capitolo
Unione monetaria
la teoria delle aree monetarie
ottimali (AMO)
32
Dodici Stati membri dell’Unione europea (UE) – l’Austria,
il Belgio, la Finlandia, la Francia, la Germania, la Grecia,
l’Irlanda, l’Italia, il Lussemburgo, l’Olanda (Paesi Bassi),
il Portogallo e la Spagna – usano oggi una moneta (o valuta) comune, l’euro. Anche se la Gran Bretagna (Regno
Unito), la Svezia e la Danimarca hanno deciso finora di
non fare parte dell’area dell’euro e di conservare le proprie
monete nazionali, almeno alcuni dei paesi di nuova accessione quali la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca
possono entrarne a far parte nel prossimo futuro.
In questo capitolo ci chiederemo perché questi paesi
abbiano compiuto il passo che sembra irreversibile di sostituire le monete nazionali con una moneta comune e di
trasferire l’autorità della politica monetaria dalle banche
centrali nazionali (BCN) e dai governi eletti alla Banca
Centrale Europea (BCE). In breve, per molti politici e sostenitori dell’euro l’introduzione della moneta comune
europea è stata vista come un’iniziativa politica destinata
ad approfondire il processo di integrazione tra gli Stati
membri e ad accrescere l’influenza dell’UE sul palcoscenico mondiale. Anche se questi aspetti politici non possono essere trascurati, si deve riconoscere che l’euro ha importanti implicazioni economiche. In questo capitolo esamineremo queste implicazioni economiche concentrando
l’attenzione sui costi e sui benefici di una moneta comune. Per riflettere più facilmente sui costi e sui benefici in
modo sistematico useremo un’impalcatura logica nota
come teoria delle aree monetarie ottimali (AMO).
Questo approccio è simile al principio costi-benefici che
è stato esaminato nel Capitolo 1. Ricapitolando, un indi-
viduo, un’impresa o una collettività dovrebbe intraprendere un’azione se, e soltanto se, i benefici addizionali derivanti dall’azione sono almeno tanto grandi quanto i costi addizionali. Quindi, secondo la teoria delle aree monetarie ottimali, un paese dovrebbe aderire a un’unione monetaria se, e soltanto se, i benefici prevalgono sui costi.
Se, in base al principio costi-benefici, un paese stima che
l’adesione a un’unione monetaria con altri paesi determinerà un beneficio netto, allora esso formerà un’area monetaria ottimale (AMO) con quei paesi. Per esempio, se
due paesi, quali la Germania e la Francia, giungono alla
conclusione che ciascuno di essi trarrà beneficio sostituendo la propria moneta nazionale con una moneta comune, allora essi formano un’area monetaria ottimale.
Però, se, per un terzo paese quale la Gran Bretagna, i costi superano i benefici, allora esso non forma un’area monetaria ottimale con la Francia e la Germania.
In questo capitolo vedremo che la perdita dell’indipendenza delle politiche è il principale costo di adesione
a un’unione monetaria. I benefici, d’altra parte, comprendono i risparmi derivanti dall’eliminazione delle transazioni valutarie e dell’incertezza dei cambi. Ci chiederemo
anche quali caratteristiche i sistemi economici debbano
avere per assicurare che i benefici siano maggiori dei costi. Cioè, quali tipi di sistemi economici hanno una maggiore tendenza a formare un’area monetaria ottimale?
Come vedremo, i sistemi economici sono più idonei ad
aderire a un’unione monetaria quando l’attività economica è strettamente sincronizzata ed essi partecipano a un
ampio interscambio.
702
PARTE 9 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
32.1 COSTI E BENEFICI DI UNA MONETA COMUNE
Il più importante costo di partecipazione a un’unione monetaria è il sacrificio dell’indipendenza delle politiche,
specialmente la perdita della politica monetaria e della
politica dei cambi come mezzi di stabilizzazione dell’economia interna. Il principale beneficio, d’altra parte, è la
riduzione dei costi di transazione e dell’incertezza dei
cambi che avviene quando il commercio internazionale è
finanziato da una moneta unica anziché da differenti monete nazionali. Da un punto di vista economico, il fatto
che un paese debba o no aderire a un’unione monetaria
dipenderà dal fatto che i benefici superino i costi.
Tuttavia si dovrebbe tenere presente un punto: l’importanza relativa dei costi e dei benefici può variare dopo
che un paese ha aderito a un’unione monetaria. Vedremo
che in alcuni casi l’uso di una moneta comune può in
realtà causare un aumento dei benefici e una diminuzione
del costi. Per esempio, come spiegheremo in questo capitolo, i costi possono superare i benefici quando la quantità di commercio internazionale tra paesi partner è piccola.
Però, se l’uso di una moneta comune promuove l’interscambio tra i paesi membri di un’unione monetaria, allora
la formazione dell’unione può determinare un guadagno
netto aumentando i benefici e diminuendo i costi.
I costi: la perdita dell’indipendenza delle politiche
Abbiamo visto che la politica monetaria è un metodo importante con cui le banche centrali sono
in grado di chiudere i gap di produzione espansivi e recessivi. Per esempio, quando un paese si trova di fronte a un
gap recessivo, la sua banca centrale è in grado di stimolare
i consumi e gli investimenti riducendo il tasso di interesse
reale. Viceversa, quando un paese si trova di fronte a un
gap recessivo, la sua banca centrale è in grado di rallentare
l’economia aumentando i tassi di interesse reali e aumentando così il risparmio e riducendo la domanda aggregata.
Inoltre, come abbiamo visto nel capitolo precedente, l’efficacia della politica monetaria si accresce quando un paese usa un tasso di cambio flessibile. Per esempio, se la
banca centrale allenta la politica monetaria per uscire da
una recessione, la diminuzione dei tassi di interesse interni
determinerà deflussi di capitale e un deprezzamento della
moneta interna (nazionale), fornendo uno stimolo alle
esportazioni nette e facendo aumentare ulteriormente la
domanda aggregata. Oppure, se la banca centrale stringe
la politica monetaria di fronte a un gap espansivo, l’aumento dei tassi di interesse determinerà afflussi di capitale
e un apprezzamento della moneta interna, il che rallenta la
crescita della domanda aggregata riducendo le esportazioni nette. In breve, la politica monetaria sarà più efficace
quando opera un tasso di cambio flessibile.
Quando un paese aderisce a un’unione monetaria quale
l’Eurosistema, sacrifica automaticamente la propria capacità di usare la politica monetaria e la politica dei cambi
indipendenti per stabilizzare la propria economia interna.
Invece, deve accettare la politica monetaria unica determinata dalla banca centrale dell’unione monetaria. Quanto è
importante questa perdita dell’indipendenza delle politiche? Secondo la teoria delle aree monetarie ottimali, il costo del sacrificio dell’indipendenza delle politiche causato
dalla partecipazione a un’unione monetaria dipenderà dal
fatto che i paesi partner siano simultaneamente di fronte a
problemi simili oppure a problemi diversi. Con riferimento
alla letteratura sulle aree monetarie ottimali, i problemi
tendono a essere simili quando i paesi sono soggetti a
shock simmetrici: per esempio, i paesi partner si trovano
simultaneamente di fronte a un gap recessivo o a un gap
espansivo. Per contro, i paesi si trovano di fronte a problemi differenti in presenza di shock asimmetrici: per esempio, un paese è di fronte a un gap recessivo mentre i suoi
partner sono di fronte a un gap espansivo.
Per spiegare l’importanza degli shock simmetrici e degli shock asimmetrici teniamo presente che
la curva di domanda aggregata
(AD) rappresenta la relazione tra la produzione di equilibrio di breve periodo del sistema economico, Y, e il tasso
di inflazione, π. Il termine domanda aggregata è ovviamente sinonimo di spesa programmata, che abbiamo definito precedentemente come la somma dei consumi C, degli investimenti I, della spesa pubblica G e delle esportazioni nette NX. Quindi definiamo uno shock di domanda
come una variazione improvvisa o inattesa della spesa aggregata programmata (PAE, planned aggregate expenditure).
Un aumento della spesa autonoma è
detto shock positivo di domanda e una diminuzione della
spesa autonoma è detta shock negativo di domanda. Per
esempio, se le imprese decidono di aumentare la spesa per
investimenti, la domanda aggregata aumenterà a ogni livello di produzione, spostando la curva AD verso destra:
uno shock positivo di domanda. Analogamente, se, a ogni
dato livello di reddito disponibile, le famiglie decidono di
spendere meno per consumi, la curva AD si sposterà verso
sinistra: uno shock negativo di domanda.
CAPITOLO 32 UNIONE MONETARIA
Tasso di inflazione
Tasso di inflazione
CAPITOLO 31 UNIONE MONETARIA: LA TEORIA DELLE A
Livello di produzione
Livello di produzione
Figura 32.1
Uno shock positivo di domanda.
Partendo dal punto di equilibrio di lungo periodo A, uno
shock positivo di domanda sposta la curva di domanda
aggregata da AD a AD’. Nel nuovo punto di equilibrio di
breve periodo B il livello di produzione è Y’ e il gap
espansivo è Y*Y’. Per stabilizzare l’economia, la banca
centrale dovrebbe stringere la politica monetaria aumentando il tasso di interesse reale, il che riduce i consumi e
gli investimenti e sposta la curva di domanda aggregata
riportandola ad AD e ripristinando l’equilibrio di lungo periodo nel punto A. In un’economia aperta con un tasso di
cambio flessibile l’aumento del tasso di interesse interno
determinerà anche un apprezzamento della moneta interna (nazionale), il che riduce le esportazioni nette e rafforza l’effetto dell’aumento del tasso di interesse reale
sulla spesa per consumi e investimenti. Però, se il paese
partecipasse a un’unione monetaria, la banca centrale
nazionale non potrebbe usare la politica monetaria per
stabilizzare l’economia. Il gap espansivo finirebbe per imporrebbe un aumento dell’inflazione, spostando la curva
SRAS all’insù, verso SRAS’. Alla fine verrebbe ripristinato
l’equilibrio di lungo periodo nel punto C, ma al costo di un
aumento del tasso di inflazione in π’.
