POLITICA ECONOMICA
Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche
Corso di Economia aziendale
Prof. MICHELE SABATINO
TEORIE, SCUOLE ED EVIDENZE EMPIRICHE
(parte seconda)
La scuola monetarista
Ad un numero crescente di economisti la sintesi
neoclassica con la teoria generale di Keynes risultò
insufficiente. Alla nuova ortodossia keynesiana si
avvio una forte critica dalla c.d. scuola monetarista il
cui esponente principale è M. Friedman (Università
di Chicago). Tale critica cominciò a diventare
consistente solo alla fine degli anni ’70 (anche sul
piano della politica economica alla luce della
Presidenza Reagan e della Thatcher in Gran
Bretagna) a seguito degli shock d’offerta dovuti alle
crisi petrolifere.
La scuola monetarista reinterpreta la Grande
Depressione fornendo una diversa spiegazione dei
fatti con un approccio metodologico influenzato da
elementi istituzionali.
1
La scuola monetarista
La portata della critica monetarista fu quella di
ridimensionare la portata della rivoluzione keynesiana
ad una situazione di breve periodo riportando l’analisi
all’equilibrio macroeconomico di lungo periodo
all’approccio classico. Inoltre si tendeva ad enfatizzare
il ruolo del controllo dei prezzi anche rispetto alle
questioni legate al reddito reale.
All’inizio la discussione verteva sull’efficacia delle
politica fiscale rispetto a quella monetaria e
all’esistenza di forze automatiche di riequilibrio. Il
modello di Hicks IS-LM appare un buon punto di
partenza. Da questo contesto l’efficacia delle politiche
fiscali e monetarie viene a dipendere dall’entità della
retroazione monetaria e cioè dell’effetto di ritorno sul
mercato dei beni di una variazione indotto del tasso di
interesse. Il dibattito si concentrava infine sui casi
estremi dei due modelli.
Il caso estremo keynesiano
Consideriamo i due casi estremi keynesiani
dell’inefficacia della politica monetaria in cui il
meccanismo di trasmissione non funziona (Ms > i
> I > Y) .
IS
LM
i
i
LM
IS
IS’
LM’
io
i1
Yo
Y
Yo
Y1
Ŷ
Y
Il caso estremo keynesiano
(i) nel caso in cui gli investimenti sono insensibili al tasso di
interesse (i>I) la curva IS diviene verticale ed ogni politica
monetaria espansiva (aumento dell’offerta di moneta LM
verso destra LM’) riduce il tasso di interesse (da io a i1) ma
non accresce il reddito di equilibrio fermo a Yo. Le
determinanti degli investimenti sono altre rispetto al tasso di
interesse.
(ii) nel caso dell’insensibilità del tasso di interesse all’offerta
di moneta (Ms>i) si manifesta il c.d. caso della trappola di
liquidità per cui il tasso di interesse è nullo, troppo basso, e
la LM diviene orizzontale. Ciò può essere vero anche in
presenza di una offerta di moneta endogena in cui la politica
monetaria è orientata alla stabilizzazione del tasso di
interesse.
In entrambi i casi la politica monetaria diviene
completamente inefficace e vengono meno quei
meccanismi di riequilibrio di piena occupazione.
Meccanismi riequilibratori
In una situazione di disoccupazione e reddito più basso
rispetto alla piena occupazione si presuppone che i salari
tendano a diminuire e con essi i prezzi e quindi la quantità
reale di moneta (M/P) ad aumentare, riducendo tasso di
interesse e spostando la LM verso destra.
Tuttavia nel caso di trappola della liquidità l’aumento della
quantità di moneta non ha nessun effetto sul tratto orizzontale
della LM e quindi il sistema rimane “intrappolato” al livello del
reddito precedente Yo. La deflazione (riduzione dei prezzi)
non ha alcun effetto sull’occupazione ma confermerebbe
quella “economia della depressione” di Hicks.
L’unica via di uscita è la politica fiscale che in tale caso (in
presenza di una LM orizzontale) avrebbe effetti massimi con
un moltiplicatore keynesiano pieno.
Meccanismi riequilibratori
Per i monetaristi, rifacendosi alla tradizione classica, la trappola
della liquidità prospetta soluzioni differenti attraverso il c.d.
effetto Pigou: La caduta del livello dei prezzi porta ad
aumentare le disponibilità liquide e la ricchezza delle famiglie
con un aumento dei consumi. Senza alcuna politica economica
si realizza uno spostamento della IS in IS’ con un riequilibrio
spontaneo ed efficace.
I Keynesiano rispondono a sua volta che tale effetto viene
contemperato dall’effetto aspettative – di un ulteriore riduzione
dei prezzi e di un ritardo quindi negli acquisti – e dall’effetto
redistributivo a favore dei creditori rispetto ai debitori. Solo una
politica fiscale espansiva è in grado di riequilibrare il sistema.
Il caso monetarista estremo
Consideriamo adesso il caso opposto di una domanda di moneta
anelastica rispetto al tasso di interesse (curva LM verticale). In
tale situazione qualsiasi politica fiscale espansiva risulta
inefficace. In tal caso l’aumento del tasso di interesse produce
un effetto spiazzamento tra investimenti privati e pubblici. Al
contrario la politica monetaria acquisisce la massima efficacia
LM
i
i
LM
i1
LM’
io
IS’
io
i1
IS
IS
Yo
Y
Yo
Y1
Y
Le innovazioni keynesiane
nell’analisi monetarista
L’anelasticità della domanda di moneta al tasso di interesse
discende da una teoria della moneta differente da quella di
Keynes che aveva introdotto il concetto di preferenza per la
liquidità. Essendo la moneta detenuta per motivi transattivi,
speculativi e precauzionali è ovvio che il tasso di interesse
costituisce un elemento importante dal quale deriva la detenzione
di moneta. In situazione di incertezza la moneta dipende sia dal
reddito che dal tasso di interesse
Md/P=f(Y,i)
Per Keynes il tasso di interesse è una variabile monetaria che
determina l’equilibrio tra domanda e offerta di moneta (Md=Ms) a
differenza dei classici secondo cui il tasso di interesse è una
variabile reale che determina l’uguaglianza risparmi e investimenti
(S=I). Nell’ipotesi neoclassica il tasso di interesse è sia una
variabile monetaria (curva LM) che reale (curva IS).
