L’ellenismo: Tolomei e Seleucidi Dispensa 8: Lezioni della primavera 2013 Miscellanea a cura di Sandro Caranzano, riservati ai fruitori del corso di archeologia presso l'Università Popolare di Torino 2012-2013 8.1 - L’ellenismo e l’Alessandria di Deinocrate Fig. 62 – Planimetria di Alessandria d’Egitto tolemaica nel III sec. a.C. L’ellenismo coincide convenzionalmente con il periodo storico compreso tra la morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. e la sconfitta di Marco Antonio e Cleopatra a opera di Augusto presso Azio nel 31 a.C., un evento che sancì la definitiva acquisizione dell’Egitto nell’orbita dell’impero romano. Tale termine non compare nelle fonti antiche ma fu coniato artificiosamente nel corso dell’Ottocento dallo storico tedesco Johann Gustav Droysen che, con esso, volle definire quel particolare periodo storico susseguente l’età classica; quest’ultima è stata (e in parte ancora è … ) considerata dagli storici dell’arte e dai filologi come l’akmé della civiltà greca, e coincise con l’affermazione della democrazia periclea e della cultura artistica e figurativa attica nel Mediterraneo. Per questa ragione ancora oggi il termine «ellenismo» è spesso inteso con una valenza negativa o di decadenza, una percezione questa che meriterebbe, al vero, un riesame critico. Unificando un grande principato esteso dalla Macedonia sino all’Indo e all’Oriente conosciuto, Alessandro Magno ebbe il merito di mettere in contatto la grecità con molteplici civiltà e culture, favorendo lo scambio di tecnologie, idee, pensiero, veicolando al contempo lo spostamento fisico di persone. Quando Alessandro morì, il grande impero si frantumò in una serie di stati minori retti dai generali che lo avevano accompagnato nelle sue grandi imprese (i diàdochi); tra i principali vanno annoverati la Siria dei Seleucidi (i cui confini andavano dalla Palestina sino al settore meridionale dell’Anatolia e oltre, verso oriente, fino all’attuale Pakistan), l’Egitto dei Tolomei (i cui confini partivano dall’attuale Palestina per giungere sino al Golfo della Sirte, avventurandosi poi verso le sorgenti del Nilo ove si era formato, nel frattempo, un regno nubiano indipendente), il regno di Pergamo (fondato da Filottete, il tesoriere di Alessandro Magno, geograficamente limitato ad un settore dell’Asia Minore), più altri 98 Fig. 63 – Una ricostruzione tridimensionale della scala di accesso all’antico faro di Alessandria. Fig. 64 – Ricostruzione 3D del famoso faro costruito attorno al 280 a.C. regni effimeri – quali quello di Lisimaco in Tracia o quello di Demetrio Poliorcete e del figlio Antigono Monoftalmo, – risoltisi in progetti di predominio fallimentari, o per contingenze politiche e sociali di carattere locale, o per la scarsa lungimiranza dei rispettivi protagonisti. I contatti con l’antica Persia e la Valle dell’Indo diedero luogo a una curiosa commistione culturale che ebbe come effetto quello di trasformare l’antica civiltà greca; nell’ambito del discorso qui intrapreso è di un certo interesse la genesi – in tale periodo – di un nuovo concetto di palazzo, concepito come un insieme di padiglioni immersi nella natura, con destinazione polifunzionale in un contesto principesco, la cui matrice d’ispirazione va ricercata nei cosiddetti paradeisos babilonesi, entrati nell’immaginario collettivo con il nome di «giardini pensili». La «barbarica»” Macedonia venne dunque a sopperire all’inesorabile processo di decadenza politica e militare di Sparta e Atene, di cui però aveva ereditato una serie di valori e di esperienze; la grande rivoluzione scientifica del periodo ellenistico – ben esemplificata dalla fondazione del Museo e della Biblioteca di Alessandria – non sarebbe stata possibile senza le basi poste dalle esperienze matematiche, geometriche e di scienza delle costruzioni avviate da architetti attici di età classica del calibro di Callicrate e Ictino (noto per l’invenzione delle cosiddette correzioni ottiche del Partenone e del tempio di Zeus a Olimpia); d’altro canto l’esperienza scultorea di Lisippo e la filosofia aristotelica non sarebbero state possibili senza le basi poste da Platone e dalla scuola pitagorica. Nell’ambito del nostro excursus, merita pertanto particolare attenzione la parabola della dinastia tolemaica, fondata nel 305 a.C. da Tolomeo I Soter, nato dall’unione di Filippo II di Macedonia con la concubina Arsinoe, e affidato alle cure del generale macedone Lago, al quale fu fatto adottare quando ancora giovinetto (da qui il nome di «lagide» con cui spesso la dinastia tolemaica viene appellata). Alla morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. Tolomeo I Soter ottenne da Filippo Arrideo (un altro figlio illegittimo di Filippo II che alla morte di Alessandro era stato acclamato dall’esercito comandante in capo) la satrapia di Egitto. Il novello principe tentò subito di ingigantire i suoi domini eliminando avversari politici e personaggi scomodi; tra questi la tradizione ricorda l’architetto Deinocrate, un personaggio degno di nota essendo stato incaricato da Alessandro stesso della pianificazione urbanistica della nuova grande capitale Alessandria, e che cadde – per l’appunto – in disgrazia al tempo di Tolomeo. Tolomeo acquisì sul campo il diritto a dominare tali importantissime e strategiche regioni del Mediterraneo sconfiggendo nel 312 a.C. presso Gaza il suo avversario Demetrio Poliorcete che, nello stesso periodo, aveva inviato il figlio Antigono Gonata e il suo generale Ateneo a saccheggiare le 99 Fig. 65 – Veduta didattica dell’antica Alessandria con, sul fondo, il Paneion descritto dallo scrittore greco Strabone. ricchezze dei Nabatei di Petra. Tolomeo occupò Corinto, Sicione e Megara, perdendo tuttavia l’isola di Cipro con una battaglia navale (306 a.C.) in occasione della quale Nicocreonte – re di Salamina – si suicidò con la famiglia gettandosi tra le fiamme del palazzo per evitare di essere catturato, interrogato e messo a morte; Cipro sarebbe stata definitivamente riconquistata nel 295 a.C. Il predominio politico di Tolomeo I si rese definitivo del 302.C., quando Antigono Monoftalmo fu sconfitto e ucciso nella battaglia di Ipso, un evento che permise a Tolomeo di impossessarsi anche della Celesiria (area dell’attuale Libano meridionale). Tolomeo I è noto per aver avviato i lavori di costruzione della Biblioteca e del Museo di Alessandria e per aver introdotto in Egitto il culto di Serapide, probabilmente frutto di una fusione sincretistica tra il culto di una divinità semitica conosciuta con il nome di Sar-Apsi («il Signore degli Abissi») e quella del dio di origine menfitica Osiride-Apis: fu questo, chiaramente, uno stratagemma per favorire l’integrazione culturale tra i gruppi di cultura greca trasferitisi in Egitto e la popolazione indigena di cultura egizia. La città di Alessandria raggiunse nel periodo di Tolomeo I l’aspetto di una grande metropoli ellenistica. Secondo le fonti antiche, le mura della città coprivano un giro di 15 km; esse furono restaurate in epoca romana e poi parzialmente abbandonate nel periodo arabo – attorno all’XI sec d.C. – quando il sultano Ahmad ibn Tulun fece smontare alcuni dei blocchi della cinta per reimpiegarli nella città che stava ricostruendo. Due strade monumentali larghe 60 m e affiancate da portici s’incrociavano ad angolo retto nel centro cittadino in prossimità del soma, ovvero del mausoleo eretto in onore di Alessandro Magno (situato pressoché ove sorge l’attuale moschea del profeta Daniele). La strada che correva in direzione est-ovest coincide invece approssimativamente con l’attuale Boulevard de Rosette, dove è stato possibile rinvenire tracce dell’antica pavimentazione in occasione di alcuni sondaggi archeologici. Una strada monumentale detta Eptastadio – per la lunghezza pari a sette stadi greci – metteva in comunicazione la città con l’isola di Pharos; il porto orientale di Alessandria era protetto a oriente dallo sperone di Lochias, e a occidente dalla punta Pharos medesima; l’isolotto di Pharos trasmise per antonomasia il proprio nome all’imponente edificio realizzato per orientare e facilitare l’ingresso dei grandi bastimenti commerciali e militari nel porto egiziano. 100 Fig. 66– Ricostruzione del cosiddetto Arsineion, il tempietto al tholos che ospitava una statua sospesa da terra tramite un complesso marchingegno magnetico. Il faro di Alessandria – costruito attorno a 280 a.C. – rimase in piedi per circa 1200 anni fino a che, con il contributo di alcune gravi scosse telluriche, crollò attorno al 1350. La costruzione originaria fu iniziata da Tolomeo I con il contributo economico di un potente mercante greco, Sostrato di Cnido; le dimensioni colossali e la complessità costruttiva del monumento fecero però sì che esso potesse essere completato solamente al tempo del successore, il secondogenito Tolomeo II Filadelfo. Scopo dell’opera era di aumentare la sicurezza del traffico marittimo in entrata e in uscita dal porto, reso pericoloso da numerosi banchi di sabbia e dall’assenza di rilievi topografici di precisione. Il faro permetteva di segnalare la posizione del porto alle navi, di giorno mediante alcuni specchi di bronzo lucidato che riflettevano il sole, di notte tramite