I paradossi e l'autoreferenzialità
Scritto da Enrico De Santis
Lunedì 22 Agosto 2011 12:56 - Ultimo aggiornamento Mercoledì 24 Agosto 2011 14:56
Non deve sorprenedere che il nostro linguaggio sia incapace di descrivere i processi che hanno
luogo all'interno degli atomi, perché è stato inventato per descrivere le esperienze della vita
d'ogni giorno le quali consistono soltanto di processi che coinvolgono un numero estremamente
grande di atomi.
Werner Heisemberg, I principi fisici della teoria dei quanti
Secondo il filosofo Mark Sainsbury (1943) un paradosso è "una conclusione apparentemente
inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili, per mezzo di un
ragionamento apparentemente accettabile
"(
paradoxes
, p1). Sono comunque molte le definizioni di paradosso e molti i filosofi e pensatori in genere
che si sono cimentati nello stabilire un possibile modello a cui ricondurli. In ogni caso
etimologicamente il termine paradosso deriva dal greco
paradoxa
e significa contro (
para
) l'opinione comune o la credenza (
doxa
).
Anche se alcuni logici puristi non accettano tutto ciò che la consuetudine indica come
paradosso, ne esistono moltissimi e possono essere ricondotti ad alcune categorie. Ad esempio
il paradosso del Mentitore conosciuto anche come paradosso di Epimenide è un paradosso di
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tipo
semantico,
mentre quelli di Cantor e Russell sono di tipo
insiemistico
. Entrambe comunque producono una contraddizione in termini da cui non è possibile uscire, a
meno che non si ricorra al
pensiero laterale
, metodologia che dovrebbe risolvere questo tipo di antinomie "uscendo dal sistema, e
rientrandoci in un secondo momento". Nella nostra discussione non si farà uso di questi metodi
intuitivi per altro non sempre accettati da coloro che si occupano di queste problematiche.
Ad esempio un classico paradosso, molto semplice da comprendere è proprio Il paradosso del
Mentitore
fatto
risalire al filosofo Epimenide di Creta. Questo ci fa riflettere su fatto che tali problemi del
pensiero affliggevano di già i nostri antichi antenati. Originariamente pare fosse formulato come:
Tutti i cretesi mentono sempre.
e tale frase è pronunciata proprio da un cretese, ad esempio Epimenide...
Affermare: "Sto mentendo" significa in parte produrre una asserzione falsa. Ciò avviene se vi è
un uso autoreferenziale della frase ovvero se si riferisce a se stessa. In altre parole è sottintesa
una componente indicale nella frase in questione.
Un chiaro esempio noto come "Il mentitore standard" è il seguente [1] :
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(1) (1) è falso.
L'interpretazione consiste nel numerare la proposizione e utilizzare tale etichetta per indicarla
come oggetto del predicato. Ora si può ragionare per casi e notare che un enunciato del genere
è problematico:
a) Immaginiamo che sia vero: se cosi è tutto sommato le cose stanno come dice, allora è
falso;
b) immaginiamo ora che sia falso: è proprio ciò che dice di essere, allora è vero.
La problematicità sorge se si accetta il principio aristotelico di bivalenza e cioè che un enunciato
o è vero o è falso. (1) è vero e falso assieme.
Una modifica, nota come "Il mentitore rinforzato" recita: " Questa asserzione non è vera" o
seguendo lo schema precedente:
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(2) (2) non è vero.
Questa modifica sembra mettere a riposo qualsiasi soluzione ingenua del paradosso del
mentitore. Di fatto uno dei maggiori logici del nostro tempo, Saul Kripke (1940), ha tentato di
risolvere il mentitore standard (la (1)) rinunciando al principio di bivalenza e ammettendo che
alcuni enunciati possano non essere veri e né falsi. (1) è vero se falso, e falso se vero, ma la
contraddizione è risolta ammettendo che questi due casi non si verificano. Il mentitore rinforzato
((2)) è problematico pur seguendo la ricetta di Kripke, rinunciando cioè al principio di bivalenza.
Nel mentitore standard col principio di bivalenza gli enunciati sono suddivisi in due gruppi, quelli
veri e quelli falsi e questi rappresentano i casi per improntare il ragionamento. Non accettando il
principio di bivalenza si aggiunge un terzo caso: enunciati né veri né falsi. Utilizziamo quindi i
tre casi per studiare il comportamento del mentitore rinforzato:
a) se (2) è vero tutto sommato se le cose sono come dice non è vero;
b) se (2) è falso allora ci dice in fondo che è vero;
c) se (2) non è vero né falso allora dice una cosa non vera, ma questo è proprio ciò che
dice di essere, tutto sommato (2) è vero.
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(2) sembra essere vera e non vera, quindi contraddizione.
In definitiva questa versione del paradosso nota anche come "mentitore della vendetta" vendica
chiunque tenti di allontanare l'elemento paradossale in questa famiglia di enunciati.
