dominus Iesus al n. 16 nella nota 108, ma lo ha lasciato aperto,
cioè possibile che sia interpretato come la sussistenza della Chiesa di Cristo anche in
altre realtà ecclesiali.
Questa restrizione semantica del termine, ribadisce Jüngel non corrisponde all‟uso
dogmatico del termine «subsistere» in teologia trinitaria, secondo cui l‟unica essenza
di Dio sussiste non solo in una ma in tre diverse persone: nella persona del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo. Le tre persone possono essere identificate come tre modi
di sussistenza o di esistenza individuali dell‟unica essenza divina. Benché Dio
sussista in tre persone distinte, non per questo è diviso in se stesso ma costituisce una
comunità di reciproco essere-altro. Allora, si domanda Jüngel, non si potrebbe
comprendere il mistero dell‟unità della Chiesa alla luce dell‟unità che vige all‟interno
della Trinità, dato che la Chiesa rappresenta nel mondo il mysterium trinitatis?
6
ID., «“Es scheint mir absurd, was unsere lutherischen Freunde jetzt wollen”», cit., 34.
La posizione di Eberhar Jüngel è presentata in: E. JÜNGEL, «Quo vadis ecclesia? Kritische
Bemerkungen zu zwei neuen Texten der römischen Kongregation für die Glaubenslehre»,in M.J.
RAINER (RED.), “Dominus Iesus”. Anstößige Wahrheit oder anstößige Kirche?, Lit Verlag Münster
2001, 59-67; ID., «Paradoxe Ökumene», in M.J. RAINER (RED.), “Dominus Iesus”. Anstößige
Wahrheit oder anstößige Kirche?, Lit Verlag Münster 2001, 68-78; ID., «Credo in ecclesiam. Eine
ökumenische Besinnung», in ZthK, 99(2002), 177-195.
8
«È perciò contraria al significato autentico del testo conciliare l‟interpretazione di coloro che dalla
formula subsistit in ricavano la tesi secondo la quale l‟unica Chiesa di Cristo potrebbe pure
sussistere in Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche. “Il Concilio aveva invece scelto la parola
„subsistit‟ proprio per chiarire che esiste una sola „sussistenza‟ della vera Chiesa, mentre fuori della
sua compagine visibile esistono solo „elementa Ecclesiae‟, che - essendo elementi della stessa
Chiesa - tendono e conducono verso la Chiesa Cattolica” (Congr. per la Dottrina della Fede,
«Notificazione sul volume Chiesa: carisma e potere del P. Leonardo Boff», in AAS 77 [1985] 756762).
7
3
In particolare alle obiezione che Ratzinger sollevava alla possibile
corrispondenza tra dottrina trinitaria ed ecclesiologia, il teologo luterano di Tubinga
risponde che il Sinodo Romano del 27 marzo 680 in riferimento alla Trinità parla
esplicitamente sia di «persone» che di «sussistenze». «Trinitatem in unitate, et
unitatem in Trinitate, unitatem quidem essentiae, Trinitatem vero personarum sive
subsistentiarum» (DH 546)9. Per quanto riguarda l‟accusa di triteismo bisogna
replicare che l‟unità del Dio trinitario deve essere compresa in maniera relazionale
come una comunità ricca di relazioni di reciproco esser-altro (alius-alius-alius). Al
rischio di voler proiettare contraddizioni ecclesiologiche all‟interno dell‟unità
trinitaria, Jüngel replica che in Dio non si dà solo corrispondenza tra le persone, ma si
dà anche una massima contraddizione tra vita e morte, tra Dio e peccato, cosicché
l‟unità in Dio va compresa non solo come massima unità ma come quell‟unità sempre
maggiore in una pur grande opposizione. Questo modo di concepire l‟unità trinitaria
può offrirsi come analogia per l‟unità della Chiesa10.
Infatti l‟unità della Chiesa deve essere compresa nella sua unicità, così come Dio è
uno e non ve ne sono altri, benché in Dio ci sia differenza di sussistenze: Padre,
Figlio e Spirito Santo. L‟unicità della Chiesa è appunto identità nella differenza che si
manifesta a vari livelli: tra i differenti membri nell‟unico Corpo di Cristo; nella
differenza tra Chiesa visibile e Chiesa invisibile; della differenza tra ecclesia militans
e ecclesia triumphans; tra le differenti e separate comunità; tra giudeo cristiani ed
etnico-cristiani. All‟interno di queste differenze e tensioni «sussiste» l‟unica Chiesa
di Cristo.
2. La lettura cristologica del «subsistit» nella dichiarazione Dominus Iesus.
Nella recente discussione sull‟interpretazione del «subsistit» si è fatto
riferimento alla dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede
Dominus Iesus. Per comprendere meglio l‟interpretazione che questo documento fa
del nostro termine è necessario prendere in esame la struttura di tutto il testo della
dichiarazione. Il documento è suddiviso in due parti: i capp.1-3 trattano dell‟aspetto
cristologico, in particolare si riafferma la rivelazione definitiva e l‟unicità di Gesù
Cristo contro le posizioni del pluralismo e del relativismo teologico. La seconda parte
della dichiarazione, i restanti tre capp. 4-6 si analizza l‟aspetto ecclesiologico, cioè la
questione dell‟unicità e dell‟unità della Chiesa. Alcuni autorevoli autori hanno voluto
distinguere se non del tutto separare queste due parti del documento, affermando che
si pongono fra loro in maniera accidentale ed esteriore11. Mentre la prima parte è
stata recepita in modo positivo dalle Chiese, la seconda parte sarebbe stata
aspramente criticata e vista dalle altre Chiese come un rifiuto di tutto il dialogo
ecumenico degli ultimi trent‟anni. Queste critiche, tuttavia, non dovrebbero influire
9
H. DENZINGER, Enchriridion Symbolorum. Definitionum et declarationum de rebus fidei et
morum, a cura di P. Hünermann, EDB, edizioni bilingue, Bologna 1995
10
Cf E. JÜNGEL, «Paradoxe Ökumene», 77.
