aprile-giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • pp. 85-159 Dermatologia pediatrica (a cura di C. Gelmetti) Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti Anomalie vascolari in età pediatrica: nuove indicazioni terapeutiche, vecchi farmaci Anomalie dei capelli in pediatria Obesità infantile Periodico trimestrale POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA Aut. Trib. di Milano n. 130 del 17/03/1971 - Stampa a tariffa ridotta - tassa pagata - Aut. Dirpostel Pisa n. 1/36131/4/1 del 10/09/1993 - Taxe perçue - Italia (a cura G. Bona) Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015 Dalle obesità “genetiche” all’epigenetica nell’obesità La sindrome metabolica: diagnosi ancora controversa? Frontiere (a cura di A. Biondi, A. Iolascon, L.D. Notarangelo, M. Zeviani) La next generation sequencing è entrata nella pratica pediatrica? Tavola Rotonda (a cura di G. Andria, F. Sereni) Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Vol. 45 • N. 178 aprile-giugno 2015 ISSN 0301-3642 Direttore Generoso Andria, Napoli Comitato di Direzione Andrea Biondi, Monza Franco Chiarelli, Chieti Giovanni Cioni, Pisa Giovanni Corsello, Palermo Achille Iolascon, Napoli Alberto Martini, Genova Pierpaolo Mastroiacovo, Roma Luigi Daniele Notarangelo, Boston Luca Ramenghi, Genova Fabio Sereni, Milano Riccardo Troncone, Napoli Comitato Editoriale Salvatore Auricchio, Napoli Sergio Bernasconi, Parma Silvano Bertelloni, Pisa Mauro Calvani, Roma Liviana Da Dalt, Padova Mario De Curtis, Roma Maurizio de Martino, Firenze Pasquale Di Pietro, Genova Alberto Edefonti, Milano Ciro Esposito, Napoli Carlo Gelmetti, Milano Giuseppe Maggiore, Pisa Gianantonio Manzoni, Milano Bruno Marino, Roma Eugenio Mercuri, Roma Paolo Paolucci, Modena Daria Riva, Milano Martino Ruggieri, Catania Franca Rusconi, Firenze Francesca Santamaria, Napoli Luigi Titomanlio, Parigi Pietro Vajro, Salerno Massimo Zeviani, Cambridge, UK Gianvincenzo Zuccotti, Milano Redazione Scientifica Roberto Della Casa (Redattore Capo) Simona Fecarotta Iris Scala Vol. 45 • N. 178 aprile-giugno 2015 Redazione Editoriale Lisa Andreazzi Tel. 050 3130285 [email protected] Amministrazione Pacini Editore S.p.A. 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Prospettive in Pediatria INDICE N. 178 aprile-giugno 2015 Dermatologia pediatrica (a cura di Carlo Gelmetti) Presentazione............................................................................................................................................... 85 Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti Carlo Gelmetti, Lucia Restano, Stefano Cambiaghi............................................................................. 87 Anomalie vascolari in età pediatrica: nuove indicazioni terapeutiche, vecchi farmaci Pietro Dalmonte, Nadia Vercellino............................................................................................................ 95 Anomalie dei capelli in pediatria Mario Cutrone, Ramon Grimalt.................................................................................................................. 102 Obesità infantile (a cura Gianni Bona) Presentazione............................................................................................................................................... 113 Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015 Gianni Bona, Flavia Prodam, Roberta Ricotti......................................................................................... 115 Dalle obesità “genetiche” all’epigenetica nell’obesità Laura Perrone, Pierluigi Marzuillo, Emanuele Miraglia del Giudice................................................ 123 La sindrome metabolica: diagnosi ancora controversa? Enza Mozzillo, Giuliana Valerio, Adriana Franzese............................................................................... 131 Frontiere (a cura di Andrea Biondi, Achille Iolascon, Luigi D. Notarangelo, Massimo Zeviani) La next generation sequencing è entrata nella pratica pediatrica? Vincenzo Nigro................................................................................................................................................ 137 Tavola Rotonda (a cura di Generoso Andria, Fabio Sereni) Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Domenica Taruscio, Carlo Dionisi Vici, Serena Battilomo, Paola Facchin, Maria Alice Donati, Manuela Vaccarotto, Sara Casati.......................................................................... 143 Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 85 Prospettive in Pediatria Dermatologia pediatrica Per la dermatologia, gli ultimi cinque anni sono stati molto ricchi di novità, sia concettuali che pratiche. Da punto di vista concettuale, ad esempio, il ruolo degli adipociti cutanei nelle difese antinfettive è del tutto nuovo, come pure il ruolo del DNA batterico nello scatenamento di alcune forme di psoriasi; parimenti molto interessante è la “saga” dei probiotici, degli integratori e della vitamina D nella dermatite atopica. Nella pratica clinica, la dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento non sembra utile nella gestione della dermatite atopica; mentre in questa malattia si è riconfermato utile e sicuro il pimecrolimus. Ancora, nella pratica quotidiana, il propranololo è divenuto ormai il farmaco di prima scelta per gli emangiomi infantili; da quest’anno il pediatra dispone quindi di un farmaco efficacissimo e ben tollerato per il più comune tumore infantile che è, sì, istologicamente benigno ma, spesso, clinicamente problematico quando non drammatico. La rapamicina sta cambiando la nostra visione delle malformazioni vascolari che possono avere una tendenza evolutiva, che può quindi essere contrastata farmacologicamente e non più (e non solo) con modalità chirurgiche. Questo farmaco è finora stato usato in alcune anomalie vascolari, rare ma severe, con risultati insperati ma entusiasmanti che devono essere seguiti nel tempo. Un articolo, poi, è interamente dedicato alle principali anomalie dei capelli in pediatria. I capelli, come altri annessi cutanei e come la cute sic et simpliciter, possono essere spesso una chiave di accesso relativamente facile e mai aggressiva per la diagnosi di svariate patologie del bambino. In un momento in cui la qualità della diagnosi complessiva di un caso e l’operato dei medici sono sotto la lente di ingrandimento, l’opportunità di avere più informazioni fidate da alcune metodiche sicure e non invasive, appare caldamente consigliabile. Carlo Gelmetti Clinica Dermatologica, IRCCS Ca’ Granda “Ospedale Maggiore Policlinico”, Milano Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti della Università degli Studi di Milano 85 Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 87-94 Dermatologia pediatrica Carlo Gelmetti Lucia Restano Stefano Cambiaghi Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti Clinica Dermatologica, IRCCS Ca’ Granda, “Ospedale Maggiore Policlinico”, Milano, Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti della Università degli Studi di Milano In aggiunta all’approvazione del propranololo per la cura degli emangiomi infantili (a cui, in parte, è dedicato un articolo apposito in questo numero) si illustrano alcune importanti novità tra le quali il ruolo degli adipociti cutanei nel mantenimento della funzione barriera dell’epidermide e quello del DNA batterico nei pazienti con psoriasi in placca attiva. Nella dermatite atopica si smentisce l’efficacia della dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento, come pure l’utilità dei supplementi alimentari, mentre non sono univoci i dati sulla vitamina D, probiotici e prebiotici. Un dato confortante viene dai lavori sulla sicurezza del pimecrolimus, confermata a livello mondiale. Viene enfatizzata l’epidemia di malattia “mani-piedi-bocca” atipica da Coxsackie A6 che è stata osservata anche nel nostro paese. Si segnala infine il trattamento delle verruche con sinecatechine per uso topico, l’uso della dermoscopia per la diagnosi di tinea capitis e la recentissima approvazione del vaccino nonavalente per l’infezione da HPV. Riassunto Beyond the approval of propranolol in the treatment of infantile hemangiomas (a special article is partially dedicated to this theme in this issue) some relevant news are illustrated: e.g., the role of cutaneous adipocytes in the integrity of the barrier function of the skin and the role of bacterial DNA in active plaque psoriasis. In atopic dermatitis, the efficacy of maternal diet during pregnancy and breastfeeding as well as the utility of food supplementations has been discarded, while the findings on probiotics, prebiotics and vitamin D are ambiguous. Reassuring data are coming from the use of pimecrolimus that has been widely judged as safe. The epidemics of “hand-foot-mouth” disease from Coxsackie A6, seen also in our country, has been highlighted. Finally, the topical treatment for warts with sinecathechines, the use of dermoscopy for the diagnosis of tinea capitis and the very recent approval of nonavalent vaccine for HPV infection, are quoted. Summary Ruolo degli adipociti cutanei nel mantenimento della funzione barriera dell’epidermide Una delle funzioni principali della cute è quella di fare da barriera all’entrata di patogeni nell’organismo. Cellule epiteliali, mastociti e leucociti residenti rappresentano la prima risposta infiammatoria all’ingresso di un patogeno nella cute, seguita dall’arrivo di neutrofili e monociti. La produzione di peptidi antimicrobici da parte delle cellule residenti nella cute svolge un ruolo fondamentale. Un articolo pubblicato da un’autorevole rivista, evidenzia che un ruolo importante nella difesa dell’ospite dall’infezione microbica sarebbe svolto anche dagli adipociti cutanei (Zhang et al., 2015). Studi precedenti avevano evidenziato che, in presenza di patogeni, gli adipociti producono IL-6, una citochina che stimola la produzione di epcidina, un batteriostatico. Gli autori hanno usato iniezioni sottocutanee di MRSA (Staphylococcus aureus meticillino resistente) in topi osservando una veloce e inaspettata espansione, sia numerica che dimensionale, della popolazione di adipociti nello strato adiposo sottocutaneo. Tale effetto sarebbe dovuto alla presenza del fattore di trascrizione ZFP 423, che a sua volta controlla un altro fattore di trascrizione detto PPAR-g. Utilizzando 87 C. Gelmetti et al. topi con una mutazione in ZFP423 o inibendo PPAR-g è stata evidenziata la necessità dei due fattori nell’espansione degli adipociti cutanei in risposta ad infezione da MRSA. Si è visto inoltre che animali con adipogenesi non funzionante, non erano in grado di produrre catelicidina, uno specifico peptide antimicrobico attivo contro lo Staphylococcus aureus. Sarebbe quindi questa molecola la principale sostanza antistafilococco controllata dall’adipogenesi. Un altro studio ha poi valutato gli effetti di una dieta ricca di grassi sulla produzione di catelicidina, osservando un suo aumento ad opera degli adipociti proliferanti (Coimbra et al., 2013). Questo sembra in contrasto con l’associazione vista nell’uomo tra obesità e aumentato rischio di infezioni della pelle e dei tessuti molli, ma potrebbe essere spiegato da una difettosa produzione di AMP (Anti Microbial Peptides) da parte degli adipociti maturi. Inoltre la catelicidina, che ha anche una attività proinfiammatoria negli adipociti, potrebbe partecipare all’infiammazione cronica osservata nei soggetti obesi. La scoperta del ruolo degli adipociti nella produzione di catelicidina potrebbe fornire nuovi bersagli terapeutici specifici per incrementare la resistenza alle infezioni cutanee da Staphylococcus aureus. Possibile ruolo del DNA batterico nei pazienti con psoriasi in placca attiva La psoriasi è una malattia infiammatoria sistemica autoimmune, che ha alcuni aspetti in comune con altre patologie infiammatorie come il morbo di Crohn. La capacità di frammenti di DNA batterico di provocare una risposta immunologica sistemica nella malattia di Crohn e in altre condizioni è ben nota. Basandosi su questi presupposti, uno studio ha valutato la capacità di frammenti di DNA batterico (bactDNA) di agire da fattore scatenante nelle riaccensioni della malattia, nonostante che le emocolture siano per lo più negative nei pazienti con psoriasi. Lo studio ha preso in considerazione 54 pazienti psoriasici nei quali la malattia in precedenza era in remissione o controllata solo con terapia topica e che avevano avuto una riaccensione della malattia, e 27 controlli sani omogenei per età e razza. Sono stati analizzati i livelli di interleukina (IL) 1B, IL-6, IL-12, Tumor Necrosis Factor (TNF) e interferone g. È stata contemporaneamente effettuata una emocoltura. Frammenti di DNA batterico sono stati trovati nei campioni ematici di 16 pazienti con psoriasi in riaccensione (tutti con psoriasi in placca); mentre 6 pazienti con psoriasi guttata, 3 con psoriasi invertita e tutti i 27 controlli erano negativi per tale reperto (Ramirez-Boscá et al., 2015). L’identificazione della specie batterica del DNA corrispondeva a Escherichia coli (n = 9), Klebsiella pneumoniae (n = 2), Enterococcus faecalis (n = 2), Proteus mirabilis (n = 1), Streptococcus pyogenes (n = 1) e Shigella fresneli (n = 1), microbi corrispondenti alla flora che comunemente si 88 ritrova nel lume intestinale. Nel gruppo di pazienti con bactDNA si aveva un significativo incremento di IL 1b, IL-6, IL-12, TNF e interferone g; inoltre, i pazienti con presenza di bactDNA erano caratterizzati da maggior durata e insorgenza in età più precoce della malattia. Gli autori ipotizzano che il bactDNA trovato nei pazienti dello studio avesse origine dal lume intestinale, e che sia legato alla maggior permeabilità intestinale, che è stata riportata essere presente nei pazienti psoriasici. Lo studio suggerisce che vi sia un ruolo della traslocazione del DNA batterico nella psoriasi in placca in fase di riaccensione. Dermatite atopica (DA) Dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento Alcuni antigeni alimentari passano la barriera placentare e la pratica di evitare alcuni cibi in gravidanza e in allattamento e/o di imputare alla qualità del latte materno i disturbi del bambino è ancora molto sentita; le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Una revisione Cochrane ha preso in considerazione l’effetto della dieta materna di allontanamento di antigeni durante la gravidanza o l’allattamento sull’insorgenza di DA. In 5 studi su 952 donne in gravidanza, non è stato evidenziato effetto protettivo di tale dieta sull’insorgenza di DA nel bambini nei primi 18 mesi di vita; la dieta era associata a un lieve ma significativa riduzione dell’aumento di peso gestazionale (Kramer et al., 2014). L’effetto della dieta materna di allontanamento antigenico durante l’allattamento è invece stato valutato in 2 studi su 523 partecipanti: anche in questo caso non è stato evidenziato un effetto protettivo significativo sull’incidenza di eczema nei bambini durante i primi 18 mesi di vita, né sulla positività dei test epicutanei per uova, latte e arachidi a 1, 2, e 7 anni. Per contro, un piccolo studio crossover su 17 bambini allattati al seno con DA ha mostrato un riduzione non significativa della severità dell’eczema con la dieta materna di allontanamento antigenico. Gli autori della revisione concludono che la prescrizione di una tale dieta a donne in gravidanza o allattamento verisimilmente non influenza il decorso della DA. Integratori alimentari Il tentativo di influenzare l’andamento della DA con l’impiego di integratori alimentari continua ad essere in auge, spesso associato all’idea che a questi bambini “manchi qualcosa” e al timore degli effetti collaterali di steroidi e di inibitori della calcineurina. Una recente revisione Cochrane, che ha analizzato 11 studi riguardanti gli integratori alimentari per un totale di 596 partecipanti, non ha trovato evidenza convincente di beneficio sulla DA con la supplementazione di selenio, vitamina E, vitamina D, vitamina D + E, pi- Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti ridossina, zinco solfato, olio di olivello spinoso, olio di semi di canapa, olio di girasole, olio di pesce, acido docosaesanoico (DHA). Due piccoli studi con olio di pesce hanno suggerito un modesto beneficio, ma il disegno di tali studi era giudicato criticabile. Gli autori concludono che prima di cambiare la pratica clinica occorrono risultati positivi più convincenti derivanti da studi più ampi con protocolli meglio controllati, e al momento non vi è evidenza convincente del beneficio degli integratori alimentari in oggetto sull’andamento della DA (Bath-Hextall et al., 2012). Un analogo studio Cochrane ha analizzato 27 articoli per un totale di 1592 adulti e bambini con eczema che hanno assunto olio di borragine o di enotera vs placebo, concludendo che non è stato osservato alcun effetto sull’andamento della malattia e sulla qualità di vita (Bamford et al., 2013). Gli studi che hanno trovato una associazione tra deficit di vitamina D e malattie infiammatorie della cute, tra cui la DA sono tuttavia in aumento. Tale dato, seppure interessante, non è univoco, in quanto vi sono stati anche lavori che riferiscono di alti livelli di vitamina D associati a DA (Benson et al., 2012). Uno studio in doppio cieco contro placebo in 60 pazienti adolescenti e adulti con DA lieve ha mostrato che la supplementazione con 1600 IU al giorno di vitamina D ha migliorato la malattia (Amestejani et al., 2012). Probiotici e prebiotici nella terapia e nella prevenzione primaria della DA Il rapido aumento nell’uso dei probiotici e prebiotici in diversi campi della medicina negli ultimi anni ha confermato il loro profilo di sicurezza. Essi sono stati impiegati come modulatori della risposta immune in molte malattie infiammatorie, tra cui la DA. Gli studi che sembrano mostrare un ruolo promettente di alcuni probiotici nella terapia della DA sono numerosi, e prendono in considerazione diversi microorganismi, tra i quali Lactobacillus paracasei, L. plantarium, L. salivarius, L. brevis, Bifidobacterium lactis. La limitatezza numerica e l’eterogeneità dei trial, l’esistenza di ceppi diversi di probiotici, problemi di metodo di alcuni studi e la presenza di studi che non hanno confermato l’efficacia di tale terapia, rendono tuttavia i dati raccolti finora insufficienti per raggiungere l’evidenza. Uno studio in doppio cieco contro placebo con L. plantarium per 12 settimane in 83 bambini con DA, ha mostrato una riduzione dello SCORAD statisticamente significativa anche se modesta (Han et al., 2012). Tale dato non è stato confermato un uno studio successivo su 100 bambini con DA lieve e moderata; una miscela di probiotici tra cui L. plantarium somministrata per 6 settimane ha colonizzato con successo la mucosa intestinale nel gruppo dei pazienti trattati, ma non ha dimostrato, rispetto al placebo, un effetto terapeutico sullo score clinico della DA ed un effetto immunomodulatorio sulle cellule intestinali (Yang et al., 2014). Più omogenei sembrano essere gli studi su L. salivarius, da solo o associato a L. brevis (per ora solo su adulti). In uno studio controllato contro placebo, il L. salivarius è stato impiegato vs maltodestrina in 38 pazienti adulti con AD per 16 settimane. Nel gruppo dei pazienti trattati si è avuta una riduzione dello SCORAD e del DLQI (Dermatology Life Quality Index). Inoltre, 4 mesi dopo il trattamento, si è avuto un miglioramento del profilo Th1/Th2 e una riduzione dei ceppi di stafilococchi fecali (Drago et al., 2011). In uno studio su 48 pazienti adulti con DA trattati con L. salivarius + Bifidobacterium brevis per 12 settimane, si è avuto miglioramento clinico della DA, riduzione del rapporto Thelper/Treg senza riduzione del rapporto Th1/Th2 e riduzione della traslocazione microbica a livello della flora intestinale (Iemoli et al., 2012). Le ultime linee guida per il trattamento della DA dell’American Academy of Dermatology non raccomandano l’impiego di integratori alimentari, probiotici e prebiotici, assegnando a questo presidi un livello di evidenza III (Sidbury et al., 2014). Sembra invece ormai consolidato il ruolo dei probiotici nella prevenzione primaria della DA. Il primo studio randomizzato in doppio cieco che ha dimostrato l’efficacia dei probiotici sulla prevenzione primaria della DA risale al 2001; numerosi altri studi simili sono seguiti e diversi ceppi sono stati esaminati nel tempo. Una recente meta-analisi ha preso in considerazione 16 studi su diversi di ceppi di probiotici (sia lattobacilli che lattobacilli+bifidobatteri); gli autori concludono che i probiotici sembrano avere un ruolo nella prevenzione primaria della DA, con una riduzione dell’incidenza di circa il 20% quando somministrati sia nel periodo prenatale (alla mamma) che nel periodo postnatale, sia nella popolazione generale che nella popolazione a rischio; la somministrazione in età postnatale tuttavia non si è dimostrata protettiva (Panduru et al., 2015). Sicurezza d’uso di pimecrolimus Gli inibitori della calcineurina hanno ormai un ruolo ben stabilito per il controllo dell’infiammazione nei pazienti con dermatite atopica, in special modo per l’area del viso e del collo, zone dove il timore degli effetti collaterali degli steroidi è maggiore. Tuttavia, nelle avvertenze per l’impiego di tali molecole è presente, negli Stati Uniti, una “black box warning” (una avvertenza di speciale rilevanza) che riporta il potenziale rischio di linfomi o tumori cutanei associato all’uso locale di questi farmaci. Tale avvertenza deriva dall’analogia con gli inibitori della calcineurina usati per os nei trapianti d’organo e dalla presenza di segnalazioni dell’occorrenza di questi tumori in bambini che ne facevano uso. Un ampio studio longitudinale ha analizzato i casi di tumore in una coorte di 7457 bambini arruolati nel Pediatric Eczema Elective Registry (per un totale di 26.792 persone-anno) con storia di DA e uso di pimecrolimus (in media 793 g di pimecrolimus usato a paziente) confrontandoli con una popolazione omogenea. Non sono state trovate differenze statisticamente significative tra l’insorgenza di tumori nella 89 C. Gelmetti et al. popolazione trattata e il numero di tumori atteso nella popolazione confrontata. Gli autori, basandosi su più di 25.000 persone-anno al follow-up, concludono che è improbabile che il pimecrolimus, usato per via topica nel modo corretto per trattare la DA, sia associato ad un aumentato rischio di tumore (Margolis et al., 2015). Uno studio in aperto su 2.418 bambini durato 5 anni ha comparato efficacia e sicurezza di pimecrolimus e steroidi topici per il trattamento a lungo termine della DA lieve-moderata. Dopo 5 anni rispettivamente > 85% e il 95% dei pazienti trattati con pimecrolimus e steroidi hanno riportato un successo terapeutico. Il gruppo trattato con pimecrolimus ha richiesto un numero sostanzialmente inferiore di giorni di steroide (7 vs. 178). Il profilo e la frequenza degli effetti collaterali sono stati simili nei 2 gruppi, e non vi è stata evidenza di alterazione dell’immunità umorale o cellulo-mediata. Gli autori concludono che il trattamento a lungo termine della DA lieve-moderata può essere condotto con sicurezza sia con pimecrolimus che con steroide topico, senza rischi sull’immunità (Sigurgeirsson et al., 2015). Epidemia di malattia mani-piedibocca atipica da Coxsackie A6 La malattia “mani-piedi-bocca” è un comune esantema infantile sostenuto da Enterovirus e Coxsackie, il cui quadro clinico classico è ben noto, con l’insorgenza di lesioni ulcerative tipicamente dolenti al cavo orale, seguita dall’eruzione di lesioni vescicolari dalla caratteristica forma ovalare e dal bordo lillaceo con localizzazione limitata a mani e piedi non “a grappolo”. L’eruzione è spesso preceduta da prodromi modesti (febbricola, irritabilità, malessere con possibili sintomi gastrointestinali o respiratori). L’evoluzione vescico-crostosa delle lesioni cutanee si osserva raramente, e il decorso è verso la risoluzione completa in una settimana o poco più. La popolazione preferenzialmente colpita è rappresentata dai i bambini al di sotto dei 5 anni. Negli ultimi decenni sono state descritte epidemie a fine autunno ogni 3 anni circa; i virus più comunemente implicati erano Coxsackie A16 e Enterovirus 71, anche se sono state registrate in passato epidemie da Coxsackie A 4-7, A9 e B5. Recentemente è stata descritta una forma atipica della malattia, sostenuta da Coxsackie A6, con lesioni più estese e severe e durata più prolungata. I primi report di tale forma si sono avuti a Taiwan nel 2008, seguiti da casi in Finlandia nel 2010 e in Giappone nel 2011; negli Stati Uniti, nell’inverno 2011-2012 è stato emesso un report del CDC (Center for Disease Control) che segnalava 63 pazienti con malattia “atipica” o “severa” sostenuta da Coxsackie A6, allertando i sanitari sulla presenza di questa nuova forma clinica, che nonostante la presentazione inconsueta tende alla guarigione spontanea senza complicanze come la forma classica della malattia (CDC, 2012). La nuo90 va forma è stata successivamente osservata in molti altri paesi, e numerose segnalazioni sono apparse in letteratura (Lott et al., 2013; Feder et al., 2014). Un recente articolo descrive la tendenza di tale eruzione a presentarsi in modo particolarmente severo in soggetti affetti da dermatite atopica. Il lavoro descrive 80 casi di bambini da 4 mesi a 16 anni (età media: un anno e mezzo) nei quali l’eruzione ha interessato più del 10% della superficie cutanea, con tendenza delle lesioni a disseminarsi nelle zone di preesistente dermatite atopica. Gli autori hanno denominato questa forma particolare della malattia: “eczema coxsackium” (Mathes et al., 2013). La forma atipica della “mani-piedi-bocca” è diventata frequente anche nel nostro paese. A Milano abbiamo iniziato a registrare casi sporadici di coxackiosi atipica nell’autunno 2011, casi che sono divenuti via via più numerosi negli anni seguenti. Le caratteristiche dei pazienti che abbiamo osservato, analogamente quanto descritto in letteratura, sono così sintetizzabili: 1) interessamento della zona periorale e delle coane nasali con aspetto impetiginoide, soprattutto nei bambini di età < 3 anni (Fig. 1); 2) minore impegno del cavo orale e delle zone palmo-plantari e possibile interessamento faringeo con lesioni aftoidi; 3) presenza di lesioni papulovescicolari cutanee estese anche al di fuori delle sedi classiche, con più frequente evoluzione vescicocrostosa (Fig. 2); 4) decorso più impegnativo e prolungato; diversi casi anche tra gli adulti, possibile recidiva della malattia, verisimilmente legata a infezione con ceppi diversi. Tale quadro clinico può essere inizialmente di difficile interpretazione. In particolare, l’interessamento faringeo con lesioni aftoidi che interessano solo in minima parte il cavo orale entra in diagnosi differenziale con una faringite batterica; l’interessamento della zona periorale e delle coane nasali può venire facilmente interpretato come una impetigine o con lesioni erpetiche, l’eruzione cutanea può essere particolarmente estesa e poco riconoscibile, entrando in diagnosi differenziale con Figura 1. Un lattante affetto da “mani-piedi-bocca” atipica con interessamento della zona periorale e delle coane nasali con aspetto impetiginoide. Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti Trattamento delle verruche con sinecatechine per uso topico Figura 2. Un altro lattante affetto da “mani-piedi-bocca” atipica con lesioni crostose ematiche che si estendono agli arti inferiori sino ai glutei. l’impetiginizzazione di una dermatite preesistente, la varicella, le eruzioni da farmaco, l’eczema erpeticato. Infine, si ricorda che è stata segnalata ormai da tempo una onicomadesi postinfettiva “epidemica” associata alla coxsackiosi; tale fenomeno, osservato ampiamente anche nel nostro paese, è divenuto molto più frequente dopo l’emergenza del nuovo sierotipo della malattia. L’onicomadesi diviene visibile 30-40 giorni dopo la guarigione dalla fase acuta (prima alle mani e poi ai piedi a causa della differente rapidità di crescita della lamina ungueale), non appare correlata alla gravità dell’eruzione cutanea, ed è osservabile anche negli individui venuti a contatto coi pazienti affetti, ma che non avevano sviluppato sintomatologia cutaneo-mucosa, per verosimile decorso subclinico dell’infezione (Apalla et al., 2015). Il quadro clinico (Fig. 3) è caratterizzato da un solcatura trasversale della lamina ungueale (linea di Beau) che in molti casi porta all’interruzione completa della stessa (onicomadesi). Tale condizione non richiede trattamento e risolve spontaneamente con la progressiva sostituzione da parte della lamina nuova che cresce indenne sotto la lamina “vecchia” che viene man mano spostata in senso distale e alla fine cade spontaneamente. In questi casi la diagnosi differenziale, più che con un’onicomicosi, si pone con un’onicopatia traumatica, psoriasica o eczematosa. Le verruche virali sono proliferazioni benigne della cute e delle mucose causate dall’infezione da papillomavirus umani. Le verruche extragenitali, che interessano più comunemente mani e piedi ma che possono localizzarsi ovunque sulla cute, sono in genere asintomatiche, ma occasionalmente possono causare dolore o fastidiose alterazioni estetiche. Nonostante la risoluzione spontanea sia frequente, le verruche possono persistere per mesi e anni e rappresentare un problema terapeutico. I trattamenti più comuni comprendono la crioterapia e prodotti topici contenenti acido salicilico o miscele di acidi vari. I casi refrattari sono trattati con laser CO2, bleomicina intralesionale, 5-fluorouracile topico, imiquimod, terapia fotodinamica, elettrocoagulazione e cimetidina per via orale. Poiché le terapie proposte per trattare le verruche sono molto numerose e eterogenee, ma nessuna di esse raggiunge l’efficacia del 100%, l’aggiunta di un nuovo presidio terapeutico con una buon profilo di tollerabilità e sicurezza è senz’altro interessante. Un articolo assai recente presenta 2 casi di verruche cutanee refrattarie alla terapia, trattate con successo con una pomata contenente sinecatechine (Alcántara González et al., 2015). Le sinecatechine sono estratti di foglie di tè verde di Camelia sinensis. Impiegate nella terapia delle verruche genitali e perianali con una percentuale di successo tra il 45 e il 65%, sono in genere ben tollerate; il loro effetto collaterale più importante è la possibile irritazione locale. Il componente principale delle sinecatechine è rappresentato dai Figura 3. Due casi di onicomadesi e di linee di Beau ben evidenti su alcune unghie in due bambini dopo 1-2 mesi dalla “mani-piedi-bocca” atipica. 91 C. Gelmetti et al. polifenoli del tè, e in particolare dai flavonoidi, l’85% dei quali sono catechine. Le catechine si legano agli enzimi coinvolti nella produzione di mediatori dell’infiammazione, alle proteasi che promuovono l’invasione tumorale e alle chinasi coinvolte nel signaling delle cellule tumorali, nella modificazione del ciclo cellulare e nell’induzione della apoptosi. L’effetto terapeutico delle sinecatechine è stato attribuito alla loro attività immunomodulatoria, antiossidante e antitumorale. Il gallato di epigallocatechina è la principale sostanza contenuta nei prodotti commerciali, ed è la molecola con la maggiore attività di questo gruppo. Uso della dermatoscopia per la diagnosi di tinea capitis La diagnosi di tinea capitis tricofitica può non essere agevole, soprattutto in presenza di aree alopeciche modeste con desquamazione del cuoio capelluto. Il “gold standard” per la diagnosi consiste nell’effettuazione dell’esame micologico, diretto e colturale; tale esame tuttavia non è in genere facilmente e rapidamente disponibile. L’utilità dell’esame dermatoscopico nella diagnosi di tinea capitis è confermata in uno studio su 15 bambini con tinea capitis confermata e su 10 bambini con alopecia in chiazza di altra natura (Ekiz et al., 2014). Nel gruppo di pazienti con tigna, la dermatoscopia ha evidenziato la presenza di capelli distrofici nel 100% dei casi, di capelli a cavaturacciolo nel 80% dei casi e di capelli a virgola nel 100% dei casi (Fig. 4). Queste anomalie erano assenti nei pazienti con alopecia da altre cause. Questa serie sottolinea il ruolo della dermatoscopia, un esame non invasivo di facile accessibilità e con risultato immediato, nel depistaggio della tinea capitis quando il quadro clinico è dubbio, condizione molto frequente e di più facile riscontro nei pazienti con cute e capelli molto scuri o con particolari acconciature dei capelli. Approvazione del vaccino nonavalente per HPV e nuove raccomandazioni vaccinali Il 10 dicembre 2014 è stato approvato dalla Food and Drug Administration, l’uso del vaccino nonavalente per l’HPV (Gardasil 9, Merck and Co., Inc.). Nell’incontro del febbraio 2015, la commissione statunitense per le buone pratiche di immunizzazione (Advisory 92 Figura 4. Dermatoscopia di un caso di tigna in cui si vedono facilmente i capelli distrofici: sia quelli a cavaturacciolo, sia quelli a virgola. Committee on Immunization Practices) ha introdotto l’uso di tale vaccino nonavalente, insieme al vaccino tetravalente e a quello bivalente, come uno dei 3 tipi di vaccini che possono essere usati nella vaccinazione della popolazione, che è raccomandata all’età di 11 o 12 anni. Tale commissione ha aggiornato le indicazioni vaccinali, aggiungendo la raccomandazione anche per le femmine tra i 13 e i 21 anni se non sono state vaccinate in precedenza, per i maschi fino ai 26 anni che hanno rapporti sessuali con altri maschi e per i pazienti immunodepressi (inclusi i pazienti con HIV) che non sono stati vaccinati in precedenza (Petrosky et al., 2015). Il vaccino nonavalente per HPV è costituito da frammenti non infettivi similvirali, (viruslike particle = VLP) che includono gli HPV 6, 11, 16, and 18 come il vaccino quadrivalente, al quale sono stati aggiunti gli HPV 31, 33, 45, 52 e 58. Ricordiamo che il vaccino bivalente contiene solo VLP per gli HPV 16 e 18. Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti Box di orientamento • Cosa si sapeva prima Gli adipociti cutanei erano conosciuti per il loro ruolo meccanico e di riserva energetica mentre il ruolo delle infezioni nella psoriasi veniva imputato ad una somiglianza di alcuni epitopi tra capside dello streptococco e proteine cheratinocitarie. Nella dermatite atopica, da alcuni, si invocava la necessità di una dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento come pure l’utilità degli integratori alimentari e, più di recente della somministrazione di vitamina D, probiotici e prebiotici. Nonostante la mancanza di dati solidi, vi erano remore per l’uso degli inibitori topici della calcineurina. La malattia “mani-piedi-bocca” è stata sempre ritenuta un esantema molto modesto. Nel trattamento delle verruche prevalevano terapie fisiche e la dermatoscopia per la diagnosi di tinea capitis non era ipotizzata. Per l’infezione da HPV esisteva il vaccino bivalente e quadrivalente. • Cosa sappiamo adesso Gli adipociti cutanei sono utili anche nel mantenimento della funzione barriera dell’epidermide tramite il contrasto alle infezioni; nella psoriasi in placca attiva, i batteri potrebbero avere un ruolo diverso da quello infettivo. Nella dermatite atopica si smentisce l’utilità della dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento come pure l’uso degli integratori alimentari, mentre i dati sulla vitamina D, probiotici e prebiotici sono promettenti. Dati molto confortanti confermano la sicurezza del pimecrolimus. La malattia “manipiedi-bocca”, se causata da Coxsackie A6, può essere atipica e più aggressiva. Le sinecatechine per uso topico appaiono un trattamento non aggressivo delle verruche; la dermatoscopia può essere impiegata per la diagnosi di tinea capitis e la disponibilità del vaccino nonavalente per l’infezione da HPV amplia la prevenzione del tumori genitali. • Per la pratica clinica Nella dermatite atopica non appare utile né la dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento né l’impiego degli integratori alimentari mentre il beneficio dell’impiego della vitamina D, probiotici e prebiotici attende conferme. Una conferma importante è invece quella sulla sicurezza d’uso del pimecrolimus di cui si preconizza l’uso anche prima dei due anni di vita. Utile è sapere che la malattia “mani-piedi-bocca” può avere un decorso più severo e che si può tentare un trattamento non aggressivo delle verruche. La praticità della dermatoscopia nella diagnosi di tinea capitis e la disponibilità del vaccino nonavalente per l’infezione da HPV sono un chiaro vantaggio per la popolazione. Bibliografia Alcántara González J, Pérez Carmona L, Ruano del Salado M, et al. Verrugas extragenitales tratadas con sinecatequinas en pomada. Actas Dermosifiliogr 2015;106:139-40. Amestejani M, Salehi BS, Vasigh M, et al. Vitamin D supplementation in the treatment of atopic dermatitis: a clinical trial study. J Drugs Dermatol 2012;11:327-30. Apalla Z, Sotiriou E, Pikou O, et al. Onychomadesis after hand-foot-and-mouth disease outbreak in northern Greece: case series and brief review of the literature. Int J Dermatol 2015 Mar 13. doi: 10.1111/ ijd.12592 [Epub ahead of print]. ** Descrizione di un’epidemia di onicomadesi post “mani-piedi-bocca” in Grecia, con una buona revisione della letteratura sull’argomento. Bamford JT, Ray S, Musekiwa A, et al. Oral evening primrose oil and borage oil for eczema. Cochrane Database Syst Rev 2013;4:CD004416. Bath-Hextall FJ, Jenkinson C, Humphreys R, et al. Dietary supplements for established atopic eczema. Cochrane Database Syst Rev 2012;2:CD005205. Coimbra S, Catarino C, Santos-Silva A. The role of adipocytes in the modulation of iron metabolism in obesity. Obes Rev 2013;14:771-9. ** Una analisi rigorosa sull’argomento della supplementazione alimentare nella dermatite atopica. Drago L, Iemoli E, Rodighiero V, et al. Effects of Lactobacillus salivarius LS01 (DSM 22775) treatment on adult atopic dermatitis: a randomized placebo-controlled study. Int J Immunopathol Pharmacol 2011;24:1037-48. Benson AA, Toh JA, Vernon N, et al. The role of vitamin D in the immunopathogenesis of allergic skin diseases. Allergy 2012;67:296-301. Una interessante panoramica sugli effetti della vitamina D dalla prospettiva delle malattie dermatologiche. *** Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Notes from the field: severe hand, foot, and mouth disease associated with coxsackievirus A6 - Alabama, Connecticut, California, and Nevada, November 2011-February 2012. Morb Mortal Wkly Rep 2012;61:213-4. ** Il primo allarme ufficiale del CDC sulla nuova epidemia di “mani-piedi-bocca” in corso. Il primo degli studi italiani su L. salivarius, uno dei ceppi nuovi proposti per il trattamento della dermatite atopica. ** Ekiz O, Sen BB, Rifaioğlu EN, et al. Trichoscopy in paediatric patients with tinea capitis: a useful method to differentiate from alopecia areata. J Eur Acad Dermatol Venereol 2014;28:1255-8. Feder HM Jr, Bennett N, Modlin JF. Atypical hand, foot, and mouth disease: a vesiculobullous eruption caused by Coxsackie virus A6. Lancet Infect Dis 2014;14:83-6. Han Y, Kim B, Ban J, et al. A randomized trial of Lactobacillus plantarum CJLP133 93 C. Gelmetti et al. for the treatment of atopic dermatitis. Pediatr Allergy Immunol 2012;23:667-73. findings in an enterovirus outbreak. Pediatrics 2013;132:e149-57. pies and approaches. J Am Acad Dermatol 2014;71:1218-33. Kramer MS, Kakuma R. Cochrane in context: Maternal dietary antigen avoidance during pregnancy or lactation, or both, for preventing or treating atopic disease in the child. Evid Based Child Health 2014;9:484-5. *** Casistica ampia, con un’ottima descrizione clinica della nuova forma, e focus sulla sua particolare severità nei bambini con dermatite atopica. *** La quarta sezione di una esaustiva trattazione sugli aspetti terapeutici della dermatite atopica condotta dai maggiori esperti internazionali. Panduru M, Panduru NM, Sălăvăstru CM, et al. Probiotics and primary prevention of atopic dermatitis: a meta-analysis of randomized controlled studies. Eur Acad Dermatol Venereol 2015;29:232-42. Sigurgeirsson B, Boznanski A, Todd G, et al. Safety and efficacy of pimecrolimus in atopic dermatitis: a 5-Year Randomized Trial. Pediatrics 2015;135:597-606. Il punto di vista della medicina basata sulle evidenze sull’argomento, ancora attuale, della dieta nella dermatite atopica. *** Iemoli E, Trabattoni D, Parisotto S, et al. Probiotics reduce gut microbial translocation and improve adult atopic dermatitis. J Clin Gastroenterol 2012;46(Suppl):S33-40. Lott JP, Liu K, Landry ML, et al. Atypical hand-foot-and-mouth disease associated with coxsackievirus A6 infection. J Am Acad Dermatol 2013;69:736-41. Margolis DJ, Abuabara K, Hoffstad OJ, et al. Association between malignancy and topical use of pimecrolimus. JAMA Dermatol 2015 Feb 18. doi: 10.1001/jamadermatol.2014.4305 [Epub ahead of print]. Mathes EF, Oza V, Frieden IJ, et al. “Eczema coxsackium” and unusual cutaneous Petrosky E, Bocchini JA Jr, Hariri S, et al. Use of 9-Valent Human Papillomavirus (HPV) Vaccine: Updated HPV Vaccination Recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices. Morb Mortal Wkly Rep 2015;64:300-4. Ramírez-Boscá A, Navarro-López V, Martínez-Andrés A, et al. Identification of bacterial DNA in the peripheral blood of patients with active psoriasis. JAMA Dermatol 2015 Mar 11. doi: 10.1001/jamadermatol.2014.5585 [Epub ahead of print]. Sidbury R, Tom WL, Bergman JN, et al. Guidelines of care for the management of atopic dermatitis: Section 4. Prevention of disease flares and use of adjunctive thera- *** Lo studio che è durato più tempo e col maggior numero di pazienti affetti da dermatite atopica e trattati con un inibitore topico della calcineurina. Yang HJ, Min TK, Lee HW, et al. Efficacy of probiotic therapy on atopic dermatitis in children: A Randomized, Double-blind, Placebo-controlled Trial. Allergy Asthma Immunol Res 2014;6:208-15. ** Uno studio ben condotto che non evidenzia efficacia dei probiotici nella dermatite atopica. Zhang LJ, Guerrero-Juarez CF, Hata T, et al. Innate immunity. Dermal adipocytes protect against invasive Staphylococcus aureus skin infection. Science 2015;347:67-71. Corrispondenza Carlo Gelmetti Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti della Università di Milano, IRCCS “Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico”, via Pace 9, 20122 Milano - E-mail: [email protected] 94 Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 95-101 Dermatologia pediatrica Anomalie vascolari in età pediatrica: nuove indicazioni terapeutiche, vecchi farmaci Pietro Dalmonte Nadia Vercellino U.O. Centro Angiomi, Dipartimento Cardio-ToracoAddominale “Istituto Giannina Gaslini”, Genova Le anomalie vascolari sono lesioni eterogenee che possono interessare tutti i tessuti. La potenziale aggressività di queste lesioni pone spesso indicazione a trattamenti terapeutici in età precoce, anche quando sono ancora asintomatiche. Le malformazioni vascolari circoscritte sono suscettibili di trattamenti terapeutici mirati convenzionali (chirurgia, scleroembolizzazione, laser), in genere con risultati favorevoli, mentre per le forme estese e complicate le possibilità terapeutiche sono sempre state poco soddisfacenti. Negli ultimi anni è diventato sempre più frequente l’utilizzo di farmaci immunomodulatori, già noti da tempo per altre patologie di tipo tumorale o nei trapianti d’organo, per il trattamento in forma sperimentale delle malformazioni vascolari complesse. Il principio è stato quello di utilizzare vecchi farmaci che hanno dimostrato avere anche proprietà antiangiogenetiche. Fra questi, certamente uno dei più promettenti è la rapamicina (sirolimus), che trova oggi indicazione, sebbene in forma sperimentale, nel trattamento delle malformazioni venose e linfatiche complesse, refrattarie alle terapie convenzionali e ad evoluzione invalidante o a rischio di vita. Sono in atto studi clinici estesi su questa ed altre terapie farmacologiche, che, tuttavia, sono ormai ampiamente utilizzate, con ottica multidisciplinare, presso le strutture di riferimento dedite alla cura delle anomalie vascolari. Il propranololo, invece, è ormai entrato nella comune pratica clinica per la cura degli emangiomi infantili ed è già stato registrato sia dalla FDA che dall’EMA. Riassunto Vascular anomalies are heterogeneous and evolutive lesions that can affect all tissues.The potential aggressive nature of these lesions often raises indication in therapeutic treatments at an early age, even when children are still asymptomatic. Localized vascular malformations are susceptible to conventional therapeutic treatments (surgery, sclerotherapy, embolization, laser), usually with favorable results, while for extensive and complicated vascular diseases therapeutic possibilities have always been empirical and not satisfactory. In recent years it has become more and more evident of the use of immunomodulatory drugs, introduced years ago for other diseases like cancer or organ transplants, and now also used as an experimental therapy for complex vascular anomalies because of their antiangiogenic properties. Among these, certainly one of the most promising is rapamycin (sirolimus). It finds indication in the treatment of disabling or life-threatening venous and lymphatic malformations refractory to conventional therapies. Clinical trials are underway on rapamicyn and other drug therapies. Propranolol, at opposite, is now commonly used for the treatment of infantile hemangiomas and it has been already approved both by FDA and EMA. Summary Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca degli articoli rilevanti più recente è stata ef- fettuata sul motore di ricerca PubMed, utilizzando le parole chiave: “angiogenesis, vascular malformations, rapamicyn, lymphatic malformations, vascular anomalies”. Sono stati inclusi solo gli articoli in lingua inglese. 95 P. Dalmonte, N. Vercellino Introduzione La classificazione dell’International Society for the Study of Vascular Anomalies (ISSVA), recentemente rivista ed aggiornata in occasione del Convegno internazionale di Melbourne dell’Aprile 2014, conferma la suddivisione delle anomalie vascolari in due grandi gruppi: i tumori vascolari e le malformazioni vascolari, secondo quanto proposto in origine da Mulliken (Mulliken e Glowacki, 1982; Marler e Mulliken, 2001). I tumori vascolari sono lesioni di tipo proliferativo e comprendono le forme benigne (di cui in assoluto la più frequente è l’emangioma infantile), quelle ad aggressività locale (di cui la forma più frequente è l’emangioendotelioma con consumo piastrinico) e quelle maligne (angiosarcomi). Le malformazioni vascolari sono invece suddivise sulla base del pattern istologico in forme semplici (arteriose, venose, capillari, linfatiche) oppure combinate (Tab. I). (Dasgupta e Fishman, 2014) (Bruder et al., 2009). L’uso di una comune nomenclatura ed il riferimento ad una classificazione riconosciuta a livello internazionale garantiscono la correttezza del percorso diagnostico e delle successive terapie. L’utilizzo di nomenclature e classificazioni non corrette è causa di diagnosi improprie, prognosi inaccurate e, soprattutto, trattamenti terapeutici inappropriati. La terapia farmacologica delle anomalie vascolari Nell’ambito delle lesioni proliferative, esistono terapie farmacologiche ormai consolidate, alcune da decenni (Marler e Mulliken, 2005). In particolare, per gli eman- giomi infantili, è stato utilizzato per oltre trent’anni il cortisone, sfruttandone le caratteristiche antiangiogenetiche capaci di arrestarne la fase proliferativa nei primi mesi di vita, con una percentuale di successo attorno al 75% (Enjolras, 1997). Per le forme tumorali a maggiore aggressività, sono stati utilizzati i chemioterapici (la vincristina è il farmaco di prima scelta) con ottimi risultati (Wang e Li, 2015; Margolin et al., 2014; Jahnel et al., 2012; Tlougan et al., 2013). Negli ultimi anni, la terapia cortisonica dell’emangioma infantile è tramontata, definitivamente sostituita dal propranololo, farmaco beta-bloccante di prima generazione che si è rivelato capace di arrestare la fase proliferativa ed indurre una rapida involuzione dell’emangioma infantile, con una percentuale di successo superiore al 95%. Il propranololo oggi rappresenta la terapia farmacologica di prima scelta per questi tumori vascolari (Léauté-Labrèze et al., 2015; Solman et al., 2014; Luo et al., 2015) (Tab. II) 1. Mentre storicamente il trattamento medico delle anomalie vascolari è stato piuttosto empirico, i recenti progressi della genetica molecolare e della biologia cellulare hanno aperto la strada all’applicazione della farmacologia anche al campo delle malformazioni vascolari, ed è apparso nella letteratura medica internazionale un numero progressivamente crescente di articoli relativi all’argomento. Tradizionalmente, le malformazioni vascolari sono trattate con procedure di scleroterapia (malformazioni venose e/o linfatiche), embolizzazione arteriosa (malformazioni artero-venose), escissione chirurgica (Hammill et al., 2011; Lee et al., 2014). I farmaci chiamati in causa nel campo malformativo vascolare sono farmaci immunomodulatori, non di nuova generazione, ma già utilizzati da molti anni per altre patologie e dei quali è nota Tabella I. Classificazione ISSVA (International Society for the Study of Vascular Anomalies) delle Anomalie Vascolari) – Revisione al Convegno ISSVA di Melbourne, Aprile 2014. TUMORI VASCOLARI Benigni Ad aggressività locale Maligni MALFORMAZIONI VASCOLARI Comuni Combinate Vasi maggiori Associate ad altre anomalie Capillari MCVL Arteriose SKT Linfatiche MLV Venose SSW Venose MVL Linfatiche SPW MAV MCAV Fistole AV MCLAV S. Maffucci S. Proteus S. CLOVES MCVL: malformazione capillaro-veno-linfatica; MLV: malformazione linfatico-venosa; MVL: malformazione veno-linfatica; MCAV: malformazione capillaro-artero-venosa; MCLAV: malformazione capillaro-linfatico-artero-venosa; SKT: Sindrome di Klippel-Trenaunay; SSW: Sindrome di Sturge-Weber; SPW: Sindrome di Parkes-Weber; CLOVES: acronimo per: Congenital, Lipomatous, Overgrowth, Vascular Malformations, Epidermal Nevi, Spinal/Skeletal Anomalies e/o Scoliosis. 1 96 Il propranololo fu registrato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1967. Il farmaco, in forma di sciroppo ad uso pediatrico, è stato commercializzato negli USA nel marzo 2014 (col nome di Hemangeol®) ed in Francia nel aprile 2014 (col nome di Hemangiol®) ma non è ancora in commercio in Italia, per cui la prescrizione è ancora per poco off-label con preparazione galenica. Nel nostro Paese la disponibilità dovrebbe esserci a partire dai prossimi mesi. Anomalie vascolari: nuove indicazioni, vecchi farmaci Tabella II. Propranololo. Il propranololo (P.) è il farmaco di prima scelta per il trattamento degli Emangiomi Infantili. Il propranololo (P.) è un antagonista beta adrenergico non selettivo. Sembra agire attraverso un’azione vasocostrittrice o antiangiogenetica o un’azione di inibizione del VEGF e del bFGF o all’induzione di apoptosi dell’endotelio. Le controindicazioni al P. sono: asma o storia di broncospasmo, ipotensione, peso inferiore ai 2 kg, ipersensibilità nota al P. o ai suoi eccipienti, alcune patologie cardiache (blocco A/V di II e III, l’insufficienza cardiaca scompensata) ed il feocromocitoma. Timing, dose e follow-up del trattamento • Una valutazione cardiologica con ECG va eseguita per ottenere il nulla osta al trattamento. • Il trattamento, qualora indicato, deve essere avviato il prima possibile, preferibilmente tra la 5° settimana ed il 5° mese di vita. • Il trattamento deve essere iniziato in ambiente esperto e protetto. • Nei bambini ad alto rischio (età corretta inferiore alle 5 settimane, comorbidità cardiovascolare o respiratoria o del metabolismo glucidico, inadeguato supporto sociale), la terapia deve essere iniziata in regime di degenza. In tutti gli altri casi la cura può essere iniziata in regime di DH con monitoraggio dei parametri vitali e della glicemia. • La dose del farmaco è di 2-3 mg/kg/die suddivise in 2 somministrazioni per 6 mesi. Tale dose può essere preceduta da un periodo di trattamento di una settimana a metà dosaggio. Invece la fine del trattamento non richiede gradualità. • È raccomandato un monitoraggio mensile per la sorveglianza di eventuali effetti collaterali con valutazione clinica e documentazione fotografica, controllo del peso, misurazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. • Ad ogni visita di controllo è raccomandato: 1. investigare eventuali sintomi respiratori quali la tosse, sibili, stridore. 2. controllo della glicemia in caso di insorgenza di sudorazione anomala, irritabilità, malessere. Il riscontro di tali sintomi deve indurre alla sospensione transitoria del trattamento. • Una ulteriore valutazione cardiologica è richiesta in caso di bradicardia (< 70 bpm; < 80 in neonati) o di ipotensione (< 50/30 mmHg) o in caso di presenza o storia di aritmia/cardiopatia o di storia materna di connettivopatia. • In caso di procedure diagnostico/terapeutiche che richiedono il digiuno è indicata la sospensione della terapia o, se ciò non fosse possibile, la somministrazione di glucosata per via e.v. • Il P. non richiede modifica nel calendario vaccinale. • In caso di recidiva è possibile effettuare un nuovo ciclo di terapia. È raccomandata un’opportuna educazione dei genitori o dei caregiver per la somministrazione del farmaco e per la sorveglianza di possibili effetti collaterali. la potenzialità anti-angiogenetica (Margolin et al., 2014). Oggi sappiamo che anche le malformazioni vascolari hanno potenzialità proliferativa che si attivano in occasione di traumi, infezioni e variazioni ormonali. In particolare, le malformazioni vascolari che non interessano i grandi vasi, definite extratronculari, rappresentano residui embrionari dovuti ad arresto di sviluppo nelle fasi precoci dell’embriogenesi. Si tratta di tessuto vascolare “immaturo”, con caratteristiche cellulari di tipo mesenchimale, che conserva la potenzialità di crescita se stimolato (ad esempio in occasione di menarca, gravidanza, terapie ormonali, traumi, infezioni, interventi chirurgici). In sintesi, possiamo affermare che le malformazioni vascolari (capillari, ma soprattutto quelle linfatiche, venose ed artero-venose) tendono ad accrescersi nel tempo, infiltrando i tessuti e causando distorsioni, ostruzioni o compressioni vasculo-nervose e sulle vie aeree, gravi problematiche estetiche e problemi funzionali in genere (Hassanein et al., 2012). In una recente revisione di queste opzioni terapeutiche, sono stati identificati oltre 20 farmaci utilizzati. Nella Tabella III sono riportati i farmaci utilizzati nelle malformazioni vascolari, con indicazione del loro meccanismo d’azione ed i livelli di evidenza. Sono comunque necessari studi clinici randomizzati multicentrici e con numeri più consistenti per provare l’efficacia di queste nuove terapie (Blatt et al., 2013). D’altra parte, l’osservazione clinica ed il riproporre vecchi farmaci (vecchi farmaci per nuove indicazioni) sono stati, in passato anche recente, mezzi potenti per individuare nuove terapie per i tumori vascolari; ora si fa lo stesso per le malformazioni (Blatt et al., 2013). La terapia con rapamicina delle malformazioni vascolari Tra i nuovi farmaci riportati in Tabella III, uno dei più promettenti ed all’attenzione internazionale è la rapamicina, anche comunemente nota come sirolimus (Rössler et al., 2014). 97 P. Dalmonte, N. Vercellino Tabella III. Terapie farmacologiche “off-label” utilizzate nel trattamento delle anomalie vascolari. Farmaco Anomalia Vascolare Meccanismo d’azione Livello di Evidenza Propranololo Emangioma infantile beta-bloccante R EK, tufted angioma antagonista VEGF S Linfangiomatosi vasocostrittore C antiangiogenico Rapamicina (sirolimus) Amartoma (PTEN mutations) mTOR-inibitore C ML e MV antagonista VEGF rs Linfangiomatosi generalizzata apoptosi C Linfangiomatosi ossea C EK con SKM C Malformazioni capillari C MV intestinali (BRBNS) C Talidomide MAV intestinale antagonista FGF R Doxiciclina MAV del SNC inibitore VEGF2 S Emangioma infantile antagonista VEGF S TEE Bevacizumab S MAV in TEE S Emangioblastoma del SNC S Marimastat MAV inibitori MMP C Imiquimod Emangioma infantile inibitori MMP rs Octeotride MV intestinali analogo somatostatina S ML intestinali antagonista VEGF S ML micro e macrocistiche inibitore fosfodiesterasi C ML dell’osso (S. di Gorham) ignoto S MC Sildenafil Bifosfonati (acido zoloedronico, pamidronato) C R: randomized clinical trial; S: single arm clinical trial; sr: serie retrospettiva, > 5 casi con dimostrata efficacia: C ≤ 5 casi con dimostrata efficacia; EK con SKM: Emangioendotelioma kaposiforme con fenomeno/sindrome di Kasabach-Merritt; BRBNS: Blue Rubber Bleb Nevus Syndrome; FGF: fattore di crescita dei fibroblasti; MAV: Malformazione artero-venosa; MC: Malformazione capillare; ML: malformazione linfatica; MMP: metallo proteinasi; MV: malformazione venosa; PTEN (phosphatases and tensin homolog): SNC: sistema nervoso centrale; TEE: Telengectasia emorragico-ereditaria; VEGF: fattore di crescita vascolare dell’endotelio. Si tratta di un antibiotico macrolide prodotto da un batterio (Streptomyces hygroscopicus) estratto dalla radice delle rape, originariamente introdotto per il trattamento del rigetto dei trapianti d’organo (in particolare di rene); il farmaco è comunemente noto agli oncologi come “mTOR”-inibitore. L’acronimo “mTOR” sta per “mammalian Target Of Rapamycin”, vale a dire “bersaglio della rapamicina nei mammiferi”. Più precisamente, l’“mTOR” è una protein-chinasi che regola la crescita, la proliferazione, la motilità e la sopravvivenza delle cellule, la sintesi proteica e la trascrizione (Thomson e Woo, 1989; Sehgal, 1995). Poiché l’“mTOR” interagisce con diverse vie che portano alla neoangiogenesi, si è ipotizzato che uno dei suoi inibitori (sono noti diversi farmaci tumorali di questo tipo), il sirolimus, avrebbe proprietà antiangiogenetiche (prevalentemente di tipo anti-linfangiogeneti98 co). Proprio per tali proprietà, il sirolimus si utilizza anche negli stent coronarici a rilascio di farmaco Tali proprietà antiangiogenetiche, sebbene più specifiche per i tessuti linfatici, sembrano avere effetti favorevoli anche nelle malformazioni vascolari a prevalenza venosa. La terapia è riservata alle malformazioni vascolari estese ed evolutive, soprattutto a localizzazione viscerale ed ossea, nelle quali hanno fallito o non trovano indicazione le più standardizzate procedure terapeutiche (chirurgia, laser, scleroterapia, embolizzazione). Il farmaco necessita di essere integrato con terapie anticoagulanti, profilassi antibiotica, farmaci analgesici ed antiflogistici e richiede adeguato monitoraggio dei potenziali effetti collaterali e dell’andamento clinico. La gestione ottimale di questa terapia è di tipo Anomalie vascolari: nuove indicazioni, vecchi farmaci multidisciplinare e va effettuata utilizzando protocolli operativi specifici e condivisi (Rössler et al., 2014). Nella Tabella III sono riportate le indicazioni attuali all’impiego della rapamicina come risultano dalla letteratura medica internazionale. Tra le indicazioni riportate in letteratura, è particolarmente interessante l’anomalia linfatica generalizzata o linfangiomatosi, malformazione diffusa ed evolutiva a carattere invalidante e spesso letale, che può coinvolgere mediastino, polmoni, retroperitoneo, milza, ossa, tessuti molli e cute, e che si complica con chilotorace recidivante nel 40-50% dei casi. La terapia con rapamicina sembra stabilizzare e migliorare il quadro clinico e ridurre l’entità dei versamenti pleurici chilosi (Wang et al., 2015). Nel 2012 è stata riportata la prima segnalazione di esito favorevole del sirolimus in un caso di malformazione venosa diffusa cutanea ed intestinale, complicata da frequenti enterroragie nell’ambito della Blue Rubber Bleb Nevus Syndrome. In questo paziente la terapia ha ridotto rapidamente il volume delle localizzazioni malformative ed arrestato completamente il sanguinamento di quelle intestinali (Yuksekkaya et al., 2012). Altri report hanno documentato l’esito favorevole della terapia nelle localizzazioni cutanee e gastrointestinali della teleangectasia emorragico-ereditaria (Skaro et al., 2006). Un’altra recente segnalazione è il trattamento di una malformazione venolinfatica periorbitaria ad elevato rischio di ambliopia in un neonato; in questo caso, tuttavia, si segnala la recidiva della lesione a distanza di qualche mese dalla sospensione del farmaco (Kim et al., 2015). Nel 2011, Hammill ha riportato la risposta favorevole al sirolimus in 6 pazienti con anomalie vascolari responsabili di prognosi infausta e refrattarie ad altre terapie; il farmaco è stato utilizzato in questa serie a scopo compassionevole. La diagnosi è stata di emangioendotelioma kaposiforme con sequestro piastrinico in 1 caso, malformazione linfatica microcistica con interes- samento osseo e pleurico in 4 casi, e malformazione combinata diffusa capillaro-linfatico-venosa in 1 caso. A seguito di questa esperienza, Hammill e Colleghi hanno evidenziato la necessità di una sperimentazione clinica con sirolimus in pazienti con anomalie vascolari, ed hanno avviato uno studio clinico di fase 2 (studio clinico governativo NCT00975819). Questi Autori sottolineano anche l’importanza di studi clinici per definire la dose massima tollerata, la dose minima necessaria per l’efficacia e la necessità di stabilire protocolli operativi per il monitoraggio della sicurezza (Hammill et al., 2011). Considerazioni e conclusioni Quando si utilizza il sirolimus per il trattamento delle malformazioni vascolari, ci si devono porre molti quesiti. Data l’eterogeneità e la complessità delle lesioni, è probabile che non tutti i pazienti risponderanno con esito favorevole. Inoltre, non è chiaro se l’indicazione alla terapia dovrebbe riguardare soltanto le malformazioni vascolari complesse a predominanza linfatica. Esistono poi interrogativi relativi alla durata della terapia, rischio di recidiva alla sospensione del farmaco, dose appropriata. Un altro interrogativo riguarda la maggiore o minore efficacia del sirolimus in monoterapia o in abbinamento a corticosteroidi o ad altre terapie. Inoltre, non sappiamo ancora se l’inibizione della via enzimatica nota come “mTOR” possa causare la deregolazione di altri percorsi enzimatici. Ed esistono anche incognite circa gli effetti a lungo termine del sirolimus in età pediatrica; ad esempio, va chiarito se esiste il rischio di compromissione dell’angiogenesi a livello delle cartilagini di accrescimento in età pediatrica (Trenor, 2011). Si auspica che le risposte a questi ed altri interrogativi possano emergere dallo studio clinico governativo americano effettuato presso il Children’s Hospital Medical Center di Cincinnati in USA, che si è recentemente concluso e di cui si attende l’esito. Tabella IV. Terapia farmacologica con rapamicina delle anomale vascolari complesse. Indicazioni e criteri di inclusione. Indicazioni Emangioendotelioma kaposiforme con SKM Tufted Angioma con SKM Malformazione capillaro-veno-linfatica Malformazione veno-linfatica Malformazione linfatica microcistica Criteri di inclusione Piastrinopenia Piastrinopenia Coagulopatia da consumo Dolore cronico Interessamento viscerale Linfangiomatosi multifocale Interessamento osseo Malformazione capillaro-linfatica-artero-venosa Complicanza ulcerativa PTEN Overgrowth Syndrome con anomalie vascolari Disfunzione cardiaca Sindromi linfangectasiche SKM: Sindrome di Kasabach-Merritt. 99 P. Dalmonte, N. Vercellino Il trial è intitolato “A Phase 2 Study - Clinical Trial Assessing Efficacy and Safety of the mTOR inhibitor sirolimus in the treatment of complicated vascular anomalies”. È iniziato nel Settembre 2009 e si è concluso nel Febbraio 2015 sotto l’egida della “Food and Drug Administration”. L’obiettivo primario è quello di determinare efficacia e sicurezza dell’impiego del sirolimus nel bambino e nel giovane adulto. I criteri di inclusione sono gli stessi di quelli riportati nella Tabella IV. In attesa di risposte, è giustificato l’utilizzo di terapie farmacologiche sperimentali nelle malformazioni va- scolari complesse refrattarie alle terapie convenzionali; l’evidenza di risultati favorevoli, a fronte di una prognosi altrimenti infausta, sopravanza il rischio della terapia sperimentale. Nel frattempo, i progressi della genetica molecolare stanno aprendo la strada alla comprensione dell’intima genesi delle anomalie vascolari, ed oggi sono stati identificati molti geni nei quali le mutazioni provocano forme recessive e dominanti di queste malattie. Da questi progressi potranno presto derivare terapie innovative su basi razionali. Box di orientamento • Cosa sapevamo prima Le malformazioni vascolari sono lesioni ubiquitarie che possono presentarsi in forma diffusa interessando tessuti molli, ossa e visceri. Per molto tempo si è detto che non esistono terapie farmacologiche per le malformazioni vascolari, mentre esistono per i tumori vascolari. Nelle malformazioni vascolari invalidanti e a rischio di vita, la terapia è sempre stata fino ad oggi piuttosto empirica, per lo più sintomatica e palliativa, con risultati scarsi e senza prospettive per il paziente. • Cosa sappiamo adesso Le malformazioni vascolari hanno tendenza evolutiva nel tempo e potenzialità proliferativa; quest’ultima si attiva in occasione di traumi, infezioni, variazioni ormonali. Negli ultimi anni sono state applicate in forma sperimentale nuove terapie farmacologiche per il trattamento delle malformazioni vascolari complesse, invalidanti ed a rischio di vita, utilizzando farmaci noti da tempo e con altre indicazioni, che hanno dimostrato avere anche proprietà antiangiogenetiche. Fra questi, certamente il più interessante sembra essere la rapamicina (sirolimus), che ha fornito risultati molto promettenti per il trattamento delle malformazioni venose e linfatiche refrattarie alle terapie convenzionali. Gli studi clinici sono ancora nella fase sperimentale. • Per la pratica clinica Le malformazioni vascolari complesse, sintomatiche ed invalidanti, refrattarie a terapia medica, possono giovarsi di nuove terapie farmacologiche, di cui la rapamicina sembra essere la più promettente. Queste terapie vanno gestite in ottica multidisciplinare presso strutture di riferimento dedite alla cura delle anomalie vascolari. Bibliografia Blatt J, McLean TW, Castellino SM, et al. A review of contemporary options for medical management of hemangiomas, other vascular tumors, and vascular malformations. Pharmacol Ther 2013;139:327-33. Si tratta di una revisione recente e completa delle terapie farmacologiche attuali nel trattamento di tumori e malformazioni vascolari, con particolare riferimento a quelle off-label e con livelli di evidenza. ** Bruder E, Perez-Atayde AR, Jundt G, et al. Vascular lesions of bone in children, adolescents, and young adults. A clinicopathologic reappraisal and application of the ISSVA classification. Virchows Arch 2009;454:161-79. Dasgupta R, Fishman SJ. ISSVA classification. Semin Pediatr Surg 2014;23:158-61. 100 Enjolras O. Management of hemangiomas. Dermatol Nurs 1997;9:11-7. Review. * Rappresenta una revisione completa del trattamento con corticosteroidi degli emangiomi infantili prima dell’avvento della terapia con propranololo. Hammill AM, Wentzel M, Gupta A, et al. Sirolimus for the treatment of complicated vascular anomalies in children. Pediatr Blood Cancer 2011;57:1018-24. Riporta una casistica di 6 pazienti affetti da anomalie vascolari complesse trattati con terapia orale con rapamicina ad esito favorevole. Riporta interessanti considerazioni sui quesiti ancora da chiarire legati a questa terapia. ** Hassanein AH, Mulliken JB, Fishman SJ, et al. Venous malformation: risk of progression during childhood and adolescence. Ann Plast Surg 2012;68:198-201. Hassanein AH, Mulliken JB, Fishman SJ, et al. Lymphatic malformation: risk of progression during childhood and adolescence. J Craniofac Surg 2012;23:149-52. Jahnel J, Lackner H, Reiterer F, et al. Kaposiform hemangioendothelioma with Kasabach-Merritt phenomenon: from vincristine to sirolimus. Klin Padiatr 2012;224:395-7. Kim D, Benjamin L, Wysong A, et al. Treatment of complex periorbital venolymphatic malformation in a neonate with a combination therapy of sirolimus and prednisolone. Dermatol Ther 2015 Mar 5. doi: 10.1111/dth.12208 [Epub ahead of print]. Léauté-Labrèze C, Hoeger P, MazereeuwHautier J, et al. A randomized, controlled trial of oral propranolol in infantile hemangioma. N Engl J Med 2015;372:735-46. ** Rappresenta lo studio recente più importante in letteratura relativo ai risultati Anomalie vascolari: nuove indicazioni, vecchi farmaci della terapia orale con propranololo nel primo anno di vita degli emangiomi infantili. cazione ha ricevuto consenso internazionale ed è tuttora riconosciuta. Lee BB, Antignani PL, Baraldini V, et al. ISVI-IUA consensus document - diagnostic guidelines on vascular anomalies: vascular malformations and hemangiomas. Int Angiol 2014 Oct 6. [Epub ahead of print]. Rössler J, Braunschweiger F, Schill T. Medication-based therapy of infantile hemangioma and lymphatic malformations. HNO 2014;62:12-8. Luo Y, Zeng Y, Zhou B, et al. A retrospective study of propranolol therapy in 635 infants with infantile hemangioma. Pediatr Dermatol 2015;32:151-2. * Presenta un’ampia casistica sulla terapia medica con propranololo dell’emangioma infantile. Margolin JF, Soni HM, Pimpalwar S. Medical therapy for pediatric vascular anomalies. Semin Plast Surg 2014;28:79-86. Marler JJ, Mulliken JB. Vascular anomalies: classification, diagnosis, and natural history. Facial Plast Surg Clin North Am 2001;9:495-504. Review. Marler JJ, Mulliken JB. Current management of hemangiomas and vascular malformations. Clin Plast Surg 2005;32:99116, ix. Review. Mulliken JB, Glowacki J. Classification of pediatric vascular lesions. Plast Reconstr Surg 1982;70:120-1. * Rappresenta la prima classificazione biologica delle anomalie vascolari in tumori e malformazioni vascolari; questa classifi- Sehgal SN. Rapamune (Sirolimus, rapamycin): an overview and mechanism of action. Ther Drug Monit 1995;17:660. Skaro AI, Marotta PJ, McAlister VC. Regression of cutaneous and gastrointestinal telangiectasia with sirolimus and aspirin in a patient with hereditary hemorrhagic telangiectasia. Ann Intern Med 2006;144:226-7. Trenor CC 3rd. Sirolimus for refractory vascular anomalies. Pediatr Blood Cancer 2011;57. Revisione critica della terapia con sirolimus delle anomale vascolari. ** Yuksekkaya H, Ozbek O, Keser M, et al. Blue rubber bleb nevus syndrome: successful treatment with sirolimus. Pediatrics 2012;129:1080-4. * È la prima segnalazione degli esiti favorevoli della rapamicina nel trattamento delle malformazioni venose intestinali responsabili di grave sanguinamento. Interessante segnalazione degli esiti favorevoli della rapamicina nel trattamento delle teleangectasie gastro intestinali della telangectasia ereditaria emorragica. Wang Z, Li K, Yao W, et al. Successful treatment of kaposiform lymphangiomatosis with sirolimus. Pediatr Blood Cancer 2015 Jan 18. doi: 10.1002/pbc.25422 [Epub ahead of print]. Solman L, Murabit A, Gnarra M, et al. Propranolol for infantile haemangiomas: single centre experience of 250 cases and proposed therapeutic protocol. Arch Dis Child 2014;99:1132-6. * Si tratta di una delle prime segnalazioni in letteratura dell’esito favorevole della terapia con sirolimus nella grave piastrinopenia della Sindrome di Kasabach-Merritt legata all’emangioendotelioma kaposifome. Thomson AW, Woo J. Immunosuppressive properties of FK-506 and rapamycin. Lancet 1989;2(8660):443. Wang Z, Li K, Yao, et al. Steroid-resistant kaposiform hemangioendothelioma: A retrospective study of 37 patients treated with vincristine and long-term follow-up. Pediatr Blood Cancer 2015;62:577-80. * Tlougan BE, Lee MT, Drolet BA, et al. Medical management of tumors associated with Kasabach-Merritt phenomenon: an expert survey. J Pediatr Hematol Oncol 2013;35:618-2. * Studio retrospettivo con importante casistica relativa al trattamento chemioterapico dell’emangoerndotelioma kaposiforme. Corrispondenza Pietro Dalmonte Centro Angiomi, Dipartimento Cardiovascolare, Istituto “Giannina Gaslini”, largo G. Gaslini 5, 16147 Genova - E-mail: [email protected] 101 Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 102-111 Prospettive in Pediatria Dermatologia pediatrica Anomalie dei capelli in pediatria Mario Cutrone, Ramon Grimalt* Ospedale dell’Angelo, Mestre; * Universitat Internacional de Catalunya, Barcelona, Spain Le patologie dei capelli sono sempre state considerate, dai pediatri, patologie “minori” (perché con “sola” valenza estetica e prive di sintomatologia soggettiva o danno funzionale). Questo atteggiamento minimizzante, tuttavia, non è assolutamente condiviso dai genitori dei pazienti e dai pazienti stessi quando raggiungono un’età che consenta loro di esprimere un’opinione in merito. La conseguenza inevitabile di questa discrepanza di vedute tra curante e famiglia è il ricorso (diffusissimo) a metodiche diagnostiche e terapeutiche “alternative” costose, inefficaci (quando anche nocive) e dal profilo di sicurezza non noto. Le anomalie dei capelli sono in ogni caso di fatto poco conosciute dalla maggioranza dei pediatri, e vengono per questo motivo poco studiate (nel senso dell’approfondimento diagnostico) e ancor meno trattate. L’obiettivo di questa review è presentare una panoramica dei principali quadri e delle nuove conoscenze in merito ad inquadramento clinico e terapia, che fornisca al pediatra un punto di partenza per eventuali ulteriori approfondimenti della materia in caso di necessità. Verranno esaminate le principali anomalie dei capelli in età pediatrica: alopecia areata, alterazioni del ciclo del capello, alopecia traumatica, alopecia androgenetica nel bambino e adolescente, anomalie del fusto del capello, alopecia congenita localizzata, alopecia cicatriziale (Scarring alopecia). Non sono state invece prese in considerazione, a causa della loro rarità e complessità di trattazione le ipotricosi ereditarie e congenite e l’alopecia congenita generalizzata. Riassunto Hair alterations in children have always been considered a minor alteration and many pediatricians do not take them much into account (probably because hair abnormalities are not causing symptoms and for many doctors hair alterations are just an aesthetic problem). Parents of patients and patients themselves, however, do absolutely not share this minimizing attitude, when they reach an age that allows them to express their opinion about. The inevitable consequence of this discrepant view between physician and family is the use of widespread alternatve diagnostic and therapeutic approaches. In fact, hair anomalies are not much known by the majority of pediatricians, and for this reason are poorly studied and much less treated. The aim of this review is to present an overview of the main clinical presentations and the new knowledge regarding clinical diagnosis and therapy, that could provide to the pediatrician a starting point for further information. We will cover the main hair abnormalities in children: alopecia areata, abnormal hair cycle (disturbances of hair cycle), traumatic alopecia, androgenetic alopecia in children and adolescents, hair shaft disorders, congenital localized alopecia, and some forms of scarring alopecia. Summary 102 Anomalie dei capelli in pediatria Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca degli articoli rilevanti più recente è stata effettuata sul motore di ricerca PubMed. Sono stati inclusi solo gli articoli in lingua inglese. Alopecia areata L’alopecia areata (AA) è una malattia caratterizzata da una caduta non-cicatriziale di capelli e peli, su base autoimmune e infiammatoria. Questa malattia comprende sottogruppi di pazienti caratterizzati da comparsa di chiazze singole o multiple, dalla completa assenza dei soli capelli (alopecia totale) (Fig. 1) e dalla perdita totale di capelli e peli (alopecia universale). L’AA è comune, e il rischio di contrarre questa malattia nella popolazione generale nel corso della vita è stimato all’1,7%. La malattia si manifesta in entrambi i sessi e in tutte le età, inclusa l’età pediatrica. L’AA si presenta infatti prima dei 16 anni in circa il 20% dei pazienti. Nei lattanti e nei bambini piccoli, l’AA è stata considerata in passato un fenomeno raro (Olsen, 2006). Autori recenti hanno però suggerito che questo disturbo in queste fasce di età è più comune di quanto precedentemente supposto. L’AA può essere sia congenita che acquisita. Un suo esordio precoce sembra indicare una più probabile successiva progressione diffusa della malattia. Walker e Rothman hanno evidenziato come un esordio prima della pubertà si correli a una maggiore gravità del decorso (il 50% dei loro casi ad insorgenza prepubere aveva sviluppato alopecia totale rispetto al 23% dei casi a esordio post-puberale) (Walker e Rothman 1950). Nonostante ciò, è comunque opportuno sottolineare che non è possibile prevedere l’andamento della malattia nel singolo caso specifico. Prima di formalizzare una diagnosi di AA nel bambino, devono essere considerate anche altre condizioni, come la alopecia occipitale del lattante (tipica del periodo tra le 8 e le 12 settimane di vita), la presenza di nevi congeniti come il nevo sebaceo, l’alopecia congenita triangolare, l’aplasia cutis congenita, le lesioni malformative della linea mediana e le alopecie associate a disordini complessi dello sviluppo. Due condizioni rare, che sono però importanti da considerare nella diagnosi differenziale delle alopecie neonatali/infantili sono: l’atrichia con lesioni papulose e il rachitismo vitamina D resistente. Entrambe le malattie sono caratterizzate da una normale densità dei capelli alla nascita, seguita dalla loro perdita totale, di solito a partire dai 3-15 mesi di età, senza successiva ricrescita. L’atrichia con lesioni papulose è caratterizzata da normale presenza di capelli e peli alla nascita con successiva perdita permanente di tutti i capelli e dei peli del corpo (tranne le ciglia, che sono generalmente risparmiate). A una età compresa tra i 2 ed i 26 anni, i pazienti sviluppano su testa, tronco e arti, nu- Figura 1. Alopecia totale in età infantile. L’età (14 mesi) è testimoniata dalla presenza di un emangioma infantile ancora senza segni di significativa regressione. merose cisti papulari cheratiniche che assomigliano a milia. Queste lesioni sono tipiche e permettono la diagnosi differenziale con pazienti affetti da alopecia totale/universale. La seconda condizione è il rachitismo resistente alla 1.25- diidrossivitamina D. Questi pazienti presentano, in genere entro i primi 15 mesi di vita, perdita di alcuni o tutti i capelli, peli del corpo e del viso (con o senza perdita di ciglia). I bambini affetti presentano segni clinici e radiologici di rachitismo, come gli arti ad arco, fratture degli arti, osteopenia diffusa, e anomalie di laboratorio. Nei primi mesi di vita, tuttavia, può essere difficile distinguere il rachitismo vitamina D resistente dall’AA, perché i segni clinici tipici del rachitismo possono non essere ancora comparsi. Sebbene siano state pubblicate molte ricerche sulla patogenesi della AA, i dati relativi all’efficacia dei trattamenti proposti, sono scarsi per gli adulti e soprattutto per i bambini. L’AA, nell’età infantile può essere psicologicamente devastante e anche se un approccio conservativo può essere soddisfacente per alcuni bambini, altri desiderano fortemente un trattamento attivo della loro alopecia. I corticosteroidi topici sono comunemente usati per il trattamento dell’AA e sono la terapia di prima scelta per molti dermatologi. I corticosteroidi topici sono infatti un’opzione ideale per l’età pediatrica, perché possono essere applicati in modo indolore e hanno modesti effetti collaterali. Tuttavia, la loro efficacia rispetto al placebo non è stata dimostrata e la ricaduta con l’interruzione del trattamento è comune. Anche il minoxidil è comunemente usato nei bambini, ma i dati sulla sua efficacia in pediatria sono limitati. Il farmaco topico è stato am103 M. Cutrone, R. Grimalt piamente utilizzato senza significativi effetti collaterali, ma l’uso nei bambini con alopecia diffusa non è del tutto privo di rischi e richiede follow-up regolare (Fig. 2). Altri trattamenti utilizzati per l’AA sono: immunoterapia, antralina, fototerapia, immunosoppressori e immunomodulatori. Negli ultimi mesi sono stati pubblicati alcuni lavori relativi all’utilizzo degli JAK inibitori (tofacitinib e ruxolitinib), già utilizzati in campo reumatologico ma non ancora approvati per l’AA, con risultati che sembrano essere promettenti (Craiglow e King, 2014; Xing et al., 2014). Nel campo della terapia con laser, sono stati pubblicati recentemente lavori sull’efficacia del laser a eccimeri, per il quale ancora mancano dati sul follow up a distanza. Alterazioni del ciclo del capello La crescita dei capelli si verifica in un ciclo di 3 fasi: fase di crescita (anagen), fase transizionale (catagen), e fase di riposo (telogen). La durata della fase di crescita dei capelli varia dai 2 ai 6 anni. Gli individui con un’anagen più lunga sono in grado di far crescere capelli più lunghi (Messenger e Dawber, 1997; Sinclair et al., 1999). Tra il 90% e il 95% dei capelli sono normalmente in fase anagen. La fase catagen è caratterizzata dalla regressione transitoria della parte inferiore del follicolo. Meno dell’1% dei capelli sono in catagen, fase che dura circa tre settimane. Dal 5% al 10% dei capelli sono in telogen, che dura circa 3 mesi, e precede la caduta. Sono stati descritte due nuove fasi del ciclo di capelli: kenogen e exogen. Il kenogen è l’intervallo fisiologico del ciclo del capello, in cui il follicolo pilifero rimane vuoto dopo che i capelli telogen sono stati estrusi e i nuovi capelli non sono ancora emersi. La Figura 2. Il trattamento dell’alopecia areata con minoxidil può occasionalmente indurre ipertricosi nelle zone limitrofe a quelle trattate. 