Friedman e la teoria
quantitativa
Friedman e i monetaristi riprendono una teoria
quantitativa della moneta (Fisher 1911) che esplicita il
motivo transattivo della moneta:
MV=PY
In cui la quantità di moneta M, V la velocità di
circolazione (il numero di utilizzo in un tempo
determinato), P il livello dei prezzi e Y il reddito reale.
Posto la Velocità di circolazione V una costante
discende che ogni variazione dell’offerta di moneta (M)
si riflette in modo diretto e proporzionale al reddito
monetario (PY). Posto inoltre che il reddito reale sia di
piena occupazione allora ogni variazione di quantità di
moneta (M) influenza necessariamente solo P.
Da ciò si deduce che l’inflazione è solo una variabile
monetaria e la moneta non ha alcun effetto reale. La
moneta è neutrale.
L’equazione di Camdbrige
Secondo alcuni economisti pre-keynesiani formularono la
seguente equazione:
M/P=kY
Dove il reddito non necessariamente coincide con il reddito di
piena occupazione e il fattore di proporzionalità (k) tra saldi
monetari (M/P) e reddito reale, pur essendo l’inverso della
velocità di circolazione V, rappresenta la frazione di reddito
che gli individui desiderano detenere sotto forma di scorte
liquide.
Il problema consiste nell’interpretazione di questo parametro K
come costante e quindi una relazione stabile tra saldi monetari
e reddito reale (versione quantitativa classica) o come
propensione a detenere moneta come stabilito dal prekeynesiani. Per i keynesiani infine la domanda di moneta è
fortemente instabile e tale relazione è inadeguata.
La domanda di moneta e il
meccanismo di trasmissione
monetaria
1.
2.
3.
-
-
I monetaristi hanno specificato in maniera precisa la definizione
di domanda di moneta sulla base delle seguenti ipotesi:
Rilevante è la domanda reale di moneta (M/P);
La domanda reale di moneta è funzione di diverse variabile
prima tra le quali il reddito;
Il tasso di interesse ha una capacità di condizionare la
domanda di moneta molto bassa.
In seguito monetaristi e keynesiani hanno espresso una
convergenza verso la seguente funzione di domanda di
moneta:
Md=f(Y,Ω,π, ib, il, …)
Y= reddito, Ω=ricchezza inclusi i titoli, π=tasso di inflazione,
i=tassi di interesse a breve o a lungo, ect…
Nel corso del tempo quindi anche i monetaristi hanno incluso il
tasso di interesse nella variabili della domanda di moneta
allontanandosi dalla teoria quantitativa classica nell’ipotesi di
breve periodo.
La domanda di moneta e il
meccanismo di trasmissione
monetaria
I monetaristi, nel breve periodo, finiscono per superare l’ipotesi di
neutralità della moneta. Se per i keynesiani l’effetto di trasmissione
era dato dal tasso di interesse che interveniva sugli investimenti,
per i monetaristi l’effetto di trasmissione sulle variabili reali avviene
attraverso processi di sostituzione sia tra moneta e titoli che tra
moneta e beni. Decisioni di spesa e scelte di portafoglio (se si
riduce M i consumatori possono ridurre i consumi C) determinano
effetti reali.
In definitiva le differenze tra monetaristi e keynesiani sono rimaste
evidenti soprattutto sui suggerimenti di politica economica laddove
i monetaristi attribuiscono la centralità nel controllo dell’offerta di
moneta e quindi degli aggregati monetari mentre i keynesiani nel
controllo del tasso di interesse al fine di stabilizzare il reddito reale.
Oggi, nella condivisione del modello IS-LM, la differenza
sostanziale tra le due scuole rimane quella della maggiore o
minore elasticità delle due curve ed dell’efficacia delle politiche
fiscali e monetarie.
Attività finanziaria e ricchezza
-
Abbiamo finora analizzato le variabili flusso (reddito,
consumi, ect..) ma non quelle stock. Vediamo di determinare
il termine Ricchezza attraverso le seguenti componenti:
Monete (M)
Attività finanziarie - Titoli (B)
Attività reali – capitale fisso (K)
Altre attività – capitale umano, risorse naturali
Possiamo definire nel settore privato la ricchezza come:
Ω=M+B+K
La determinazione della ricchezza condiziona le scelte e le
funzioni di comportamento come quella dei consumi. Altro
elemento importante è la composizione della ricchezza
(teoria delle scelte di portafoglio di Tobin) e dei rendimenti
delle diverse attività.
Il dibattito keynesiani e
monetaristi
A seguito delle recenti evoluzioni metodologiche
e di analisi il dibattito tra keynesiani e monetaristi
si è spostato più che sulla condivisione della
sintesi neoclassica al modello IS-LM sull’efficacia
delle politiche di stabilizzazione da adottare.
Inoltre le recenti critiche sono riferite al modello
IS-LM in quanto tale trattandosi di un modello
troppo statico, che non tiene conto delle variabili
fisse (del capitale fisso) ma solo delle variabili
flusso e che trascura gli effetti di lungo periodo.
Il problema quindi è quello di verificare la sua
coerenza con i problemi di medio e lungo
periodo.
L’estensione del modello IS-LM
Tra le principali critiche al modello IS-LM inoltre vi è quella che
lo stesso si concentra troppo sul fronte della domanda
aggregata sottovalutando i problemi legati all’inflazione e al
livello dei prezzi.
In effetti il modello IS-LM e le politiche di stabilizzazione si
riferiscono sempre a variabili reali trascurando o
presupponendo un’ipotesi di prezzi fissi e quindi di una curva
di offerta infinitamente elastica.
Le successive analisi macroeconomiche hanno finito per
endogenizzare la variabile del livello dei prezzi in cui
l’equilibrio macroeconomico di un modello IS-LM è data non
più sul piano di (Y,i) ma bensì di (Y,P) con l’inclusione di
appropriate curve di domanda e offerta aggregata.