11
Cf la maggior parte degli interventi contenuti in M.J. RAINER (RED.), “Dominus Iesus”.
Anstößige Wahrheit oder anstößige Kirche?.
4
sulla comprensione della logica interna e sull‟interpretazione da dare alla
dichiarazione.
Il fulcro intorno al quale ruota tutta il documento è dato dal nostro termine
«subsistit». La Dominus Iesus è indirizzata agli esponenti della teologia del
pluralismo religioso. L‟argomento cristologico fondamentale della prima parte di
questo documento sottolinea l‟identità reale tra il Verbo di Dio preesistente o il Logos
asarkòs e il Verbo incarnato o il Logos ensarkòs (cf n.10). Contro coloro che
vogliono distinguere un‟attività salvifica del Logos come tale nella sua divinità e
un‟attività salvifica del Logos incarnato, affermando che la prima eccede la seconda,
il documento risponde che c‟è un‟assoluta corrispondenza tra l‟attività salvifica del
Logos come tale nella sua divinità e l‟attività del Verbo fatto carne in Gesù Cristo. La
divinità del Logos come tale non può essere compresa come un‟aggiunta o qualcosa
che eccede Gesù di Nazaret. La Parola divina che è infinita e assoluta si rivela
all‟umanità in molti modi, ma solamente ed esclusivamente in Gesù di Nazaret
questa Parola sussiste. Infatti una sola è la sussistenza del Verbo di Dio. L‟unicità di
Gesù Cristo non esclude, tuttavia, mediazioni partecipate che hanno origine e
principio in quella stessa mediazione. Richiamando sia il n. 62 della Lumen Gentium
che il n. 5 dell‟enciclica Redemptoris Missio, il documento della Congregazione per
la Dottrina della Fede non esclude che le varie religioni possano essere comprese
come varie forme di mediazioni di differente tipo e grado (cf n.14). Come cattolici
parliamo di Maria (ed anche dei santi in cielo) come co-mediatori e co-redentori
senza diminuire l‟unicità di Cristo ma esprimendo così la grazia abbondante
dell‟unico evento di salvezza.
Nella seconda parte del documento (capp. 4-6) si affronta la questione
ecclesiologica e in particolare ai nn. 16-17 il tema del «subsistit»12. Esiste infatti un
significativo parallelo tra il «subsistit», sottinteso nella parte cristologica, e la
questione del «subsistit» nella parte ecclesiologica. In questa analogia possiamo
individuare la forza e la debolezza della dichiarazione Dominus Iesus. La forza
consiste nella fondazione cristologica dell‟unità e unicità della Chiesa di Cristo: un
Salvatore - una Chiesa. La salvezza cristiana non è offerta puramente da una Chiesa
universale ed invisibile, ma come Dio si è fatto visibile nella vita di Gesù, così la
salvezza cristiana s‟incarna nella storia in relazioni umane e concrete, mediata da
un‟istituzione sociale: questa Chiesa. Come la kénosi del Logos ha accettato i limiti e
i confini di una storia umana - Gesù di Nazaret che morì sotto Ponzio Pilato -, così la
kénosi di questo Verbo incarnato continua ad accettare i limiti visibili di una
comunità umana. «Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come
società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai
vescovi in comunione con lui» (LG n.8). La debolezza del documento, invece,
consiste nel non aver sviluppato l‟analogia che soggiace all‟intera dichiarazione, tra
12
Ricordiamo che la Lumen Gentium al n. 8 aveva precisato che tra la Parola incarnata e la Chiesa
esiste una non debole analogia (non mediocrem analogiam). Nel suo commento al primo capitolo
della Lumen Genitum il teologo gesuita Alois Grillmeier nel Lexikon für Theologie und Kirche cita
l‟enciclica Satis cognitum di Leone XIII. Questo testo pone un‟analogia tra l‟incarnazione e la
Chiesa: come il Verbo di Dio si rapporta alla natura umana, così lo Spirito di Cristo si rapporta alla
Chiesa nel senso di istituzione.
5
la parte cristologica e quella ecclesiologica. Il «subsistit» ecclesiologico non è la
continuazione di quello cristologico ma in una pur grande continuità ed identità tra le
due dimensioni, bisogna affermare un‟ancora maggiore differenza e discontinuità. È
necessario far emergere questi elementi di dissomiglianza.
Nella parte cristologica del documento si dichiara che è contrario alla fede
cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo, e che Gesù
Cristo non è altro che Gesù di Nazaret: il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di
tutti. «Pertanto non è compatibile con la dottrina della Chiesa la teoria che attribuisce
un‟attività salvifica al Logos come tale nella sua divinità, che si eserciterebbe “oltre”
e “al di là” dell‟umanità di Cristo, anche dopo l'incarnazione» (n. 10). La
Commissione Teologica Internazionale in un documento Il cristianesimo e le
religioni aveva individuato nella teologia del pluralismo religioso una certa tendenza
di concepire Gesù Cristo non come unico ed esclusivo mediatore di salvezza13.
