Grazie per l'invito e grazie a chi si appassiona e organizza queste cose con alacre dedizione e amicizia e grazie a voi per essere qui questa sera. Noi stasera commentiamo l'ultima delle ʽasèreth haddevarìm, delle Dieci Parole che, come voi sapete, hanno due occorrenze, una nel Libro dell'Esodo e una nel Deuteronomio. E nelle due occorrenze – abbiamo visto anche in relazione ad altre delle dieci Parole – non sempre il testo è lo stesso. Fondamentalmente sono le medesime cose, ma a volte il linguaggio è leggermente diverso. Faccio un esempio classico: in una versione abbiamo דוׁששו ֹו לּדַקק ּד ד,ת, ב יֹוו ם ַקהוׁשַקדש תָּבד-ת, א ( תָּבזוכֹוו ר אzāḵōr et-yōm hašabbāt) e in un'altra versione abbiamo דוׁששו ֹו לּדַקק ּד ד,ת, ב יֹוו ם ַקהוׁשַקדש תָּבד-ת, א וׁשתָּבשֹומֹוו ר א, (šamor et-yōm hašabbāt lekaddešō), in una versione è scritto di fare memoria del giorno di Shabbat, nell'altra è scritto di custodire, preservare, lo Shabbat. Fondamentalmente è lo stesso comandamento, anche se articolato in maniera diversa. Anche l'ultima delle parole ha una differenza: אוׁשאש ר לּדר רעא תָּב שת ר רעא תָּב ב ב תית ר רעא תָּב,ד,מ (Esodo: .ך א,וכל ו ּד ֹו,ֹומ רֹוו ח ֹו תו ֹו ו ּדוׁששֹוו רו ֹו ַקו א, ֹומ א תָּב דו ֹו ַקו א ב ד ו ּדַקע ּד,ך ד אב ׁש,מ ת תחְח ֹמ-ך ; }ס{ ֹמלא ֹולא ת תחְח ֹמ {) }פ אוׁשאש ר לּדר רעא תָּב שת ר רעא תָּב (Deut. .ך א,וכל ו ּד ֹו,ֹומ רֹוו ח ֹו תו ֹו וׁששֹוו רו ֹו ַקו א, ֹומ א תָּב דו ֹו ַקו א ב ד וׁשתָּבשרדהו ד ו ּדַקע ּד,תַקאאדוה ב ב תית ר רעאתָּבך, ת ּד, ך ; }ס{ ו ּדֹולא ת אב ׁש,ד,מ ו ּדֹולא ת תחְח ֹמ {) }ס Nell'Esodo noi troviamo questo verbo (su cui indagheremo un po' in seguito, ֹומד תחּד ֹו, “ ֹולא ַקnon desiderare” lo ṯaḥmōḏ) seguito dalla casa, poi dalla donna, gli schiavi e gli animali... nel Deuteronomio troviamo invece prima la donna, poi la casa e successivamente il resto. Dico subito che l'esegesi tradizionale dell'ebraismo, per cui sia il Midrash in antichità, sia Rashì in epoca medievale, hanno facilità e agio a spiegare il motivo della differenza, nel senso che la casa e la donna rappresentano due delle categorie fondamentali in cui la vita degli esseri umani si realizza. Anteporre la casa significa sottolineare quelle che sono le caratteristiche esistenziali primarie di beni materiali di una persona. La casa significa la dimensione dell'avere, che è una dimensione imprescindibile da come noi siamo fatti. Non siamo in una ideologia di comunismo dei beni e di negazione del diritto di proprietà: la Torah questo non ce lo chiederà mai. La proprietà può avere delle attenuanti, degli strumenti che vadano a limitare il troppo, dei criteri di condivisione di quello che si ha, dei criteri anche per amministrare quella che è la דקה,( צtzedakah), cioè la caritativa, ma la proprietà è fatta salva. Anche nella preghiera la proprietà è fatta salva. Si dice che l'aria intorno all'ebreo che prega (di solito l'ebreo prega in piedi) è la spettanza rituale di spazio che gli compete, perché noi occupiamo uno spazio. Allora, questa dimensione spaziale, che è imprescindibile da ciò che noi siamo, polvere, cenere,... carne e sangue, non si può prescindere. Non si può fare il salto utopistico e un po' cretino per cui tutto questo non c'è. Questo c'è ed è fondamentale, e deve avere una sua tutela, un suo mutuo riconoscimento, un suo rispetto, una sua educazione a saperlo gestire, a saperlo amministrare e vivere al meglio. Quando viene messa prima la casa, si insiste su questa dimensione. Cosa vuol dire quando si parla invece della donna? La donna rappresenta qualcosa di molto chiaro, rappresenta la possibilità di futuro. Ricordo sempre che l'Opera della Creazione, a livello di lettura spiccia e senza andare in grande esegesi, procede dal più semplice al più complesso, si va da ciò che è inanimato a ciò che è animato. Si va da ciò che è meramente materiale, a ciò che è materiale, ma anche spirituale, e tutto questo procede per una serie di cadenze, di momenti scanditi. Tutta questa è una dimensione materiale e fisica, è una dimensione profana e non sacra, perché la prima volta che nella Bibbia compare la parola “sacro” è legata al secondo versetto del Sefer Bereshit, del Libro della Genesi, che dice... e benedisse il Signore il giorno settimo e lo consacrò בא ר ּד ַקוי ּדַקקדרדֵדוׁשש,עי בי ת יֹוו ם ַקהוׁשּדדש ת-ת, א הי ם א אֹול ת ך א ַקוי ּד תָּב Vayḇāreḵ 'Elōhîm et-yōm haššəḇîî vayqaddêš Tutto ciò che non è sacro, è profano. Il giudizio che la Genesi da, che Dio da, di ciò che è profano, di ciò che è materiale, di ciò che è fisico, é: e vide il Signore che era cosa buona טֹווב-וכי תד,הי ם אֹול ת ַקויַק דּד רא א vayyar 'Elōhîm kî-ṭōḇ in alcuni casi anche molto buona (אד ֵדטֹווב ֹומ ֹא ֹו – ּדṭōḇ mə’ōḏ). Ora, qual'è l'ultima realtà creata? La donna. La donna, come l'uomo, è creata nell'immagine di Dio. A livello temporale, dentro la narrazione della Torah, se prendiamo il Capitolo secondo, Eva viene creata dopo Adamo, viene creata da un fianco di Adamo. Se prendiamo il primo Capitolo di Genesi, nel versetto 27, è scritto: ת ם׃, רא א ֹו ָתתָּב ב תָּב ָ֥ר בה תָּבד וכ ר ו דנ ּדרק תָּב ֵד תו ז תָּב ָ֥רתָּב, רא א ֹו ֹא ֹו ב תָּב