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Luigi Bovo
La grande guerra e l’arte italiana.
Lo scoppio della guerra
All’inizio del novecento , l’Europa era un continente in crescita sotto ogni profilo, dall’economia
alle scienze, dalla democrazia interna allo sviluppo civile, dalla cultura alle condizioni di vita.
Questa straordinaria ricchezza di energie venne bruscamente distorta dalle esigenze di una guerra
mortale, fratricida, condotta in nome dei più alti valori della civiltà liberale.
La guerra fu considerata totale nel senso che tutte le energie economiche sociali e intellettuali
furono mobilitate per sostenere il peso economico ed umano e la vita di tutti ricevette un’impronta
molto forte. Tutti i cittadini furono bombardati di messaggi che parlavano della guerra e tutti
venivano invitati a unirsi agli sforzi comuni per la patria, coinvolgendo non solo i combattenti ma
anche l’intera popolazione.
A determinare lo scoppio della prima Guerra mondiale fu un grave fatto di sangue, l’attentato di
Sarajevo avvenuto il 28 giugno del 1914. L’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono
dell’impero d’Austria e Ungheria, fu ucciso con la moglie da un nazionalista serbo. In realtà
l’Austria voleva conquistare la Serbia; la Germania appoggiava l’Austria, mentre la Russia
sosteneva la Serbia. L’Austria dichiarò guerra alla Serbia il 28 luglio del 1914.
Da una parte vi erano gli Imperi centrali l’Austria-Ungheria e Germania cui si unirono poi l’impero
turco e la Bulgaria; dall’altra le potenze della Triplice Intesa cioè l’Inghilterra, Francia, Russia più
la Serbia e gli altri Stati.
Allo scoppio della guerra l’Italia si dichiarò neutrale; subito essa si divise in neutralisti ed
interventisti.
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Uno slogan con cui gli interventisti attuarono la loro propaganda fu: “Guerra sola igiene del
mondo”, frase inserita nel Manifesto del Futurismo di F.T. Marinetti.
Gli interventisti erano favorevoli a entrare in guerra. Ne facevano parte i nazionalisti fra i quali
ricordiamo Gabriele D’Annunzio, l’esercito e l’ambiente della corte, i grandi gruppi industriali. Su
posizioni simili a quelle dei nazionalisti si trovava anche l’ex-socialista Benito Mussolini, espulso
dal partito socialista proprio perché favorevole alla guerra, e infine i Futuristi che nel loro manifesto
“ I futuristi primi interventisti- Manifesto dell’Orgoglio italiano” (ora anche movimento politico), si
proclamano come i primi interventisti:« Nel settembre 1914 durante la battaglia della Marna e in
piena neutralità italiana noi futuristi organizzammo le due prime dimostrazioni contro l’Austria e
per l’intervento».
La campagna interventista offrì l'occasione per manifestazioni antiaustriache che esplosero in forme
spettacolari. Il 15 settembre del '14, al teatro Dal Verme di Milano, Marinetti sventolò da un palco
una grande bandiera tricolore mentre l'orchestra suonava la Marcia Reale. Dovettero intervenire i
questurini per sedare il tumulto. Le manifestazioni continuarono a Milano, in Piazza del Duomo e in
Galleria.
Nel manifesto sono citati alcuni dialoghi significativi: «Alt! Pianta gli acidi e i motori! Questa sera
faremo una violentissima dimostrazione contro l’Austria», «Abbassoooo l’Austriaaa!..»..
Dopo Milano, seguirono le conferenze interventiste nelle università di Roma che suscitarono risse
violente. Il 12 aprile 1915, a Roma, Marinetti fu arrestato con Mussolini e i futuristi Settimelli e
Balla durante la terza grande dimostrazione interventista. Quello che bisogna dire, è che i futuristi,
«primi nelle piazze per esigere a pugni il nostro intervento furono i primi sui campi di battaglia con
moltissimi morti feriti e decorati». A perire in battaglia, vi furono Boccioni e Sant’Elia.
Correnti e avanguardie artistiche.
Fin dal principio del secolo si susseguirono movimenti e correnti, miranti a precisare quali
potessero essere o dovessero essere, nella società contemporanea, le specifiche funzioni dell’arte.
Tale funzioni, infatti, non erano più, come nel passato, stabilite dalla società in rapporto a proprie
esigenze, ma proposte dagli artisti nella loro qualità di intellettuali indipendenti e responsabili. Di
fatto gli artisti ricusavano gli apparati disposti dalla società per la loro formazione; si formavano al
di fuori dell’insegnamento scolastico o in aperta contraddizione con esso.
