IL KOSMOS SPARTANO Lo splendido isolamento di una città senza mura Chi si reca oggi a Sparta rimane sorpreso dall'assenza di imponenti resti archeologici o monumentali. La sorpresa è tanto più grande in quanto Sparta fu, per circa tre secoli, la pòlis greca dotata del più forte esercito e della più ampia estensione territoriale, la leader di un'alleanza panellenica che respinse il tentativo di invasione del maggiore impero dell'Oriente (quello persiano), e infine - al termine di una lunga e sanguinosa guerra fratricida - la vincitrice dell'altra città-stato che le contendeva la supremazia sul mondo greco: Atene. Anche lo storiografo Tucidide notava, già nel V secolo a.C, la singolarità del fatto che "se la città fosse abbandonata e si salvassero solo i templi e le fondamenta degli edifici, penso che dopo molto tempo assai difficilmente i posteri potrebbero credere che la sua potenza sia stata corrispondente alla fama". Essa infatti ''non ha né templi né costruzioni sontuose (I, 10,2)". L'abitato occupava modestissime alture nei pressi del fiume Eurota, che attraversa e rende fertile la pianura della Laconia, regione sud-orientale del Peloponneso. L'intera vallata è cinta da due catene montuose; Sparta è inoltre lontana oltre 40 chilometri dal più vicino porto di Gizio. Fu anche questa posizione protetta da improvvisi attacchi dalla terra o dal mare che indusse gli Spartani, per tutto il periodo della loro maggiore potenza, a fare a meno di mura difensive, caso davvero unico tra le póleis greche. Accampati tra popoli sottomessi Gli Spartani facevano parte di quelle popolazioni di dialetto dorico provenienti dalla Grecia nordoccidentale che invasero gran parte del Peloponneso, determinandovi probabilmente il crollo dei preesistenti regni acheo-micenei. In particolare, i Dori si vantavano di essere stati guidati in Laconia dai discendenti di uno dei più grandi eroi del mito ellenico: Eracle. Da uno degli Eraclidi, Aristodemo, sarebbero infatti nati i due gemelli che diedero origine alle famiglie reali di Sparta: gli Agìadi e gli Euripòntidi. L’esistenza di due re (diarchia) anziché di uno solo (monarchia) a capo dello Stato è un'altra delle peculiarità di Sparta rispetto alle altre città dell'Ellade delle origini. Gli invasori si installarono dapprima in quattro villaggi "sparsi" (da cui il nome "Sparta") nei pressi dell'Eurota, poi occuparono anche il centro di Amikle, collocato pochi chilometri più a sud lungo il corso dello stesso fiume, dove fino a quel momento sopravviveva un regno acheo. Spartiati, Perieci, Iloti Nel corso dell'VIII secolo a.C. gli Spartani sottomisero le preesistenti comunità achee della Laconia e ne trasformarono tutti gli abitanti in servi dello Stato, detti Iloti. Veri e propri servi della gleba, gli Iloti rimanevano legati a vita ai campi da coltivare a esclusivo vantaggio dei conquistatori. Già allora il legislatore Licurgo (IX sec. a.C.?) avrebbe attuato quella prima assegnazione di lotti di terra agricola, detti kléroi, che sarebbero andati in 9000 parti eguali ad altrettanti spartani: questi privilegiati erano detti Spartiati, cioè cittadini di pieno diritto. Altri 30.000 lotti, meno pregiati, delle zone circostanti la pianura, furono assegnati invece agli abitanti dei centri minori della Laconia, detti Perieci (letteralmente "coloro che abitano nei dintorni"), anch'essi di dialetto dorico. I Perieci non erano servi legati alla terra, come gli Iloti, ma neppure cittadini con diritti politici: uomini di condizione libera, si dedicavano all'artigianato e a piccoli commerci, ed erano comunque tenuti a seguire gli Spartiati nelle loro spedizioni militari, sebbene militassero in reparti separati. La presenza nella stessa Laconia di una numerosa popolazione preesistente sottomessa e asservita, perciò tendenzialmente ostile, costrinse tuttavia gli Spartiati a vivere sempre sul piede di guerra, pronti a soffocare ogni