POLITICA ECONOMICA Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche Corso di Economia aziendale Prof. MICHELE SABATINO TEORIE, SCUOLE ED EVIDENZE EMPIRICHE (parte seconda) La scuola monetarista Ad un numero crescente di economisti la sintesi neoclassica con la teoria generale di Keynes risultò insufficiente. Alla nuova ortodossia keynesiana si avvio una forte critica dalla c.d. scuola monetarista il cui esponente principale è M. Friedman (Università di Chicago). Tale critica cominciò a diventare consistente solo alla fine degli anni ’70 (anche sul piano della politica economica alla luce della Presidenza Reagan e della Thatcher in Gran Bretagna) a seguito degli shock d’offerta dovuti alle crisi petrolifere. La scuola monetarista reinterpreta la Grande Depressione fornendo una diversa spiegazione dei fatti con un approccio metodologico influenzato da elementi istituzionali. 1 La scuola monetarista La portata della critica monetarista fu quella di ridimensionare la portata della rivoluzione keynesiana ad una situazione di breve periodo riportando l’analisi all’equilibrio macroeconomico di lungo periodo all’approccio classico. Inoltre si tendeva ad enfatizzare il ruolo del controllo dei prezzi anche rispetto alle questioni legate al reddito reale. All’inizio la discussione verteva sull’efficacia delle politica fiscale rispetto a quella monetaria e all’esistenza di forze automatiche di riequilibrio. Il modello di Hicks IS-LM appare un buon punto di partenza. Da questo contesto l’efficacia delle politiche fiscali e monetarie viene a dipendere dall’entità della retroazione monetaria e cioè dell’effetto di ritorno sul mercato dei beni di una variazione indotto del tasso di interesse. Il dibattito si concentrava infine sui casi estremi dei due modelli. Il caso estremo keynesiano Consideriamo i due casi estremi keynesiani dell’inefficacia della politica monetaria in cui il meccanismo di trasmissione non funziona (Ms > i > I > Y) . IS LM i i LM IS IS’ LM’ io i1 Yo Y Yo Y1 Ŷ Y Il caso estremo keynesiano (i) nel caso in cui gli investimenti sono insensibili al tasso di interesse (i>I) la curva IS diviene verticale ed ogni politica monetaria espansiva (aumento dell’offerta di moneta LM verso destra LM’) riduce il tasso di interesse (da io a i1) ma non accresce il reddito di equilibrio fermo a Yo. Le determinanti degli investimenti sono altre rispetto al tasso di interesse. (ii) nel caso dell’insensibilità del tasso di interesse all’offerta di moneta (Ms>i) si manifesta il c.d. caso della trappola di liquidità per cui il tasso di interesse è nullo, troppo basso, e la LM diviene orizzontale. Ciò può essere vero anche in presenza di una offerta di moneta endogena in cui la politica monetaria è orientata alla stabilizzazione del tasso di interesse. In entrambi i casi la politica monetaria diviene completamente inefficace e vengono meno quei meccanismi di riequilibrio di piena occupazione. Meccanismi riequilibratori In una situazione di disoccupazione e reddito più basso rispetto alla piena occupazione si presuppone che i salari tendano a diminuire e con essi i prezzi e quindi la quantità reale di moneta (M/P) ad aumentare, riducendo tasso di interesse e spostando la LM verso destra. Tuttavia nel caso di trappola della liquidità l’aumento della quantità di moneta non ha nessun effetto sul tratto orizzontale della LM e quindi il sistema rimane “intrappolato” al livello del reddito precedente Yo. La deflazione (riduzione dei prezzi) non ha alcun effetto sull’occupazione ma confermerebbe quella “economia della depressione” di Hicks. L’unica via di uscita è la politica fiscale che in tale caso (in presenza di una LM orizzontale) avrebbe effetti massimi con un moltiplicatore keynesiano pieno. Meccanismi riequilibratori Per i monetaristi, rifacendosi alla tradizione classica, la trappola della liquidità prospetta soluzioni differenti attraverso il c.d. effetto Pigou: La caduta del livello dei prezzi porta ad aumentare le disponibilità liquide e la ricchezza delle famiglie con un aumento dei consumi. Senza alcuna politica economica si realizza uno spostamento della IS in IS’ con un riequilibrio spontaneo ed efficace. I Keynesiano rispondono a sua volta che tale effetto viene contemperato dall’effetto aspettative – di un ulteriore riduzione dei prezzi e di un ritardo quindi negli acquisti – e dall’effetto redistributivo a favore dei creditori rispetto ai debitori. Solo una politica fiscale espansiva è in grado di riequilibrare il sistema. Il caso monetarista estremo Consideriamo adesso il caso opposto di una domanda di moneta anelastica rispetto al tasso di interesse (curva LM verticale). In tale situazione qualsiasi politica fiscale espansiva risulta inefficace. In tal caso l’aumento del tasso di interesse produce un effetto spiazzamento tra investimenti privati e pubblici. Al contrario la politica monetaria acquisisce la massima efficacia LM i i LM i1 LM’ io IS’ io i1 IS IS Yo Y Yo Y1 Y Le innovazioni keynesiane nell’analisi monetarista L’anelasticità della domanda di moneta al tasso di interesse discende da una teoria della moneta differente da quella di Keynes che aveva introdotto il concetto di preferenza per la liquidità. Essendo la moneta detenuta per motivi transattivi, speculativi e precauzionali è ovvio che il tasso di interesse costituisce un elemento importante dal quale deriva la detenzione di moneta. In situazione di incertezza la moneta dipende sia dal reddito che dal tasso di interesse Md/P=f(Y,i) Per Keynes il tasso di interesse è una variabile monetaria che determina l’equilibrio tra domanda e offerta di moneta (Md=Ms) a differenza dei classici secondo cui il tasso di interesse è una variabile reale che determina