saluto alle bandiere - Rotary Club Arezzo Est

Dott. Giovanni Casi *
Dall’occhio all’anima
Circa 4,5 miliardi di anni fa la terra si
è formata dalla nebulosa che ha dato
origine sia al sole che agli altri pianeti. I pianeti rocciosi si sono formati da
aggregazione di materiale disperso,
gas, rocce, metalli; i grandi pianeti
gassosi hanno catturato la maggior
parte delle polveri e del gas.
Comunque, questo ammasso cominciò a prender forma, attrasse altre rocce, vi si formò acqua o vi arrivò con
le comete, si originò la prima molecola e cominciò la fotosintesi, di qui
l’ozono che dette origine ad una cappa protettiva che consentì lo sviluppo
di quella che oggi chiamiamo vita.
Il caso, o una serie di motivi fisici o il
pensiero divino o altro, volle che questo pianeta orbitasse intorno al sole,
che si era nel frattempo formato, a
una distanza che l’acqua potesse esistere in forma prevalentemente liqui-
da oltre che gassosa e solida. Se fosse stato più vicino o più lontano di
poche centinaia di migliaia di km
l’acqua non sarebbe potuta esistere in
forma liquida e quindi non avrebbe
potuta essere alla base della vita come
la conosciamo. Il mezzo con cui il sole inonda di calore e di energia la terra è la radiazione che noi percepiamo
come luce. La luce è alla base della
vita. In un mondo dominato dalla luce la maggior parte degli esseri viventi ha sviluppato dei sistemi ed in particolare degli organi che permettessero di percepire la realtà in cui erano
immersi attraverso la percezione della
luce sotto forma di immagini.
In principio era il Verbo,
E il verbo era presso Dio
E il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di Lui,
e senza di Lui niente è stato fatto di
tutto ciò che esiste.
In Lui era la vita
E la vita era la luce degli uomini…
C’è una linea che collega il Logos o,
se vogliamo, la Parola Creatrice alla
Luce e alla Vita ed il medium per interpretare questi due ultimi valori
non può non essere l’atto del vedere
quindi l’occhio diventa simbolo del
dio, qualunque esso sia. E non è solo
simbolo del dio come tale ma, per
esteso, della sua onniveggenza e
quindi della sua onniscienza.
Il senso della vista e, per esteso
l’organo della visione, ha assunto
un’importanza capitale nella vita
dell’uomo e anche in confronto agli
altri sensi (per altro importantissimi),
un’eco emotiva, culturale e spirituale
che non ha pari.
Certamente è il senso che ci dà
l’autonomia fisica in un ambiente
dominato da quella particolare radiazione che chiamiamo luce. Noi conosciamo sicuramente le cose del mondo, la realtà anche con il tatto, con il
gusto con l’udito e con l’olfatto ma
possiamo dire di averle ben conosciute dopo averle viste. Forse perché la
conoscenza visiva da più profondità
che gli altri sensi. La sua immediatezza nel collocarci in un sistema di riferimento, la sua capacità di farci inte-
ragire con il mondo senza mediazioni,
collegando la realtà esterna e quella
interna alla nostra mente, è stata la
causa
della
trasformazione
dell’occhio in un simbolo primario
senza tempo.
Questo ha influenzato notevolmente
la rappresentazione artistica che
l’uomo, fin dai primordi ha dato di sé.
Lo possiamo vedere nelle testimonianze archeologiche e in tutti i ritrovamenti che risalgono agli albori
dell’evoluzione: all’inizio le rappresentazioni privilegiavano le caratteristiche più grossolanamente legate alla
funzione fisica (probabili simboli di
fertilità) e all’azione nelle attività
umane come la caccia.
Successivamente le rappresentazioni
divennero un po’ più particolareggiate
tanto che sorse la preoccupazione di
delineare meglio certe caratteristiche
dell’aspetto umano e irrinunciabile fu
l’ evidenziazione degli occhi, magari
appena sbozzati, altre volte rappresentati anche in modo deforme così come
in statue molto antiche nelle più diverse civiltà.