dei fuochi accesi da opportuni addetti. Secondo lo storico Giuseppe Flavio il faro poteva essere scorto a ben 48 km di distanza, cioè fino al limite consentito dalla curvatura della superficie terrestre data la sua altezza. L’edificio era costituito da un basamento quadrangolare che ospitava le stanze degli addetti, e da rampe per il trasporto del combustibile. Al basamento si sovrapponeva poi una torre ottagonale e, più in alto, una costruzione cilindrica sormontata da una statua di Zeus o di Posidone, che più tardi fu sostituita da una statua di Helios. Secondo le fonti antiche, l’altezza totale del faro oscillava tra i 120 e i 170 m, anche se oggi la stima prevalente si orienta sui 130 m; si trattava pertanto del secondo monumento più alto al mondo dopo la piramide di Giza che misura 146 m. L’antico aspetto del faro è poi ricostruibile grazie ad alcune antiche monete su cui esso è illustrato pur schematicamente, e grazie ad alcune descrizioni fattene da alcuni scrittori antichi e medievali. Non disponiamo di una descrizione del suo funzionamento, probabilmente a causa della riservatezza che il mondo ellenistico manteneva sugli impianti a tecnologia avanzata. Si può comunque supporre che il fascio luminoso del faro venisse rafforzato con l’uso di specchi parabolici; non dobbiamo infatti dimenticare che la teoria delle coniche e la catottrica furono elaborate proprio in ambiente alessandrino per opera di scienziati del calibro di Apollonio ed Euclide. La forma cilindrica del faro lascia pensare che la sua luce fosse girevole, una soluzione più utile ai naviganti rispetto a quella di una sorgente fissa. Dopo la caduta dell’impero romano, fari di questo tenore furono costruiti solo a partire dal Medioevo, come nel caso del faro di Genova realizzato tra il 1128 e il 1139; però anche nell’antichità la costruzione veniva considerata una delle sette meraviglie del mondo e rappresentava un’opera eccezionale. Dalle fonti scritte sappiamo che nelle immediate vicinanze del faro si trovavano alcune statue monumentali rappresentanti i sovrani tolemaici indossanti i caratteristici copricapi egizi divini. Gli scrittori arabi ricordano anche la presenza di tre statue di tritoni considerate magiche: la prima era in grado di suonare in una conchiglia allo scoccare delle ore, la seconda era un automa in grado di muoversi lentamente durante il giorno fino a seguire il corso del sole (che naturalmente cambiava di stagione in stagione, rendendo ancora più complicata la realizzazione del meccanismo automatico), mentre la terza suonava in una conchiglia quando una nave nemica si avvicinava alla città di Alessandria. Alcune antiche leggende parlano quindi di scale interne a spirale riservate alle bestie da soma, e di un 101 ascensore che permetteva agli inservienti e ai tecnici di colmare il livello dalla base fino alla sommità senza troppa fatica. Siamo anche al corrente di un’iscrizione che ne celebrava il finanziatore, il mercante Sostrato; più tardi il figlio di Tolomeo I – Tolomeo II Filadelfo – decise di eliminare il nome di Sostrato dall’epigrafe in modo da non offuscare la magnificenza della famiglia reale; resti archeologici dell’iscrizione dimostrano che essa fu cancellata parzialmente con l’uso di calce. I resti del faro si trovano attualmente presso la fortezza di Quait Bay, ma è bene considerare che molte parti si trovano in fondo al mare a causa dello sprofondamento di gran parte della città antica a seguito di poderosi eventi sismici avvenuti nell’antichità. Un altro monumento ricordato dalle fonti antiche è il cosiddetto Paneion,un tempio dedicato al culto del Dio Pan descritto da Strabone nella forma di una pigna; è possibile che si trattasse di un edificio dotato di un percorso a Fig. 67 – Modellino della famosa Thalamegos, il palazzo galleggiante fatto costruire da Tolomeo IV Filopàtore in onore della sorella e sposa Arsinee e destinato a solcare il Nilo. spirale costruito con mattoni; le fonti antiche lasciano immaginare che questo raggiungesse un’altezza complessiva di 50 m. È invece ormai irriconoscibile e ridotto in polvere, un tempio denominato Arsineion menzionato da alcuni autori antichi. Particolarità di questo edificio era una statua dotata di una capigliatura applicata di materiale metallico che gli permetteva di rimanere sospesa ad una certa altezza da terra in quanto disposta sotto una cupola realizzata in materiale magnetico. Questa vera e propria «meraviglia» è il frutto degli studi scientifici elaborati da studiosi di straordinario calibro all’interno del cosiddetto Museo della Biblioteca di Alessandria, un’istituzione