ELENA PÎRVU LINGUA ITALIANA. MORFOLOGIA 1 2 Presentazione del corso Il presente corso di morfologia italiana, tratto dal nostro volume di Morfologia italiana, apparso presso Editura Didactică şi Pedagogică di Bucarest nel 2003, si propone di descrivere, attraverso un percorso didattico che faciliti l’apprendimento della lingua italiana, le parti del discorso – articolo, nome, aggettivo, pronome, verbo, avverbio, preposizione, congiunzione ed interiezione – fornendo per alcune di esse indicazioni relative al loro uso e alla posizione assunta all’interno della frase. Le prime 4 unità didattiche (l’articolo, il nome, l’aggettivo e il pronome) riguardano la materia del primo semestre del primo anno di studio, mentre le altre 5 (il verbo, l’avverbio, la preposizione, la congiunzione e l’interiezione) riguardano la materia del secondo semestre dello stesso anno di studio. 3 Indice delle unità didattiche SEMESTRUL I p. 9 UD 1. L’articolo 1.1. L’articolo determinativo 1.2. L’articolo indeterminativo 1.3. Usi particolari dell’articolo: L’articolo con i nomi di persona, L’articolo con i cognomi dei personaggi famosi, L’articolo con i nomi geografici, L’articolo con i nomi dei giorni e dei mesi, L’articolo con i nomi di parentela, L’articolo con i nomi stranieri, L’articolo con le sigle 1.4. L’articolo partitivo 1.5. Le preposizioni articolate p.14 UD 2. Il nome 2.1. Classificazione dei nomi 2.2. Il genere del nome 2.3. La formazione del femminile: I nomi mobili; I nomi indipendenti; I nomi di genere comune; I nomi di genere promiscuo 2.4. Formazione del plurale: Nomi in -a; Nomi in -o; Nomi in -e 4 2.5. Nomi invariabili 2.6. Nomi difettivi 2.7. Nomi sovrabbondanti 2.8. Plurale dei nomi composti UD 3. L’aggettivo 3.1. Categorie dell’aggettivo 3.2. L’aggettivo qualificativo: Genere e numero dell’aggettivo qualificativo 3.3. Aggettivi qualificativi invariabili 3.4. Posizione dell’aggettivo qualificativo 3.5. Concordanza dell’aggettivo qualificativo 3.6. La struttura degli aggettivi qualificativi 3.7. Gradi dell’aggettivo qualificativo. 3.8. Gli aggettivi determinativi o indicativi 3.8.1. Gli aggettivi possessivi 3.8.2. Gli aggettivi dimostrativi 3.8.3. Gli aggettivi indefiniti 3.8.4. Gli aggettivi interrogativi 3.8.5. Gli aggettivi esclamativi 3.8.6. Gli aggettivi numerali 3.8.6.1. Aggettivi numerali cardinali 3.8.6.2. Aggettivi numerali ordinali 3.8.6.3. Aggettivi numerali moltiplicativi 3.8.6.4. Numerali distributivi, collettivi e frazionari p.23 UD 4. Il pronome 4.1. Classificazione 4.2. I pronomi personali 4.2.1. I pronomi personali soggetto 4.2.2. I pronomi personali complemento 4.2.3. I pronomi allocutivi 4.2.4. I pronomi personali riflessivi 4.2.4.1. “Si” impersonale e “si” passivante 4.2.5. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne 4.3. I pronomi possessivi 4.4. I pronomi dimostrativi 4.5. I pronomi indefiniti 4.6. I pronomi relativi 4.7. I pronomi interrogativi ed esclamativi p.36 SEMESTRUL II UD 5. Il verbo 5.1. Classificazione 5.1.1. Il significato e la funzione dei verbi 5.1.2. Il genere dei verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi 5.1.3. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva 5.2. Le “variabili” del verbo 5.2.1. La persona, il numero e il genere 5.2.2. Il modo 5.2.3. Il tempo 5.3. I verbi di “servizio” 5.3.1. I verbi ausiliari 5.3.2. I verbi servili 5.3.3. I verbi fraseologici 5.3.4. I verbi causativi 5.4. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni 5 p.47 5.4.1. La coniugazione dei verbi ausiliari 5.4.2. La coniugazione attiva 5.4.3. La coniugazione passiva 5.4.4. La coniugazione riflessiva 5.4.5. I verbi irregolari 5.5. Uso dei modi e dei tempi 5.5.1. Il modo indicativo e i suoi tempi 5.5.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi 5.5.3. Il modo condizionale e i suoi tempi 5.5.4. Il modo imperativo 5.5.5. L’infinito e i suoi tempi 5.5.6. Il participio e i suoi tempi 5.5.7. Il gerundio e i suoi tempi UD 6. L’avverbio 6.1. Classificazione degli avverbi 6.2. Gli avverbi di modo 6.3. Gli avverbi di luogo 6.4. Gli avverbi di tempo 6.5. Gli avverbi di giudizio 6.6. Gli avverbi di quantità 6.7. