la russia el `impero mongolo la crisi del trecento prof . marcello pacifico

“LA RUSSIA E L’IMPERO MONGOLO.
LA CRISI DEL TRECENTO”
PROF. MARCELLO PACIFICO
La Russia e l’impero mongolo.
La crisi del Trecento
Università Telematica Pegaso
Indice
1
L’ORIGINE DELLA RUSSIA E L’IMPERO MONGOLO ----------------------------------------------------------- 3
2
LA CRISI DEL TRECENTO ------------------------------------------------------------------------------------------------ 8
3
LE COMPAGNIE DI VENTURA ----------------------------------------------------------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 L’origine della Russia e l’impero mongolo
Tra l’VIII e il IX secolo i Vichinghi cominciarono a muoversi verso le vie che conducevano
all’impero arabo e bizantino; le popolazioni slave chiamarono Rus questi stranieri che si stabilivano
presso le via commerciali.
Verso la metà del IX secolo però i Rus non si limitarono a stabilire insediamenti
commerciali ma vollero imporsi alla popolazione; sotto la guida di Oleg diedero vita a una vasta
dominazione territoriale che riuniva intorno a sé le tribù degli Slavi dell’Est, il principato di Kiev.
I principi di Kiev strinsero alleanze commerciali con Bisanzio , e la capitale Kiev divenne in
breve tempo un grosso centro commerciale e militare.
Un’importante svolta si ebbe nel 989 con il principe Vladimir (978-1015) il quale, per
stringere e consolidare le tribù, favorì la conversione al Cristianesimo facendosi battezzare la
domenica di Pentecoste; seguì una conversione di massa che fu uno dei risultati migliori ottenuti dai
missionari bizantini; la Chiesa russa fu posta sotto il dominio del metropolita di Kiev, nominato a
Costantinopoli; il metropolita ebbe innanzitutto il compito di creare una rete di diocesi e di far
diffondere i culti della Chiesa greca.
A partire dalla metà dell’XI secolo il principato di Kiev cominciò a decadere sia per gli
attacchi delle tribù turche sui confini meridionali sia per la perdita di importanza delle vie
commerciali russe in seguito alla riaffermazione dei traffici nel Mediterraneo. A determinare il
declino del principato furono però anche le lotte dinastiche alimentate anche dalla consuetudine di
dividere il potere tra i vari membri della famiglia del principe, questo favorì la nascita di formazioni
politiche autonome come il principato di Novgorod e quello di Mosca.
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Tutte le vecchie e nuove formazioni politiche dovettero affrontare i pericoli dell’avanzata
dei Mongoli, una popolazione seminomade proveniente dall’attuale Mongolia.
Quando i Mongoli vennero guidati dal grande guerriero Gangis Khan cominciarono a
organizzarsi militarmente, le tribù vennero unificate e soggette a un unico sovrano e a una sola
legge fatta di norme semplici ma precise.
Questa grande opera di riunificazione si svolse in tempi molto brevi: nel 1206 Gangis Khan
aveva inglobato nel suo dominio tutte le tribù mongole, nei quindici anni successivi travolse le
popolazioni del nord, dell’est (arrivando fino al Pacifico), la Cina e l’Afghanistan. Dal 1220 volse la
sua attenzione verso occidente e fu così che i Mongoli conquistarono anche la Mesopotamia, la
Georgia e la Russia meridionale.
Le popolazioni che si sottomisero volontariamente a Gangis Khan non subirono danni ma
ricavarono vantaggi economici e commerciali; l’amministrazione dei territori assoggettati fu
affidata a funzionari mongoli, fu creata la capitale Karakorum, si consolidò il potere militare con la
costituzione di un grande esercito e si cercò di creare una società di carattere egualitario che
permetteva a chi ne fosse capace di far carriera.
Lo slancio espansivo dei Mongoli continuò anche dopo la morte di Gangis Khan furono
sottomesse la Corea, la Persia, il principato di Kiev, l’Ungheria e la Polonia arrivando fino alle
porte di Vienna.
Quando ormai tutto l’Occidente era in allarme e lo stesso papa stava organizzando una
crociata contro di loro, nel 1242 i Mongoli cominciarono a ripiegare mentre l’avanzata a sud-ovest
continuò verso l’Armenia, l’Azerbaigian e l’Egitto dove però nel 1260 i Mongoli furono sconfitti
dai mercenari turchi a servizio del sultano.