104 frequenza e la durata del kenogen sono maggiori negli uomini e nelle donne con alopecia androgenetica (Guarrera e Rebora, 2005). L’exogen è la fase del ciclo dei capelli in cui avviene l’espulsione totale della parte rimanente del fusto del pelo. Normalmente, in una giornata in cui non viene eseguito uno shampoo cadono tra i 40 e i 100 capelli; ne cadono il doppio quando lo shampoo viene fatto. I capelli caduti vengono sostituiti da nuovi capelli che crescono dallo stesso follicolo. I bambini sono soggetti alle stesse cause di anomalie della fase telogen e anagen. Caduta in anagen (Anagen loss) La caduta in anagen è sempre anormale e, con l’eccezione della Loose anagen syndrome e della alopecia areata, è legata generalmente una esposizione a sostanze tossiche. La perdita dei capelli è importante, poiché quasi il 90% dei capelli si trova normalmente in anagen, e la perdita si verifica generalmente entro giorni o settimane dopo l’esposizione. La causa più comune e facilmente riconoscibile di anagen effluvium è la radioterapia o la chemioterapia. Altre cause di caduta in anagen includono la Loose anagen syndrome, l’alopecia areata e l’esposizione ad acido borico o a metalli pesanti (mercurio, arsenico, tallio). Anche una severa ipoproteinemia può dare luogo a un effluvium in anagen, come l’esposizione alla colchicina. La Loose anagen syndrome non presenta una caduta improvvisa e diffusa, e anche l’alopecia areata si presenta in questo modo solo molto raramente. In genere, l’alopecia areata si manifesta come caduta focale e mostra i tipici capelli a punto esclamativo che possono aiutare a distinguerla dalle altre cause di effluvium. La sindrome dell’anagen debole (Loose anagen syndrome) Questo disturbo è caratterizzato dalla diminuita aderenza del fusto del capello al follicolo pilifero. Dal momento che i capelli in crescita non sono ancorati normalmente, essi possono essere facilmente estratti dal follicolo in modo indolore. La maggior parte dei capelli non rimangono nel follicolo per tutta la durata dell’anagen e così non riescono a raggiungere la lunghezza normale. I genitori riferiscono che essi non hanno mai bisogno di tagliare i capelli del bambino perché la crescita si arresta spontaneamente. Questa condizione è familiare e molto probabilmente ereditata in modo autosomico dominante. I gemelli e i genitori del bambino affetto spesso mostrano capelli facilmente estraibili. La sindrome può essere associata a diversi tipi di displasia ectodermica. Alla microscopia è caratteristico l’accartocciamento della cuticola del capello prossimale (ruffing), anche se questo non è patognomonico e si verifica anche in capelli normali. Non sono necessarie terapie, e i capelli si normalizzano con l’età. Durante l’infanzia è consigliabile una Anomalie dei capelli in pediatria manipolazione delicata che può diminuire notevolmente la caduta dei capelli. Telogen effluvium Lo stress sul follicolo pilifero necessario a innescare un effluvio telogen è più leggero di quello in corso di effluvio in anagen e, invece di portare danni alla matrice, porta ad una brusca trasformazione di capelli anagen a capelli in telogen. La diagnosi di telogen effluvium viene fatta quando il test della trazione (pull test) risulta positivo in più aree del cuoio capelluto e quando si conferma al microscopio che si tratta di capelli in fase telogen. Normalmente cadono ogni giorno circa 50-100 capelli in telogen, numero che dipende dal fatto che il 10-15 % dei capelli totali è in telogen. Nel telogen effluvium, cadono circa 100-300 capelli al giorno ed il 20-50% dei capelli totali sono in telogen. Il disturbo è meno comune nei bambini che negli adulti, e nei bambini è più probabile che sia correlato a una malattia improvvisa e transitoria, piuttosto che a farmaci o a fluttuazioni ormonali (causa invece più comune nell’adulto) (Rebora et al., 2005). Ogni farmaco, potenzialmente, può innescare un effluvio telogen, come qualsiasi farmaco può causare una reazione allergica cutanea. Tra i fattori scatenanti il telogen effluvium ci sono le malattie febbrili, i traumi, le malattie sistemiche, gli interventi chirurgici, le malattie endocrine, i disturbi alimentari, la fame, il malassorbimento, le emorragie, l’anemia, il grave stress emotivo e le vaccinazioni. Il ruolo dei bassi livelli di ferritina sierica non è invece stato completamente chiarito. Recentemente, sono stati segnalati due casi di telogen effluvium in bambini dopo vaccinazione HPV. I due bambini hanno iniziato a perdere i capelli dopo la seconda dose di vaccino HPV, con un peggioramento dopo la terza dose e una risoluzione spontanea nel giro di pochi mesi (Tuccori et al., 2012). Il telogen effluvium si risolve in 3-6 mesi, e in 6 mesi circa c’è la restitutio alla densità normale. Se la caduta si protrae oltre i 6 mesi, il fenomeno viene definito telogen effluvium cronico (descritto soprattutto nelle donne adulte). Un telogen effluvium cronico si può osservare nei bambini con malnutrizione (con capelli radi, facilmente staccabili) e nei bambini con deficit di zinco (sia genetico che acquisito), così come nel deficit di acidi grassi essenziali (in genere nei bambini con prolungata alimentazione parenterale non perfettamente supplementata). Il telogen effluvium cronico può verificarsi anche in caso di disturbi della tiroide, malattie del pancreas e in corso di malassorbimento da altre cause. del capo sul cuscino e che fosse quindi una alopecia da frizione. Ma l’alopecia occipitale del lattante può essere osservata anche in assenza di strofinamento sul cuscino ed è provocata dal fatto che i capelli in sede occipitale non cadono in utero, come quelli delle altre sedi, ma nel periodo tra le 8 e le 12 settimane di vita (Cutrone e Grimalt, 2005 e 2006). Tricotillomania La tricotillomania è definita dal DSM-IV come “caduta di capelli per trazione autoprocurata dal paziente”. La presentazione comune della tricotillomania è un insolito pattern di caduta dei capelli, caratterizzato da capelli molto corti, spezzati, e con lunghezza irregolare in una zona di cuoio capelluto per il resto normale. Il cuoio capelluto e le sopracciglia sono i siti più comuni, ma può essere coinvolto ogni sito con peli. Normalmente si tratta di un fenomeno transitorio, senza esiti definitivi, ma forme particolarmente gravi con autotrazione molto insistita possono portare a esiti cicatriziali permanenti. Si possono distinguere gruppi di pazienti: bambini in età prescolare, preadolescenti e giovani adulti, e adulti. Nel gruppo dell’età prescolare, la tricotillomania può essere considerata un’abitudine, come il mangiarsi le unghie o succhiare il pollice, e il decorso è generalmente benigno. Diversi articoli correlano comunque l’insorgenza di questa patologia nei bambini piccoli con l’esposizione a situazioni stressanti. L’età più comune di presentazione per la tricotillomania è quella tra la Alopecia traumatica Alopecia neonatale transitoria (Transient neonatal hair loss) Tra le forme “minori”, si pensava che l’alopecia occipitale del lattante fosse provocata dallo strofinamento Figura 3. La tricotillomania è generalmente un fenomeno lieve e transitorio. Ma in alcuni casi, come quello nell’immagine, il disturbo è così severo da richiedere una consulenza di tipo neuropsichiatrico e un tentativo con terapia per via sistemica. 105 M. Cutrone, R. Grimalt preadolescenza e la giovinezza, con età media tra i 9 e i 13 anni di età e predominanza femminile (Fig. 3). I pazienti di questo gruppo tendono ad avere più facilmente un decorso cronico-recidivante, con negazione del proprio ruolo attivo (come nelle dermatiti artefatte). I genitori e il paziente sono spesso riluttanti ad accettare la diagnosi. L’intervento psicologico può aiutare a identificare il problema di fondo e a modificare il comportamento risolvendo il quadro. La consulenza psichiatrica è invece obbligatoria nei casi gravi e recidivanti. Recentemente sono state proposte delle terapie farmacologiche (non con farmaci psicotropi). È stata infatti segnalata una discreta efficacia della N-acetilcisteina, in assenza di effetti collaterali, e sono in corso studi per dimostrare l’efficacia dell’inositolo (Grant et al., 2009; Taylor e Bhagwandas, 2014). Tricotemnomania Tricotemnomania (da temnein greco = tagliare) è la perdita di capelli dovuta a taglio o rasatura ripetuta da parte degli stessi pazienti nel contesto di disturbo ossessivo-compulsivo. Il taglio viene messo in atto per alleviare lo stress, e i pazienti sono restii ad ammettere la realtà. I capelli sono di solito tagliati con le forbici oppure rasati, e per la diagnosi è decisiva la presenza di osti follicolari con normale fusto del capello nel contesto di un cuoio capelluto normale. La tricoteiromania è una variante dovuta al continuo sfregamento del cuoio capelluto con conseguente frattura del fusto. In questo caso si osservano aree glabre con capelli di lunghezza differente, simili a capelli tagliati con le forbici. Sono presenti caratteristiche punte bianche sulla parte distale dei capelli. Un altro tipo di perdita dei capelli con comorbidità psichiatrica associata è la tricodaganomania (abitudine compulsiva di masticare e mordere i propri capelli), con la variante (descritta negli adulti) denominata tricorizofagia, in cui il paziente mangia esclusivamente la radice dei capelli. Alopecia da trazione Più comune nelle femmine, è dovuta alla tensione costante esercita sui capelli da acconciature come code di cavallo strette, trecce, dreadlocks1. Si osservano capelli corti e spezzati, follicolite e papule follicolari. L’alopecia è inizialmente reversibile se si cambia il tipo di pettinatura, ma in caso contrario, può dare un danno cicatriziale permanente. L’alopecia androgenetica in bambini e adolescenti L’alopecia androgenetica (AGA) è la causa più comune di caduta di capelli negli adulti. Anche se ci sono 1 differenze nell’età di esordio, in entrambi i sessi la malattia inizia dopo la pubertà, quando c’è sufficiente quantità di testosterone per la trasformazione in diidrotestosterone. Non si dovrebbero quindi teoricamente osservare pazienti con AGA in età prepuberale se non in caso di anomalia del livello degli androgeni, e per questo motivo è sempre indicata in questi casi una valutazione endocrinologica. Il verificarsi di AGA in bambini prepuberi sani è stato in realtà (anche se raramente) descritto in letteratura, e probabilmente non è eccezionale. Tosti et al. hanno ad esempio segnalato 20 bambini tra 6-10 anni con AGA con pattern di caduta tipico (Tosti et al., 2005). Negli adolescenti l’AGA non è invece rara. Ci sono due studi che hanno documentato la prevalenza e la giovane età di insorgenza dell’AGA. Nel primo studio su 496 adolescenti selezionati casualmente, il 15% ha mostrato i primi segni di AGA. Nel secondo studio, su 448 adolescenti, l’esordio della malattia era tra i 7 ed i 17 anni, con un’età media di insorgenza di 14,8 anni nei maschi e 13,8 anni nelle femmine. Un’attenta valutazione clinica è comunque importante per confermare l’assenza di eccesso di androgeni, e, a discrezione del clinico, possono essere necessari esami di laboratorio per un inquadramento più preciso. La soluzione topica di minoxidil sembra essere un trattamento efficace e ben tollerato negli adolescenti con AGA. L’assorbimento percutaneo del farmaco è minimo e simile a quello osservato negli adulti. La finasteride per via sistemica non è stata studiata nei pazienti con meno di 18 anni, e non sono quindi disponibili dati di sicurezza ed efficacia nell’adolescente e nel bambino. L’uso topico della finasteride è invece ancora in via di valutazione per quanto riguarda sia l’assorbimento sistemico sia la reale efficacia (Caserini et al., 2014). Nel corso degli ultimi mesi è stata proposto anche l’utilizzo del Platelet Rich Plasma (PRP), proposto per le forme medio lievi di AA (Trink et al., 2013) ma per il quale mancano ancora dei dati che confermino la reale efficacia (d’Ovidio e Roberto, 2014). Alopecia congenita localizzata L’alopecia congenita triangolare (CTA= Congenital Triangular Alopecia o TTA=Temporal Triangular Alopecia), nota anche come alopecia triangolare temporale, è una chiazza di alopecia non cicatriziale e non infiammatoria unilaterale o, meno frequentemente, bilaterale nella regione fronto-temporale (Fig. 4). Anche se la CTA è una caratteristica congenita, di solito è notata dalla famiglia quando il bambino ha più di 2 anni. Ne sono stati segnalati in letteratura meno di 100 casi, probabilmente perché la lesione è benigna e non progressiva. La frequenza stimata è dello 0,11% (García-Hernández et al., 1995). La maggior parte dei I dreadlocks o dreads (Jata in Hindi, anche chiamati, erroneamente, rasta) sono delle trecce particolari formate aggrovigliando i capelli su se stessi. 106 Anomalie dei capelli in pediatria Aplasia cutis congenita, miopia grave, e alterazione funzionale di coni e bastoncelli Come novità relativa alla aplasia cutis congenita, è stato descritto un nuovo disordine autosomico recessivo unico, caratterizzato da aplasia congenita della cute sulla linea mediana del vertice, miopia grave e alterazione funzionale di coni e bastoncelli (GershoniBaruch e Leibo,1996). Nevo sebaceo Figura 4. Nell’alopecia triangolare congenita il triangolo glabro mostra la base in basso, delimitata da un bordo di capelli. casi sono sporadici, ma occasionalmente sono possibili casi familiari. La perdita di capelli è descritta come “triangolare” a base frontale con una “linea” di capelli alla base come caratteristica tipica di questa malattia. La CTA di solito si verifica come anomalia isolata, ma è stata descritta anche come associata a diverse malattie congenite (facomatosi pigmento-vascolare, sindrome di Down, malformazione di Dandy-Walker, ritardo mentale e convulsioni, cardiopatie congenite, anomalie dell’osso e dei denti, lentigginosi multipla e macchie café-au-lait). Aplasia cutis congenita (e sindrome di Adams-Oliver e altre associazioni) L’aplasia cutis congenita è la manifestazione di un gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate dall’assenza di una porzione di pelle in una zona localizzata o diffusa alla nascita. Si manifesta più comunemente come un difetto isolato sul cuoio capelluto, ma a volte può verificarsi sotto forma di lesioni multiple. Nell’aplasia cutis possono essere assenti anche ossa e dura madre, ma nella maggioranza dei casi il danno è limitato al derma e dell’epidermide; le dimensioni variano tipicamente da 0,5 a 3 centimetri. L’ecografia e la risonanza magnetica sono comunque utili strumenti diagnostici per determinare l’estensione della lesione. La sindrome di Adams-Oliver è l’associazione dell’aplasia cutis con anomalie digitali terminali ossia accorciamento delle dita delle mani e dei piedi, assenza di falange o più raramente assenza dell’intero arto. Una revisione della letteratura ha rivelato un tasso del 13,4% per le malformazioni cardiache congenite nei soggetti con questa sindrome, suggerendo che le anomalie cardiache possono essere una manifestazione frequente. Di conseguenza, tutti i pazienti con sindrome di Adams-Oliver dovrebbero essere valutati per anomalie cardiache. Il Nevo sebaceo di Jadassohn è un amartoma benigno, presente alla nascita. Sembra a volte lievemente regredire nell’infanzia, e riaumentare durante la pubertà, suggerendo un possibile controllo ormonale. Alla nascita è una lesione glabra di colore giallastro rosato, lineare, circolare o irregolare. Alla pubertà la lesione diventa verrucosa e nodulare. Può raramente sviluppare tumori in età adulta, in particolare siringocistoadenoma papillifero e tumori benigni del follicolo pilifero (il carcinoma a cellule basali è stato osservato in circa il 5% dei casi). Anomalie del fusto del capello Le malformazioni del fusto sono molto probabilmente legate a difetti di un singolo gene. La maggior parte di queste sono congenite ed ereditarie, mentre altre sono acquisite. Possono essere localizzate o generalizzate e il difetto può essere semplicemente un problema locale o può invece essere un segno diagnostico importante per la diagnosi di una genodermatosi. I pazienti presentano un’anomalia della struttura dei capelli, dell’aspetto, della pettinabilità e della capacità di far crescere i capelli lunghi. Una caratteristica fondamentale della valutazione clinica è di determinare se vi è fragilità dei capelli con la rottura alla trazione. Anomalie del fusto del capello con sua maggiore fragilità e rottura Monilethrix Il monilethrix è un raro disturbo del fusto del capello, dovuto a una mutazione della cheratina corticale a tipo hHb6 e hHb1II. Quando è ereditato come carattere dominante, il monilethrix è di solito a causa di mutazioni in geni che codificano cheratina, tra cui KRT81, KRT83, e KRT86. Quando è ereditato come un carattere recessivo, esso è causato da mutazioni in DSG4, che codifica per la desmogleina 4. Questo quadro fa somigliare il capello a un filo di perle (da cui il nome). Al dermatoscopio, si osserva una alternanza di segmenti più larghi e più stretti lungo il fusto del capello disposti come una clessidra dopo un’altra. I capelli si rompono spontaneamente o come risultato di attrito. La sede interessata è normalmente il cuoio capelluto, in particolare nella regione occipitale, ma possono essere coinvolti anche i peli corporei. I ca107 M. Cutrone, R. Grimalt pelli sono corti ed è osservabile una ipercheratosi follicolare anche su schiena e spalle. C’è uno spettro di manifestazioni cliniche molto ampio, da capelli quasi normali, a capelli che sono in grado di crescere solo pochi millimetri. Alla nascita i capelli sono normali, ma dopo la prima muta assumono il caratteristico aspetto, diventano fragili e si rompono facilmente. L’età di esordio è variabile e può essere ritardata fino all’adolescenza. Non esiste un trattamento efficace per il monilethrix. I retinoidi, l’acido glicolico e il minoxidil possono essere utili in alcuni casi, ma si assiste a un miglioramento spontaneo nel tempo. Nell’attesa è utile proteggere questi capelli così fragili da eccessivi traumatismi. Pseudomonilethrix Questo quadro è ereditario, anche come tratto autosomico dominante. Si tratta di una particolare fragilità dei capelli alle normali operazioni di spazzolatura e pettinatura. Questo porta a diffusa o localizzata ipotricosi con immagini di falsi nodi al fusto del capello. Non è accompagnato da ipercheratosi follicolare, colpisce diversi membri della stessa famiglia ed è un difetto molto raro, da non confondere con pseudomonilethrix iatrogeno o acquisito (dovuto ad artefatto al momento del prelievo). Pili torti I pili torti sono capelli con un aspetto “attorcigliato”, che mostrano angolazioni regolari sul proprio asse longitudinale. I capelli non riescono a crescere molto, si rompono facilmente, e si osservano aree di rottura in regione occipitale e temporale (dovute all’attrito). Caratteristica di questo quadro è la lucentezza dei capelli che cambia a seconda dell’incidenza della luce. Si tratta di un difetto familiare ad ereditarietà dominante, isolato o associato ad altre condizioni (sindromi di Beare, Bazex, Crandall e Bjørnstad). Forme atipiche di pili torti sono stati trovati nella sindrome di Menkes (capelli “crespi”, kinky hairs) e angolazioni isolate sono descritte in altre displasie dei capelli. Poichè sono possibili associazioni ad altri difetti congeniti, è sempre necessaria una attenta valutazione per possibili disturbi neurologici e ectodermici. Capelli a “Cavatappi” (Corkscrew hair) Questa forma atipica acquisita di pili torti è clinicamente caratterizzata da capelli spessi e scuri avvolti in una doppia spirale. Può essere associata alla forma comune di pili torti e con la displasia ectodermica. Sindrome di Menkes (Kinky hairs) La sindrome di Menkes è un disturbo letale, multisistemico dovuto ad anomalie del trasporto del rame che si presenta con pili torti. La sindrome è caratterizzata da alterazioni neurologiche, ipotermia, ritardo psicomotorio, quadriplegia, sordità, ernia, nanismo. Questi bambini hanno caratteristiche molto partico108 lari del viso (profilo partdridge) e i loro capelli sono sottili, sparsi e fragili. La morte sopraggiunge di solito in tenera età a causa delle alterazioni neurologiche. I capelli “kinky” sono polidisplastici con immagini di pili torti, monilethrix e /o tricoressi nodosa. Tricorressi invaginata (sindrome di Netherton) Come nel monilethrix, l’anomalia primaria comporta un difetto di cheratinizzazione del fusto del capello, con l’invaginazione della porzione distale del capello (più dura) nel segmento prossimale (più morbido) che causa il tipico aspetto a bambù al microscopio ottico. La tricorressi invaginata di solito si associa alla sindrome di Netherton, una malattia ereditaria autosomica recessiva causata da mutazioni del gene SPINK5, che consiste nella triade: ittiosi, diatesi “atopica” e tricoressi invaginata. Un sospetto di sindrome di Netherton dovrebbe sempre essere posto in caso di eritrodermia neonatale con capelli radi. Non esiste un trattamento specifico per la tricoressi invaginata. Sono stati proposti i retinoidi e la fotochemioterapia, ma la malattia migliora spontaneamente con l’età. Tricotiodistrofia Tricotiodistrofia (TTD) è una condizione caraterizzata da capelli con deficit di cistina. Questi capelli fragili sono un importante marker clinico di questa rara malattia ereditaria che si può presentare con una grande varietà di fenotipi: dalla presenza di solo capelli fragili ad una grave compromissione dello sviluppo psichico. Possono essere presenti: facies caratteristica, ritardo della crescita, malformazioni urologiche, onicodistrofia, ittiosi e fotosensibilità. Il gruppo delle Sindromi TTD include la BIDS (Brittle hair, Intellectual impairment, Decreased fertility, Short stature), IBIDS (ichthyosis and BIDS), la PIBIDS (Photosensitivity and IBIDS). I capelli hanno un contenuto in zolfo molto basso e alla luce polarizzata evidenziano il tipico pattern a “coda di tigre”. Talvolta sono presenti tipiche fratture (tricochoschisi). Triconodosi La triconodosi è la presenza di nodi sul fusto del capello. Anche se può sembrare rara, in realtà è una condizione frequente ma difficile da rilevare. Può essere sospettata quando si osserva che un capello forma improvvisamente un angolo (un cambiamento di direzione). È più comune nei soggetti con capelli ricci ed è stata associata a un trauma localizzato, grattamento o tic. Può apparire ai peli ascellari e pubici (in questo caso associata alla pediculosi). Tricorressi nodosa La tricorressi nodosa è il più comune difetto del fusto che porta alla rottura dei capelli. È un difetto congenito o acquisito, e i capelli coinvolti sviluppano una anomalia nella cuticola con conseguente danno corticale, frattura e aspetto di tumefazione nodale. I nodi Anomalie dei capelli in pediatria possono essere situati in posizione prossimale o distale nel fusto. Nodi distali generalmente indicano un hair weathering 2. Nodi prossimali indicano invece un aumento di fragilità e una maggiore suscettibilità agli agenti atmosferici, suggestivi di una anomalia del fusto del pelo sottostante. Sebbene la tricoressi nodosa congenita possa essere isolata o associata con anomalie dentarie o delle unghie, la sua presenza in un neonato o bambino deve far pensare a un possibile problema metabolico sottostante.(aciduria argininosuccinica, citrullinemia, malattia di Menkes). Nodi acquisiti che assomigliano a quelli tipici della tricoressi nodosa possono essere osservati in caso di grave wheathering2. Per le ragazze affette da questo quadro è opportuno consigliare di evitare procedure aggressive dal parrucchiere, mentre per tutti è utile la protezione dall’eccessiva esposizione alla luce solare. Bubble Hair Questa condizione è un’anomalia acquisita del fusto del capello dovuta alla presenza di bolle d’aria all’interno del fusto. Questo fenomeno sembra legato all’insulto termico provocato da phon o arricciacapelli, e si presenta normalmente con aree di diradamento. Anomalie del fusto senza maggiore fragilità del capello Pili annulati (capelli inanellati) Il fenomeno dei pili annulati, come il bubble hair, coinvolge il midollo del capello. Vi sono dilatazioni distrettuali del midollo, che si evidenziano clinicamente sotto forma di “anelli” e di bande chiare e scure. Non c’è fragilità, e i capelli crescono normalmente. Il quadro è ereditato in modo autosomico dominante e può anche apparire sporadicamente. Costituisce esclusivamente un difetto estetico. Sindrome dei capelli lanosi (Woolly hair syndrome) La sindrome dei capelli lanosi, più caratteristica dei caucasici, è caratterizzata da capelli più sottili rispetto al normale, ricci e piatti. Può essere localizzata o diffusa, congenita o acquisita. La forma diffusa congenita può essere ereditata come carattere autosomico dominante o, meno frequentemente, autosomico recessivo (probabilmente in correlazione con la mutazione del gene LIPH). I capelli lanosi possono talvolta associarsi a sindromi genetiche (con difetti oculari, sordità, cheratosi pilare atrofica, ipoplasia dello smalto e con la sindrome di Noonan). Un nevo congenito localizzato e costituito da capelli lanosi si verifica sporadicamente. È caratterizzato da una piccola zona di capelli anomali, in un capillizio altrimenti 2 normale. Nella metà dei casi segnalati, il nevo a peli lanosi è associato a nevi lineari e, pur essendo generalmente un reperto isolato, può associarsi a difetti neurologici, anomalie oculari e ossee e ad altri difetti mesodermici. La comparsa di capelli lanosi acquisita e progressiva può preannunciare l’insorgenza di alopecia androgenetica o essere osservata come un effetto collaterale del trattamento farmacologico con etretinato. Non esiste un trattamento specifico, ma è frequente un miglioramento spontaneo della forma congenita con l’avanzare dell’età. “Kinking” (= tortuosità) acquisito e progressivo dei capelli Il kinking acquisito e progressivo dei capelli colpisce soprattutto i giovani maschi vicino alla pubertà, con capelli che diventano gradualmente crespi, principalmente nella zona occipitale. Non sembra essere correlato a cause esterne ed evolve gradualmente in alopecia androgenetica. Una forma localizzata nelle regioni temporali è conosciuta come allotrichia simmetrica circoscritta. La forma acquisita può essere indotta da farmaci (retinoidi). Capelli impettinabili (Pili canaliculi) La sindrome dei capelli impettinabili è caratterizzata da capelli “ribelli”, difficili da pettinare e che tendono a rimanere ritti sul cuoio capelluto. Colpisce individui giovani, con molti capelli, i quali sono disposti in fasci che puntano in direzioni diverse (Fig. 5). Normalmen- Figura 5. Nella sindrome dei capelli impettinabili è la forma reniforme della sezione del fusto che rende i capelli poco docili al pettine e alla spazzola. Weathering in inglese, degradazione meteorica o meteorizzazione in italiano) è il processo di disintegrazione e alterazione delle rocce della superficie terrestre, attraverso il contatto diretto o indiretto con l’atmosfera. Per estensione, il termine wheathering si riferisce al danno strutturale del fusto del capello causato da forze esterne quali shampoo, acconciature, radiazioni UV, doccia. 109 M. Cutrone, R. Grimalt te di tratta di una condizione familiare dominante che può essere sporadica. Sono stati descritti, raramente, anche casi con interessamento localizzato. A questo aspetto clinico corrisponde una caratteristica displasia del fusto: i capelli presentano una scanalatura longitudinale lungo uno o due lati e, in sezione, un aspetto a forma di rene che è diagnostico. Vi è una tendenza spontanea a migliorare nel tempo. L’uso di uno shampoo con zinco piritione e di balsamo può aiutare nella gestione della pettinatura. Alopecia cicatriziale Può essere focale o diffusa. Nel bambino, sono quattro le principali cause di alopecia cicatriziale focale: trauma (compresa la pressione prolungata), aplasia cutis congenita, nevo o neoplasia sottostante o una sindrome malformativa. Le cause di alopecia cicatriziale più comuni nell’adulto (lupus eritematoso, lichen planopilare, follicolite decalvante follicolite e pseudoarea di Brocq) sono eccezionali nel bambino. Tuttavia, il gruppo di malattie caratterizzate da cheratosi pilare e alopecia cicatriziale (cheratosi atrofica pilaris), inizia a manifestarsi nell’infanzia. In particolare, la che- ratosi follicolare spinulosa decalvante inizia con cheratosi pilare nell’infanzia ed è poi accompagnata da fotofobia, alterazioni corneali e progressiva alopecia del cuoio capelluto, delle ciglia e delle sopracciglia. Conclusioni Come illustrato, le anomalie dei capelli in età pediatrica sono numerose e di gravità molto variabile. Sono infatti possibili condizioni parafisiologiche o comunque isolate, ma anche anomalie associate a gravi sindromi malformative. Anche nel caso di condizioni caratterizzate da interessamento isolato del capello, l’impatto psicologico conseguente al danno estetico può essere molto importante per il paziente e per la sua famiglia (Harrison e Sinclair, 2003). È quindi opportuno che ogni pediatra abbia le cognizioni di base per potersi orientare tra le principali anomalie dei capelli, individuandone almeno grossolanamente il tipo e sapendo quando tranquillizzare le famiglie e quando invece inviare allo specialista. In questa review abbiamo presentato i principali quadri di anomalie del cuoio capelluto, tralasciando alcuni quadri ereditari eccezionali per i quali rimandiamo ai testi specialistici di tricologia pediatrica e di genetica. Box di orientamento • Che cosa sapevamo prima Pensavamo che l’alopecia occipitale del lattante fosse provocata dallo strofinamento del capo sul cuscino e che fosse quindi una alopecia da frizione. Credevamo che l’alopecia androgenetica fosse solo appannaggio dell’adulto e non dell’età pediatrica. Pensavamo che l’alopecia areata potesse essere curata solo con i corticosteroidi topici. Pensavamo che la tricotillomania potesse essere affrontata solo con l’intervento psicologico o psichiatrico. • Che cosa sappiamo adesso Che l’alopecia occipitale del lattante (alopecia neonatale transitoria) non è provocata dallo strofinamento sul cuscino, ma dal fatto che i capelli in sede occipitale non cadono in utero, ma nel periodo tra le 8 e le 12 settimane di vita. Che l’alopecia androgenetica è presente anche se raramente in età pediatrica e che è comunque comune nell’adolescenza. Che l’AA può essere curata anche con i corticosteroidi topici, ma esistono varie altre opzioni (da modulare in base alla severità del quadro). Che è possibile un trattamento con N-acetilcisteina (e forse con inositolo) per la tricotillomania. • Per la pratica clinica Consideriamo attentamente le richieste di valutazione che ci vengono fatte dalle famiglie riguardo alle anomalie dei capelli: il fatto che siano principalmente un problema estetico non significa che non abbiano un impatto importante (a volte devastante) sulla vita del bambino e della sua famiglia. Ricordiamo la possibilità di approfondimento diagnostico (il prelievo di capelli per l’osservazione al microscopio è una procedura poco invasiva e spesso molto utile). Abituiamoci a utilizzare il dermatoscopio per una migliore visualizzazione del quadro clinico. Non prescriviamo terapie se non abbiamo formulato una diagnosi precisa. In caso di dubbio rivolgiamoci al dermatologo specialista per un primo inquadramento. 110 Anomalie dei capelli in pediatria Bibliografia Caserini M, Radicioni M, Leuratti C, et al. A novel finasteride 0.25% topical solution for androgenetic alopecia: pharmacokinetics and effects on plasma androgen levels in healthy male volunteers. Int J Clin Pharmacol Ther 2014;52:842-9. Craiglow BG, King BA. Killing two birds with one stone: oral tofacitinib reverses alopecia universalis in a patient with plaque psoriasis. J Invest Dermatol 2014;134:2988-90. Interessante caso clinico che specula sulla genesi simile di alopecia areata e psoriasi. * Cutrone M, Grimalt R. Where has all that hair gone? Clin Exp Dermatol 2006;31:136-7. Olsen E. Hair disorders. In: Harper J, Oranje A, Prose N, eds. Textbook of pediatric dermatology. 2nd ed. Malden, MA: Blackwell Publishing Ltd. 2006, pp. 1753822. Cutrone M, Grimalt R. Transient neonatal hair loss. Europ J Pediatr 2005;164:630-2. ** Un articolo ormai classico che fa il punto sull’alopecia transitoria neonatale. Gershoni-Baruch R, Leibo R. Aplasia cutis congenita, high myopia, and conerod dysfunction in two sibs: a new autosomal recessive disorder. Am J Med Genet 1996;61:42-4. Grant JE, Odlaug BL, Kim SW. N-acetylcysteine, a glutamate modulator, in the treatment of trichotillomania: a doubleblind, placebo-controlled study. Arch Gen Psychiatry 2009;66:756-63. Si suggerisce che la somministrazione di N-acetilcisteina possa fare innalzare il livello di glutammato extracellulare a livello cerebrale e, di conseguenza, ridurre i comportamenti ossessivo-compulsivi. * Guarrera M, Rebora A. Kenogen in female androgenetic alopecia. A longitudinal study. Dermatology 2005;210:1818-20. Harrison S, Sinclair R. Optimal management of hair loss (alopecia) in children. Am J Clin Dermatol 2003;4:757-70. Messenger AG, Dawber RPR. The physiology and embryology of hair growth. In: Dawber R, ed. Diseases of the hair and scalp. 