Figura 32.2
Uno shock negativo di domanda.
Partendo dal punto di equilibrio di lungo periodo A, uno
shock negativo di domanda sposta la curva di domanda
aggregata da AD ad AD’. Nel nuovo punto di equilibrio di
breve periodo B il livello di produzione è Y’ e il gap recessivo è Y’Y*. Per stabilizzare l’economia, la banca centrale
dovrebbe allentare la politica monetaria riducendo il tasso
di interesse reale, il che aumenta i consumi e gli investimenti e sposta la curva di domanda aggregata riportandola ad AD, ripristinando l’equilibrio di lungo periodo nel punto A. In un’economia aperta con un tasso di cambio flessibile la diminuzione del tasso di interesse interno determinerà anche un deprezzamento della moneta interna, il che
stimola le esportazioni nette e rafforza l’effetto della diminuzione del tasso di interesse sulla spesa per consumi e
investimenti. Però, se il paese partecipasse a un’unione
monetaria, la banca centrale nazionale non potrebbe usare la politica monetaria per stabilizzare l’economia. Alla fine il gap recessivo imporrebbe una diminuzione dell’inflazione, spostando la curva SRAS verso il basso, verso
SRAS’. Alla fine verrebbe ripristinato l’equilibrio di lungo
periodo nel punto C a un tasso di inflazione inferiore π’, ma
al costo di una recessione prolungata.
La Figura 32.1 illustra uno shock positivo di domanda
e la Figura 32.2 uno shock negativo di domanda. (È importante notare che queste figure sono simili a quelle che abbiamo usato in precedenza per analizzare la relazione tra
inflazione e offerta aggregata.) In ciascun caso partiamo
dallo stesso punto di equilibrio di lungo periodo A con la
produzione uguale al suo livello potenziale Y*. Nella
Figura 32.1 consideriamo un aumento della spesa autonoma che sposta la curva di domanda aggregata da AD ad
AD’ stabilendo un nuovo equilibrio di breve periodo nel
punto B e aprendo un gap espansivo uguale a Y*Y’. Per
contro, nella Figura 32.2 consideriamo una diminuzione
della spesa autonoma che sposta la curva di domanda verso
sinistra e apre un gap recessivo uguale a Y’Y*. È importan-
te notare che, come visto, assumiamo l’inerzia
inflazionistica (o inerzia dell’inflazione), la quale significa
che l’inflazione si aggiusta lentamente a uno shock.
Consideriamo due economie che, come esempio, supporremo essere la Gran Bretagna e la Germania. Se sia la
Gran Bretagna sia la Germania sono soggette a un aumento o a una diminuzione simile della spesa autonoma,
possiamo dire che lo shock è simmetrico nel senso che
ciascuna economia ha di fronte simultaneamente lo stesso
problema. Per esempio, se entrambe le economie sono
soggette a uno shock negativo, allora entrambe avranno
di fronte un gap recessivo. Oppure, se la Gran Bretagna
dovesse essere soggetta a uno shock negativo di domanda, mentre la Germania non ne è soggetta oppure è sog-
703
704
PARTE 9 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
getta a uno shock positivo, allora lo shock è asimmetrico
nel senso che le economie hanno di fronte simultaneamente differenti problemi. Come può ciascuna economia
effettuare l’aggiustamento agli shock positivi o negativi?
Vedremo che la risposta dipende dal fatto che la
Germania e la Gran Bretagna appartengano o no a un’unione monetaria e dal fatto che gli shock siano simmetrici
oppure asimmetrici. Per spiegarlo, considereremo i due
scenari di politica economica. Nel primo scenario i due
paesi mantengono le proprie monete, mentre nel secondo
scenario si suppone che essi appartengano a un’unione
monetaria e usino una moneta comune.
Primo scenario: nessuna delle due economie appartiene a un’unione monetaria ed entrambe hanno mantenuto l’indipendenza delle politiche
Shock simmetrici
Supponiamo che la Germania e la Gran Bretagna siano
soggette entrambe a uno shock simmetrico di domanda
come è illustrato sia dalla Figura 32.1 sia dalla Figura
32.2. Se lo shock è positivo, entrambi i paesi saranno soggetti a un gap di produzione espansivo uguale a Y*Y’ nella Figura 32.1. Poiché ciascuno dei due paesi ha mantenuto l’indipendenza delle politiche, entrambe le banche
centrali sono in grado di reagire stringendo la politica
monetaria e aumentando il tasso di interesse reale, il che,
come abbiamo visto, riduce i consumi e gli investimenti e
sposta verso sinistra la curva di domanda aggregata, ripristinando l’equilibrio di lungo periodo nel punto A nella
Figura 32.1. Per contro, se entrambi i paesi sono soggetti
a uno shock negativo di domanda, entrambi avranno di
fronte un gap recessivo uguale a Y’Y* nella Figura 32.2.
In questo caso entrambe le banche centrali sono in grado
di reagire allentando la politica monetaria e riducendo il
tasso di interesse reale, il che stimola i consumi e gli investimenti e sposta verso destra la curva di domanda aggregata, ripristinando l’equilibrio di lungo periodo nel
punto A nella Figura 32.2. In breve, purché lo shock sia
simmetrico, ci si può attendere che entrambe le banche
centrali reagiscano in modo simile.
Shock asimmetrici
Supponiamo che la Germania sia soggetta a uno shock
positivo di domanda e che la Gran Bretagna sia soggetta a
uno shock negativo di domanda. Poiché la Germania ha
di fronte un gap espansivo, ci si attenderebbe che la banca
centrale reagisca allo shock aumentando il tasso di interesse reale, il che determina una diminuzione dei consumi
e degli investimenti e chiude il gap espansivo spostando
verso sinistra la curva AD. Inoltre, come abbiamo visto
nel capitolo precedente, un aumento del tasso di interesse
reale interno determinerà un apprezzamento della moneta
tedesca e una diminuzione delle esportazioni nette, il che
rafforza l’impatto della domanda aggregata. Per contro, la
banca centrale britannica è in grado di reagire al gap recessivo allentando la politica monetaria e riducendo il
tasso di interesse reale, il che, come abbiamo visto, aumenta i consumi e gli investimenti e sposta la curva di
domanda aggregata riportandola ad AD e ripristinando
l’equilibrio di lungo periodo nel punto A nella Figura
32.2. Inoltre, in un’economia aperta con un tasso di cambio flessibile una riduzione del tasso di interesse interno
determinerà un deprezzamento della moneta britannica, il
che stimola le esportazioni nette e rafforza l’effetto della
diminuzione del tasso di interesse reale sulla spesa per
consumi e investimenti.
È importante notare che, a condizione che ciascuna
economia mantenga l’indipendenza delle politiche, non
importa se gli shock siano simmetrici oppure asimmetrici.
Nel caso di uno shock simmetrico, entrambe le banche
centrali sono libere di aumentare oppure di diminuire i tassi di interesse in reazione a uno shock positivo oppure negativo. Alternativamente, quando lo shock è asimmetrico,
una delle due banche centrali può aumentare i tassi di interesse mentre l’altra può ridurli. In breve, l’indipendenza
delle politiche significa che le banche centrali sono libere
di stabilizzare le proprie economie indipendentemente dal
tipo di shock che hanno di fronte. Come vedremo nel secondo scenario, ciò non avviene quando i paesi appartengono a un’unione monetaria e usano una moneta comune.
Secondo scenario: la Germania e la Gran Bretagna
fanno parte di un’unione monetaria e usano una moneta comune. Nessuno dei due paesi ha l’indipendenza delle politiche e la politica monetaria è decisa da
una banca centrale indipendente che reagisce agli
shock alla produzione e agli shock inflazionistici a livello dell’intera unione invece che ai problemi di un
singolo paese membro
Shock simmetrici
Supponiamo che entrambe le economie siano soggette a
uno shock positivo di domanda, come è illustrato nella
Figura 32.1. Poiché il conseguente gap espansivo è comune a tutti i membri dell’unione monetaria, è ragionevole
attendersi che la banca centrale compensi le conseguenti
pressioni inflazionistiche stringendo la politica monetaria
e aumentando i tassi di interesse, il che, come abbiamo visto, elimina il gap espansivo in entrambe le economie spostando verso sinistra le loro curve AD. Oppure, se ciascuno dei due paesi è soggetto a uno shock negativo di do-
CAPITOLO 29 UNIONE MONETARIA: LA TEORIA DELLE
manda simile, come è illustrato nella Figura 32.2, ci si può
attendere che la banca centrale compensi la diminuzione
della produzione allentando la politica monetaria e riducendo i tassi di interesse, il che, come abbiamo visto, elimina il gap recessivo in entrambe le economie spostando
verso destra le loro curve AD. L’unica differenza è che la
politica di stabilizzazione appropriata è intrapresa dalla
banca centrale dell’unione monetaria invece che dalla
banca centrale britannica e dalla banca centrale tedesca
che seguono politiche indipendenti ma simili.
Shock asimmetrici
Come nel primo scenario, supporremo che la Germania
sia di fronte a uno shock positivo di domanda mentre la
Gran Bretagna è di fronte a uno shock negativo. Però, a
differenza del primo scenario, nessuno dei due paesi ha
l’indipendenza delle politiche, con la conseguenza che la
banca centrale tedesca non sarà in grado di reagire al gap
espansivo e la banca centrale britannica al gap recessivo.