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Altri arrivarono in India e in Giappone; a frenarli ci furono non solo la maggiore capacità di
resistenza di alcune popolazioni ma anche l’inizio di tendenze separatistiche all’interno del potere
mongolo visto che le lotte tra i discendenti di Gangis Khan si fecero sempre più frequenti.
Questo grande organismo politico fu allora diviso in quattro, durante il XIII secolo:
1.
Impero degli Ilkhan (Iran, Iraq, Azerbaigian, Afghanistanm Pakistan)
2.
Khanato di Chagatay (Sinkiang, Kigizistan, Tagikistan)
3.
Impero del Gran Khan
4.
Orda d’oro
Il maggior impero mongolo fu quello che comprendeva i territori della Cina e della
Mongolia; questo raggiunse il massimo splendore quando a governarlo fu Kubilai (1260-1294) che
trasferì la capitale da Karakorum a Pechino, che prese il nome di Khanbalik (la città di khan).
Questo sovrano cercò di estendere i domini mongoli anche in Giappone ma delle violente
tempeste dispersero la sua flotta; il dominio in Cina si rivelò assai proficuo visto che il Paese
godeva di una prospera economia, di una classe dirigente raffinata e attiva alla quale i rozzi
Mongoli si adeguarono convertendosi anche al Buddhismo.
Nel Gran khan arrivarono molti missionari cristiani come il francescano Giovanni da Pian
del Carpine e il prete Gianni, un leggendario re cristiano; nel cuore dell’impero mongolo vivevano
alcune tribù mongole che avevano aderito al Cristianesimo nella versione nestoriana ma poiché tutti
i Mongoli stavano aderendo in massa al Buddhismo tali missioni non ebbero buoni risultati.
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Importanti risultati ottennero invece i mercanti italiani che si recarono alla corte del Gran
Khan a Pechino; questi avevano interesse a raggiungere i luoghi dove venivano prodotte la seta e le
spezie. La cosiddetta pax mongolica rendeva meno pericoloso il viaggio e rendeva più facili gli
scambi commerciali e culturali.
I primi mercanti a giungere al Gran Khan furono i veneziani Niccolò e Matteo Polo che
fecero il primo viaggio tra il 1261 e il 1268; al secondo viaggio intrapreso nel 1271 partecipò anche
il figlio di Niccolò, Marco il quale rimase nel diciassette anni (1275-1292) alla corte del Gran Khan
guadagnandosi stima e fiducia del sovrano che gli affidò anche missioni diplomatiche. Il Milione è
il testo che raccoglie le sue memorie e i racconti di ciò che aveva visto in Cina; questo libro
contribuì a creare un’immagine meravigliosa e ricca dell’Oriente.
L’impero dell’Orda d’oro comprendeva il vasto territorio euroasiatico tra gli Urali, la
Georgia e il lago Balkhas; questo territorio fu il primo a staccarsi dal mondo mongolo e integrarsi a
quello islamico-mediterraneo durante la seconda metà del XIII secolo.
La maggior parte dei Russi rimase comunque sotto il protettorato dei Khan e questo
comportava la presenza di ufficiali mongoli nei loro territori, l’obbligo di pagare tributi e rendere
conto del loro operato.
Questo però non intaccò né l’autonomia religiosa (Chiesa ortodossa) né l’assetto politico
basato sempre sulla successione dei principi.
Nei primi anni del Trecento la città di Mosca acquistò molta importanza in quanto la sua
posizione al centro di una grande rete fluviale favoriva i traffici commerciali; inoltre dopo la
conquista dei Mongoli molti russi si spostarono verso la città protetta da boschi e paludi per sottrarsi
dal loro dominio diretto.
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Il principe di Mosca Ivan I (1325-1359) consolidò il potere quando gli venne assegnato
anche il compito di riscuotere i tributi per l’Orda d’oro.
Nel 1380 iniziò la riscossa verso i Tartari (i Mongoli) che furono sconfitti vicino il fiume
Don da una coalizione guidata dal principe Dimitri (1359-1389) anche se già due anni dopo i Tartari
ripresero Mosca saccheggiandola e devastandola.
Sempre tra il Duecento e il Trecento nell’area russa si formarono altre due formazioni
politiche: il Granducato di Lituania e il principato di Novgorod.