L’estensione del modello IS-LM
1)
2)
3)
In sintesi i principali modelli macroeconomici sono i seguenti:
Il modello keynesiano cross, in cui i prezzi sono fissi, il
reddito reale è determinato sul lato della domanda (spesa
aggregata) e si considera l’equilibrio sul fronte del mercato
dei beni (non vi è settore monetario);
Il modello IS-LM in cui valgono le ipotesi di prezzi fissi e
reddito determinato ma vi è una retroazione monetaria (le
variazioni del tasso di interesse modificano la domanda
aggregata)
Il modello di domanda/offerta aggregata (il modello AD-AS)
in cui il livello dei prezzi diviene endogeno e le sue variazioni
modificano la domanda aggregata e quindi il reddito reale. In
questo caso una variazione dei prezzi (riduzione) aumenta i
saldi monetari (M/P) e quindi (effetti Keynes e Pigou) il
reddito reale. La curva di domanda aggregata subisce
movimenti a seguito di politiche fiscali e monetarie e di
componenti autonome della domanda.
Tasso naturale di disoccupazione
e livello naturale di reddito
Prima di procedere all’analisi dell’offerta aggregata (AS) dobbiamo
introdurre un altro mercato, quello del lavoro.
Nella visione neoclassica il mercato del lavoro resta in equilibrio
nell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro in funzione del salario
reale (W/P) in cui si determina il salario reale di equilibrio (W/P)o
e il livello di occupazione di equilibrio (No).
Il tasso naturale di disoccupazione, in presenza di un ammontare
di forza lavoro (L), è dato da:
Un=(L-No)/L
Da un’analisi più approfondita risulta, in cui i salari non sono
pienamente flessibili, risulta che la determinazione del salario
reale deve essere compatibile con la fissazione dei prezzi delle
imprese.
Tasso naturale di disoccupazione
e livello naturale di reddito
Il salario contrattato dai lavoratori dipende dalle aspettative di
prezzo (Pe), dallo stato del mercato del lavoro (con minori
richieste in rpesenza di elevata disoccupazione) e da alcuni
fattori c.d. di rinforzo z (sussidi di disoccupazione,
regolamentazione
salario
minimo,
procedure
di
licenziamento/assunzioni, ect…).
Pertanto, scrivendo W=Pe f(u,z) e ipotizzando che nel medio
periodo le aspettative sono realizzate (P=Pe) si ottiene una
equazione dei salari rappresentata dalla curva WS (wagesetting) che è una curva decrescente rispetto al tasso di
disoccupazione u.
W/P=f (u,z)
Tasso naturale di disoccupazione
e livello naturale di reddito
Supponendo che le imprese fissano i prezzi secondo la regola del markup pricing indicando con h il margine sui costi dall’equazione P=(1+h)W
si ottiene l’equazione dei prezzi rappresentata dalla curva price-setting
PS indipendente dal tasso di disoccupazione u.
W/P=1/(1+h)
W/P
Salario reale
1/1+h
A
PS
WS Equazione dei salari
un
Tasso di disoccupazione, u
Tasso naturale di disoccupazione
e livello naturale di reddito
Il tasso naturale di disoccupazione (un) è
quindi il punto di intersezione tra le curve
WS e PS ovvero il risultato dell’equazione:
f(z,u)=1/1+h
Il risultato che si ottiene è il tasso naturale di
disoccupazione Un al livello naturale di
produzione Yn
L’offerta aggregata
Il dibattito si è spostato tra keynesiani e monetaristi sul fronte
dell’offerta aggregata. Se all’inizio le posizioni erano più estreme:
La curva di offerta orizzontale (con prezzi fissi) per i keynesiani
La curva di offerta verticale (con reddito di piena occupazione) per i
monetaristi con prezzi perfettamente flessibili
Questa posizione si è andata sfumando nel tempo laddove i
keynesiani hanno evidenziato che l’esistenza di prezzi fissi si
verifica in situazioni di brevissimo periodo o di profonda recessione.
In conclusione alcuni hanno confermato l’ipotesi pura, orizzontale,
altri positivamente inclinata con costi di produzione crescenti, con
salari monetari crescenti al crescere della produzione e
dell’occupazione, o verticale caratterizzate da equilibri di medio
periodo.
L’offerta aggregata
Nell’ipotesi monetarista di breve periodo la curva di offerta non può essere
che verticale (caso classico puro). In questo caso la domanda è ininfluente
sul piano della determinazione del reddito reale, solo su quello del livello dei
prezzi. Tuttavia i monetaristi non negano che nel breve periodo, a causa
delle aspettative, il livello del reddito possa differire da quello naturale per
cui la curva S può essere inclinata positivamente. Ciò può essere dovuto
alle aspettative non pienamente realizzate ed ai processi di aggiustamento.
S* ipotesi monetarista classica
P
S
P2
P*
D’’
P1
D’
Y
Y1
Yn
Le aspettative adattive
Malgrado anche i keynesiani ne abbiamo risalto l’importanza )nella
formazione dei comportamenti) sono i monetaristi che sviluppano
un meccanismo di formazione delle aspettative c.d. adattive.
Il significato della formula di seguito esplicitata, nel caso del livello
dei prezzi, indica che i prezzi attesi nel periodo precedente
vengono aggiustati nel periodo corrente per un ammontare di una
frazione (uguale ad α) dell’errore commesso nel periodo
precedente. Il parametro α è positivo e minore dell’unità e
rappresenta la memoria degli agenti (apprendimento dagli errori).
Pet -Pet-1 = α (Pt-1 – Pet-1)
Le aspettative di tipo adattivo dipendono solamente dalla storia
passata della variabile di riferimento.
L’offerta aggregata con le
aspettative
In definitiva potremo dire che vi è equilibrio di breve periodo
allorché i mercati sono in equilibrio (AD=AS) ma le aspettative
degli individui non sono realizzate. Solo quando il processo di
aggiustamento delle aspettative si sarà compiuto è possibile
raggiungere un equilibrio di medio/lungo periodo in cui il reddito
raggiungere quello naturale.