Questa separazione dalla società attiva venne in qualche modo compensata con altri tipi di
associazione e anzitutto con il formarsi di gruppi di artisti di tendenza affine: gruppi che spesso si
davano un nome e un programma, esercitavano un’azione preordinata, conducevano una loro
politica. Se l’arte del primo decennio del secolo ebbe un orientamento generalmente “modernistico”
in quanto mirava a rispecchiare e ad esaltare la nuova concezione del lavoro e del progresso, dal
1910 circa si determinarono nei vari paesi europei in fase di industrializzazione movimenti detti di
avanguardia che volevano fare dell’arte un incentivo alla trasformazione radicale della cultura e del
costume sociale: l’arte di avanguardia si proponeva di anticipare, con la trasformazione delle
proprie strutture, la trasformazione della società. Si adeguava perciò alla sensibilità della società, al
ritmo del lavoro industriale, insegnando a scorgere il lato esterno o creativo della civiltà della
macchine. Alle correnti di avanguardia si contrapposero correnti di segno opposto, per le quali
nessun rapporto fu possibile tra la sfera della creazione artistica e quella della produzione
industriale: l’arte in sostanza rimase la sola attività industriale in una cultura di massa, o si
autonegava piuttosto che partecipare entro una situazione culturale considerata negativa
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Prime connotazioni futuriste
Nel Gennaio del 1910, Boccioni, Carrà e Russolo si presentavano a Marinetti nella sua casa di
Milano. Questi tre artisti, conosciuti nell'ambiente dell'accademia e del mondo pittorico milanese,
dopo una lunga disamina della situazione in cui versava l'arte italiana, decisero di lanciare un
Manifesto ai giovani artisti per invitarli a scuotersi dal letargo che soffocava ogni aspirazione.
Il Manifesto dei pittori nasceva l'11 Febbraio su un volantino edito da Poesia.
Non si poteva però parlare di “vera” pittura futurista fino alla fine del 1911. I tentativi di creare la
“nuova arte” passarono attraverso diverse influenze non ancora superate.
Nella primavera del 1910 vennero esposte pubblicamente le prime opere futuriste nella “Mostra
d'arte libera” a Milano presso la fabbrica Ricordi con opere di Boccioni, Carrà e Russolo.
Nel 1912 Marinetti organizzava a Parigi una mostra alla Gallerie Bernheim-Jeune in cui gli artisti
italiani sottolineavano la loro divergenza dal cubismo ed affermano di ricercare uno «stile del
movimento, cosa mai tentata prima».
Dal 1913 varie mostre vennero organizzate per esporre lavori sempre più definiti. Il futurismo
contava nuovi adepti: Cangiullo, Depero, Pampolini, Rosai, Morandi, Sironi, Arturo Martini.
Sempre più si definivano le ricerche dei diversi artisti: Russolo si dedicava alla musica, Carrà si
allontanava dal naturalismo a favore del cubismo, Severini tendeva verso l'astrazione, Boccioni
seguiva anche in scultura il modello simbolista, Balla approdava ad una schematizzazione basata
sullo studio del movimento.
Con la fine della guerra nel 1921 nel Manifesto del Tattilismo Marinetti ufficializzava una nuova
fase del Futurismo, più ludica e positiva.
Nel Manifesto della Aeropittura firmato da Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti,
Prampolini, Somenzi, Tato, si teorizzava la nuova visione spiralica del movimento. Sarà uno degli
ultimi fuochi per tenere acceso il Futurismo.
Nel 1915 col Manifesto Ricostruzione futurista dell'universo firmato da Balla e Depero, ci fu una
sintesi nuova del dinamismo plastico propria dei primi anni. Si poteva parlare di Secondo
Futurismo che operava non solo nelle arti visive, ma anche nell'architettura, nella scena urbana,
negli allestimenti sportivi, nei complessi plastici, nella fotografia e nel fotomontaggio al cinema
oltre che nella scenografia, poesia, prosa, drammaturgia, teatro e nella pubblicità di massa.
Negli anni Trenta si viveva indubbiamente un allentamento della tensione inventiva, dovuta
soprattutto all'incalzare di una realtà più avanzata tecnologicamente, che provocava una caduta
dello scarto utopico avveniristico degli anni Dieci.
Lo stile futurista
All'origine del futurismo italiano come avanguardia artistica c’era il Divisionismo italiano, forte
l'influsso di Previati e Segantini, su Carlo Carrà.