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2 La crisi del Trecento
L’Europa, rifiorita nel secolo XII e, con andamento altalenante, fino all’inizio del Trecento,
a metà secolo conobbe una crisi con la quale si fa coincidere la fine del periodo storico detto
Medioevo. Il Medioevo, cominciato con una crisi, terminò con una crisi, ancorché questa ultima di
portata, lunghezza e intensità diversa da quella iniziale. La prima, una vera catastrofe da cui per
risollevarsi occorsero secoli, la seconda un rallentamento dal quale la ripresa non richiese un tempo
così lungo. Della crisi si hanno cenni già prima della metà del Trecento , in coincidenza del ritorno
dei vecchi flagelli: le carestie, di cui la più notevole era stata quella del 1315-1317 che dalle
affollate città delle Fiandre portò via più o meno un quinto degli abitanti; le guerre sporadiche ma
frequenti prima del conflitto tra Francia e Inghilterra protrattosi con pause più o meno lunghe per un
secolo, e le cui ripercussioni furono avvertite anche al di là delle zone delle operazioni; le epidemie,
con focolai non simultanei ma accesi un po’ da per tutto fino alla grande peste del 1347 che
dall'Italia dilagò fino al 1350 in tutto l'occidente.
Conseguenza di ciascuno e di tutti questi malanni combinati tra loro fu una contrazione
demografica dapprima lenta e poi rapidissima e drastica che si stabilizzò per quasi due secoli, fino a
che la ripresa si sarebbe avuta negli ultimi decenni del secolo XVI.
Le carestie erano dovute in gran parte ai disboscamenti degli anni della ricerca affannosa di
terreni da coltivare per alimentare le popolazioni in crescita, che avevano portato a mutamenti nelle
condizioni atmosferiche, frane in collina, impaludamenti in pianura, ostruzione delle foci dei fiumi,
alluvioni.
Le guerre, che direttamente non influirono molto nella diminuzione della popolazione con la
morte dei combattenti perché non causavano vere stragi, producevano grandi vuoti nei raccolti, in
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parte distrutti e in parte ridotti per le interruzioni del lavoro nei campi e portavano altre
conseguenze di ordine fiscale e monetario che aumentavano a loro volta la precarietà delle
condizioni della vita. I conflitti, anche se non di grandi dimensioni, richiedevano uno sforzo
finanziario per il quale alle imposizioni ordinarie già pesanti se ne aggiungevano di straordinarie,
facendosi ricorso in larga misura all'aumento delle gabelle che si risolvevano in un aumento dei
prezzi dei generi di maggior consumo, in specie alimentari, e dei dazi sulle importazioni e le
esportazioni il che produceva difficoltà ai commerci; mentre ai mercanti stranieri si imponevano
prestiti con l'alternativa della continuata protezione dei principi o della espulsione dai loro territori
sui quali avevano radicato gli affari: prestiti che poi si restituivano con forti dilazioni o non si
restituivano affatto (come avvenne a quelli fatti dalle compagnie dei Bardi e dei Peruzzi a Edoardo
III per la preparazione della prima campagna della guerra dei Cent'anni)
Si ricorreva a “manovrare” le monete, “numisma cadit in commodum principis” riconosceva
anche san Tommaso, che erano proprietà di colui che le batteva. Le monete (quasi tutte d'argento e
qualcuna, all'estero, anche d'oro) venivano alterate diminuendone il peso o la quantità del fine di
fronte a quello della lega. Mantenuto costante il fiorino d'oro creato nel 1261, allora equivalente a
una libbra d'argento, le specie argentee subirono una progressiva ma non eccessiva svalutazione
fino al 1405; con una riforma del 1406, ritenuta necessaria per la situazione fallimentare delle
finanze ducali, persero quanto avevano perduto nel secolo e mezzo precedente. E poi , punte
particolarmente acute di indebolimento si ebbero nel 1422 (ripresa della politica espansionistica dei
Visconti da parte di Filippo Maria), nel 1456 (guerra di successione nel Ducato), nel 1481
(conquista del potere da parte di Lodovico il Moro).