Volendo fare un esempio nel caso delle aspettative dei lavoratori
sulle aspettative di prezzo e di salari reali. Finché i prezzi effettivi
diventino quelli attesi, probabilmente a seguito di una espansione
della domanda aggregata, si possono manifestare effetti reali (i
salari reali possono temporaneamente ridursi a seguito di un
aumento dei prezzi). Nel medio/lungo periodo le aspettative si
realizzano (P=Pe) e il sistema torna in equilibrio con una curva di
offerta (S*) in corrispondenza del reddito naturale.
Analisi degli shock
L’utilità del modello IS-LM ci consente
altresì di effettuare una analisi sugli
shock, cioè i disturbi e le perturbazioni
che
alterano
l’equilibrio
macroeconomico.
Si
possono
distinguere
shock
dell’offerta e shock della domanda
con effetti sui prezzi o con effetti sulle
variabili reali se i prezzi sono rigidi.
Analisi degli shock
-
-
-
Shock della domanda corrispondono a variazioni:
Della domanda aggregata autonoma (consumi, investimenti,
esportazioni, ect..)
Della domanda di moneta;
Delle politiche economiche di tipo congiunturale (monetarie e
fiscali).
Le conseguenze sul piano della domanda nel breve periodo
sono pro-cicliche ossia di segno uguale alla variazione della
domanda aggregata. Nel lungo periodo se:
l’aumento della domanda è causata da una politica monetaria
espansiva il reddito rimane fisso e si rinvia ad una crescita dei
prezzi (inflazione) e alla fine di una crescita dello stock di
moneta (M/P);
l’aumento della domanda è causata da una politica fiscale
espansiva la modifica del tasso di interesse modifica la
composizione del reddito a parità di reddito naturale.
Analisi degli shock
-
Shock dal lato dell’offerta corrispondono a mutamenti
Del livello dei salari monetari o di altre caratteristiche del
mercato del lavoro;
Dei margini di profitto;
Della capacità produttiva (variazione di stock di capitale);
Dei prezzi e dei fattori produttivi (materie prime)
Dei metodi di produzione (progresso tecnologico);
Degli interventi di politica economica sul fronte dell’offerta
(politiche fiscali e/o strutturali).
Sul fronte dell’offerta le variazioni del reddito reale e del
livello dei prezzi sono di segno opposto (shock petroliferi
che causano recessione e inflazione – stagflazione). Molti
shock dell’offerta fanno spostare la curva di offerta non
solo di breve ma anche di lungo periodo.
Analisi degli shock: sintesi
-
-
-
-
Shock positivi della domanda aggregata: spostano la
curva AD verso dx: quindi ↑P e nel breve periodo ↑Y
(politiche utilizzate durante i periodi di recessione);
Shock negativi della domanda aggregata: spostano la
curva AD verso sx: quindi ↓P e nel breve periodo ↓Y
(politiche restrittive per controllare l’inflazione)
Shock positivi dell’offerta aggregata: come shock
petroliferi spostano verso dx la curva AS: quindi ↑P e
nel breve periodo ↓Y (stagflazione);
Shock negativi dell’offerta aggregata: come per
esempio il progresso tecnico spostano verso sx la
curva di offerta AS: quindi ↓P e nel breve periodo ↑Y
Analisi dinamica degli shock
1)
2)
3)
4)
Per analizzare in modo appropriato il ciclo
economico occorre quindi capire:
Qual è la natura dello shock (domanda o offerta);
Quali sono i meccanismi di propagazione e dei
ritardi;
Qual è la reazione e le aspettative degli agenti
economici;
Qual è la reazione dei policymaker, ossia quali sono
le contromisure.
Spesso tutto ciò è difficile da comprendere in quanto
gli shock spesso tendono a sovrapporsi a causa
degli aggiustamenti dovuti alle aspettative e delle
risposte di politica economica.
Analisi dinamica degli shock
E’ tuttavia possibile discriminare tra queste perturbazioni
esaminando il processo dinamico che conduce alla
posizione di equilibrio finale.
Ad esempio un aumento del livello dei prezzi può essere
dovuto a movimenti iniziali dal lato della domanda e/o
dell’offerta a seconda che si osservi un movimento antiorario (con un temporaneo aumento del reddito dovuto allo
spostamento iniziale della domanda aggregata e
successivamente dell’offerta) oppure di tipo orario (con una
contrazione del reddito dovuto ad uno spostamento
dell’offerta e successivamente della domanda). In queste
due situazione si può distinguere rispettivamente se si tratta
di uno shock della domanda o dell’offerta. Alla fine in
entrambi i casi ci si ritroverà allo stesso livello di reddito con
un livello accresciuto dei prezzi.
Analisi dinamica degli shock
Infine, qualunque sia il tipo di shock, è
fondamentale verificare le conseguenze,
monetarie o reali, e ancora gli effetti
transitori o permanenti.
Altro aspetto inoltre è la lunghezza del
processo di aggiustamento.
Spesso infine la rilevanza degli effetti
permanenti influenza non solo il livello dei
prezzi ma anche il tasso di inflazione.
La Legge di Okun e la relazione
tra disoccupazione e reddito
Okun (1962) associa l’aumento del prodotto con la diminuzione della
disoccupazione. La legge si esprime come:
U rappresenta il tasso di disoccupazione è il tasso di crescita normale
della produzione o del reddito -β è il parametro di Okun ed è compreso
tra 0 e 1%, rappresenta l'incidenza della produzione sul tasso di
disoccupazione. In effetti, le variazioni di produzione influiscono in modo
meno che proporzionale sulla disoccupazione in quanto a fronte di una
crescita della domanda, le imprese preferiscono chiedere ai loro
dipendenti di fare straordinari piuttosto che assumere nuova manodopera
(labor hoarding) ed è possibile che parte dei nuovi assunti non fossero
precedentemente previsti nella forza lavoro essendo classificati come
lavoratori scoraggiati. Inoltre, data tale relazione, varrà che se la crescita
è inferiore al tasso normale, la disoccupazione sarà maggiore di quella
del periodo precedente.