l’uguaglianza risparmi e investimenti (S=I). Nell’ipotesi neoclassica il tasso di interesse è sia una variabile monetaria (curva LM) che reale (curva IS). Friedman e la teoria quantitativa Friedman e i monetaristi riprendono una teoria quantitativa della moneta (Fisher 1911) che esplicita il motivo transattivo della moneta: MV=PY In cui la quantità di moneta M, V la velocità di circolazione (il numero di utilizzo in un tempo determinato), P il livello dei prezzi e Y il reddito reale. Posto la Velocità di circolazione V una costante discende che ogni variazione dell’offerta di moneta (M) si riflette in modo diretto e proporzionale al reddito monetario (PY). Posto inoltre che il reddito reale sia di piena occupazione allora ogni variazione di quantità di moneta (M) influenza necessariamente solo P. Da ciò si deduce che l’inflazione è solo una variabile monetaria e la moneta non ha alcun effetto reale. La moneta è neutrale. L’equazione di Camdbrige Secondo alcuni economisti pre-keynesiani formularono la seguente equazione: M/P=kY Dove il reddito non necessariamente coincide con il reddito di piena occupazione e il fattore di proporzionalità (k) tra saldi monetari (M/P) e reddito reale, pur essendo l’inverso della velocità di circolazione V, rappresenta la frazione di reddito che gli individui desiderano detenere sotto forma di scorte liquide. Il problema consiste nell’interpretazione di questo parametro K come costante e quindi una relazione stabile tra saldi monetari e reddito reale (versione quantitativa classica) o come propensione a detenere moneta come stabilito dal prekeynesiani. Per i keynesiani infine la domanda di moneta è fortemente instabile e tale relazione è inadeguata. La domanda di moneta e il meccanismo di trasmissione monetaria 1. 2. 3. - - I monetaristi hanno specificato in maniera precisa la definizione di domanda di moneta sulla base delle seguenti ipotesi: Rilevante è la domanda reale di moneta (M/P); La domanda reale di moneta è funzione di diverse variabile prima tra le quali il reddito; Il tasso di interesse ha una capacità di condizionare la domanda di moneta molto bassa. In seguito monetaristi e keynesiani hanno espresso una convergenza verso la seguente funzione di domanda di moneta: Md=f(Y,Ω,π, ib, il, …) Y= reddito, Ω=ricchezza inclusi i titoli, π=tasso di inflazione, i=tassi di interesse a breve o a lungo, ect… Nel corso del tempo quindi anche i monetaristi hanno incluso il tasso di interesse nella variabili della domanda di moneta allontanandosi dalla teoria quantitativa classica nell’ipotesi di breve periodo. La domanda di moneta e il meccanismo di trasmissione monetaria I monetaristi, nel breve periodo, finiscono per superare l’ipotesi di neutralità della moneta. Se per i keynesiani l’effetto di trasmissione era dato dal tasso di interesse che interveniva sugli investimenti, per i monetaristi l’effetto di trasmissione sulle variabili reali avviene attraverso processi di sostituzione sia tra moneta e titoli che tra moneta e beni. Decisioni di spesa e scelte di portafoglio (se si riduce M i consumatori possono ridurre i consumi C) determinano effetti reali. In definitiva le differenze tra monetaristi e keynesiani sono rimaste evidenti soprattutto sui suggerimenti di politica economica laddove i monetaristi attribuiscono la centralità nel controllo dell’offerta di moneta e quindi degli aggregati monetari mentre i keynesiani nel controllo del tasso di interesse al fine di stabilizzare il reddito reale. Oggi, nella condivisione del modello IS-LM, la differenza sostanziale tra le due scuole rimane quella della maggiore o minore elasticità delle due curve ed dell’efficacia delle politiche fiscali e monetarie. Attività finanziaria e ricchezza - Abbiamo finora analizzato le variabili flusso (reddito, consumi, ect..) ma non quelle stock. Vediamo di determinare il termine Ricchezza attraverso le seguenti componenti: Monete (M) Attività finanziarie - Titoli (B) Attività reali – capitale fisso (K) Altre attività – capitale umano, risorse naturali Possiamo definire nel settore privato la ricchezza come: Ω=M+B+K La determinazione della ricchezza condiziona le scelte e le funzioni di comportamento come quella dei consumi. Altro elemento importante è la composizione della ricchezza (teoria delle scelte di portafoglio di Tobin) e dei rendimenti delle diverse attività. Il dibattito keynesiani e monetaristi A seguito delle recenti evoluzioni metodologiche e di analisi il dibattito tra keynesiani e monetaristi si è spostato più che sulla condivisione della sintesi neoclassica al modello IS-LM sull’efficacia delle politiche di stabilizzazione da adottare. Inoltre le recenti critiche sono riferite al modello IS-LM in quanto tale trattandosi di un modello troppo statico, che non tiene conto delle variabili fisse (del capitale fisso) ma solo delle variabili flusso e che trascura gli effetti di lungo periodo. Il problema quindi è quello di verificare la sua coerenza con i problemi di medio e lungo periodo. L’estensione del modello IS-LM Tra le principali critiche al modello IS-LM inoltre vi è quella che lo stesso si concentra troppo sul fronte della domanda aggregata sottovalutando i problemi legati all’inflazione e al livello dei prezzi. In effetti il modello IS-LM e le politiche di stabilizzazione si riferiscono sempre a variabili reali trascurando o presupponendo un’ipotesi di prezzi fissi e quindi di una curva di offerta infinitamente elastica. Le successive analisi macroeconomiche hanno finito per endogenizzare la variabile del livello dei prezzi in cui l’equilibrio macroeconomico di un modello IS-LM è data non più sul piano di (Y,i) ma bensì di (Y,P) con l’inclusione di appropriate curve di domanda e offerta