ָ֣ר הי ם תָּבד אֹול ת ֵד ל ם א צ ָ֥ר א ב א ֹומו ּדד בַקצלּד מ ֹו אתָּבד ם ם ּדד ת־התָּב ָת תָּב, א הי ם ׀ א אֹול ת ִה ב תָּב ר רא א ַקוי ת ד ּד vayybrā 'Elōhîm 'et-hā’āḏām bəṣalmōv bəṣelem 'Elōhîm bārā ’ōṯōw, zāḵār ūnəqêḇāh bārā ’ōṯām. E creò Dio l'essere umano attraverso l'immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. Anche qua, a livello consequenziale, ma anche temporale, la donna viene dopo. E la donna è colei che passa la vita. Ora vorrei specificare: è facile fare una serie di derive femministe... ma per mantenere la vita bisogna essere in due, ci vuole un uomo e una donna. Il contributo dell'uomo è però abbastanza circoscritto a livello temporale. La donna, per l'intero periodo della gestazione tiene in sé una vita, che è in sé, ma che è altro da sé, e sperimenta poi che quella vita si stacca da sé e viene procede in maniera autonoma, anche se ha comunque bisogno della cura parentale da parte della donna. Per cui è qualcosa che rende la donna su uno status molto alto a livello spirituale rispetto a tutto il resto della creazione, perché l'uomo non esperisce questo, non ha questa capacità di creare. É sensibilmente diverso. Ora il legame della donna con i figli, non è una cosa “soltanto”, tra molte virgolette, di natura biologica, ma nella Torah, nella tradizione d'Israele, i figli sono la benedizione spirituale di Israele. Nel Capodanno ebraico un vecchio adagio dice: “Tizkù le shanim rabbot ne'imot ve tovot ha banim im ha avot be dizzà uv zahalà” Possiate meritare anni belli e buoni con i figli insieme ai loro padri in gioia e in allegria.. La benedizione sul figlio è la vera benedizione spirituale di cui la Bibbia parla. Se guardate la prima benedizione che Isacco da a Giacobbe, quella che sarebbe stata per Esaù: ... Dio ti conceda rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto. Ti servano i popoli e si inchinino di fronte a te le genti. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. … Quella era la benedizione per Esaù, non per Giacobbe. Se voi badate, Giacobbe viene poi benedetto da Isacco e la benedizione per Giacobbe sono i figli e la terra: «... Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi, sì che tu divenga una assemblea di popoli. Conceda la benedizione di Abramo a te e alla tua discendenza con te, perché tu possieda il paese dove sei stato forestiero, che Dio ha dato ad Abramo» Questo per far capire che non è che uno è benedetto e un altro no. Si è tutti benedetti, ma la benedizione è diversa, perché legata a chi è destinatario della benedizione. Infatti quando Giacobbe, Israel, rincontrerà Esaù – tra l'altro, se vi capita di andare a Milano, adesso c'è la Mostra di Hayez e c'è il bellissimo incontro di Ya'aqov con le sue mogli, le sue concubine e i suoi figli, ed Esaù. Nel quadro si vede che Hayez ha letto la Bibbia perché dietro le dune ci sono tutte le truppe schierate (erano le truppe di Esaù che aspettava al varco il fratello per fargliela pagare) e c'è Giacobbe inchinato. Giacobbe si inchina 7 volte... e qual'è la benedizione che Giacobbe rubò ad Esaù? “... Ti servano i popoli e si inchinino di fronte a te...” il potere. Giacobbe gliela restituisce. Si inchina sette volte, gli restituisce la benedizione che gli era dovuta: tienti il potere, tieniti i soldi... questa è la tua benedizione, goditela. La benedizione di Ya'akov Israel era un'altra: i figli e la terra d'Israele, perché sono le due realtà spirituali che costruiscono l'identità ebraica. Le donne rappresentano questo. Chi gestisce la salvezza del popolo ebraico in Egitto, sono le levatrici che salvano i bambini. Chi fa si che la Berakah di Isacco passi da Esaù a Giacobbe, è Rebecca. Chi fa si che Isacco non abbia rapporti pericolosi con Ismaele, è Sara (dico rapporti pericolosi perché la parola ebraica məṣaḥêq חק ֹומַקצ ר ָת ּדviene erroneamente tradotta “scherzava”, ma il Midrash spiega bene che le altre occorrenze di questa parola nella Bibbia riguardano giochi di natura sessuale e il culto legato all'idolatria. È per quello che Sara scaccia Ismaele, perché quel verbo ricorre in quei contesti). E sono ancora le donne che portano avanti molte volte la salvezza di Israele, si pensi a Ruth, si pensi ad Ester, si pensi a Dvora, la profetessa Deborah. É per questo che la seconda dimensione, non desiderare la donna d'altri, insiste sulla dimensione spirituale. Ora, a questo punto devo dire che nell'altra occorrenza viene aggiunto un verbo che riguarda concupire e qua si entra in una dimensione assai complessa. I comandamenti che gli ebrei hanno ricevuto sul Sinai non sono 10. Come è noto, i precetti che noi dobbiamo osservare sono 613 e non tutti sono osservabili da tutti. É chiaro che i precetti che riguardano la donna non devono essere osservati dagli uomini e vice versa, chi è Cohen, cioè sacerdote discendente dalla famiglia Cohen, ha dei precetti che gli altri non devono osservare, chi è Levi, della famiglia Levi, ha dei precetti che riguardano la tribù di Levi e che gli altri non devono osservare. Ci sono tutti i precetti riguardanti il Santuario, che è andato distrutto e quindi non sono osservabili.... quindi