«Soltanto per i cristiani egli è la forma umana di Dio, che adeguatamente rende
possibile l‟incontro dell'uomo con Dio, benché non in modo esclusivo. È “totus
Deus”, poiché è l‟amore attivo di Dio su questa terra, ma non è “totum Dei”, poiché
non esaurisce in sé l‟amore di Dio. Potremmo anche dire: “totum Verbum, sed non
totum Verbi”. Il “Logos”, che è più grande di Gesù, può incarnarsi anche nei
fondatori di altre religioni. Questa stessa problematica ritorna quando si afferma che
Gesù è il Cristo, ma il Cristo è più che Gesù. Questo facilita molto
l‟universalizzazione dell‟azione del “Logos” nelle religioni; ma i testi
neotestamentari non concepiscono il “Logos” di Dio prescindendo da Gesù» (nn. 2122).
Per gli esponenti del pluralismo religioso tra questo Gesù di Nazaret e il Verbo o
il Cristo c‟è solamente una relazione univoca. È giusto affermare che tutto quello che
si riferisce a Gesù appartiene a Cristo, poiché tra Gesù di Nazaret e il Cristo (o
Logos) c‟è una relazione univoca, ma non si può dire che tutto il Cristo (o Logos)
appartenga a Gesù. Tra Cristo e Gesù non c‟è reciprocità. Il Cristo eccede pur sempre
Gesù di Nazaret, per cui Gesù Cristo è mediatore di salvezza non in quanto questo
Gesù ma in quanto Cristo. Per questo motivo non si escludono altri mediatori accanto
a Gesù. La Commissione Teologica Internazionale nel suo documento del 1997 e in
seguito la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus
Iesus hanno rifiutato tale concezione, respingendo qualsiasi distinzione tra il totum
Verbum o totus Christus e il totum Verbi o totum Christi. Tra questo Gesù di Nazaret
e il Cristo (Logos) c‟è un‟identità non solo formale ma materiale e dunque non si può
solo affermare che Gesù è il Verbo, e Gesù è il Cristo, ma che tutto ciò che è il Verbo
e il Cristo sono questo Gesù. Come sottolinea chiaramente Y. Congar nel suo saggio
Jésus-Christ notre Médiateur - notre Seigneur l‟affermazione più sorprendente non è
tanto che Gesù Cristo sia Dio, ma che Dio sia Gesù Cristo14. Questo Gesù è l‟unico
mediatore, in lui si concentra tutta la salvezza di Dio; altre mediazioni sono possibili
in quanto radicate ed originate dal Verbo incarnato. Gesù non è solo totus Christus e
13
Cf COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Il cristianesimo e le religioni, Paoline, Milano
1997.
14
Y. CONGAR, Jésus-Christ notre Médiateur notre Seigneur, Les Editions du Cerf, Paris 1965, 28.
6
totum Verbum ma anzitutto totum Christi e totum Verbi. Citando il n. 5 dell‟enciclica
Redemptoris missio la dichiarazione afferma che «se non sono escluse mediazioni
partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore
unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e
complementari».
Se l‟unicità della mediazione di Gesù Cristo non esclude che vi siano altri
mediatori, purché siano partecipazione dell‟unica mediazione di Gesù Cristo,
l‟unicità della Chiesa Cattolica a sua volta non esclude che vi possano essere vari e
diversi gradi di partecipazione della Chiesa di Cristo. Nella parte ecclesiologica della
dichiarazione non si è fatta emergere questa fondamentale continuità con la parte
cristologica. Il documento Dominus Iesus avrebbe potuto riprendere il modello
adottato dalla Lumen Gentium ai nn 14-16, che stabilisce la possibilità di una
graduale appartenenza alla Chiesa cattolica e sostiene una differente e graduale
presenza della Chiesa di Cristo. Vi sono Chiese e Comunità ecclesiali che senza
appartenere ai confini visibili della Chiesa cattolica sono riconosciute come strumenti
di salvezza e quindi mediazioni salvifiche, la cui fonte ed origine non è tanto la
Chiesa cattolica ma la Chiesa di Cristo che è il mezzo generale della salvezza, da cui
«si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza» (Unitatis Redintegratio n.3).
Ricordiamo che la costituzione dogmatica Lumen Gentium parla della Chiesa come
«segno e strumento dell‟intima unione con Dio» (n. 1). Riconoscere che lo Spirito di
Cristo «non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza» (UR n.3)
significa accettare che in queste Chiese e Comunità ecclesiali «avviene la Chiesa»
come ha affermato il card. Ratzinger15.
Abbiamo a questo punto la discontinuità tra la parte cristologica e quella
ecclesiologica della dichiarazione Dominus Iesus. Mentre nella dimensione
cristologica non è data mediazione salvifica «oltre» o «al di là» del Verbo incarnato,
nella dimensione ecclesiologica si dà mediazione salvifica «oltre» o «al di là» della
Chiesa cattolica. Questo è il punto essenziale in cui si differenziano la cristologia e
l‟ecclesiologia del «subsistit», e si rende evidente come tra il mistero della Chiesa e il
mistero di Cristo non c‟è perfetta corrispondenza. Fuori dai confini visibili della
Chiesa cattolica, quindi «oltre» e «al di là» della Chiesa cattolica, vi sono parecchi ed
eccellenti beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata: «la
parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni
interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili. Tutte queste cose, le quali
provengono da Cristo e a lui conducono, appartengono a buon diritto all‟unica Chiesa
di Cristo» (UR n.3).