eventuale ribellione. Licurgo tra storia e leggenda L'autosufficienza agricola ottenuta attraverso le prime vittorie sulle comunità vicine - che le permisero di unificare l'intera Laconia - e poi la sanguinosa conquista della Messenia, consentirono a Sparta di vivere in una condizione di isolamento economico e quindi di non intraprendere, come altre póleis, la via della produzione artigianale su vasta scala e dell'espansione commerciale. Questa scelta di base, presa da Sparta in una fase assai precoce del suo sviluppo, determinò la nascita di un sistema politico-sociale davvero singolare rispetto al resto del mondo greco. Un sistema che coinvolgeva tanto le istituzioni politiche quanto il modo di vita dei cittadini, e che, una volta trovato un suo punto di equilibrio, tese a rimanere immutabile per un lungo periodo. Gli Spartani e i loro ammiratori, numerosissimi nel mondo antico e anche in epoche successive, definirono questo sistema, orgogliosamente, kósmos "ordine": lo intesero come modello ideale e lo attribuirono a un personaggio delle origini la cui figura è per alcuni storiografi del tutto leggendaria: il legislatore Licurgo. Le guerre messeniche Dopo la Laconia, a fare le spese del nascente militarismo spartano fu la regione peloponnesiaca della Messenia. Il primo conflitto tra le due comunità confinanti, entrambe di dialetto dorico avvenne nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. (prima guerra messenica): la fame di terre coltivabili fu la motivazione principale dell'aggressione, mentre nello stesso periodo le altre póleis risolsero il problema inviando colonie. Attorno alla metà del VII secolo a.C. scoppiò la seconda guerra messenica, di gran lunga la più travagliata e feroce della serie (l'ultima scoppierà nel 464 a.C.). Anche questa lunga guerra si concluse con la vittoria dei Lacedemoni, che questa volta fu totale e duratura. L'intera Messenia fu divisa in lotti attribuiti ai vincitori, i suoi abitanti furono ridotti ai rango di Iloti. Il destino militaresco ed egemonico di Sparta era ormai segnato. Per circa tre secoli (fino alla battaglia di Leuttra, nel 371 a.C.) il suo esercito non subirà nessuna grave sconfitta sul campo di battaglia. Un'aristocrazia allargata ed egualitaria Nel corso e per effetto delle guerre messeniche gli Spartani intensificarono e perfezionarono sempre più il proprio addestramento militare, in un periodo coincidente con l'adozione della tattica oplitica, e giunsero ben presto a considerare la guerra e la partecipazione alla vita politica come le loro due principali attività: esse garantivano la liberazione dal bisogno materiale e insieme la sicurezza nei confronti dei vicini. Il disprezzo per il lavoro manuale indirizzato al guadagno, già caratteristico delle aristocrazie elleniche, trovò così a Sparta una sua rigorosa e generalizzata applicazione, trasformando tutti i cittadini spartani in una sorta di aristocrazia di origine non familiare ma allargata all'intera cittadinanza, pronta a scendere in campo con un temibile esercito per garantire la difesa e l'estensione della propria condizione privilegiata. In altre póleis, alla vittoria e all'espansione economica su un territorio tanto esteso avrebbero quasi sicuramente fatto seguito una corsa disordinata all'arricchimento individuale o familiare e il tentativo, da parte dì alcuni gruppi ristretti di cittadini, di impadronirsi delle leve del potere politico a scapito di altri (oligarchia): con il probabile effetto di scatenare discordie interne e magari guerre civili. La città "senza tiranni" La strada seguita da Sparta fu invece del tutto nuova: furono presi provvedimenti contro il lusso personale e l'accumulo di ricchezze; si spezzarono gli egoismi personali introducendo forme di vita in comune che creavano solidi legami tra i cittadini; si creò un sistema politico basato su un rigido equilibrio dei poteri, tale da rendere impossibile