dei 613 precetti, quelli osservabili oggi sono abbastanza pochi. Alcuni precetti sono osservabili soltanto se si vive in Israele. Da sempre, nelle feste solenni, chi vive in diaspora fa due due giorni di festa, in Israele uno solo. Voi siete in anno giubilare. L'anno giubilare viene prescritto nella Torah ogni 7 settimane di anni: 7x7 49, scatta l'anno di shemittah che è il quarantanovesimo e il cinquantesimo è l'anno giubilare. La Torah dice che su sette anni, sei anni si lavora e il settimo è anno sabbatico, shemittah. Sette settimane di anni, il cinquantesimo è anno giubilare. L'anno giubilare si applica soltanto dove possibile applicarlo, nella terra d'Israele. Per la Bibbia, l'anno giubilare non si può applicare fuori dalla terra d'Israele. É possibile applicare l'anno giubilare se si vive fuori? L'anno giubilare non può essere applicato, perché per essere applicato tutto il popolo dovrebbe essere in terra d'Israele, quindi l'anno giubilare noi non l'abbiamo, perché tutto il popolo non è in terra d'Israele. Per l'anno sabbatico, è sufficiente che una parte consistente del Popolo sia in Israele. Quando a metà '800 gli ebrei si sono organizzati (ci sono sempre stati), si pose il problema legittimo se osservare o meno l'anno sabbatico e vennero interrogati i più importanti rabbini dell'epoca, perché l'anno sabbatico prescrive di non lavorare i campi. Siccome Israele è nato strappando terra dal deserto, sin dall'inizio, a cominciare dalla città di Tel Aviv che non c'era fino al 1909, era puro deserto, la domanda che fecero i primi stabiliti in maniera organizzata in Israele era: se non coltiviamo la terra per un anno, salta tutto. Cosa facciamo? Facciamo una vendita fittizia ad un terzo, così la possono coltivare perché non è formalmente nostra? É permesso? … e così, dopo circa 2000 anni, questioni che riguardavano precetti non applicati sono tornate ad essere applicate. L'anno scorso in Israele era anno di shemittah, e gli ebrei religiosi – come il sottoscritto – quando vedevano nei supermercati melograni, o papaye, o datteri che venivano da Israele, non li compravano, per il dubbio che chi li aveva coltivati non avesse osservato l'anno sabbatico. Dall'esterno queste cose non si capiscono, però questa è la religione ebraica. Lo Stato d'Israele – che può avere tutti i difetti che vuoi – può prescindere dalla religione ebraica, perché è stato fondato da ebrei laici. Ma la religione ebraica non può prescindere dalla terra d'Israele. Questo è complicato da far capire. I precetti si possono dividere in positivi e negativi: precetti positivi come osservare lo Shabbat... amare Dio, e precetti negativi, come non uccidere. Si possono dividere ancora i precetti tra i precetti dei Bnei Noah, cioè i precetti che dovrebbero seguire tutti, ebrei e non ebrei, e i precetti riguardanti la casa d'Israele, quindi riguardanti soltanto gli ebrei. Il pensiero ebraico ha poi diviso i precetti in un'altra categoria – poi arrivo a non desiderare - ci sono le così dette Mitzvot Sikhliyot (precetti intellettivi, razionali) e le Mitzvot Shimiyot (precetti uditivi, rivelati). Ci sono dei precetti che sarebbero evidenti, anche se Dio non ci avesse detto di osservarli, come non uccidere, e ci sono precetti che sono osservabili soltanto se Dio ci dice di farlo, come non mangiare il maiale o osservare l'anno sabbatico... non ci si arriva razionalmente. Il fatto che i precetti razionali, che l'uomo potrebbe individuare anche senza la rivelazione, vengano rivelati comunque, è perché normalmente l'uomo può pensare male. Il ragionamento o il desiderio dell'uomo possono far diventare fallace il nostro intelletto ed è per questo che Dio ha ribadito, rivelandoli, anche quelli razionali. La maggior parte dei precetti della religione ebraica sono precetti pratici: fai – non fai. Bisogna dire la benedizione prima di mangiare o bere qualcosa, bisogna avere una vita sessuale ben determinata, ma sono pratici, riguardano attitudini o sociali comportamentali, di natura etica (ad esempio dare la beneficenza, salvare una vita, seppellire i morti), o di natura rituale (non lavorare di sabato). Tutto questo sistema che funziona ha due categorie che non sono azioni e che fanno sembrare tutto questo sistema totalmente strano. Prima categoria. Shema' Ysrael, Ado-nai Eloheinu, Ado-nai ehad. Ehad in ebraico significa sia uno che unico. «Ascolta Israele il Signore è nostro Dio. Il Signore è uno. Benedetto il Suo nome glorioso per sempre. E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze....» E amerai il Signore tuo Dio... Un momento, un'azione è prescrittibile, ma non è prescrittibile l'amore. Come fai ad imporre l'amore? E con Dio va ancora bene! E amerai il prossimo tuo come te stesso... e come fai a prescrivere l'amore per il prossimo? Leggi: prossimo = potenziale rompiscatole. E amerai lo straniero... ancora peggio! Come si fa a prescrivere l'amore? Eppure è prescritto. E arriviamo al nostro comandamento: NON DESIDERARE … viene interdetto il desiderio. Per la prima volta (ed è anche l'unico caso, assieme all'amore di Dio) la Bibbia insiste sul pensiero. Di