L’uomo rappresentava se stesso con
delle immagini, era una testimonianza
immediata, piena toltale di completa
espressività. E questa trasmissione di
memoria e di conoscenza avveniva attraverso la visione. E il prodotto della
visione va a costituire il primo bagaglio umano di cultura. Le immagini,
nella loro immediatezza si strutturano
come memoria individuale e poi collettiva non solo nel racconto (il mito)
che fa riferimento a quelle immagini,
ma nella rappresentazione iconografica di riti e di rappresentazioni sceniche
Nel tempo l'organo occhio e, per esteso, la funzione visiva in toto hanno
mantenuto e rinforzato la valenza
simbolica fino a collocarsi all'interno
degli albori pensiero sia religioso che
religioso-esoterico in tutti i luoghi. Ha
quindi acquisito la nobiltà di simbolo
di primaria grandezza, tant’è che lo
troviamo profondamente inserito in
tutte le culture di tutti i continenti.
Nella cultura asiatica gli occhi sono
identificati con i due astri ben visibili
nel cielo da sempre: il sole, l’occhio
destro che si rivolge al futuro e si riferisce all’attività e la luna, l’occhio sinistro, passività e passato.
Per i buddisti è l’organo della visione
interiore, del cuore; indica anche la
chiaroveggenza.
Tra gli eschimesi, lo sciamano è “Colui che ha occhi”.
Per la cultura nordamericana precoloniale, in particolare per i Dakota,
l’occhio del cuore aveva la funzione
ambivalente di rappresentare l’uomo
che vede Dio e di Dio che vede
l’uomo, quindi legava il Principio alla
Manifestazione, unificazione della
trascendenza alla più alta manifestazione dell’immanenza: l’anima.
Nella cultura Egizia troviamo
l’occhio di Horus, il dio falco, rappresentato dall’occhio bistrato, o occhio
del dio RA (il dio Sole o Amon) simbolo di prosperità , purificazione e rigenerazione. Horus, secondo la mitologia, sostenne una lotta feroce con
Seth, dio maligno, che aveva ucciso e
fatto a pezzi il dio Osiride. In questa
lotta perse un occhio.
L’occhio residuo aveva comunque
una vista acutissima (vista di falco) e
aveva la capacità di guardare in profondità fin dentro la coscienza
dell’uomo
Per questo era considerato anche come un potente amuleto ed era molto
diffuso nell’oggettistica sacra e veniva inserito tra i bendaggi delle mummie come aiuto alla rigenerazione
dell’al di là.
Curiosa è la somiglianza tra la rappresentazione schematica dell’occhio di
Horus e la sezione sagittale centrale
del cervello umano quando taglia la
zona tra ponte, mesencefalo e cervello.
Nelle mitologie nordiche un posto
predominante spetta al dio Wotan
(Odino) che personifica la saggezza,
la conoscenza, la poesia; una delle
leggende riferisce che per attingere ad
una fonte che stilla l’idromele della
saggezza Odino dona il suo occhio
destro al gigante Mimir che è il custode della fonte. Barattare l’occhio
con l’inesauribile conoscenza signifi-
ca attribuirgli la stessa valenza; lo fa
diventare l’organo della veggenza e
della sapienza e lo pone in cima alla
gerarchia delle funzioni umane.
Anche nella mitologia greca troviamo
che l’occhio ha un posto d’onore ma
in modo ambivalente; tutti noi conosciamo il mito dei ciclopi ( Bronte,
Sterope e Arge) esperti nella lavorazione del ferro e aiutanti del dio Efesto nella fabbricazione dei fulmini di
Zeus.
Le Graie possedevano un solo occhio
ed un solo dente in tre ed erano le custodi del rifugio di Medusa che, propriamente, non aveva un…bello
sguardo (mito di Perseo) visto che
pietrificava colui che aveva la sfortuna di capitare sotto i suoi occhi.