aggregata. L’estensione del modello IS-LM 1) 2) 3) In sintesi i principali modelli macroeconomici sono i seguenti: Il modello keynesiano cross, in cui i prezzi sono fissi, il reddito reale è determinato sul lato della domanda (spesa aggregata) e si considera l’equilibrio sul fronte del mercato dei beni (non vi è settore monetario); Il modello IS-LM in cui valgono le ipotesi di prezzi fissi e reddito determinato ma vi è una retroazione monetaria (le variazioni del tasso di interesse modificano la domanda aggregata) Il modello di domanda/offerta aggregata (il modello AD-AS) in cui il livello dei prezzi diviene endogeno e le sue variazioni modificano la domanda aggregata e quindi il reddito reale. In questo caso una variazione dei prezzi (riduzione) aumenta i saldi monetari (M/P) e quindi (effetti Keynes e Pigou) il reddito reale. La curva di domanda aggregata subisce movimenti a seguito di politiche fiscali e monetarie e di componenti autonome della domanda. Tasso naturale di disoccupazione e livello naturale di reddito Prima di procedere all’analisi dell’offerta aggregata (AS) dobbiamo introdurre un altro mercato, quello del lavoro. Nella visione neoclassica il mercato del lavoro resta in equilibrio nell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro in funzione del salario reale (W/P) in cui si determina il salario reale di equilibrio (W/P)o e il livello di occupazione di equilibrio (No). Il tasso naturale di disoccupazione, in presenza di un ammontare di forza lavoro (L), è dato da: Un=(L-No)/L Da un’analisi più approfondita risulta, in cui i salari non sono pienamente flessibili, risulta che la determinazione del salario reale deve essere compatibile con la fissazione dei prezzi delle imprese. Tasso naturale di disoccupazione e livello naturale di reddito Il salario contrattato dai lavoratori dipende dalle aspettative di prezzo (Pe), dallo stato del mercato del lavoro (con minori richieste in rpesenza di elevata disoccupazione) e da alcuni fattori c.d. di rinforzo z (sussidi di disoccupazione, regolamentazione salario minimo, procedure di licenziamento/assunzioni, ect…). Pertanto, scrivendo W=Pe f(u,z) e ipotizzando che nel medio periodo le aspettative sono realizzate (P=Pe) si ottiene una equazione dei salari rappresentata dalla curva WS (wagesetting) che è una curva decrescente rispetto al tasso di disoccupazione u. W/P=f (u,z) Tasso naturale di disoccupazione e livello naturale di reddito Supponendo che le imprese fissano i prezzi secondo la regola del markup pricing indicando con h il margine sui costi dall’equazione P=(1+h)W si ottiene l’equazione dei prezzi rappresentata dalla curva price-setting PS indipendente dal tasso di disoccupazione u. W/P=1/(1+h) W/P Salario reale 1/1+h A PS WS Equazione dei salari un Tasso di disoccupazione, u Tasso naturale di disoccupazione e livello naturale di reddito Il tasso naturale di disoccupazione (un) è quindi il punto di intersezione tra le curve WS e PS ovvero il risultato dell’equazione: f(z,u)=1/1+h Il risultato che si ottiene è il tasso naturale di disoccupazione Un al livello naturale di produzione Yn L’offerta aggregata Il dibattito si è spostato tra keynesiani e monetaristi sul fronte dell’offerta aggregata. Se all’inizio le posizioni erano più estreme: La curva di offerta orizzontale (con prezzi fissi) per i keynesiani La curva di offerta verticale (con reddito di piena occupazione) per i monetaristi con prezzi perfettamente flessibili Questa posizione si è andata sfumando nel tempo laddove i keynesiani hanno evidenziato che l’esistenza di prezzi fissi si verifica in situazioni di brevissimo periodo o di profonda recessione. In conclusione alcuni hanno confermato l’ipotesi pura, orizzontale, altri positivamente inclinata con costi di produzione crescenti, con salari monetari crescenti al crescere della produzione e dell’occupazione, o verticale caratterizzate da equilibri di medio periodo. L’offerta aggregata Nell’ipotesi monetarista di breve periodo la curva di offerta non può essere che verticale (caso classico puro). In questo caso la domanda è ininfluente sul piano della determinazione del reddito reale, solo su quello del livello dei prezzi. Tuttavia i monetaristi non negano che nel breve periodo, a causa delle aspettative, il livello del reddito possa differire da quello naturale per cui la curva S può essere inclinata positivamente. Ciò può essere dovuto alle aspettative non pienamente realizzate ed ai processi di aggiustamento. S* ipotesi monetarista classica P S P2 P* D’’ P1 D’ Y Y1 Yn Le aspettative adattive Malgrado anche i keynesiani ne abbiamo risalto l’importanza )nella formazione dei comportamenti) sono i monetaristi che sviluppano un meccanismo di formazione delle aspettative c.d. adattive. Il significato della formula di seguito esplicitata, nel caso del livello dei prezzi, indica che i prezzi attesi nel periodo precedente vengono aggiustati nel periodo corrente per un ammontare di una frazione (uguale ad α) dell’errore commesso nel periodo precedente. Il parametro α è positivo e minore dell’unità e rappresenta la memoria degli agenti (apprendimento dagli errori). Pet -Pet-1 = α (Pt-1 – Pet-1) Le aspettative di tipo adattivo dipendono solamente dalla storia passata della variabile di riferimento. L’offerta aggregata con le aspettative In definitiva potremo dire che vi è equilibrio di breve periodo allorché i mercati sono in equilibrio (AD=AS) ma le aspettative degli individui non sono realizzate. Solo quando il processo di aggiustamento delle aspettative si sarà compiuto è possibile raggiungere un equilibrio di medio/lungo periodo in cui il reddito raggiungere quello naturale. Volendo fare un esempio nel caso delle aspettative dei lavoratori sulle