3rd ed. Oxford, England: Blackwell Science Ltd 1997, pp. 1-22. d’Ovidio R, Roberto M. Limited effectiveness of Platelet-Rich-Plasma treatment on chronic severe alopecia areata. Hair Ther Transplant 2014;4:116. Rebora A, Guarrera M, Baldari M, Vecchio F. Distinguishing androgenetic alopecia from chronic telogen effuvium when associated in the same patient. Arch Dermatol 2005;141:1243-5. García-Hernández MJ1, Rodríguez-Pichardo A, Camacho F. Congenital triangular alopecia (Brauer nevus). Pediatr Dermatol 1995;12(4):301-3. Sinclair RD, Banfield CC, Dawber RP. Hair structure and function. In: Sinclair RD, Banfield CC, Dawber RP, eds. Handbook of diseases of the hair and scalp. Oxford: Blackwell Science 1999, pp. 3-23. Taylor M, Bhagwandas K. N-acetylcysteine in trichotillomania: a panacea for compulsive skin disorders? Br J Dermatol 2014;171:1253-5. Tosti A, Jorizzo M, Piraccini BM. Androgenetic alopecia in children: report of 20 cases. Br J Dermatol 2005;152:556-9. ** Un articolo che smentisce l’assenza di questa patologia in età pediatrica. Trink A, Sorbellini E, Bezzola P, et al. A randomized, double-blind, placeboand active- controlled, half-head study to evaluate the effects of platelet-rich plasma on alopecia areata. Br J Dermatol 2013;169:690-4. Tuccori M, Pisani C, Bachini L, et al. Telogen effluvium following bivalent human papillomavirus vaccine administration: a report of two cases. Dermatology 2012;224:212-4. Walker SA, Rothman S. Alopecia areata. A statistical study and consideration of endocrine influences. J Invest Dermatol 1950;14:403. Xing L, Dai Z, Jabbari A, et al. Alopecia areata is driven by cytotoxic T lymphocytes and is reversed by JAK inhibition. Nature medicine 2014;20:1043-9. ** Un articolo interessante che discute le nuove possibilità curative dell’alopecia areata con gli JAK inibitori e il ruolo della IL-15 in questa malattia. Corrispondenza Mario Cutrone Ospedale dell’Angelo, Mestre (VE) - E-mail: [email protected] Ramon Grimalt Universitat Internacional de Catalunya, Barcelona, Spain - E-mail: [email protected] 111 Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 113 Obesità infantile La sezione di obesità pediatrica contiene tre articoli di aggiornamento, uno di carattere più generale che esplora le recenti novità in questo ambito, seguito da due articoli focalizzati sull’approfondimento di tematiche relative, da una parte, all’eziologia genetica, e dall’altra, alle complicanze che si configurano essenzialmente nella sindrome metabolica. Il primo articolo propone una revisione di letteratura dei rilevanti contributi scientifici nel campo dell’obesità pediatrica aggiornata agli ultimi anni (2013-2015) e derivati prevalentemente dagli studi in consorzio in particolare l’IDEFICS (Identification and prevention of Dietary and lifestyle-induced health Effects in Children and infantS). Gli autori descrivono l’attuale impatto epidemiologico dell’obesità in età evolutiva e, nel delineare un fenotipo obeso, vengono studiate e approfondite le novità circa i fattori di rischio e il ruolo del microbiota. Attualmente l’approccio clinico al trattamento dell’obesità in età pediatrica prevede principalmente il ricorso a programmi dietetici, ispirandosi alla dieta mediterranea e di esercizio fisico, volti a promuovere un sano stile di vita. Tuttavia, da una revisione ragionata degli aggiornamenti di Linee guida, Consensus e Statement, è emersa altresì la possibilità, per casi selezionati, di intervenire ricorrendo a strumenti farmacologici e all’opzione chirurgica. Il secondo articolo offre un inquadramento nell’ambito delle obesità cosiddette “genetiche”, modello di trasmissione di tipo mendeliano, raro ma causa di quadri generalmente gravi. Tra i difetti monogenici si riconoscono, da un lato disordini non associati a malformazioni, dall’altro forme dovute a mutazioni geniche nelle quali l’obesità rappresenta un’espressione clinica di un fenotipo più complesso. Tra le obesità non sindromiche si descrivono mutazioni a carico di geni coinvolti nel signalling di regolazione dell’appetito e della sazietà, in particolare nella via ipotalamica “leptina-melanocortina” o a valle di questa. Tra le obesità sindromiche, invece, si annoverano sia le ciliopatie, come la sindrome di Bardet-Biedl e la sindrome di Alström, sia le obesità caratterizzate da difetto di imprinting come la sindrome di Prader-Willi. L’articolo propone inoltre un algoritmo diagnostico con l’obiettivo di fornire ai Pediatri del territorio gli strumenti indispensabili per riconoscere ed inquadrare le obesità monogeniche. Oltre alla genetica gli autori sottolineano, come emerso dalle più recenti evidenze, l’importante ruolo dei processi di epigenetica, intesi come alterazioni di regolazione dell’espressione genica, nel predisporre all’obesità mediante l’interazione con l’ambiente. Il terzo articolo costituisce un approfondimento sulla sindrome metabolica, entità nosologica tuttora discussa. Se la diagnosi in età adulta riconosce un inquadramento clinico, difficile risulta invece la sua identificazione in età pediatrica. A oggi, infatti, non sono disponibili criteri condivisi di definizione, se non quelli propri degli adulti, ma adattati ai bambini e agli adolescenti. Controversa rimane la questione sull’effettiva utilità di configurare come unica entità più fattori di rischio, poiché permane il dubbio se la loro combinazione possa essere maggiore garanzia di specificità o sensibilità nella definizione del rischio cardiovascolare. Nel tentativo di risolvere il dilemma, trova spazio questa sezione con una revisione delle ultime evidenze scientifiche. Gianni Bona Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università del Piemonte Orientale, Novara I.C.O.S. (Interdisciplinary Center for Obesity Study), Novara 113 Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 115-122 Obesità infantile Gianni Bona1 2 Flavia Prodam 1 2 3 Roberta Ricotti1 2 Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015 1 Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università del Piemonte Orientale, Novara 2 I.C.O.S. (Interdisciplinary Center for Obesity Study), Novara 3 Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Traslazionale, Università del Piemonte Orientale, Novara Si propone una revisione di letteratura aggiornata (2013-2015) nel campo dell’obesità in età evolutiva, affrontando le seguenti tematiche: impatto epidemiologico, novità circa i fattori di rischio ed il ruolo del microbiota, linee guida, interventi di modificazione dello stile di vita, strategie farmacologiche e chirurgiche. Riassunto Authors offer a review of the updated literature (2013-2015) in the field of pediatric obesity, by evaluating the following topics: epidemiological impact, news on the risk factors and the role of the microbiota, guidelines, interventions on modification of lifestyle, pharmacological and surgical strategies. Summary Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca degli articoli rilevanti per preparare la seguente Review è stata effettuata mediante ricerca bibliografica su Medline utilizzando come motore di ricerca PubMed e come parole chiave “obesity”, “children”, “adolescents”, “epidemiology”, “risk factors”, “microbiota”, “diet”, “physical activity”, “drugs”, “bariatric surgery”, “ guidelines, consensus, statement”, selezionando le citazioni più rilevanti pubblicate nell’arco temporale compreso tra il 2013 e il 2015. Introduzione Lo scopo di questa Review consiste nell’offrire ai lettori una overview ragionata nel campo della obesità pediatrica, proponendo aggiornamenti dal 2013 ad oggi. Prevalenza e trend epidemiologico Se nel sovrappeso e nell’obesità si riconosce, secondo la Healthy People 2010, un indicatore di salute della popolazione, aggiornamenti in termini di prevalenza e trend epidemiologico si rendono essenziali per quan- tificare gli effetti sullo stato di salute ed identificare le priorità di azione in campo sanitario. A renderci conto delle dimensioni del problema e del conseguente impatto sulla salute pubblica, sono da enumerare i dati epidemiologici, che a partire dagli anni ’70 ed in particolare nelle ultime due decadi, ne hanno documentato un incremento “epidemico” anche in età evolutiva, in un arco temporale di osservazione relativamente breve. Dal 1980 al 2013, la prevalenza combinata di sovrappeso ed obesità in età pediatrica è aumentata, su scala mondiale, del 47,1% (Ng et al., 2014). Nei Paesi sviluppati, è stata descritta, in bambini, adolescenti e giovani al di sotto dei 20 anni di età, una prevalenza di eccesso ponderale pari al 23,8 ed al 22,6%, rispettivamente in maschi e femmine, contro il 16,9 ed il 16,2%, percentuali registrate nel 1980. Simili incrementi sono stati riportati anche nei Paesi in via di sviluppo, con percentuali di sovrappeso ed obesità, nel 2013, del 12,9 e del 13,4%, rispettivamente in maschi e femmine, contro l’8,1 e l’8,4% nel 1980. È stato inoltre confermato un gradiente di distribuzione socio-economico, osservando una tendenza alla stabilizzazione nei dati di sovrappeso ed obesità nei Paesi sviluppati nell’arco degli ultimi anni, al contrario, di quanto verificatosi nei Paesi in via di sviluppo (Ng 115 G. Bona et al. et al., 2014; Wabitsch et al., 2014). Infatti, le più alte percentuali di sovrappeso ed obesità tra i bambini e gli adolescenti sono state descritte proprio nelle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa, nonché in alcune isole del Pacifico e nei Caraibi. In particolare, si stimano tra i 42,5 ed i 52,8 milioni di bambini ed adolescenti in sovrappeso ed obesi in America Latina, ovvero il 20-25% della popolazione pediatrica totale (Rivera et al., 2014). Dallo studio IDEFICS (Identification and prevention of Dietary - and lifestyle-induced health Effects in Children and infantS) condotto, negli anni 2007-2010, su una delle più ampie casistiche di bambini europei in età pre-scolare, la prevalenza dell’eccesso ponderale è risultata declinare linearmente e significativamente all’aumentare del livello economico in alcuni Paesi di Europa, quali Belgio, Germania, Spagna e Cipro (Ahrens et al., 2014). Nel complesso, è emersa in Europa una prevalenza di sovrappeso ed obesità rispettivamente del 12,8% e del 7%, riportando anche un gradiente nord-sud con i dati più allarmanti registrati in Spagna (21,2%), a Cipro (23,4%) ed in Italia (42,4%). Tale riscontro trova ragione anche in un ulteriore studio IDEFICS condotto in parallelo, nel corso del quale sono state indagate le abitudini alimentari ed in particolare l’aderenza alla dieta Mediterranea in bambini europei di età compresa tra i 2 ed i 9 anni (Tognon et al., 2014). Sorprendentemente, il maggiore consumo di frutta, verdura e cereali è stato osservato in Svezia, seguita da Italia e Germania, mentre una minore aderenza alla dieta Mediterranea è stata riportata proprio nelle regioni mediterranee, in particolare nell’isola di Cipro. Simile distribuzione geografica è stata confermata nel 2010 anche in Italia, dove la più alta prevalenza di stati di obesità severa viene riportata nelle regioni del Sud (dal 4,1 al 6,6% a seconda dei criteri di definizione utilizzati, rispettivamente IOTF [International Obesity Task Force] e WHO [World Health Organization]) (Lombardo et al., 2014). Globalmente, la situazione epidemiologica si configura comunque critica su tutto il territorio italiano. Nel 2013, infatti, sono state registrate, in bambini, adolescenti e giovani fino all’età di 19 anni, percentuali di sovrappeso pari al 29,9 ed al 24,3%, rispettivamente in maschi e femmine, con una distribuzione di obesità del 8,4% nei maschi e del 6,2% tra le femmine (Ng et al., 2014). Viene così confermato anche dagli ultimi aggiornamenti un dato epidemiologico drammatico in età evolutiva, che si traduce in un importante impegno economico. L’obiettivo, dunque, che l’Unione Europea si propone, attraverso la Childhood Obesity Surveillance Initiative dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), di fronte alla questione obesità, è in primo luogo una prevenzione primaria, come migliore approccio, attraverso programmi di sensibilizzazione e l’organizzazione di campagne educative volte a promuovere uno stile di vita attivo ed una corretta alimentazione. Con l’Action Plan on Childhood Obesity 116 2014-2020, anche l’Italia partecipa, insieme agli altri Paesi dell’Unione Europea, al fine di contrastare il trend in crescita di sovrappeso ed obesità in bambini ed adolescenti entro il 2020 (http://www.euro.who.int/ en/health-topics/noncommunicable-diseases/obesity; http://www.euro.who.int/en/health-topics/diseaseprevention/nutrition/news/news/2014/03/eu-adoptsaction-plan-on-childhood-obesity-2014-2020). Fattori di rischio L’obesità riconosce nel 95% dei casi una genesi funzionale, piuttosto che una nota patogenesi organica, e viene definita “essenziale” in quanto conseguenza di uno squilibrio in termini energetici tra apporto e consumo, come primum movens. Lo sviluppo di un fenotipo obeso si configura dunque come processo multifattoriale in cui entrano in gioco sia una predisposizione genetica sia fattori ambientali. In particolare, insieme al contributo di un’origine “poli-geneticamente” determinata, si sono identificate determinanti “modificabili” che intervengono in epoca sia prenatale sia postnatale. La disponibilità di alimenti preconfezionati ad alto contenuto calorico in combinazione con la loro facilità di distribuzione, costituisce un fattore in grado di influenzare notevolmente l’introito calorico causando ipernutrizione. Tuttavia, se una correlazione diretta tra il dilagare del consumo di “fast food” tra bambini ed adolescenti ed il rischio di eccesso ponderale è sempre stata sospettata, non sempre unanimi sono i risultati riportati in letteratura. A sostegno di tale ipotesi si inserisce un recente studio osservazionale ad estensione internazionale con evidenza di una associazione tra elevati valori di indice di massa corporea ed abituale consumo di “fast food” in bambini tra i 6 e 7 anni, nonostante non sia stato comprovato un nesso di causalità (Braithwaite et al., 2014). Al contrario, è stato confermato come il pattern dietetico Mediterraneo, già riconosciuto dall’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) come patrimonio immateriale dell’umanità nel 2010, sia inversamente associato allo sviluppo di sovrappeso ed obesità, configurandosi come fattore protettivo in età evolutiva (Tognon et al., 2014). Tra i fattori geografici potenzialmente implicati nello sviluppo dell’obesità è stato annoverato il livello di urbanizzazione quale indicatore indiretto di sedentarietà. Infatti, dallo studio IDEFICS condotto nel Sud Italia su un’ampia casistica di bambini in età pre-scolare e scolare, è emersa una associazione significativa tra i livelli di adiposità ed il grado di urbanizzazione, ipotizzando, per i bambini delle aree urbane, una maggiore limitazione nell’esercizio di una libera attività fisica all’aperto, rispetto a coloro che risiedono in aree rurali, nonostante l’evidente facilità di accesso a strutture e servizi sportivi attrezzati (Donatiello et al., 2013). Nei quartieri più disagiati, invece, là dove le opportunità di Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015 attività fisica sono compromesse da stati di degrado sociale, è dimostrata un’associazione negativa con il peso corporeo nei soggetti di sesso femminile durante l’epoca di transizione dall’infanzia all’adolescenza (Hoyt et al., 2014). Inoltre, se la sedentarietà espressa in ore trascorse davanti al televisore o al computer, spesso accompagnate dall’abitudine a mangiare, rappresenta ancora un noto e robusto fattore di rischio per lo sviluppo di obesità in età pediatrica, altrettanto aggravanti risultano i comportamenti degli stessi genitori; in particolare, il venire meno del controllo e della supervisione da parte dei genitori sulle attività sedentarie dei propri figli, è risultato essere in grado di predire un loro guadagno ponderale durante l’infanzia (Tiberio et al., 2014). Inoltre l’incremento occupazionale materno che si è verificato negli ultimi anni, almeno in Europa, è risultato influenzare negativamente lo sviluppo e la crescita dei figli, incentivando stili di vita scorretti e promuovendo anche gli stati di eccesso ponderale (Gwozdz et al., 2013). Anche la qualità nonché la durata del sonno, talora inficiate dalla sempre maggiore presenza del televisore nelle camere da letto di bambini ed adolescenti, sembrano influenzare negativamente il peso corporeo. (Appelhans et al., 2014). L’ipotesi di un ruolo cruciale dei meccanismi neuronali, implicati in particolare nei processi di gratificazione e ricompensa, nella regolazione del comportamento alimentare, trova evidenza in un recente studio; quest’ultimo ha permesso infatti di descrivere, in seguito alla somministrazione di acqua e saccarosio in soggetti obesi di età pre-adolescenziale rispetto ai coetanei normopeso, una maggiore attivazione delle aeree nervose di amigdala ed insula, a sostegno del fatto che un’aumentata suscettibilità sensoriale in risposta al cibo possa essere un precoce fattore di rischio per lo sviluppo di obesità (Boutelle et al., 2015). L’identificazione di potenziali fattori di rischio ha luogo a partire già dall’epoca gravidica e peri-natale, in cui si riconoscono come determinanti: la nutrizione ed il peso materno, il fumo di sigaretta, il consumo di caffeina, il parto per taglio cesareo ed un basso peso alla nascita (Bammann et al., 2014; Li et al., 2014; Yang et al., 2013). Inoltre i nati da madri nullipare, pur presentando tassi di crescita fetale inferiori rispetto ai figli di madri multipare, riconoscono un aumentato rischio di sviluppare eccesso ponderale in epoca infantile con un peggiore profilo cardio-metabolico. Non completamente chiariti i meccanismi sottostanti, tuttavia le madri multipare sembrerebbero offrire, mediante rimodellamento vascolare acquisito nel corso delle precedenti gravidanze, un più favorevole ambiente intra-uterino (Gaillard et al., 2014). Ampiamente riconosciuto il ruolo protettivo dell’allattamento materno (Yan et al., 2014) e, per quanto riguarda l’allattamento artificiale, delle formule a più basso contenuto proteico per contrastare lo sviluppo di obesità durante l’infanzia (Weber et al., 2014). Inoltre, tra i fattori in grado di influenzare in futuro le scelte alimentari e conseguentemente il peso corporeo, sono state chiamate in causa anche le modalità di svezzamento nonché la tipologia di alimentazione oltre il primo anno di vita, concludendo come un elevato introito calorico in proteine, per lo più animali, si associ ad un precoce guadagno ponderale ed allo sviluppo di sovrappeso ed obesità nell’età successive (Betoko et al., 2013; Pearce e Langley-Evans, 2013). Recentemente l’interesse scientifico si è concentrato sullo studio dell’esposizione ad agenti chimici ambientali, cosiddetti interferenti endocrini, ovvero sostanze in grado di interferire con il sistema endocrino, direttamente e non, già in epoca pre-natale. Si tratta di agenti ubiquitariamente presenti categorizzati in prodotti farmaceutici, pesticidi, sottoprodotti industriali e fumo di sigaretta, la cui precoce esposizione si associa ad incremento ponderale nell’età successive (Khalil et al., 2014). In particolare, tra gli agenti annoverati in qualità di promotori di un fenotipo obeso, sono stati descritti diclorodifeniltricloroetano (DDT) e gli idrocarburi policiclici aromatici, prodotti dalla parziale combustione di materiali organici, non necessariamente in combinazione al fumo di sigarette (HyunWoo et al., 2014; Warner et al., 2014). Si delinea per l’obesità essenziale un’eziopatogenesi, solo parzialmente chiarita, in cui interagiscono in maniera sinergica molteplici fattori così da determinare un contesto obesogeno. Identificazione di nuovi regolatori: microbiota intestinale ed obesità Recentemente, è stata avanzata l’ipotesi di un potenziale ruolo da parte del microbiota intestinale nella patogenesi dell’obesità e della sindrome metabolica (Kovatcheva-Datchary e Arora, 2013). In letteratura, si riportano sempre maggiori evidenze secondo le quali i batteri intestinali ed i loro prodotti metabolici sembrano in grado di modulare: la secrezione e l’azione di ormoni a produzione intestinale e non, la sintesi di neurotrasmettitori, enzimi ad azione digestiva, vitamine e cofattori, il sistema immunitario, lo stato infiammatorio, il trofismo e la motilità intestinale. In condizioni di eubiosi, il microbiota intestinale è costituito da ceppi microbici prevalentemente aerobici nel tratto superiore ed in maggioranza con attività anaerobica nel tratto inferiore; tale equilibrio funzionale è necessario così da garantire il mantenimento delle corrette funzioni gastrointestinali di digestione ed assorbimento di nutrienti e minerali, e così da consentire la piena funzionalità del sistema immunitario e prevenire, infine, il possibile sviluppo di complicanze metaboliche, quali obesità e diabete mellito di tipo 2. La variazione della composizione microbica intestinale sembrerebbe inoltre influenzare spesa energetica, sazietà ed assunzione di cibo, condizionando conseguentemente le modifiche ponderali. Evidenze scien117 G. Bona et al. tifiche suggeriscono, infatti, un ruolo chiave del microbiota intestinale nell’ambito dell’omeostasi energetica, promuovendo l’estrazione calorica dagli alimenti ingeriti ed il loro successivo immagazzinamento nei tessuti adiposi. È stato dunque ipotizzato che il microbiota intestinale di ciascun individuo presenti un’efficienza metabolica specifica e che sue determinate caratteristiche di composizione possano predisporre o meno all’insorgenza dell’obesità, probabilmente influenzando la quantità di energia ricavata dalla dieta (Cox et al., 2014). Nei pazienti obesi è stata descritta, infatti, una flora microbica intestinale differente rispetto ai controlli normopeso, identificando una concentrazione maggiore di Staphylococcus aureus e batteri Gram-negativi, a discapito soprattutto dei ceppi di Bifidobacterium spp (Cox et al., 2014). La letteratura scientifica va così delineando un profilo di microbiota intestinale che sembrerebbe mostrare un effetto protettivo nei confronti dello sviluppo dell’obesità e delle sue complicanze. La colonizzazione del tratto gastroenterico subisce notevoli modifiche dall’epoca neonatale a quella adulta nonché l’influenza di diversi fattori, tra cui la flora microbica materna, l’allattamento al seno o artificiale e la dieta. Il rischio di eccesso ponderale nei nati da madri affette da obesità, trova dunque probabilmente spiegazione proprio nella trasmissione alla prole di un microbiota intestinale obesogeno (Galley et al., 2014). A tal proposito, inoltre, è stata riconosciuta tra i fattori di rischio per l’eccesso ponderale l’esposizione agli antibiotici, sia in epoca prenatale sia precocemente durante la prima infanzia, in qualità di modificatori della composizione microbica intestinale (Bailey et al., 2014; Mueller et al., 2014; Saari et al., 2015). Sulla base delle precedenti considerazioni, si è di recente affacciata l’ipotesi di manipolazione della composizione del microbiota intestinale con la dieta ed i farmaci, in particolare prebiotici, probiotici e simbiotici. Studi, sia in modelli animali sia in modelli umani, hanno infatti riscontrato una correlazione positiva tra supplementazione con prebiotici, ovvero sostanze non digeribili di origine alimentare quali l’oligofruttosio e la crescita di Bifidobacterium spp, descrivendo un migliore profilo glico-insulinemico con regressione del tono infiammatorio. Ancora scarsi e talora controversi risultano invece i dati ottenuti nell’uomo dopo somministrazione di probiotici, ovvero integratori alimentari consumati sotto forma di prodotti di latte, yogurt, o farmaci, e definiti come “microrganismi vivi” che, quando somministrati in quantità adeguate, conferiscono benefici per la salute dell’ospite (Okeke et al., 2014). La supplementazione dietetica con probiotici, in particolare con Bifidobatteri, nei modelli sia animali sia umani, sembra tuttavia modificare ed arricchire il contenuto microbico intestinale, modificandone la composizione ed influenzando la conversione dei suoi metaboliti, quali gli Acidi Grassi a Catena Corta (acetato, propionato, butirrato), non solo nutrienti es118 senziali ma anche molecole coinvolte nel signalling di regolazione dei processi di omeostasi energetica e nei meccanismi di integrità della mucosa intestinale (Cox et al., 2014; Kimura, 2014; Kovatcheva-Datchary e Arora, 2013). Al contrario, si attribuisce ai batteri Gram-negativi, associati prevalentemente ad una dieta ricca di grassi, la responsabilità dei livelli di Lipopolisaccaride, derivato in grado di alterare la permeabilità intestinale ed attivare la cascata di espressione di citochine, promuovendo così uno stato di infiammazione cronica a basso grado, risposta associata ad un incrementato rischio di obesità e disordini metabolici (Cox et al., 2014). Si evince infine un emergente ed importante ruolo del microbiota intestinale nell’insorgenza dell’obesità e nello sviluppo dei disordini metabolici e cardiovascolari. Tuttavia ancora da esplorare e da chiarire completamente i pathways coinvolti. Stile di vita, strategie farmacologiche e chirurgia bariatrica L’approccio clinico al trattamento dell’obesità in età pediatrica prevede il ricorso a programmi dietetici e di esercizio fisico volti a promuovere uno stile di vita sano. Si tratta in primis di affrontare un intervento educazionale, considerando la minima aderenza alle raccomandazioni per un corretto stile di vita che è emersa da uno studio IDEFICS condotto in Europa su una casistica di bambini di età pre-scolare (Kovács et al., 2014). Le attuali evidenze sottolineano come l’obiettivo primario di un intervento dietetico consista in una riduzione dell’introito calorico, adattandolo alle esigenze metaboliche proprie dell’età evolutiva, indipendentemente da una specifica distribuzione dei macronutrienti principali (carboidrati, proteine e grassi) (Gow et al., 2014), promuovendo tuttavia un pattern dietetico Mediterraneo (Tognon et al., 2014). In bambini ed adolescenti obesi, lo svolgimento di esercizio fisico è risultato da solo in grado di migliorare il quadro ponderale ed il profilo lipidico e glico-insulinemico, quando è previsto un impegno quotidiano di almeno un’ora in un’attività aerobica moderato-intensa associata ad attività intensa in almeno 3 occasioni alla settimana; le attività proposte dovrebbero inoltre essere divertenti, appropriate per sesso ed età ed il più possibile diversificate (Kelley et al., 2014). Inevitabilmente, l’efficacia di un programma combinato che includa l’aderenza ad un adeguato regime alimentare e lo svolgimento costante di attività fisica, è stata ampiamente riconosciuta anche in età pediatrica nonché confermata da più recenti studi, in termini di riduzione della componente di massa grassa e miglioramento del profilo metabolico a breve termine (Basterfield et al., 2014; Harder-Lauridsen et al., 2014) ed a distanza di un anno (Blüher et al., 2014a; Blüher et al., 2014b; Bock et al., 2014). Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015 A supporto dei programmi dietetico - comportamentali, è stata altresì proposta la possibilità di intervenire sull’eccesso ponderale ricorrendo a strumenti farmacologici anche in età evolutiva. Tuttavia i farmaci a disposizione per l’età pediatrica sono limitati, in quanto la loro sicurezza ed efficacia non è completamente chiarita. Tra i vari farmaci, negli ultimi anni, è stata prescritta off-label nel trattamento dell’obesità in bambini ed adolescenti, la Metformina. Si tratta di una biguanide il cui attuale utilizzo, in bambini con età superiore ai 10 anni, è stato approvato dalla U.S. Food and Drug Administration (FDA) nella terapia del diabete mellito di tipo 2. Gli eventi avversi maggiori associati alla somministrazione di Metformina, quali acidosi lattica, nefropatia ed insufficienza cardiaca, non sono stati finora riportati in età pediatrica. Da una recente revisione della letteratura, è stato dimostrato un miglioramento ponderale con la Metformina, in combinazione con modificazioni dello stile di vita, seppure di modesta consistenza e non sicura evidenza del beneficio a lungo termine; tra coloro che potrebbero beneficiarne maggiormente sono risultati quei soggetti con più elevati indici di massa corporea, età intorno ai 12 anni ed aderenti in precedenza agli interventi comportamentali (McDonagh et al., 2014). Sono tuttavia necessarie ulteriori valutazioni, anche se, il calo di appetito ed il conseguente ridotto introito alimentare, descritti in corso di trattamento con Metformina, in presenza di un buon profilo di sicurezza, rendono tale farmaco un ulteriore strumento terapeutico da proporre in particolare a quei soggetti obesi con segni di insulino-resistenza (Adeyemo et al., 2014; Ho et al., 2014). In seguito all’incremento in prevalenza dei casi di obesità severa, è recentemente aumentata la percentuale di adolescenti obesi sottoposti alla chirurgia bariatrica. I programmi di intervento chirurgico negli adolescenti obesi devono includere, a maggior ragione, una multidisciplinarietà espressa da un team di diversi specialisti, identificati in particolare nelle figure del pediatra, del dietista, dello psicologo, e di un esperto di attività fisica (Michalsky et al., 2014). Attualmente la chirurgia bariatrica si avvale più comunemente della laparoscopia e la tecnica più utilizzata, negli adolescenti, consiste nel bypass gastrico con ansa alla Roux. Si annoverano anche altre procedure chirurgiche, seppur con più limitati campi di applicazione, quali, ad esempio, la gastrectomia verticale parziale ed il bendaggio gastrico, quest’ultimo, però non approvato dalla FDA per pazienti di età inferiore ai 18 anni (Zitsman et al., 2014). La valutazione dei risultati attesi dalla chirurgia bariatrica richiede il monitoraggio del calo ponderale, delle co-morbidità associate e la durata del beneficio, a fronte dei rischi. In età pediatrica, soprattutto, la sicurezza dell’intervento rappresenta un punto cardine sia per le professionalità mediche sia per le famiglie dei pazienti. A tal proposito, il gruppo di ricerca del Teen- LABS (Longitudinal Assessment of Bariatric Surgery consortium) ha recentemente dimostrato, in un primo studio multicentrico, un favorevole profilo di sicurezza negli adolescenti sottoposti a bypass gastrico, gastrectomia verticale parziale e bendaggio gastrico, riportando un dato di complicanze sovrapponibile a quello osservato nella popolazione adulta (Inge et al., 2014). Attualmente le Istituzioni rappresentate dalla American College of Surgeons e dalla American Society for Metabolic and Bariatric Surgery sono impegnate nello sviluppo di un programma con l’obiettivo di definire, a livello nazionale, degli standard per la chirurgia bariatrica, rivolgendo particolare attenzione agli adolescenti obesi (Zitsman et al., 2014). Sono infatti ancora poco studiati gli effetti, a breve e lungo termine, dell’intervento chirurgico nel trattamento dell’obesità severa nei pazienti di età pediatrica. Preliminari evidenze suggeriscono tuttavia una attenuazione del craving per gli alimenti ad elevato contenuto calorico negli adolescenti sottoposti a correzione per intervento di bypass gastrico; tale effetto, descritto come non-lineare, è risultato preponderante nei 6 mesi successivi mentre minimo negli ulteriori 18 mesi, ipotizzando comunque un trend di stabilizzazione (Cushing et al., 2015). Ad oggi, la scelta della chirurgia bariatrica da rivolgere ad adolescenti affetti da obesità severa comporta una complessa decisione medica e psicologica. Una recente revisione scientifica delle diverse linee guide, attualmente in uso negli Stati Uniti ed in Canada, ha evidenziato unanime consenso nell’identificare tra i candidati quei soggetti che abbiano raggiunto la maturazione puberale. Controversa rimane invece la definizione dei criteri richiesti di indice di massa corporea ed eventuali comorbidità associate. Rimangono ancora da indagare pienamente la motivazione dei soggetti direttamente coinvolti nonché l’opinione dei genitori, elementi essenziali nella decisione finale (Brei e Mudd, 2014). Linee guida, Consensus, Statement L’individuazione, la valutazione e la gestione del sovrappeso e dell’obesità negli adulti, nei giovani e nei bambini sono attuale oggetto di un parziale aggiornamento delle linee guida del 2006, messe a punto nel 2014 dalla Guideline Development Group (GDG), promosse dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE). In tale occasione viene ribadita l’importanza di un approccio multi-disciplinare che combini dieta, attività fisica, supporto psicologico ed eventuale intervento farmacologico o chirurgico, nel contesto di uno stretto follow-up (Partial update of CG43, 2014). Negli ultimi anni si è assistito ad un drammatico incremento in prevalenza di casi di obesità severa anche in età pediatrica. In mancanza di una definizione chiara e condivisa dalla comunità scientifica, nel 2013, l’American Heart Association ha diffuso un enunciato con l’obiettivo di raggiungere un consenso unanime nella definizione di obesità severa in bambini ed adolescenti col fine di individuare un percorso diagnostico119 G. Bona et al. terapeutico appropriato. Rimane tuttavia molto discussa nei soggetti affetti da obesità grave, per lo più di età adolescenziale, l’opzione chirurgica, in considerazione dei modesti benefici prodotti dagli interventi di modificazione dello stile di vita e della limitata disponibilità farmacologica (Kelly et al., 2013). A tale proposito, si inserisce, nel 2014, anche la posizione assunta da un gruppo di esperti rappresentanti delle principali società scientifiche europee (Fried et al., 2014). Indagando altre potenziali strategie a disposizione, da un lato, per contrastare il dilagare dell’eccesso ponderale e, dall’altro, per gestire efficacemente bambini ed adolescenti obesi, l’American Heart Association ha suggerito alcuni interventi a promozione della salute basati anche sull’utilizzo di social-network e media (Li et al., 2013). L’obiettivo cardine di fronte alla questione obesità prevede in primo luogo atti di prevenzione primaria. In merito alla educazione ed alle abitudini alimentari dei bambini di età compresa tra i 2 e gli 11 anni, si è recentemente espressa la statunitense Academy of Nutrition and Dietetics, diffondendo raccomandazioni dietetiche ed indicazioni all’attività fisica, tali da promuovere uno stile di vita sano per una adeguata crescita, in particolare in età evolutiva, contrastando lo sviluppo di eccesso ponderale e le conseguenti alterazioni metaboliche (Ogata e Hayes, 2014). Box di orientamento • Cosa sapevamo prima Nelle ultime due decadi si è verificato un incremento “epidemico” dell’obesità in età evolutiva. Nel delineare un fenotipo obeso contribuiscono in maniera sinergica molteplici fattori sia genetici sia ambientali. L’approccio clinico al trattamento dell’obesità in età pediatrica prevede principalmente il ricorso a programmi dietetici, ispirandosi alla dieta Mediterranea, e di esercizio fisico volti a promuovere uno stile di vita sano. • Cosa sappiamo adesso Nella patogenesi dell’obesità è stato ipotizzato che il microbiota intestinale di ciascun individuo presenti un’efficienza metabolica specifica e che sue determinate caratteristiche di composizione possano predisporre o meno all’insorgenza dell’obesità, modificando la quantità di energia ricavata dalla dieta. A supporto dei programmi dietetico - comportamentali, è stata altresì proposta la possibilità di intervenire sull’eccesso ponderale ricorrendo a strumenti farmacologici ed alla opzione chirurgica. • Quali ricadute sulla pratica clinica La manipolazione della composizione del microbiota intestinale con la dieta ed i farmaci, in particolare prebiotici, probiotici e simbiotici, potrebbe influenzare la conversione dei suoi metaboliti coinvolti nel signalling di regolazione dei processi di omeostasi energetica contrastando così il rischio di disordini metabolici. Nel trattamento dell’obesità si va delineando sempre più una multidisciplinarietà espressa da un team di specialisti, in particolare nei soggetti affetti da obesità grave, per lo più di età adolescenziale, ai quali si inizia a proporre la chirurgia bariatrica. Bibliografia Adeyemo MA, McDuffie JR, Kozlosky M, et al. Effects of metformin on energy intake and satiety in obese children. Diabetes Obes Metab 2014;17:363-70. 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Corrispondenza Gianni Bona Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università del Piemonte Orientale, corso Mazzini 18, 28100 Novara - E-mail: [email protected] 122 Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 123-130 Obesità infantile Dalle obesità “genetiche” all’epigenetica nell’obesità Laura Perrone Pierluigi Marzuillo Emanuele Miraglia del Giudice Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica, Seconda Università di Napoli Le obesità genetiche presentano un modello di trasmissione di tipo mendeliano, in cui si riconosce una mutazione causativa rara a carico di un singolo gene, che si può esprimere allo stato eterozigote o omozigote. Dette tipologie di obesità possono essere classificate come sindromiche e non sindromiche. Tra le non sindromiche si annoverano una serie di obesità monogeniche imputabili a mutazioni di geni coinvolti nella via ipotalamica “leptinamelanocortina” o nei segnali ipotalamici posti a valle di questa via, segnali che sono alla base della regolazione dell’appetito e della sazietà. Tra le obesità sindromiche, invece, si annoverano sia le ciliopatie, come la sindrome di Bardet-Biedl e di Alström, sia le obesità da difetto di imprinting come la sindrome di Prader-Willi. Oltre alla genetica, anche l’epigenetica, che si riferisce ai cambiamenti rinvenibili nell’espressione (e non nella sequenza) del gene, svolge un ruolo determinante nell’insorgenza dell’obesità. L’articolo si propone di approfondire le obesità monogeniche sindromiche e non, con lo scopo di fornire ai Pediatri che non si occupano di endocrinologia pediatrica, gli strumenti indispensabili per riconoscere ed inquadrare le obesità monogeniche. Si è voluto, inoltre, porre in risalto il ruolo fondamentale che l’epigenetica ricopre nello sviluppo dell’obesità. Riassunto Monogenic obesity is characterized by a rare, monogenic, causative mutation with a mendelian inheritance pattern. Monogenic obesity comprehends both syndromic and not syndromic forms. Among not syndromic forms, all the monogenic forms of obesity affecting the hypothalamic leptin-melanocortin pathway involved in the satiety control are recognized. Among the syndromic forms of obesity, the nonmotile ciliopathy (Bardet-Biedl and Alström syndromes) and the imprinting defects (Prader-Willi syndrome) are listed. Apart from genetic, also epigenetic mechanisms play a relevant role in determining obesity. The aim of this review is to give to the general Pediatricians the key elements to suspect and then to diagnose genetic forms of obesity. Moreover, we underline the importance of the epigenetic mechanisms in determining obesity. Summary Introduzione L’obesità pediatrica, in costante aumento negli ultimi anni, è il frutto dello stravolgimento del delicato equilibrio esistente tra i fattori ambientali (alto intake calorico e ridotta attività motoria) e il substrato genetico dell’individuo con un modello di ereditarietà di tipo poligenico (Miraglia del Giudice et al., 2009). Esistono forti evidenze scientifiche sul fatto che l’indice di massa corporea (BMI) sia, per la gran parte, geneticamente determinato, con un tasso di ereditabilità stimato tra il 40 ed il 70% (Barsh et al., 2000) che può raggiungere un picco del 77% nei gemelli (Haworth et al., 2008). Del tutto diverso è il modello di ereditarietà delle obesità monogeniche (che possono essere sindromiche e non). Esse sono ascrivibili, infatti, ad un modello mendeliano in cui si riconosce una mutazione causativa rara, a penetranza completa, a carico di un singolo gene che può esprimersi sia allo stato eterozigote che a quello omozigote (Morandi e Maffeis, 2014). Accanto alla genetica ed all’ambiente, un altro fattore responsabile dell’insorgenza dell’obesità è l’epigenetica, consistente, cioè, nelle modificazioni che interessano l’espressione (e non la sequenza) genica. 