Mentre nella prospettiva cristologica si deve evitare ogni distinzione tra il totum
Verbum o totus Christus e il totum Verbi o totum Christi, nella prospettiva
ecclesiologica è necessario affermare che la Chiesa cattolica è pienamente e
totalmente la Chiesa di Cristo: ecclesia catholica est tota ecclesia. La Chiesa cattolica
si comprende come formalmente identica (subsistit in) con la Chiesa di Cristo, poiché
in essa è data la pienezza e la totalità dei mezzi di salvezza. Proprio a motivo di
questa formale identità tra Chiesa cattolica e Chiesa di Cristo è possibile che ci sia
15
Cf nota 4.
7
solo un‟unica sussistenza della Chiesa di Cristo, come afferma la Congregazione per
la Dottrina della Fede nella Notificazione dell‟11 marzo 1985 al volume Chiesa:
Carisma e potere. Saggio di Ecclesiologia militante del P. Leonardo Boff. Tuttavia la
Chiesa di Cristo non si esaurisce nei confini visibili ed istituzionali della Chiesa
cattolica. «La Chiesa di Cristo è una comunione reale che si realizza a gradi diversi
di densità o di pienezza, di corpi che hanno tutti, sebbene alcuni più pienamente degli
altri, un vero carattere ecclesiale»16. La Relazione che spiega l‟uso dei termini
presenti nel decreto sull‟Ecumenismo Unitatis Redintegratio n.22 afferma che «in
queste comunità l‟unica Chiesa di Cristo è presente, sebbene imperfettamente, in un
modo che è alquanto simile alla sua presenza nelle Chiese particolari e in esse la
Chiesa di Cristo è in qualche modo operante attraverso i mezzi dei loro elementi
ecclesiali»17.
Se vi sono elementa ecclesiae «oltre» e «al di là» della Chiesa cattolica,
dobbiamo riconoscere che ecclesia catholica non est totum ecclesiae. In questa
distinzione si dà ragione dell‟introduzione del «subsistit» al posto di «est»18. I Padri
conciliari hanno capito che al di fuori della pienezza e totalità della Chiesa cattolica
(tota ecclesia) esiste una realtà ancor più fondamentale che è la Chiesa di Cristo
(totum ecclesiae). «Il “subsistit” va quindi compreso come un‟indebolimento della
pretesa esclusiva legata alla precedente copula “est”, che la Chiesa cattolica aveva di
voler essere identica alla Chiesa di Cristo, poiché ha la funzione di mettere in luce
l‟esistenza di elementi ecclesiali al di fuori della Chiesa cattolica. In tal modo si può
trasferire il concetto di “chiesa” nel senso della sua forma “elementare” anche ad altre
chiese. Questo vuol dire che al di fuori dello spazio e della forma organizzata della
Chiesa cattolica c‟è veramente “chiesa” e non solo dei singoli “elementi” ecclesiali,
altrimenti il Concilio Vaticano II non avrebbe potuto parlare di “Chiese e Comunità
ecclesiali separate” (UR 14ss; 19ss)»19. Purtroppo il Concilio Vaticano II non ha
chiarito ulteriormente il modo con cui si rapporta la piena sussistenza della Chiesa di
Cristo nella Chiesa cattolica con le altre Chiese e Comunità ecclesiali, in cui è
veramente presente (adest) la Chiesa di Cristo.
Tale riconoscimento di una presenza della Chiesa di Cristo (totum ecclesiae) al
di fuori della totalità della Chiesa cattolica (tota ecclesia) ha fatto superare
16
F.A. SULLIVAN, «“Sussiste” la Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica romana?», in R.
LATOURELLE, Vaticano II: Bilancio e prospettive. Venticinque anni dopo (1962-1987), Cittadella
Editrice, Roma 1987, 811-824, ivi 823.
17
AS II/2, 335.
18
Per una descrizione della storia dell‟introduzione del «subsistit» nei documenti conciliari di
Lumen Gentium e Unitatis Redintegratio si può vedere: P. LÜNING, «Das ekklesiologische Problem
de “subsistit in” (LG 8) im heutigen ökumenischen Gespräch», in Catholica, 1/1998, 1-23; F.A.
SULLIVAN, «“Sussiste” la Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica romana?», in R. LATOURELLE,
Vaticano II: Bilancio e prospettive. Venticinque anni dopo (1962-1987), Cittadella Editrice, Roma
1987, 811-824; P. KNAUER, «Die “katholische Kirche” subsistiert in der “katholischen Kirche”», in
J. HAINZ-H-W. JÜNGLING-R.SEBOTT, “Den Armen eine frohe Botschaft”. Festschrift für Bischof
Franz Kamphaus zum 65. Geburtstag, Verlag Josef Knecht, Frankfurt am Main 1997, 153-167.
19
P. LÜNING, «Das ekklesiologische Problem der “subsistit in” (LG 8) im heutigen ökumenischen
Gespräch», 6.
8
l‟ecclesiologia della Mystici Corporis, in cui si poneva un‟identificazione tra il Corpo
mistico di Cristo (Chiesa di Cristo) e la Chiesa cattolica romana. Ammettendo la
presenza di elementa ecclesiae al di fuori della Chiesa cattolica, non si dà più una
identificazione reciproca ed esclusiva tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica. La
Chiesa cattolica non si comprende più come materialmente identica (est) con la
Chiesa di Cristo.