aspettative di prezzo e di salari reali. Finché i prezzi effettivi diventino quelli attesi, probabilmente a seguito di una espansione della domanda aggregata, si possono manifestare effetti reali (i salari reali possono temporaneamente ridursi a seguito di un aumento dei prezzi). Nel medio/lungo periodo le aspettative si realizzano (P=Pe) e il sistema torna in equilibrio con una curva di offerta (S*) in corrispondenza del reddito naturale. Analisi degli shock L’utilità del modello IS-LM ci consente altresì di effettuare una analisi sugli shock, cioè i disturbi e le perturbazioni che alterano l’equilibrio macroeconomico. Si possono distinguere shock dell’offerta e shock della domanda con effetti sui prezzi o con effetti sulle variabili reali se i prezzi sono rigidi. Analisi degli shock - - - Shock della domanda corrispondono a variazioni: Della domanda aggregata autonoma (consumi, investimenti, esportazioni, ect..) Della domanda di moneta; Delle politiche economiche di tipo congiunturale (monetarie e fiscali). Le conseguenze sul piano della domanda nel breve periodo sono pro-cicliche ossia di segno uguale alla variazione della domanda aggregata. Nel lungo periodo se: l’aumento della domanda è causata da una politica monetaria espansiva il reddito rimane fisso e si rinvia ad una crescita dei prezzi (inflazione) e alla fine di una crescita dello stock di moneta (M/P); l’aumento della domanda è causata da una politica fiscale espansiva la modifica del tasso di interesse modifica la composizione del reddito a parità di reddito naturale. Analisi degli shock - Shock dal lato dell’offerta corrispondono a mutamenti Del livello dei salari monetari o di altre caratteristiche del mercato del lavoro; Dei margini di profitto; Della capacità produttiva (variazione di stock di capitale); Dei prezzi e dei fattori produttivi (materie prime) Dei metodi di produzione (progresso tecnologico); Degli interventi di politica economica sul fronte dell’offerta (politiche fiscali e/o strutturali). Sul fronte dell’offerta le variazioni del reddito reale e del livello dei prezzi sono di segno opposto (shock petroliferi che causano recessione e inflazione – stagflazione). Molti shock dell’offerta fanno spostare la curva di offerta non solo di breve ma anche di lungo periodo. Analisi degli shock: sintesi - - - - Shock positivi della domanda aggregata: spostano la curva AD verso dx: quindi ↑P e nel breve periodo ↑Y (politiche utilizzate durante i periodi di recessione); Shock negativi della domanda aggregata: spostano la curva AD verso sx: quindi ↓P e nel breve periodo ↓Y (politiche restrittive per controllare l’inflazione) Shock positivi dell’offerta aggregata: come shock petroliferi spostano verso dx la curva AS: quindi ↑P e nel breve periodo ↓Y (stagflazione); Shock negativi dell’offerta aggregata: come per esempio il progresso tecnico spostano verso sx la curva di offerta AS: quindi ↓P e nel breve periodo ↑Y Analisi dinamica degli shock 1) 2) 3) 4) Per analizzare in modo appropriato il ciclo economico occorre quindi capire: Qual è la natura dello shock (domanda o offerta); Quali sono i meccanismi di propagazione e dei ritardi; Qual è la reazione e le aspettative degli agenti economici; Qual è la reazione dei policymaker, ossia quali sono le contromisure. Spesso tutto ciò è difficile da comprendere in quanto gli shock spesso tendono a sovrapporsi a causa degli aggiustamenti dovuti alle aspettative e delle risposte di politica economica. Analisi dinamica degli shock E’ tuttavia possibile discriminare tra queste perturbazioni esaminando il processo dinamico che conduce alla posizione di equilibrio finale. Ad esempio un aumento del livello dei prezzi può essere dovuto a movimenti iniziali dal lato della domanda e/o dell’offerta a seconda che si osservi un movimento antiorario (con un temporaneo aumento del reddito dovuto allo spostamento iniziale della domanda aggregata e successivamente dell’offerta) oppure di tipo orario (con una contrazione del reddito dovuto ad uno spostamento dell’offerta e successivamente della domanda). In queste due situazione si può distinguere rispettivamente se si tratta di uno shock della domanda o dell’offerta. Alla fine in entrambi i casi ci si ritroverà allo stesso livello di reddito con un livello accresciuto dei prezzi. Analisi dinamica degli shock Infine, qualunque sia il tipo di shock, è fondamentale verificare le conseguenze, monetarie o reali, e ancora gli effetti transitori o permanenti. Altro aspetto inoltre è la lunghezza del processo di aggiustamento. Spesso infine la rilevanza degli effetti permanenti influenza non solo il livello dei prezzi ma anche il tasso di inflazione. La Legge di Okun e la relazione tra disoccupazione e reddito Okun (1962) associa l’aumento del prodotto con la diminuzione della disoccupazione. La legge si esprime come: U rappresenta il tasso di disoccupazione è il tasso di crescita normale della produzione o del reddito -β è il parametro di Okun ed è compreso tra 0 e 1%, rappresenta l'incidenza della produzione sul tasso di disoccupazione. In effetti, le variazioni di produzione influiscono in modo meno che proporzionale sulla disoccupazione in quanto a fronte di una crescita della domanda, le imprese preferiscono chiedere ai loro dipendenti di fare straordinari piuttosto che assumere nuova manodopera (labor hoarding) ed è possibile che parte dei nuovi assunti non fossero precedentemente previsti nella forza lavoro essendo classificati come lavoratori scoraggiati. Inoltre, data tale relazione, varrà che se la crescita è inferiore al tasso normale, la disoccupazione sarà maggiore di quella del periodo precedente. La Legge di Okun e la relazione tra disoccupazione e reddito La legge