Ciò che accomuna questa tipologia di paradossi, che con l'aiuto del Logico Kurt Godel (1906 1978) hanno generato insormontabili problemi anche nel cuore della matematica, è
l'autoreferenzialità. Essa è ben riconoscibile nei paradossi di tipo insiemistico ed la sua
"scoperta" è ricondotta a Bertrand Russell (1872 - 1970).
Una formulazione complementare al paradosso del Mentitore, quindi, è il cosiddetto paradosso
di Russell
,
nel qual viene messa a nudo l'autoreferenzialità utilizzando il linguaggio della teoria degli
insiemi. Di fatto l'autoreferenzialità compare in quegli insiemi che hanno essi stessi come
sottoinsieme: l'insieme delle cose astratte è una cosa astratta mentre l'insieme delle forchette
non è esso stesso una forchetta, allo stesso modo l'insieme degli insiemi è esso stesso un
insieme. Il paradosso è formulato in modo apparentemente criptico nella seguente maniera:
L'insieme degli insiemi che non sono elementi di se stesso (chiamato R) è elemento di se
stesso?
Un altro modo per aggirare la contraddizione derivante dall'autoreferenzialità in riferimento
anche al paradosso del mentitore è quella più accettata dai logici che si basa sulla definizione di
"verità" per i linguaggi formalizzati ad opera del logico Alfred Tarsky (1902 - 1983). Anche se
Tarsky aveva pensato questi metodi per il linguaggi strettamente formalizzati, ritenendo i
linguaggi naturali contraddittori, si è ritenuto necessario applicarli anche a quest'ultimi. In tal
maniera si è pensata una gerarchia di livelli: al livello più basso non ci sono enunciati che
contengono il predicato "vero", o termini correlati. Al livello 1 "vero" si può applicare ad enunciati
di livello 0, ma non ad enunciati dello stesso livello 1. Ad ogni livello successivo vi è un solo
predicato di verità, che si può solo applicare ad enunciati di livello più basso. Questa apparente
complicazione permette di separare i vari livelli non permettendo l'autoreferenzialità (nel seguito
si dirà di più in merito a ciò).
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In ogni caso anche questo metodo può presentare dei problemi, uno è il fatto che non è
ammissibile un enunciato del tipo: "ogni asserzione è vera o falsa", poiché si sta
impropriamente definendo ciò che può essere detto attraverso una infinità di enunciati differenti,
uno per ogni livello. Vi sono anche altre problematiche intorno questa soluzione, e modi per
aggirarle, si rimanda alla vasta letteratura in materia.
Torniamo a Russell e domandiamoci se : l'insieme degli insiemi che non sono elementi di se
stesso (chiamato R) è elemento di se stesso?
Come per il mentitore, se si analizza questa asserzione si giunge ad una contraddizione. Un
tentativo per superare questo problema, simile alla soluzione di Tarsky, portò Bertrand Russell
(1872 - 1970) alla formulazione della "Teoria dei Tipi", proprio perche tale paradosso essendo
inerente alla teoria degli insiemi minacciava i fondamenti della matematica e del pensiero
razionale.
Lo stesso Russell, che non apparteneva a quella categoria che riteneva che tali paradossi
fossero giochi di parole, nei propri studi sulla teoria degli insiemi e sui problemi che nella
cosiddetta "formulazione ingenua" sembravano irrisolvibili, aveva l'impressione che il concetto
di insieme seppur primitivo era altamente "ideale". In altre parole non riusciva ad avere una
corrispondenza con la realtà fisica. Egli iniziò a pensare che in realtà gli insiemi non sono entità
nette, bensì sfumate e che l'appartenenza di un elemento ad un insieme possa non essere
espressa con un "sì" o un "no", uno "0" o un "1" aristotelici, bensì con una specifica funzione
che ne stabilisca il grado di appartenenza. In alte parole l'elemento "a " appartiene all'insieme A
con un grado di verità del 30% e non appartiene all'insieme A con un grado di verità del 70%.
Molti Logici si sono cimentati nel pensare una teoria degli insiemi dove i confini tra quest'ultimi
non sono definiti, bensì sfumati. Colui che ha portato alla ribalta una tale concezione con un
vigore tale che il suo pensiero è ora applicato anche in ambito tecnologico è Lotfi Zadeth. Egli
insieme ad altri battezzò un nuovo tipo di logica: la Logica Fuzzy. Questa logica ha la
caratteristica di non accettare il principio di bivalenza ammettendo che un enunciato possa
essere vero con un certo grado.
In un tale quadro, l'annoso problema filosofico del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto è
banalemente risolto ammettendo che il bicchiere è pieno con un grado di verità del 50% e allo
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stesso modo è vuoto con un grado di verità del 50%. In sintesi tra "vero" e "falso" che sono gli
estremi aristotelici su cui si basa la logica classica esiste in realtà una gradazione continua.
Questo fatto apre una serie sterminata di possibilità logiche, non ammissibili con due soli valori
di verità.