Alla luce di quanto detto sarebbe bene tenere distinti i due termini ricorrenti nel
decreto sull‟ecumenismo: Chiesa cattolica e Chiesa di Cristo. Il concetto Chiesa
cattolica può avere sia una valenza trascendentale che categoriale. Se con Chiesa
cattolica s‟intende l‟ecclesia del Credo, una, sancta, catholica et apostolica, allora si
vuole esprimere l‟identità ecclesiale, la dimensione ontologica della Chiesa cattolica.
In questo senso il termine Chiesa cattolica equivale a quello di Chiesa di Cristo.
«Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della
salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza» (UR 3). Tale
dimensione ontologica e trascendentale della Chiesa cattolica va distinto da quello
categoriale, confessionale o fenomenico20. Quando si afferma che la Chiesa di Cristo
sussiste nella Chiesa cattolica si fa riferimento a questa dimensione fenomenica e ben
visibile della Chiesa. L‟elemento essenziale di questa dimensione visibile ed
istituzionale della Chiesa cattolica è il ministero episcopale, connesso con la
collegialità episcopale presieduta dal successore degli Apostoli. «Questa Chiesa, in
questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica,
governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui» (LG n.8)21. La
mancanza di questo elemento essenziale (defectus ordinis) è il fondamento teologico
che non consente di dare il nome di Chiese alle Comunità ecclesiali e le pone in
comunione imperfetta con la Chiesa cattolica. C‟è da chiedersi, tuttavia, se questa
«mancanza» nella dimensione fenomenica di comunione con la Chiesa cattolica,
annulli l‟identità ecclesiale di queste Comunità.
Anche se la Chiesa cattolica gode della pienezza dei mezzi sacramentali di
salvezza, non significa che essa viva nella pienezza di questi mezzi. La pienezza e
totalità che si predica della Chiesa cattolica (ecclesia catholica est tota ecclesia) la
riguarda in quanto sacramentum non in quanto res sacramenti22. Il Concilio parla,
infatti, di una crescita e di una difficoltà da parte della Chiesa cattolica di esprimere
sotto ogni aspetto la pienezza e totalità della ecclesia catholica nella realtà della vita
(Cf UR n. 4). Teniamo anche presente che la grazia del sacramento eccede i confini
visibili della Chiesa cattolica e si comunica alle altre Chiese e Comunità ecclesiali, in
quanto anche queste sono mediatrici di salvezza, non tanto perché fanno parte della
Chiesa cattolica - anzi ne sono da essa separate - ma perché partecipano a diverso
grado dell‟unica Chiesa di Cristo.
20
Cf GROUPE DE DOMBES, For the Conversion of the Church, WCC Publications, Geneva 1993, nn.
19-25.
21
La mancanza del ministero episcopale (cf UR n. 22), essenziale perché la Chiesa cattolica sia
nella sua forma fenomenica, rende invalido il sacramento dell‟Eucarestia che è segno di unità nella
comunione visibile.
22
F.A. SULLIVAN, «“Sussiste” la Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica romana?», 818.
9
3. Lettura ecumenica del «subsistit» in uno schema trinitario-cristologico.
Dopo esserci confrontati con la lettura del «subsistit» di Ratzinger e di Jüngel, e
aver individuato nella dichiarazione Dominus Iesus un‟analogia tra la prospettiva
cristologica ed ecclesiologica, è necessario tentare di coniugare maggiormente il
modello cristologico e quello trinitario del «subsistit» in una ecclesiologia ecumenica.
Come ha ben messo in rilievo Giacomo Canobbio nella sua relazione «La Trinità e la
Chiesa», possiamo affermare che all‟affermazione cristologica del Concilio
Costantinopolitano II (553) «Unus ex Trinitate» corrisponde attualmente nella koiné
dei teologi l‟affermazione ecclesiologica «Ecclesia est una ex Trinitate». Dopo il
Concilio Vaticano II è divenuto normale parlare della Chiesa come communio,
ponendo non solo come origine e méta escatologica ma anche come modello della
Chiesa la concezione trinitaria di Dio. «L‟ecclesiologia deve basarsi sulla teologia
trinitaria se vuole essere un‟ecclesiologia di comunione»23
Nei due momenti precedenti abbiamo visto che il «subsistit» ecclesiologico può
essere interpretato tanto alla luce del «subsistit» della communio trinitaria (ovvero
della trinità immanente) quanto alla luce del «subsistit» cristologico (in riferimento
analogico all‟unio hypostatica). Entrambe le letture rischiano, però, di ridurre uno dei
due poli, Trinità e Chiesa, all‟altro: da un lato proiettando all‟interno della Trinità le
separazioni presenti tra le Chiese e Comunità ecclesiali, rischiando di concepire
l‟unità intradivina come comunità di individualità; da un altro lato negando la realtà
di «Chiesa» delle Comunità ecclesiali, per voler ad ogni costo comprendere il
«subsistit» ecclesiologico alla stregua di quello cristologico, come unica e singolare
sussistenza. È necessario, invece, coniugare la lettura trinitaria e cristologica del
«subsistit» alla luce dell‟auto-comunicazione salvifica del Dio trinitario. Ciò significa
che l‟orizzonte in cui ripensare il «subsistit» non dovrebbe essere quello della trinità
immanente ma quello della trinità economica, in particolare l‟orizzonte di
quell‟evento di comunicazione che è la comunicazione di fede.