di Okun, nel periodo del fordismo, ebbe il grande pregio di dare ai policy makers indicazioni precise che traducevano in cifre l'insegnamento keynesiano, perché: 1) se per aumentare l'occupazione di un tot per cento bisognava aumentare anche la produzione di una percentuale adeguata e ben precisa; 2) se l'aumento della produzione - si riteneva - ottenibile soltanto attraverso il corrispettivo aumento della domanda di beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione (P.A.), la disoccupazione si può combattere solo aumentando la spesa pubblica o incentivando la spesa privata. Negli Stati Uniti durante il periodo che va dal 1965, questa legge ha interpretato la situazione economica, stabilendo che per ogni punto percentuale del tasso di disoccupazione, o meglio del tasso naturale di disoccupazione, il PIL reale si riduce dai 2 ai 3 punti percentuali. La Curva di Phillips L'economista A.W. Phillips, nel 1958, osservò una relazione inversa tra le variazioni dei salari monetari e il livello di disoccupazione nell'economia britannica nel periodo preso in esame. Analoghe relazioni vennero presto osservate in altri paesi. Nel 1960, Samuelson e Solow, a partire dal lavoro di Phillips, proposero un'esplicita relazione tra inflazione e disoccupazione: allorché l'inflazione era elevata, la disoccupazione era modesta, e viceversa. "La società può permettersi un saggio di inflazione meno elevato o addirittura nullo, purché sia disposta a pagarne il prezzo in termini di disoccupazione".(Robert Solow). Negli anni successivi, diversi economisti furono convinti del fatto che i risultati di Phillips indicassero una relazione stabile, permanente, tra inflazione e disoccupazione. Un'implicazione di questa conclusione per la politica economica sarebbe stata che i governi avrebbero potuto controllare inflazione e disoccupazione, tramite una politica Keynesiana, dovendo semplicemente risolvere un problema di trade-off tra i due obiettivi della politica economica, scegliendo un punto sulla curva di Phillips dove posizionare il sistema economico. La Curva di Phillips Dalla relazione tra crescita dei salari monetari e tasso di disoccupazione è agevole passare alla relazione tra crescita dei prezzi e lo stesso tasso di disoccupazione. Si tratta di una condizione inflattiva sul lato della domanda e non su quello dell’offerta (costi delle materie prime, ect..). La curva rappresentata a destra mostra la relazione tra tasso di inflazione π e taso di disoccupazione u: al tendere a zero di quest’ultima l’inflazione è elevatissima. La Curva di Phillips In prima approssimazione la relazione risulta la seguente: ∆P/P = ∆W/W - ∆q/q In cui P si riferisce ai prezzi, W ai salari, e q alla produttività del lavoro. Il tasso di variazione dei prezzi coincide con il tasso di inflazione π. Tale relazione implica che variazioni dei prezzi sono uguali a variazioni del costo del salario per unità di prodotto, e che quindi non ci siano variazione dei costi degli altri fattori produttivi e nemmeno dei margini di profitto. Il trade-off tra disoccupazione ed inflazione Attraverso le politiche di stabilizzazione e di controllo della domanda aggregata il governo può decidere il punto desiderato di inflazione e disoccupazione. La combinazione dipenderà dalle preferenze sociali, dai costi sociali e dalla c.d. funzione di perdita. Si tratta, sulla curva di Ph, di determinare quale dei punti A o B desideriamo avere. Si tratterà di operare degli spostamenti sulla curva di Phillips. Diversamente politiche dell’offerta o shock dell’offerta provocano uno spostamento della curva di Phillips (da Ph a Ph’) con un miglioramento/peggioramento del tradeoff. Il trade-off tra disoccupazione ed inflazione Per quanto riguarda gli spostamenti della curva di Ph le politiche che si preferiscono sono o quelli sul fronte dei redditi (politiche dei redditi) o piuttosto quelle sul fronte della offerta (maggiore flessibilità salariale, politiche attive del lavoro, riduzione dei divari settoriali e regionali, ect..). In questo ambito è rilevante l’assetto istituzionale delle relazioni industriali laddove esistono forti sindacati organizzati e centralizzati o bassi livelli di sindacalizzazione e forte decentramento nelle relazioni industriali. L’assenza di sindacati centralizzato o al contrario di condizioni di estrema flessibilità finisce per peggiorare il trade-off tra disoccupazione e inflazione. Tipi di inflazione 1) 2) Nell’analisi keynesiana tradizionale l’inflazione può essere quindi di due tipi: Inflazione da domanda (demand pull) che rappresenta uno spostamento lungo la curva di Phillips; Inflazione da costi (cost pull) che rappresenta uno spostamento della curva di Phillips a causa di aumenti esogeni dei salari, aumenti dei prezzi delle materie prime, dinamica degli oneri finanziari e dei margini di profitto e anche dell’evoluzione fiscale e tributaria. Per i keynesiani lungo la curva di Ph non vi è alcun punto di equilibrio. Il sistema tende a giacere dove si trova o dove le autorità economiche vogliono che sia. Da queste considerazioni scaturisce la critica della scuola monetarista che nel tempo ha trovato maggiore consistenza a causa della maggiore rilevanza assunta dalle aspettative inflazionistiche. La visione monetarista: il tasso naturale di disoccupazione I monetaristi hanno individuato, al contrario dei keynesiani, un punto di equilibrio verso il quale tutto il sistema economico converge: l’equilibrio naturale. A differenza dei keynesiani che si sono concentrati sulle variazioni nominali dei salari e dei prezzi dai valori di equilibrio, i monetaristi hanno consideratole conseguenze reali delle deviazioni dei salari reali dai valori di equilibrio. In particolare la variabile