Il disordine monetario fu un altro elemento della disorganizzazione delle aziende e contribuì
ai fallimenti che , avviati fino dai primissimi del Trecento , culminarono nel 1348 con quelli
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colossali delle compagnie fiorentine dei Bardi, dei Peruzzi e degli Acciaiuoli . La denutrizione
conseguente alle carestie e alle guerre era infine il presupposto dell'insorgere delle epidemie fino a
che l'ultima del 1347 trovò nelle diminuite forze vitali delle popolazioni le condizioni più favorevoli
per diffondersi e per causare ingenti danni: dobbiamo limitarci a dire ingenti in quanto la scarsità e
la non omogeneità delle fonti di informazione non consentono vere statistiche. L'Inghilterra, che
sulla base del Domesday Book, il primo, grande catasto inglese, avrebbe avuto verso la fine del
secolo XI un milione e centomila abitanti, cresciuti alla soglia della peste nera a tre milioni e
settecentomila, nel 1377 calò a due milioni e duecentomila. Firenze, che nel quadriennio 1336-1339
contava centomila abitanti, dopo il flagello ne aveva perse la metà. A ogni modo, a parte queste
cifre, un’idea della profonda differenza della situazione demografica prima e dopo la metà del
Trecento si ricava dalle notizie che abbiamo sulle prime costruzioni delle mura cittadine (nuova
città) e sul loro ampliamento (necessario a contenere una maggiore popolazione).
Nel nord dell’Europa, tra il 1100 e il 1250 si conoscono venti recinzioni ex novo e
diciassette allargamenti; fra il 1250 e il 1400 solo due cinte nuove e trentuno allargamenti; dal 1400
al 1550 nessuna nuova muratura e solo dieci espansioni.
Col regresso demografico si ebbe la diminuzione della durata media della vita: dai
trentacinque ai quaranta anni che sarebbero stati raggiunti prima della grande peste, si sarebbe
tornati sui venticinque degli “anni bui” (in Inghilterra pare da trentaquattro , verso il 1300 , a
diciassette nel periodo della peste per risalire a trentadue nel primo quarto del Quattrocento). Su
questo mutamento della struttura della società si va insistendo sempre più agli effetti della crisi e del
suo prolungamento oltre il secolo XIV. Solamente una minoranza giungeva all'età matura, pochi
adulti dovevano portare il carico di mantenere una quantità di bambini e di adolescenti (alto era il
numero dei celibi, scrive il Perroy), e la società si reggeva sull’ esperienza di pochi.
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È opinione prevalente, pertanto, che il fattore demografico sarebbe stato , alle origini , al
centro della crisi.
Agli inizi del Trecento per riassumere, si registra in Europa un rallentamento della crescita
economica, commerciale e culturale e una crisi demografica:
•
si arrestano le opere di dissodamento;
•
rallenta il ritmo di creazione di nuovi insediamenti;
•
le terra marginali esaurirono la loro fertilità e divennero improduttive;
•
diminuzione del bestiame e dei concimi;
•
si verificarono frequenti carestie;
•
vennero a mancare le risorse alimentari;
•
i prezzi aumentarono e la produzione diminuì;
•
aumentò il tasso di mortalità e diminuì quello di natalità.
In molti hanno sottolineato come cause di questo periodo di declino anche particolari e
sfavorevoli situazioni climatiche, infatti:
•
il Trecento fu un secolo freddo e piovoso;
•
si verificò l’avanzamento dei ghiacciai artici e alpini;
•
si innalzò il livello del mar Caspio;
•
si verificarono numerose catastrofi naturali (glaciazioni, inondazioni, mareggiate,
piogge torrenziali).
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Nelle città la crisi di sussistenza si sentì maggiormente visto che fu più difficile trovare un
equilibrio tra popolazione e risorse; nelle città inoltre arrivavano gli abitanti delle campagne e
questo fece peggiorare ancor di più la situazione igienico-sanitaria.
Fu su una popolazione indebolita dalla carestie e dalle epidemie che nel 1348 si abbatté la
“morte nera”, la peste bubbonica che decimò la popolazione europea; sempre nel 1348 un forte
terremoto (avvertito anche a 600 km dall’epicentro) si verificò nell’Austria centro-meridionale e
causò circa 10.000 morti.
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3 Le compagnie di ventura
Il Trecento fu caratterizzato anche dalle numerose guerra che si combatterono in molte
regioni dell’Europa: incursioni di Ungari, Vichinghi e Saraceni, lotte tra signori e numerosi episodi
di violenza.
Sicilia, Campania e Calabria furono teatro della guerra del Vespro, scoppiata nell’aprile del
1282 e durata ben novant’anni con pesanti ripercussioni sull’economia e la società.