123 L. Perrone et al. Obiettivo della revisione e metodologia della ricerca bibliografica L’articolo si propone di approfondire le conoscenze sulle obesità monogeniche sindromiche e non, con lo scopo di fornire ai Pediatri, che non si occupano di endocrinologia pediatrica, gli elementi chiave per riconoscere ed inquadrare le obesità monogeniche. Si è voluta sottolineare l’importanza dell’epigenetica nello sviluppo di obesità. La ricerca di articoli rilevanti su tali argomenti è stata effettuata utilizzando PubMed come motore di ricerca. Le parole chiave, utilizzate quali filtri della ricerca, sono le seguenti: monogenic, syndromic, obesity, children, epigenetic, ciliopathies, imprinting. Obesità monogeniche senza quadri malformativi Tutte le forme di obesità presenti in questo gruppo (Tab. I) sono determinate da mutazioni di geni coinvolti nella via ipotalamica “leptina-melanocortina” o nei segnali ipotalamici a valle di questa via, segnali che sono alla base della regolazione del senso dell’appetito e della sazietà (Fig. 1). L’obesità monogenica, derivante da mutazione (omozigote o eterozigote composto) della leptina o del suo recettore, presenta un quadro fenotipico molto simile (Montague et al., 1997). I livelli indosabili di leptina o il malfunzionamento del suo recettore, con conseguente mancanza di un tassello fondamentale sul controllo dell’appetito, spiegano il quadro clinico di un individuo che si presenta come normopeso alla nascita, che registra un rapido incremento ponderale nei primi mesi di vita e che è potenzialmente in grado di giungere ad obesità se- vera, associata ad iperfagia notevole ed aggressività, qualora il cibo gli venga negato (Licinio et al., 2004). In questo caso, l’individuo presenta anche ipogonadismo ipogonadotropo: la leptina, infatti, stimola la produzione ipotalamica di GnRH (Ramachandrappa e Farooqi, 2011). Inoltre, poiché la leptina stimola anche la risposta infiammatoria e la proliferazione dei linfociti T e delle citochine Th1 mediate, i pazienti con deficit di leptina presentano aumentata frequenza di infezioni (Matarese et al., 2005). A valle del recettore della leptina, agisce l’Src-homology-2 B adaptor protein 1 (SH2B1), un intermediario chiave nell’attivazione del segnale intracellulare del recettore della leptina. I pazienti con mutazioni o delezioni a carico di tale gene presentano, a parte l’obesità, severa insulino-resistenza e lieve ritardo dello sviluppo (Perrone et al., 2010). L’obesità monogenica da deficit della Proopiomelanocortina (POMC) si manifesta quando sono presenti mutazioni null in omozigosi. Il POMC, grazie alla proconvertasi 1 (PCSK1), è il precursore del peptide anoressizzante a-melanocyte-stimulating-hormone (a-MSH) (Kim e Choi, 2013). L’a-MSH agisce sul melanocotin 4 receptor (MC4R) dei neuroni anoressizzanti e riduce l’appetito e l’assunzione di cibo. A valle dell’MC4R sembrerebbe agire come fattore di trascrizione single-minded homolog1 (SIM1) che presenta target non completamente noti. Le mutazioni del POMC, dunque, determinano iperfagia, obesità ad esordio precoce, deficit di adrenocorticotropina (ACTH) ed ipopigmentazione di cute e capelli (Krude et al., 1998). Gli eterozigoti portatori di mutazioni null presentano più elevato rischio di obesità o sovrappeso (Farooqi et al., 2003). Il cocaine-and amphetamine-regulated transcript (CART) è un peptide prodotto da specifici neuroni ipotalamici in risposta allo stimolo della leptina. Esso sembrerebbe mediare gli effetti termogenetici e di Tabella I. Le obesità monogeniche senza quadri malformativi “a colpo d’occhio”. Elementi clinici oltre ad obesità iperfagica Pensa a… Ipogenitalismo, ritardo/assenza dello sviluppo puberale, infezioni frequenti Deficit di Leptina Ipogenitalismo, ritardo/assenza dello sviluppo puberale Deficit del recettore di Leptina Ansia e depressione Deficit di CART Ipogenitalismo, ritardo/assenza dello sviluppo puberale, ipopigmentazione cute e capelli, deficit ACTH Deficit di POMC Ipogenitalismo, ritardo/assenza dello sviluppo puberale, alterazione del metabolismo glucidico, elevata proinsulina plasmatica, malassorbimento grave nel periodo neonatale Deficit di PCSK1 Crescita staturale accelerata, altezza definitiva aumentata Deficit di MC4R Insulino-resistenza severa e sproporzionata per il grado di obesità, in alcuni casi lieve ritardo dello sviluppo Deficit di SH2B1 Ritardo dello sviluppo, iperattività, deficit di memoria, ridotta sensibilità al dolore Deficit di BDNF o di TrkB Ritardo dello sviluppo Deficit di SIM1 124 Obesità genetiche ed epigenetica spesa energetica caratteristici della leptina. È stato dimostrato che mutazioni a carico del gene CART sono associate a ridotti livelli del peptide da esso codificato (Miraglia del Giudice et al., 2001). Pazienti con queste mutazioni possono presentare obesità severa associata ad ansia e depressione (Miraglia del Giudice et al., 2006). Il Prohormone convertase 1 (PCSK1) è un enzima che taglia la proopiomelanocortina in ACTH ed in aMSH (Fig. 1). I pazienti con deficit di PCSK1 sono affetti da obesità di grado severo e presentano deficit di glucocorticoidi, ipogonadismo ipogonadotropo ed alterata omeostasi glicemica, correlata ad alterato processamento di numerosi proormoni (Jackson et al., 1997). Utili nella diagnosi di questo disordine sono gli elevati livelli di proinsulina e i bassi livelli di insulina sierica. Una caratteristica tipica di questi pazienti è una storia di malassorbimento intestinale grave nel periodo neonatale, probabilmente legato ad alterato clivaggio dei propeptidi intestinali nelle cellule enteroendocrine e nei nervi esprimenti il PCSK1 all’interno del tenue (Jackson et al., 1997). Tra tutte le forme di obesità monogenica la più frequente è quella cagionata da deficit di MC4R. Questa mutazione è presente nel 5-6% dei casi di obesità precoce e severa (Farooqi et al., 2003). Le mutazioni del gene MC4R sono ereditate in modo codominante con espressività e penetranza variabili nei portatori eterozigoti (Stutzmann et al., 2008). I pazienti affetti da questa forma di obesità monogenica presentano iperfagia, alta statura ed anche incremento della massa magra (Santoro et al., 2009). L’aumentata crescita lineare potrebbe essere dettata dall’iperinsulinemia che tali pazienti presentano sin dalle prime epoche di vita (Farooqi et al., 2003). Un’altra causa dell’incrementata crescita lineare potrebbe essere l’assenza di soppressione della secrezione di GH, frequente nei soggetti affetti da obesità primaria (Martinelli et al., 2011). Mutazioni del brain-derived neurotrophic factor (BDNF) and tyrosin kinase B receptor (TrKb), sono cause rarissime di obesità monogenica e determinerebbero obesità agendo a valle della cascata del segnale dell’MC4R, bloccandone la trasduzione (Xu et al., 2003.). Un’altra molecola che agirebbe a valle della cascata del segnale dell’MC4R è il SIM1, un fattore di trascrizione coinvolto nello sviluppo dei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo (Fig. 1). Sinora è stato evidenziato un deficit eterozigote di SIM1 che, oltre Figura 1. La regolazione dell’appetito (frecce rosse: inibizione; frecce verdi: stimolo). 125 L. Perrone et al. ad obesità grave precoce, era in grado di determinare un disordine neuro-comportamentale (Ramachandrappa et al., 2013). Altre recenti forme di obesità monogenica, ancora in corso di definizione, sono l’obesità da mutazione di melanocortin 2 receptor accessory protein 2 (MRAP2) che codifica per un co-recettore di MC4R (Asai et al., 2013) e da mutazione di Kinase suppressor of Ras 2 (KSR2) proteina coinvolta nel segnale intracellulare (Pearce et al., 2013). dini con la BBS. Essa è caratterizzata da distrofia retinica, ipoacusia neurosensoriale, obesità ad esordio precoce ed insulino-resistenza che conduce a diabete di tipo 2 (Tab. II). Altre manifestazioni cliniche sono la cardiomiopatia dilatativa, la disfunzione epatica e renale, la bassa statura e l’ipogonadismo maschile (Tobin e Beales, 2009). Sindromi monogeniche da disfunzione ciliare: la sindrome di Bardet-Biedl e la sindrome di Alström Con il termine di “imprinting” si vuole indicare l’espressione differenziata di geni a seconda dell’origine parentale. Un classico esempio di disordine di imprinting è la sindrome di Prader-Willi (PWS). Tale sindrome è associata ad una delezione del braccio lungo del cromosoma 15 (regione q11-q13) di origine paterna o alla presenza di disomia uniparentale materna. Anche se la copia derivante dalla madre è intatta o presente in duplice copia come nella disomia uniparentale materna, essa non può sopperire alla delezione o alla completa mancanza del cromosoma 15 paterno, perché tali geni materni sono normalmente silenziati. La PWS è la forma più comune di obesità sindromica (prevalenza di circa 1 su 25.000). Caratteristiche chiave sono rappresentate da ipotonia e difetto di crescita nelle prime epoche di vita, ritardo mentale, bassa statura, iperfagia, obesità severa ed ipogonadismo ipogonadotropo. I bambini con PWS hanno una massa magra ridotta con aumento di quella grassa. La terapia con GH che si può effettuare in questi pazienti è quindi utile sia per migliorare la statura che la composizione corporea (O’Rahilly e Farooqi, 2006). La prima tappa nella diagnostica molecolare della PWS, che permette di ottenere una diagnosi nel 99% dei casi, è il test di metilazione di 15q11-q13. Il test risulta patologico, sia in caso di delezione sia in caso di disomia uniparentale materna, poiché in entrambi i casi manca la copia demetilata della regione 15q11-q13 (Morandi e Maffeis, 2014). L’osteodistrofia ereditaria di Albright (AHO) è un disordine autosomico dominante derivante da una mutazione nella linea germinale nel gene guanine nucleotide binding protein, alpha stimulatin 1 (GNAS1) che riduce l’espressione o la funzione della proteina Gsa. La trasmissione materna di mutazione nel gene GNAS1 porta ad AHO, che è caratterizzata da bassa statura, obesità, difetti scheletrici ed iposomia. È presente, inoltre, anche una resistenza a diversi ormoni (ad esempio il paratormone) che attivano le proteine Gs nei tessuti target. È interessante notare, invece, che se la trasmissione della mutazione è di origine paterna, è presente solo il quadro fenotipico caratteristico di AHO senza resistenze ormonali. Le cilia sono degli organelli intracellulari formati da microtubuli, fondamentali nella trasduzione del segnale intercellulare. Le ciliopatie sono delle malattie geneticamente determinate, la cui eziologia è rappresentata da una disfunzione di questi organelli. L’integrità delle cilia è fondamentale per la trasduzione del segnale del recettore della leptina attivato, presente sui neuroni POMC. Il malfunzionamento ciliare spiegherebbe perché tanto la sindrome di Bardet-Biedl (BBS) che la sindrome di Alström (ALMS), due ciliopatie monogeniche, siano accomunate dalla presenza di obesità (Tobin e Beales, 2009). I pazienti affetti da BBS presentano tutte le caratteristiche tipiche delle ciliopatie: polidattilia, reni policistici, retinite pigmentosa e situs inversus. Quasi tutti i pazienti (circa il 98%) affetti da BBS sono, inoltre, obesi. Benché il meccanismo patogenetico posto alla base del sovrappeso non sia ancora del tutto chiaro, sembra che esso possa dipendere da uno scorretto funzionamento del centro di sazietà ipotalamico. I pazienti con BBS soffrono, inoltre, di polidattilia post-assiale e di ipogenitalismo. Nei primi anni di vita essi passano rapidamente dall’essere sovrappeso all’essere obesi e, dunque, all’essere esposti alle complicanze legate al caso. Ad 8 anni questi pazienti iniziano a soffrire di cecità notturna, che diviene poi cecità completa con buona approssimazione al raggiungimento del quindicesimo anno di vita. Le cisti renali si manifestano sin dalla prima infanzia e alcuni pazienti potrebbero aver bisogno, nelle epoche successive della loro vita, di dialisi e trapianto renale. L’insufficienza renale rappresenta la principale causa di morte dei pazienti affetti da BBS (nel 30% dei casi) (Tobin e Beales, 2009). Ad oggi sono noti ben 19 geni correlati alla BBS, elemento, questo, che rende complessa la diagnosi molecolare effettuata con metodologie classiche. In ogni caso la diagnosi di questi pazienti è principalmente clinica (Tab. II). La sindrome di Alström, dovuta a mutazione del gene ALMS1, è una sindrome rara, con incidenza stimata di 1/500.000-1/1.000.000, che mostra molte similitu126 Obesità sindromiche da difetti di imprinting Epigenetica nell’obesità Come già anticipato nell’introduzione di questo lavo- Obesità genetiche ed epigenetica Tabella II. Criteri diagnostici per la diagnosi delle due più comuni sindromi monogeniche da disfunzione ciliare (da Milani et al., 2014, mod.). Sindrome di Alström Sindrome di Bardet-Biedl La diagnosi è fatta quando sono presenti i seguenti criteri: La diagnosi è fatta quando sono presenti: 4 criteri maggiori o 3 maggiori + 2 minori 2 maggiori o 1 maggiore + 2 minori 2 maggiori o 1 maggiore + 3 minori 2 maggiori + 2 minori o 1 maggiore + 4 minori Età Criteri Maggiori Criteri Minori Criteri Maggiori Criteri Minori < 2 anni • Mutazione dell’ALMS 1 in un allele e/o storia familiare di ALMS • Nistagmo/fotofobia • Obesità • Cardiomiopatia dilatativa con scompenso cardiaco congestizio • Distrofia dei conibastoncelli • Ritardo/disordine del linguaggio • Strabismo/cataratta/ astigmatismo 3-14 anni • Mutazione dell’ALMS 1 in un allele e/o storia familiare di ALMS • Nistagmo/fotofobia, ridotta acuità visiva, distrofia dei coni valutata all’elettroretinogramma • Obesità e/o insulinoresistenza • (Storia di) cardiomiopatia dilatativa con scompenso cardiaco congestizio • Perdita dell’udito • Età ossea avanzata • Disfunzione epatica • Insufficienza renale • Polidattilia • Obesità • Ritardo dell’apprendimento • Ipogonadismo nei maschi • Anomalie renali • Brachidattilia/sindattilia • Ritardo dello sviluppo • Poliuria/polidipsia (diabete insipido nefrogenico) • Atassia/instabilità/ scarsa coordinazione • Lieve spasticità (soprattutto arti inferiori) • Diabete melito > 14 anni • Mutazione dell’ALMS 1 in un allele e/o storia familiare di ALMS • Cecità, storia di nistagmo, distrofia di coni e bastoncelli evidenziata all’elettroretinogramma • Obesità e/o insulinoresistenza e/o diabete di tipo 2 • (Storia di) cardiomiopatia dilatativa con scompenso cardiaco congestizio • Perdita di udito • Disfunzione epatica • Insufficienza renale • Bassa statura • Ipogonadismo maschile • Irregolarità mestruale e/o iperandrogenismo femminile ro, l’ereditabilità del BMI gioca un ruolo fondamentale nella determinazione del peso corporeo, registrando una soglia di incidenza con un valore che può superare il 70% (Haworth et al., 2008). Questo ultimo dato appare però in aperta contraddizione con l’evidenza di un aumento epidemico dell’obesità pediatrica registrato negli ultimi venti anni, lasso di tempo, questo, assolutamente insufficiente perché si possano registrare modifiche permanenti nel genoma. Solo la riprogrammazione dell’espressione genica, manifestatasi attraverso quelle che si definiscono modificazioni epigenetiche conseguenti a rilevanti modifiche ambientali avvenute in massima parte nelle prime epoche della vita, potrebbe parzialmente giustificare questo fenomeno. I due meccanismi principali che portano alle modificazioni epigenetiche sono la metilazione del DNA ed il rimodellamento della cromatina, cioè del complesso del DNA e degli istoni ad esso associati (Waterland, 2014). • Affollamento dentale/ ipodontia/radici piccole/ palato arcuato • Ipertrofia del ventricolo sinistro/cardiopatia congenita • Fibrosi epatica Variazioni interindividuali nelle modificazioni epigenetiche, come la metilazione CpG, sono potenzialmente in grado di alterare la funzione genica e di predisporre ad obesità. La variazione del grado di metilazione, infatti, è in grado di modulare l’espressione di geni coinvolti nel controllo ipotalamico dell’appetito (Kuehnen, 2012). Già in utero si può verificare una riprogrammazione del bilancio energetico derivante dall’esposizione a peculiari fattori ambientali, con conseguenti modificazioni epigenetiche che possono colpire il potenziale adipogenetico della prole (Waterland, 2014). Tobi et al., hanno, infatti, dimostrato che l’esposizione prenatale di feti umani a carestia, è in grado di determinare alterazione della metilazione del DNA, con conseguenti modificazioni epigenetiche che persistono per l’intera esistenza e che predispongono ad obesità e ad aumentato rischio metabolico e cardiovascolare nel corso della vita (Tobi et al., 2014). 127 L. Perrone et al. Abbiamo prima sottolineato il ruolo del gene POMC nello sviluppo delle obesità monogeniche. Un recente lavoro dimostra come anche l’epigenetica, attraverso la modificazione dell’espressione del POMC, possa giocare un ruolo importante nel predisporre all’obesità (Kuehnen, 2012). Kuehnen et al., infatti, hanno dimostrato che i pazienti obesi presentano un incremento significativo dello score di metilazione del gene POMC (Kuehnen, 2012). L’ipermetilazione del POMC determina riduzione dell’espressione del POMC con conseguente sviluppo di obesità (Kuehnen, 2012). Conclusioni e prospettive per il futuro L’obesità, considerata quale esempio di patologia poligenica per eccellenza, può, in una piccola percentuale di casi, configurarsi come l’espressione di una mutazione monogenica causativa o, in altri casi, inquadrarsi nell’ambito di una sindrome. Riconoscere le obesità monogeniche, sindromiche e non, è davvero molto importante per almeno due ragioni che si andranno di seguito ad enunciare. In primis, perché si auspica Anamnesi familiare, personale ed esame obiettivo Segni o sintomi concomitanti o iperfagia tali da far sospettare obesità sindromica? SÌ È presente ritardo dello sviluppo o sono chiaramente evidenti dismorfismi? SÌ No Positivo Sindrome di Prader-Willi Cariotipo Studio di metilazione del DNA Negativo SÌ È presente fotofobia o nistagmo? Sindrome di Alström No Positivo Sindrome di Bardet-Biedl SÌ È presente distrofia retinica? No Dosaggio di leptina, insulina e proinsulina Obesità monogenica da deficit congenito di leptina o PCSK1 Negativo Osteodistrofia ereditaria di Albright, obesità monogenica da deficit di BDNF, TrkB, SIM1 Studio genetico molecolare Obesità monogenica da deficit congenito del recettore della leptina, POMC, MC4R Figura 2. Inquadramento diagnostico delle obesità monogeniche (da Farooqi e O’Rahilly, 2014, mod.). 128 Obesità genetiche ed epigenetica che, nell’immediato futuro, avvalendosi anche dei risultati di altre ricerche condotte nel campo dell’obesità, i pazienti obesi possano beneficiare di una terapia specifica (come ad esempio della somministrazione di leptina ed agonisti del recettore MC4R). In secondo luogo perché si auspica che, se inquadrati nell’ambito di una sindrome ben definita, essi potranno avvalersi di un approccio multidisciplinare per la gestione dell’intero quadro sintomatologico. L’obesità ha raggiunto, ad oggi, proporzioni epidemiche. Spesso, però, i quadri clinici dei soggetti colpiti da questa patologia sono assai sfumati, tanto che capita di frequente che i pazienti obesi necessitino di ulteriore attenzione diagnostica. Nella Figura 2 è rappresentato un algoritmo di inquadramento diagnostico che può rivelarsi assai utile nella pediatria territoriale, per sospettare un’obesità monogenica, e nel secondo e nel terzo livello per orientarsi nell’esecuzione di tutte le indagini diagnostiche atte a confermare la diagnosi finale. In futuro, con il continuo affinarsi delle tecniche di diagnostica genetico-molecolare, la diagnosi di tutte queste forme potrebbe divenire più semplice. Le recenti evidenze sul ruolo dell’epigenetica, confermano, inoltre, l’improrogabile necessità di orientare l’azione sulla prevenzione dell’obesità, prevenzione che può iniziare sin dall’epoca prenatale. Box di orientamento • Cosa sapevamo prima L’obesità deriva dall’interazione fra predisposizione genetica ed ambiente. Era noto solo un limitato numero di obesità monogeniche con ridotte possibilità diagnostiche. • Cosa sappiamo adesso L’obesità è legata all’interazione fra predisposizione genetica, epigenetica ed ambiente. Il campo di studio delle obesità monogeniche si è enormemente allargato così come le possibilità diagnostiche. Per alcune tipologie di obesità si auspica che si possa, in tempi rapidi, giungere all’applicazione di una specifica terapia. • Per la pratica clinica Aumentate capacità di riconoscere il paziente con obesità monogenica tra i numerosissimi pazienti con obesità semplice. La prevenzione dell’obesità pediatrica va attuata già in epoca prenatale. Bibliografia Asai M, Ramachandrappa S, Joachim M, et al. Loss of function of the melanocortin 2 receptor accessory protein 2 is associated with mammalian obesity. Science 2013;341:275-8. Barsh GS, Farooqi IS, O’Rahilly S. Genetics of body-weight regulation. Nature 2000;404:644-51. Ottima, anche se datata, revisione sull’influenza genetica nella regolazione del peso corporeo. * Farooqi IS, Drop S, Clements A, et al. Heterozygosity for a POMC-null mutation and increased obesity risk in humans. Diabetes 2006;55:2549-53. Farooqi IS, Keogh JM, Yeo GS, et al. Clinical spectrum of obesity and mutations in the melanocortin 4 receptor gene. N Engl J Med 2003;348:1085-95. ** Articolo eccellente che ha chiarito le modalità di trasmissione e lo spettro clinico delle mutazioni dell’MC4R. Farooqi IS, O’Rahilly S. The Genetics of Obesity. S.F.A. Grant edition. New York: Springer Science+Business 2014. Haworth CM, Plomin R, Carnell S, et al. Childhood obesity: genetic and environmental overlap with normal-range BMI. Obesity 2008;16:1585-90. Jackson RS, Creemers JW, Farooqi IS, et al. Small-intestinal dysfunction accompanies the complex endocrinopathy of human proprotein convertase 1 deficiency. J Clin Invest 2003;112:1550-60. Jackson RS, Creemers JW, Ohagi S, et al. 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Obesity due to melanocortin 4 receptor (MC4R) deficiency is associated with increased linear growth and final height, fasting hyperinsulinemia, and incompletely suppressed growth hormone secretion. J Clin Endocrinol Metab 2011;96:181-8. Matarese G, Moschos S, Mantzoros CS. Leptin in immunology. J Immunol 2005;174:3137-42. Importante perché descrive per la prima volta il quadro clinico derivante da mutazioni del POMC. Milani D, Cerutti M, Pezzani L, et al. Syndromic obesity: clinical implications of a correct diagnosis. Ital J Pediatr 2014;40:33. Kuehnen P, Mischke M, Wiegand S, et al. An Alu element-associated hypermethylation variant of the POMC gene is asso- Miraglia Del Giudice E, Marzuillo P, Cresta N, et al. Genetics in the infant obesity. Minerva Pediatr 2009;61:671-3. ** 129 L. Perrone et al. Miraglia del Giudice E, Santoro N, Cirillo G, et al. Mutational screening of the CART gene in obese children: identifying a mutation (Leu34Phe) associated with reduced resting energy expenditure and cosegregating with obesity phenotype in a large family. Diabetes 2001;50:2157-60. Miraglia del Giudice E, Santoro N, Fiumani P, et al. Adolescents carrying a missense mutation in the CART gene exhibit increased anxiety and depression. Depress Anxiety 2006;23:90-2. Montague CT, Farooqi IS, Whitehead JP, et al. Congenital leptin deficiency is associated with severe early-onset obesity in humans. Nature 1997;387:903-8. Morandi A, Maffeis C. Le obesità monogeniche. L’Endocrinologo 2014;15:280-5. O’Rahilly S, Farooqi IS. Genetics of obesity. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci 2006;361:1095-105. Panizon F. Genetica ed epigenetica dell’obesità. Medico e Bambino 2009;28:431-9. Pearce LR, Atanassova N, Banton MC, et al. KSR2 mutations are asso- ciated with obesity, insulin resistance, and impaired cellular fuel oxidation. Cell 2013;155:765-77. Perrone L, Marzuillo P, Grandone A, et al. Chromosome 16p11.2 deletions: another piece in the genetic puzzle of childhood obesity. Ital J Pediatr 2010;36:43. Ramachandrappa S, Farooqi IS. Genetic approaches to understanding human obesity. J Clin Invest 2011 Jun;121:2080-6. ** Eccellente e puntuale disamina sulle obesità genetiche umane. Ramachandrappa S, Raimondo A, Cali AM, et al. Rare variants in single-minded 1 (SIM1) are associated with severe obesity. J Clin Invest 2013;123:3042-50. * Importante perché rappresenta la prima descrizione dell’associazione di varianti dell’SIM 1 con obesità severa. Santoro N, Cirillo G, Xiang Z, et al. Prevalence of pathogenetic MC4R mutations in Italian children with early onset obesity, tall stature and familial history of obesity. BMC Med Genet 2009;10:25. Stutzmann F, Tan K, Vatin V, et al. Prevalence of melanocortin-4 receptor deficiency in Europeans and their age-dependent penetrance in multigenerational pedigrees. Diabetes 2008;57:2511-8. Tobi EW, Goeman JJ, Monajemi R, et al. DNA methylation signatures link prenatal famine exposure to growth and metabolism. Nat Commun 2014;5:5592. Bella dimostrazione di come l’esposizione a fattori ambientali già in utero sia in grado di interferire con la crescita ed il metabolismo post-natale. ** Tobin JL, Beales PL. The nonmotile ciliopathies. Genet Med 2009;11:386-402. Waterland RA. Epigenetic mechanisms affecting regulation of energy balance: many questions, few answers. Annu Rev Nutr 2014;34:337-55. ** Ottima revisione delle attuali conoscenze sull’epigenetica dell’obesità. Xu B, Goulding EH, Zang K, et al. Brainderived neurotrophic factor regulates energy balance downstream of melanocortin-4 receptor. Nat Neurosci 2003;6:736-42. Corrispondenza Laura Perrone Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica. Seconda Università degli Studi di Napoli E-mail: [email protected] 130 Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 131-136 Obesità infantile Enza Mozzillo1 2 Giuliana Valerio2 Adriana Franzese1 La sindrome metabolica: diagnosi ancora controversa? Dipartimento di Scienze mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università di Napoli “Federico II” 2 Dipartimento di Scienze Motorie e del Benessere, Università di Napoli Parthenope I tre autori hanno contribuito in egual modo alla stesura del testo. 1 La sindrome metabolica (SM) comprende un insieme di fattori di rischio cardiometabolico che si associano ad un aumento delle complicanze cardiovascolari nell’adulto. La base fisiopatologica di questa costellazione è inquadrabile nell’insulino-resistenza, che spesso si associa alla presenza di adiposità viscerale, quest’ultima ne rappresenta il principale marker. Altri elementi che identificano la SM sono le alterazioni glicemiche, la dislipidemia e l’ipertensione. In età pediatrica non esiste un unanime consenso sulla definizione di SM e sul significato clinico concreto del rischio cardiometabolico sia dei singoli elementi che la identificano sia dell’insieme di essi. Tuttavia i soggetti che presentano più fattori di rischio hanno un aumentato rischio cardiometabolico rispetto a quelli che non mostrano questa associazione. Pertanto il riscontro di uno o più fattori di rischio che costituiscono la SM deve indurre il pediatra a stimolare l’aderenza ad uno stile di vita sano del bambino sovrappeso/obeso e del suo nucleo familiare. Riassunto Metabolic syndrome (MS) includes a set of cardiometabolic risk factors which are associated with cardiovascular complications in adults. The pathophysiological basis of this constellation is framed in insulin resistance, which is often associated with the presence of visceral adiposity, the latter representing the main marker. Other elements that identify MS are derangements of glucose metabolism, dyslipidemia, and hypertension.There is no unanimous consensus on MS definition in childhood neither on the clinical significance of individual or clustered components. However subjects with multiple risk factors are at increased cardiometabolic risk than those not showing this association. Therefore the detection of one or more risk factors identifying MS should lead pediatricians to promote adherence to a healthy lifestyle in overweight/obese children and their family. Summary Introduzione La sindrome metabolica (SM) comprende un insieme di fattori di rischio cardiometabolico (obesità addominale, dislipidemia, alterazione del metabolismo glicidico e ipertensione) che vede l’obesità come marker per la sindrome (Weiss et al., 2004). Se la diagnosi, in età adulta, riconosce un inquadramento clinico, difficile risulta invece essere la sua identificazione in età pediatrica. Ad oggi, infatti, non si dispone di validi criteri di definizione, se non quelli degli adulti adattati sull’età evolutiva. Controversa resta la questione sull’effettiva utilità nel configurare come unica identità più fattori di rischio, domandandosi se la loro combinazione possa essere maggiore garanzia di specificità o sensibilità nella definizione del rischio cardiovascolare. Obiettivo Questo articolo costituisce un approfondimento sulla SM, alla luce della revisione delle ultime evidenze scientifiche. Metodologia di ricerca bibliografica La ricerca degli articoli è stata effettuata tramite la banca bibliografica PubMed, utilizzando come parole chiave: “metabolic syndrome”, “visceral adiposity”, “childhood obesity”, “insulin resistance”, “cardiovascular risk”. 131 E. Mozzillo et al. Inquadramento clinico, fisiopatologico e rischi associati La diagnosi di SM prevede l’inquadramento delle sue componenti principali: obesità viscerale, dislipidemia, alterato metabolismo glucidico e ipertensione arteriosa (Grundy et al., 2005; Alberti et al., 2005). L’insulino-resistenza (IR), definita come la ridotta capacità dell’insulina di promuovere l’utilizzo periferico e di sopprimere la produzione epatica di glucosio (Le Roith e Zick, 2001), rappresenta la base fisiopatologica della malattia. Tuttavia non sono ancora del tutto noti cause e meccanismi attraverso i quali si instaura l’IR, mentre sono ben conosciuti gli effetti che quest’ultima determina a livello cardiovascolare e metabolico. 1. Obesità viscerale e IR Il ruolo dell’obesità nel determinare la SM deriva da una semplice constatazione clinica: le varie componenti della SM sono associate fra loro raramente in soggetti non obesi, mentre lo sono abitualmente in soggetti obesi, soprattutto in quelli con distribuzione del grasso di tipo viscerale (Faria et al., 2015). L’obesità viscerale si associa da sola ad un’aumentata incidenza di complicanze metaboliche, cardiovascolari o sistemiche. L’aumento di adipociti a livello viscerale si associa a IR epatica e periferica con un effetto che sembra mediato dall’eccessiva produzione di glicerolo e di acidi grassi liberi (NEFA). La relazione tra IR e adiposità viscerale potrebbe trovare fondamento anche in alcune funzioni endocrine e metaboliche proprie degli adipociti, che producono TNF-a, IL-6, leptina e adiponectina, con effetto sulla modulazione del segnale insulinico (Trayhurn e Wood, 2004). Inoltre, i bambini con SM hanno aumentati livelli di marker infiammatori, che contrastano gli effetti periferici dell’insulina (Loureiro et al., 2015). 2. Dislipidemia Nel soggetto con SM l’adipocita rilascia in circolo NEFA in eccesso, rifornendo il fegato (ma non solo) di un eccesso di substrati energetici, provocando: a) aumento dei trigliceridi-VLDL; b) riduzione del colesterolo-HDL; c) produzione di LDL piccole e dense. Il potenziale aterogeno della dislipidemia sembra essere correlato sia alla “quantità” di lipoproteine LDL, sia alla “qualità” delle stesse, ed in particolare all’aumento delle LDL piccole e dense. L’altra componente aterogena è rappresentata dai bassi livelli di colesterolo-HDL. Molti studi epidemiologici dimostrano una relazione inversa tra livelli di colesteroloHDL e rischio cardiovascolare (Orenes-Piñero et al., 2014), anche se mancano conferme provenienti da studi di intervento, come è invece avvenuto per le statine relativamente alla riduzione della frazione LDL. 132 3. Alterata glicemia a digiuno, alterata tolleranza al glucosio, diabete mellito tipo 2 L’aumento della glicemia a digiuno (IFG) e la diminuzione della tolleranza al glucosio (IGT) sono associate non solo ad un aumentato rischio di diabete mellito tipo 2 (T2DM), ma anche di malattie cardiovascolari. L’IGT è una condizione estremamente rara nei bambini/adolescenti normopeso; non rara in quelli moderatamente obesi e frequente nei soggetti gravemente obesi. In questi ultimi l’IGT era presente in un quarto dei bambini e in un quinto degli adolescenti dello studio di Sihna et al. (2002). Diversa è la stima fatta da Weiss et al. secondo cui la percentuale di soggetti con IGT è 10-20% negli obesi e 15-25% nei gravemente obesi (Weiss et al., 2004). La prevalenza di IGT e di T2DM è in costante aumento in tutto il mondo e cresce in parallelo con il grado di sovrappeso, indipendentemente da età, sesso o etnia. L’IGT è presente in ogni fascia di età, mentre il T2DM riguarda soprattutto gli adolescenti con grave obesità. Negli Stati Uniti la prevalenza del T2DM è del 10% nei soggetti obesi < 18 anni (Hamman et al., 2014), mentre in Europa è risultata dell’1% (Schober et al., 2009). Ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che le abitudini alimentari dei bambini/adolescenti europei non abbiano ancora raggiunto i livelli americani. Nonostante i dimostrati legami fra eccesso di grasso corporeo e rischio di diabete, le ragioni per cui l’aumento del grasso causi IR e determini un maggior rischio di diabete e patologie cardiovascolari non sono chiaramente delineate (Goran et al., 2003). Nel confronto tra adolescenti con e senza IGT, paragonabili per età, BMI e percentuale di grasso totale, Bloomgarden ha dimostrato una diversa distribuzione del grasso, con più elevati livelli sia nell’addome che nelle cellule miocitarie dei soggetti con ‘pre-diabete’ (Bloomgarden, 2004). 4. Ipertensione arteriosa Sovrappeso e obesità sono fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di ipertensione arteriosa anche in età pediatrica (Rerksuppaphol e Rerksuppaphol, 2015). L’aumento della pressione arteriosa è secondario all’aumentato riassorbimento tubulare di sodio e di acqua, con conseguente aumento del volume circolante, e attivazione del sistema nervoso simpatico con vasocostrizione (Nagase e Fujita, 2009. Numerosi lavori dimostrano l’associazione tra SM, ipertensione arteriosa e danno cardiovascolare (Sucato V et al., 2015). Definizione in età pediatrica: classificazioni a confronto Sebbene siano state proposte numerose definizioni in età pediatrica, ad oggi non esiste consenso unanime. In particolare si discute su quali siano le componenti più significative da includere nella definizione e su quali siano i valori di riferimento dei fattori di rischio Controversie sulla sindrome metabolica? Tabella I. Definizione IDF di sindrome Metabolica. Età 6-10 anni: • Obesità con WC ≥ 90° percentile • Non può essere diagnosticata la SM, tuttavia, bisogna approfondire in caso di storia familiare di SM, T2DM, dislipidemia, ipertensione o obesità Età 10-16 anni • Obesità con WC ≥ 90° percentile • Trigliceridi ≥ 150 mg/dl • Colesterolo HDL ≤ 40 mg/dl • PAS ≥ 130 mmHg o PAD ≥ 85 mmHg • Glicemia ≥ 100 mg/dl Età > 16 anni • Usare criteri IDF per adulto Abbreviazioni: WC: circonferenza vita; PAS e PAD: pressione arteriosa sistolica e diastolica; IDF: International Diabetes Foundation. cardiometabolico (in particolare dei lipidi e dell’insulina) che tengano conto delle variazioni legate all’età, al sesso, alle modifiche puberali e all’etnia. Mancano infine misure standardizzate univoche di adiposità centrale (Moran et al., 2008). In età pediatrica le definizioni più comunemente usate sono: 1. la definizione di Cook, che corrisponde a quella del National Colesterol Education Program che si adatta solo agli adolescenti (Cook et al., 2003); 2. la definizione proposta dall’International Diabetes Federation (IDF), che utilizza criteri diagnostici specifici per bambini tra 6-10 anni, adolescenti tra 10-16 anni e giovani di età > 16 anni (Zimmet et al., 2007) (Tab. I). Una nuova definizione è emersa dallo studio IDEFICS (Identification and prevention of Dietary- and lifestyleinduced health Effects in Children and infantS), che ha proposto nuovi percentili età e sesso specifici per i lipidi e l’IR (De Henauw et al., 2014; Peplies et al., 2014). Questa definizione permette di valutare la prevalenza di SM sia in bambini che in adolescenti. Le varie definizioni sono riassunte in Tabella II. Un bambino si considera affetto da SM se presenta almeno 3 dei fattori di rischio considerati. Epidemiologia La prevalenza di SM varia considerevolmente a seconda dei criteri usati (Ford e Li, 2008). Un’aggiornata review sistematica sulla prevalenza globale della SM in età pediatrica e sulla variabilità legata alla definizione (Friend et al., 2013) indica una prevalenza del 3,3% nella popolazione generale, dell’11,9% nella popolazione sovrappeso e del 29,2% nella popolazione obesa. La prevalenza era significativamente più elevata nei maschi rispetto alle femmine (5,2% vs. 3,1%) e negli adolescenti rispetto ai bambini (5,6% vs. 2,9%). La review sottolinea che la prevalenza di SM è più alta quando sono utilizzati criteri specifici per l’età rispetto ai criteri dell’adulto e differisce tra bambini e adolescenti quando sono utilizzati criteri specifici per queste età. In Italia la prevalenza di SM è stata riportata in quattro studi osservazionali condotti su bambini e/o adolescenti obesi. Pur considerando il fatto che sono stati usati differenti criteri, sembra delinearsi una minore prevalenza nella popolazione settentrionale rispetto a quella meridionale: Nord Italia 19,4% (Calcaterra et al., 2008) e 23,3% (Lafortuna et al., 2010); Sud Italia 29,2% (Santoro et al., 2013) e 30,8% (Viggiano et al., 2009). Tutti gli studi concordano sulla maggiore prevalenza di SM nei soggetti con obesità severa rispetto ai quelli con obesità moderata (Weiss et al., 2004; Calcaterra et al., 2008; Lafortuna et al., 2010; Rank et al., 2013). Le controversie della sindrome metabolica: un fattore di rischio? Oltre che sulla definizione esistono controversie anche sull’utilità della diagnosi di SM in età pediatrica. Una delle principali limitazioni della definizione è l’uso di valori soglia delle varie componenti, che creano Tabella II. Definizioni di sindrome metabolica pediatrica. Adiposità centrale Pressione arteriosa Lipidemia Glicemia/Insulinemia Cook et al. WC ≥ 90° percentile PAS o PAD ≥ 90° percentile Trigliceridi ≥ 110 mg/dl o Colesterolo HDL <40 mg/dl IFG = Glicemia ≥ 110 mg/dl IDF WC ≥ 90° percentile PAS ≥ 130 mmHg o PAD ≥ 85 mmHg Trigliceridi ≥ 150 mg/dl o Colesterolo HDL ≤ 40 mg/dl IFG = Glicemia ≥ 100 mg/dl IDEFICS WC ≥ 90° percentile PAS o PAD ≥ 90° percentile Trigliceridi ≥ 90° percentile o Colesterolo HDL ≤ 10° percentile Indice HOMA o glicemia a digiuno ≥ 90° percentile HOMA = [(glicemia (mg/dl) /18) X insulinemia(mmol/l)]/22,5 Definizione Abbreviazioni: WC: circonferenza vita; PAS e PAD: pressione arteriosa sistolica e diastolica; IDEFICS: Identification and prevention of Dietary- and lifestyle-induced health Effects in Children and infantS; IDF: International Diabetes Federation; IFG: alterata glicemia a digiuno; BMI: indice di massa corporea; HOMA: indice di insulinoresistenza. 