È probabile che la banca centrale dell’unione monetaria
reagisca alle variazioni dei tassi di interesse? La risposta è
molto probabilmente negativa, per due motivi. In primo
luogo, poiché il problema di aggiustamento è diverso tra
la Germania e la Gran Bretagna, la banca centrale non è in
grado di aiutare uno dei due paesi senza danneggiare l’altro. Per esempio, un aumento dei tassi di interesse allenterebbe la pressione inflazionistica in Germania, ma approfondirebbe la recessione in Gran Bretagna. Per contro, se
la banca centrale riducesse i tassi di interesse, la politica
chiuderebbe il gap recessivo britannico ma allargherebbe
il gap espansivo tedesco. In secondo luogo, la banca centrale è responsabile della stabilizzazione della produzione
aggregata dell’unione monetaria anziché della produzione
dei singoli paesi. Quindi, se la diminuzione del PIL della
Gran Bretagna è all’incirca compensata dall’aumento del
PIL della Germania, la produzione aggregata dell’unione
monetaria può rimanere relativamente costante e non richiedere alcun intervento da parte della banca centrale.
In assenza di intervento della banca centrale entrambe
le economie dovranno ricorrere al meccanismo di autocorrezione descritto in precedenza. In Germania il gap
espansivo finirebbe per causare un aumento dell’inflazione spostando la curva SRAS verso l’alto, verso SRAS’ nella
Figura 32.1, ripristinando l’equilibrio nel punto C, ma al
costo di un tasso di inflazione superiore pari a π’. In Gran
Bretagna il gap recessivo causerebbe una diminuzione
dell’inflazione, spostando la curva SRAS verso il basso,
verso SRAS’ nella Figura 32.2, ripristinando l’equilibrio
nel punto C con un tasso di inflazione inferiore π’, ma al
costo di una recessione prolungata. È importante notare
che questa non è la fine della storia. Poiché l’inflazione tedesca supera ora l’inflazione britannica, le esportazioni te-
CAPITOLO 32 UNIONE MONETARIAC705
desche verso la Gran Bretagna diventeranno meno competitive e le importazioni britanniche diventeranno più attraenti per le famiglie e le imprese tedesche. Per contro, le
esportazioni britanniche diventeranno più competitive sul
mercato tedesco e le importazioni dalla Germania diventeranno meno attraenti per le famiglie e le imprese britanniche. Quindi, le esportazioni nette tedesche diminuiranno,
spostando all’indietro, verso sinistra, la curva AD tedesca
nella Figura 32.1. D’altra parte, le esportazioni nette britanniche aumenteranno, spostando verso destra la curva
AD nella Figura 32..2. Questo processo proseguirà finché
non sarà stato eliminato il differenziale di inflazione ed entrambe le economie non saranno ritornate nelle loro posizioni iniziali di equilibrio di lungo periodo, il punto A in
entrambe le figure. Però, in assenza di una politica proattiva di stabilizzazione da parte delle banche centrali, è probabile che l’aggiustamento per ritornare all’equilibrio di
lungo periodo sia lungo e doloroso.
Il primo e il secondo scenario illustrano un principio
importante alla base della teoria delle aree monetarie ottimali. In un’unione monetaria esiste una politica monetaria unica che è comune a tutti i membri. Quando gli shock
sono simmetrici e i paesi membri hanno di fronte simultaneamente problemi simili, la politica unica sarà appropriata in tutta l’unione e la politica monetaria unica sarà
appropriata per tutti i paesi. È quindi probabile che il costo del sacrificio dell’indipendenza delle politiche sia relativamente basso quando i paesi membri sono soggetti a
shock simmetrici. Ceteris paribus, è più probabile che
questi paesi formino un’area monetaria ottimale. Però, se
gli shock sono asimmetrici e i paesi hanno di fronte simultaneamente problemi diversi, la politica monetaria
unica non sarà appropriata per tutti i paesi membri e, come è stato descritto nel secondo scenario, la perdita dell’indipendenza delle politiche può richiedere un aggiustamento prolungato. Ceteris paribus, è meno probabile che
questi paesi formino un’area monetaria ottimale.
I costi: l’importanza dei mercati flessibili e
dell’inerzia inflazionistica
Abbiamo visto che la perdita dell’indipendenza delle politiche tende a essere rilevante quando i paesi sono soggetti a shock asimmetrici. Ciò significa necessariamente
che questi paesi non dovrebbero mai prendere in considerazione di formare un’unione monetaria? La risposta è
negativa, per due motivi. In primo luogo, come verrà
spiegato più avanti in questo capitolo, un’unione monetaria procura anche benefici che superano i costi anche se
questi ultimi sono elevati. In secondo luogo, se i mercati
dei beni e del lavoro di un paese sono flessibili nel senso
l
706
PARTE 9 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
che i prezzi e i salari reagiscono rapidamente all’eccesso
di domanda o di offerta, allora il costo del sacrificio dell’indipendenza delle politiche può essere notevolmente
ridotto anche se gli shock tendono a essere asimmetrici.
Per spiegarlo ritorneremo all’esempio in cui la Gran
Bretagna e la Germania formano un’unione monetaria e
assumeremo uno shock negativo di domanda che interessi soltanto la Gran Bretagna. Quindi lo shock è asimmetrico in quanto la Gran Bretagna è soggetta a un gap recessivo mentre la Germania non è interessata e continua a
generare la sua produzione potenziale o di piena occupazione Y*. Con riferimento alla Figura 32.2, la Gran
Bretagna si muove dal punto A al punto B mentre la
Germania rimane nel punto di equilibrio iniziale A.
Se la Gran Bretagna fa parte di un’unione monetaria,
la sua banca centrale non è in grado di compensare la recessione allentando la politica monetaria e riducendo i tassi di interesse. Inoltre, la Gran Bretagna, non avendo una
moneta indipendente, non è in grado di stimolare le esportazioni nette permettendo che il suo tasso di cambio si deprezzi. Invece, la Gran Bretagna dovrà fare affidamento
sul processo di autocorrezione.
Si deve tenere presente che, quando la Gran Bretagna è
soggetta a un gap recessivo, le imprese britanniche non
venderanno tanto quanto avevano programmato e alla fine
diminuiranno il tasso a cui aumentano i prezzi. Ciò determinerà una diminuzione dell’inflazione e la curva SRAS si
sposterà verso il basso, verso SRAS’, stabilendo un nuovo
equilibrio nel punto C nella Figura 32.2, con Y di nuovo
uguale a Y*. Ciò che importa è la velocità a cui l’inflazione diminuisce, ossia, nella terminologia nota, il
livello dell’inerzia inflazionistica nell’economia britannica. Come abbiamo visto in precedenza, l’inerzia inflazionistica è un fenomeno che si produce quando l’inflazione varia lentamente di anno in anno con la conseguenza che un tasso di inflazione relativamente costante induce
le famiglie e le imprese ad attendersi che il tasso di inflazione corrente persista nel futuro. È cruciale che questa
aspettativa di un tasso di inflazione stabile venga incorporato nei contratti di salario e di prezzo di lungo periodo.
Supponiamo, per esempio, che nella Figura 32.2 il tasso di
inflazione iniziale π sia pari al 3%. Se ci si attende che
questo tasso di inflazione persista nel futuro, sia i datori di
lavoro sia i dipendenti concorderanno un aumento annuale
del 3% dei salari monetari e, se le aspettative si realizzeranno, il salario reale medio rimarrà costante. Supponiamo
che la situazione sia questa quando la Gran Bretagna è
soggetta a uno shock negativo di domanda. Come reagiranno le imprese? Le imprese, avendo prodotto invenduto,
possono reagire abbassando il tasso a cui aumentano i
prezzi, facendo così diminuire il tasso di inflazione.
Quando l’inflazione diminuisce la curva SRAS si sposta
verso il basso lungo AD’ stimolando la domanda e stabilendo un nuovo equilibrio di lungo periodo nel punto C
nella Figura 32.2 con la produzione ripristinata al suo livello potenziale Y*. Ma ciò è possibile soltanto se le
aspettative inflazionistiche vengono rivedute al ribasso e
si riflettono nei contratti di salario monetario. Per esempio, se il nuovo tasso di inflazione di equilibrio π’ è pari
all’1%, allora, per ridurre il tasso di aumento dei prezzi, le
imprese richiederanno che i contratti di salario monetario
vengano rinegoziati affinché rispecchino l’inflazione più
bassa. Se ciò non avviene e i contratti di salario monetario
rimangono fissi al 3%, le imprese non saranno disposte a
ridurre il tasso di aumento dei prezzi all’1% perché questa
riduzione determinerebbe un aumento del 2% dei salari
reali, rendendo non redditizio l’aumento della produzione.
Quindi, finché i contratti di salario e gli altri contratti di
prezzo rimangono fissi al 3%, le imprese non ridurranno il
tasso a cui aumentano i prezzi. Invece, reagiranno riducendo il livello di produzione e licenziando lavoratori, determinando così un gap recessivo e un equilibrio di breve
periodo nel punto B nella Figura 32.2.
Ne consegue che la recessione persisterà finché i contratti di salario monetario e di prezzo non saranno stati riveduti per rispecchiare un tasso di inflazione inferiore. Se
ciò richiederà un lungo intervallo di tempo, allora la recessione sarà prolungata e dolorosa. Oppure, se le aspettative inflazionistiche e i contratti salariali verranno riveduti rapidamente, la recessione sarà più breve e l’aggiustamento alla piena occupazione sarà più rapido. In altri
termini, se l’inerzia inflazionistica è forte e i tassi di inflazione diminuiscono lentamente, la recessione sarà prolungata e il costo del sacrificio dell’indipendenza delle
politiche sarà elevato. Oppure, se l’inerzia inflazionistica
è debole e il tasso di inflazione diminuisce rapidamente,
allora la recessione sarà di breve durata e il costo del sacrificio dell’indipendenza delle politiche sarà più basso.