Nel primo futurismo lo stile era dissociato tra le due figure cruciali del movimento: Balla e
Boccioni. Il secondo futurismo non presentava una vera unità stilistica: appariva nel suo insieme un
movimento eclettico. Importante in questa fase la comparsa del geometrismo di Balla e Depero.
Dal 1925 al '40, gli artisti futuristi ripresero e variarono, contaminandole con il surrealismo
e la metafisica, le premesse poste da Braque e Picasso e questo rappresentava una continuità tra
primo e secondo futurismo.
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Orientarsi nella pratica artistica del movimento ha suggerito di prendere atto delle pluralità di stili
intrinseca. La molteplicità dell'attività creativa in tutti gli aspetti dei vari artisti portò ad una varietà
ampia di soluzioni stilistiche.
Il manifesto dei pittori futuristi
«Agli artisti giovani d'Italia!
Il grido di ribellione che noi lanciamo, associando i nostri ideali a quelli di poeti
futuristi, non parte già da una chiesucola estetica, ma esprime il violento desiderio
che ribolle oggi nelle vene di ogni artista creatore.
Noi vogliamo combattere accanitamente la religione fanatica, incosciente e
snobbistica del passato, alimentata dall'esistenza nefasta dei musei. Ci ribelliamo
alla suprema ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti
vecchi e dell'entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio, corroso dal tempo, e
giudichiamo ingiusto, delittuoso, l'abituale disdegno per tutto ciò che è giovane,
nuovo e palpitante di vita.
Volendo noi contribuire al necessario rinnovamento di tutte le espressioni d'arte,
dichiariamo guerra risolutamente, a tutti quegli artisti e a tutte quelle istituzioni che,
pur camuffandosi di una veste di falsa modernità, rimangono invischiati nella
tradizione, nell'accadentismo e soprattutto in una ripugnante pigrizia cerebrale. [...]
Hanno ben altri interessi da difendere i critici pagati! Le esposizioni, i concorsi, la
critica superficiale e non mai disinteressata condannano l'arte italiana all'ignominia
di una vera prostituzione!
Ecco le nostre conclusioni recise:
1- Distruggere il culto del passato, l'ossessione dell'antico, il pedantismo ed il
formalismo accademico
2- Disprezzare profondamente ogni forma d'imitazione
3- Esaltare ogni forma di originalità anche se temeraria, anche se violentissima
4- Trarre coraggio ed orgoglio dalla facile traccia di pazzia con cui si sferzano e
s'imbavagliano gli innovatori
5- Considerare i critici d'arte come inutili e dannosi
6- Ribellarci contro la tirannia delle parole: armonia e buon gusto, espressioni
troppo elastiche
7- Spazzar via dal campo ideale dell'arte tutti i motivi, tutti i soggetti già sfruttati
8- Rendere e magnificare la vita odierna, incessante e tumultuosamente
trasformata dalla scienza vittoriosa.
Siano sepolti i morti dalle più profonde viscere della terra! Sia sgombra di mummie
la soglia del futuro! Largo ai giovani, ai violenti, ai temerari!»
La grande guerra e l’arte italiana
La storia dell’arte italiana del novecento non ha poi , per quanto riguarda la guerra, presenze
consapevoli o apertamente contro la guerra. Non Otto Dix, non George Grosz, non Felix Vallotton
dei quadri di guerra e delle xilografie del ciclo della guerra.
I grandi come Sironi, e Carrà si muovono su registri impressionanti ma fuori dal confronto diretto
con la strage. Viani non riesce a importare nelle opere di guerra quella violenza deformante e la
grandiosità che esprime nelle opere social-religiorse.
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La ricerca si è attestata su quegli autori che nel trauma della guerra mutarono radicalmente il
rapporto con la realtà. Emergeva la vera rottura tra formazione e consuetudine accademica, verista,
socialpopulista e le opere che erano dentro la guerra o la riflessione postuma della guerra.
La grande guerra fu combattuta per amor di Patria – Allora la patria era presente in Italia, era sentita
dalla popolazione quindi, dagli artisti. Se in tante opere fu resa lugubre drammatica, disperata, fu
comunque un canto alla patria e alla vittoria; cosa che non si ripetè mai più nella recente storia del
XX secolo.
Nella mostra: “La grande guerra degli artisti” voluta nel novantesimo anniversario dell’entrata in
guerra dell’Italia e realizzata a Firenze al museo Marino Marini ( marzo 2006) a cura di Nadia
Marchioni, l’importanza dei nomi degli artisti, già notissimi all’epoca, e la bellezza delle tele e dei
disegni e incisioni, tanto dicevano, dall’interventismo alla tragedia della. carneficina;
dall’esaltazione retorica alla consapevolezza amara.