scientifica finalizzata alla libera ricerca epistemica voluta da Tolomeo I al cui interno operarono scienziati del calibro di Eratostene di Cirene – che per primo fu in grado di calcolare il diametro della terra – , di Ctesibio – studioso di pneumatica e fondatore della scuola dei meccanici alessandrini, di Erofilo di Calcedonia – fondatore dell’anatomia e della fisiologia scientifica – , di Aristarco di Cirene – che per primo elaborò una teoria eliocentrica –, di Archimede e molti altri. La cultura ellenistica alessandrina mise a punto una serie di realizzazioni assolutamente straordinarie di cui ci è giunta traccia attraverso le testimonianze entusiaste dei contemporanei. Tra di esse e degne di nota la Thalamegos, una nave-palazzo colossale fatta costruire da Tolomeo IV Filopatore descrittaci dello scrittore greco Ateneo. La nave era lunga 95 m e larga 14, divisa internamente in due piani per un’altezza totale di 19 m; il piano inferiore ospitava gli appartamenti del re e quello superiore gli appartamenti della regina, la sorella Arsinoe III. La struttura portante della nave può essere paragonata a quella di un moderno catamarano: lo scafo era costituito da due segmenti collegati da traverse in legno; sulla prua 102 Fig. 68 – Un’altra visione frontale della nave reale di Tolomeo IV. anteriore vi erano due grandi colonne sormontate da statue e da vessilli il cui scopo era probabilmente solo decorativo. Il primo piano era segnato da una sfilata di colonne corinzie, mentre quello superiore presentava una linea di sette finestre atte a illuminarne l’interno. Il Thalamegos non fu progettato per navigare in mare aperto ma in funzione del fiume Nilo e dei suoi affluenti; la nave disponeva di un grande albero ed una vela, ma il vento non era spesso sufficiente a spostare la nave che veniva normalmente rimorchiata da terra con delle corde. Il re e la regina disponevano di due camere da letto separate, di una grande camera di ricevimento – riservata al re – e di una camera più piccola riservata alla regina; sappiamo che i vari ambienti interni erano decorati con avorio, colonne in legno di cedro, oro applicato sul soffitto, con muri, colonne e figure marmoree. La nave era anche dotata di un piccolo tempio circolare dedicato ad Afrodite, in onore di Arsinoe. Tutti i materiali erano di altissima qualità e di squisita bellezza; la nave fu immaginata anche in funzione propagandistica, come manifestazione della regalità del principe-faraone. Ateneo purtroppo non spiega con precisione quali spazi fossero riservati alla ciurma e come fossero strutturati gli ambienti di servizio. Oltre ad Ateneo che scrisse tra il II e il III sec d.C., disponiamo di qualche informazione incompleta da parte di Callinico di Rodi che visse nel periodo ellenistico. La nave rimase in uso a lungo, e sappiamo che fu utilizzata da Marco Antonio e Cleopatra per solcare il Nilo. 8.2 - Il nuovo “concetto” di palazzo ellenistico L’esplorazione dell’Oriente attuata da Alessandro permise alla cultura greca di venire in contatto con civiltà lontane completamente estranee alla cultura e alla visione ellenocentrica del mondo del periodo classico e pericleo; nel corso del V sec. si era manifestata in modo quanto mai chiaro l’ostilità e il disprezzo degli ellenofoni per tutti i popoli non parlanti la lingua greca definiti, per l’appunto, «barbari». Il punto di arrivo di un processo di sprovincializzazione e rielaborazione può vedersi, a titolo simbolico, nel matrimonio tra Alessandro e la principessa persiana Rosanne, figlia del satrapo Orixiartes. Non dobbiamo poi dimenticare che proprio nel quadro di una politica di assimilazione dell'elemento persiano con quello grecomacedone, nel 324 a.C., a Susa, Alessandro promosse un matrimonio collettivo che coinvolse una novantina dei suoi più stretti collaboratori che furono indotti a sposare ragazze dell'aristocrazia iranica. Alessandro stesso prese come seconda moglie la figlia maggiore di Dario III, che assunse per l'occasione il nome della madre Statira e come terza moglie Parisatide, figlia e sorella dei precedenti Gran re persiani, Artaserse III e Artaserse IV; al fido compagno Efestione fu data in sposa la sorella minore di Statira, Dripetide. È dunque naturale che in occasione di tali contatti, importanti elementi della cultura persiana siano stati conosciuti, mediati e reinterpretati dai Greci. È facile osservare come l’attenzione dei costruttori e dei committenti, in tale periodo, si sia spostata gradatamente dall’ottica del «sacro» verso il «laico»: completato il lungo e faticoso processo della pietrificazione del tempio greco (completata la costruzione dell’Acropoli di Atene e con il colossale santuario 103 Fig. 69 – La tomba cenotafio con il podio a scalini e il tumulo superiore realizzata in onore dell’ultimo re di Salamina, Nicocreonte, datosi fuoco assieme alla famiglia reale nel proprio palazzo per sfuggire alla vendetta di Tolomeo I Soter nel periodo delle guerre tra i diadochi. di Zeus a Olimpia – veri e propri simboli della polis periclea – ), tracollata la potenza militare e marittima di Atene sotto la pressione di Sparta, frammentatosi il quadro politico dell’Egeo, la società nata sulle rovine degli splendori dell’età classica si vide riorganizzata all’interno di un principato retto dalla dinastia macedone, espressione di una civiltà del nord della Grecia per secoli considerata periferica e contaminata con il mondo barbarico (in primo luogo illirico). L’evoluzione culturale della società ellenica indusse sempre più a concepire un’arte improntata al laicismo, al gusto della «opera per il collezionismo», finalizzata all’ostentazione e al consumo da parte di raffinati intenditori; un punto di vista completamente diverso da quello dell’età arcaica e classica, che poneva al centro “del tutto” i luoghi sacri dedicati agli dei poliadi, potenziali protettori dalle avversità e dai nemici, nonché punto di riferimento per le grandi cerimonie collettive annuali nel corso delle quali veniva sancita ed equilibrata la pace sociale. È questo dunque il periodo in cui si osserva il diffondersi dei quadri da cavalletto (spesso di carattere paesaggistico e bucolico, che anticipano una certa sensibilità che si ritrova nei vedutisti dell’Ottocento), e il diffondersi di gallerie d’arte finalizzate alla fruizione di tele e di quadri opera di raffinati pittori che conosciamo grazie agli storici dell’arte greci e latini (tanto per iniziare il famoso Apelle, ma anche Antifilo, Aezione, Pireici, Protogene e il mosaicista Sosos, celebrato presso i quadretti rappresentanti nature morte entro ampolle e vasi dai caratteristici riflessi e trasparenze). Nell’ambito della scultura, completata l’acquisizione dello spazio tridimensionale dal punto di vista dell’osservatore con Lisippo (che, non a caso, fu il ritrattista ufficiale di Alessandro Magno) si registra una sempre maggiore disinvoltura compositiva e la nascita di veri e propri capolavori barocchi caratterizzati da ritmi tortili, «aperti» verso l’esterno o «chiusi» in se stessi, di cui è esempio noto a tutti, la famosa Nike di Samotracia; a lato si osservano curiose sperimentazioni destinate a divertire l’osservatore, come nel caso della scultura del Fanciullo che strozza l’oca (di cui conosciamo molte riproduzioni di età romana spesso caratterizzate da variazioni sul tema), della Vecchia ubriaca o del Pescatore (che mostrano un interesse per la vita quotidiana anche degli strati sociali inferiori) o di Ercole bambino che strozza i serpenti. Nel tardo ellenismo troveremo poi il diffondersi di «gruppi» colossali immaginati come integrazioni dell’architettura (così l’Odisseo e Polifemo di Sperlonga o il Toro Farnese dalle Terme di Caracalla) L’elemento che tuttavia più ci interessa nell’ambito del discorso fin qui intrapreso è costituito dall’evoluzione della tipologia del palazzo principesco rielaborata in Macedonia sulla base delle esperienze e degli stimoli venuti da oriente. Non è necessario indugiare troppo a lungo sull’effetto che dovette fare su Alessandro e il suo seguito la visione dall’imponente e ricchissima capitale dell’impero persiano, Babilonia, ricordata per i suoi splendidi templi, per i palazzi e, soprattutto, per i proverbiali Giardini pensili. Proprio a partire dall’età ellenistica viene dunque «esportata» nel Mediterraneo una nuova tipologia di palazzo caratterizzata dalla presenza di molteplici ambienti di varia forma e dimensione immersi nello spazio 104 Fig. 70 – La pira commemorativa scoperta dagli archeologi a Salamina: tutt’attorno le effigi della famiglia reale erano state riprodotte simbolicamente nella forma di statue in terracotta acrolitiche che sono state scoperte combuste tra le ceneri del rogo. circostante con orientamenti molto variabili, basati sull’insolazione e, in qualche caso, sull’astronomia, spesso collegati tra di loro da porticati o passaggi alberati. Si tratta di un’architettura per padiglioni e spazi giustapposti che è possibile riconoscere in quel poco che ci è pervenuto dell’architettura parziale seleucide, tolemaica e pergamena; è questa un’architettura che vediamo riflessa in alcuni edifici di età romana progettati o ideati da imperatori romani dotati di una spiccata