01 marzo 2011 delle ore 11:01 arteatro_contaminazioni Teatro Valdoca Al Palladium di Roma va in scena un affresco sul genere umano firmato Cesare Ronconi e affidato alle parole di Mariangela Gualtieri. “Un lato che svetta e uno di radici”. Visioni sul doppio in Caino... Caino, l’ultima creazione del Teatro Valdoca presentato al Teatro Palladium di Roma dipinge la figura dell’umano a partire dal primo nato della stirpe. Una condizione di veglia, tra sogno e realtà, è lo spazio-tempo su cui si scaglia questa figura strappata alla Genesi e ricondotta all’umano. "Io vivo adesso dentro ogni umano”, dice Caino con la voce di Danio Manfredini. Caino è colui che per primo manomise la natura: uccise e diede inizio alla tecnica costruendo la prima città. Innescò il germe del male sulla terra e nella carne, fondò l’urgenza del desiderio, dell’intelligenza, di quei fattori senza cui non vi è umano. È, per Valdoca, il nostro antenato diretto, antenato del nostro essere soli, di ciò che ci porta a distruggere "la vita dentro e fuori”. Caino è, dunque, un’opera delle opposizioni: azione/contemplazione, città/deserto, razionalità/ animalità. Laddove le duplicità e le dicotomie del testo biblico si traducono in altrettante opposizioni nel testo di Mariangela Gualtieri poeta e fondatrice insieme a Cesare Ronconi del Teatro Valcoca -, tra i personaggi, tra le figure dell’affresco. L’ombra che il corpo di Caino, continuamente proietta sul fondale bianco, ne è il primo indizio. Il regista Cesare Ronconi definisce lo spazio su cui l’ombra sbatte "le pareti della prigione”, lo spazio finito in cui si dimena l’umano. Segue il quadro di Caino e Abele. Danio Manfredini, già con la Valdoca in Parsifal nel 1999, costruisce il suo personaggio nelle profondità della cassa toracica da cui riecheggia una voce che pare costituita su più piani. Il volto impassibile. Il corpo quasi immobile o mosso, appena, da una camminata impedita da un peso troppo grande. Solo l’ombra che si proietta sul fondale ci rimanda la sua presenza fisica. La voce di Manfredini è già corpo-materia, il timbro evoca i chiaro-scuri, i colori, i tratti forti delle figure del pittore tedesco George Baselitz a cui l’attore si ispira su suggerimento di Ronconi. Abele, il fratello ucciso, invece è afono. Spesso evocato dal giovane Giacomo Garaffoni, che insieme ad altre sei ragazze ha seguito le fasi laboratoriali tenute dalla compagnia, che hanno portato alla nascita del Coro. Abele è trascinato da Lucifero, disteso su un letto in legno sotto un lenzuolo bianco: immagine che evoca la morte del fratello giusto. Nell’opposizione tra i due fratelli si disegna la lotta tra inconsapevolezza e intelligenza, serenità e brama, riso e ghigno, propri dell’umano. "Abele mio fratello / è una cometa. Obbedisce perfetto / a questa legge d’ignari, forse. [...] conosce la gioia di sdraiarsi nel sole / l’immensa gioia di essere senza pensiero / [...] Abele mio ride. Dolcemente”. Eppure, se crediamo al doppio come elemento costitutivo dell’uomo, Abele non potrebbe esistere senza la violenza di Caino. La mendicante e l’angelo. Di nuovo una voce che si oppone a un corpo. Mariangela Gualtieri, mendicante prostrata su un lato del proscenio, completamente avvolta da bande bianche, lancia il suo canto profetico in perfetto accordo melodico con il corpo danzante dell’angelo, Raffaella Giordano, muta. La loro unione crea un organismo desiderante. Le parole della mendicante e il silenzio della bestia alata sono una voce religiosa, di grande madre, che accarezza le creature della terra, insinuando che "forse la gioia è la preghiera più alta”. Nell’opposizione tra Caino e Lucifero, l’illusionista, intercorre un legame profondo e nascosto, che vede il ruolo di Caino mutare da carnefice a vittima: "Io volevo solo un po’ d’amore, / che la mia offerta fosse accolta volevo”. Sono vecchiaia e giovinezza, uniti nella violenza. Ma laddove l’attesa della fine, la coscienza della morte, ha innestato in Caino il sentimento umano della malinconia ad addolcire il male, la violenza di Lucifero è ancora forza, sensualità, potere ammaliante. Lucifero, interpretato da Leonardo Delogu, che lavora con la compagnia già dalla precedente trilogia Paesaggio con fratello rotto, è un Caino giovane, prestante, regale. Eppure, nella sua giovinezza regna una voce antica, poggiata sul fondo, una nota di vecchiaia, come in ogni gioventù che si rispetti, una sorta di rigidità che non è ancora stata levigata dal tempo della disillusione. Lui, l’illusionista, giunge nascondendo sotto il mantello di pelliccia due bestie umane, ammalia con la sola presenza i componenti del coro che gli si fanno attorno, proferisce dall’alto di una scala pendula parole di guerra: "Non è nel sogno del bene il lato migliore”. Il Coro, composto da sei attrici-danzatrici e un attore, accompagna gli a-solo con danze animalesche, girotondi gioiosi, passi marziali a volte: loro sono l’inizio della specie, che si lascia innamorare da Lucifero e consolare dalla mendicante-angelo, in un turbinio destinato a non finire. Le parole di Gualtieri aprono al senso attraverso il significante, così che la comprensione del testo, denso e complesso, è sostenuta da un abbandono all’aspetto sensuale della parola poetica. Cesare Ronconi in questo spettacolo non macchia con segni rossi e neri gli attori, non sporca, non amalgama, forse per lasciare spazio d’espressione e d’azione al testo stesso. Le voci degli attori sono già azione. Il suono, creato appositamente e dal vivo per lo spettacolo da Enrico Malatesta alle percussioni, Alice Berni e Luca Fusconi per la parte elettronica, svolge un importante ruolo drammaturgico nella creazione di atmosfere metafisiche. Il silenzio, protagonista della partitura sonora tanto quanto le percussioni e i suoni sintetici e campionati, regna attorno alla figura biblica di Caino, ed è la potenza di questo silenzio che ha attratto la Gualtieri, "lontana da qualunque tentativo esegetico” nei confronti di questa icona antica e dei nostri tempi. La complessità di questo Caino, maggiore rispetto ai precedenti testi che la poetessa ha scritto per la compagnia, potrebbe forse essere il motivo alla base di una delle scelte di regia che maggiormente caratterizzano lo spettacolo, ovvero la scissione tra recitazione e azione, testo poetico, affidato agli attori protagonisti e spettacolo. Si ha la sensazione che i tre corpivoci della scena restino rinchiusi in una scatola inesplosa, posti a declamare dall’alto di uno spazio precluso al Coro, ma anche allo spettatore. Manca il taglio attraverso cui dolore e gioia possano essere riconosciuti e quindi vissuti da chi guarda e ascolta, quella feritoia che renda l’evento intimo, a cui il Teatro Valdoca ci aveva abituati. Caino è uno spettacolo su cui non si può dire un’ultima parola. È da assaporare nel tempo il mistero che può scaturisce dall’unione di due menti poetiche come quella Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi. La magia che nasce, con parto lento e doloroso, è lo scontro. chiara pirri spettacolo visto il 12 febbraio 2011 la rubrica arteatro è diretta da piersandra di matteo dal 10 al 13 febbraio 2011 Teatro Valdoca - Caino Teatro Palladium Piazza Bartolomeo Romano, 8 (zona Garbatella) - 00154 Roma pagina 1 Exibart.com Info: www.romaeuropa.net [exibart] indice dei nomi: Mariangela Gualtieri, piersandra di matteo, Raffaella Giordano, Danio Manfredini, Enrico Malatesta, George Baselitz, Leonardo Delogu, Cesare Ronconi, Luca Fusconi, chiara pirri, Alice Berni pagina 2 01 marzo 2011