Come vediamo in questo caso,
l’occhio non è foriero di virtù positive; anzi nella mitologia greca la perdita della vista dava una grande virtù:
la preveggenza; il prototipo del cieco
veggente è Tiresia che, poveretto, fu
accecato da Artemide perché involontariamente l’aveva vista nuda.
Nelle cosiddette religioni del “Libro”
l’occhio non ha una simbologia di
primaria importanza; in particolare
nella religione ebraica e in quella musulmana appare a metà tra superstizione e rappresentazione popolare…
La mano di Hamesh o di Miriam (in
ebraico) o mano di Hamsa o di Fatima (in arabo) è un tema popolare frequentemente rappresentato nella
gioielleria e nell’oggettistica mediorientale. Normalmente nel centro della mano è disegnato un occhio che
nella versione ebraica, rappresenta
l’occhio di Dio. La cultura araba la riconduce a un racconto che esalta le
virtù muliebri della figlia del Profeta.
Ha valore di amuleto contro il malocchio.
La religione cristiana è ricca di simboli ma l’occhio vi compare piuttosto
tardivamente, precisamente in epoca
rinascimentale. È la rappresentazione
dell’occhio all’interno del triangolo
equilatero circondata da una raggiera
dorata che simboleggia la luce.
L’occhio rappresenta l’onniveggenza
di Dio e il triangolo la Santissima
Trinità.
C’è anche il culto della santa martire
Lucia da Siracusa che è legato al senso della vista. La Santa è rappresentata mentre sorregge due bulbi oculari
su un piatto o una bacinella; ma la
tradizione dice che venne martirizzata
costringendola a prostituirsi in un lupanare e poi venne sgozzata e decapitata; la presenza dei bulbi fa riferimento alla credenza che si sia o le abbiano strappato gli occhi, ma non viene confermata dalla martiriologia ufficiale. Sembra che sia più un riferimento alla festa della luce che avviene al solstizio d’inverno.
Nell’evoluzione culturale e tecnologica l’uomo non si è solo limitato a
considerare la valenza simbolica
dell’organo occhio, ma si è anche fortemente applicato a studiarlo sotto il
profilo scientifico. Fin dalle prime civiltà ci sono rappresentazioni
dell’anatomia dell’organo: le troviamo in
reperti di epoca assirobabilonese e poi successivamente egizia, greca e romana; si conoscono
scritti sulla cura medica e chirurgica
delle malattie degli occhi che risalgono a Ippocrate, Celso e Galeno e,
successivamente, alla scuola medica
salernitana.
Permettetemi di fare una piccola digressione: verso la fine del 1200 salì
al soglio pontificio Papa Giovanni
XXI, al secolo Pietro Juliani detto
Pietro Hispano.
Di origine in realtà portoghese, figlio
di un medico aveva studiato a Parigi
le scienze del Trivio (grammatica,
dialettica e retorica) e successivamente quelle del Quadrivio (aritmetica
,musica, geometria e astrologia); si
occupò di medicina ed in particolare
di oculistica, si dedicò quindi alla filosofia, che comprendeva la scienza
naturale morale e la scienza naturale
divina o teologia. Prese evidentemente i voti e, insieme, il magisterium,
cioè la libera docenza; tra le altre
pubblicazioni scrisse il “Liber Oculorum” , il “Liber de servanda sanitate”
e un testo importante, le “Summulae
Logicales” che divenne il più diffuso
testo di Logica delle scuole filosofiche per quasi tre secoli.
Venne a insegnare nell’ateneo di Siena per 10 anni e poi esercitò tra Roma
e Viterbo, dove risiedevano i papi, divenendo amico di tre Papi: fu eletto
Papa con il nome di Giovanni XXI,
pur non essendoci mai stato un Giovanni XX. Purtroppo morì dopo pochi mesi sotto le macerie di un soffitto crollato nel palazzo pontificio di
Viterbo.