la supremazia di piccoli gruppi o di tirannie personali; si introdusse un sistema educativo strettamente controllato dalla comunità (detto agoghé), mirante a far crescere come “uguali” (hómoioi) e animati dai medesimi principi morali tutti gli Spartiati. La tradizione antica attribuiva a Licurgo la gran parte di questi provvedimenti, affermando che egli sarebbe stato ispirato dal dio di Delfi, Apollo, che gli avrebbe consegnato la cosiddetta grande Rhetra (letteralmente "parola" o "patto"): un oracolo non scritto che fondava le basi della vita comunitaria spartana e della sua costituzione politica. Si tratta certo di una forzatura celebrativa e propagandistica. Ma la singolarità del sistema spartano e la sua coerenza interna sono tali da rendere difficile pensare che esso sia solo frutto di successivi tentativi o aggiustamenti casuali. Appare anzi evidente un principio ispiratore comune: creare uno stabile equilibrio tra cittadini e tra poteri all'interno della polis, salvaguardarla dalle discordie e sottrarla ai rivolgimenti sociali e politici che nello stesso tempo agitavano le altre comunità della Grecia. In grande misura questo tentativo riuscì: per alcuni secoli Sparta non fu sconvolta da guerre civili e inoltre, come riconobbe lo storiografo ateniese Tucidide, essa fu sempre "senza tiranni" (1,18,1). Vita in comune e condanna del lusso La proibizione per gli Spartiati di esercitare attività lavorative e produttive, assegnate tutte ai Perieci e agli Iloti, va considerata, nella mentalità arcaica aristocratica, un privilegio. Del resto, perché affannarsi a lavorare per conseguire il lusso e la ricchezza? I cittadini avevano già quanto era necessario alla loro sussistenza, inoltre non potevano accumulare beni, anche per il semplice fatto che non vennero mai introdotte nella città vere e proprie monete in metallo prezioso (sostituite, per i piccoli commerci, da scomode e pesanti monete di ferro). Il lusso non poteva interessare neanche la dimora privata (oikos): gli Spartiati vi soggiornavano pochissimo, conducendo invece gran parte della loro vita, dai sette anni di età in poi, in attività e in spazi pubblici. Tra questi luoghi, vi erano i sissizi, le mense destinate ai pasti collettivi: vi si partecipava in gruppi di quindici cittadini, ciascuno dei quali contribuiva ogni mese alle spese comuni recando quantità di cibo prefissate. Vi si era ammessi per cooptazione, cioè solo grazie al consenso unanime degli altri membri, poiché "si voleva che a tutti fosse gradita la compagnia degli altri". Assieme agli adulti, solo e soltanto di sesso maschile, vi erano ammessi anche i giovinetti spartani di condizione libera. La vita in comune aveva dunque sia una funzione formativa, sia l'obiettivo di creare legami reciproci di amicizia e di fiducia tra i cittadini. Non potendo più competere tra loro in fatto di ricchezze, essi avrebbero gareggiato tra loro per ottenere semmai, come ricordava sempre Plutarco, "l’eccellenza nel valore". L'educazione e le leggi È importante notare che le disposizioni di Licurgo, a partire dalla stessa grande Rhetra, erano tramandate oralmente: anzi, il legislatore stesso aveva vietato di metterle per iscritto, poiché "la convinzione che l'educazione crea nei giovani costituisce un legame ancora più forte della costrizione [imposta dalla legge]". La lunga persistenza della costituzione spartana pur in assenza di leggi scritte, si spiega appunto con il forte tradizionalismo insito in questa società, e in effetti solo un'estrema cura rivolta alla fase formativa del cittadino poteva garantire, attraverso la trasmissione integrale di un sistema coerente di valori e principi comportamentali, la saldezza di una pòlis circondata da nemici sia esterni sia interni. Quindi per capire a fondo la società spartana occorre considerare come un tutt'uno la sua organizzazione politica assieme al suo particolare sistema educativo, che in