Rifacendomi alle riflessioni sull‟ecclesiogenesi del teologo cattolico Severino
Dianich e alle considerazioni sulla natura della Chiesa del teologo riformato
Christoph Schwöbel, si può affermare che il «subsistit» ecclesiologico debba essere
pensato a partire dall‟evento della comunicazione della fede24. L‟evento
dell‟annuncio, con ciò che esso comporta come evento di relazioni, costituisce il
passaggio dalla comunione interiore (il dono della comunione trinitaria) alla
comunità nella sua forma empirica ed istituzionale25. «La comunicazione di fede della
23
GIOVANNI DI PERGAMO (ZIZIOULAS), «La Chiesa come comunione», in Il Regno-documenti,
38(1993), 531-535, ivi 531.
24
Con ecclesiogenesi ci si riferisce «alla nascita della chiesa nella storia, come grandezza storica e
soggetto collettivo di azione storica. Ora, questo evento non accade fino a che il rapporto interiore
con Cristo non si materializza nell‟agire comunicativo di un credente che comunica ad altri la sua
fede, sì che altri l‟accolga e, condividendola, crei una relazione con lui, nella quale il dono interiore
della comunione si concretizzi in maniera empiricamente verificabile» (S. DIANICH- S. NOCETI,
Trattato sulla Chiesa, Queriniana, Brescia 2002, 186).
25
L‟evento della Parola di Dio, afferma il teologo gesuita Peter Knauer, costituisce quella parola
10
vicenda di Gesù è quindi la cerniera fra il dono nascosto della comunione e la sua
realizzazione storicamente verificabile»26. Se l‟evento della «Chiesa» consiste in
questa comunicazione di fede, diverse possono essere le forme con cui questo evento
si struttura. «L‟accadere della chiesa, come si vede, costituisce un intreccio che già
alla sua prima analisi si presenta con alcune caratteristiche che poi si potranno
ritrovare in tutti gli altri momenti e in tutte le componenti essenziali della chiesa. In
realtà è facile rilevare come lo stesso evento, in forme sempre diverse, si riproduca in
realtà continuamente, dovunque avvenga un qualche fatto di chiesa. La Chiesa con il
suo dinamismo storico potrà essere sempre diversa, però sempre in essa si potrà
ritrovare il complesso strutturale delle relazioni dentro la cui rete si compie l‟evento
della sua stessa origine»27.
Analoga concezione della Chiesa come evento di comunicazione è sostenuta dal
teologo riformato Christoph Schwöbel. «Attraverso la comunicazione dell‟Evangelo
si manifesta l‟essere comunicativo del Dio trinitario. Perciò la comunicazione
dell‟Evangelo, attraverso cui prende origine la Chiesa, trova il suo fondamento
nell‟auto-comunicazione di Dio, in cui si esprime l‟essere trinitario di Dio»28. Se la
comprensione trinitaria della Chiesa «localizza la Chiesa nel contesto dell‟economia
salvifica del Dio trinitario», l‟orizzonte entro cui comprendere la realtà ontologica e
trascendentale della «Chiesa» è quello della trinità economica, in cui la dimensione
trinitaria e cristologica sono incluse29. Se si dà «Chiesa», benché in forma embrionale
ed implicita, a partire dalla comunicazione dell‟Evangelo, allora possiamo dire che la
Chiesa di Cristo è presente dovunque questo annuncio - e l‟evento di relazione
teologico e antropologico che esso essenzialmente comporta - avviene: «l‟atto
comunicativo della fede è teologicamente il primo, è l‟agire comunicativo intorno al
quale la chiesa stessa si costituisce e sul quale si commisura la relazione stessa della
chiesa con l‟altro da sé. Tutto il resto che la chiesa fa nella storia ne è conseguenza ed
effetto, non premessa»30.
Nell‟enciclica sull‟ecumenismo di Giovanni Paolo Ut Unum Sint (= UUS) al n.
11 si afferma che «gli elementi di santificazione e di verità presenti nelle altre
Comunità cristiane, in grado differenziato dall‟una all‟altra, costituiscono la base
umana della comunicazione di fede, che ha avuto inizio con Gesù di Nazaret ed ora di fede in fede
(cf Rom 1,17) viene trasmessa, costituendo così la Chiesa. «La Parola di Dio è l‟evento dell‟autocomunicazione di Dio nella parola umana della comunicazione di fede. Questa è innanzi tutto un
evento comunitario e quindi ecclesiale. Nessuno ha fede da sé, ma ognuno deve riceverla
annunciata da chi già crede» (P. KNAUER, «Die “katholische Kirche” subsistiert in der “katholischen
Kirche”», in J. HAINZ-H-W. JÜNGLING-R.SEBOTT, “Den Armen eine frohe Botschaft”. Festschrift
für Bischof Franz Kamphaus zum 65. Geburtstag, Verlag Josef Knecht, Frankfurt am Main
1997,153-167, ivi 164).
26
S. DIANICH- S. NOCETI, Trattato sulla Chiesa, 189.
27
S. DIANICH, «Questioni di metodo in ecclesiologia», in A. BARRUFFO (ED.), Sui problemi in
eccelsiologia. In dialogo con Severino Dianich, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)2003, 21-53, ivi
45
28
C. SCHWÖBEL, Gott in Beziehung, Mohr Siebeck, Tübingen 2002, 435.
29
Ib.