Sostenne che la percezione visiva era
dovuta al cristallino e lo “spirito visivo passava nel canale centrale dei
nervi ottici”. Bellissima la sua descrizione della vista: “vedere è paradiso dell’anima per li occhi”.
Lo studio dell’anatomia e in particolare dell’occhio è continuato come testimoniano i bellissimi disegni di
Leonardo e successivamente dei
grandi anatomisti quali Vesalio, Morgagni, Scarpa, Valverde (bellissime le
sue tavole) e Daviel.
Nel ’800 e nel ‘900 anche per il progresso della tecnologia (dai sistemi
ottici di ingrandimento alle immagini
tramite raggi x e successivamente con
l’avvento dei computer sempre più
potenti e dedicati) molti dei “misteri“
anatomici e funzionali dell’occhio sono stati risolti e molto è stato fatto
sotto il profilo terapeutico.
Ma l’anima in tutto questo processo
dov’è?
L’occhio, la sua parte nobile e funzionale, embriologicamente è una vescicola cerebrale che si è dislocata sul
volto e si è funzionalmente aperta
all’esterno.
E’ quindi una vera e propria finestra
del cervello sul mondo.
Attraverso questa finestra aperta, incamera immagini, le elabora, e le trasforma. Certo gli input non sono solo
visivi, tutti i sensi concorrono al rapporto con il mondo esterno, ma la visione fa un po’ la parte del leone.
Però, come una macchina non è solo
la somma di tutte le sue parti, perché
ciò che la caratterizza principalmente
è il progetto, così tutto quello che arriva al cervello, attraverso il “lavoro e
il progetto” diventa mente e forse
qualcosa di più, diventa spirito, nel
senso di afflato, di animo individuale,
di entità emozionale.
Entrare nel rapporto tra cervello e
mente va oltre la mia competenza ma,
sicuramente possiamo dire che mentre
i cervelli sono strutturati in modo similare tanto che lo studio su uno può
essere esteso quasi pari pari su tutti
gli altri, altrettanto non è possibile fare con le menti, che sono espressione
di marcata individualità. Le teorie sulla mente sono diverse e per schematizzare potremmo paragonare il cervello all’hardware e la mente al software. Sono fortemente interconnessi,
ma diversi (l’hardware lo poi aggredire con un cacciavite, il software no).
Tutti gli apporti sensoriali, le espressioni, le esperienze che passano attra-
verso i nostri sensi sono convogliati
nelle strutture cerebrali dedicate, elaborati e proiettati nella funzione superiore della mente, dove si strutturano
e si depositano, andando a costituire
parte del nostro bagaglio, dando origine a idee razionali, sentimenti, istinto ed emotività, evidenti o nascoste, a
volte, anche a noi stessi. Tutto questo
va a costituire l’individualità irripetibile di ciascun soggetto. Una sofisticatissima impronta digitale, una traccia di DNA psicologico assolutamente unico.
Il tutto viene poi espresso e proiettato
nel mondo attraverso il nostro corpo, i
suoi atteggiamenti, e i suoi linguaggi
anche non verbali. E il re dei messaggi non verbali è lo sguardo, che diventa proiezione del nostro spirito.
Diventiamo rappresentazione di noi
stessi, del nostro io, che lo vogliamo
o meno.
Penso che sia questo il legame tra occhio e anima; una porta che mette in
comunicazione due mondi, due realtà
quella oggettiva e quella soggettiva.
“Metterci l’anima” è l’espressione
che usiamo quando cerchiamo di dare
il meglio di noi, della nostra mente.
Credo che ancora non si sappia di certo cosa sia questa mente-anima, tanto
che qualcuno la definisce una “proprietà emergente del cervello”, che
poi non definisce granché. (1)
Forse da un’equilibrata interazione tra
queste due entità potrebbe nascere
l’armonia dell’essere.
1) IL RAPPORTO TRA MENTE E
CERVELLO
XXI Secolo (2010)
di Luigi Scoppolai anno
*Socio del Club dal 2014
Relazione tenuta il 26 febbraio 2015