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi 6.8. Gli avverbi presentativi 6.9. I gradi dell’avverbio p.70 UD 7. La preposizione 7.1. Classificazione 7.2. La preposizione di 7.3. La preposizione a 7.4. La preposizione da 7.5. La preposizione in 7.6. La preposizione con 7.7. La preposizione su 7.8. La preposizione per 7.9. Le preposizioni tra e fra p.77 UD 8. La congiunzione 8.1. Classificazione 8.2. Le congiunzioni coordinative 8.3. Le congiunzioni subordinative p.84 UD 9. L’interiezione 8.1. Classificazione 8.2. Le interiezioni proprie 8.3. Le interiezioni improprie p.87 Domande di riepilogo p.89 6 7 SEMESTRUL I UD 1. L’articolo In questa unità didattica si tratta l’articolo. Sono trattati, in ordine, l’articolo determinativo, l’articolo indeterminativo, gli usi particolari dell’articolo (l’articolo con i nomi di persona, l’articolo con i cognomi dei personaggi famosi, l’articolo con i nomi geografici, l’articolo con i nomi dei giorni e dei mesi, l’articolo con i nomi di parentela, l’articolo con i nomi stranieri, l’articolo con le sigle, omissione dell’articolo. la posizione dell’articolo), l’articolo partitivo e le preposizioni articolate 1.1. L’articolo determinativo. 1.2. L’articolo indeterminativo. 1.3. Usi particolari dell’articolo: L’articolo con i nomi di persona, L’articolo con i cognomi dei personaggi famosi, L’articolo con i nomi geografici, L’articolo con i nomi dei giorni e dei mesi, L’articolo con i nomi di parentela, L’articolo con i nomi stranieri, L’articolo con le sigle. 1.4. L’articolo partitivo. 8 1.5. Le preposizioni articolate Obiectivele unităŃii didactice: – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia articolului în limba italiană; – Cunoaşterea formelor şi a regulilor de folosire a articolelor determinativ şi indeterminativ în limba italiană; – Cunoaşterea folosirilor speciale ale articolului în limba italiană; – Cunoaşterea formelor şi a regulilor de folosire a articolului partitiv în limba italiană; – Cunoaşterea formelor prepoziŃiilor articulate în limba italiană. Timp alocat: 6 ore. 1.1. L’articolo determinativo L’articolo determinativo indica una cosa ben definita, che si presuppone già nota. In italiano, l’articolo determinativo si accorda in genere e in numero con il nome cui si riferisce e presenta forme diverse a seconda di come inizia la parola che segue (che non è necessariamente il nome a cui l’articolo è sintatticamente collegato). In particolare, si usano: - gli articoli il e i, con i nomi maschili, davanti a parole che cominciano per consonante (eccetto x, y, z, s impura e i gruppi consonantici gn, pn, ps, sc): il bambino - i bambini, il bravo scolaro - i bravi scolari; - gli articoli lo e gli, con i nomi maschili, davanti a parole inizianti per s impura, x, y, z, gn, pn, ps, sc, e davanti alle semivocali i e j: lo sbaglio - gli sbagli, lo psicologo gli psicologi, lo zio - gli zii, lo iato - gli iati, lo gnomo - gli gnomi, lo jugoslavo - gli jugoslavi. Davanti a parole inizianti per vocale, l’articolo lo si elide in l’: l’ospite - gli ospiti. - gli articoli la e le, con tutti i nomi femminili: la casa - le case, la iena - le iene. Davanti a parole inizianti per vocale, la forma la si elide in l’: l’amica - le amiche. 1.2. L’ articolo indeterminativo L’articolo indeterminativo introduce il nome cui si riferisce lasciandolo su un piano di genericità e di indeterminatezza: Quando vieni portami un giornale. (“un giornale qualsiasi”) In italiano, l’articolo indeterminativo ha soltanto il singolare, maschile e femminile. Si accorda quindi solo per genere con il nome cui si riferisce e, inoltre, presenta forme diverse a seconda di come inizia la parola che lo segue immediatamente. In particolare, si usano: - l’articolo un, con i nomi maschili singolari, quando la parola che segue inizia con una vocale o con una consonante diversa da x, y, z, s impura, e dai gruppi gn, pn, ps: un amico, un ottimo strumento, un ragazzo; - l’articolo uno, con i nomi maschili singolari, quando la parola che segue comincia per x, y, z, s impura, gn, pn, ps, oppure per le semivocali i o j: uno sbaglio, uno xilofono, uno zio, uno studente, uno gnomo, uno pneumatico, uno psicologo, uno iato, uno jugoslavo; 9 - l’articolo una, con i nomi femminili singolari, quando la parola che segue comincia con una consonante o con le semivocali i e j: una ragazza, una iena, una jugoslava. Davanti a una vocale, l’articolo una si elide, ma sempre più raramente, in un’: un’amica, un’arma, un’attenta lettura. 