La Legge di Okun e la relazione
tra disoccupazione e reddito
La legge di Okun, nel periodo del fordismo, ebbe il grande pregio
di dare ai policy makers indicazioni precise che traducevano in
cifre l'insegnamento keynesiano, perché:
1) se per aumentare l'occupazione di un tot per cento bisognava
aumentare anche la produzione di una percentuale adeguata e
ben precisa;
2) se l'aumento della produzione - si riteneva - ottenibile soltanto
attraverso il corrispettivo aumento della domanda di beni e servizi
da parte della Pubblica Amministrazione (P.A.), la disoccupazione
si può combattere solo aumentando la spesa pubblica o
incentivando la spesa privata.
Negli Stati Uniti durante il periodo che va dal 1965, questa legge
ha interpretato la situazione economica, stabilendo che per ogni
punto percentuale del tasso di disoccupazione, o meglio del tasso
naturale di disoccupazione, il PIL reale si riduce dai 2 ai 3 punti
percentuali.
La Curva di Phillips
L'economista A.W. Phillips, nel 1958, osservò una relazione inversa tra
le variazioni dei salari monetari e il livello di disoccupazione
nell'economia britannica nel periodo preso in esame. Analoghe relazioni
vennero presto osservate in altri paesi. Nel 1960, Samuelson e Solow, a
partire dal lavoro di Phillips, proposero un'esplicita relazione tra
inflazione e disoccupazione: allorché l'inflazione era elevata, la
disoccupazione era modesta, e viceversa. "La società può permettersi
un saggio di inflazione meno elevato o addirittura nullo, purché sia
disposta a pagarne il prezzo in termini di disoccupazione".(Robert
Solow).
Negli anni successivi, diversi economisti furono convinti del fatto che i
risultati di Phillips indicassero una relazione stabile, permanente, tra
inflazione e disoccupazione. Un'implicazione di questa conclusione per
la politica economica sarebbe stata che i governi avrebbero potuto
controllare inflazione e disoccupazione, tramite una politica Keynesiana,
dovendo semplicemente risolvere un problema di trade-off tra i due
obiettivi della politica economica, scegliendo un punto sulla curva di
Phillips dove posizionare il sistema economico.
La Curva di Phillips
Dalla relazione tra crescita dei
salari monetari e tasso di
disoccupazione è agevole passare
alla relazione tra crescita dei prezzi
e
lo
stesso
tasso
di
disoccupazione. Si tratta di una
condizione inflattiva sul lato della
domanda e non su quello
dell’offerta (costi delle materie
prime,
ect..).
La
curva
rappresentata a destra mostra la
relazione tra tasso di inflazione π e
taso di disoccupazione u: al
tendere a zero di quest’ultima
l’inflazione è elevatissima.
La Curva di Phillips
In prima approssimazione la relazione risulta la
seguente:
∆P/P = ∆W/W - ∆q/q
In cui P si riferisce ai prezzi, W ai salari, e q alla
produttività del lavoro. Il tasso di variazione dei
prezzi coincide con il tasso di inflazione π.
Tale relazione implica che variazioni dei prezzi
sono uguali a variazioni del costo del salario per
unità di prodotto, e che quindi non ci siano
variazione dei costi degli altri fattori produttivi e
nemmeno dei margini di profitto.
Il trade-off tra
disoccupazione ed inflazione
Attraverso le politiche di stabilizzazione
e di controllo della domanda aggregata
il governo può decidere il punto
desiderato
di
inflazione
e
disoccupazione.
La
combinazione
dipenderà dalle preferenze sociali, dai
costi sociali e dalla c.d. funzione di
perdita. Si tratta, sulla curva di Ph, di
determinare quale dei punti A o B
desideriamo avere. Si tratterà di
operare degli spostamenti sulla curva di
Phillips.
Diversamente
politiche
dell’offerta
o
shock
dell’offerta
provocano uno spostamento della curva
di Phillips (da Ph a Ph’) con un
miglioramento/peggioramento del tradeoff.
Il trade-off tra
disoccupazione ed inflazione
Per quanto riguarda gli spostamenti della curva di Ph
le politiche che si preferiscono sono o quelli sul
fronte dei redditi (politiche dei redditi) o piuttosto
quelle sul fronte della offerta (maggiore flessibilità
salariale, politiche attive del lavoro, riduzione dei
divari settoriali e regionali, ect..).
In questo ambito è rilevante l’assetto istituzionale
delle relazioni industriali laddove esistono forti
sindacati organizzati e centralizzati o bassi livelli di
sindacalizzazione e forte decentramento nelle
relazioni
industriali.
L’assenza
di
sindacati
centralizzato o al contrario di condizioni di estrema
flessibilità finisce per peggiorare il trade-off tra
disoccupazione e inflazione.
Tipi di inflazione
1)
2)
Nell’analisi keynesiana tradizionale l’inflazione può essere quindi
di due tipi:
Inflazione da domanda (demand pull) che rappresenta uno
spostamento lungo la curva di Phillips;
Inflazione da costi (cost pull) che rappresenta uno spostamento
della curva di Phillips a causa di aumenti esogeni dei salari,
aumenti dei prezzi delle materie prime, dinamica degli oneri
finanziari e dei margini di profitto e anche dell’evoluzione fiscale e
tributaria.
Per i keynesiani lungo la curva di Ph non vi è alcun punto di
equilibrio. Il sistema tende a giacere dove si trova o dove le
autorità economiche vogliono che sia. Da queste considerazioni
scaturisce la critica della scuola monetarista che nel tempo ha
trovato maggiore consistenza a causa della maggiore rilevanza
assunta dalle aspettative inflazionistiche.
La visione monetarista: il tasso
naturale di disoccupazione
I monetaristi hanno individuato, al contrario dei keynesiani, un
punto di equilibrio verso il quale tutto il sistema economico
converge: l’equilibrio naturale.