di equilibrio per il mercato del lavoro è il salario reale (e non quello monetario) W/Po che rende la domanda e l’offerta di lavoro in equilibrio ad un livello di occupazione No. Considerate le forze lavoro esogene (L) il tasso naturale di disoccupazione risulterà un=(L-No)/L. Il tasso di disoccupazione corrisponde alla piena occupazione e ad una condizione di disoccupazione solo volontaria. La visione monetarista: il tasso naturale di disoccupazione Friedman (1968) precisa che il tasso di disoccupazione naturale risulta dall’equilibrio generale walrasiano ma sempre tenuto conto delle caratteristiche strutturali del mercato del lavoro e dei beni, della variabilità dell’offerta e della domanda, dalle imperfezioni di mercato, dai costi informativi e di mobilità, ect… Pertanto il tasso di disoccupazione naturale può variare da periodo a periodo al variare delle caratteristiche strutturali del mercato del lavoro (composizione della forza lavoro, preferenze dei lavoratori, produttività del lavoro, struttura complessa, ect..). Il tasso naturale di disoccupazione è compatibile con un solo salario reale (wo) ma con qualunque salario monetario (W) posto che i prezzi variano in proporzione. Di conseguenza la curva di Phillips (π, u) sarà rappresentata, grazie alla piena flessibilità di prezzi e salari, con una retta verticale in concindenza con il tasso naturale di disoccupazione. Curve di Phillips di breve e medio periodo Questa ipotesi di curva di Phillips verticale per i monetaristi risulta comunque di medio periodo in cui non esiste il trade-off disoccupazione/inflazione essendoci solo un tasso di disoccupazione naturale. Nel breve periodo anche i monetaristi sostengono dell’esistenza di questo trade-off. Tutto ciò è dovuto sempre alle aspettative e ai processi di aggiustamento temporale. Per i monetaristi qualsiasi politica monetaria o fiscale, non appena le aspettative degli agenti si modificano, risulterà inefficace, riportando il sistema al tasso naturale di disoccupazione un. La curva di Phillips (Ph*) sovrastante la un coincide con una retta verticale che rappresenta la situazione di aspettative realizzate. L’ipotesi accelerazione e la stagflazione La curva di Phillips aumentata delle aspettative può essere rappresentata nel seguente modo, in cui l’inflazione attesa viene esplicitata come determinante dell’inflazione effettiva: πt= a πte - b (ut – un) In cui πte rappresenta l’aspettativa adattiva sul tasso di inflazione, (b) è un parametro positivo ed (a) un coefficiente di aspettativa, generalmente per i monetaristi posto a unità. In tal caso è assicurata la verticalità della curva di Phillips di medio periodo in corrispondenza del tasso naturale di disoccupazione poiché πt= πte (inflazione stazionaria permanente anticipata) implica ut = un . Al contrario nel breve periodo ut > un oppure ut < un a seconda se πt < πte o πt > πte . L’ipotesi accelerazione e la stagflazione La versione precedente può essere rivista con la variabile inflazione ritardata πt-1 e con la tacita intesa che le aspettative sono statiche πte = πt-1. Effettuando la sostituzione nella versione precedente avremo che: πte – πt-1 = -b (ut – un) in cui è palese che quando ut < un allora πt < πt-1 (inflazione crescente) e solo quanto ut = un allora πt = πt-1 (inflazione costante). Ecco perché il tasso di disoccupazione naturale un è anche chiamata NAIRU – “non-accelerating inflation rate of unemployment”. Il policymaker può tentare di mantenere la disoccupazione al di sotto del tasso di disoccupazione naturale mediante ripetuti esperimenti di politiche espansive ed incrementando il tasso di crescita monetaria, ma al costo di una inflazione non solo positiva ma crescente nel tempo (ipotesi accelerazionista). L’ipotesi accelerazione e la stagflazione Negli anni ’60 i monetaristi hanno addirittura sostenuto che esiste una relazione positiva tra inflazione e disoccupazione con una curva di Phillips inclinata positivamente (fenomeni di stagflazione). In altri termini al crescere dell’inflazione aumenta la variabilità, l’inefficienza e l’incertezza del sistema e questo provoca una riduzione delle attività e quindi disoccupazione. Secondo i keynesiani la stagflazione sarebbe causata dal comportamento delle autorità di politica economica che in un contesto inflattivo tendono a curare l’inflazione attraverso compressioni della domanda aggregata e quindi aumenti della disoccupazione. Ciò risulterebbe fallimentare quando l’inflazione è dovuta ai costi. Le politiche disinflazionistiche Le politiche disinflazionistiche dei monetaristi si concentrano sulla quantità di moneta. Per cui le politiche anti-inflazione devono essere rivolte ad una riduzione – più o meno rapida o graduale – della quantità di moneta. Se l’inflazione di partenza πo risulta indesiderata dal governo e l’obiettivo è abbassarla al livello π1 il problema è di condurre il sistema, mediante una politica restrittiva, dal punto A al punto E della curva di Phillips (Ph*) di medio periodo. Nel medio periodo la disoccupazione viene fissata al livello naturale (un) . Le politiche disinflazionistiche Ph* πo A Tuttavia nel breve periodo la disoccupazione potrà crescere significativamente. Infatti se lo shock monetario è sufficientemente forte il sistema potrà spostarsi prima da A a F con una disoccupazione u1 e successivamente da F a E attraverso un processo di aggiustamento. Tutto ciò sarà ancora più vero davanti a processi di aggiustamento rapidi e non graduali. F π1 E Un U1 Le politiche disinflazionistiche Il rientro dall’inflazione risulta quindi più lento e meno costoso per la società se avviato attraverso procedure graduali. Può essere opportuno ricordare che una adeguata politica antinflazionistica