Questi due possibili sentieri di aggiustamento della produzione sono illustrati nella Figura 32.3. È importante
notare che in essa il tempo è rappresentato sull’asse orizzontale. Quando l’inerzia inflazionistica è debole e i contratti vengono riveduti rapidamente, la recessione sarà di
breve durata e relativamente moderata, come è illustrato
dalla curva a tratto continuo. Però, quando l’inerzia inflazionistica è forte, i contratti verranno riveduti più lentamente e, come è illustrato dalla curva tratteggiata, la recessione sarà più profonda e più prolungata.
I costi: l’importanza della mobilità del lavoro
La mobilità del lavoro viene considerata spesso come un
criterio chiave per il successo di un’unione monetaria,
CAPITOLO 29 UNIONE MONETARIA: LA TEORIA
CAPITOLO 32 UNIONE MONETARIA CO)
Livello di produzione
I benefici: l’eliminazione dei costi
di transazione
Tempo
Inerzia inflazionistica debole
Inerzia inflazionistica forte
Figura 32.3
Aggiustamento della produzione.
La figura illustra sentieri temporali alternativi per l’aggiustamento della produzione dopo uno shock negativo di
domanda. Quando l’inerzia inflazionistica è debole, le
aspettative inflazionistiche e i contratti salariali vengono
riveduti rapidamente e la recessione è relativamente breve. Però, quando l’inerzia inflazionistica è forte, occorre
molto più tempo per rivedere le aspettative inflazionistiche e i contratti salariali e di conseguenza la recessione
è prolungata, come è illustrato dalla curva tratteggiata.
specialmente quando l’inerzia inflazionistica è forte e i
paesi partner sono soggetti a shock asimmetrici. Per illustrarlo, supponiamo che, in seguito a uno shock negativo
di domanda, i lavoratori britannici disoccupati migrino in
paesi partner con maggior opportunità di occupazione. Se
così fosse, il tasso di disoccupazione non aumenterebbe e
non sarebbe necessaria una diminuzione del tasso di inflazione. Poiché i lavoratori disoccupati abbandonano il
paese alla ricerca di opportunità di lavoro altrove, non si
eserciterà alcuna pressione per ridurre il tasso di inflazione dei prezzi oppure dei salari e le imprese produrranno
semplicemente una produzione di equilibrio più bassa
con una minore forza lavoro. Purtroppo la mobilità del lavoro tra paesi partner non è una panacea per gli shock
asimmetrici e l’inerzia inflazionistica forte. In effetti, la
mobilità del lavoro può avere effetti avversi sull’economia interna. Se i neodisoccupati migrano e si stabiliscono
permanentemente in altri paesi, allora la forza lavoro diminuirà, facendo diminuire la produzione potenziale. Per
esempio, nella Figura 32.2 una diminuzione della forza
lavoro ridurrebbe la produzione potenziale britannica da
Y* a Y’. La Gran Bretagna potrebbe evitare un problema
di aggiustamento di breve periodo, ma soltanto al costo di
ridurre il livello di PIL di lungo periodo.
L’impiego di monete differenti impone anche costi agli
individui e alle imprese. Per gli individui, il costo più ovvio è la commissione che si deve pagare alle banche per
cambiare le monete. Per esempio, se una famiglia britannica desidera acquistare euro prima di andare in vacanza
in Italia, normalmente dovrà pagare alla propria banca
una commissione per il privilegio di convertire sterline in
euro. La commissione è il costo della transazione di cambio. D’altra parte, se la Gran Bretagna adottasse l’euro
come propria moneta, la famiglia potrebbe finanziare la
vacanza nella propria moneta interna (l’euro) e i costi di
transazione della conversione delle sterline in euro verrebbero eliminati. Quindi l’uso di una moneta comune
implica evidenti benefici per gli individui che compiono
viaggi all’estero. Un beneficio correlato è il fatto che l’uso di una moneta comune aumenti la trasparenza dei
prezzi e semplifichi i confronti dei prezzi. Supponiamo
che un membro di sesso femminile della famiglia sia attratto da un abito in una casa di moda di Milano. Sapendo
che un abito simile è disponibile anche nell’elegante
quartiere di Knightsbridge a Londra, ella deve confrontare due prezzi, uno espresso in euro e l’altro in sterline.
Quindi deve conoscere l’appropriato tasso di cambio euro-sterlina necessario per effettuare la conversione, cambio che potrebbe essere quello usato dalla sua società di
carte di credito anziché quello pubblicato sulle pagine finanziarie dei quotidiani. Inoltre, poiché il tasso di cambio
può variare tra la data di acquisto e la data di ricevimento
di un addebito sulla carta di credito, che può comprendere
anche una commissione di transazione, il prezzo pagato
effettivamente può essere maggiore o minore di quello
assunto quando l’abito fu acquistato a Milano. Queste
difficoltà nell’effettuare confronti corretti dei prezzi, benché più indirette del costo di cambio delle valute nelle
banche, sono un evidente disagio per il viaggiatore e un
costo derivante dall’uso di monete differenti. Però, come
nel caso dei costi di cambio delle valute, questi disagi sono eliminati dall’uso di una moneta comune e costituiscono un altro beneficio per il viaggiatore internazionale.
Benefici simili derivano anche alle imprese che partecipano al commercio internazionale. Per illustrarlo, consideriamo un importatore britannico che firmi un contratto per acquistare pezzi di ricambio automobilistici di produzione francese. Poiché l’importatore britannico opera
in sterline mentre l’esportatore francese opera in euro, il
perfezionamento del contratto richiede che una delle due
valute sia scambiata con l’altra. Per esempio, se il prezzo
è concordato in euro, allora l’importatore deve vendere
sterline per acquistare euro al fine di perfezionare l’ac-
707
708
PARTE 9 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
quisto. Se il prezzo di contratto è pari a 1 milione di euro
e il tasso di cambio corrente tra l’euro e la sterlina è 1 euro = 0,7 sterline, allora, per acquistare 1 milione di sterline, l’importatore deve fornire 700 000 sterline al mercato
dei cambi. Però l’importatore acquisterà normalmente euro da una banca, la quale applica una commissione sulla
transazione. Se la commissione della banca è pari all’1%,
il costo totale per l’importatore è pari a 707 000 sterline
(date da 700 000 sterline più l’1% ossia una commissione
di 7000 sterline) e il costo di transazione è pari a 7000
sterline. Oppure, se il prezzo è concordato in sterline, l’esportatore francese riceverà 700 000 sterline che poi venderà a una banca francese in cambio di un deposito denominato in euro. A un tasso di cambio di 1 euro = 0,70 sterline ossia 1 sterlina = (1/0,70) euro, le 700 000 sterline
varranno 1 milione di euro. Però, se anche la banca francese applica una commissione dell’1%, il valore netto del
pagamento in sterline sarà pari a 693 000 sterline (date da
700 000 sterline meno la commissione dell’1% ossia
7000 sterline) equivalenti a 990 000 euro. Quindi, il costo
di commissione o transazione è anche 7000 sterline equivalenti a 10 000 euro.
I costi di transazione implicati nel cambio di una
moneta con un’altra sono simili a un’imposta che l’acquirente paga senza ricevere alcunché in cambio e il risultato
è una perdita netta equivalente alla perdita derivante dall’imposizione indiretta esaminata nel Capitolo 7.
L’eliminazione di questa perdita netta mediante una moneta comune significa che le banche perderanno la commissione sulle transazioni monetarie. Ma questo è un problema transitorio che richiede che le banche riallochino
personale e risorse ad altre linee di attività redditizie quali la valutazione dei prestiti e il miglioramento delle relazioni con la clientela. Quindi l’eliminazione dei costi di
transazione nel finanziamento del commercio internazionale è un beneficio di potenziale importanza derivante
dall’uso di una moneta comune. Nello studio «One market, one money: an evaluation of the potential benefits
and costs of forming an economic and monetary union»
(1990) la Commissione europea stimò che i benefici derivanti dall’eliminazione dei costi di transazione avrebbero
potuto ammontare a 20 miliardi di euro ossia a circa la
metà dell’1% del PIL di allora dell’UE.
I benefici: l’eliminazione dell’incertezza dei
cambi
Quando i paesi usano monete differenti, l’incertezza sui
movimenti futuri dei tassi di cambio può imporre costi addizionali alle imprese complicando le decisioni sugli investimenti internazionali. Per illustrarlo, consideriamo una
casa automobilistica francese che fornisce attualmente il
mercato britannico producendo in Francia ed esportando
in Gran Bretagna. Supponiamo che il produttore prenda in
considerazione un passaggio alla fornitura locale del mercato britannico investendo in un nuovo impianto localizzato in Inghilterra. Se la decisione viene presa oggi può
trascorrere un anno o più prima che l’impianto operi alla
piena produzione e vengano vendute automobili sul mercato britannico. Queste vendite e i profitti del produttore
saranno denominati in sterline, ma l’impresa francese può
desiderare convertire i propri profitti in euro per pagare dividendi ai propri azionisti francesi o compiere ulteriori investimenti nell’Eurosistema. Tuttavia, poiché il cambio
sterlina-euro è soggetto a incertezza, l’impresa non può
essere certa del valore in euro dei propri profitti futuri in
sterline. Per esempio, se la sterlina si deprezzasse durante
il primo anno dell’investimento, allora il valore in euro dei
profitti dell’impresa sarebbe inferiore a quello atteso. Per
contro, se la sterlina si apprezzasse, allora il valore in euro
dei profitti dell’impresa sarebbe superiore a quello atteso.