qualche modo cominciava addirittura prima della nascita del cittadino per accompagnarlo sino alla vecchiaia. Funzione strumentale della famiglia A Sparta, in misura ancora maggiore che nelle altre città greche, l'esistenza dell'individuo si svolgeva nell'ambito comunitario assai più che in quello familiare. La famiglia vi era intesa non come sede degli affetti personali o degli interessi privati, ma come un semplice strumento per fornire alla polis, attraverso la riproduzione, nuove generazioni di cittadini. Sposarsi era un obbligo, anche perché Sparta ebbe sempre il problema della scarsità di uomini, e l'attenzione principale della società era rivolta a far nascere individui sani e a farli poi crescere robusti, atti alle armi e al pesante addestramento militare cui tutti dovevano sottoporsi per lunghi anni. Questa esigenza portò gli Spartani a istituzionalizzare la pratica della eugenetica, cioè il tentativo di selezionare gli esseri umani fin dal momento della nascita, per esempio scartando ed eliminando i bambini malformati o troppo deboli. Dall'infanzia alla maturità Solo la primissima fase della crescita, fino ai sette anni, considerata ancora una specie di "allevamento", era seguita da parte delle donne in ambito domestico. Poi il bambino veniva affidato alla comunità maschile e inserito in una "banda" giovanile detta aghéle, che significa "mandria" o "gregge". "Erano sottoposti a un regolamento e a una nutrizione uguale a quella degli altri, e si abituavano a divertirsi e a imparare in comune. A capo di ogni compagnia si poneva l'elemento che eccelleva per giudizio e per ardimento nel combattere. Gli altri ragazzi tenevano gli occhi su di lui, eseguivano i suoi ordini e si sottomettevano alle sue punizioni, sicché l'educazione era in pratica un esercizio all'ubbidienza." Le condizioni di vita erano dure, tese a rendere i ragazzi resistenti alle fatiche e vittoriosi in guerra. "Venivano rasati a zero, abituati a camminare a piedi scalzi, £ a giocare insieme quasi sempre nudi.". Arrivati all'età di vent'anni, i ragazzi avevano concluso la prima fase del loro addestramento, ed entravano a pieno titolo nell'esercito; a questi giovani tra i venti e i trent'anni veniva affidata la direzione di un’aghéle giovanile, sempre sotto la supervisione dei più anziani. Solo raggiunti i trent'anni, lo Spartiate poteva finalmente frequentare l'agorà e partecipare alla vita politica, assumendo appieno il ruolo di cittadino. La partecipazione politica La presenza a Sparta di due re anziché di uno solo, al di là delle spiegazioni di tipo mitico, indica chiaramente la volontà di ridimensionare il potere monarchico, evitando che degenerasse in tirannide. Per di più essi furono anche inseriti nel Consiglio degli anziani, o Gherusia (gerous…a), insieme ad altri ventotto cittadini che vi avevano un diritto di voto dello stesso peso rispetto a quello degli stessi sovrani, e che erano scelti tra gli esponenti più anziani e autorevoli della città. La Gherusia infatti fu creata proprio per effettuare un bilanciamento tra i poteri dei re e quelli della loro controparte politica: il popolo dei cittadini in armi. Questo si riuniva regolarmente nell'assemblea, o Apella, organismo che a sua volta aveva il potere di eleggere i Gheronti e gli altri magistrati della pòlis; oltre a ciò, prerogativa altrettanto fondamentale dell'ApelIa era quella di approvare o respingere le proposte di legge (senza però poterle modificare né proporre autonomamente). D'altra parte, anche il potere dell'assemblea era limitato dal fatto di non poter presentare essa stessa le proposte da discutere e da votare; queste erano valutate e preparate in precedenza dalla Gherusia, e così ai cittadini riuniti nell’Apella non restava che approvarle o respingerle in blocco, senza apportarvi modifiche. Come si vede, Plutarco aveva ragione scrivendo che "[Licurgo] pose al centro del governo della città la