senza costi deve soddisfare le seguenti condizioni: - Decisioni degli agenti basate su aspettative razionali; Assenza di rigidità nominali (prezzi e salari); Credibilità della politica disinflazionistica (spesso di potrà ridurre l’inflazione anche solo con l’effetto annuncio). L’aggiustamento dinamico 1) 2) 3) 4) In presenza di shock intervengono quattro meccanismi di aggiustamento: Il meccanismo di aggiustamento dei prezzi; La formazione delle aspettative; La reazione della domanda aggregata alle variazioni del livello dei prezzi; L’eventuale reazione delle autorità di politica economica. L’interazione di questi meccanismi può generale degli aggiustamenti a spirale con variazioni tra tasso di inflazione e reddito reale. Si tratta di processi di deviazione rispetto al reddito dal livello naturale o potenziale. L’economia infatti può essere distolta dal reddito di livello naturale e inflazione zero a causa di disturbi dal lato dell’offerta o della domanda. L’economia ritorna al livello naturale di lungo periodo dopo un sentiero a cerchi antiorari con convergenza a spirale. Spesso addirittura da una situazione di recessione ci si può trovare in una situazione diametralmente opposta (fenomeno dell’overshooting). Il dibattito sulle politiche di stabilizzazione Se si era evidenziata una certa convergenza verso il modello tra monetaristi e keynesiani è vero altresì che le controversie per diversi altri temi: - Difformi risultati delle analisi empiriche grazie alle tecniche econometriche; L’elemento temporale nelle analisi teoriche ed empiriche sia nella considerazione dei ritardi dell’azione delle politiche di stabilizzazione sia degli effetti di medio/lungo periodo; Le differenze nel ruolo delle politiche di stabilizzazione nel loro insieme. Infine le diverse opinioni discendevano dalla preferenza dei keynesiani per l’analisi di breve periodo e di medio/lungo periodo per i monetaristi orientati all’analisi del livello naturale del reddito. - - Orizzonte temporale e capacità di riequilibrio del mercato La diffusione sull’efficacia delle politiche di stabilizzazione dipende non solo da questione tecniche ma altresì da giudizi di valore (ideologiche, politico, sociale) nella scelta sia degli obiettivi che degli strumenti. Senza considerare che ogni politica economica ha anche effetti redistributivi. A questo riguardo si afferma che i keynesiani siano più favorevoli all’intervento dello Stato nell’economia mentre i monetaristi partono da una impostazione liberista con posizioni anche estreme di laissez-faire. La principale difformità tuttavia si riscontra sul piano dell’orizzonte temporale. I monetaristi prediligono il lungo periodo mentre i keynesiani il breve periodo (nel lungo periodo saremo tutti morti diceva Keynes). Le difformità di orizzonte temporale si riflettono sull’equilibrio macroeconomico. Per i monetaristi l’equilibrio naturale di piena occupazione è la situazione normale. Per i keynesiani l’equilibrio di sottoccupazione o di uno stato di disequilibrio con i relativi processi di aggiustamento richiedo molto tempo prefigurando una situazione di sottoccupazione duratura. Orizzonte temporale e capacità di riequilibrio del mercato I due aspetti precedenti sono connessi alla capacità di autoequilibrarsi del sistema economico. Per i monetaristi il sistema ha in sé le forze per autoregolarsi e convergere verso l’equilibrio senza bisogno di interventi pubblici di stabilizzazione. Per i keynesiani tale possibilità sembra remota a causa: (1) della rigidità dei salari e prezzi, (2) imperfezioni di mercato tra cui posizioni monopolistiche o di rendita, (3) assenza di forze auto-regolatrici, limitatezza dell’informazione e coordinamento. E anche che il sistema si autoregolino i tempi del processo di riequilibrio spesso sono lunghi e i costi di aggiustamento pesanti. Inoltre la stabilità intrinseca del sistema è l’orientamento dei monetaristi mentre i keynesiani ritengono il sistema privato altamente instabile per il comportamento degli agenti economici. I neoclassici assumono posizioni intermedie a seconda dei tempi. In verità per Keynes il sistema capitalistico è intrinsecamente stabile ma mostra forti fluttuazioni cicliche e il collasso può essere evitato proprio attraverso politiche di stabilizzazione keynesiane. Necessità delle politiche di stabilizzazione Per i keynesiani quindi le politiche di stabilizzazione sono necessarie, il sistema economico ha bisogno di essere stabilizzato e lo Stato deve intervenire. La politica economica consiste in interventi di stabilizzazione della domanda aggregata (o anche dell’offerta) presi a seconda del ciclo economico. I keynesiani sono chiamati attivisti. Per i monetaristi le politiche di stabilizzazione sono inutili (perché il sistema converge spontaneamente verso l’equilibrio) inefficaci (incapaci di stabilizzare l’economia per le carenze informative dello stesso policymaker) dannose (per i ritardi e gli errori nella dimensione degli interventi. La superiorità dello Stato è anche legata alla funzione obiettivo dei governi e la funzione de benessere sociale. E’ evidente che alcune volte le scelte spesso rispondono a finalità politiche e non di benessere sociale. I ritardi secondo Friedman e l’efficacia delle politiche di stabilizzazione L’elemento temporale è una questione importante delle politiche di stabilizzazione e le condiziona in due modi: - Il ritardo temporale dello strumento di politica economica; - La permanenza nel tempo degli effetti di politica economica. - Sui ritardi Friedman identifica tre tipologie: 1) Ritardi di percezione di un variazione di variabile economica e il suo riconoscimento; 2) Ritardi di decisione e di intervento tra il momento di riconoscimento e