30
S. DIANICH, «Questioni di metodo in ecclesiologia», 50.
11
oggettiva della pur imperfetta comunione esistente tra loro e la Chiesa cattolica. Nella
misura in cui tali elementi si trovano nelle altre Comunità cristiane, l‟unica Chiesa di
Cristo ha in esse una presenza operante. Per questo motivo il concilio Vaticano II
parla di una certa comunione, sebbene imperfetta»31. Il presidente del Pontificio
Consiglio per l‟Unità dei cristiani, card. Walter Kasper, parlando delle Comunità
ecclesiali nate dalla Riforma afferma che in esse operano «non soltanto singoli
elementi della Chiesa di Gesù Cristo, ma in varia misura anche l‟unità della Chiesa di
Cristo»32. Poiché in esse è presente ed operante la Chiesa di Cristo, non si può dire
che le Comunità ecclesiali originate dalla Riforma del XVI secolo non sono
propriamente Chiese. È più giusto affermare - come fa presente Johann Werner
Mödlhammer - che non sono pienamente Chiesa33. Il testo dell‟Unitatis Redintegratio
al n. 22 afferma che mancando del Sacramento dell‟Ordine, e dunque della genuina
ed integra sostanza dell‟Eucarestia, alle Comunità ecclesiali manca la piena unità con
la Chiesa cattolica. La mancanza dell‟episcopato storico e della sostanza genuina
dell‟eucarestia, secondo la concezione cattolica, non deforma e non nega tuttavia
l‟ecclesialità di queste Comunità.
A commento della dichiarazione Dominus Iesus Kasper ha detto che le
Comunità ecclesiali originate dalla Riforma del XVI secolo sono Chiese, in un senso
analogo a quello della Chiesa cattolica. Esse sono Chiese benché abbiano «una
diversa comprensione della Chiesa; non vogliono essere Chiese in senso cattolico»34.
Esse sono «Chiese di un altro tipo, alle quali dal punto di vista cattolico mancano
elementi che sono essenziali per la concezione cattolica della Chiesa»35. Sostenere
che le Comunità ecclesiali originate dalla Riforma sono «Chiese» non nel senso in cui
quella cattolica vuole esserlo, oppure sono «Chiese» di un altro tipo, alle quali dal
punto di vista cattolico «mancano» elementi essenziali per la concezione cattolica
della Chiesa, vuol dire - tuttavia - comprendere la Chiesa cattolica dal punto di vista
fenomenico. Qui il defectus è in riferimento alla dimensione confessionale e
categoriale della Chiesa cattolica; ciò non toglie che dal punto di vista ontologico ed
ecclesiale queste Comunità ecclesiali siano propriamente e veramente «Chiese»,
poiché in esse avviene la comunicazione dell‟Evangelo che è l‟evento che fa nascere
e sussistere la Chiesa di Cristo. Per questo Kasper precisa che queste Comunità
ecclesiali non possono essere dette «non-chiesa». «Non si può dire che non sono
31
GIOVANNI PAOLO II, Ut Unum Sint. Lettera enciclica sull‟impegno ecumenico, EDB, Bologna
1995.
32
W.KASPER, «Il lungo cammino da compiere», in L’Osservatore Romano, 2.06.2001, 1.
33
Cf J.W.MÖDLHAMMER, «Die “einzige Kirche Christi”. Bemerkungen zum katholischen
Kirchenverständnis mit Bezug auf “Dominus Jesus”», in Catholica, 55 (2001), 132-139.
34
W. KASPER, «Situazione e visione del movimento ecumenico», in Il Regno-attualità, 47 (2002),
132-141, ivi 139.
35
Ib. Va tenuto presente, però, che Lutero e Melantone non volevano affatto fondare una nuova
Chiesa o un altro tipo di Chiesa, ma riaffermare la Chiesa di Cristo. Quando la Confessio Augustana
al n 7 afferma che la «Chiesa è l‟assemblea dei santi nella quale si insegna l‟Evangelo nella sua
purezza e si amministrano correttamente i sacramenti» esprime quanto si diceva prima dell‟atto
comunicativo della fede.
12
Chiese vere e proprie»36. «Esse hanno gli elementi essenziali della Chiesa, in
particolare la Parola di Dio e il battesimo»37.
Benché queste Comunità abbiano ciò che costituisce la base oggettiva per essere
«Chiesa», di esse si predica un‟imperfezione o mancanza, se confrontate con quella
pienezza e totalità affidate alla Chiesa cattolica (tota ecclesia). «La Chiesa cattolica è
convinta che i suoi “elementi” istituzionali quali l‟episcopato e il ministero petrino
siano doni dello Spirito per tutti i cristiani»38. Confrontandosi con le altre Comunità
ecclesiali, la Chiesa cattolica si riconosce in una maggiore o minore comunione.
Benché la Chiesa di Cristo si trovi realizzata da questa istituzione perfetta e unica
che è la Chiesa cattolica, «è ugualmente presente nelle altre Chiese cristiane in gradi
diversi, a seconda delle imperfezioni della loro forma istituzionale» 39. Teniamo
comunque presente che secondo la concezione delle Comunità nate con la Riforma
del XVI secolo non ci si vuole considerare la piena e totale sussistenza della Chiesa
di Cristo ma di essere semplicemente parte della chiesa una, santa, cattolica e
apostolica40.