Questa incertezza che circonda i movimenti futuri dei
cambi è un’inutile complicazione nella decisione dell’impresa, la quale dovrebbe basarsi su criteri quali l’efficienza e la massimizzazione del rendimento per i propri azionisti. Tuttavia le fluttuazioni dei tassi di cambio significano che i rendimenti futuri di un investimento potranno variare drasticamente se il tasso di cambio sterlina-euro fluttua in modo imprevisto. Una moneta comune, eliminando
i tassi di cambio tra paesi partner, elimina anche l’incertezza dei cambi e rimuove le complicazioni inutili e forse
fuorvianti che circondano le decisioni su quale paese sia
più efficiente e redditizio come localizzazione della produzione. Questo è un altro importante beneficio derivante
dall’uso di una moneta comune.
RIEPILOGO I costi e i benefici di una moneta comune
Il sacrificio dell’indipendenza delle politiche è il più
importante costo di adesione a un’unione monetaria.
Invece di essere in grado di usare la politica monetaria
e la politica dei cambi per stabilizzare le proprie economie interne, i paesi membri devono affidarsi alla politica seguita dalla banca centrale dell’unione monetaria.
Il costo del sacrificio dell’indipendenza delle politiche
tende a essere più alto quando i paesi sono soggetti a
shock asimmetrici e hanno di fronte simultaneamente
problemi diversi. Per contro, il costo sarà relativamente basso quando gli shock sono simmetrici e i paesi
hanno di fronte simultaneamente problemi simili.
Un basso livello di inerzia inflazionistica e mercati
CAPITOLO 29 UNIONE MONETARIA: LA TEORIA DELLE
del lavoro flessibili sono in grado di compensare la
perdita dell’indipendenza delle politiche e accelerano
l’aggiustamento agli shock.
La mobilità del lavoro tra i paesi partner è anch’essa
in grado di compensare la perdita dell’indipendenza
CAPITOLO 32 UNIONE MONETARIAC 709
delle politiche. Però può anche fare diminuire il livello di produzione potenziale.
L’eliminazione dei costi delle transazioni valutarie e
dell’incertezza dei cambi è un importante beneficio di
una moneta comune.
32.3 CONFRFONTO DEI COSTI E DEI BENEFICI: LE CURVE CC E BB
Per confrontare i costi e i benefici di un’unione monetaria
considereremo la decisione della Gran Bretagna se aderire all’Eurosistema e usare l’euro come moneta interna.
Da un punto di vista economico la decisione dovrebbe
basarsi sul fatto che i benefici superino i costi. Quindi è
appropriato chiedersi quali caratteristiche l’economia britannica dovrebbe avere affinché i benefici siano grandi e i
costi siano bassi. Abbiamo visto che i costi possono essere bassi quando la Gran Bretagna è soggetta a shock simmetrici rispetto alle economie dell’Eurosistema. Più in
generale, il costo del sacrificio dell’indipendenza delle
politiche si ridurrà quando il ciclo economico britannico
è sincronizzato con i cicli economici di economie
dell’Eurosistema quali la Francia, la Germania e l’Italia.
Quando è soddisfatta questa condizione, la Gran
Bretagna sarà soggetta a recessioni ed espansioni simultaneamente agli altri paesi e richiederà lo stesso tipo di
politica di stabilizzazione. In breve, i cicli economici sincronizzati implicano che i paesi partner hanno di fronte
simultaneamente problemi simili e che la politica monetaria unica è appropriata per tutti i membri.
Quando i cicli economici tendono a essere sincronizzati e gli shock a essere simmetrici? Una risposta possibile è
che la sincronizzazione è più probabile quando le economie partner producono e scambiano una gamma simile di
beni e servizi. Per illustralo, supponiamo che la Gran
Bretagna e la Germania siano grandi produttori di due tipi
di beni detti manufatti (prodotti della trasformazione industriale) e servizi finanziari. Consideriamo ora uno shock
avverso che riduca la domanda mondiale di servizi finanziari. Dato che sia la Gran Bretagna sia la Germania sono
grandi fornitori di servizi finanziari, saranno influenzate
entrambe e lo shock tenderà a essere simmetrico. In alternativa, consideriamo una situazione in cui la Gran
Bretagna sia altamente specializzata in servizi finanziari
con un piccolo settore manifatturiero, mentre la Germania
è specializzata nell’industria manifatturiera e offre pochi
servizi finanziari. In questo caso uno shock al settore finanziario avrà un impatto maggiore sull’economia britannica e
tenderà a essere asimmetrico. Ma questa conclusione richiede un’importante precisazione. Supponiamo che la
Gran Bretagna sia un importante importatore di manufatti
tedeschi, mentre la Germania importa servizi finanziari
dalla Gran Bretagna. In questo caso uno shock avverso al
settore finanziario influirà su entrambe le economie.
Influenzerà direttamente la Gran Bretagna tramite la domanda di servizi finanziari e indirettamente la Germania
perché, quando la crescita economica britannica rallenta,
diminuirà anche la domanda britannica di manufatti tedeschi, determinando un corrispondente rallentamento nell’economia tedesca. Possiamo quindi concludere che, quando
i paesi producono tipi simili di beni e servizi, gli shock tendono a essere simmetrici e i cicli economici tendono a essere sincronizzati. Per contro, quando i paesi sono altamente specializzati in beni differenti, gli shock tendono a essere asimmetrici e i cicli economici tendono a non essere sincronizzati. Però, quando economie specializzate partecipano a un esteso interscambio, gli shock a una di esse possono causare problemi nell’altra, aumentando il grado di sincronizzazione e riducendo il costo del sacrificio dell’indipendenza delle politiche.
Passando ai benefici, abbiamo visto che l’eliminazione
dei costi di transazione valutaria e dell’incertezza dei cambi sono benefici importanti derivanti dall’uso di una moneta comune. Quanto sono importanti questi benefici per
un’economia come la Gran Bretagna? Come nel caso dei
costi, la risposta dipende dal grado di interscambio e integrazione tra la Gran Bretagna e le economie partner. Più
stretta è l’interdipendenza e maggiore è il volume degli
scambi commerciali tra la Gran Bretagna e l’Eurosistema,
maggiori tendono a essere i benefici derivanti dall’eliminazione dei costi di transazione valutaria e dell’incertezza dei
cambi. Quindi, più elevato è il livello di integrazione economica e maggiore è il volume dell’interscambio con i potenziali europartner, maggiori saranno i benefici derivanti
alla Gran Bretagna dall’adesione all’Eurosistema.
Possiamo riassumere questo argomento come segue.
Strutture industriali simili e l’interdipendenza prodotta
dal commercio internazionale fanno aumentare la sincronizzazione tra economie partner. Ceteris paribus, queste
caratteristiche sono più probabili se le economie sono altamente integrate, cioè, se producono una gamma simile
di beni e servizi e/o partecipano a un esteso interscambio.
Inoltre, più elevato è il livello di integrazione economica,
710
PARTE 9 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
più basso è il costo e maggiore è il beneficio derivante
dall’adesione a un’unione monetaria. Questa conclusione
è illustrata dalla Figura 32.4. Sull’asse orizzontale è rappresentato il livello di integrazione economica tra la Gran
Bretagna e l’Eurosistema, mentre sull’asse verticale sono
rappresentati i costi e i benefici. La curva dei costi, o curva CC, con pendenza negativa, illustra il concetto che i
costi diminuiscano all’aumentare del livello di integrazione tra la Gran Bretagna e i suoi partner potenziali,
mentre la curva dei benefici, o curva BB, con pendenza
positiva, illustra il concetto corrispondente che i benefici
derivanti alla Gran Bretagna aumentino all’aumentare del
livello di integrazione.
Nella Figura 32.4 i costi e i benefici sono uguali nel
punto di intersezione E, che definisce anche il livello di
integrazione I* necessario affinché la Gran Bretagna raggiunga il punto di pareggio partecipando all’Eurosistema.
A ogni livello di integrazione inferiore a I* i costi sono
superiori ai benefici e l’adesione all’euro determinerebbe
una perdita netta per la Gran Bretagna. Per contro, a ogni
livello di integrazione superiore a I* i benefici superano i
costi e la Gran Bretagna godrebbe di un guadagno netto.
Quindi, purché si sia in grado di misurare accuratamente
il livello di integrazione e i costi e i benefici associati, è
relativamente semplice decidere se la Gran Bretagna dovrebbe o no aderire all’Eurosistema. Se il livello di integrazione fra la Gran Bretagna e l’Eurosistema è superiore
a I* nella Figura 32.4, i guadagni sono maggiori delle
perdite e l’argomento economico a favore dell’adesione è
dimostrato. Cosa accade se il livello di integrazione tra la
Gran Bretagna e le economie dell’Eurosistema è inferiore
a I*? Ciò significa necessariamente che la Gran Bretagna
dovrebbe mantenere la propria moneta e stare fuori dell’area dell’euro? I naturalisti economici 32.1 e 32.2 spiegano perché possa essere giustificato aderire anche se il
livello di integrazione iniziale è inferiore a I*.
Naturalista economico 32.1
I cinque test economici di Gordon Brown per aderire
all’euro
Poco dopo la sua nomina a Cancelliere dello Scacchiere
(Ministro delle Finanz e) nel maggio 1977, Gordon Bro wn
annunciò cinque test o criteri economici da usare nella valutazione dei costi e dei benefici der ivanti alla Gran Bretagna
dall’entrata nell’Eurosistema. Questi test erano i seguenti:
Costi e benefici
perdita netta
guadagno netto
Livello di integrazione
Figura 32.4
Confronto dei costi e dei benefici.