solito i rabbini dicono che non è importante quello che pensi, ma quello che fai. Qua c'è scritto: «non desidererai». E qua cominciano i guai, perché il desiderio non è soltanto pensiero, è anche impulso, è anche emozione, è qualcosa di istantaneo e contemporaneo, c'è qualcosa in quella vita magmatica che tutti noi esperiamo che è difficilissimo disciplinare. Cosa vuol dire richiedere una disciplina ferrea sul pensiero? É un problema. Nel pensiero ebraico, sia in quello razionalista che in quello mistico, questo è un comandamento tra i più difficili. Siccome il pensiero è la realtà propria e Dio ha creato il mondo parlando, cioè esprimendo pensieri, quindi pensando, peccare con il pensiero è tra i peccati più gravi. E qua siamo completamente fuori dalla nostra contemporaneità, perché parlare di queste cose nella società contemporanea è tabù, il che vuol dire e sostenere fondamentalmente che Dio giudica, enumera, conosce i nostri pensieri, cioè quanto di noi abbiamo di più intimo, riservato e che spesso non riusciamo neanche a portare a conoscenza di noi stessi. Dio conosce i nostri pensieri e con il pensiero si può peccare. Questo c'è anche nella tradizione cattolica: ho peccato in pensieri, parole, opere e omissioni... È difficile dire che si pecca con il pensiero in una società che pensa a tutto come una realtà materiale, o se è realtà spirituale è spray, volatilizzata a livello emotivo.... E invece i pensieri sono importanti. Per i cabbalisti il nostro pensiero è in tensione con quello di Dio, quindi attenzione a quello che si pensa, perché potrebbe avere riflessi in sfere più alte. Maimonide, che non era un mistico, ma un razionalista, dice: sulla conoscenza sarà l'amore. Sulla conoscenza di Dio, sul pensiero umano che pensa Dio, siccome pensa a un qualcosa di eterno, garantisce che l'anima si eternizzi e non perisca dopo la morte. L'anima che non pensa a Dio, muore con la morte del corpo. Devo dire che è consolatorio... Se l'anima dimora in Dio, l'anima riesce a superare la morte corporale. Non è un'opinione condivisa, anzi, la pensa così solo Maimonide... ma è pur sempre Maimonide... e ogni tanto mi consolo e penso: magari aveva ragione e un po' di gente non la vedo... Ciò non toglie che il pensiero è un qualcosa di estremamente delicato. I rabbini si preoccupano del pensiero, perché se noi abbiamo un pensiero, un desiderio, un qualcosa che è un impulso molto forte, se sostiamo su questo impulso altrimenti proibito e ci crogioliamo in esso, alla fine faremo la cosa proibita. Se uno vuol tanto una cosa, proverà in tutti i modi ad averla onestamente, ma alla fine, se non riuscirà a disciplinare il pensiero, commetterà una violazione. É il caso di David con Betsabea, è il caso del re Acab con il povero Nabot, che aveva una così bella vigna, il re cercò di comprarla e alla fine Nabot venne lapidato. Perché il pensiero erroneo in cui uno dimora alla fine porta all'azione sbagliata. Non solo, ma se noi ci abituiamo ad una certa azione, alla fine noi saremo quell'azione, sia nel bene che nel male. Tendiamo ad essere abitudinari, quindi più noi iteriamo una cosa, più questa cosa è nostra. Più mi abituo a fare cattivi pensieri, più io in qualche modo esprimerò questi cattivi pensieri. Questo è il problema. Ciascuno di noi, con tutte le migliori intenzioni, sa che anche se armato di una entusiastica e muscolare forza di fede, quando si trova sul cavallo matto del rodeo del desiderio, sperimenta normalmente una cosa: che viene disarcionato. É successo a tutti. Tornando allo Shemà Israel, lo Shemà Israel ha un problema linguistico grammaticale: e amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore... Ma non c'è scritto “con tutto il tuo cuore” in ebraico. C'è la doppia bet, è un duale e letteralmente si traduce “con tutti i tuoi cuori”. L'interpretazione che dà l'ebraismo è che nell'uomo ci sono due istinti, Yetzer ha-Tov, e Yetzer ha-Ra, l'istinto al bene e l'istinto al male. Si ama Dio con entrambi gli istinti. Si ama e si serve Dio sia con l'istinto al bene, sia con l'istinto al male. L'istinto al male sono gli istinti della nostra umanità, che sono però buoni perché sono suscettibili di essere ricondotti al servizio di Dio. Anzi, i maestri d'Israele dicono che senza lo Yetzer ha-Ra, senza l'istintualità felina, il mondo cesserebbe di esistere, perché senza l'istintualità felina probabilmente l'uomo non vorrebbe possedere la donna e la donna non vorrebbe farsi possedere, e non si farebbero più bambini. È la passione che muove l'uomo e la donna per un unione sessuale, che è una cosa estremamente delicata e sacra. È la passione, è ha voglia di incidere su questo mondo, è una forza, un'energia vitale che ti fa dire “io voglio fare un'impresa... voglio scoprire l'America” (anche se pensava alle Indie)... è quello che ti fa risolvere un problema e porta avanti la ricerca scientifica, è quello che ti fa creare un'industria... è la voglia di esistere e di affermarsi. Senza questa voglia, il mondo è morto. Il problema è che questa voglia che fa parte di noi deve essere ricondotta all'amore di Dio. Con tutti i due cuori l'essere