sensibilità filogreca o filorientale come Caligola, Nerone e Adriano: l’articolazione per padiglioni immersi nella natura e il carattere vario e multiforme dell’organizzazione spaziale interna della Domus aurea e di Villa Adriana sembrano, in effetti, potersi spiegare come un ultimo riflesso della grande architettura ellenistica di III sec a.C. I palazzi dei diadochi che si spartirono il regno di Alessandro alla sua morte manifestano uno spiccato interesse per la natura che costituisce, in un certo senso, una novità: molti palazzi sono dotati di serre, giardini privati, uccellaie e raccolte di animali rari che sarebbero stati difficilmente immaginabili senza la mediazione dell’esperienza babilonese. D’altra parte, anche le case aristocratiche di piccolo e medio livello mostrano un interesse per la natura che si esprime in affreschi a parete con rappresentazioni di paesaggi nilotici, campestri, e scene mitologiche immerse in paesaggi immaginari «arcadici». Altro elemento significativo della cultura architettonica del periodo è certamente costituito dal moltiplicarsi di architetture dell’effimero, realizzate in materiale deperibile quali stoffe e legno, di cui ovviamente sono rimaste modestissime tracce ma di cui abbiamo descrizione da parte delle fonti antiche. Possono ricondursi all’architettura dell’effimero le navi da parata fatta costruire dei grandi sovrani dell’ellenismo greco quali la Syrakousia del tiranno di Siracusa Ierone II, e soprattutto la Thalamegos Tolomeo IV Filopàtore, ma anche la tenda funebre di Alessandro Magno e il padiglione voluto da Tolomeo II Filadelfo attorno al 274 a.C. all’interno del palazzo di Alessandria con la funzione di accogliere i banchetti in occasione delle feste quinquennali legate al trionfo di Dioniso. La tenda di Tolomeo II era costruita di legno e di stoffa, recava una copertura conica che voleva rappresentare simbolicamente la volta celeste ed era sostenuta da pali; questi ultimi erano affiancati da basi di marmo decorato che garantivano la stabilità del complesso. Un sistema d’impalcature piuttosto elaborato sosteneva quadri e ritratti, scudi d’oro e di argento, nicchie e vasi collocati a vario livello. Si trattava di approntamenti finalizzati all’ostentazione del potere e della ricchezza dei dinasti caratterizzati da una natura effimera, a causa della quale spesso essi venivano smantellati al termine delle manifestazioni o delle celebrazioni senza lasciare traccia. 105 Fig. 71 – Disegno ricostruttivo del palazzo ellenistico di Irak al Amir (anche soprannominato Kasr el Abd, «il palazzo degli schiavi») in Giordania. 8.3 Testimonianze architettoniche dell’ellenismo Il susseguirsi di culture e civiltà e delle conseguenti costruzioni e ricostruzioni degli abitati hanno reso scarsamente riconoscibile il tessuto urbano delle grandi capitali ellenistiche quali Antiochia, Alessandria e Gerusalemme; fa eccezione il caso di Pergamo, l’antica capitale del regno degli Attalidi, conservatasi in condizioni eccezionali a seguito del totale abbandono del sito (per le specificità dell’ambiente pergameno, il sito sarà oggetto in futuro di una specifica trattazione). Nel rispetto di un meccanismo ampiamente confermato dalla moderna linguistica, alcune zone periferiche, lontane dai grandi centri propulsivi – e pertanto meno coinvolte dall’avvicendarsi tumultuoso di immigrazioni, invasioni e trasformazioni – hanno conservato più di altre elementi culturali e archeologici che possono aiutarci a fare luce sulla specifica temperie culturale e artistica di quel particolare periodo storico che va dalla morte di Alessandro alla battaglia di Azio. Un caso particolarmente interessante (di cui ho avuto occasione di occuparmi) è quello del palazzo ellenistico di Irak al Amir, costruito nel corso del II sec a.C. in una valle secondaria che metteva in comunicazione la capitale degli ammoniti (Amman) con Gerusalemme. La vallata, fertile e drenata del fiume wadi el Sir fu oggetto di occupazione da parte della famiglia ebraica dei Tobiadi nel corso del IV e del III sec. a.C., come testimoniato da alcune sepolture rupestri poi parzialmente distrutte da una cava da costruzione bizantina situata nelle immediate vicinanze del palazzo. La costruzione dell’edificio fu opera di un certo Ircano, un nobile esponente della famiglia dei Tobiadi incaricato dai Tolomei dell’esazione delle tasse in Celesiria (una regione che dopo la metà del secolo sarebbe passata in mano ai Seleucidi). Lo scrittore ebraico Giuseppe Flavio descrive l’edificio come una fortezza agguerrita, costruita interamente di marmo 106 Fig. 72 – Il palazzo ellenistico