La curva CC con pendenza negativa illustra il concetto che
il costo di una valuta comune diminuisca all’aumentare del
livello di integrazione tra paesi partner, mentre la curva BB
con pendenza positiva illustra il concetto corrispondente
che i benefici aumentino all’aumentare del livello di integrazione. I* indica il livello di integrazione in corrispondenza
del quale i costi di adesione all’unione monetaria sono esattamente uguali ai benefici. Se il livello di integrazione economica tra la Gran Bretagna e i suoi partner potenziali è inferiore a I*, i costi saranno superiori ai benefici e la Gran
Bretagna subirà una perdita netta. Per contro, se il livello di
integrazione è superiore a I*, i benefici saranno maggiori
dei costi e la Gran Bretagna godrà di un guadagno netto.
Il test di convergenza I cicli economici e le str utture
economiche sono compatibili con la possibilità che la
Gran Bretagna viva con i tassi di interesse dell’euro?
Il test di flessibilità Se emergono problemi, c’è flessibilità sufficiente per affrontarli?
Il test degli investimenti L’adesione all’euro creerebbe
condizioni migliori che aiutino le imprese a prendere
decisioni a lungo ter mine di in vestire in Gr an
Bretagna?
Il test dei servizi finanziari Quale impatto l’adesione
all’euro avrebbe sul settore dei servizi finanziari?
Il test della crescita economica e dell’occupazione
L’euro promuoverà un aumento della crescita economica e un aumento permanente dell’occupazione?
È importante notare che il test di con vergenza richiede
che l’economia br itannica sia sincronizzata con quella
dell’Eurosistema, affinché la politica monetar ia comune o
unica sia appropriata ai problemi che l’economia britannica ha di fronte , mentre il test di flessibilità r ichiede che i
mercati del lavoro siano abbastanza flessibili per assicurare una reazione rapida ai possibili shock asimmetrici.
Dopo quattro anni di intense r icerche condotte dal
Tesoro, Brown annunciò successivamente che la Gr an
Bretagna aveva superato il test degli investimenti e quello
dei servizi finanziari, ma che le condizioni r iguardanti la
convergenza e la flessibilità non erano soddisfatte. Poiché
i primi due test erano anche ritenuti condizioni necessarie
per soddisfare il test della crescita economica e dell’occupazione, il Cancelliere decise che la Gr an Bretagna non
era pronta per la par tecipazione all’euro. La decisione di
Brown è quindi compatibile con l’approccio adottato in
questo capitolo. Con riferimento alla Figura 31.4, la Gran
Bretagna era situata a sinistr a del liv ello di integ razione
critico I*, la qual cosa implicava una perdita netta derivante dall’adesione all’euro. Tuttavia alcuni economisti hanno
sostenuto che, anche se l’appar tenenza all’Eurosistema
potrebbe determinare una perdita netta, questa sareb be
un fenomeno temporaneo che si r idurrebbe nel più lungo
periodo. Questo argomento è spiegato nel Natur alista
economico 31.2.
Naturalista economico 32.2
Una moneta comune promuove la convergenza?
La decisione della Gran Bretagna di non partecipare all’euro si basa in parte sull’argomento che la sua economia non
sia convergente con quella dell’Eurosistema e che i suoi
mercati siano privi della flessibilità necessaria per fare fronte agli shoc k asimmetrici. I fautori della moneta com une,
d’altra parte, hanno sostenuto che il metodo più r apido per
soddisfare il test di con vergenza e quello di flessibilità é
quello di ader ire oggi all’unione monetar ia. Questo argomento presenta due aspetti. In base al pr imo, l’uso di una
moneta comune ridurrà i costi e aumenterà i benefici promuovendo l’interscambio e l’integrazione. In base al secondo, l’appartenenza a un’unione monetar ia determinerà un
aumento della flessibilità del mercato del lavoro e ridurrà i
costi associati a un dato livello di integrazione.
Convergenza
In una ser ie di ar ticoli di r icerca, Andrew Rose, della
University of Calif ornia a Ber keley, ha v erificato l’ipotesi
che una moneta com une promuova gli scambi tr a paesi
partner. Usando dati r iguardanti quasi 200 paesi, Rose
(2000) ha tro vato che gli scambi tr a paesi che usano la
stessa moneta possono essere par i fino al tr iplo di quelli
tra paesi che usano monete div erse. Rose ha trovato anche che una r iduzione della volatilità dei tassi di cambio ,
un sinonimo di incertezza, potrebbe avere un effetto positivo rilevante sul commercio internazionale. La Figura 31.5
illustra le implicazioni di questi r isultati per la decisione
della Gran Bretagna sull’adesione all’euro . Supponiamo
che, sulla base dei test di Gordon Bro wn, il livello di integrazione o di con vergenza tra la Gr an Bretagna e
l’Eurosistema sia I’ nella Figura 31.5. Poiché I’ è inferiore
al livello di pareggio I*, la Gr an Bretagna subireb be una
perdita netta r appresentata dalla distanza AB. Possiamo
considerare la differenza tra I* e I’ come il gap di conver-
CAPITOLO 32 UNIONE MONETARIAC711
Costi e benefici
CAPITOLO 29 UNIONE MONETARIA: LA TEORI
Livello di integrazione
Figura 32.5
Commercio internazionale e convergenza economica.
Prima dell’adesione all’euro il livello di integrazione economica tra la Gran Bretagna e i suoi partner potenziali è I’. Se
aderisce all’euro, la Gran Bretagna subirà una perdita netta
rappresentata dalla distanza AB. Però, se l’uso di una moneta comune promuove l’interscambio tra paesi partner, esso aumenterà anche il livello di integrazione economica, avvicinando la Gran Bretagna al livello di pareggio I*.
genza, ossia la misura in cui il livello di integrazione è inferiore a quello necessario affinché i costi siano compensati
dai benefici. Tuttavia, Rose ha r agione quando aff erma
che l’adesione all’euro promuoverà gli scambi tra la Gran
Bretagna e l’Eurosistema e, poiché l’aumento degli scambi fa aumentare l’interdipendenza tr a le economie , esso
farà aumentare anche la convergenza e l’integrazione. Ne
consegue che aderire all’euro oggi può implicare una perdita nel breve periodo, ma accelererà anche il processo di
convergenza, come è indicato dalle frecce nella Figur a
31.5. Via via che l’interscambio aumenta e la Gr
an
Bretagna si integra sempre più con l’Eurosistema, essa si
muove verso il basso lungo la sua curva CC dal punto A e
verso l’alto lungo la sua cur va BB dal punto B avvicinandosi al punto di pareggio E e forse oltrepassandolo. Cioè,
l’interscambio aumenta l’interdipendenza tr a la Gr an
Bretagna e l’Eurosistema e chiude il gap di convergenza.
Questa conclusione si basa sulla validità dell’ipotesi di
Rose che una moneta com une promuova in eff etti gli
scambi tra paesi par tner. Un problema riguardo ai dati di
Rose è il f atto che essi comprendano pochissimi esempi
di formazione di unioni monetarie e il fatto che, dove esse
esistono, riguardino paesi molto piccoli che hanno poco in
comune con g randi paesi industr iali quali la Gr an
Bretagna e le altre economie europee . Però i dati comprendono più esempi in cui unioni monetar ie esistenti si
sono sciolte. Quindi, in una certa misura, la validità dei dati di Rose si basa su un effetto simmetrico in quanto la fine
PARTE 9 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
di un’unione monetar ia ha un eff etto uguale ma opposto
sugli scambi internazionali. Cioè, se la formazione di un’unione monetaria determinasse un aumento degli scambi,
allora lo scioglimento di un’unione do vrebbe determinare
una diminuzione degli scambi tr a i paesi interessati.
Purtroppo, molte delle unioni monetar ie considerate da
Rose si sono sciolte per motivi quali guerre e sanzioni internazionali che avrebbero fatto diminuire gli scambi indipendentemente dal fatto che i paesi interessati usassero
o no una moneta comune. Un’eccezione è l’unione monetaria durata 50 anni tr a l’Irlanda e la Gr an Bretagna, la
quale, come abbiamo visto nel capitolo precedente, terminò nel 1979 quando la Gran Bretagna decise di non partecipare all’ERM (European e xchange rate mechanism,
meccanismo europeo di cambio). Questo evento è stato
studiato da due economisti ir
landesi dell’University
College Dublin, Rodney Thom e Brendan Walsh (2000), i
quali sono giunti alla conclusione che la fine dell’unione
monetaria non ebbe alcun effetto rilevante sull’interscambio angloirlandese. Quindi, l’ipotesi di Rose, anche se può
essere persuasiva per i fautori dell’euro, non è corroborata pienamente dai dati e non può essere accettata indiscutibilmente come mezzo di chiusura del gap di con vergenza.