umano deve servire Dio. Noi non siamo realtà spirituali svolazzanti che suonano la cetra e intonano inni, abbiamo passioni, abbiamo fragilità, abbiamo aggressività, abbiamo errori, abbiamo voglia di vivere, abbiamo energia. Questa energia deve essere presa e ricondotta per servire Dio, il che significa sapere che questo ha una sua forza. Se avete capito questo discorso, capirete perfettamente da dove è nata l'idea della psicoanalisi. La psicoanalisi sta dietro a questa riflessione, laicizzata, perché l'humus culturale, il background generazionale è questo: ricondurre il desiderio al servizio di Dio. Per spiegarvelo meglio voglio utilizzare due espressioni (premetto che, come avrete capito, i desideri non sono desideri di natura sessuale). Nel Talmud uno dei più grandi maestri di Israele che si chiamava rabbi Yochanan, uomo molto bello e si narra che c'erano addirittura donne che cercavano di sbirciare l'uscita del rabbino dal bagno rituale sperando che i figli nascessero belli e sapienti come rabbi Yochanan. E viene introdotto un altro personaggio, Resh Laqish, il quale – secondo le varie versioni che abbiamo – era o un lottatore nei circhi e nei teatri, cosa proibita e sulla quale c'era un grosso discredito da parte rabbinica, o un ladro. Comunque era un uomo energico e senza troppi scrupoli. Vede bagnarsi rabbi Yochanan e ha una pulsione sessuale nei suoi confronti ed entra in acqua. Rabbi Yochanan si volta e dice: una pagina di Torah per il tuo istinto. Non c'è nessun giudizio morale. C'è scritto: studiamo insieme Torah e la forza che hai applicala alla Torah. Per studiare Torah si fa fatica. Ti affatichi perché si discute, si litiga... ti tirano scemo. Bene, premetto subito che questo succede e Resh Laqish è uno dei grandi maestri d'Israele. Quando alla fine Resh Laqish litigherà molto violentemente con rabbi Yochanan, perché uno la pensava diversamente dall'altro, e verrà sbattuto fuori dalla porta dell'Accademia rabbinica dal rabbino Yochanan, Resh Laqish morirà per l'umiliazione e rabbi Yochanan, non avendo più il suo compagno di studio, inizierà ad urlare in totale disperazione ai suoi discepoli (che erano ormai grandi, maestri): “ma tu non capisci niente! Resh Laqish mi stimolava lo studio, quello che tu mi dici lo so già...” e alla fine morirà anche Rabbi Yochanan. Una pagina di Haggadah, quindi di narrativa, molto bella che sarebbe bello leggere con voi. Questo da l'idea di cosa significa fare attenzione ai nostri pensieri. I nostri pensieri possono essere molto pericolosi. Si può desiderare ciò che un altro è, non nel senso positivo per cui cresco facendo un imitatio della persona, ma uno può desiderare di essere al posto di qualcun altro. Per esempio, non adesso, ma per secoli la Chiesa ha voluto essere al posto di Israele, la sostituzione. (Mica solo la chiesa...) Uno può pensare – ed è un pensiero che tutti abbiamo, sia come singoli, sia come entità collettive – “se questo non ci fosse!” un pensiero che gli ebrei hanno sperimentato... Qualcuno dice: il mondo dopo la morte sarà un posto migliore... dopo la morte di chi? C'è questo pensiero e se uno si radica in questo pensiero, il pensiero porta in luoghi erronei. Il primo dei comandamenti dice: «Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa di schiavitù. …». Non c'è nulla come il pensiero che possa rendere schiavi. L'essere capaci di disciplinare il proprio pensiero – cosa difficilissima – e le proprie emozioni, sapendo che di questo renderemo conto dinnanzi a Dio, significa alla fine essere liberi. Perché siccome il nostro pensiero è la cosa più fragile, più privata e più intima, se il nostro pensiero è un'ombra dentro noi stessi e non una luce, fallisce tutto il resto. Per questo è il più difficile l'ultimo dei comandamenti ed è legato al primo, perché è l'ultima prova che si è diventati liberi. Grazie. Domande D. La disciplina del pensiero. Mi viene in mente il rapporto tra questa disciplina che intravedo e la sublimazione, perché mi chiedevo gli esercizi delle scuole rabbiniche sembrano anche esercizi per temperare l'aggressività, per chiarire il nostro pensiero. E se questa è disciplina, è assimilabile a quello che la psicoanalisi considera sublimazione... Premetto: i rabbini non si preoccupano di disciplinare il loro pensiero nei loro studi e di solito gli studi rabbinici sono studi di natura giuridica. La Torah, per come Israele la vive, è un fatto di azioni. Fondamentalmente, oltre ai brani biblici e al Talmud, di base si studiano responsi: questo è permesso, questo è proibito... per ogni cosa. Ci sono trattati su quello che riguarda se si può scongelare il sugo di sabato. Non è una cosa che fa ridere, è una cosa molto seria per la vita religiosa ebraica. Siccome si cambia lo stato di natura da una cosa congelata a una cosa calda, quindi disciolta, per gli ebrei osservanti il problema è se è permesso o proibito. Sono cose molto delicate, so che sembrano strane, lontane, ma sono questioni di questo genere, molto pratiche. Questioni molto pratiche anche in senso drammatico. Vi voglio fare un esempio, che è un po' greve, perché penso vi dia