di Irak al Amir come doveva apparire nel II sec. a.C. quando la sua facciata si specchiava nell’acqua del lago artificiale che lo circondava. bianco, e cita specificamente le grandi sculture di animali in altorilievo disposte sulla facciata. Aggiunge, inoltre, che molte camere erano destinate a conviti, a cubicolo e ad abitazione. L’identificazione dei resti scoperti dall’archeologia con quelli del palazzo ricordato dalle fonti è quanto mai convincente: attualmente, le rovine occupano un’area di 37,50 x 18,75 m pari a 120 x 60 piedi greci, e la facciata – quasi interamente conservata – raggiunge un’altezza di circa 12 m. L’edificio è quanto mai colossale, con grandi blocchi da costruzione dal peso di 25 t cadauno uniti senza calce facendo uso di tecniche di incastro «a dente di sega», capaci di facilitare la tenuta e la stabilità del muraglione dopo l’assemblaggio. La facciata è ripartita in senso verticale con piani gradatamente digradanti in altezza dal basso verso l’alto, e ogni piano è progettato con un’altezza pari a tre quarti di quella del piano inferiore. Il primo piano sembra essere stato occupato da un grande salone delle feste che si affacciava sul paesaggio circostante tramite loggiati sostenuti da colonne corinzie. Sopra la cornice del primo piano, una coppia di sculture formata da un leone e da una leonessa fungeva da guardiano della dimora; un’altra leonessa è scolpita sul lato lungo del palazzo con le mammelle in evidenza nell’atto di allattare un leoncino; due sono poi le aquile scolpite agli angoli del terzo piano in qualità di attributi regali. Lo stile ellenistico dell’edificio si riflette anche nel fregio a metope e triglifi e nei timpani che concludevano in alto la facciata. Sui lati lunghi si trovano due fontane con leoni scolpiti versanti acqua dalla bocca. L’edificio di Irak al Amir presenta tratti manifesti di cultura orientale, come la presenza dei leoni e delle leonesse che si legano al tema della caccia regale ampiamente diffuso nel mondo assirobabilonese e ereditato dalla civiltà greco-romana (il principe, nell’atto della caccia al leone, realizza il suo ruolo di pacificatore e distruttore delle forze incontrollabili della natura). Parimenti, le due aquile, devono considerarsi elementi di regalità. Lascia invece perplessi l’immane sforzo realizzato per tagliare, trasportare e mettere in posa blocchi così colossali; i confronti più diretti per tale tecnica costruttiva rimandano all’ambiente egizio, ma anche a quello libanese (basti pensare al famoso tempio di Baalbeck). L’elemento che però meglio esemplifica il diffondersi - persino in ambiente ebraico - di caratteri ellenizzati si ritrova nell’ampia depressione artificiale che circonda il palazzo, dotato di vere e proprie banchine in corrispondenza del marciapiede che lo circonda. Le fonti antiche e le indagini archeologiche confermano che l’intero palazzo era circondato da un lago artificiale in cui esso si specchiava; la coesistenza di uno spiccato gusto per il paesaggio artificiale e, probabilmente, per la coltivazione di specie pregiate rientrano a pieno titolo nell’atmosfera culturale dell’ellenismo greco. Alcuni archeologi israeliani sono convinti trattarsi di una diretta citazione dei palazzi galleggianti realizzati dei Tolomeo sul Nilo, ma diversa è la funzione e la destinazione di un palazzo da quello di una nave: è probabile invece che si tratti di un cortocircuito logico perché, comune è semplicemente la sensibilità dell’epoca, incentrata sulla ricerca dell’effetto scenografico e sulla ricerca di un dialogo tra edificio e natura. A titolo di curiosità vale la pena ricordare che Ircano nel 168 a.C. fu accusato dei fratelli di tradimento e 107 Fig. 73 – Ricostruzione grafica del santuario rupestri di Banias costruito al tempo dei Seleucidi; a sinistra il tempio eretto da Erode, e al centro quello voluto da Marco Aurelio. incalzato dai Seleucidi morì suicida tra le mura del faraonico palazzo; a causa di questa tragica storia quest’opera colossale, degna di un megalomane, fu abbandonata in corso d’opera, giungendo noi in eccezionali condizioni di conservazione. Non lontano da Iraq al Amir, la città della Dodecapoli di Gerasa fornisce qualche spunto sui caratteri della pianificazione urbanistica di età ellenistica. La grande città carovaniera fu fondata fra il 223 e il 187 a.C. a opera del re seleucide Antioco III di Siria. La città è giunta a noi con un’imponente via colonnata di età romana della lunghezza di oltre 1 km e una rete stradale organizzata secondo una griglia regolare; in età ellenistica l’aspetto generale doveva essere più modesto