Se con «subsistere» si fa riferimento alla presenza fenomenica della Chiesa di
Cristo così come si è realizzata pienamente nella Chiesa cattolica, si comprende
perché la Congregazione della Fede nella Dominus Iesus abbia affermato che la
Chiesa di Cristo sussista solamente nella Chiesa cattolica. Infatti, se la pienezza della
sacramentalità della Chiesa di Cristo, è assicurata dalla struttura fenomenica e
confessionale della Chiesa di Cristo (tota ecclesia), resa possibile dal ministero
episcopale e dalla successione apostolica, è da escludere che nelle altre Comunità
ecclesiali possa sussistere la Chiesa di Cristo. In questo caso il «subsistit» è
essenzialmente vincolato e dipendente dalla dimensione fenomenica e confessionale
della Chiesa cattolica; ma se la Chiesa cattolica (tota ecclesia) non si vuole più
sovrapporre al totum ecclesiae, per cui al di fuori dei suoi confini istituzionali e
sacramentali riconosce che non c‟è un vuoto ma è presente ed operante l‟unica Chiesa
di Cristo (cf UUS n. 11), si potrebbe svincolare il «subsistit» dalla pienezza e totalità
della dimensione fenomenica e confessionale della Chiesa cattolica e vincolarlo,
invece, all‟evento della communicatio evangelii. Riprendendo le osservazioni del
card. Ratzinger in cui affermava che nelle Comunità ecclesiali «avviene» la Chiesa,
possiamo dire che questo evento ecclesiale trova la sua condizione di possibilità in
quell‟«oltre» ecclesiale, che né si identifica materialmente con la Chiesa cattolica
36
ID., «L‟unica Chiesa di Cristo. Situazione e futuro dell‟Ecumenismo», in Il Regno-attualità, 46
(2001), 132.
37
ID., «Ein Herr, ein Glaube, eine Taufe. Ökumenische Perspektiven für die Zukunft», in StZ, 127
(2002), 75-89, ivi 84.
38
ID., «Situazione e visione del movimento ecumenico», 139.
39
G. BAUM, «La realtà ecclesiale delle altre Chiese», in Concilium, 2(1965), 38-63, ivi 49.
40
Cf CHIESA D‟INGHILTERRA, «Che tutti siano una cosa sola», in Il Regno-documenti, 43 (1998),
121-130, ivi 130; CHIESA LUTERANA DI SVEZIA, «Risposta all‟Ut unum sint», in Il Regnodocumenti, 48 (2003), 59- 64, ivi 61; COMMISSIONE CONSULTIVA PER LE RELAZIONI ECUMENICHE
DELLA TAVOLA VALDESE (CCRE), «L‟ecumenisimo e il dialogo interreligioso», in
http://www.chiesavaldese.org/Pages/Documenti/Doc-Ecumensismo.htm
13
(tota ecclesia), né è un nulla o un vuoto ecclesiale (cf Ut Unum Sint, n 13), ma è
quella presenza della Chiesa di Cristo (totum ecclesiae) che sussiste formalmente
anche nelle varie Chiese e Comunità ecclesiale «in grado differenziato dall‟una
all‟altra» (UUS n.11).
Se la comunicazione di fede costituisce la Chiesa e se l‟originario segno
dell‟evento della Parola è il sacramento del battesimo, potremmo dire che la base
oggettiva della dimensione fenomenica, in cui è presente ed operante la Chiesa di
Cristo, è il battesimo41. «Il battesimo rende possibile una comunione (anche se
imperfetta), che unisce tra loro le Chiese in una fondamentale verità (i battezzati
come Corpo di Cristo). C‟è quindi già una comunione fondata nel battesimo, che non
costituisce una piena comunione ecclesiale, ma significa una reale partecipazione al
Corpo di Cristo»42. Teniamo presente che il decreto sull‟Ecumenismo Unitatis
Redintegratio al n. 3 dichiara che le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma sono
strumenti di salvezza, cioè «segno e strumento dell‟unione intima con Dio per tutto il
genere umano» (cf Lumen Gentium n.1). Col sacramento del battesimo gli uomini
entrano a far parte del Corpo di Cristo, e inseriti nell‟unità «che vige tra tutti quelli
che per mezzo di esso sono stati rigenerati» (UR n.22).
Ci potrà essere sul piano fenomenico una maggiore o minore realizzazione della
Chiesa cattolica - dovuta al defectus ordinis - da cui dipende la piena e totale
comunione istituzionale e il cui segno visibile è la comunione eucaristica. Ciò non
toglie che sempre sul piano fenomenico il battesimo costituisca già una base
oggettiva, segno visibile di quell‟evento costitutivo della Chiesa - nella sua
dimensione ontologica - che è la comunicazione della fede. Ciò significa che si
potrebbe riconoscere che la cattolica Chiesa di Cristo (totum ecclesiae) sussiste «ex
parte» anche nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali in virtù della communicatio
evangelii, senza con questo negare che la piena e totale sussistenza della Chiesa di
Cristo si dà nella Chiesa cattolica (tota ecclesia).
Paolo Gamberini SJ
41
Giovanni Paolo II fa presente che «le implicazioni teologiche, pastorali ed ecumeniche del
comune battesimo sono molte e importanti» (UUS n.66).
42
S. HELL, «Auf der Suche nach sichtbarer Einheit», in ZKTh, 125(2003), 18-46, ivi 28.
14