133 E. Mozzillo et al. un sistema dicotomico, che può oscurare importanti informazioni in studi di associazione con il rischio cardiometabolico. In alternativa è stato suggerito uno score continuo, che si ottiene sommando gli z-score di ciascuna componente, allo scopo di offrire un metodo sensibile e meno soggetto ad errori (Battista et al., 2009). Ci sono dubbi sulla stabilità del fenotipo SM durante l’età pediatrica e nel passaggio all’età adulta. In un recente studio durato 9 anni è stato dimostrato che la maggior parte dei casi di SM diagnosticati in adolescenza non persisteva nel giovane adulto (Stanley et al., 2014), suggerendo che la diagnosi di SM nella popolazione adolescenziale generale può avere scarsa utilità clinica. Poiché la SM può avvenire anche indipendentemente dall’aumento di peso, occorre un’ulteriore cautela: dimostrare la sua presenza nella popolazione generale non predice necessariamente la sua persistenza negli anni successivi e di conseguenza il rischio cardiometabolico, mentre il suo mancato riscontro potrebbe dare una falsa rassicurazione in coloro in cui il BMI continua ad aumentare (Stanley et al., 2014). In uno studio longitudinale (Magnussen et al., 2012) è stato dimostrato che soggetti con SM diagnosticata in età pediatrica ma non confermata in età adulta, non mostravano aumentato rischio di T2DM o di ispessimento medio intimale carotideo (cIMT) (espressione di aterosclerosi precoce) paragonati a coloro che in età pediatrica non avevano avuto diagnosi di SM. Coloro che invece presentavano persistenza della SM dall’infanzia al giovane adulto avevano un rischio aumentato. Al contrario di quanto avviene nella popolazione generale, una più elevata stabilità sia delle singole componenti che della loro associazione è stata dimostrata negli adolescenti obesi, almeno quando l’eccesso ponderale resta stabile o peggiora (Weiss et al., 2009). Nei soggetti sovrappeso/obesi solo le definizioni più conservative, quelle cioè basate sui cut off del 95%, erano associate all’entità di cIMT, su cui la presenza di IGT aveva un forte potere predittivo (Reinehr et al., 2008). Un’altra critica all’uso della diagnosi di SM è legata alla questione se essa abbia un effetto predittivo aggiuntivo rispetto alla diagnosi delle sue componenti isolate. Magnussen et al. hanno dimostrato che il solo BMI prediceva il cIMT e il T2DM alla stessa stregua della SM (Magnussen et al., 2010). Questi dati rinforzano il concetto che alcuni elementi della SM possono avere un peso predittivo sul rischio cardiometaboli- 134 co maggiore di altri, in particolare la sola condizione di obesità o di obesità addominale (Hobkirk et al., 2012). La mancanza di stabilità nella diagnosi di SM in pediatria solleva numerose domande su quale sia l’approccio ottimale per lo screening. Mentre lo screening della SM come entità diagnostica è discutibile, vi è consenso unanime sull’importanza di cercare le componenti individuali per la valutazione del rischio cardiometabolico e per indirizzare i bambini al trattamento più idoneo. Sulla base delle evidenze scientifiche, particolare attenzione va rivolta ai bambini sovrappeso/obesi, in cui si dovrebbe approfondire la presenza di fattori di rischio cardiometabolici attraverso l’anamnesi familiare, la valutazione del pattern di crescita e di sviluppo, delle abitudini alimentari e dei livelli di attività fisica, della pressione arteriosa, del profilo lipidico, dei segni di IR (acanthosis nigricans, ovaio policistico) o di T2DM e l’esposizione al fumo (Expert panel on integrated guidelines for cardiovascular health and risk reduction in children and adolescents, 2011). Conclusioni Tutte le indagini concordano circa un aumento nella prevalenza di SM nei bambini e negli adolescenti contemporaneamente all’epidemia di obesità. Tuttavia non è possibile attribuire alla SM un completo significato clinico. Gli studi condotti sulla SM e sulle sue componenti individuali nei bambini e negli adolescenti indicano che: 1. le risposte metaboliche all’eccessiva adiposità avvengono già in epoca precoce; 2. la coesistenza di più fattori di rischio è indicativa di un aumentato rischio cardiometabolico rispetto a soggetti che non hanno questa associazione; 3. i fattori di rischio, individuali o associati, rappresentano un campanello di allarme per intraprendere una modifica dello stile di vita. Poiché l’eccesso ponderale associato ai fattori di rischio cardiometabolici può compromettere l’integrità anatomica e funzionale del sistema cardiovascolare, il riscontro di un fattore di rischio tra quelli considerati per la diagnosi di SM nel soggetto sovrappeso/obeso, deve indurre il pediatra a indagare anche gli altri fattori di rischio cardiometabolici, per ottenere una modifica dello stile di vita (appropriato introito calorico, limitazione di cibi aterogeni, aumento dell’attività fisica e astensione dal fumo), estendendo l’intervento all’intero nucleo familiare. Controversie sulla sindrome metabolica? Box di orientamento • Cosa sapevamo prima La sindrome metabolica comprende un insieme di fattori di rischio cardiometabolico e si associa ad un aumento delle complicanze cardiovascolari dimostrato solo nell’adulto, che identifica nell’obesità l’elemento cardine. • Cosa sappiamo adesso La sindrome metabolica è presente anche in età pediatrica, tuttavia il suo significato clinico e prognostico è ancora discusso. • Quali ricadute sulla pratica clinica Il pediatra dovrebbe considerare, nella sua pratica clinica, la presenza, anche nel bambino, dei fattori di rischio cardiometabolico, e la loro possibile associazione al rischio cardiovascolare in età adulta. L’adesione ad uno stile di vita sano sia del bambino che dell’intero nucleo familiare, è uno degli obiettivi della pratica clinica ambulatoriale. Bibliografia Alberti KG, Zimmet P, Shaw J. The metabolic syndrome - a new worldwide definition. Lancet 2005;366(9491):1059-62. Battista M, Murray RD, Daniels SR. 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Coronary microvascular dysfunction in patients with diabetes, hypertension and metabolic syndrome. Int J Cardiol 2015;186:96-97. Lo studio valuta la prevalenza dei fattori di rischio cardiometabolici negli obesi adolescenti. ** Trayhurn P, Wood IS. Adipokines: inflammation and the pleiotropic role of white adipose tissue. Br J Nutr 2004;92:347-55. Zimmet P, Alberti KG, Kaufman F, et al. The metabolic syndrome in children and adolescents - an IDF consensus report. Pediatr Diabetes 2007;8:299-306. Viggiano D, De Filippo G, Rendina D, et al. Screening of metabolic syndrome in obese children: a primary care concern. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2009;49:329-34. ** Questo articolo è una consensus che presenta i criteri di diagnosi della sindrome metabolica considerati dall’International Diabetes Federation. Corrispondenza Adriana Franzese Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Ed. 11 A, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, via S. Pansini 5, 80131 Napoli - E-mail: [email protected] 136 Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 137-142 Frontiere La next generation sequencing è entrata nella pratica pediatrica? Vincenzo Nigro Dipartimento di Biochimica, Biofisica e Patologia Generale, Laboratorio di Genetica medica, Seconda Università degli Studi di Napoli, NGS Facility, Telethon Institute of Genetics and Medicine (TIGEM), Pozzuoli (NA) La “next generation sequencing” (NGS) è molto più che una nuova tecnica per leggere le sequenze di DNA. Produce sequenze con una processività parallela immensa che continua a crescere in modo esponenziale e oggi è nell’ordine di centinaia di miliardi di basi di DNA per analisi. Questo fa sì che l’NGS estenda le proprie opportunità di investimento in ogni settore delle scienze della vita che, con le nuove conoscenze prodotte, ne risulterà trasformato. Anche per la genetica umana è diventata una tecnologia insostituibile. L’NGS sta rivoluzionando i test genetici diagnostici, sostituendo l’approccio “gene per gene” con una strategia a pannelli di geni. Questi pannelli possono essere focalizzati ad un singolo o molteplici geni. Questo nuovo approccio è particolarmente promettente per la diagnosi di malattie pediatriche neuromuscolari, endocrinologiche, metaboliche, ecc., che sono caratterizzate da una forte eterogeneità clinica e genetica. Con la NGS è possibile effettuare un’indagine genetica senza dover necessariamente ipotizzare un gene responsabile a priori, ma sequenziare un pannello molto ampio di geni o, per finalità di ricerca, tutto il genoma. Riassunto The “next generation sequencing” or NGS is much more than a new technique for reading the DNA sequence. It produces sequences with at a huge throughput that continues to grow exponentially and is now in the order of hundreds of billions of DNA bases for analysis. This causes the NGS to extend its investment opportunities in every field of life sciences which, with the new knowledge generated, will be transformed. Even for human genetics it has become a matchless technology. The NGS is revolutionizing genetic testing diagnostics, replacing the “gene by gene” strategy with a panel of genes.These panels can be focused on a single gene or widespread.This new approach is particularly promising for the diagnosis of pediatric neuromuscular diseases, endocrine, metabolic disorders, etc. that are characterized by a strong clinical and genetic heterogeneity. Using NGS it is possible to perform a genetic diagnosis without aiming at a single candidate gene, but to sequence a very large panel of genes or, for research purposes, the whole genome. Summary Metodologia della ricerca bibliografica effettuata chiave “whole exome sequencing” ha prodotto 4789 articoli, di cui solo 70 (1,4%) prima del 2011. La ricerca degli articoli rilevanti è stata effettuata tramite la banca bibliografica PubMed (http://www.ncbi. nlm.nih.gov/pubmed), utilizzando come parole chiave: “next generation sequencing”, “whole exome sequencing”, “targeted sequencing” Sono stati inclusi solo gli articoli in lingua inglese. La quasi totalità degli articoli sull’argomento è stata pubblicata negli ultimi 4 anni; ad esempio la ricerca in Pubmed con la parola Introduzione: cosa significa NGS Il termine “Next Generation Sequencing” (d’ora in avanti NGS) definisce differenti tecnologie di sequenziamento parallelo del DNA che consentono di analizzare DNA misti. Questa proprietà è una svolta epocale rispetto al sequenziamento tradizionale Sanger. Quest’ultimo ha tre fasi: la prima che serve a preparare miliardi di copie identiche di ciascun fram137 V. Nigro mento di DNA per volta; la seconda fase che ricopia la sequenza delle basi di DNA con blocchi specifici causati da deossinucleotidi terminatori; la terza fase è l’elettroforesi di frammenti di lunghezze discrete che fa identificare ciascuna base terminatrice. Nonostante ci sia stata negli anni un’evoluzione del metodo Sanger, questa ha riguardato solo la velocizzazione della terza fase di separazione elettroforetica ad opera dei sequenziatori capillari. Poco è stato fatto per velocizzare le prime due fasi, molto più limitanti, di preparazione e di ricopiatura di frammenti individuali di DNA. La tecnologia NGS supera questo collo di bottiglia, consentendo di evitare i passaggi di amplificazione individuale, purificazione e ricopiatura di singoli segmenti di DNA omogenei. I vantaggi dell’NGS sono ovviamente più evidenti quanto più numerosi sono i segmenti di DNA da analizzare e, nel campo delle malattie genetiche, quanto più numerosi e grandi sono i geni da studiare per una diagnosi molecolare. Ad esempio, con il Progetto Genoma Umano (basato su metodo Sanger) dal 1990 al 2003 sono stati coinvolti molti laboratori nel mondo per sequenziare un solo genoma, mentre con l’NGS la stessa analisi è da considerarsi fattibile in circa 30 ore con uno sequenziatore di medie dimensioni. Evoluzione della NGS e delle tecniche di arricchimento L’NGS negli ultimi 10 anni ha avuto un’evoluzione dinamica con altrettanto rapida obsolescenza: il primo sistema (454 Sequencer) produceva 25 milioni di basi sequenziate per volta (Margulies et al., 2005), mentre il sistema più recente introduzione (Illumina HiSeq X Ten, http://www.illumina.com/systems/hiseq-x-sequencing-system/system.html) legge 18.000 miliardi di basi di DNA, cioè circa 1 milione di volte in più in soli 9 anni. L’X Ten usa la tecnologia detta di “patterned flow cell” con cui è possibile amplificare e ripartire ogni singolo clone di molecole su un supporto fisico a micropozzetti: questo equivale a ripartire ciascun frammento di DNA in una tra miliardi di microprovette distinte. Parallelamente i costi di sequenza/bp si sono ridotti di oltre 10.000 volte rispetto al 454 Sequencer e 5 milioni di volte rispetto al metodo Sanger. È però indispensabile precisare alcuni requisiti dei sistemi NGS: 1) meno costa sequenziare una base del DNA, più costano le apparecchiature; 2) è possibile sequenziare molti miliardi di basi di DNA ad un costo ridotto, ma, se non si sequenzia l’intero genoma umano, si deve considerare il costo e l’efficienza della cattura mirata delle sequenze da analizzare mediante le tecniche di arricchimento. Queste procedure servono a focalizzare il sequenziamento solo verso sequenze predeterminate. Anche in questo campo c’è stata un’importante evoluzione: la capacità di sintetizzare contemporaneamente decine di migliaia di differenti oligonucleotidi. Questo è utile sia per i protocolli più 138 tradizionali di multiplex PCR ad alta processività (Fluidigm, Raindance, AmpliSeq), sia per altri due approcci senza PCR: il primo consiste nella cattura per ibridazione (Agilent SureSelect e NimbleGen/Roche SeqCap EZ), mentre il secondo nell’ ibridazione seguita da una fase di estensione (Haloplex da Agilent e TruSeq da Illumina). L’uso di metodi di arricchimento sempre più precisi ed affidabili sta portando la NGS dal laboratorio di ricerca alla diagnostica di routine. La validazione su larga scala ne sta permettendo un impiego affidabile e a costi contenuti. Applicazioni e limiti dell’NGS in genetica Grazie alle tecniche di arricchimento oltre al sequenziamento genomico (whole genome sequencing o WGS), sono stati sviluppati tre approcci più mirati quali il sequenziamento dell’esoma (whole exome sequencing o WES) o il sequenziamento di pannelli di geni, noto anche come “targeted sequencing” (TS) che può essere focalizzato o esteso a molti geni (Tab. I). Il TS è principalmente utilizzato per indirizzare le regioni codificanti di un gruppo di geni, ma anche per il sequenziamento di ampie regioni genomiche non codificanti, con l’arricchimento preliminare delle regioni da sequenziare. In entrambi i casi la conseguenza più immediata delle applicazioni NGS su larga scala è che i test genetici ci portano ad un livello superiore di complessità. Mentre la situazione ideale sarebbe quella di trovare una sola mutazione causativa, le difficoltà nascono dalla gestione di molteplici variazioni del DNA per paziente con significato apparentemente patogenetico in base alla letteratura scientifica. È importante chiarire che indipendentemente dall’arricchimento, l’NGS è semplicemente una tecnica molto potente di sequenziamento del DNA: produce sequenze più numerose e brevi e, per certi aspetti, meno accurate della metodica Sanger e non identifica categorie supplementari di varianti geniche (Tab. II). Pertanto quello che non è accertabile mediante sequenziamento Sanger è ancora più invisibile all’NGS. In particolare, l’NGS può risultare a “bassa copertura” se ci sono basi che hanno una profondità di copertura <20X, cioè la stessa sequenza letta meno di 20 volte. Questo implica che la profondità media dovrebbe essere molto superiore a 20X. Alcune regioni del DNA sono particolarmente inclini ad avere una bassa copertura a causa di regioni ricche in basi G/C ed in tali regioni le varianti, specie in eterozigosi, non sono identificabili. Inoltre, ampie delezioni e duplicazioni, come quelle alla base della distrofia muscolare di Duchenne, specie in eterozigosi, sono difficilmente identificabili. Ogni tentativo di analisi comparativa mediante software ha mostrato alte percentuali di insuccesso. La limitazione è dovuta ai passaggi di PCR previsti nei metodi di ar- NGS in pediatria Tabella I. Dimensioni dei progetti di NGS in funzione del target (valori indicativi). Target Basi del DNA presenti nel target Copertura mediana richiesta Basi del DNA da sequenziare Varianti attese Costo minimo della sola NGS** WGS (genoma) 3.100.000.000 30x > 120 Gb* 3.000.000 2.500 € 50.000.000 100x 10 Gb 30.000 900 € 1.500.000 200x 1 Gb 1.000 400 € 50.000 300x 0.05 Gb 30 300 € WES (esoma) Pannello esteso Pannello focalizzato Gb = 1 miliardo di nucleotidi sequenziati I costi sono il minimo sul mercato e si riferiscono ai materiali per il solo sequenziamento senza considerare i costi accessori delle validazioni con metodica Sanger, l’analisi bioinformatica dei dati e lo studio di altri parenti * ** Tabella II. Identificazione delle varianti genomiche in base alla tecnica utilizzata. Sequenziamento Sanger* MLPA* NGS Array CGH Sostituzione di uno o pochi nucleotidi (SNP) +++ +/- +++ - Delezioni/duplicazioni di pochi nucleotidi Varianti * +++ ++ + - Espansioni di triplette + - - - Delezioni /duplicazioni grandi come un intero esone - +++ - + Delezioni o duplicazioni di ampie regioni cromosomiche(CNV) - ++ +/- +++ Indagini mirate alla regione genomica mutata ricchimento che producono sbilanciamenti quantitativi tra ampliconi. Pertanto è consigliabile far precedere od associare tecniche quali MLPA o array CGH. Inoltre lunghe sequenze ripetute, come quelle osservabili nella sindrome dell’X fragile sono ugualmente non valutabili. Infine, delezioni in sequenze ripetute come quelle alla base dell’atrofia muscolare spinale (SMA) sono in sostanza non studiabili con NGS per problemi di ambiguità nell’assegnazione delle corte sequenze prodotte. Inoltre c’è un’altra categoria di varianti del DNA che, seppure lette, non sono interpretabili e restano occultate tra migliaia di altre varianti di significato sconosciuto. Diagnosi molecolare mediante pannelli focalizzati di geni Questo tipo di applicazioni dell’NGS è tra le più diffuse e di maggiore riscontro pratico immediato. L’uso di pannelli di pochi geni non ha alcuna differenza con la diagnostica tradizionale sia per l’interpretazione dei risultati sia per quanto riguarda i dilemmi etici. In genere l’analisi si effettua solo sul propositus e poi si verifica la presenza nei genitori delle varianti riscontrate. Si sequenziano 1-20 geni specifici utilizzando piccoli strumenti NGS da banco, come Ion Torrent PGM o Illumina MiSeq. Moltissime pubblicazioni mostrano la buona affidabilità delle procedure con l’identificazione delle mutazioni più rapida e più completa rispetto alle tecniche tradizionali. Ad esempio la tecnica NGS è stata già utilizzata con successo per la diagnosi di iperfenilalaninemia tramite l’analisi dei geni PAH, PTS, QDPR, GCH1 e PCBD1 (Cao et al., 2014), per la diagnosi di neurofibromatosi di tipo I tramite l’analisi del gene NF1 (Maruoka et al., 2014), per la diagnosi di sindrome di Stickler mediante l’analisi dei geni COL11A1 ed COL11A2 (Acke et al., 2014), o in condizioni geneticamente più eterogenee come nella ciliopatia associata a nefronoftisi (Halbritter et al., 2012) o nell’anemia di Fanconi (De Rocco et al., 2014). La tecnica va associata a metodologie per rilevare delezioni o duplicazioni che, se in eterozigosi, sono non correttamente rilevate dall’analisi bioinformatica dei dati NGS. Un’altra applicazione è nello screening neonatale, ad esempio di fibrosi cistica (Baker et al., 2015). Diagnosi molecolare con pannelli estesi I pannelli estesi non sostituiscono solo le tecniche diagnostiche tradizionali, ma offrono una visione d’insieme di molte varianti geniche. Si ottengono selezio139 V. Nigro nando un numero di geni molto più ampio (100-5.000), includendo geni anche molto grandi e geni candidati per gruppi selezionati di malattie genetiche. Ad esempio, un’interessante applicazione riguarda tutte le malattie associate a disordini mitocondriali (Dames et al., 2013). Questi pannelli rappresentano un’alternativa più efficiente e hanno necessità che la procedura di sequenziamento sia affidata a strumentazioni in grado di fornire, ad un costo/campione accettabile, almeno 0,5-3Gb di basi sequenziate per campione. Esistono due categorie di pannelli estesi: quelli a fini diagnostici, in cui i geni sono tutti attualmente noti come associati a malattie genetiche e quelli a scopo di ricerca in cui sono inclusi geni candidati scelti perché appartengono a “pathways” simili. Un esempio è dato dal pannello Haloplex per la sindrome di Usher (Aparisi et al., 2014) o del pannello di 891 geni che include i geni delle malattie da accumulo lisosomiale, dell’autofagia e del pathway endocitico (Di Fruscio et al., 2015). Un altro esempio di pannello esteso è quello costituito da tutti i geni associati a malattie neuromuscolari (Savarese et al., 2014). Il vantaggio dei pannelli estesi è rappresentato dalla possibilità di un’analisi più ampia di quella resa possibile dai pannelli focalizzati con un maggior numero di informazioni. Comporta però un maggior numero di varianti da interpretare. Rispetto al pannello focalizzato, l’indagine prevede la necessità di analizzare contestualmente il DNA di entrambi i genitori. Questo per tre motivi, tutti vincolanti: l) la necessità di individuare le varianti de novo in una famiglia con genitori sani e figli affetti; 2) in alternativa, in caso di supposta trasmissione autosomica recessiva, la necessità di distinguere se due varianti sono presenti entrambe su uno stesso allele (in cis) o ciascuna deriva da un genitore (in trans); 3) l’impossibilità tecnica di validare con tecnica Sanger centinaia o migliaia di varianti uniche. Un approccio ancora più estensivo è dato dal “ClearSeq Inherited Disease Panel” (Agilent). Con questo pannello il sequenziamento è mirato a ben 2.742 geni sinora coinvolti direttamente in malattie genetiche mendeliane. In sostanza questo tipo di pannello potrebbe diventare la soluzione di base per studiare casi sporadici, evitando il rischio dii ndividuare varianti in geni ignoti. Diagnosi con WES Gli esoni rappresentano circa 1,5% del genoma e si ritiene che contengano l’85% delle mutazioni che causano malattie genetiche. In alcuni laboratori si offre la possibilità di diagnosi genetica mediante WES. In media, la possibilità di identificare mutazioni causative con WES clinico è intorno al 26% (Lee et al., 2014). Un test negativo non implica necessariamente che nessuna variante causativa è presente nel DNA del paziente, ma può essere spiegato da problemi tecnici, difficoltà nell’individuare specifiche mutazioni, o limitazioni inter140 pretative. Quando il numero dei geni aumenta, in parallelo aumenta il numero di varianti nuove e di significato incerto. Questo fa sì che l’analisi computazionale di WES richieda il confronto con un numero significativo di individui affetti. Un uso alternativo del WES è la ricerca di mutazioni de novo del DNA nel caso di trios, composti da un singolo bambino affetto ed entrambi i genitori non affetti o di quartet con un altro figlio (affetto o non affetto) (Lee et al., 2014). In realtà, l’applicazione ideale del WES è scientifica e consiste nell’identificazione di nuovi geni malattia, ma il WES ovviamente può essere usato ugualmente bene nello scoprire mutazioni note e prevedibili che sarebbero state comunque identificate con un metodo tradizionale mirato o con un pannello focalizzato, molto meno impegnativo e costoso, mentre per il targeted sequencing l’applicazione ideale è nella diagnosi delle malattie genetiche eterogenee, riducendone l’impegno ed i tempi di attesa rispetto ad un approccio tradizionale gene per gene. Diagnosi con WGS Già oggi esiste la possibilità di sequenziare i miliardi di basi di DNA di un WGS con costi di circa 2500-3000€. L’idea di base è che sequenziare tutto il genoma significa avere un’informazione completa che potrà essere utilizzata per molteplici scopi anche negli anni futuri, quando sarà più facile un’analisi comparativa tra milioni di WGS. Tuttavia, anche se queste possibilità scientifiche sono affascinanti e ricevono sempre più l’attenzione dell’industria e importanti investimenti governativi e privati, sono ben oltre la portata di un’esigenza diagnostica immediata e dall’altro lato contengono alcuni rischi e difficoltà. La prima sorpresa è che il WGS ha circa il 25% di probabilità di identificare la cusa di una malattia genetica, valore molto deludente che indica quante varianti restano non sequenziate o non interpretate (Dewey et al., 2014). Tre decisioni prima di adottare l’NGS L’adozione dell’NGS nella routine diagnostica pone tre principali questioni che devono essere affrontate e risolte prima di effettuare ogni procedura. 1)Il primo quesito è dato dalla scelta del pannello di geni. Questo potrà essere focalizzato ai singoli geni malattia o esteso, fino ad arrivare al WES o al WGS. Da questa decisione che incide sui tempi e sui costi del test dipende ogni altra considerazione successiva. Infatti, un test molto mirato è equivalente da un punto di vista etico alle tecniche tradizionali e spesso si conclude in un tempo accettabile con un referto di più semplice interpretazione. Tuttavia è evidente che più è ristretto il test minore è la possibilità di scoprire cause meno frequenti o nuove di malattia. NGS in pediatria 2)La seconda decisione riguarda l’analisi dei dati. Con differenti algoritmi si possono modulare le liste di varianti geniche riportate. Quest’aspetto è di solito sottovalutato e lasciato al settore bioinformatico, ma dovrebbe essere valutato e concordato a priori. Infatti, c’è la possibilità di richiedere valori di maggiore sensibilità a scapito della specificità o l’inverso. Se la specificità è ridotta, le varianti potrebbero non essere confermate con sequenziamento tradizionale; se invece la sensibilità è ridotta alcune varianti causative potrebbero essere scartate all’analisi. Anche questa scelta non è di facile soluzione. 3) La terza decisione riguarda soprattutto i pannelli che contengono molti geni, soprattutto il WES e il WGS: tra i dati potrebbero essere prodotte informazioni genetiche sensibili, non previste e non richieste. Queste riguardano varianti predittive di malattie che ancora non si sono manifestate clinicamente o varianti di suscettibilità allo sviluppo di neoplasie. Esiste una lista di geni prodotta dall’American College dei genetisti medici (ACMG) in cui sono elencate tutte le possibili condizioni genetiche (Green et al., 2013) che è possibile diagnosticare incidentalmente tramite l’utilizzo di WES. Considerato il tema della specificità, il dilemma è se cercare di fare una validazione per certificarne l’esistenza o riportarle come tali o non indagarle. Cosa fare dopo l’NGS Un punto cruciale per valutare l’impatto di una variante genica è il confronto con banche dati di pazienti e controlli. Esistono databases on line che classificano varianti già riscontrate in patogeniche, di significato incerto o polimorfismi. Con tutte le riserve sulla qualità delle annotazioni di varianti patogeniche, è senz’altro utile il confronto con l’Human Gene Mutation Database (HGMD). Per stabilire le frequenze alleliche di ciascuna variante identificata è indispensabile la consultazione del sito web dell’Exome Aggregation Consortium (EXAC, http://exac.broadinstitute.org/) che riporta i dati relativi a 60.706 individui. Altre iniziative internazionali, come Phenome Central (https:// phenomecentral.org/), mirano a fornire una piattaforma per la condivisione sicura dei dati. Il grande numero di geni e di trascritti alternativi del- lo stesso gene impone che nei referti diagnostici sia annotata la posizione univoca genomica della base mutata del DNA. Il riferimento universale è la sequenza denominata hg.19 e l’annotazione dovrà indicare cromosoma: base. Ad esempio, la più nota variante patogenica alla base della fibrosi cistica (delta F508) sarà indicata come 7:117199644 ATCT/A. Pur tenendo conto della complessità interpretativa, l’enorme potenziale dell’NGS spiega perché queste stia diventando la metodica di prima scelta nei laboratori che si occupano di diagnostica molecolare (Vrijenhoek et al., 2015; Weiss et al., 2013). In futuro, inoltre, con molta probabilità,se saranno disponibili algoritmi di più facile interpretazione, la tecnologia NGS potrà essere applicata ai test di screening molecolari. Glossario genetico nell’era dell’NGS Il BAM è un file binario che corrisponde alla versione compressa di un file SAM. Il file BAM contiene le sequenze del DNA dopo l’allineamento alla sequenza genomica di riferimento. Il file BAM contiene un’intestazione (nome e lunghezza della sequenza) ed un allineamento che ne fornisce le specifiche di sequenza e qualità. I file BAM sono adatti per l’analisi con un visualizzatore esterno come IGV o con il browser UCSC. Il Formato FASTQ è basato su caratteri di testo per l’archiviazione di una sequenza associata a punteggi di qualità. Sia la sequenza sia il punteggio di qualità sono codificati con un singolo carattere ASCII. Recentemente è diventato lo standard dei dati NGS prodotti dai sequenziatori Illumina. Il formato Variant Call Format (VCF) serve a riportare i dati di sequenza in modo compatto, indicando solo le differenze rispetto alla sequenza di DNA di riferimento. Aplotipo: La combinazione di marcatori allelici consecutivi (può essere composta di polimorfismi o varianti rare) in una piccola regione cromosomica che difficilmente è separata da eventi di crossing-over. Copertura / profondità di copertura: il numero di sequenze indipendenti che leggono la stessa posizione nel genoma sequenziato. Target: sequenza di DNA selezionata dal genoma con tecniche di arricchimento. 141 V. Nigro Box di orientamento • Cosa sapevamo prima Prima dell’NGS si riteneva che alla base delle malattie genetiche vi fosse una mutazione in un solo gene e tutto il resto fosse più o meno stabile. • Cosa sappiamo adesso Ogni individuo, sano o affetto, ha molte varianti patogeniche nel proprio genoma. • Quali sviluppi si possono prevedere per il futuro La comprensione migliore della variabilità delle malattie genetiche e della suscettibilità genetica a malattie comuni. Bibliografia Acke FR, Malfait F, Vanakker OM, et al. Novel pathogenic COL11A1/COL11A2 variants in Stickler syndrome detected by targeted NGS and exome sequencing. Mol Genet Metab 2014;113:230-5. Aparisi MJ, Aller E, Fuster-García C, et al. Targeted next generation sequencing for molecular diagnosis of Usher syndrome. Orphanet J Rare Dis 2014;9:168. Baker MW, Atkins AE, Cordovado SK, et al. Improving newborn screening for cystic fibrosis using next-generation sequencing technology: a technical feasibility study. Genet Med. 2015;doi: 10.1038/ gim.2014.209. Cao YY, Qu YJ, Song F, et al. Fast clinical molecular diagnosis of hyperphenylalaninemia using next-generation sequencingbased on a custom AmpliSeq panel and Ion Torrent PGM sequencing. Mol Genet Metab 2014;113:261-6. Dames S, Chou LS, Xiao Y, et al. The development of next-generation sequencing assays for the mitochondrial genome and 108 nuclear genes associated with mitochondrial disorders. J Mol Diagn 2013;15:526-34. De Rocco D, Bottega R, Cappelli E, et al. Molecular analysis of Fanconi anemia: the experience of the Bone Marrow Failure Study Group of the Italian Association of Pediatric Onco-Hematology. Haematologica 2014;99:1022-31. Dewey FE, Grove ME, Pan C, et al. Clinical interpretation and implications of whole-genome sequencing. JAMA 2014;311:1035-45. Di Fruscio G, Schulz A, De Cegli R, et al. LYSOPLEX: an efficient toolkit to detect DNA sequence variations in the autophagy-lysosomal pathway. Autophagy 2015; in press. Green RC, Berg JS, Grody WW, et al. ACMG recommendations for reporting of incidental findings in clinical exome and genome sequencing. Genet Med 2013;15:565-74. Halbritter J, Diaz K, Chaki M, et al. High-throughput mutation analysis in patients with a nephronophthisis-associated ciliopathy applying multiplexed barcoded array-based PCR amplification and next-generation sequencing. J Med Genet 2012;49:756-67. Lee H, Deignan JL, Dorrani N, et al. Clinical exome sequencing for genetic identification of rare Mendelian disorders. JAMA 2014;312:1880-7. Margulies M, Egholm M, Altman WE, et al. Genome sequencing in microfabricated high-density picolitre reactors. Nature 2005;437:376-80. Maruoka R, Takenouchi T, Torii C, et al. The use of next-generation sequencing in molecular diagnosis of neurofibromatosis type 1: a validation study. Genet Test Mol Biomarkers 2014;18:722-35. Savarese M, Di Fruscio G, Mutarelli M, et al. MotorPlex provides accurate variant detection across large muscle genes both in single myopathic patients and in pools of DNA samples. Acta Neuropathol Commun 2014;2:100. Vrijenhoek T, Kraaijeveld K, Elferink M, de Ligt J, et al. Next-generation sequencing-based genome diagnostics across clinical genetics centers: implementation choices and their effects. Eur J Hum Genet 2015;doi: 10.1038/ ejhg.2014.279. Weiss MM, Van der Zwaag B, Jongbloed JD, et al. Best practice guidelines for the use of next-generation sequencing applications in genome diagnostics: a national collaborative study of Dutch genome diagnostic laboratories. Hum Mutat 2013;34:1313-21. Corrispondenza Vincenzo Nigro Dipartimento di Biochimica, Biofisica e Patologia Generale, Laboratorio di Genetica medica, Seconda Università degli Studi di Napoli, via Luigi De Crecchio 7, 80138 Napoli - NGS Facility, Telethon Institute of Genetics and Medicine (TIGEM), via Campi Flegrei 34, 80078 Pozzuoli (NA) - E-mail: [email protected] 142 Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 143-159 Tavola Rotonda Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Napoli, 23 gennaio 2015 Moderatori: Generoso Andria Università di Napoli Federico II, Centro di Coordinamento Malattie Rare Regione Campania, Napoli Fabio Sereni Professore Emerito di Pediatria, Università di Milano I programmi in atto in Europa e in Italia Domenica Taruscio Centro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore di Sanità, Roma Le evidenze scientifiche per le scelte politiche Carlo Dionisi Vici Presidente SIMMESN, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma I provvedimenti legislativi italiani Serena Battilomo Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute, Roma Il punto di vista della sanità pubblica e delle regioni Paola Facchin Coordinatore del Tavolo Tecnico Interregionale per le Malattie Rare presso la Commissione Salute, Università degli Studi di Padova Il follow-up e la presa in carico dei pazienti Maria Alice Donati Sezione Malattie Metaboliche e Muscolari Ereditarie, Dipartimento di Neuroscienze, A.O.U. Anna Meyer, Firenze Il punto di vista delle Associazioni e dell’opinione pubblica Manuela Vaccarotto Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie, Padova Aspetti etici Sara Casati Presidente del Comitato Etico di Ateneo, Università di Milano-Bicocca Introduzione Fabio Sereni Vorrei aprire questa Tavola Rotonda con un ringraziamento per Generoso Andria, che ha l’ha organizzata. Lo ringrazio anche perché il tema che sarà qui discusso si inquadra perfettamente nella tradizione di Prospettive in Pediatria, che fin dai primi anni dalla sua fondazione ha sempre voluto proporre all’attenzione dei pediatri, e anche di amministratori e politici, temi di gestione di sanità pubblica. Il tema degli screening neonatali allargati, con i tanti punti ancora da chiarire, è perfettamente in linea con la nostra tradizione e la nostra “missione”. Ma la vera introduzione spetta a Generoso, non solo come organizzatore e generoso ospite, ma, soprattutto, come esperto della materia. Generoso Andria Gli screening neonatali di massa hanno rappresentato da qualche decennio, anche nel nostro paese, un intervento importante di medicina preventiva. Delle tre malattie indicate nella legge 104/1992, da sottoporre in Italia a screening obbligatorio, cioè fenilchetonuria, ipotiroidismo congenito e fibrosi cistica, solo la prima è una malattia metabolica ereditaria. Con l’introduzione di nuove tecnologie, in particolare della spettrometria di massa tandem, si è reso possibile effettuare su gocce di sangue adsorbite su carta bibula, analisi di sostanze indicative di un numero sempre maggiore di difetti metabolici congeniti. Si è quindi progressivamente esteso il dibattito nei vari paesi per attuare programmi di screening neonatale, allargato anche a decine di malattie metaboliche ereditarie. 143 Tavola Rotonda Questa Tavola Rotonda vuole offrire una riflessione sulle scelte possibili nel nostro paese per implementare programmi di screening esteso. Per questo ringrazio tutti coloro che hanno accettato l’invito a essere presenti qui oggi, che esprimeranno sicuramente punti di vista diversi: il punto di vista scientifico, quello della sanità pubblica (Ministero della Salute/Istituto Superiore di Sanità/Regioni), le problematiche della presa in carico e del follow-up dei soggetti depistati dallo screening, il punto di vista dell’opinione pubblica (genitori/associazioni) e la discussione sugli aspetti etici. Due voci non sono presenti: quella degli esperti di medicina di laboratorio, in quanto diamo per acquisita la qualità degli strumenti tecnologici oggi a disposizione, e quella dell’industria che produce farmaci per malattie metaboliche, per ovvi potenziali conflitti d’interesse. Prima di dare l’avvio ai vari interventi, desidero enunciare due punti fondamentali, da non dimenticare nel corso della discussione: • lo screening neonatale è un programma completo, che deve essere in grado di prendere in carico il paziente individuato allo screening e mirare a una valutazione e a un monitoraggio sull’efficacia del trattamento; certamente non si identifica con la disponibilità di tecnologie anche avanzate, che riguarda solo il momento della diagnosi; • esistono diversi punti di vista, tutti legittimi, sull’argomento, come si rileva anche dalla composizione del panel di questa Tavola Rotonda. Abbiamo voluto metterli a confronto, per trovare, se possibile, una sintesi, in vista di decisioni politiche operative. I programmi in atto in Europa e in Italia Domenica Taruscio Generoso Andria: Il primo relatore è la dottoressa Domenica Taruscio, direttore di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità e responsabile del Centro Nazionale Malattie Rare, che ha coordinato un Tender europeo alcuni anni fa, comprendente un’indagine conoscitiva sui programmi di screening neonatale in 39 nazioni dell’Europa, allargata, anche oltre i 28 membri dell’Unione Europea. A Domenica Taruscio il compito di illustrare la situazione molto variegata che è presente nei vari paesi europei nell’organizzazione dei programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie. Domenica Taruscio: Riferirò brevemente i risultati di due progetti di ricerca, uno europeo e uno nazionale, coordinati dal Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità. Il primo, come appe144 na ricordato, fa parte dei cosiddetti progetti Tender: cioè è un progetto con obiettivi fissati dalla Commissione Europea, che viene assegnato attraverso una selezione pubblica. Il nostro progetto denominato “Evaluation of population for newborn screening practices for rare diseases in the member states of the European Union” è durato dal 2009 al 2011. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità (http://www.iss.it/cnmr/index. php?lang=1&id=1621&tipo=72) e sul sito della Commissione Europea (http://ec.europa.eu/health/rare_ diseases/screening/index_en.htm). Questo progetto aveva lo scopo di effettuare un’indagine conoscitiva sullo stato dell’arte degli screening neonatali nei Paesi della Unione Europea e non solo (nel progetto, infatti sono stati inseriti 39 Paesi in totale). Inoltre, veniva richiesto di scrivere una relazione sui risultati di questa indagine, e di produrre un’expert opinion document riguardante i diversi ambiti degli screening neonatali. Obiettivo finale del Tender era infatti di proporre una procedura decisionale condivisa e costruire un network di esperti da ciascuno Stato Membro, che potesse assistere la Commissione Europea nella elaborazione di azioni comunitarie. I risultati sono consultabili nei report di progetto e parte di questi dati sono stati pubblicati in riviste peerreviewed (Loeber et al., 2012; Burgard et al., 2012; Cornel et al., 2014). L’indagine europea è stata fatta raccogliendo informazioni sulle varie componenti del sistema di screening neonatale, a partire dalle procedure decisionali dei programmi di screening, passando per la raccolta dei campioni, l’organizzazione dei laboratori, le procedure di comunicazione della diagnosi, la conferma diagnostica. Nel database sono stati messi a confronto i vari paesi analizzati, anche normalizzando i dati rispetto al PIL pro capite. La Figura 1 riassume alcuni dei dati raccolti nell’indagine. Generoso Andria: Credo debba essere sottolineata la situazione, tra le altre, di Francia e Regno Unito con standard socio-sanitari non dissimili da quelli dell’Italia, che hanno, comunque, numero molto bassi (5-7) di malattie metaboliche oggetto di screening. Domenica Taruscio: Per quanto riguarda il numero di laboratori e il numero di bambini screenati, l’Italia è in una posizione medio-alta, perché possiede molti (forse anche troppi) laboratori per lo screening. Il vero problema sta nel fatto che il controllo di qualità e la quality assurance vengono effettuati solo per i laboratori e non per altre tappe del programma, come ad esempio il processo di comunicazione della diagnosi e altri step (Tab. I). Nello studio che abbiamo effettuato è anche emerso che i Paesi dell’Unione Europea non auspicano di avere un regolamento europeo; prevale quindi l’idea che ogni Paese debba gestire questa materia autonomamente e per proprio conto. Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Figura 1. Numero di malattie metaboliche presenti nei programmi di screening neonatale e Prodotto Interno Lordo in Paesi europei. Tabella I. Aspetti della fase di conferma diagnostica nei programmi di screening neonatale europei. Nessun programma (%) QC (%) QC & QA (%) QA (%) Procedure del laboratorio di diagnosi 6 ± 10 52 ± 17 26 ± 19 15 ± 19 “Feedback” al laboratorio di screening 39 ± 20 38 ± 16 7±8 16 ± 19 Procedure di diagnosi e trattamento 40 ± 22 37 ± 18 7±8 16 ± 19 Età alla diagnosi e al trattamento 42 ± 23 28 ± 16 14 ± 12 16 ± 19 Comunicazioni su diagnosi e trattamenti 76 ± 15 1±2 24 ± 14 0±0 Aspetti della fase di conferma diagnostica %: Percentuale di malattie soggette a programmi di controllo di qualità (QC) o assicurazione della qualità (QA), rispetto al numero di malattie screenate nel Paese Il secondo progetto, di cui abbiamo avuto il coordinamento, è un progetto italiano, ancora in corso (20112014) finanziato dal Ministero della Salute, dal titolo: “Screening neonatale esteso: una proposta di un modello operativo nazionale per ridurre le disuguaglianze per l’accesso ai servizi nazionali per le diverse regioni”. In collaborazione con i rappresentanti del Tavolo Interregionale Malattie Rare, l’Age.na.s., la Società Italiana per lo Studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale (SIMMESN) e la Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) è stato realizzato un censimento della realtà, utilizzando un questionario molto articolato, sul modello di quello europeo. Come è stato già detto, in Italia sono tre gli screening neonatali obbligatori (fenilchetonuria, fibrosi cistica e ipotiroidismo congenito) e dall’indagine è emerso che esistono 32 centri di screening neonatale (dati al Dicembre 2013). La copertura della popolazione neonatale per lo screening allargato (non obbligatorio in Italia) è strettamente legata, e dipendente, dai programmi o progetti pilota in essere su base regionale/locale: si stima ad esempio una copertura intorno al 50% in Sicilia e Lazio, mentre la copertura è pressoché totale in regioni come Toscana, Emilia-Romagna e Liguria. Anche il panel delle patologie sottoposte a screening varia da Regione a Regione. Esistono inoltre importanti differenze sia nella standardizzazione dei processi, sia nell’organizzazione delle diverse pro145 Tavola Rotonda cedure (tempistica dei prelievi, consensi informati, ecc.). Per questo motivo si auspica la elaborazione di linee guida sulla base delle più aggiornate evidenze scientifiche e loro adozione sull’intero territorio nazionale. Anche il questo settore, il nostro Centro potrà fornire un importante contributo in quanto sviluppa linee guida, coordina un progetto europeo d’avanguardia (RARE-Bestpractices www.rarebestpractices.eu) e organizza corsi nazionali ed internazionali su questo tema. Bibliografia Burgard P, Rupp K, Lindner M, et al. Newborn screening programmes in Europe; arguments and efforts regarding harmonization. Part 2. From screening laboratory results to treatment, follow-up and quality assurance. J Inherit Metab Dis 2012;35:613-25. Cornel MC, Rigter T, Weinreich SS, et al. A framework to start the debate on neonatal screening policies in the EU: an Expert Opinion Document. Eur J Hum Genet 2014;22:12-7. Loeber JG, Burgard P, Cornel MC, et al. Newborn screening programmes in Europe; arguments and efforts regarding harmonization. Part 1. From blood spot to screening result. J Inherit Metab Dis 2012;35:603-11. Le evidenze scientifiche per le scelte politiche Carlo Dionisi Vici Generoso Andria: I risultati delle indagini che ha mostrato la dottoressa Taruscio fanno notare che, partendo dall’Europa e arrivando all’Italia con la sua variegata situazione regionale, esistono grandi differenze nelle scelte politiche. A Carlo Dionisi Vici, presidente della Società Italiana per le Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale (SIMMESN), nonché ricercatore clinico di statura internazionale e primario presso l’ospedale Bambino Gesù, abbiamo chiesto di illustrare il punto di vista della comunità scientifica sulle evidenze fornite dalla ricerca, come base per la scelta delle malattie da inserire nel panel dello screening esteso. Carlo Dionisi Vici: Nel 1968 sono stati stabiliti, per la prima volta, dal WHO i criteri da rispettare per programmi di screening, criteri applicabili anche allo screening neonatale (criteri di Wilson e Jungner) (Tab. II). Nel 1981 il Consiglio d’Europa ha indicato come prioritario l’inserimento nei programmi di screening neonatale delle seguenti malattie: ipotiroidismo, iperfenilalaninemia, galattosemia e leucinosi; ritenendo invece non raccomandato lo screening di altre aminoacidopatie, del deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi, della distrofia muscolare progressiva di Duchenne, della fibrosi cistica, delle emoglobinopatie, della sin146 Tabella II. Criteri del WHO per gli screening di malattie (Wilson JMG e Jungner G, 1968). La condizione patologica ricercata deve rappresentare un importante problema di salute. Deve essere disponibile un trattamento ben stabilito per i pazienti con la malattia. Devono essere disponibili risorse e strutture per diagnosi e terapia. Deve esserci una fase sintomatica latente o precoce riconoscibile. Devono essere disponibili test diagnostici o esami clinici adatti alla diagnosi. I test devono essere accettabili dalla popolazione. Deve essere adeguatamente compresa la storia naturale della malattia, nel corso del suo sviluppo, a partire dalla fase di latenza. Deve esistere un consenso su quali soggetti devono essere trattati come pazienti. Il costo per l’individuazione dei casi (incluso quello per la diagnosi e il trattamento dei pazienti diagnosticati) deve essere economicamente conveniente rispetto al costo complessivo previsto per le cure mediche. Lo screening deve essere programmato come un processo continuo e non come un progetto sporadico. drome surrenogenitale, per la mancanza, all’epoca, di elementi sufficienti che ne rendessero consigliabile l’inserimento. Un esempio di evidenza scientifica nel campo dello screening è rappresentato dal documento prodotto In Inghilterra, con la metodologia del Health Technology Assessment, per due malattie metaboliche: la fenilchetonuria e il deficit di acil-CoA deidrogenasi a catena media - MCAD (Pandor et al., 2006). Per entrambe veniva infatti stabilito che l’evidenza scientifica ne giustificava l’inserimento nel panel dello screening, mentre per le altre malattie identificabili con la tecnica della spettrometria di massa tandem, nonostante un incremento dei costi marginali per la diagnosi, non erano disponibili sufficienti evidenze che ne giustificassero lo screening neonatale di massa. Di contro negli Stati Uniti sono stati elaborati criteri di priorità, dall’American College of Medical Genetics, con una soglia di punteggio (> 1200) per l’inserimento nel panel. La scheda utilizzata risale al 2006 ed è attualmente in aggiornamento (https://www.acmg.net/resources/policies/NBS/NBS_Main_Report_00.pdf). In Europa, come si è accennato prima, c’è una grande disomogeneità. Il nostro paese ad esempio, sia nei rapporti tecnici del progetto Tender (http://www.iss.it/ cnmr/index.php?lang=1&id=1621&tipo=72), finanziato dalla UE e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità italiano, relativi alle attività di screening esteso delle malattie metaboliche, come anche nelle più recenti pubblicazioni scientifiche a esso collegate, non risulta Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Tabella III. Risultato dello screening esteso per malattie metaboliche ereditarie in alcune regioni italiane (dati SIMMESN, 2013). Anno 2013 Roma Napoli Bologna Sapienza CEINGE Firenze Genova Totale nati regione 36854 10992 52187 52785 38057 N. Esaminati 37785 10803 23330 6948 41000 % Esaminati SNE/ nati 102,5 98,3 44,7 13,2 107,7 Aminoacidopatie (N.) 3 3 2 0 1 0 Organicoacidurie (N.) 5 2 2 1 2 Difetti della b-ossidazione (N.) 8 2 5 2 16 7 9 1:2361 1:1545 1:2592 TOTALE DIAGNOSI Incidenza Catania Palermo 11872 194456 11838 158893 99,7 81,7 1 1 11 1 2 1 16 13 0 0 1 31 3 16 1 3 3 58 1:2316 1:2562 1:9717 1:5824 1:3946 1:2739 svolgere questo tipo di attività (Loeber, et al., 2012), anche se regioni come la Toscana effettuano lo screening esteso ormai da numerosi anni. Come invece recentemente riportato dalla SIMMESN, in Italia circa 1/3 dei neonati ha accesso allo screening allargato (Tab. III). Nonostante lo screening esteso non sia obbligatorio, queste diseguaglianze nell’accesso ai programmi di prevenzione secondaria tra cittadini di regioni diverse, o addirittura all’interno della stessa regione, sono politicamente ed eticamente insostenibili (Tab. III). Generoso Andria: Finora abbiamo sentito informazioni sulla disomogeneità nella pratica degli screening neonatali, sia in Europa che in Italia. A questo “disordine” programmatico europeo (e italiano) si sta cercando di porre rimedio? Carlo Dionisi Vici: Esistono comunque alcuni esempi positivi che dimostrano come la comunità scientifica europea stia tentando di dare risposte corrette ai quesiti connessi ai programmi di screening. Per alcune malattie sono state condivise linee guida da gruppi di studio, costituiti nell’ambito di progetti finanziati dalla UE (es. E-IMD, http://www.e-imd.org/en/index. phtml), ad alcuni dei quali ho partecipato personalmente (statement evidence based): questo è avvenuto per le organico acidurie (Baumgartner, et al., 2014) per i difetti del ciclo dell’urea (Häberle et al., 2012) e per le omocistinurie (Huemer et al., 2015). Posso personalmente segnalare che non sono d’accordo sull’esclusione dallo screening neonatale di alcuni difetti del ciclo dell’urea, come ad esempio il deficit di OTC: nel Lazio lo screening esteso ha permesso di identificare e trattare con successo un neonato il cui fratello maggiore era deceduto alcuni anni prima per una malattia non diagnosticata nel paese di origine. Parlando invece della tirosinemia, oggi assente dal 44494 Cagliari TOTALE 9717 17472 61,1 panel di screening in numerosi paesi europei (una malattia alla quale il dr. Giancarlo la Marca di Firenze ha dato con i suoi studi un contributo fondamentale alla comunità scientifica internazionale per la scelta del biomarcatore da utilizzare nello screening) un recente studio multicentrico ha permesso di stabilire che iniziando la terapia farmacologica con Nitisinone fin dal primo trimestre di vita, si riduce in modo più che significativo la possibilità di sviluppare l’epatocarcinoma (Mayorandan et al., 2014). Concludendo questo mio intervento, mi sembra opportuno segnalare che negli ultimi anni, la richiesta, e le pressioni, per l’inserimento nel panel di un numero sempre più ampio di malattie da sottoporre a screening sono notevolmente cresciute. Credo comunque che l’inserimento di una nuova malattia nel panel dello screening esteso debba essere valutato con attenzione secondo criteri basati sull’evidenza scientifica e in linea con i principi del WHO, non dimenticando alcuni elementi dirimenti: • l’efficacia delle cure; • la possibilità che la malattia si manifesti in epoche della vita diverse dall’età pediatrica, con il rischio di medicalizzare un neonato (e la sua famiglia) per una patologia in cui l’intervento terapeutico è richiesto solo molto più tardivamente, inducendo la cosiddetta “fragile child syndrome” (Waisbren, 2006); • la frequente mancanza di correlazioni genotipo-fenotipo che permettano di differenziare le differenti varianti ciniche delle singole malattie, ha creato problemi tecnici nelle metodiche di screening con alti tassi di false positività; • la mancanza di linee guida (o raccomandazioni) condivise dagli specialisti di settore per l’inizio del trattamento in malattie a esordio successivo rispetto alla prima infanzia; 147 Tavola Rotonda • il costo del trattamento in alcune categorie di malattie (si è in grado di sostenere gli alti costi delle terapie?). Inoltre non vanno trascurati anche altri aspetti come: • il consenso dei genitori; • la conservazione dei campioni (preziosi dal punto di vista scientifico, ma di cui non è ancora regolamentata la conservazione); • i metodi per la comunicazione con le famiglie: la comunicazione del risultato dello screening è un momento molto delicato che può creare traumi, stress e forte ansia, anche perché l’immediato ricorso da parte dei genitori alla lettura dei siti internet, in cui non vengono filtrate le informazioni, può fornire informazioni non corrette e comunque non fornite personalmente da personale dedicato e competente in materia. Generoso Andria: Carlo Dionisi Vici ci ha esaurientemente esposto problemi e difficoltà per una razionale programmazione dello screening esteso. In Italia, attualmente, la situazione è ancora disomogenea e non ben organizzata in molti dei suoi aspetti. Chiedo: qualcosa in senso positivo si sta muovendo? Caro Dionisi Vici: Direi proprio di sì. L’Age.na.s (in collaborazione con l’ISS) ha creato un gruppo di esperti per definire le linee guida per lo screening neonatale esteso. Il gruppo ha stabilito di utilizzare per la definizione dei livelli di evidenza il metodo GRADE, perché nelle malattie rare è più difficile pesare i parametri secondo gli standard più tradizionali (es. SIGN): conseguentemente esistono 4 categorie di forza delle raccomandazioni (alto, moderato, basso e molto basso). Le iniziative sul tema, comunque, vanno avanti in Italia, ma occorre costante flessibilità nell’adattare le norme all’evoluzione delle conoscenze. La Società Italiana di Pediatria ha pubblicato un testo a cura di Alberto Burlina dal titolo: “Screening neonatale metabolico allargato: vademecum per il pediatra” e ha organizzato un gruppo di lavoro sugli screening neonatali, a cui partecipa anche la SIMMESN. Generoso Andria: Sono sempre rimasto colpito dal fatto che nel campo delle malattie metaboliche ereditarie l’approccio evidence based sia stato implementato molto tardi. La forza delle evidenze nelle pubblicazioni di questo settore è molto esigua, anche perché spesso i lavori sono aneddotici ed esistono poche metanalisi vere. Carlo Dionisi Vici: La situazione sta cambiando. Come ho già ricordato, al momento sono al lavoro gruppi di esperti europei che si stanno occupando di scrivere, ad esempio, linee guida sulle organico acidurie e più recentemente sull’omocistinuria, queste ultime sviluppate nell’ambito del progetto E-HOD finanziato dalla UE (https://www.ehod-registry.org/). 148 Bibliografia Baumgartner MR, Hörster F, Dionisi-Vici C, et al. Proposed guidelines for the diagnosis and management of methylmalonic and propionic acidemia. Orphanet J Rare Dis 2014;9:130. Häberle J, Boddaert N, Burlina A, et al. Suggested guidelines for the diagnosis and management of urea cycle disorder. Orphanet J Rare Dis 2012;7:32. Huemer M, Kožich V, Rinaldo P, et al. Newborn screening for homocystinurias and methylation disorders: systematicreview and proposed guidelines. J Inherit Metab Dis 2015 Mar 12. [Epub ahead of print] Loeber JG, Burgard P, Cornel MC, et al. Newborn screening programmes in Europe; arguments and efforts regarding harmonization. Part 1. From blood spot to screening result. J Inherit Metab Dis 2012;35:603-11. Mayorandan S, Meyer U, Gokcay G, et al. Cross-sectional study of 168 patients with hepatorenal tyrosinaemia and implications for clinical practice. Orphanet J Rare Dis 2014;9:107. Pandor A, Eastham J, Chilcott J, et al. Economics of tandem mass spectrometry screening of neonatal inherited disorders. Int J Technol Assess Health Care 2006; 22:321-6. Waisbren SE. Newborn screening for metabolic disorders. JAMA 2006;296:993-5. Wilson JMG, Jungner G. Principles and practice of screening for disease. Geneva: WHO 1968. I provvedimenti legislativi italiani Serena Battilomo Fabio Sereni: Dalle relazioni finora ascoltate emergono due dati: un’eterogeneità di strutture e competenze, soprattutto in Italia, e una rapida evoluzione delle conoscenze per cui occorre una flessibilità nell’aggiornare le norme. Le prossime due relazioni ci informeranno sulle prospettive italiane, sia dal punto di vista nazionale che regionale. La parola per prima alla dottoressa Serena Battilomo della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, direttamente coinvolta nella preparazione di un decreto ministeriale sullo screening neonatale esteso. Serena Battilomo: È ormai da un anno che il Ministero della Salute lavora a un provvedimento per regolamentare l’avvio sperimentale dello screening neonatale delle malattie metaboliche ereditarie su tutto il territorio nazionale e colmare la grande variabilità regionale a cui si faceva riferimento. Tuttavia nell’implementare lo Screening Neonatale Esteso (SNE) dobbiamo considerare anche i tre programmi di screening obbligatori citati in precedenza (ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria) e cercare di armonizzare le due azioni, anche perché, Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie una delle tre patologie obbligatorie, la fenilchetonuria, è una malattia metabolica. Le proposte normative per lo SNE sono sempre state di iniziativa parlamentare fin dal 2007 con una proposta di legge alla Camera e un disegno di legge al Senato, poi decadute al cambio di governo. Nell’attuale XVII legislatura è stato presentato, dalla Senatrice Taverna, nell’agosto 2013, il DDL 998 per rendere obbligatorio lo screening neonatale per molte malattie metaboliche ereditarie, ma come tutti i disegni di legge ha un iter piuttosto lungo in quanto è stato richiesto il parere di ben 7 diverse commissioni. Nel frattempo, sempre la senatrice Taverna ha presentato un emendamento alla legge di stabilità 2014, poi diventato comma 229 della Legge 147/2013, il quale dispone che “il Ministro della salute adotti un decreto ministeriale, sentiti l’Istituto superiore di sanità (ISS) e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per l’avvio, anche in via sperimentale e nel limite di cinque milioni di euro, dello screening neonatale per la diagnosi precoce di patologie metaboliche ereditarie, per la cui terapia, farmacologica o dietetica, esistano evidenze scientifiche di efficacia terapeutica o per le quali vi siano evidenze scientifiche che una diagnosi precoce neonatale comporti un vantaggio in termini di accesso a terapie in avanzato stato di sperimentazione, anche di tipo dietetico, anche definendo l’elenco delle patologie su cui effettuare lo screening neonatale”. Generoso Andria: Mi scuso per l’interruzione, ma non posso trattenermi dal commentare quanto scritto nell’emendamento. Anzitutto le terapie efficaci che giustificano l’inserimento nel panel di una malattia, non sono solo farmacologiche o dietetiche: basti pensare al trapianto di cellule staminali ematopoietiche per la malattia di Krabbe. Mi sembra poi molto “audace”, in una logica di sanità pubblica, prendere in considerazione terapie in “avanzato stato di sperimentazione” nel definire l’elenco delle patologie da sottoporre a screening. Serena Battilomo: In realtà ormai l’emendamento è diventato il comma di una legge dello stato. Per completare l’informazione, ricordo che la seconda parte dell’emendamento prevede in una fase 2 la costituzione presso l’Age.na.s. di un centro di coordinamento sugli screening neonatali, per favorire la massima uniformità dell’applicazione sul territorio nazionale della diagnosi precoce neonatale e individuare bacini d’utenza ottimali. Per la predisposizione del testo del decreto ministeriale previsto dal comma 229 è stato istituito, nel febbraio 2014, un gruppo di lavoro, formato da membri del Ministero, dell’Age.na.s., dell’ISS, rappresentanti regionali, nonché esperti del settore (tra cui Carlo Dionisi Vici) così da poter capitalizzare su tutte le esperienze realizzate in questo ambito negli ultimi anni. Per la definizione dell’elenco delle patologie su cui effettuare lo SNE ci siamo avvalsi del contributo del Gruppo di lavoro per la “Elaborazione di linee guida cliniche per l’individuazione di protocolli applicativi per lo screening neonatale esteso”, già istituito presso l’Age.na.s. Il testo di Decreto Ministeriale che abbiamo predisposto (vedi l’articolato del decreto riportato nella tabella 4) cerca di dare tutte le indicazioni necessarie per un avvio uniforme dello SNE su tutto il territorio nazionale: lista delle patologie, consenso, raccolta e invio campioni, caratteristiche del centro di screening, modalità di comunicazione e richiamo per la conferma diagnostica e la presa in carico, iniziative di formazione e informazione, ripartizione dello stanziamento (Tab IV). Riguardo i fondi a disposizione è bene tener presente che per poter fare lo screening neonatale allargato a tutti i circa 500.000 neonati /anno, ci vorrebbero 25 milioni di euro. La “relativamente” buona notizia è che nella legge di stabilità del 2015 sono stati stanziati altri 5 milioni di euro da destinare a questa tipologia di screening. Quindi al momento sono disponibili 10 milioni di euro che, nel decreto che stiamo predisponendo, saranno ripartiti per bacino di utenza (numero medio annuo di nati, calcolato sui nati dell’ultimo quinquennio). Altro obiettivo del decreto è quello di garantire gli standard qualitativi degli screening neonatali, ridurre il numero di richiami dei nati esaminati e ottimizzare i tempi di intervento per la presa in carico clinica, nonché favorire l’uso efficiente delle risorse, anche tramite appositi accordi interregionali. Bisogna assicurare la corretta raccolta dei campioni in tutte le situazioni, anche nei parti a domicilio e l’invio tempestivo degli spot ematici dai punti nascita ai Centri di screening neonatale, nonché garantire la corretta presa in carico da parte del Centro clinico di riferimento nei casi positivi. Siamo ormai a buon punto, il testo predisposto ha già ricevuto il parere dell’ISS. Ora è stato trasmes- Tabella IV. Articolato del decreto ministeriale sullo SNE (in corso di predisposizione). Art. 1 Patologie metaboliche ereditarie da sottoporre a screening neonatale esteso Art. 2 Informativa e consenso allo SNE Art. 3 Raccolta e invio dello spot ematico Art. 4 Centro di screening neonatale Art. 5 Comunicazione, richiamo, conferma diagnostica e presa in carico per lo SNE Art. 6 Formazione, informazione ed empowerment Art. 7 Copertura oneri economici e criteri di riparto Art. 8 Entrata in vigore 149 Tavola Rotonda so al Garante per la protezione dei dati personali per il necessario parere. Dopo ci sarà l’ultima tappa da superare: l’esame da parte della Conferenza StatoRegioni. Fabio Sereni: Desidero essere ottimista, ma non è certamente un dato incoraggiante il fatto che sia disponibile solo una parte dei 25 milioni necessari. Esistono, io credo, in ogni caso delle buone basi per una futura legge valida, con la possibilità reale di ampliare omogeneamente lo screening in Italia. Ma non ho bene capito se è previsto l’aggiornamento programmatico continuo. Serena Battilomo: Assolutamente sì, nel decreto è prevista una revisione periodica, almeno triennale, in relazione all’evoluzione nel tempo delle evidenze scientifiche in campo diagnostico-terapeutico per le patologie metaboliche ereditarie Il punto di vista della Sanità Pubblica e delle Regioni Paola Facchin Fabio Sereni: Dopo aver ascoltato quanto è attualmente in gestazione al Ministero della Salute per una razionale futura programmazione degli screening neonatali, la parola passa alla professoressa Paola Facchin, coordinatrice del Tavolo tecnico interregionale per le malattie rare, Tavolo che funge da consulente per la Commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni. La domanda è la seguente: come la futura programmazione nazionale potrà essere recepita dalle regioni? Paola Facchin: Per valutare gli screening, tra cui quello neonatale per le malattie metaboliche congenite, dal punto di vista della sanità pubblica, bisogna procedere seguendo due piani diversi, quello strategico delle politiche sanitarie (health policy) e quello più tattico della programmazione o health planning. La competenza regionale è esplicitamente legata al secondo piano, poiché proprio nella programmazione e organizzazione di servizi e interventi si esprimono competenze e autonomia regionali. Il primo piano invece è competenza nazionale o meglio affonda le proprie radici nella percezione dei problemi e dei valori legati alla salute che la società ha e si esprime per mezzo della attiva partecipazione delle comunità alle decisioni strategiche. Poiché comunque i due piani sono interrelati, farò brevi accenni agli aspetti essenziali e critici di entrambi. Il piano strategico nazionale riguarda la decisione circa la “convenienza” di fare lo screening e si articola 150 sinteticamente in due passi: il primo riguarda il quesito se fare lo screening genera più benefici o più danni in termini di salute, il secondo introduce il quesito circa le risorse da utilizzare e risponde alla domanda: “Quante risorse devo utilizzare e quanti altri vantaggi in termini di salute potrei ottenere utilizzando diversamente le stesse risorse?”. Il primo passo è centrato sulla valutazione del bilancio, che deve risultare positivo, tra il danno attuale e certo che lo screening determinerà e il vantaggio probabile futuro che lo stesso provocherà. I possibili danni derivati dallo screening sono in rapporto a: • le procedure dirette dello screening; • la comunicazione del sospetto di patologia determinato dal test positivo al primo livello e le procedure di conferma diagnostica (che possono dare alla fine anche risultati negativi); • la diagnosi anticipata e quindi la minore (o assente) durata della vita “da sano”; • la diagnosi di malattia anche per forme mild o quasi totalmente asintomatiche; • il ritardo della diagnosi dei falsi negativi, generalmente maggiore quando c’è uno screening rispetto a quando non c’è. I possibili vantaggi sono dati dalla differenza in durata e qualità della sopravvivenza tra i casi diagnosticati con lo screening in fase asintomatica e i casi diagnosticati in fase sintomatica. Ovviamente questo vantaggio dipende dalla disponibilità di un trattamento efficace e sicuro da mettere in atto già nella fase asintomatica. Fabio Sereni: Un rapido commento: che sia disponibile un trattamento efficace io lo dó per scontato. È un pre-requisito essenziale allo screening. Paola Facchin: Certamente sì, ma qui mi preme sottolineare che per migliorare questo bilancio è necessario ridurre al massimo tutti gli elementi di danno e il loro moltiplicatore. Nel caso di malattie a bassa o bassissima incidenza, come le malattie metaboliche congenite, è essenziale non perdere malati, altrimenti cadrebbero tutti i benefici dello screening. Ciò comporta necessariamente la presenza di un certo numero di falsi positivi, anche con specificità altissime, poiché bisognerà testare un gran numero di neonati per trovare un solo vero malato e in questo modo (anche con specificità vicine al 99,9%) si accumuleranno molti falsi positivi. La probabilità di essere veramente malato dei positivi al test di primo livello (valore predittivo positivo) è pertanto sempre relativamente contenuta. In medicina si propongono sempre interventi o trattamenti che comportano un possibile beneficio a fronte di un danno probabile o certo. La scelta di cosa fare sta, nei casi singoli, al paziente, che valuterà sia il possibile danno che il beneficio. Nel corso dello screening, invece, è la comunità in quanto tale che avrà contempora- Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie neamente danni e vantaggi, mentre i singoli avranno o solo il danno o solo il vantaggio. Questo naturalmente determina una criticità nel decidere circa la convenienza o meno dello screening. Fabio Sereni: Chiedo ancora scusa per l’interruzione. Il ragionamento a me sembra corretto, ma non molto realistico. Non ci troviamo, in Italia, oggi di fronte a un movimento contrario agli screening (come invece è avvenuto per le vaccinazioni). Si tratta, a me sembra, solo di buona programmazione di politica sanitaria. Paola Facchin: L’esperienza insegna che spesso l’attivismo delle associazioni dei malati tende a aumentare la percezione diffusa dei vantaggi dello screening e a sottovalutare i possibili danni. Ciò implica che il monitoraggio stretto di ciò che realmente succede in un contesto concreto sia assolutamente indispensabile per rivalutare le scelte e meglio orientarle. È di scuola il caso dello screening della malattia di Krabbe, che fu introdotto nello Stato di New York e poi diffuso in diversi stati americani sulla spinta di genitori di bambini affetti dalla patologia. Il vantaggio atteso dal riconoscimento precoce dei nati affetti sta nella possibilità di sottoporli a un trapianto del midollo, terapia potenzialmente risolutiva rispetto al destino di disabilità e morte che altrimenti spetterebbe agli affetti. Dopo circa un milione di nati screenati il risultato è stato il seguente (Lantos et al., 2011): in 300 casi i nati sono stati sottoposti alla conferma diagnostica, in 29 la positività è stata confermata, ma in 25 i sintomi non sono mai comparsi. Di questi 25 casi asintomatici oltre la metà ha sviluppato sintomi psicologici, in alcuni casi una patologia psichica franca, dovuta all’attesa di malattia. Dei quattro casi diagnosticati in cui si sono sviluppati i sintomi, 1 è deceduto prima del trapianto e 1 in corso di trapianto; due sono sopravvissuti, di cui uno con gravi deficit dopo il trapianto, mentre l’altro sta bene senza essere stato trapiantato. Nella pratica il vero beneficio sta nell’unico sopravvivente dopo il trapianto con esiti, mentre il danno sta nei 271 falsi positivi e ancora maggiormente nei 25 mild, di cui una gran parte con problemi dati dallo screening. Il bilancio, a priori pensato come grandemente positivo, non si è dimostrato tale nella pratica. Comunque stabilita la positività della scelta di procedere allo screening, il secondo passo consiste nello sviluppare un’analisi economica che grossolanamente comprende: • definire per ogni “unità di vantaggio di salute” ottenuta con lo screening (ad esempio vite guadagnate o anni di vita guadagnati o disabilità diminuite, etc.) quante risorse in più devo impiegare; • confrontare quante “unità di vantaggio di salute” potrei avere, utilizzando altre strategie e le stesse risorse. Anche questo passo meriterebbe la descrizione di diverse criticità e di come esse si declinano nel tema degli screening neonatali. Ma volendo procedere velocemente sul piano della programmazione, vorrei qui ricordare come essa si riferisca a tutte le fasi che determinano il complesso processo dello screening, cioè il disegno della rete, il dimensionamento e allocazione delle risorse, l’organizzazione del processo e delle azioni da mettere in campo in un contesto reale per attuare al meglio le strategie prima decise. I punti critici del processo sono i seguenti: • Creare un’organizzazione che consenta di reclutare tutti i nati, seguirli completamente per tutte le fasi e monitorarli successivamente (sia i malati che i sani). Gli aspetti più problematici riguardano la creazione di un identificativo unico, certo e rintracciabile degli spostamenti anche dopo il periodo neonatale per ogni singolo nato, a partire da quando non è ancora avvenuta la dichiarazione di nascita e la conseguente registrazione dei nati nei Registri di Stato Civile (a 48 ore dalla nascita), e la creazione di sistemi informativi evoluti interoperabili e integrati con quelli di altre istituzioni, per rendere possibili i monitoraggi con lungo orizzonte temporale; • Definire, valutare in modo trasparente ed eventualmente modificare le regole per stabilire positività e negatività al test di primo livello per ogni malattia testata. Attualmente c’è una difficoltà nel reperire in modo chiaro e analitico tali informazioni in letteratura. Alcuni autori sottolineano anche recentemente la necessità di rivedere nel tempo i cut off, i metaboliti studiati e i loro rapporti per ridurre il numero dei falsi positivi e rendere più efficiente lo screening. Fino a ora la ricerca si è concentrata sul miglioramento della tecnologia e della robotizzazione, in parte sullo studio dei metaboliti, dei cut off e delle regole e delle interpretazioni dei risultati, e sulle dimensioni dei bacini d’utenza per garantire qualità e sostenibilità dei sistemi. Mancano studi sull’effetto di diverse architetture di rete (ad esempio reti a cluster, analogamente a quanto avviene in altri settori, rispetto alle attuali reti a stella) e sulla possibilità di agire sulle modalità di automatismo delle procedure, rendendo attuabile l’analisi contemporanea di diversi pacchetti di malattie in relazione a diversi e graduati consensi eventualmente espressi; • Dimensionare correttamente i centri clinici di secondo livello, deputati alla conferma diagnostica e a seguire clinicamente i malati selezionati. Questi centri clinici per le malattie metaboliche congenite costituiscono il collo di bottiglia dell’intero sistema. Essi devono essere correttamente pianificati per non invalidare il beneficio dello screening, ed è necessario porre grande attenzione nella loro dotazione di risorse e soprattutto di personale 151 Tavola Rotonda appositamente formato, in modo da garantire le loro attività per il presente e per il futuro. • Predefinire cosa fare dei nati diagnosticati come malati. In particolare è necessario chiarire prima dell’inizio delle attività di screening chi sono i malati, cosa si intende predisporre come presa in carico e trattamento, quali servizi devono svolgere questi interventi, quali trattamenti devono essere prescritti, da chi e a chi e quando, quali risorse servono per attivare l’intero sistema nel presente e nel futuro. In conclusione, siamo, io credo, a un crocevia essenziale nella vicenda degli screening metabolici neonatali: la necessità di distinguere ciò che è assistenza, o proposta attiva di intervento che la comunità si incarica di fare verso persone che non hanno sollevato alcun problema, da ciò che è ricerca, cioè sperimentazione in popolazione di una prospettiva innovativa di intervento. Nel campo delle malattie metaboliche congenite è essenziale portare avanti entrambe le attività, possibilmente distinguendole chiaramente e informandone di conseguenza i nuovi genitori. Generoso Andria: Paola Facchin ha ben sottolineato come le decisioni politiche devono essere prese avendo ben chiaro che i problemi di sanità pubblica sono “percepiti” diversamente in termini di benefici e danni dal singolo o dalla comunità. Vorrei, però, sottolineare che la valutazione costo/efficacia deve essere affrontata con approccio scientifico tramite le metodologie del Health Technology Assessment, che non sono sostanzialmente diverse da quelle usate per valutare gli studi clinici, secondo i principi della Evidence Based Medicine. Fabio Sereni: Abbiamo capito che esistono molti problemi e difficoltà per questi screening, quindi è indispensabile allargarli secondo regole ben precise e politiche caute per l’allargamento, tenendo presente chiaramente le valutazioni costo/beneficio. Quindi il rapporto tra la competenza scientifica e le politiche sanitarie deve essere molto stretto e le regole sempre credibili. La parola a Maria Alice Donati sull’esperienza realizzata in Toscana. Bibliografia Lantos JD. Dangerous and expensive screening and treatment for rare childhood diseases: the case of Krabbe disease. Devel Disabil Res Rev 2011;17:15-8. 