A differenza dei keynesiani che si sono concentrati sulle variazioni
nominali dei salari e dei prezzi dai valori di equilibrio, i monetaristi
hanno consideratole conseguenze reali delle deviazioni dei salari
reali dai valori di equilibrio.
In particolare la variabile di equilibrio per il mercato del lavoro è il
salario reale (e non quello monetario) W/Po che rende la domanda
e l’offerta di lavoro in equilibrio ad un livello di occupazione No.
Considerate le forze lavoro esogene (L) il tasso naturale di
disoccupazione risulterà un=(L-No)/L.
Il tasso di disoccupazione corrisponde alla piena occupazione e ad
una condizione di disoccupazione solo volontaria.
La visione monetarista: il tasso
naturale di disoccupazione
Friedman (1968) precisa che il tasso di disoccupazione naturale
risulta dall’equilibrio generale walrasiano ma sempre tenuto conto
delle caratteristiche strutturali del mercato del lavoro e dei beni, della
variabilità dell’offerta e della domanda, dalle imperfezioni di mercato,
dai costi informativi e di mobilità, ect… Pertanto il tasso di
disoccupazione naturale può variare da periodo a periodo al variare
delle caratteristiche strutturali del mercato del lavoro (composizione
della forza lavoro, preferenze dei lavoratori, produttività del lavoro,
struttura complessa, ect..).
Il tasso naturale di disoccupazione è compatibile con un solo salario
reale (wo) ma con qualunque salario monetario (W) posto che i prezzi
variano in proporzione.
Di conseguenza la curva di Phillips (π, u) sarà rappresentata, grazie
alla piena flessibilità di prezzi e salari, con una retta verticale in
concindenza con il tasso naturale di disoccupazione.
Curve di Phillips di breve e
medio periodo
Questa ipotesi di curva di Phillips verticale per i
monetaristi risulta comunque di medio periodo in cui
non esiste il trade-off disoccupazione/inflazione
essendoci solo un tasso di disoccupazione naturale.
Nel breve periodo anche i monetaristi sostengono
dell’esistenza di questo trade-off. Tutto ciò è dovuto
sempre alle aspettative e ai processi di aggiustamento
temporale. Per i monetaristi qualsiasi politica
monetaria o fiscale, non appena le aspettative degli
agenti si modificano, risulterà inefficace, riportando il
sistema al tasso naturale di disoccupazione un. La
curva di Phillips (Ph*) sovrastante la un coincide con una
retta verticale che rappresenta la situazione di aspettative
realizzate.
L’ipotesi accelerazione e la
stagflazione
La curva di Phillips aumentata delle aspettative può
essere rappresentata nel seguente modo, in cui
l’inflazione
attesa
viene
esplicitata
come
determinante dell’inflazione effettiva:
πt= a πte - b (ut – un)
In cui πte rappresenta l’aspettativa adattiva sul tasso
di inflazione, (b) è un parametro positivo ed (a) un
coefficiente di aspettativa, generalmente per i
monetaristi posto a unità. In tal caso è assicurata la
verticalità della curva di Phillips di medio periodo in
corrispondenza
del
tasso
naturale
di
disoccupazione poiché πt= πte (inflazione stazionaria
permanente anticipata) implica ut = un . Al contrario
nel breve periodo ut > un oppure ut < un a seconda
se πt < πte o πt > πte .
L’ipotesi accelerazione e la
stagflazione
La versione precedente può essere rivista con la variabile
inflazione ritardata πt-1 e con la tacita intesa che le aspettative sono
statiche πte = πt-1. Effettuando la sostituzione nella versione
precedente avremo che:
πte – πt-1 = -b (ut – un)
in cui è palese che quando ut < un allora πt < πt-1 (inflazione
crescente) e solo quanto ut = un allora πt = πt-1 (inflazione costante).
Ecco perché il tasso di disoccupazione naturale un è anche
chiamata NAIRU – “non-accelerating inflation rate of
unemployment”.
Il policymaker può tentare di mantenere la disoccupazione al di
sotto del tasso di disoccupazione naturale mediante ripetuti
esperimenti di politiche espansive ed incrementando il tasso di
crescita monetaria, ma al costo di una inflazione non solo positiva
ma crescente nel tempo (ipotesi accelerazionista).
L’ipotesi accelerazione e la
stagflazione
Negli anni ’60 i monetaristi hanno addirittura sostenuto che esiste
una relazione positiva tra inflazione e disoccupazione con una
curva di Phillips inclinata positivamente (fenomeni di stagflazione).
In altri termini al crescere dell’inflazione aumenta la variabilità,
l’inefficienza e l’incertezza del sistema e questo provoca una
riduzione delle attività e quindi disoccupazione.
Secondo i keynesiani la stagflazione sarebbe causata dal
comportamento delle autorità di politica economica che in un
contesto inflattivo tendono a curare l’inflazione attraverso
compressioni della domanda aggregata e quindi aumenti della
disoccupazione. Ciò risulterebbe fallimentare quando l’inflazione è
dovuta ai costi.
Le politiche disinflazionistiche
Le politiche disinflazionistiche dei monetaristi si
concentrano sulla quantità di moneta. Per cui le
politiche anti-inflazione devono essere rivolte ad una
riduzione – più o meno rapida o graduale – della
quantità di moneta.
Se l’inflazione di partenza πo risulta indesiderata dal
governo e l’obiettivo è abbassarla al livello π1 il
problema è di condurre il sistema, mediante una
politica restrittiva, dal punto A al punto E della curva
di Phillips (Ph*) di medio periodo. Nel medio periodo
la disoccupazione viene fissata al livello naturale (un) .
Le politiche disinflazionistiche
Ph*
πo
A
Tuttavia
nel
breve
periodo
la
disoccupazione
potrà
crescere
significativamente. Infatti se lo shock
monetario è sufficientemente forte il
sistema potrà spostarsi prima da A a F
con
una
disoccupazione
u1
e
successivamente da F a E attraverso
un processo di aggiustamento. Tutto ciò
sarà ancora più vero davanti a processi
di aggiustamento rapidi e non graduali.