Le battaglie condotte in Sicilia dagli Aragonesi anticiparono in qualche modo il nuovo tipo
di battaglie che si sarebbe avuto in tutta l’Europa; si cominciò infatti a far uso di truppe mercenarie
che avevano come obiettivo distruggere le risorse economiche del nemico.
Le truppe mercenarie erano formate da bande armate capeggiate da esponenti della piccola e
media nobiltà che volevano assicurarsi un decoroso stile di vita che le risorse familiari non
potevano assicurare.
Anche i Comuni crearono dei propri eserciti che diedero buona prova di sé contro gli
imperatori Federico Barbarossa e Federico II; trattandosi di soldati originari dei ceti popolari, questi
eserciti perdettero consistenza con l’indebolirsi delle istituzioni democratiche comunali e con il
consolidarsi delle oligarchie Di qui si generò il bisogno di affidarsi alle truppe mercenarie; molto
spesso però gli Stati che assoldavano i mercenari non riuscivano poi a pagarli e questi allora
cominciavano a saccheggiare i villaggi a discapito della popolazione.
Corpi di soldati mercenari che offrivano le loro prestazioni in cambio di un salario regolato
da un contratto, detto condotta, da cui deriva il nome dei loro capi, i condottieri. La loro origine
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risale alla seconda metà del XII secolo, quando, nel quadro della ripresa dell’economia monetaria e
dello sviluppo delle monarchie nazionali e dei comuni, si generalizzò l’uso di riscattare con una
tassa in denaro l’obbligo di prestare servizio militare e si fece ricorso a truppe mercenarie, per lo più
straniere, durante le campagne di guerra, in sostituzione delle formazioni militari tipiche del
medioevo, la cavalleria feudale e la milizia cittadina. Reclutati fra gli strati marginali delle città e
dei villaggi, guidati da capi di origini oscure, i mercenari iniziarono a riunirsi in associazioni
temporanee, all’epoca di Riccardo I, di Giovanni Senza Terra e di Filippo Augusto. Temuti per la
loro violenza, condannati come sacrileghi dai poteri religiosi, i venturieri venivano non di rado
massacrati dai confratelli della pace di Dio. Il ricorso alle condotte divenne abituale nel XIV secolo
da parte dei monarchi d’Inghilterra, che però non potevano utilizzare mercenari sul territorio
inglese, e di Francia, dove le compagnie di ventura, dette Grandi compagnie, furono molto
importanti durante la guerra dei Cent’anni e tornarono a taglieggiare le popolazioni – soprattutto i
temibili Écorcheurs (sgozzatori) – fino a quando Carlo VII giunse a disciplinarle riorganizzando il
sistema degli obblighi militari. Le compagnie di ventura assunsero una rilevanza particolare in
Italia, dove divennero componente basilare della vita militare e politica all’inizio del XIV secolo,
trasformandosi verso il 1350 da associazioni temporanee in organizzazioni militari permanenti
guidate da un capo eletto per acclamazione. Dapprima prevalsero le compagnie guidate da
condottieri non italiani, come il tedesco Werner di Urslingen, il francese Giovanni di Montréal,
detto Fra’ Moriale, e l’inglese John Hawkwood, detto l’Acuto. A partire dal 1380 gli stati italiani
tesero a reclutare comandanti italiani e a rendere stabili i vincoli con i capi militari fino a stipulare i
contratti con i soli condottieri, divenuti nel XV secolo figure di grande potere e prestigio, come
Alberico da Barbiano, Braccio da Montone, che divenne signore di Perugia, Muzio Attendolo
Sforza, i cui figli Alessandro e Francesco divennero signori rispettivamente di Pesaro e di Milano,
Erasmo da Narni detto il Gattamelata, Bartolomeo Colleoni e Francesco di Bussone detto il
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Carmagnola. Nel corso del XV secolo la creazione a opera delle monarchie nazionali degli eserciti
mercenari permanenti, i cui effettivi venivano assoldati dallo stato individualmente o a piccoli
gruppi, segnò il declino delle compagnie di ventura.
Ogni rivolta ebbe comunque aspetti particolari legati al ceto sociale dal quale fu animata.
In Francia la più famosa avvenne nel 1358 e fu animata dal ceto contadino che voleva
ridurre i privilegi della nobiltà; in Inghilterra nel 1381 oltre che i contadini furono operai salariati e
artigiani a manifestare il loro malcontento e, a differenza dei francesi, riuscirono ad ottenere dal re
l’approvazione per una parte delle loro richieste.