l'idea di come funziona. Come avrete capito, l'unione sessuale tra due coniugi è tra gli atti religiosi più sacri che gli ebrei possano realizzare, non a fine della riproduzione, ma per il piacere dell'unione dei coniugi, infatti sarebbe opportuno farlo di sabato, perché santifica lo Shabbat e perché l'unione tra uomo e donna, fisica e spirituale (non siamo corpi soltanto), rende presente nell'unione fisica Dio. Ish e ishah, ( )א תיוׁש אוׁשה, se prendete le lettere diverse si ottiene la parola תיהiah, Dio Allelu-ia הללו תיה, lodate Dio Vista questa cosa, viene posta una domanda al rabbino: sono un uomo di cinquant'anni, impotente, non posso prendere farmaci perché avrei problemi cardiaci, posso ricorrere a film un po' spinti per poter riuscire ad avere un rapporto completo con mia moglie? È talmente importante l'unione coniugale, che la risposta del rabbino è si. Un maestro del '900, il rabbino Menachem Mendel Schneerson, noto come il Rebbe di Lubavitch, un gruppo molto religioso, molto osservante, diceva alle mogli dei suoi devoti di vestirsi bene, di essere belle per piacere ai mariti e ai mariti diceva di tenersi bene, perché se vi tenete male possono derivare tante brutte cose. Questo non è bigottismo, è sapienza del reale, perché il reale non sta nell'iperuranico... queste sono idiozie di un altro tipo di pensiero, il reale è qui. Per cui i rabbini parlano di queste cose, non parlano di chissà quali teorie teologiche. Non gliene frega assolutamente niente. Se mi chiedete cosa ne pensa l'accademia rabbinica del pensiero di Hermann Cohen, Emmanuel Lévinas, Martin Buber, Heschel... zero, non gliene frega niente. Questo è difficile spiegarlo al mondo non ebraico. Per complicarvi la cosa, non è che non ci sia un pensiero in queste cose, c'è un pensiero molto forte. Emmanuel Lévinas stesso nelle letture del Talmud scrive: io mi permetto di proporvi letture del Talmud di natura narrativa, perché per quelle di natura giuridica ci vorrebbe un rabbino e io non sono in grado. Nel mondo ebraico, come nel mondo islamico - e mi spiace questa cosa in Occidente non l'hanno capita i nostri così detti intellettuali – se prendete i Nobel ebrei (e sono abbastanza), sono quasi tutti laici o atei, anche se sono ebrei. I Nobel ebrei di materie scientifiche, sono quasi tutti ebrei religiosi. É l'esatto contrario di quello che succede in occidente. Di solito gli umanisti sono credenti, ma trovare un credente tra gli scienziati è rarissimo. Da noi è il contrario. I rabbini che non studiano solo materie sacre, studiano matematica, fisica, botanica, agronomia... non studiano filosofia, perché si ritiene inutile. L'unica filosofia che in parte è passata è quella aristotelica, che per l'etica che ha è considerata quella più seria, l'etica mediana di Aristotele. Guardate che questo è lo stesso per il mondo islamico. Non è vero quello che dicono certi saccenti, secondo i quali sarebbero indietro di 500 anni. In Iran, in Arabia Saudita, negli Emirati, sono quasi tutti laureati in discipline scientifiche, che sono anche ben difficili da studiare, sennò l'uranio impoverito come lo trattano, senza ingegneri? Quella che viene rifiutata non è la cultura contemporanea, è la cultura umanistica della filosofia occidentale e della sua giurisprudenza degli ultimi 150 anni. È questo a cui si dice di no. Gli ebrei non dicono di no, perché hanno fatto parte di questa cultura e l'hanno riportata anche in Israele, a modo loro. La risposta del mondo islamico che più ringhia – ovviamente non è tutto uguale il mondo islamico – è che quella che viene rifiutata non è la cultura in quanto tale, è questa cultura. Lo fanno notare anche i rabbini più rigidi: se sposiamo questa cultura, faremo la fine dei cristianesimo in Europa, che è finito... non ci beviamo questo calice. È questo che non hanno capito i nostri intellettuali in Europa. Non è che viene rifiutata la cultura. Viene rifiutata la cultura post-illuminista, post secolare, laica, a livello giuridico e filosofico. La cultura scientifica è presa alla grande. Anche nel Medio Evo i musulmani come gli ebrei erano matematici, o astronomi... c'è stato qualche filosofo, ma in percentuale minima rispetto agli scienziati. Questo purtroppo pochi lo dicono ed è quello che l'Europa non ha capito. É chiaro che la disciplina del desiderio può portare potenzialmente a quella che alcune scuole psicanalitiche definiscono, pur con modalità diverse, sublimazione. Però qui non si vuole sublimare alcunché. Qui si sta dicendo di utilizzare questo istinto e non negarlo. La sublimazione funziona quando viene negato l'istinto, funziona fintanto che la cosa è carsica, cioè sta spuntando fuori un'eruzione vulcanica e tu metti giù il vulcano e dici no e quindi la sublimazione scorre sotto e poi vai da un'altra parte. Qua invece non viene negato che ci sono questi istinti, si afferma che ci sono, fanno parte della realtà umana. Non siamo ne' angeli, ne' animali, siamo esseri umani. Abbiamo un po' dell'angelo e un po' dell'animale, il che è interessante, altrimenti sapete che noia se fossimo tutti angeli? E si deve riconoscerlo. Maimonide