F
π1
E
Un
U1
Le politiche disinflazionistiche
Il rientro dall’inflazione risulta quindi più lento e
meno costoso per la società se avviato attraverso
procedure graduali.
Può essere opportuno ricordare che una adeguata
politica antinflazionistica senza costi deve soddisfare
le seguenti condizioni:
-
Decisioni degli agenti basate su aspettative razionali;
Assenza di rigidità nominali (prezzi e salari);
Credibilità della politica disinflazionistica (spesso di
potrà ridurre l’inflazione anche solo con l’effetto
annuncio).
L’aggiustamento dinamico
1)
2)
3)
4)
In presenza di shock intervengono quattro meccanismi di
aggiustamento:
Il meccanismo di aggiustamento dei prezzi;
La formazione delle aspettative;
La reazione della domanda aggregata alle variazioni del livello dei
prezzi;
L’eventuale reazione delle autorità di politica economica.
L’interazione di questi meccanismi può generale degli
aggiustamenti a spirale con variazioni tra tasso di inflazione e
reddito reale. Si tratta di processi di deviazione rispetto al reddito
dal livello naturale o potenziale. L’economia infatti può essere
distolta dal reddito di livello naturale e inflazione zero a causa di
disturbi dal lato dell’offerta o della domanda. L’economia ritorna al
livello naturale di lungo periodo dopo un sentiero a cerchi antiorari
con convergenza a spirale. Spesso addirittura da una situazione di
recessione ci si può trovare in una situazione diametralmente
opposta (fenomeno dell’overshooting).
Il dibattito sulle politiche di
stabilizzazione
Se si era evidenziata una certa convergenza verso il modello
tra monetaristi e keynesiani è vero altresì che le controversie
per diversi altri temi:
-
Difformi risultati delle analisi empiriche grazie alle tecniche
econometriche;
L’elemento temporale nelle analisi teoriche ed empiriche sia
nella considerazione dei ritardi dell’azione delle politiche di
stabilizzazione sia degli effetti di medio/lungo periodo;
Le differenze nel ruolo delle politiche di stabilizzazione nel loro
insieme.
Infine le diverse opinioni discendevano dalla preferenza dei
keynesiani per l’analisi di breve periodo e di medio/lungo
periodo per i monetaristi orientati all’analisi del livello naturale
del reddito.
-
-
Orizzonte temporale e capacità
di riequilibrio del mercato
La diffusione sull’efficacia delle politiche di stabilizzazione dipende
non solo da questione tecniche ma altresì da giudizi di valore
(ideologiche, politico, sociale) nella scelta sia degli obiettivi che degli
strumenti. Senza considerare che ogni politica economica ha anche
effetti redistributivi.
A questo riguardo si afferma che i keynesiani siano più favorevoli
all’intervento dello Stato nell’economia mentre i monetaristi partono
da una impostazione liberista con posizioni anche estreme di
laissez-faire.
La principale difformità tuttavia si riscontra sul piano dell’orizzonte
temporale. I monetaristi prediligono il lungo periodo mentre i
keynesiani il breve periodo (nel lungo periodo saremo tutti morti
diceva Keynes).
Le difformità di orizzonte temporale si riflettono sull’equilibrio
macroeconomico. Per i monetaristi l’equilibrio naturale di piena
occupazione è la situazione normale. Per i keynesiani l’equilibrio di
sottoccupazione o di uno stato di disequilibrio con i relativi processi
di aggiustamento richiedo molto tempo prefigurando una situazione
di sottoccupazione duratura.
Orizzonte temporale e capacità
di riequilibrio del mercato
I due aspetti precedenti sono connessi alla capacità di autoequilibrarsi del sistema economico. Per i monetaristi il sistema ha
in sé le forze per autoregolarsi e convergere verso l’equilibrio
senza bisogno di interventi pubblici di stabilizzazione. Per i
keynesiani tale possibilità sembra remota a causa: (1) della rigidità
dei salari e prezzi, (2) imperfezioni di mercato tra cui posizioni
monopolistiche o di rendita, (3) assenza di forze auto-regolatrici,
limitatezza dell’informazione e coordinamento.
E anche che il sistema si autoregolino i tempi del processo di
riequilibrio spesso sono lunghi e i costi di aggiustamento pesanti.
Inoltre la stabilità intrinseca del sistema è l’orientamento dei
monetaristi mentre i keynesiani ritengono il sistema privato
altamente instabile per il comportamento degli agenti economici. I
neoclassici assumono posizioni intermedie a seconda dei tempi. In
verità per Keynes il sistema capitalistico è intrinsecamente stabile
ma mostra forti fluttuazioni cicliche e il collasso può essere evitato
proprio attraverso politiche di stabilizzazione keynesiane.
Necessità delle politiche di
stabilizzazione
Per i keynesiani quindi le politiche di stabilizzazione sono
necessarie, il sistema economico ha bisogno di essere stabilizzato
e lo Stato deve intervenire. La politica economica consiste in
interventi di stabilizzazione della domanda aggregata (o anche
dell’offerta) presi a seconda del ciclo economico. I keynesiani sono
chiamati attivisti.
Per i monetaristi le politiche di stabilizzazione sono inutili (perché il
sistema converge spontaneamente verso l’equilibrio) inefficaci
(incapaci di stabilizzare l’economia per le carenze informative dello
stesso policymaker) dannose (per i ritardi e gli errori nella
dimensione degli interventi. La superiorità dello Stato è anche
legata alla funzione obiettivo dei governi e la funzione de
benessere sociale. E’ evidente che alcune volte le scelte spesso
rispondono a finalità politiche e non di benessere sociale.
I ritardi secondo Friedman e l’efficacia
delle politiche di stabilizzazione
L’elemento temporale è una questione importante delle politiche
di stabilizzazione e le condiziona in due modi:
- Il ritardo temporale dello strumento di politica economica;
- La permanenza nel tempo degli effetti di politica economica.