Gherusìa come una zavorra, che garantisse alla nave dello Stato un equilibrio e un ordine perfetto. Infatti i ventotto Anziani si schieravano sempre dalla parte dei re, quando occorreva contrastare il potere del, e viceversa rafforzavano il popolo, per impedire il sorgere della tirannide". Sarebbe dunque difficile definire con un termine solo il tipo di costituzione vigente a Sparta: essa non era evidentemente né una monarchia, né una democrazia; ma neppure una aristocrazia o un'oligarchia in senso tradizionale, nonostante il potere dei Gheronti, perché costoro non diventavano tali per diritto di nascita o per ricchezza, ma venivano eletti dai cittadini. Tecnicamente, in affetti, si trattava di una costituzione mista. Gli efori e i re A rafforzare ulteriormente l'equilibrio dei poteri, in una fase successiva fu introdotta a Sparta la magistratura collegiale degli efori (ispettori), eletti ogni anno dall'Apella, in numero di cinque, tra tutti i cittadini. Nonostante la loro carica non fosse rinnovabile, e nonostante dovessero prendere le decisioni sempre all'unanimità, il loro potere fu tuttavia notevolissimo, specialmente in quanto esercitavano una funzione di controllo sui re e sugli altri magistrati dello Stato. L'intervento degli efori poteva infatti spingersi fino a far arrestare gli stessi re. Inoltre erano loro a ricevere gli ambasciatori stranieri, a vigilare sull'osservanza delle leggi e a detenere competenze in campo giudiziario. A introdurre l'eforato a Sparta, o ad ampliarne le competenze, sarebbe stato il celebre Chilone, uno dei Sette Sapienti, attorno alla metà del VI secolo a.C. A partire da questo stesso periodo, tuttavia, la città entrò in una nuova fase della propria storia, assumendo alcune delle sue caratteristiche più tipiche, che l'avrebbero sempre fatta amare o detestare dai posteri. Con il tempo la lega peloponnesiaca si trasformò in una forza di intervento e di intromissione negli affari di póleis anche esterne al Peloponneso. Gli Spartani, per esempio, intervennero al fine di abbattere le tirannidi di Sicione e Atene, e delle isole di Samo e Nasso, cercando di favorire la presa di potere da parte delle locali aristocrazie. Tuttavia questa politica non fu mai tesa a espandere il dominio diretto di Sparta su zone sempre più ampie della Grecia e dell'Egeo, cioè non fu mai di tipo imperialistico. Del resto la scarsità del numero degli Spartiati, una casta chiusa che non voleva dividere con nessun altro i suoi privilegi, avrebbe reso impossibile il controllo di estesi territori. Il mito dell'immobilismo Una volta trovato un suo equilibrio politico interno, rimasta priva di rivali pericolosi nel Peloponneso e paga della propria autosufficienza economica, Sparta si trasformò in una forza di pura conservazione dell'esistente e iniziò a ripiegarsi su se stessa. Ogni elemento che poteva turbare lo stato delle cose era accuratamente evitato: gli stranieri non potevano risiedere nella città, mentre gli stessi Spartani non potevano uscire dalla patria se non in missione di guerra o diplomatica. Chiusa ai commerci, ma anche agli scambi artistici e intellettuali, la città rimase perciò, a partire dalla fine del VI secolo, del tutto estranea ai prodigiosi sviluppi culturali che nel frattempo si svolgevano nel resto del mondo greco. Perfino la partecipazione ai prestigiosi giochi olimpici, dove gli Spartani avevano conseguito una serie impressionante di vittorie a partire dalla prima guerra messenica, fu quasi del tutto interrotta. La città continuò a svolgere ancora per centocinquant'anni un ruolo fondamentale nella vita politica ellenica. Ma non lasciò ai posteri null'altro che il proprio mito: quello di un modello politico ideale dove tutto funzionava perfettamente, ma dove l'individuo era controllato completamente dalla collettività. Ogni progresso, ogni ricerca del nuovo, non ebbero più a Sparta alcun diritto di cittadinanza.