Flessibilità
Come abbiamo visto precedentemente in questo capitolo,
i costi del sacr ificio dell’indipendenza delle politiche possono essere relativ amente elevati quando l’inerzia inflazionistica è forte e i mercati del la voro reagiscono lentamente agli shock avversi. Specificamente, se, in seguito a
uno shock negativo di domanda, i contr atti di salario monetario non vengono rinegoziati per rispecchiare l’inflazione attesa più bassa, allor a l’aggiustamento per r itornare
all’equilibrio di lungo periodo può essere prolungato e doloroso. Può questa situazione essere modificata dalla partecipazione a un’unione monetar ia? Un possibile motiv o
del lento aggiustamento dei contratti di salario e di prezzo
è il f atto che entr ambe le par ti sappiano che la propr ia
banca centrale nazionale possa inter venire riducendo i
tassi di interesse reali e lasciare che la moneta si deprezzi per stimolare la domanda aggregata. Perché, per esempio, i sindacati dovrebbero accettare minori aumenti salariali se possono confidare che la propr ia banca centr ale
nazionale protegga l’occupazione allentando la politica
monetaria? Analogamente, se il paese è soggetto a uno
shock positivo di domanda, i dator i di lavoro sono meno
disposti ad accettare aumenti salar iali più alti se sanno
che la banca centr ale compenserà le pressioni inflazionistiche aumentando i tassi di interesse e stringendo la politica monetaria. In breve, la politica indipendente di stabilizzazione può essere consider ata come un sostituto della
flessibilità del mercato e un motivo per una forte inerzia inflazionistica. Quindi, purché la banca centr ale nazionale
mantenga l’indipendenza delle politiche , è più probabile
che le aspettative inflazionistiche verranno rivedute lentamente e che l’inerzia inflazionistica sarà relativamente forte. Questa situazione cambia dr asticamente dopo che il
paese ha aderito a un’unione monetaria. La banca centrale nazionale perde la propria indipendenza e né i datori di
lavoro né i dipendenti possono confidare che la banca
centrale dell’unione intervenga di fronte a shoc k asimmetrici. Quindi può avvenire che i partecipanti al mercato del
lavoro reagiscano più r apidamente agli shoc k, determinando una dimin uzione dell’inerzia inflazionistica e una
corrispondente diminuzione del costo del sacrificio dell’indipendenza delle politiche. Questo effetto è illustrato dalla
Figura 31.6. Come prima, il livello di integrazione o di convergenza tra la Gran Bretagna e l’Eurosistema è I’ e, se la
Gran Bretagna decide di ader ire all’Eurosistema, essa
subisce una perdita netta r appresentata dalla distanza
AB. Però, se l’inerzia inflazionistica diminuisce, il costo diminuirà in corrispondenza di ogni dato livello di integrazione, come è illustrato dallo spostamento verso sinistra, verso CC’, della cur va CC della Gran Bretagna. Di conseguenza, il livello critico di integrazione di pareggio scende
a I*, restringendo il gap di con vergenza tra la Gr an
Bretagna e i paesi partner.
Costi e benefici
712
Livello di integrazione
Figura 32.6
Convergenza e flessibilità economica.
Prima dell’adesione all’euro il livello di integrazione economica tra la Gran Bretagna e i suoi partner potenziali è
I’. Se aderisce all’euro, la Gran Bretagna subirà una perdita netta rappresentata dalla distanza AB. Però, se i datori di lavoro e i dipendenti si rendono conto di non potere più fare affidamento sulla propria banca centrale per
stabilizzare l’economia, l’inerzia inflazionistica può diminuire, spostando la curva CC verso sinistra, verso CC’, riducendo così a I*’ il livello di integrazione di pareggio.
Principi di economia 3/ed
Robert H. Frank, Ben S. Bernanke, Moore McDowell, Rodney Thom
Copyright © 2010 - The McGraw-Hill Companies srl
CAPITOLO 29 UNIONE MONETARIA: LA TEORIA DELLE A
Offerta
Grecia
Gran
Bretagna
Danimarca
Spagna
Portogallo
Olanda
Italia
Belgio
Germania
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0,0
– 0,1
– 0,2
Francia
Correlazione con la media europea
Gli shock sono simmetrici?
La Figura 32.7 usa i dati sugli shock di domanda e di offerta
riferiti da J arko Fidrmuc e Likka K orkhonen in un Bank of
Svezia
Naturalista economico 32.3
Finlandia
L’Unione europea è un’area monetaria ottimale?
Abbiamo visto che i paesi formano un’area monetaria ottimale se i benefici derivanti dall’uso di una moneta comune superano i costi e che questa formazione è più probabile se i paesi sono soggetti a shock simmetrici e partecipano a un esteso interscambio. Dato che oggi 12 paesi
usano una moneta comune, è importante chiedersi se essi
soddisfino questi criteri chiave. I naturalisti economici
31.3, 31.4 e 31.5 forniscono alcuni dati a questo riguardo.
Finland Discussion Paper (2001). La differenza tra shock di
domanda e shock di offerta è che i pr imi hanno un eff etto
temporaneo sulla produzione mentre i secondi hanno un effetto permanente. Perciò gli shock di domanda comprendono quelli illustrati nelle Figure 32.1 e 32.2 nonché il tipo di
shock inflazionistico esaminato già esaminato nei
capitoli precedenti. Gli shock di offerta, d’altra parte,
possono essere considerati come shock alla produzione potenziale. Usando dati
sull’inflazione e sulla produzione, Fidrmuc e Korhonen sono
riusciti a stimare il grado a cui gli shock a paesi specifici sono correlati con shock equivalenti all’intero Eurosistema. Un
elevato grado di correlazione significa che i due e venti tendono a coesistere . Quindi, più strette sono le correlazioni
con il valore massimo di uno dei due e venti, maggiore è la
simmetria tra ciascun paese e l’Eurosistema. Questi risultati
permettono di identificare tre gruppi distinti di paesi. Il primo
gruppo comprende il cosiddetto Euron
ucleo Francia,
Germania, Belgio, Italia, Olanda e , forse, Portogallo e
Austria. Tutti questi paesi presentano correlazioni dal lato
dell’offerta relativamente elevate, il che indica una simmetria
con la media dell’Eurosistema. Anche se le correlazioni per
gli shock di domanda sono molto più basse, si deve ricordare che le stime si basano su dati pre-euro e le basse correlazioni dal lato della domanda possono rispecchiare semplicemente il fatto che questi paesi abbiano avuto proprie monete
e abbiano seguito in una certa misura politiche indipendenti.
Austria
Questo argomento, pur essendo valido, non può essere considerato come una panacea per le r igidità del mercato del lavoro europeo, che sono dovute più alle leggi del
mercato del lavoro e ai sistemi di w elfare molto sofisticati
che alle politiche della banca centr ale. In particolare, i livelli europei relativamente alti di indennità di licenziamento e le generose prestazioni dello stato sociale riducono le
privazioni associate alla disoccupazione e rendono meno
probabile che i lavoratori accettino il tasso di aumento salariale necessario per mantenere il posto di la voro nella
scia di uno shock avverso.
CAPITOLO 32 UNIONE MONETARIAC713
Domanda
Figura 32.7
Shock di domanda e di offerta.
Questa figura mostra la correlazione degli shock di domanda e di offerta in singoli paesi con gli shock medi nell’Unione europea. Un valore elevato indica che gli shock sono
fortemente correlati con la media europea e quindi sono simmetrici.
Fonte: Fidrmuc e Korhonen (2001).
PARTE 9 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
shock medi di domanda e di offerta indicano che essi non
fanno parte di un’area monetaria ottimale europea.
Per esempio, supponiamo che, in seguito a uno shock negativo di domanda, alcuni paesi intervengano immediatamente
riducendo i tassi di interesse , mentre altr i adottano un approccio «inattivo» e lasciano che le propr ie economie si aggiustino gradualmente. Poiché ci si attendereb be un aggiustamento molto più r apido nei primi paesi, non destereb be
sorpresa se le economie div ergessero in misur a rilevante.
Però, questo tipo di asimmetr ia dovrebbe scomparire in
un’unione monetaria, in cui tutti i paesi sono soggetti a una
politica monetaria comune. Quindi alcuni dati indicano che
gli shock a queste economie sono , o possono div entare,
simmetrici e che esse possono essere vicine al concetto di
area monetaria ottimale.
Il secondo gruppo di paesi comprende la Danimarca,
la Svezia e la Gran Bretagna, ossia i tre paesi che decisero inizialmente di non aderire all’euro. Dati i valori relativamente bassi per gli shock dal lato dell’offerta e, nel caso
della Gran Bretagna, data la correlazione negativa degli
shock dal lato della domanda, è improbabile che questi
paesi siano simmetr ici con la media dell’Eurosistema.
Quindi, in base a questi dati, essi non f ormano un’area
monetaria ottimale con le economie dell’Euronucleo.
Il terzo gruppo di paesi comprende la Finlandia, la
Grecia, l’Irlanda e la Spagna. Questi paesi appartengono
tutti all’Eurosistema, ma le basse correlazioni con gli
Naturalista economico 32.4
Qual è l’importanza del commercio intra-UE?
La Figura 31.8 mostra la percentuale del PIL di ciascun
paese esportata verso altri paesi dell’UE negli anni 1993,
1998 e 2003. Questo periodo è di particolare interesse perché copre l’entrata in vigore del Mercato Unico Europeo nel
1993 e l’introduzione dell’euro nel 1999, due e venti che
avrebbero dovuto stimolare gli scambi tr a paesi par tner.
Anche se la maggior par te delle economie ha presentato
un aumento del commercio intr a-UE a par tire dal 1993, la
maggior parte continua a esportare meno del 20% del proprio PIL verso altre economie dell’UE, e, per alcuni dei paesi più grandi, quali la Francia e l’Italia, questa percentuale è
più vicina al 10%, indicando che il commercio intra-UE continua a essere inferiore a quello che potrebbe essere considerato necessario affinché la maggior parte dei paesi formi
un’area monetaria ottimale. Tuttavia, a quanto pare, esistono tre g ruppi di paesi che sono simili, ma non identici, a
quelli identificati nella Figura 29.7. In primo luogo, alcuni dei
paesi che usano l’euro hanno visto un aumento del propr io
commercio intra-UE a partire dal 1998. Ciò vale in partico-
60
50
40
30
20
Grecia
Italia
Francia
Spagna
2003
Unione europea
1998
Gran Bretagna
1993
Germania
Finlandia
Svezia
Danimarca
Austria
Olanda
0
Irlanda
10
Belgio
Percentuale del PIL
70
Portogallo
714
Figura 32.8
Esportazioni intra-UE come percentuale del PIL, 1993, 1998 e 2003.
Le esportazioni intra-UE sono rappresentate come percentuale del PIL di ciascun paese.
Il commercio intra-UE è più importante per i paesi più piccoli. Anche se la maggior parte
dei paesi presenta un aumento del commercio intra-UE a partire dal 1993, i più continuano a esportare meno del 20% della produzione totale verso altre economie dell’UE.