- Sui ritardi Friedman identifica tre tipologie:
1) Ritardi di percezione di un variazione di variabile economica e il
suo riconoscimento;
2) Ritardi di decisione e di intervento tra il momento di
riconoscimento e l’assunzione delle decisioni (procedure
istituzionali o burocratiche);
3) Ritardi degli effetti c.d. esterni delle politiche adottate.
I Ritardi interni (1-2) possono essere eliminati con stabilizzatori
automatici (es. il sistema di tassazione diretta sul reddito dei
sussidi di disoccupazione). I Ritardi esterni dipendono dai
meccanismi di trasmissione e dalla struttura della domanda
aggregati.
I ritardi secondo Friedman e l’efficacia
delle politiche di stabilizzazione
Secondo Friedman una politica di stabilizzazione anti-ciclica
potrebbe manifestare gli effetti in ritardo diventando una politica
pro-ciclica (politiche destabilizzanti). Una politica antidepressiva
potrebbe esplicare i suoi effetti a recessione superata finendo per
svolgere pressioni inflazionistiche o di squilibrio.
Il tutto dovuto non solo alla lunghezza dei ritardi ma dalla
variabilità degli effetti. E quindi è necessario minimizzare la
discrezionalità degli interventi attraverso delle regole di politica
economica.
Tuttavia anche i keynesiani sostengono che i decisori politici
intervengono troppo tardi (ritardi interni di percezione e decisione).
Inoltre le politiche fiscali hanno ritardi decisionali lunghi e ritardi
esterni di effetti brevi, viceversa le politiche monetarie hanno
ritardi decisionali brevi ma effetti esterni lunghi .(moneta, tassi di
interesse, decisioni di investimento)
La permanenza degli effetti
delle politiche di stabilizzazione
Sulla permanenza degli effetti il problema è
distinguere gli effetti temporanei di breve periodo
dagli effetti duraturi di lungo periodo. Altresì
bisogna distinguere tra gli effetti di impatto e gli
effetti di medio/lungo periodo.
Altro elemento è tra effetti reali (reddito,
occupazione, ect..) e effetti monetari (livello prezzi,
tassi di interessi, salari monetari).
E’ ancora opportuno distinguere tra interventi
temporanei (una tantum) e interventi permanenti (o
ripetuti nel tempo).
Anche i modelli econometrici riflettono le evidenze
empiriche delle due scuole sui ritardi e gli effetti.
Differenziazione in tema di
scelta di obiettivi
Le diversità tra monetaristi e keynesiani sono anche sugli obiettivi
di politica economica. I keynesiani il reddito, i monetaristi la
stabilità del livello dei prezzi.
I problemi si pongono non nella fissazione dei valori ma nella
definizione degli obiettivi intermedi e dai pesi tra obiettivi
alternativi. In una funzione di perdita i keynesiani enfatizzano la
stabilizzazione del reddito rispetto a quello dei prezzi. Il c.d.
“dilemma crudele” di Modigliani tra disoccupazione e inflazione. I
keynesiani inoltre hanno posto l’accento sul rischio di inflazione
nulla (produzione persa e disoccupazione permanente). Anzi
sottolineano i vantaggi di una inflazione moderata: rafforzamento
della stabilità dell’economia (gli effetti dei tassi di interesse
nominali); produzione di reddito più elevato nel lungo periodo
(sostituzione tra moneta e capitale fisso), accresce l’efficienza
degli aggiustamenti intersettoriali, consolida l’efficacia delle
politiche monetarie (con inflazione nulla si avrebbero tassi di
interesse reali negativi).
Differenziazione in tema di
scelta di obiettivi
-
Dall’altro canto i monetaristi riservano
attenzione al problema dell’inflazione e
l’obiettivo del reddito è quello del livello
naturale. E’ l’inflazione che provoca la perdita di
reddito e produzione. L’inflazione provoca le
seguenti conseguenze negative:
Accresce l’incertezza (rinnovi contrattuali);
Distorce i segnali di prezzo e altera le risposte
degli agenti;
Riduce i servizi resi dalla liquidità deviando le
risorse alle attività finanziarie;
Non può essere fronteggiata con processi di
indicizzazione.
Regole di politiche economiche
I keynesiani favorevoli ad interventi discrezionali di politica
economica mentre i monetaristi contrari ma bensì suggeriscono
il ricorso a delle regole di politica economica.
Per quanto riguarda la politica monetaria una regola
appropriata potrebbe essere quella di lasciar crescere la
quantità di moneta secondo un tasso costante. Tale tasso
gm=∆M/M può essere posto uguale al tasso di crescita normale
del reddito g*y maggiorato di un tasso di inflazione molto basso
π:
gm= g*y+ π
Il tasso di crescita degli aggregati monetari (quantità di moneta)
costante al fine di evitare instabilità ciclica e annunciata per
influire sulle aspettative.
Regole di politiche economiche
Quanto alla politica fiscale è quella del bilancio in pareggio ed
eventualmente il finanziamento del disavanzo attraverso titoli e
non moneta per evitare inflazione.
La necessità di regole di politiche fiscali è dovuta
all’espansione della spesa pubblica.
Altro elemento sono gli aspetti istituzionali che inevitabilmente
sono una componente importante nelle scelte di politiche
economiche.
Alla fine anche gli economisti keynesiani concordano sulla
necessità di un sistema minimo di regole anche a causa della
scarsa prevedibilità delle perturbazioni e quindi alla riduzione
dei margini di discrezionalità della politica economica. Tuttavia
è sempre preferibile un sistema di regole flessibili.
Visione complessiva sull’efficacia
delle politiche di stabilizzazione
Nel corso del tempo si è registrata una certa
convergenza di posizione tra keynesiani e
monetaristi sul ruolo da assegnare alla politica
fiscale e alla politica monetaria.
Le politiche fiscali, al crescere della spesa
pubblica e del vincolo di bilancio e altresì delle
considerazioni sull’offerta hanno convinto del
fatto che si tratta più di una politica strutturale
che di un mezzo di stabilizzazione. Ai decisori
politici non rimane quindi che la politica
monetaria.
La divergenza più rilevante rimane sulla
desiderabilità in generale delle politiche di
stabilizzazione.