152 Il follow-up e la presa in carico dei pazienti Maria Alice Donati Generoso Andria: Chiedo a Maria Alice Donati di illustrare brevemente quanto è complicato garantire giorno dopo giorno il funzionamento dei centri clinici, di follow-up, perché questa è la criticità maggiore da risolvere per realizzare il programma di screening, come ha anche sottolineato Paola Facchin. Maria Alice Donati: La Toscana ha festeggiato i 10 anni di screening neonatale metabolico allargato in quanto è stato avviato dal 1 novembre 2004 a seguito della Delibera della Regione Toscana n. 800 del 3-8-2004; dal 1 gennaio 2010 presso il nostro Centro Screening-Meyer effettuiamo lo screening metabolico allargato a tutti i neonati della Regione Umbria, che ci invia i cartoncini. Nel 2004 in Toscana erano presenti 3 centri di screening che sono stati trasformati, con delibera regionale, in un unico grande Centro Screening Neonatale Metabolico allargato. Erano già preesistenti presso l’Azienda Meyer competenze cliniche e laboratoristiche biochimico-molecolari nell’ambito delle malattie metaboliche. Sono 40 le malattie metaboliche ereditarie inserite nel programma; sono aminoacidopatie, difetti del ciclo dell’urea, difetti della beta ossidazione e organicoacidurie, per le quali è disponibile una terapia in grado di modificare consistentemente la storia naturale. Il panel delle malattie è stato scelto sul modello statunitense. Lo screening neonatale allargato deve però essere un sistema dinamico, in evoluzione, perché l’elenco delle malattie può modificarsi nel tempo sulla base delle evidenze scientifiche e dei progressi specie in ambito terapeutico: pertanto alcune malattie potrebbero essere eliminate dall’elenco e viceversa altre malattie potrebbero essere aggiunte. In questi 10 anni circa 380.000 neonati sono stati sottoposti a screening neonatale metabolico allargato mediante tecnologia di tandem massa, con diagnosi in circa 1 neonato ogni 1800 sottoposti a screening. Come diceva Generoso. Andria non è sufficiente avere le “macchine” cioè le tandem massa e un risultato analitico, ma una forte criticità è rappresentata dal fatto che lo screening neonatale allargato è un “sistema screening”, integrato, plurifunzionale e multiprofessionale di medicina preventiva e pubblica e certamente uno degli anelli chiave è la rapida, e competente, presa in carico del neonato. In Toscana e Umbria la raccolta dei campioni neonatali, spot di sangue adsorbiti su apposito cartoncino, è Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie eseguita a 48-72 ore di vita. È importante l’invio giornaliero dai Punti nascita dei cartoncini al Centro Screening ed è importante l’analisi rapida dei campioni. Risultare positivi non vuol dire avere una malattia metabolica: è indispensabile la presa in carico del neonato e test di conferma. In base al risultato analitico dello screening su spot neonatale, espressione di un difetto metabolico o di più difetti metabolici con diversa severità clinica, è necessaria una presa in carico differenziata. Il laboratorio comunica il risultato positivo dello screening su spot neonatale al Clinico del nostro Centro ed è il Clinico che procede alla comunicazione telefonica al Punto nascita e alla famiglia. La comunicazione diretta del medico metabolista con la famiglia ha un ruolo importante non solo per contenere lo stress parentale, ma anche per avere informazione sullo stato clinico del neonato con le conseguenti possibilità di gestione condivisa con il centro periferico, per eventuali provvedimenti urgenti di stabilizzazione e successivo trasferimento al Meyer. Si consideri infatti che le malattie metaboliche diagnosticabili con lo screening neonatale allargato costituiscono un gruppo di patologie caratterizzate da una grande eterogeneità, con quadri clinici variabili da malattie ad alto rischio di scompenso metabolico acuto (ad es. alcune acidurie organiche, difetti della beta-ossidazione, difetti del ciclo urea e malattia delle urine a sciroppo d’acero) ad altre malattie con decorso “cronico”, come la fenilchetonuria. In caso di una diagnosi iniziale (o accertata) di difetto metabolico comportante la possibile necessità di intervento urgente si effettua richiamo immediato con ricovero e, sulla base del quadro clinico e della patologia, si avvia gestione del neonato con team multidisciplinare: medico metabolista, neonatologo-intensivista, cardiologo, neurologo, ecc. Altri specialisti, per esempio il nefrologo, per un intervento dialitico, possono essere coinvolti d’urgenza. È importante la presa in carico differenziata in base all’alterazione rilevata su spot neonatale. La presa in carico clinica e le analisi di conferma vengono eseguite secondo algoritmi differenziati diagnostici e di trattamento sul tipo dell’American College of Medical Genetics-Newborn Screening Working Group, modificato secondo l’esperienza ormai acquisita e sulla base di linee guida disponibili (come per glutaricoaciduria I, metilmalonico e propionicoacidemia, difetti del ciclo dell’urea). Sono attuati percorsi differenziati con diverse modalità e tempistiche per quanto attiene alla comunicazione, alla conferma diagnostica e valutazione presso il Centro Clinico Metabolico. Un esempio di presa in carico su algoritmi specifici per metabolita è il caso dell’aumento della propionilcarnitina (C3) che può essere marker di metilmalonicoacidemia e propionicoacidemia. Numerosi neonati venivano richiamati per elevato C3, ma poi molti risultavano falsi positivi. La messa a punto sullo stesso spot, senza richiamare il neonato, della determinazione dell’acido libero metilmalonico e 3-idrossipropionico ha portato alla riduzione dei richiami (falsi positivi) ma anche del cut-off e pertanto a evitare i falsi negativi. Più recentemente la messa a punto su goccia di sangue anche della determinazione dell’omocisteina consente di discriminare l’aumento dell’acido metilmalonico libero, associato o meno a iperomocisteinemia. È, in tal caso, importante la presa in carico del neonato ma anche della mamma, perché un elevato acido metilmalonico libero e iperomocisteinemia possono essere secondari, oltre a difetti genetici del metabolismo della cobalamina, a difetto di vitamina B12 materna (ad esempio madre vegana o gastrite atrofica autoimmune materna). Il clinico ha un ruolo importante nella gestione clinica e degli accertamenti, che si concludono con la conferma biochimica e/o genetico-molecolare del difetto. Talvolta gli accertamenti biochimico-molecolari necessitano di tempi non brevi (esempio studi biochimici su fibroblasti da biopsia cutanea). In Toscana – Umbria è individuato un unico centro hub, presso l’AOU Meyer, in relazione alla centralità geografica e alle competenze clinico-laboratoristiche e multidisciplinari. È importante la presenza nel centro hub di laboratorio “metabolico” che consente lo stretto monitoraggio “metabolico” dei neonati con patologia acuta durante le variazioni terapeutiche e dietetiche. I centri spoke sono identificati nei Punti Nascita della Regione Toscana e Umbria ed effettuano la presa in carico e retesting del neonato con screening positivo per lieve alterazione (es. possibile alterazione transitoria per Malattie Metaboliche, alterazione secondaria a difetto materno, alterazione secondaria a carenza vitaminica materna, falsa positività, ad esempio trattamento antibiotico in atto o utilizzo di creme nella madre). I centri spoke effettuano la valutazione clinica di neonato positivo per alterazione indicativa di patologia Metabolica ad alto rischio di scompenso per neonati dimessi e con domicilio lontano dal centro hub, con eventuali esami e stabilizzazione prima di trasferimento a centro hub. I centri spoke effettuano gestione condivisa diagnostico-terapeutica in neonato positivo allo screening neonatale non ancora dimesso secondo linee guida e protocolli promossi dal centro hub, con trasferimento urgente del neonato al centro hub ove necessario. In genere il neonato con patologia acuta, appena possibile viene trasferito a centro hub. È importante per i genitori una presa in carico con comunicazione diretta del medico del centro hub esperto in malattie metaboliche. Generoso Andria: La presa in carico immediata e a distanza richiede risorse economiche e un personale competente e stabile. Le difficoltà esistono anche a Firenze? Maria Alice Donati: Il Centro Clinico deve avere pronta disponibilità di alimenti dietetici speciali e di 153 Tavola Rotonda farmaci specifici per malattie metaboliche (es arginina cloridrato, sodio benzoato, sodio fenilbutirrato, carbamilglutammato, nitisinone) che hanno costi non irrilevanti (importante centralizzazione e rete!!). La rete regionale Tosco-Umbra tra Centro Clinico Malattie Metaboliche con Punti Nascita-Reparti NeonatologiaPediatria-Terapia Intensiva consente la gestione del neonato o del paziente in follow-up, se la patologia lo consente, senza trasferimento al Centro Clinico Metabolico. Il Centro Clinico è attivo con medico in presenza diurna per 365 giorni all’anno e pronta disponibilità/reperibilità telefonica 24/24 ore, anche nei giorni festivi. Questo rappresenta un grande impegno, in considerazione anche del numero limitato di risorse. La gestione del paziente metabolico nel tempo deve essere anche domiciliare, formando opportunamente il pediatra di famiglia. È importante una gestione condivisa e partecipe alle varie problematiche: una buona gestione domiciliare può ridurre consistentemente gli accessi in ospedale, specie in corso di infezioni intercorrenti in quelle patologie a rischio di scompenso. Anche la dietista ha un ruolo chiave nel “Sistema screening” e nel follow-up, è importante la personalizzazione della dieta, tenendo anche conto delle abitudini alimentari familiari e razziali. Generoso Andria: I bambini positivi poi diverranno adulti: esistono i centri per gli adulti con malattie metaboliche? Maria Alice Donati: Saranno adulti che necessitano di terapia cronica, follow-up e gestione di eventuali complicanze d’organo, seppure in molti casi si ha la prevenzione del danno neurologico. Purtroppo a oggi in Italia i pochi Centri esistenti di Malattie Metaboliche dell’adulto sono Centri di Neurologia; il bambino metabolico che ha avuto una diagnosi precoce e precoce terapia necessita invece, quando raggiunge l’età adulta, di un Centro Clinico Medico multidisciplinare. È urgente programmare Centri per l’adulto ove, con adeguate competenze, possano essere trasferiti i nostri bambini divenuti adulti. A oggi circa il 20 % dei nostri pazienti in follow-up presso il nostro Centro sono adulti. Lo screening è uno strumento di grandi potenzialità che comporta, oltre alla cura delle malattie genetiche ereditarie, il counselling genetico e la diagnosi prenatale, proprio per evitare il ripetersi delle patologie nel medesimo ambito familiare. Una grande opportunità di prevenzione che deve però essere affiancata da attività di formazione nell’ambito medico e informazione dei cittadini. Certo, in Toscana lo screening neonatale procede con buoni risultati, anche (e soprattutto) grazie al prezioso impegno di tutti e al lavoro di squadra! Ma ci sono criticità e problematiche da risolvere. Fabio Sereni: Maria Alice Donati ci ha esposto un quadro chiaro e completo del sistema in atto in Tosca154 na. Ha anche accennato ad alcuni aspetti critici, sui quali sarebbe utile una riflessione. In ogni caso, non sarà semplice replicare il sistema Toscana in altre Regioni con strutture sanitarie meno efficienti; il decreto ministeriale dovrebbe, io credo, prevedere delle tappe di attuazione graduali, commisurate alle diverse competenze sanitarie esistenti nelle regioni italiane. Maria Alice Donati: Uno degli aspetti negativi è che in alcune malattie metaboliche l’esordio clinico acuto può essere molto precoce e prima delle 48 ore (epoca di raccolta degli spot di sangue) o prima del risultato dello screening neonatale che in genere, se funziona tutto il “sistema” è intorno ai 5-7 giorni di vita. Nei 10 anni di attività 5 neonati hanno presentato un esordio molto precoce: 2 citrullinemie, 2 argininsuccinicoacidurie e 1 propionicoacidemia. È importante il ruolo del neonatologo nel saper riconoscere in fase precoce le manifestazioni cliniche di malattia metabolica a esordio acuto per poter avviare le analisi urgenti, iniziare un trattamento e non aspettare l’esito dello screening neonatale. Le domeniche, i “ponti festivi” con le criticità relative anche all’invio dei cartoncini tramite corriere possono rappresentare un ritardo di diagnosi; un sistema screening ideale dovrebbe essere organizzato con un attività del “sistema” 7 giorni/7, ma dobbiamo tenere conto dei costi e delle risorse!!! In un programma di organizzazione nazionale certamente una centralizzazione con grandi bacini pluriregionali potrebbe consentire un risparmio di risorse, una migliore organizzazione e qualità dei risultati, ma in questo disegno devono essere ben organizzati la presa in carico clinica del neonato, la rete assistenziale e follow-up clinico. In questi 10 anni di follow-up 3 bambini sono andati a exitus a distanza di anni dalla diagnosi (1 citrullinemia, 1 argininsuccinicoaciduria, 1 difetto della betaossidazione); tutt’e tre i pazienti erano extracomunitari e l’exitus è occorso durante il soggiorno nel paese d’origine della famiglia. La gestione di pazienti extracomunitari richiede uno stretto follow-up con un team multidisciplinare dove hanno un ruolo particolarmente importante il mediatore culturale, lo psicologo, i servizi sociali e il pediatra/medico di famiglia. Fabio Sereni: Se ho capito bene, solo tre sono i bambini con errore metabolico congenito diagnosticati dal vostro Centro che sono deceduti, e tutti sono deceduti non in Toscana, ma nel loro Paese d’origine. Si può valutare questo dato clinicamente soddisfacente, anche considerando la mortalità segnalata in altre casistiche di Paesi ad alta specializzazione medica? A me sembra proprio di sì. Maria Alice Donati: Certamente. Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Il punto di vista delle associazioni e dell’opinione pubblica Manuela Vaccarotto Generoso Andria: Nella prossima relazione la signora Manuela Vaccarotto, vice presidente dell’Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie (AISMME) presenterà il punto di vista circa il vantaggio/danno delle famiglie che hanno un figlio ammalato, in confronto con la visione di sanità pubblica che è stata illustrata da Paola Facchin. Voglio, però, ricordare che anche in letteratura internazionale si sottolinea l’importanza che i politici abbiano un confronto costruttivo con l’opinione pubblica, per giungere a decisioni il più possibile condivise e accettate dalla popolazione. Manuela Vaccarotto: La storia dell’AISMME è la storia dei nostri figli. Quando sono nati non sapevamo nulla delle malattie metaboliche. Non sapevamo neppure che esisteva già la possibilità di identificarle precocemente con un test, lo screening neonatale allargato, che avrebbe potuto cambiare la loro vita. E la nostra. Così abbiamo cominciato a guardarci intorno, per trovare delle risposte e aiuto. Era il 2005 e c’erano notizie che queste malattie conosciute in oltre 600 tipi, con gravità diversa, e che alcune di queste, qualche decina, si potevano screenare alla nascita e che la loro identificazione precoce poteva evitare il degenerare della patologia, che può avere anche conseguenze mortali. Ma abbiamo anche saputo che solo due Regioni e mezza in Italia (la Toscana, la Liguria e parte del Lazio) avevano intrapreso progetti sperimentali per l’attivazione dello screening. Nelle altre Regioni questa nuova metodica di diagnosi neonatale non era applicata, e forse neppure conosciuta. Si profilavano sin da subito disparità di trattamento dei nascituri tra Regione e Regione. Non potevamo certo stare a guardare! Era la gente comune che ce lo chiedeva, i nostri figli, le donne in gravidanza, le mamme che avevano perso un figlio o che avevano un figlio disabile a causa di una di queste patologie, la cui malattia sarebbe potuta essere facilmente identificata a poche ore dalla nascita e a costi molto contenuti, e quindi trattata adeguatamente. Abbiamo quindi pensato di riunirci in un’associazione, l’AISMME, e di muoverci in più direzioni. Obiettivo prioritario per l’AISMME in tutti questi anni è stato l’applicazione dello screening neonatale allargato a ogni nuovo nato in Italia. Un test che costa solo 50 euro a bambino e che va effettuato entro 72 ore dalla nascita. Ma bisogna anche guardare oltre al test. L’esecuzione dello screening rappresenta solo il primo passo di un intervento di medicina preventiva che coinvolge anche il follow-up, la diagnosi, la presa in carico, il trattamento e la rivalutazione. Lo screening è veramente utile quando ogni diagnosi genera un appropriato percorso di cura, cronico, globale e centrato sul binomio indissolubile paziente/famiglia e medico. Ma neppure questo basta. Occorre anche la cosiddetta continuità assistenziale. Chiediamo che i nostri figli, diventati ormai grandi anche grazie al progresso delle cure e allo screening, vengano curati in Centri specializzati per adulti che in Italia ancora non esistono. Il paradosso, infatti, è che quando raggiungono la maggiore età, i pazienti vengono abbandonati dai Centri di Pediatria che li hanno avuti in carico, e di fatto vengono abbandonati a loro stessi e alle loro famiglie. Ecco in sintesi cosa stiamo facendo. 1. Il “Centro di aiuto-ascolto”, un piccolo ma importante osservatorio sul mondo dei malati metabolici Moltissime sono le mamme e i papà, i parenti, ma anche i ginecologi, le ostetriche e i pediatri che hanno contattato il nostro Centro di aiuto-ascolto attraverso il numero verde gratuito o il nostro indirizzo mail. Il Centro di aiuto-ascolto rappresenta per noi un importante strumento di “rilevazione dei bisogni”, ci offre il polso della situazione a livello italiano della cultura in fatto di prevenzione neonatale. Ascoltare le moltissime voci che si rivolgono a noi ci ha spronato a continuare il nostro lavoro di sensibilizzazione e informazione in tutti questi anni. 2. L’offerta dello screening neonatale metabolico allargato gratuitamente La domanda che ci sentiamo fare più spesso è dove e come poter fare lo screening allargato al proprio nascituro in mancanza del test nel territorio di nascita. Così dal 2009 siamo in grado di offrire gratuitamente questa importante possibilità. Inviamo alla famiglia il cartoncino per la raccolta del sangue e lo inoltriamo al nostro Centro di riferimento, il Policlinico Umberto I° di Roma. La risposta al test viene inviata a casa entro qualche settimana. 3. L’attività di lobbyng Curiamo campagne informative e di sensibilizzazione, nei confronti dell’opinione pubblica, delle Istituzioni, del mondo della sanità, medici, pediatri e ricercatori. Abbiamo lanciato due campagne nazionali, che proseguono tuttora, partecipiamo a convegni e congressi e siamo presenti a tavoli istituzionali dove si prendono le decisioni, contribuendo anche a redigere le proposte di legge. Oggi possiamo dire con soddisfazione che la situazione è sensibilmente migliorata. 155 Tavola Rotonda Grazie soprattutto alla buona volontà di aziende ospedaliere e con loro di medici e biochimici, attualmente il test viene applicato in Toscana, Umbria, Liguria, parte del Lazio, Veneto, Emilia Romagna e Sardegna, coprendo però ancora solo il 29% dei 520 mila nuovi nati in Italia. Ma, dopo anni di battaglie, la Commissione Salute Senato ha in esame il DL 998 dove si prevede l’attivazione dello screening neonatale in tutte le Regioni e un finanziamento ad hoc. Inoltre anche altre Regioni stanno muovendosi: in Sicilia e in Campania è stato avviato un progetto pilota, per alcune provincie, la Puglia, la Lombardia e le Marche sono quasi pronte a partire. Risultati incoraggianti, ma non ancora sufficienti. Molto lavoro resta ancora da fare, ma certo siamo sulla buona strada. Tra i prossimi obiettivi, lo screening anche per le patologie lisosomiali, a esordio precoce o tardivo per le quali la diagnosi precoce e le conseguenti misure terapeutiche adeguate possano rivelarsi efficaci ai fini della riduzione dei casi e della loro gravità. È importante ricordare che identificare precocemente una malattia metabolica a esordio tardivo (Gaucher, Pompe, Fabry, Krabbe, Niemann Pick e MPS) mette in guardia i genitori e permette loro di pianificare e affrontare consapevolmente una seconda gravidanza. Accade troppo spesso, infatti, che la diagnosi del primo figlio malato arrivi dopo la nascita del secondo, troppo tardi per poter attuare metodi di prevenzione come la diagnosi pre-impianto, ora possibile anche in Italia. Generoso Andria: In che modo i pediatri possono interagire e collaborare con l’AISMME? Manuela Vaccarotto: Lo screening neonatale metabolico allargato è un mezzo straordinario di prevenzione pubblica. Nessuno come i Pediatri che vedono ogni giorno le conseguenze della malattia non diagnosticata in tempo può capire l’importanza della prevenzione. Chiediamo di lavorare insieme per promuovere l’applicazione dello screening, creando la consapevolezza che il test può salvare piccole vite, risparmiando tanto dolore e sofferenza ma anche i pesantissimi costi sociali che comporta ogni bambino malato non diagnosticato precocemente. I genitori devono essere informati adeguatamente dal momento del concepimento e per tutta la durata della gravidanza sullo scopo dello screening metabolico allargato e sui grandi vantaggi che questo comporta per la salute e il futuro del loro bambino. Ai Pediatri chiediamo quindi di affiancarci nell’offrire ai genitori un’informazione di qualità, alla base di un corretto instradamento dei genitori verso lo screening allargato. Ma il test è solo una prima tappa di un percorso che necessita poi di una conferma diagnostica immediata e di un successivo intervento terapeutico. Può presentare dei falsi positivi, a volte deve essere ripetu156 to e il tempo che trascorre tra la comunicazione alla famiglia e la risposta al secondo richiamo viene vissuto dalla famiglia in modo traumatico. Una corretta informazione ai genitori consentirebbe invece di affrontare in modo consapevole l’ultimo tratto del “percorso screening”. Non solo. Il Pediatra può essere un protagonista nell’avanzare il sospetto di malattia rara e metabolica qualora il bambino non sia stato screenato alla nascita. Crediamo, infine, che i Pediatri di base debbano essere messi anche in grado di seguire la famiglia e i bambini nel difficile e doloroso percorso di cura. Molto spesso il Centro di Riferimento per la patologia è a molti chilometri di distanza dal luogo di residenza della famiglia. Ecco quindi che il Pediatra diventa un supporto molto importante nella gestione della patologia e un valido interlocutore per il Centro di Riferimento stesso. Purtroppo talvolta il dialogo tra questi due soggetti viene a mancare, lasciando così il genitore in balia della patologia e abbandonato nei momenti in cui deve prendere decisioni importanti, le cui conseguenze possono ripercuotersi sul bambino malato. Una conseguenza è che il genitore cerca aiuto e informazioni su Internet, senza alcuna guida. Tutto questo non è possibile senza percorsi formativi adeguati. Ci auguriamo che iniziative come il Corso di formazione “L’assistenza pediatrica per le malattie rare” dal Centro di Coordinamento Regionale Malattie Rare della Regione Campania, diretto dal Professor Andria e organizzato qui a Napoli, sia solo un primo passo di un lungo cammino che porti famiglie e malati, mondo medico e Istituzioni a lavorare efficacemente insieme. Generoso Andria: Dall’intervento della Sig.ra Vaccarotto si percepisce che ci sono punti di vista diversi, anche se comprensibili, che dovremmo cercare di conciliare tra loro attraverso il dialogo e l’informazione reciproca. Voglio solo rilevare quanto sia delicata l’iniziativa dell’Associazione di “by-passare” il canale dei programmi di screening ufficiali, favorendo la trasmissione diretta dell campione da parte delle famiglie a un laboratorio di screening centrale. Ma non abbiamo tempo per discuterne. Così come dovremmo dedicare un’altra tavola rotonda al tema dell’allargamento del panel anche alle malattie lisosomiali, verso le quali l’Associazione ha un atteggiamento favorevole, mentre la comunità scientifica e la stragrande maggioranza dei paesi non le considera in possesso di tutti i requisiti minimi per una implementazione nei programmi correnti, a parte alcuni progetti pilota sperimentali. La signora Vaccarotto ha tuttavia sollevato molte drammatiche problematiche che colpiscono la vita e la qualità di vita dei pazienti e delle famiglie, su cui dobbiamo riflettere con attenzione e empatia. Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Aspetti etici Sara Casati Generoso Andria: Passo ora la parola alla dottoressa Sara Casati, bioeticista, che, in collaborazione con UNIAMO ha coordinato un paio di incontri “appassionati” sulle problematiche etiche dei programmi neonatali di screening esteso. Questi incontri sono durati due giorni, ma in questa sede dobbiamo necessariamente essere sintetici e limitarci forse solo a elencare i problemi etici prioritari, che abbiamo da risolvere. Sara Casati: Una parola ricorrente in questa Tavola rotonda è stata “problema”. Ma l’etimologia della parola problema può essere per noi feconda: “pro-ballo”, ciò che è di fronte a noi, ciò rispetto a cui non è ancora stata individuata una risposta definitiva. Vi propongo allora un ribaltamento di prospettiva, il consenso (o dissenso) “informato” allo screening neonatale, e a maggior ragione allo screening allargato, non come criticità, ma come pro-blema, come processo che richiede un’attitudine e una governance innovative. Lo screening neonatale è apparentemente un’azione semplice, ma potremmo in realtà definirlo come un’azione semplice ad alta complessità per: • i differenti attori in gioco (minore, genitori, famiglia allargata in caso di esito positivo, professionisti della salute, gestori di biobanche, ricercatori, società, istituzioni); • il percorso che attiva (diretto, di conoscenza della salute del proprio nascituro e della propria famiglia; indiretto, di consapevolizzazione e inclusione dei cittadini nei processi decisionali); • gli scenari dinamici che apre per il minore, la famiglia e la società stessa (costi, medicina predittiva, coinvolgimento). In Europa e nel dibattito etico-normativo da molto tempo si riflette e opera sul tema degli screening1. Si considera lo screening neonatale e la medicina predittiva in generale una palestra etica e politica di estrema importanza. Il processo di maturazione etica in atto è profondo e obbligato, data la svolta genetica della medicina e della scienza, le accelerazioni costanti della tecnologie, basti pensare agli scenari dischiusi dalla spettrometria di massa: da tempo è evidente per gli Organismi europei, a iniziare dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione stessa, e per gli esperti di settore che la mancata inclusione e consapevolizzazione dei genitori e dei cittadini nei programma di screening implica una riduzione delle possibilità di scelta: • per il sistema (sia rispetto alla valenza/opportunità dell’allargamento degli screening che per le opzioni di ricerca implicate); • per i genitori (sia rispetto al sapere riproduttivo che per le scelte di salute successive); • per il bambino stesso (una volta maggiorenne). Una scelta informata sia rispetto allo screening quale vettore di medicina preventiva che rispetto al possibile utilizzo del sangue raccolto per scopi scientifici (di miglioramento del test stesso e/o di ricerca) è determinante in un contesto ad alta complessità, con un forte impatto individuale e sociale, e indice di buona pratica clinica. Il coinvolgimento consapevole di tutti i soggetti in gioco, dal neonato (che non ha voce), ai genitori (che fanno scelte per i loro figli), ai medici, ai cittadini in generale è infatti condizione necessaria per responsabilizzare i genitori e i professionisti, riconosciuti come soggetti decisionali in gioco, per “partecipare” alle varie fasi cui potrebbe aprire lo screening (dalla scelta preconcezionale consapevole, all’importanza di “rispondere” a un risultato positivo, alla diagnosi genetica), per creare quello spazio di cittadinanza scientifica essenziale per le sfide di ricerca e di trasformazione del sistema socio-sanitario in corso. In Italia dal 1992 sono 3 gli screening obbligatori a livello nazionale, e in molte Regioni italiane è già in atto lo screening allargato per una numerosa famiglia di malattie metaboliche. L’obbligatorietà dei 3 screening principali è stata spesso letta come un’esenzione dall’informare, ma, come abbiamo ripercorso insieme, non solo siamo maturati eticamente e la Convenzione di Oviedo2, centrata sul consenso informato come passaggio obbligato nelle scelte di salute - quale cifra tangibile di inclusione e di rispetto della volontà individuale - è diventata vincolante per tutti gli Stati europei che hanno sottoscritto il Trattato di Lisbona2 3; ma è l’evoluzione stessa del programma e delle tecniche di screening, delle nuove possibilità di ricerca aperte dalla facilità di estrazione di DNA e RNA dai cartoncini di sangue raccolti, a esigere un processo informa- 1 Protocollo addizionale alla Convenzione d’Europa sui diritti umani e la biomedicina relativa ai test genetici a fini sanitari (2008). Particolarmente interessante l’articolo 19 in cui il programma di screening può essere attuato se approvato dall’istituzione competente, previa valutazione indipendente della sua accettabilità etica per cui si rispettano le seguenti condizioni: a. valenza sanitaria; b. validità scientifica ed effettività; c. disponibili misure preventive o “trattamentali” appropriate per le malattie a cui si riferisce lo screening; d. predisposte misure di accessibilità eque; e. previsti strumenti per informare adeguatamente la popolazione circa l’esistenza, la finalità e gli strumenti di accesso allo screening. Di rilievo anche gli articoli 9, sul consenso informato, e 20, sull’informazione pubblica. 2 Convenzione di Oviedo o Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (1997) 3 Nel dicembre 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione Europea ha ufficialmente inserito nel proprio ordinamento giuridico la “Carta dei Diritti Fondamentali” e dato ad essa “lo stesso valore giuridico dei trattati” (art. 6 comma 1 TUE). La Carta è divenuta così vincolante sia per le Istituzioni europee che per gli Stati Membri quando attuano il diritto dell’Unione. 157 Tavola Rotonda tivo. Un percorso di screening riuscito è un percorso agito con consapevolezza e informazione, da tutti. A livello europeo, Francia, Germania e Regno Unito sono propensi a creare le condizioni sistematiche per questa scelta informata e consapevole; che si tratti di consenso o dissenso, l’elemento informativo è fondamentale. Fermo restando che il dissenso informato non implica la deresponsabilizzazione del professionista coinvolto nel percorso informativo. È sempre più patrimonio comune che se si dà maggiore importanza alle criticità organizzative, e si sottolinea la impossibilità di adottare scelte informative più ampie, si riducono le probabilità di aprire orizzonti alla medicina predittiva: come abbiamo sottolineato, in questo modo non viene attuato un processo di responsabilizzazione della cittadinanza, e ci si preclude anche la possibilità di utilizzare quota parte dei materiali biologici, per la ricerca e per il miglioramento della qualità dello strumento diagnostico. Solo pochi mesi fa, in una grande Regione italiana sono stati distrutti tutti i cartoncini raccolti nei primi anni dello screening, poiché non corredati di consenso informato, con la perdita grave di materiale biologico di grande interesse potenziale per la ricerca4. La specificità dello screening, quale azione semplice ad alta complessità, in evoluzione tra “obbligatorietà” e scelta consapevole, che può aprire a scenari inaspettati, richiede quindi una buona pratica di consenso informato, innovativa, modulare, dinamica. È essenziale segnalare qui l’intimo legame tra la qualità di questo processo informativo e la formazione dedicata dei professionisti che lo rendono possibile. In sintesi inclusione del paziente-cittadino e qualità del processo: non suona a good clinical practice? In questa stessa prospettiva di buona pratica, di percorso in costruzione con tutti i soggetti decisionali coinvolti, vorrei segnalarvi un’esperienza partecipativa, inclusiva e formativa che durante il 2014 con UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare, con molti componenti del gruppo Age.na.s. dello screening neonatale allargato ed esperti del settore, abbiamo sviluppato sugli aspetti etici e gli snodi di buona pratica dello screening neonatale. Con questa tabella V sintetizzo gli esiti del costruttivo percorso (Tab. V). Tabella V. Fattori e requisiti per un consenso informato di qualità. Per un consenso informato dinamico e modulare allo screening neonatale 4 Fattori determinanti qualità dell’informazione dedicata Requisiti minimi dell’informativa in vista del consenso Spazio e tempi dedicati all’informazione prima della nascita e del prelievo Descrizione programma di screening, con specifica attenzione per lo screening allargato alle implicazioni connesse con il suo essere un programma sperimentale Modulazione dell’informazione: • pubblica • di base • possibilità di approfondimento progressivo, eventualmente anche sulle malattie specifiche che si vanno a indagare, attraverso strumenti preposti (brochure, schede, sito specifico…) Spiegazione: • caratteristiche del test • percorso dello screening (dal prelievo, all’esito, all’eventuale chiamata, al counselling, alla diagnosi genetica) Individuazione dei professionisti, dedicati all’informazione allo screening, nel periodo precedente alla nascita Esplicitazione dei rischi potenziali e dei benefici Formazione dedicata dei professionisti Approfondimento del significato di: • risultato falso positivo • risultato falso negativo • risultati inaspettati Individuazione di un professionista di riferimento Segnalazione dell’importanza di “rispondere” al risultato positivo Previsione di: • una mediazione culturale • invio dell’esito negativo dello screening • attivazione di un percorso di counselling genetico in caso di esito positivo Possibilità di biobancaggio: • per approfondimento diagnostico futuro • per sviluppo di ricerche future. La Raccomandazione europea n. 4 del 2006, aggiornata nel 2014, regola l’utilizzo scientifico del materiale biologico umano: nel suo ultimo aggiornamento non solo si reitera l’obbligatorietà del consenso informato e del parere favorevole di un Comitato etico per poter raccogliere e utilizzare materiali biologici umani per scopi scientifici, ma si esplicita un grande passaggio di inclusione: il cittadino, il paziente danno il consenso affinché si “custodisca” il materiale per scopi di ricerca, non si perde più il diritto su questo materiale, che prima veniva praticamente “donato”, ma ora si parla di custodia o cessione dell’uso. 158 Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Generoso Andria: Grazie dottoressa Casati per il suo molto esauriente intervento. A me (spero a noi) sembra che introdurre il consenso informato per gli screening non obbligatori come necessaria routine neonatologica sia inevitabile, anche se restano da chiarire ancora dubbi sulle modalità da attuare (consenso o dissenso; per tutto il panel o solo per alcune malattie). È tutto chiaro da questo punto di vista? Sara Casati: Il dibattito è ancora vivace, ma si è concordi nel valutare un modello relazionale paternalistico di intralcio alla medicina preventiva e all’attivazione di percorsi di presa in carico che non amplifichino la vulnerabilità del minore e del nucleo famigliare positivi al test. I programmi di screening allargato amplificano tutto ciò: l’incertezza dell’esito, il beneficio in termini di salute del bambino non ancora saldamente provato, ci obbliga a prevedere un processo di consenso informato. Questo elemento di incertezza rileva una dimensione ancora sperimentale, non della tecnica ma dello scopo dello screening; in questo passaggio risiede l’ineludibilità del consenso informato e una grande possibilità di ripensamento dello stesso in termini di buona pratica modulare e dinamica. Centrale nella comunicazione tra medico e genitori sarà la descrizione del processo di screening, della procedura e dei rischi a cui espone. Da prevedere ed attivare in caso di richiesta di approfondimento da parte dei genitori sarà una disponibilità a entrare invece nel dettaglio delle patologie oggetto dello screening. Estrema sarà la cura comunque nel ragguagliare del modo in cui si verrà informati e supportati in caso di risultato positivo. Una nota a parte, delicata ma credo costruttiva: la modularità dell’informazione potrebbe anche essere caratterizzante il processo stesso. Se possiamo prevedere il neonatologo come professionista che raccoglie l’espressione del consenso, nell’ultimo trimestre della gravidanza, altri potrebbero essere i medici incaricati di condividere ed illustrare l’informativa. Conclusioni Generoso Andria e Fabio Sereni Questa tavola rotonda sugli screening estesi per le malattie metaboliche ereditarie non aveva l’ambizione di affrontare in maniera completa tutti gli aspetti di un intervento di sanità pubblica ancora aperto a discussioni e approcci diversi. L’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ci ha dimostrato che le scelte politiche in Europa e nel mondo sono infatti molto eterogenee: si va infatti da panel di malattie molto estesi (oltre 50 negli USA) a un minimo di 2-5 malattie, anche in paesi europei che sono del tutto paragonabili all’Italia come standard socio-sanitari. Questo fa capire come non siano sufficienti le evidenze scientifiche a favore dell’inserimento nel panel di questa o quella malattia per tradurre il tutto in una decisione politica. Nel nostro paese, dove tra l’altro il sistema sanitario è su base regionale, non è neppure semplice emanare una disposizione che abbia una validità per tutte le regioni, a meno che la prestazione non sia riconosciuta come un livello essenziale di assistenza (con tutti i risvolti economici che questo comporta). Fortunatamente compaiono segnali di una visione nazionale che tenda a ridurre o eliminare le diseguaglianze dell’offerta sanitaria tra le varie regioni, come si nota nelle iniziative ministeriali di preparazione di un decreto sulla materia. Purtroppo i fondi messi a disposizione coprono solo in piccola parte i costi di uno screening universale esteso per i neonati di tutte le regioni. È una realtà di cui dobbiamo necessariamente prendere atto che le Regioni, come gli Stati nazionali, prendono le loro decisioni sulla base di valutazioni costi/benefici, al fine di utilizzare le risorse esistenti, per interventi di interesse pubblico, secondo una scala di priorità. Si deve poi evitare l’illusione che disporre delle strutture diagnostiche sia sufficiente per avviare lo screening esteso, mentre è necessario garantire un programma completo di presa in carico totale del paziente individuato dallo screening, probabilmente per tutta la vita. È quello che ha realizzato da tempo la Toscana, che pure deve ancora confrontarsi con problemi da superare. È chiaro che le decisioni della sanità pubblica risultano prioritarie anche rispetto al punto di vista, del tutto comprensibile, delle associazioni: esse rappresentano bambini che, in assenza dello screening, non hanno goduto di un intervento precoce efficace. Infine, nell’organizzazione dei programmi di screening, devono essere affrontate e risolte questioni di tipo etico. Basti solo pensare al dibattito sul consenso (o dissenso) informato da parte dei genitori, garantendo un’’informazione completa, che richiede, tra l’altro, la disponibilità di personale sufficiente e preparato. Anche se queste conclusioni sembrano ancora problematiche, è forse possibile elencare alcune raccomandazioni: 1) la necessità di una rapida attuazione del Decreto Ministeriale in preparazione; 2) la necessità di essere prudenti (“non tutto subito”): non si può imporre al Sistema Sanitario Nazionale qualcosa che non è pronto a ricevere; 3) la necessità di un rapporto stretto tra sanità e assistenza; 4) la necessità di essere flessibili, perché continuamente possono cambiare obiettivi e panel di malattie; 5)la necessità di un rapporto continuo e condizionante tra esperti medici e rappresentanti delle politiche sanitarie. In ogni caso ci auguriamo che aver dato voce a punti di vista diversi, ma ognuno con la sua legittimità, possa stimolare un momento di riflessione critica nei pediatri, coinvolti in prima fila nella gestione quotidiana e presa in carico del bambino con malattia metabolica ereditaria. 159