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STORIA DELLA CHIMICA
Modelli per l’atomo
Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 furono numerosi i
modelli proposti da fisici e chimici per rappresentare la
struttura dell’atomo e spiegare tutti i fenomeni che erano oggetto di studio proprio in quegli anni, dalla spettroscopia alla radioattività, all’esistenza degli elettroni.
Quando ancora non era stato scoperto l’elettrone,
Norman Lockyer (1836-1920) aveva ipotizzato che l’atomo fosse costituito da mattoncini o proto-elementi
tutti uguali, in combinazioni diverse per dare vita ai diversi elementi.
Dopo la scoperta dell’elettrone, i nuovi modelli dovevano spiegare anche la presenza di cariche negative e
la neutralità dell’atomo.
James Jeans (1877-1974) nel 1902 propose un
modello che prevedeva in ogni atomo la presenza di
cariche positive e negative nello stesso numero: secondo i suoi calcoli, però, l’atomo di idrogeno conteneva
circa duemila elettroni (invece ne contiene solo uno).
Sempre nel 1901, Jean Baptiste Perrin (1870-1942) propose un nuovo modello atomico: gli elettroni ruotavano intorno a una massa carica positivamente. Era il
primo modello ispirato a un sistema planetario in cui
era presente un nucleo centrale.
Discreto successo ebbe nel 1904 il modello di
Thomson (1856-1940), basato in parte su una teoria di
lord Kelvin (1824-1907). L’atomo di Thomson, detto
anche plum-pudding, era una sfera carica positivamente in cui gli elettroni erano disposti in ordine sparso.
Thomson stesso auspicò in seguito una revisione del
suo modello, che prevedeva un numero troppo elevato
di elettroni.
Negli anni successivi, tra coloro che cercarono di elaborare un modello atomico vi furono anche Hantaro
Nagaoka (1865-1950) e Walter Ritz (1878-1909), ma a
prevalere fu il modello di Ernest Rutherford (18711937), fisico neozelandese che aveva lavorato tra Cambridge, Montreal e Manchester.
Rutherford, che studiava la natura della radioattività, provò a bombardare una lamina d’oro con raggi ␣
e, insieme ai suoi collaboratori Ernest Marsden (18891970) e Hans Geiger (1882-1945), osservò il punto di
arrivo dei raggi. Inaspettatamente, quasi tutti i raggi ␣
attraversavano la lamina d’oro; in piccola parte venivano deviati e in quantità infinitesima respinti.
In base a questi risultati, Rutherford propose un
modello del tipo planetario: nel nucleo centrale erano
concentrate la carica positiva e la maggior parte della
massa. Intorno, un ampio spazio vuoto (il diametro dell’atomo stimato da Rutherford era pari a 10⫺10 m, quello del nucleo a 10⫺15 m), dove gli elettroni si trovavano
in numero uguale alle cariche positive concentrate nel
nucleo. Le radiazioni ␣ che incontravano il nucleo
venivano respinte, quelle che passavano nelle immediate vicinanze erano deviate, tutte le altre viaggiavano
nello spazio vuoto intorno al nucleo e non incontravano ostacoli. Rutherford ripeté il suo esperimento usando lamine di elementi diversi e, poiché il numero di
elettroni cambiava, si rese conto che ogni elemento
chimico era caratterizzato da un numero di elettroni
diverso (proprietà che venne poi chiamata numero atomico).
L’atomo di Bohr
Nel modello di Rutherford, però, non era chiaro il ruolo
degli elettroni: se fossero stati fermi, il nucleo li avrebbe
attirati a sé, se invece fossero stati in movimento avrebbero perso energia per poi cadere sul nucleo.
Fu un allievo di Rutherford, il danese Niels Bohr, a
capire che il modello doveva essere modificato utilizzando il concetto di quanti di energia introdotto nel
1900 da Max Planck (1858-1947). Secondo Planck,
infatti, l’energia non è continua, ma è costituita da pacchetti o quanti discreti.
Bohr riprese allora il modello di Rutherford e lo
integrò con le teorie di Planck: gli elettroni erano disposti su orbite circolari intorno al nucleo, ma la novità era la quantizzazione delle energie. Nel modello di
Bohr, infatti, gli elettroni possono descrivere solo orbite con raggi ed energie definiti e possono passare da
un’orbita all’altra solo per assorbimento o emissione di
quanti di energia.
Il fisico danese descrisse il suo modello anche matematicamente: secondo la trattazione matematica ogni
orbita permessa era dipendente dal valore di un numero
intero n definito numero quantico.
Intuizioni ed errori del modello di Bohr
Il modello di Bohr riusciva a spiegare gli spettri dell’atomo di idrogeno, ma non degli atomi polielettronici.
Per questo, il fisico Arnold Sommerfeld (1868-1951),
che aveva anche specificato come le orbite dovessero
Brady, Senese CHIMICA © Zanichelli 2008
Storia della chimica
Niels Bohr nacque nel 1885 a Copenaghen, in una ricca
famiglia borghese. Intrapreso lo studio della fisica, Bohr
collaborò con Joseph J. Thomson al Cavendish Laboratory di Cambridge e con Ernest Rutherford a Manchester.