l’assunzione delle decisioni (procedure istituzionali o burocratiche); 3) Ritardi degli effetti c.d. esterni delle politiche adottate. I Ritardi interni (1-2) possono essere eliminati con stabilizzatori automatici (es. il sistema di tassazione diretta sul reddito dei sussidi di disoccupazione). I Ritardi esterni dipendono dai meccanismi di trasmissione e dalla struttura della domanda aggregati. I ritardi secondo Friedman e l’efficacia delle politiche di stabilizzazione Secondo Friedman una politica di stabilizzazione anti-ciclica potrebbe manifestare gli effetti in ritardo diventando una politica pro-ciclica (politiche destabilizzanti). Una politica antidepressiva potrebbe esplicare i suoi effetti a recessione superata finendo per svolgere pressioni inflazionistiche o di squilibrio. Il tutto dovuto non solo alla lunghezza dei ritardi ma dalla variabilità degli effetti. E quindi è necessario minimizzare la discrezionalità degli interventi attraverso delle regole di politica economica. Tuttavia anche i keynesiani sostengono che i decisori politici intervengono troppo tardi (ritardi interni di percezione e decisione). Inoltre le politiche fiscali hanno ritardi decisionali lunghi e ritardi esterni di effetti brevi, viceversa le politiche monetarie hanno ritardi decisionali brevi ma effetti esterni lunghi .(moneta, tassi di interesse, decisioni di investimento) La permanenza degli effetti delle politiche di stabilizzazione Sulla permanenza degli effetti il problema è distinguere gli effetti temporanei di breve periodo dagli effetti duraturi di lungo periodo. Altresì bisogna distinguere tra gli effetti di impatto e gli effetti di medio/lungo periodo. Altro elemento è tra effetti reali (reddito, occupazione, ect..) e effetti monetari (livello prezzi, tassi di interessi, salari monetari). E’ ancora opportuno distinguere tra interventi temporanei (una tantum) e interventi permanenti (o ripetuti nel tempo). Anche i modelli econometrici riflettono le evidenze empiriche delle due scuole sui ritardi e gli effetti. Differenziazione in tema di scelta di obiettivi Le diversità tra monetaristi e keynesiani sono anche sugli obiettivi di politica economica. I keynesiani il reddito, i monetaristi la stabilità del livello dei prezzi. I problemi si pongono non nella fissazione dei valori ma nella definizione degli obiettivi intermedi e dai pesi tra obiettivi alternativi. In una funzione di perdita i keynesiani enfatizzano la stabilizzazione del reddito rispetto a quello dei prezzi. Il c.d. “dilemma crudele” di Modigliani tra disoccupazione e inflazione. I keynesiani inoltre hanno posto l’accento sul rischio di inflazione nulla (produzione persa e disoccupazione permanente). Anzi sottolineano i vantaggi di una inflazione moderata: rafforzamento della stabilità dell’economia (gli effetti dei tassi di interesse nominali); produzione di reddito più elevato nel lungo periodo (sostituzione tra moneta e capitale fisso), accresce l’efficienza degli aggiustamenti intersettoriali, consolida l’efficacia delle politiche monetarie (con inflazione nulla si avrebbero tassi di interesse reali negativi). Differenziazione in tema di scelta di obiettivi - Dall’altro canto i monetaristi riservano attenzione al problema dell’inflazione e l’obiettivo del reddito è quello del livello naturale. E’ l’inflazione che provoca la perdita di reddito e produzione. L’inflazione provoca le seguenti conseguenze negative: Accresce l’incertezza (rinnovi contrattuali); Distorce i segnali di prezzo e altera le risposte degli agenti; Riduce i servizi resi dalla liquidità deviando le risorse alle attività finanziarie; Non può essere fronteggiata con processi di indicizzazione. Regole di politiche economiche I keynesiani favorevoli ad interventi discrezionali di politica economica mentre i monetaristi contrari ma bensì suggeriscono il ricorso a delle regole di politica economica. Per quanto riguarda la politica monetaria una regola appropriata potrebbe essere quella di lasciar crescere la quantità di moneta secondo un tasso costante. Tale tasso gm=∆M/M può essere posto uguale al tasso di crescita normale del reddito g*y maggiorato di un tasso di inflazione molto basso π: gm= g*y+ π Il tasso di crescita degli aggregati monetari (quantità di moneta) costante al fine di evitare instabilità ciclica e annunciata per influire sulle aspettative. Regole di politiche economiche Quanto alla politica fiscale è quella del bilancio in pareggio ed eventualmente il finanziamento del disavanzo attraverso titoli e non moneta per evitare inflazione. La necessità di regole di politiche fiscali è dovuta all’espansione della spesa pubblica. Altro elemento sono gli aspetti istituzionali che inevitabilmente sono una componente importante nelle scelte di politiche economiche. Alla fine anche gli economisti keynesiani concordano sulla necessità di un sistema minimo di regole anche a causa della scarsa prevedibilità delle perturbazioni e quindi alla riduzione dei margini di discrezionalità della politica economica. Tuttavia è sempre preferibile un sistema di regole flessibili. Visione complessiva sull’efficacia delle politiche di stabilizzazione Nel corso del tempo si è registrata una certa convergenza di posizione tra keynesiani e monetaristi sul ruolo da assegnare alla politica fiscale e alla politica monetaria. Le politiche fiscali, al crescere della spesa pubblica e del vincolo di bilancio e altresì delle considerazioni sull’offerta hanno convinto del fatto che si tratta più di una politica strutturale che di un mezzo di stabilizzazione. Ai decisori politici non rimane quindi che la politica monetaria. La divergenza più rilevante rimane sulla desiderabilità in generale delle politiche di stabilizzazione.