Elenco delle più significative opere:
Soldati italiani (ricordi di guerra) Licini,1917 ;
La ritirata – Viani (1917-18);
Festa patriottica - Carrà;
Soldato che fuma, Soldato che gioca a carte – Sironi (1915);
La trincea Severini, 1915;
Depero e Martinetti – Paesaggio di rumori di guerra - Battaglia a nove piani (1915 – opere
futuriste);
Le vedove, il triste e lugubre corteo delle donne di nero vestite – Galileo Chini, 1915;
i desolanti,
Il Reduce di Soffici
Il Reduce di Viani.
I grandi artisti erano impegnati, ognuno col proprio stile a rendere onore al soldato, eroe umile e
indispensabile, quindi alla Battaglia. L’ultimo periodo in cui l’amor di patria in Italia, fu esistente e
manifesto. Cosa ci fu nella seconda guerra mondiale? Nulla, nessun’ opera; nessun artista fu preso
da furore eroico. Ci fu un solo manifesto, diffuso per le strade : Silenzio, il nemico ti ascolta; una
bocca chiusa con un dito sulle labbra . Non dipinti, non disegni, non glorificazioni del soldato. Nel
1915-18 invece fu. altra cosa. Es. La grande guerra di Marino Marini (1919-20), un affastellarsi
incongruo di figure; Alle porte d’Italia (1918), la difesa del paese di Nomellini; le due splendide
sculture, i bronzi di Cambellotti: la pace (1919) Il Guerriero – la corazza (1918 -19), celebrativi e
imponenti; il bellissimo quadro (polittico) La tomba di un eroe di Galileo Chini (1919). Incisivi i
disegni di guerra di Anselmo Bucci: Il cambio; Prima dell’attacco; Nella polveriera; Partenze ( in
bicicletta); scene di vita vera sul fronte. Molti i disegni fatti da pittori – soldati, schizzi, bozzetti…
gli artisti , pur se non tutti combatterono, certamente parteciparono. Non la demonizzazione ma la
lettura semplice di avvenimenti consueti di quel momento storico – es. Esplosione di una mina di G.
Sartorio (1918)., La ritirata di Caporetto (1918) di Viani.
CARLO CARRÀ
Nato a Quargneto (Alessandria) nel 1881. Comincia a disegnare giovanissimo. Figlio di
artigiani, il padre gestiva una calzoleria dopo un passato di proprietario terriero finito in malo modo,
apprese i primi rudimenti dell'arte del disegno da giovinetto, durante una forzata permanenza a letto
a causa di una lunga malattia. Iniziò ben presto a lavorare come decoratore murale a Valenza, ma la
sera seguiva la sua passione artistica frequentando le scuole serali.
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Successivamente si sposta a Parigi, come tanti altri artisti e poeti italiani. In visita al Louvre, si
entusiasmò per alcuni pittori quali Delacroix, Gèricault, Manet, Renoir, Paul Cézanne, Camille
Pissarro, Claude Monet, Gauguin.
A Londra, si appassionò per le opere di Constable e Turner. In questo periodo cominciò a
interessarsi di politica, intrattenendo rapporti con gruppi anarchici che interruppe però ben presto.
Trovatosi per caso nel corso del funerale dell'anarchico Galli, ucciso durante i tafferugli nel corso
dello sciopero generale del 1904, ne rimase profondamente colpito, e cominciò a disegnare alcuni
bozzetti, che anni più tardi sfoceranno nell'opera Il funerale dell'anarchico Galli.
Solo nel 1906 entrò all'Accademia di Brera, come allievo di Cesare Tallone. Qui incontrò alcuni
giovani artisti destinati a essere protagonisti sulla scena artistica italiana: Bonzagni, Romani, Valeri
e Umberto Boccioni.
Con quest'ultimo, Filippo Tommaso Marinetti e Luigi Russolo, redasse un manifesto destinato ai
giovani artisti dell'epoca con l'obiettivo di esortarli ad adottare un nuovo linguaggio espressivo.
Nacque così il Futurismo, a cui aderirono subito Gino Severini e Giacomo Balla.
La sua pittura si fa particolarmente sensibile alla scomposizione cubista.