Fonte: The European Economy (Spring 2004). European Commission, ec.europa.eu/
economy_finance/publications/europeaneconomy_en.htm/.
Principi di economia 3/ed
Robert H. Frank, Ben S. Bernanke, Moore McDowell, Rodney Thom
Copyright © 2010 - The McGraw-Hill Companies srl
CAPITOLO 32 UNIONE MONETARIAC715
CAPITOLO 29 UNIONE MONETARIA: LA TE
lare per le economie dell’Euron ucleo quali l’A ustria, il
Belgio, la Ger mania e l’Olanda. Però, altri paesi dell’euro
quali la Francia e l’Italia hanno visto una lie ve diminuzione
delle proprie esportazioni intra-UE a partire dal 1998. In secondo luogo, la Gran Bretagna e la Sv ezia, due dei paesi
che hanno optato di non ader ire all’euro, hanno visto diminuire le propr ie esportazioni intra-UE a par tire dal 1998,
mentre il terz o paese, la Danimarca, ha visto in vece aumentare il proprio commercio intra-UE. Infine, la Finlandia,
la Grecia, l’Irlanda e la Spagna, il g ruppo di paesi dell’euro
che la Figura 32.7 colloca fuori di una possibile area monetaria ottimale, hanno visto tutte una crescita n ulla oppure
una diminuzione delle espor tazioni intra-UE a par tire dal
1998. Come nel caso dei dati sugli shoc k di domanda e di
offerta, questi indicano che, se esiste un’area monetaria ottimale, al presente essa è limitata a un gruppo di economie
dell’Euronucleo quali l’A ustria, il Belgio , la Ger mania, la
Francia, l’Italia e l’Olanda. Alcuni dati aggiuntivi sono forniti
dal Naturalista economico 32.5.
Naturalista economico 32.5
La politica monetaria unica è appropriata per
tutti i paesi?
Nell’Eurosistema si applica una politica monetar ia unica
a tutti i paesi partecipanti. I tassi di interesse stabiliti dalla BCE a F rancoforte sono validi da Galway a Vienna e
da Helsinki a Siviglia. Se le economie dell’Eurosistema
sono sincronizzate e hanno di fronte sim ultaneamente
problemi simili, allora è probabile che il tasso di interesse comune (o unico) sia appropr iato per tutti i membr i.
D’altra parte, se le economie nazionali non sono sincronizzate e hanno di fronte prob lemi diversi, allora il tasso
di interesse comune non sarà appropriato almeno per alcuni paesi membri.
Consideriamo ora il seguente quesito: se le banche
centrali nazionali fossero libere di stabilire il tasso di interesse più appropriato per le propr ie economie, stabilirebbero i tassi allo stesso livello a cui li stabilisce la BCE? Se
la risposta è affermativa, allora possiamo considerarla come prova del fatto che tutte le economie siano sincronizzate e che la politica monetar ia unica sia appropr iata per
tutte. Oppure, se la risposta è negativa, allora essa indica
che alcune economie non sono sincronizzate e che la politica monetaria unica non è appropriata per tutte.
Due economisti spagnoli della Univ
ersidad de
Cantabria (UNICAN), Adolf o Maza F ernández e Blanca
Sánchez-Robles, hanno fornito una risposta usando la regola di Taylor per stimare i tassi di interesse ottimali per
ogni paese nell’Eurosistema [F ernández e SánchezRobles (2004)]. Come abbiamo visto nel Capitolo 26 la re-
gola di Taylor può essere usata per illustr are la politica
della banca centrale e può essere scritta nella forma
r=a−b
(Y * − Y )
+ c(π − π * )
Y*
Come nel capitolo 26, r è il tasso di interesse stabilito dalla
banca centrale, espresso in f orma decimale (per esempio,
5% = 0,05); Y* - Y è il gap di produzione (output gap) corrente (la differenza tra la produzione potenziale e la produzione effettiva); (Y* - Y)/Y* è il gap di produzione riferito alla
produzione potenziale, p è il tasso di inflazione effettivo e p*
è il tasso di inflazione obiettiv o della banca centr ale. Sia p
sia p* sono espressi in f orma decimale (per esempio , un
tasso di inflazione del 2% è espresso come 0,02). Secondo
la regola di Taylor, la banca centrale risponde sia ai gap di
produzione sia alle de viazioni del tasso di inflazione dal livello obiettivo. I coefficienti b e c descrivono l’intensità di
queste risposte. Per esempio, se b e c sono entrambi uguali a 0,5, allora la formula implica che, se si sviluppa un gap
recessivo uguale allo 0,01 della produzione potenziale , la
banca centrale ridurrà di 0,5 punti percentuali (cioè, di 0,5 ¥
0,01 = 0,005) il tasso di interesse reale . Similmente, se il
tasso di inflazione aumenta di 1 punto percentuale (0,01) rispetto al livello obiettivo, secondo la regola di Taylor la banca centrale aumenterà di 0,5 punti percentuali (0,005) il tasso di interesse reale . Il coefficiente a stima il tasso di interesse stabilito dalla banca centrale quando Y = Y* e il tasso
di inflazione è il tasso di inflazione obiettivo.
Basandosi sulle proprie stime dei parametri a, b e c e
sui dati eff ettivi per l’inflazione e i gap di produzione ,
Fernández e Sánchez-Rob les (2004) r iferiscono i tassi
di interesse che sarebbero stati ottimali per ogni economia nel per iodo gennaio 1999-gennaio 2003.
Confrontando questi tassi di interesse con quelli stabiliti
dalla BCE si può calcolare un indicatore di quanto sia
appropriata per ogni paese la politica monetar ia unica.
La Figura 32.9 riassume i r isultati per il 2001 e il 2002.
Ogni colonna rappresenta la differenza fra il tasso di interesse ottimale del paese e il tasso di interesse medio
stabilito dalla BCE in quell’anno , il 4,27% nel 2001 e il
3,21% nel 2002. [Fernández e Sánchez-Rob les (2004)
usano tassi di interesse nominali in vece di tassi di interesse reali.] Un valore positivo indica che il tasso di interesse stabilito dalla BCE è inf eriore a quello che la banca centrale nazionale avrebbe stabilito se avesse potuto
determinare indipendentemente la politica, mentre un
valore negativo indica l’inverso. Maggiore è il v alore assoluto, maggiore è la diff erenza tra tasso ottimale del
paese e tasso della BCE.
I risultati sono ampiamente compatibili con quelli presentati nei Naturalisti economici 32.3 e 32.4. Per le economie del cosiddetto Euron ucleo, quali A ustria, Belgio,
G
p
ar
p
te
p
716
PARTE 9 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE
questi paesi abbiano visto gap di produzione e tassi di inflazione notevolmente diversi dalla media dell’Eurosistema.
Per esempio, nel 2002 il gap di produzione ( Y* - Y)/Y*
dell’Irlanda è stato pari al –2,3% rispetto allo 0,1% per l’intera area dell’euro. Similmente, il tasso di inflazione ir landese è stato pari al 6%, ossia è stato di circa il 4% superiore alla media dell’euro per il 2002. Quindi, la politica monetaria unica può essere appropriata per alcuni paesi membri
dell’Eurosistema, ma non per tutti.
Germania, Francia e Italia, la differenza fra il tasso ottimale
previsto per ciascuna economia e il tasso eff ettivo della
BCE è minore dell’1%, la qual cosa indica che esse sono
servite bene dalla politica della BCE. Cioè, la politica monetaria unica è, a quanto pare, appropriata per queste economie. All’altro estremo della scala, paesi quali la Grecia,
l’Irlanda, l’Olanda e il P ortogallo hanno richiesto, a quanto
pare, tassi di interesse molto più alti di quelli stabiliti dalla
BCE. Questa differenza è dovuta in gran parte al fatto che
DOMANDE DI RIPASSO
1. Quali sono i principali costi e benefici di un’unione monetaria? Qual è la relazione tra questi costi e benefici e il livello di integrazione economica tra paesi partner?
2. Vi chiedono di consigliare il parlamento scozzese sull’argomento economico secondo cui la Scozia dovrebbe usare come moneta l’euro invece della sterlina. Nella vostra relazione indicate i punti principali.
3. Fate alcuni esempi plausibili di shock simmetrici e shock
asimmetrici.
4. Circa il 70% delle importazioni irlandesi e il 30% delle
esportazioni riguardano paesi esterni all’area dell’euro.
Usando un diagramma come la Figura 32.1 o 32.2, illustrate come un rilevante apprezzamento dell’euro contro altre
valute potrebbe influenzare l’economia irlandese.
5. Perché è improbabile che la BCE reagisca agli shock asimmetrici entro l’Eurosistema?
6. Supponete che un paese dell’Eurosistema subisca uno
shock negativo di domanda. Se la BCE non reagisce varian-
do i tassi di interesse dell’euro, come potrebbe questa economia effettuare l’aggiustamento allo shock?
7. Spiegate come l’inerzia inflazionistica bassa e la flessibilità
del mercato del lavoro possono compensare la perdita dell’indipendenza delle politiche quando un paese aderisce a
un’unione monetaria.
8. Siete d’accordo con la posizione della Gran Bretagna secondo cui il paese non sarà in grado di aderire all’euro finché l’economia britannica non sarà pienamente integrata
con quella dell’Eurosistema?
9. Supponete che i valori stimati dei parametri della regola di
Taylor siano a = 0,03, b = 0,4 e c = 0,6. Per un particolare
paese dell’Eurosistema, la produzione potenziale Y* = 100,
la produzione effettiva Y = 105, il tasso di inflazione π =
4% e il tasso di inflazione obiettivo π* = 2%. In base alla
regola di Taylor, qual è il tasso di interesse ottimale per
questo paese? Se la BCE stabilisse il tasso di interesse al
3%, quali problemi questo paese potrebbe avere di fronte?