Bart Kosko, allievo di Lotfi Zadeth, in un suo saggio "Il Fuzzy Pensiero" [2] esprime con vigore
la validità della Logica Fuzzy, e propone una interpretazione del paradosso del mentitore
all'interno di questa logica. La posizione fuzzy sta nel pensare i paradossi di autoriferimento
come mezze verità o in altre parole come contraddizioni fuzzy. Immaginando un segmento ai
cui estremi vi è "vero" = "1" o "falso" = "0" e tutta una serie di valori continui all'interno, i
paradossi autoreferenziali hanno come grado di verità il punto medio di tale segmento. La
polivalenza semplicemente contempla un tale caso poiché nel mondo fuzzy esistono anche
mezze verità...
I paradossi autoreferenziali, hanno avuto, nella matematica del Novecento dello scorso secolo
una grande importanza e si sono dimostrati non solo meri giochi di parole. Essi hanno aiutato la
logica a comprendere il significato di "verità" in merito ai linguaggi naturali e formalizzati. Sullo
sfondo del "problema dei fondamenti" suggerito dal Matematico David Hilbert (1842 - 1963) alla
conferenza dal titolo "I Problemi della Matematica" presentata nel corso del Secondo
Congresso Internazionale di Matematica tenutosi a Parigi nel 1900, i paradossi autoreferenziali
hanno minato le basi della matematica stessa. Come accennato in precedenza il Logico Kurt
Godel, trovò con un celebre articolo [3] una crepa all'interno della formalizzazione
dell'aritmetica tramite la logica ad opera di Bertrand Russell e Alfred North Whitehead (1861 1947). L'opera dei due logici a sostegno della solidità della matematica fin dalle sue
fondamenta è nota come Principia Mathematica pubblicata nel 1913. Godel in maniera
ineccepibile nonché strettamente formale non fa altro che notare l'insorgere di paradossi
autoreferenziali, nei sistemi formali potenti come l'aritmetica. Egli dimostra che in un sistema
sufficientemente potente vi possono essere degli enunciati la cui verità o falsità non è
dimostrabile all'interno del sistema, ma serve un metasistema per poterlo fare. Tale
metasistema è il sistema in questione più l'enunciatro incriminato preso nientedimeno che come
assioma. Quanto detto è solo un assaggio della "sinfonia Godeliana" sul tema della matematica
e dei sistemi formali, ma serve per focalizzare l'attenzione su un concetto su cui molti logici
hanno lavorato, da cui dipende la validità della verità di un enunciato: la
semantica
. Di fatto Il Paradosso del mentitore, definito inizialmente come
paradosso semantico
ha permesso di comprendere il perché compaiono tali problemi specialmente nel linguaggio
naturale. Tarski e altri hanno incolpato il linguaggio naturale e nello specifico il fatto che esso
sia
semanticamente chiuso
. In maniera intuitiva significa che lingue naturali come l'italiano, l'inglese o il francese sono
lingue sufficientemente potenti da poter parlare anche della propria semantica e cioè dei
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significaqti delle espressioni degli stessi linguaggi. A detta del filosofo americano Richard
Kirkham (1955) "un linguaggio semanticamente chiuso è uno che contiene predicati semantici
come "vero", "falso" e "soddisfa" che possono essere applicati ad enunciati dello stesso
linguaggio"
[4]
. Qundi i paradossi autoreferenziali possono insorgere quando vi è una confusione tra
linguaggio oggetto
e
metalinguaggio
. Uno sforzo in tale direzione è la soluzione di Tarski al paradosso, precedentemente suggerita.
La logica ha imparato bene la lezione e fa una netta distinzione tra il linguaggio oggetto e quello
utilizzato per parlare, per la precisione di stabilirne verità o falsità, che è il metalinguaggio. In tal
maniera si ingenera una gerarchia di linguaggi ogni uno capace di dire qualcosa di semantico
su linguaggio sottostante ma non viceversa. In definitiva secondo Tarski la nozione di verità per
un linguaggio non deve essere esprimibile o definibile entro quello stesso linguaggio (Tarski
esprime questo con un celebre teorema). Utilizzando una immagine dello studioso scienziato
cognitivista Douglas Hofstadter (1945), avvolte un sistema formale può essere sufficientemente
potente che può ripiegarsi su se stesso e tentare di dire cose che lo mettono in seria difficoltà
come se direzioniamo una cinepresa verso lo schermo a cui è connessa: si ingenera un loop
infinito che manda l'intero sistema in tilt
[5]
. Ora termino qui, ma vi assicuro che il ragionamento sui paradossi e sulle loro stravaganti
conseguenze è appena iniziato.
[1] Berto F., Tutti pazzi per Godel!, La Terza, Roma 2008.
[2] Kosko B., Il fuzzy pensiero, Balai e Castroldi, Milano 2010, Tit. Or. "Fuzzy Thinging: The
New Science of Fuzzy Logic" Hyperion, 1993.
[3] Gödel:K. Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter
Systeme
, I. Monatshefte für Mathematik und Physik, 38 (1931), pp. 173-198.
Translated in van Heijenoort: From Frege to Gödel. Harvard University Press, 1971
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[4] Kirkham, Richard L. Theories of Truth: A Critical Introduction. Cambridge, MA: The MIT
Press, 1992, cit. in Berto 2008.
[5] Hofstadter D., Anelli nell'Io, Mondadori, 2007
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