dice nelle Hilchot Teshuvà, nelle Norme sulla Penitenza, che la persona che è abituata ad un comportamento erroneo, deve andare dal versante opposto. Ad esempio in caso di prodigalità (che è diversa dalla generosità) la persona deve comportarsi da avaro, cercare di fare una violenza su se stessa e per farlo deve riconoscere il comportamento erroneo. Chi invece è avaro, deve avere comportamenti da prodigo, deve spostare il vettore per poi cercare di arrestarsi nel mezzo. Per fare questo, devi riconoscerlo. D. Volevo chiederle un approfondimento rispetto al fatto che la Decima Parola dice di non desiderare lo schiavo e la schiava, ma non dice di non desiderare il marito. In rispetto a quanto lei diceva sulla figura della donna, volevo chiederle qualche specificazione in più sulla figura di Lilith. Sulla questione di Lilith sul Talmud c'è di tutto. La questione di Lilith è una questione che riguarda per di più i Cabalisti, è fatta da Midrash di Cabbalah in cui io non entro, nel senso che io non sono un cabalista e di base sono razionalista. Però questo mi aiuta per dire una cosa: nell'ebraismo convivono idee completamente diverse, perché per me il corpo dopo morto attende la resurrezione finale, punto. Per un cabalista, l'anima continua a reincarnarsi. Questo in qualsiasi altra religione avrebbe creato religioni diverse. Nell'ebraismo no. Siccome è una speculazione filosofico-teologica, puoi pensarla come vuoi. Se tu mi cambi l'osservanza a una pratica, questo mi fa problema. Entro certi limiti, ognuno può esprimere le sue opinioni, anche particolari, che sono diverse. Tutti affermiamo la resurrezione del corpo dopo la morte, in anima e corpo. Nell'interludio – di solito abbastanza lungo – tra quando moriamo e quando risorgeremo, secondo i cabalisti l'anima continua a reincarnarsi per completare un percorso di perfezionamento che si chiama Tikkun. E può reincarnarsi anche in realtà non umane. Ora, tutto questo è ebraismo ortodosso. É ortodossia ebraica l'una ed è ortodossia ebraica l'altra. La cosa che renderebbe eterodosso l'ebraismo è se uno mi dicesse di non rispettare più lo Shabbat. Non si trasgredisce un precetto della Torah, quello rende l'ebraismo eterodosso. Questo è difficile spiegarlo in un contesto che si basa per lo più sulla teologia, su dogmi, su canoni approvati su quello che deve essere creduto. Per noi quello che deve essere creduto è che Dio è uno. Adonai ehad. Niente di più. Circa la questione della donna, naturalmente riguarda entrambi, ma l'uomo a livello spirituale non ha la stessa forza della donna. Questo viene fatto notare già dal Midrash Rabbah . E poi c'è un'altra questione. Per i cristiani appaiono come i 10 Comandamenti, per noi i Dieci Comandamenti sono comandamenti che riassumono tutti gli altri. Sono una specie di radice in cui stanno tutti i 603, per cui bisogna capire cosa intende il comandamento secondo le specificazioni. In origine quei comandamenti riguardano il dono della Torah ad Israel sul monte Sinai. Se è il dono della Torah ad Israel sul monte Sinai, i comandamenti riguardano Israele, non le genti. Il cristianesimo – ed è quello che rende grande e difficile il rapporto tra noi - ritiene valida per sé quella chiamata per cui in parte il cristianesimo è stato sul monte Sinai, vuol dire che risente anche lui, tramite Israele, dei dieci comandamenti. Però di base i comandamenti per i non ebrei sono 7, e non sono coincidenti con tutti i dieci. Sono le mitzvot B'nei Noach, che sarebbero quelle di Noe che ha salvato il mondo – e non era ebreo: 1) Proibizione dell’idolatria 2) Proibizione della bestemmia 3) Divieto di spargimento di sangue 4) Adeguato comportamento sessuale (non avere unioni tra consanguinei, incesti ed altro) 5) Non commettere furto 6) Costruire tribunali (cioè creare un'idea di giustizia condivisa sociale, altrimenti gli esseri umani si sopraffarebbero l'un l'altro) 7) Non mangiare carne di un animale vivo Da parte nostra spiegare queste cose non è facile, perché significa tradurre in un contesto linguistico e culturale totalmente diverso, per quanto imparentato strettamente, una realtà che in ebraico suona diversamente. La stessa parola “fede”, in ebraico emunah: chi sa che cosa è Gush Emunim sa che è il fronte dei compatti, della saldezza. Non c'è fede, con la radice di confidarsi, che viene dal latino, che è molto emotivo intellettuale. Saldo. Non esiste la parola fede in ebraico. Per cui nel tradurre inevitabilmente in ebraico, o dall'ebraico nelle altre lingue, con faith, foi, fede... il lavoro di traduzione ha un gap, che non è così trascurabile. Il rabbino Saʿadya Gaʾon, che è il primo grande teologo ebreo, scrisse il libro Sefer ha- Emunot ve-haDe'ot (emunot è il plurale di emunah), cioè il libro delle fedi e delle opinioni, che è il primo grande trattato di teologia ebraica, che fu scritto in lingua araba. Altra cosa che gli intellettuali pensano, è che l'ebraismo sia un fatto europeo e quindi quando c'è stata la Shoah e gli ebrei sono andati in Israele – a parte che ci erano sempre stati e sempre andati – era diventata una questione europea. Signori, mi dispiace, i