Nel 1913 Bohr propose il modello atomico che
porta il suo nome e ben presto ottenne una cattedra a
Copenaghen. Qui il fisico danese ospitò i più promettenti chimici e fisici dell’epoca, da Wolfgang Pauli a
Werner Heisenberg, e proprio nell’ambito della cosiddetta «scuola di Copenaghen» furono elaborati i principi della nascente meccanica quantistica.
Durante la Seconda guerra mondiale Bohr fu
costretto a lasciare l’Europa (sua moglie Margrethe
era di origine ebrea); si recò negli Stati Uniti, dove fu
coinvolto nel progetto Manhattan per la costruzione
della bomba atomica. Dopo la guerra Bohr tornò a
Copenaghen e qui morì nel 1962.
Bohr ricevette il Premio Nobel per la fisica nel
1922. Anche uno dei sei figli, Aage Bohr, vinse il Nobel
per la fisica, nel 1975.
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Niels Bohr
La scuola di Copenaghen e la meccanica quantistica
La meccanica quantistica nacque negli anni 1920 tra
Copenaghen, dove lavorava Bohr, Gottinga, dove lavorava Max Born (1882-1970), e Monaco, dove operava
Sommerfeld.
Quasi contemporaneamente, tra il 1925 e il 1926,
Heisenberg, Schrödinger e Dirac proposero un nuovo
modo per rappresentare l’atomo: Heisenberg utilizzò
le matrici, Schrödinger le equazioni differenziali, Dirac
le parentesi di Poisson, ma tutte e tre le rappresentazioni erano tra loro equivalenti.
In quegli anni vennero enunciati alcuni principi fondamentali: il dualismo onda-particella (De Broglie), il
principio di indeterminazione (Heisenberg), il principio di esclusione (Pauli) e il principio di complementarità dello stesso Bohr.
Bohr sostenne con forza la nascita della nuova fisica e ospitò spesso i fisici contemporanei a Copenaghen
per discuterne, tanto che si parla di «interpretazione di
Copenaghen». Particolare il modo di lavorare di Niels
Bohr: il fisico danese aveva infatti difficoltà a scrivere
gli articoli e a esprimersi in forma scritta, mentre era
noto per la sua abitudine di portare avanti discussioni
scientifiche facendo lunghe passeggiate con i suoi studenti e collaboratori.
Famoso anche il dibattito sulla meccanica quantistica intercorso tra Bohr e Albert Einstein (1879-1955),
che invece non nascose il suo scetticismo nei confronti
della nascente disciplina.
Bohr e il nucleare
Dopo la scoperta dei neutroni e lo studio, in particolare, dei cosiddetti neutroni lenti, nel 1939 venne realizzata per la prima volta la fissione nucleare: il nucleo di
uranio bombardato da neutroni si spezza in due. Bohr
fu uno dei primi a capire che in questa reazione si liberava una grande quantità di energia.
Coinvolto nel progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica, Bohr cercò di convincere
Roosevelt e Churchill a scendere a compromessi con la
Russia e a condividere il segreto della bomba atomica.
Dopo la guerra, Bohr promosse però l’utilizzo dell’energia nucleare a scopi civili e pacifici.
Brady, Senese CHIMICA © Zanichelli 2008
Storia della chimica
essere ellittiche come quelle dei pianeti e non circolari, introdusse due nuovi numeri quantici per adattare
il modello agli atomi polielettronici: il numero quantico secondario l e il numero quantico magnetico m. Le
diverse possibili combinazioni dei tre numeri quantici
del modello di Bohr-Sommerfeld spiegano l’esistenza
di orbite a diversa energia e quindi la maggiore complessità degli spettri polielettronici.
Anche se il modello di Bohr fu superato dalla meccanica quantistica, la grandezza del fisico danese sta
nell’avere compreso che per descrivere gli atomi la
meccanica classica non era sufficiente.
In realtà, oggi sappiamo che anche il modello di
Bohr era approssimativo e che per descrivere il comportamento delle particelle subatomiche è necessario
utilizzare la meccanica quantistica che sarebbe poi
stata sviluppata da Werner Heisenberg (1901-1976),
Wolfgang Pauli (1900-1958), Paul Dirac (1902-1984),
Erwin Schrödinger (1887-1961). Bohr parlava di orbite
quantizzate e della necessità per l’atomo di assorbire o
emettere energia perché gli elettroni possano passare
da un’orbita all’altra; con la meccanica quantistica il
concetto di quantizzazione viene mantenuto, ma il concetto di orbita viene sostituito da quello di orbitale. Per
esempio, non sarà più possibile stabilire con esattezza
la traiettoria di un elettrone, ma potremo conoscere la
regione di spazio in cui è più probabile che l’elettrone
si trovi.
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STORIA DELLA CHIMICA
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