ma, con ogni probabilità, la città era già stata impostata sui medesimi assi urbanistici. Fulcro prospettico dell’impianto urbano sembra essere stata una piccola altura rocciosa segnata dal passaggio di un piccolo wadi, al cui vertice fu realizzato un piccolo tempietto dedicato al culto di Zeus, forse su ordine di Antioco IV (175-164 a.C.), che regnò in un periodo segnato da sensibili conflitti militari con l’Egitto e soprattutto con la Gerusalemme ebraica che gli si era ribellata. L’edificio – situato al vertice di un picco roccioso – era raggiungibile tramite una scalinata. Del tempio primitivo è stato possibile portare alla luce alcuni resti del fregio decorato con i simboli di Zeus (folgore), dei Dioscuri (elmetto), di Hermes (caduceo) e di Ercole (clava). Modesti sono anche i resti dell’impianto urbano cittadino, diviso per plateiai e stenopoi ( l’equivalente dei cardi e dei decumani romani), secondo uno schema molto antico, di origine orientale, riproposto regolarmente dal periodo classico dopo che Ippodamo da Mileto lo applicò ad Atene e alla colonia magnogreca di Thuri. A dire il vero è probabile che non si sia trattato di una semplice e pedissequa organizzazione della città secondo una griglia regolare di strade (come interpretato da molti archeologi per secoli) ma di un più complesso sistema di zonizzazione urbano con caratteri comuni a quelli di alcuni moderni piani regolatori. Comunque siano andate le cose, sembra comunque di poter dire che molte fondazioni ellenistiche del Vicino oriente come Gerasa furono caratterizzate sin dall’inizio da una sensibile impronta culturale greca pur sorgendo in territorio semita; tuttavia, in parte per la limitatezza dei mezzi in campo, in parte per l’ingente drenaggio di forze umane e economiche derivate dal continuo stato di guerra tra i vari staterelli emergenti, tali città non sembrano avere mai raggiunto una maturazione veramente monumentale, almeno fino al periodo della penetrazione di Roma in Oriente al tempo Pompeo. È questo il caso di Jerash che vide la piattaforma templare seleucide travolta da un grande impianto dell’età di Pompeo, poi rimodellato in chiave monumentale all’età di Tiberio e di Vespasiano; ed è questo il caso della città nabatea di Petra, i cui edifici sono stati recentemente datati a una fase cronologica più recente rispetto a quanto supposto fino a ieri (vedi oltre). A sostegno di questa ipotesi, sembra possibile portare il caso di Banias, l’antico centro fondato dai Seleucidi alle falde del Monte Hermon, in prossimità di una delle sorgenti del Giordano; il centro sembra essere di 108 Fig. 74 – Planimetria del santuario di Zeus di Gerasa nella sua forma definitiva di età romana: a sinistra il tempio costruito da Antonino Pio, al centro la grande terrazza tiberiana con il tempio di Vespasiano che travolse la piccola altura rocciosa su cui era sorto il primitivo tempio seleucide. fondazione piuttosto antica dal momento che fu teatro dell’importante scontro fra Antioco III di Siria e il generale egiziano Scopus che permise ai Seleucidi di impossessarsi dell’antica Giudea. Anche in questo caso. le ingenti manipolazioni di età imperiale-bizantina hanno cancellato gran parte dell’antica città ellenistica, ma il sito è noto per l’imponente santuario rupestre dedicato al culto del Dio Pan fatto costruire da Antioco e rimasto in uso sino all’età romana. Anche in questo caso è possibile registrare uno specifico interesse per la natura e una presenza piuttosto labile di infrastrutture a carattere monumentale. Centro del culto era una grotta sacra profonda 15 m ed ampia 20 m, al fondo della quale turbinava l’acqua proveniente dalle alture del Golan; gli auspici venivano presi gettando nella voragine degli animali sacrificali, interpretando poi come favorevole il caso in cui l’animale fosse sparito senza lasciare tracce di sangue sulle pareti rocciose. Poche sembrano essere anche le infrastrutture architettoniche nelle immediate vicinanze: quanto attualmente conservato si limita a un grande tempio fatto costruire da Erode in onore di Augusto presso la grotta, alcune nicchie scolpite sulla parete rocciosa in cui erano ospitate le statue di Pan e di Eco, e alcune tabelle con dediche, una delle quali da parte del sacerdote Vittore figlio di Lisimaco. Nelle immediate vicinanze si trovano infine i resti di un tempio dedicato a Zeus di Heliopolis costruito da Traiano, una nicchia alla Nemesi voluta da Marco Aurelio, e uno strano teatrino dedicato a cerimonie religiose che prevedevano danze sacre eseguite da capre ammaestrate fatto costruire da Eliogabalo. Sandro Caranzano 109