due terzi dell'ebraismo hanno sempre dimorato dall'altra parte del Mediterraneo e l'ebraismo a livello teologico ha espresso i concetti giuridici sempre in lingua ebraica, i concetti teologici li ha espressi in lingua ebraica in Europa, ma per 7 secoli li ha espressi in lingua araba. L'unica lingua che ha usato l'ebraico per esprimere concetti teologici propri, oltre all'ebraico, è stato l'arabo, a parte l'italiano in alcune occasioni nel '300 e il tedesco dopo la fine del 1700, perché ci fu l'emancipazione degli ebrei. L'unica lingua usata per esprimere concetti teologici – non giuridici, per quelli veniva utilizzato l'ebraico – è stato l'arabo, per 7 secoli. È motivo per cui i governanti musulmani proibirono agli ebrei di parlare arabo, perché era impossibile che una popolazione sottomessa parlasse la lingua santa dell'Islam e allora il califfo AlMutawakkil, assassinato nell'861 (IX secolo dell'era cristiana), interdì agli ebrei di parlare la lingua araba, perché era offensivo che parlassero la lingua sacra dell'Islam per i loro discorsi teologici. Voi capite che è come se negli anni '30 avessero detto che gli ebrei non potevano più parlare italiano … e questo fa capire quali sono i problemi. È che sono cose molto complicate. Le stesse cose te le direbbero in maniera diversa tutti i cristiani del Medio Oriente. Se parlate con gli armeni avreste una storia diversa e guardate che gli armeni sono gli unici che hanno scritto che hanno una storia diversa e molto simile a quella degli ebrei, perché gli armeni sono una realtà nazionale linguistica, anzitutto, legata al fatto di essere cristiani. Togli i cristiani e non c'è più l'Armenia, togli l'Armenia e non c'è più il cristianesimo armeno. Gli armeni hanno provato la dhimmitudine, cioè la sottomissione in terra d'Islam, come gli ebrei. Gli armeni hanno provato la diaspora, come gli ebrei. Gli armeni hanno provato gli stessi stereotipi degli ebrei (gli armeni sono tutti intelligenti, sono furbi e quindi ti fregano, gli armeni sono ricchi e sono ottimi mercanti..). Gli armeni hanno provato il genocidio, Gli armeni hanno provato …........ di tornare a casa e di avere la sovranità nazionale, finalmente, come gli ebrei. Gli armeni provano, come gli ebrei, il doppio polmone della diaspora armena e della loro terra. Gli armeni, come gli ebrei, hanno una guerra in corso per salvaguardare i loro confini, perché il territorio dell'Armenia ad est del Nagorno-Karabakh è indetta dalla Turchia e dall'Azerbaijan una jihad, e in Israele sapete la storia qual'è. Il problema è che queste cose debba dirle io e tutti quelli che fanno gli intellettuali in tv di queste cose non sappiano nulla. Questo è problematico. La Bibbia è scritta in una certa epoca e in quell'epoca c'era la schiavitù. La Bibbia abolisce la schiavitù, perché dopo 7 anni si deve liberare lo schiavo, è obbligatorio. Se lo schiavo non vuole essere liberato, ci sono problemi a livello giuridico. Ma c'è di più. Se lei prende l'osservanza dello Shabbat, che è uno dei Comandamenti, dice: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ora, per la prima volta nella storia umana gli schiavi sono destinatari di diritti. Lo schiavo non può essere obbligato a lavorare di sabato, lo schiavo non può essere desiderato, cioè non può essere concupito, quindi ha dei diritti, che è una contraddizione con la schiavitù. In Grecia era “uguale” soltanto chi era greco, era uomo e non donna, era adulto, non lavorava (perché il lavoro era considerato una cosa abietta e umiliante), era parte della polis. La Bibbia dice no: lo schiavo – paradosso di tutti i paradossi – è persona destinataria di diritti. È chiaro, parla il linguaggio dell'epoca. Lei pensa forse che la schiavitù sia finita? Provi a chiedere a Dubai, quando costruiscono i grattacieli in sei mesi, ai lavoratori cristiani se hanno diritti... o se i filippini che lavorano lì hanno diritti di culto e possono celebrare la messa.. provi a chiedere in Cina a quelli che sono sottopagati se non sono schiavi... Gli schiavi ci sono. Però dire che lo schiavo è persona e non cosa e affermare che gli schiavi hanno dei diritti è una novità. É una novità anche che perfino gli animali abbiano dei diritti. C'è da pensare. D. C'è qualche collegamento con il Vangelo... Le ricordo che Gesù era ebreo, parlava in aramaico e pregava in ebraico, i suoi discepoli erano ebrei e viveva in un contesto ebraico. Per cui è evidente che ci sono collegamenti. Nella tradizione ebraica gli ebrei maschi ogni giorno, tranne di sabato, mettono i tefillin, quelli che vengono tradotti in italiano con filatteri, i tefillin sono due, uno per il capo, e uno per il braccio debole (braccio sinistro, o destro se mancino), all'altezza del cuore, mentre la tefillah del capo sta in mezzo agli occhi. Questo vuol dire che intelletto, azione e passione sono legati insieme durante la preghiera. Questa è l'idea. Non siamo fatti a compartimenti stagni, siamo interrelati in tutto, anche con il prossimo altro da noi, perché restituisce anche un'immagine di noi stessi e quindi giustamente sono legate insieme, però sono anche cose diverse.