Non si arruolò con lo scoppio delle ostilità, ed alla fine del 1915 lasciò il futurismo, non per
motivi personali ma solo per “divergenze e incompatibilità di idee”. Nel 1917 fu chiamato alle armi
per Mobilitazione Generale. Partì come soldato di fanteria e l'esperienza bellica fu per lui
traumatica e negativa: dopo una permanenza in ospedale a Pieve di Cento, dovette essere
ricoverato nel nevrocomio dell’Ospedale Militare Territoriale di Ferrara per le sue precarie
condizioni di salute. Qui conobbe Giorgio De Chirico, soldato della sanità militare,
ed altri con cui stabilisce un sodalizio di lavoro. Tra il 1923 ed il 1925 chiarisce ulteriormente la
propria ricerca pittorica e ristabilisce un dialogo con la tradizione dei “primitivi”, in particolare con
Giotto. Nel 1931 viaggia molto in Europa, mettendosi in rapporto con numerosi artisti stranieri. A
guerra finita rientra a Milano portando avanti una ricerca pittorica di sintesi tra rappresentazione del
dato reale e visione. Muore a Milano nel 1966
Carrà collaborò al movimento futurista per sei anni. I concetti ispiratori della pittura futurista
vennero pubblicati sulla rivista Lacerba, a cui egli collaborò attivamente. Carrà concepiva i suoi
quadri come immagini dinamiche ma allo stesso tempo non soltanto limitate a dare la sensazione di
movimento, destinate attraverso il colore, a eliminare la legge fissa di gravità dei corpi.
Le principali opere futuriste di Carrà sono:
La stazione di Milano (1910-11)
I funerali dell'anarchico Galli (1910-11)
Luci notturne (1910-11)
Donna al balcone (1912)
La Galleria di Milano (1912)
Trascendenze plastiche (1912)
Manifestazione interventista (1914)
Carlo Carrà, Manifestazione interventista (1914)
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Carlo Carrà,
Manifestazione interventista, 1914.
Tempera e collage su cartoncino,
38,5x30 cm.
Milano, Collezione Mattioli,
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in deposito presso la Collezione Guggenheim a Venezia.
Analisi dell’opera
A soli tre anni dì distanza da I funerali dell'anarchico Galli, Carrà fornisce un'altra versione della
folla in tumulto. L’occasione questa volta era stata offerta dalla notizia dell'uccisione dell'arciduca
Francesco Ferdinando d'Austria e di sua moglie a Sarajevo. L’evento costituiva il detonatore della
prima guerra mondiale e i futuristi, nell'Italia neutrale, inscenano virulente manifestazioni
interventiste.
"Ho abolito ogni rappresentazione di figure umane perché volevo dare l’astrazione plastica del
tumulto civico", scrive Carrà; ed effettivamente uno dei motivi di interesse dell'opera è proprio un
passaggio precoce verso un linguaggio astratto. In ogni caso, nonostante non vi sia effettivamente
rappresentata una scena di tumulto di piazza, Carrà fa calare ugualmente l'osservatore nella
situazione catturandone l'attenzione con una spirale di parole che risucchia lo sguardo all'interno
dell'opera.
Il movimento avvolgente evoca la sensazione di una massa crescente di persone che premono,
spingono, mentre dal vortice esplodono assi dinamiche in tutte le direzioni, come schegge da una
deflagrazione, che alludono al ritmo concitato, ai rumori e al clamore della manifestazione.
Carrà ricorda di aver voluto rappresentare il volteggiare nell'aria dei volantini interventisti lanciati
da un aereo su piazza Duomo a Milano, e in ogni caso l'opera si presenta come un testo sonoro,
oltre che visivo. Non a caso l'artista dispone le assi delle parole rendendole riconoscibili e
perfettamente comprensibili - soprattutto all'epoca -, mentre appaiono anche chiari omaggi a
Marinetti e al futurismo: in alto a sinistra si legge distintamente il titolo del poema dello scrittore,
Zang Tumb Tumb, mentre le onomatopee e le parole "in iiberta" fanno riferimento agli incitamenti
di una piazza interventista e futurista. Vi si legge tra l'altro "sirene / evvivo il re / evviva l'esercito /
Trieste Italia Milano / noi siamo la prima costellazione per nuovi più acuti astronomi'.
L'aspetto uditivo e visivo si aggiunge infine a quello tattile, giacché l'opera consiste in un collage di
materiali diversi tra cui carta di giornale, pietra mica, spaghi e tempera.
Da “La grande storia dell’arte”, vol. 9, Il Sole 24 ore, 2005
La tecnica si puo' definire una "tecnica mista" composto principalmente da un collage su cui l'artista
e' ulteriormente intervenuto.
Il dipinto avrebbe voluto rappresentare il volantinaggio rilasciato da un aereo su piazza del Duomo
a Milano a seguito dell'attentato anarchico ai danni dell'Arciduca.
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