L’Italia centro-settentrionale grazie alla fioritura urbana avvenuta nei due secoli precedenti
al Trecento ha avuto i caratteri peculiari; nelle città italiane l’artigianato si era molto sviluppato
tanto che nel settore tessile aveva raggiunti livelli di sviluppo industriale: le vecchie botteghe
artigiane stavano scomparendo e si affermava la figura del mercante imprenditore il quale
controllava tutto il ciclo produttivo senza creare grandi opifici.
I lavoratori non godevano di nessun diritto e nessuna tutela sindacale, non potevano
organizzarsi in associazioni di mestiere e spesso il mercato risentiva delle congiunture sfavorevoli
esponendo drammaticamente i lavoratori a periodi di disoccupazione.
Il calo della popolazione del Trecento causò perciò una crisi di sovrapproduzione e di
riflessero aumentarono le tensioni; in Italia le prime rivolte scoppiarono a Perugia (1371), a Siena
(1371), a Firenze (1378).
Quella di Firenze è forse la più famosa, la rivolta si realizzò ad opera dei Ciompi, gli operai
dell’industria tessile; i rivoltosi oltre a chiedere un aumento dei salari desideravano cambiare
radicalmente le proprie condizioni di vita e i rapporti di potere all’interno della città. Proposero di
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creare un’arte di operai tessili, di partecipare alla governo e di essere più tutelati. La debolezza del
Comune, impegnato in una guerra con il papa, all’inizio favorì i rivoltosi che ottennero le
concessioni ma quando i rivoltosi cominciarono ad avanzare richieste di natura politica i datori di
lavoro reagirono chiudendo le botteghe e togliendo dal mercato la materia prima.
A questo punto i lavoratori si trovarono in serie difficoltà e dopo solo sei settimane le tre
corporazioni istituite dopo la rivolta furono soppresse mentre molte furono le pene inflitte ai
rivoltosi.
La crisi produttiva del Trecento causò il declino di molte produzioni ma se un settore
entrava in crisi un altro si sviluppava.
Il declino demografico che caratterizzò l'Europa nel suo complesso, non si manifestò
ovunque con la stessa intensità e con uguali effetti ma provocò in svariati casi sconvolgimenti più o
meno forti nella gerarchia dei centri abitati, dato che alcune città si ritrovarono a ricoprire una
maggiore importanza ed ebbero maggior peso rispetto al passato. E' questo il caso di Torino,
Trieste, Udine, Vicenza al nord; di Pesaro e Roma al centro, di Napoli, Aversa, Sessa Aurunca,
Capua e Teano al sud; di Catania, Siracusa, Lentini, Noto e Sciacca in Sicilia e di Sassari in
Sardegna. Un caso limite è rappresentato dalla Sicilia in cui si registrò
un notevole calo
demografico nella zona occidentale, ma una crescita nella parte orientale e soprattutto nelle zone
interne dove si formarono grossi centri a carattere rurale, definiti "agrocitta'".
Molti mercanti abbandonarono i commerci e divennero proprietari terrieri fondiari o ufficiali
pubblici: questa è una spia inequivocabile di depressione economica. Come ha affermato Fernand
Braudel, il ritiro dal mondo degli affari e la destinazione del capitale mercantile alla terra o
all’acquisto di cariche non significava l’uscita dal circuito capitalistico. Essi vi rientrava attraverso
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quegli investimenti che resero possibili quei processi di ricomposizione fondiaria e quei
miglioramenti colturali, che sono all’origine dei progressi dell’agricoltura tardomedievale.
I governanti cercarono di immettere nel mercato maggiori quantità di moneta metallica (in
quanto la scarsa circolazione frenava l’economia europea del Tre-Quattrocento) ridussero i dazi di
importazione sui metalli preziosi ma queste erano misure che non potevano arginare la grande crisi
che sarà risolta definitivamente solo nel Cinquecento con l’arrivo in Europa dell’oro americano.
La riduzione di manodopera provocata dal calo demografico creò le condizioni per
l'aumento dei salari, come avvenne a Firenze nell'ambito dell'edilizia. In seguito, per tutto il
Quattrocento e il Cinquecento, i salari si mantennero allo stesso livello.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La Russia e l’impero mongolo.
La crisi del Trecento
Università Telematica Pegaso
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