1.3. Usi particolari dell’articolo 1. Di norma, i nomi propri di persona rifiutano l’articolo: Ho visto Mario e Franca., Passerò le vacanze con Paola. Prendono però l’articolo quando: – sono preceduti da un nome comune o da un aggettivo oppure sono accompagnati da un’altra forma di determinazione: l’imperatore Augusto; l’astuto Ulisse; Tu sei il Roberto che telefona sempre a mia sorella? Non sei più la Francesca di un tempo! – sono usati in senso traslato per indicare il titolo di un’opera lirica: Questa sera danno l’Aida (cioè l’opera lirica di Verdi intitolata Aida). 2. Con i cognomi di uomini al singolare, l’articolo è facoltativo. Attualmente sembra prevalere l’omissione: Ho incontrato Rossi / Ho incontrato il Rossi. Invece abbiamo sempre: Ho incontrato Marco Rossi. Se il cognome si riferisce a un’intera famiglia o a più membri di una famiglia, l’articolo è obbligatorio, nella sua forma di plurale: Ho visto i Marini (= la famiglia, i coniugi Marini). Le Biagi (= le sorelle Biagi) erano sedute al caffé. Davanti ad alcuni cognomi di personaggi famosi prevale la forma con articolo: l’Alighieri, l’Alfieri, l’Ariosto, il Tasso, il Metastasio ecc. Davanti ad altri, invece, prevale la forma senza articolo: Colombo, Garibaldi, Marconi, Pirandello, Svevo, Verdi, Picasso, Dickens, Pasteur ecc. Le modalità consacrate dall’uso hanno per lo più imposto l’articolo davanti al nome dei poeti e dei prosatori italiani e, invece, l’omissione dell’articolo davanti al nome di personaggi famosi in altre discipline e davanti al nome dei poeti e dei prosatori non italiani. L’articolo è necessario se il cognome si riferisce a una donna, italiana o straniera: la Deledda, la Morante, la Monroe, la Stone ecc. Tra i nomi geografici, richiedono l’articolo: – i nomi dei monti: le Alpi, gli Appennini, l’Etna, i Balcani ecc. – i nomi dei fiumi: il Tevere, l’Arno, il Po, la Senna, il Tamigi ecc. – i nomi dei laghi, dei mari e degli oceani: il Garda, l’Atlantico ecc. – i nomi delle regioni, degli stati, dei continenti e delle isole maggiori: il Lazio, l’Italia, l’Europa, la Sicilia ecc. Questi nomi, però, di solito rifiutano l’articolo quando sono usati: – come complemento di specificazione: il re di Svezia; l’ambasciatore di Gran Bretagna; ma: il presidente degli Stati Uniti. – o come complemento di luogo introdotto dalla preposizione in: vivere in Toscana; andare in Francia; ma: recarsi nel Veneto; vivere nelle Marche. Con i nomi dei giorni della settimana, la presenza o l’assenza dell’articolo determina un mutamento di significato. Se l’articolo manca, si intendono sottintesi gli aggettivi “prossimo” o “scorso”, a seconda del contesto: Lunedì (= lunedì scorso) ho incontrato Mario. Sabato (= sabato prossimo) andrò in campagna. Se invece il nome del giorno della settimana è preceduto dall’articolo determinativo, quest’ultimo diventa sinonimo di “ogni”: 10 Il lunedì (= ogni lunedì) vado a Bucarest. Il sabato (= ogni sabato) è la giornata più faticosa. I nomi dei mesi sono sempre usati senza articolo: Febbraio è il mese più breve dell’anno. Se però sono accompagnati da un aggettivo qualificativo o da un complemento di specificazione, essi richiedono l’articolo: Il marzo scorso è stato molto piovoso. Il novembre di due anni fa sono andata a Torino. L’articolo si omette davanti ai nomi di parentela al singolare preceduti da un aggettivo possessivo che non sia loro: mio padre, tua madre, suo fratello, nostra sorella, vostro nipote (ma: il loro padre, la loro madre ecc.). L’articolo è invece presente: – se i nomi di parentela sono al plurale: le mie sorelle; – quando il nome è accompagnato da un attributo: la mia cara moglie, o da un complemento di specificazione: il tuo zio di Roma; – quando il nome di parentela è seguito dal possessivo: lo zio suo; – con i composti: il mio bisnonno; – con i diminutivi e gli affettivi: la nostra sorellina, il vostro figliuolo. Con nonno e nonna l’uso è oscillante, nel senso che si può avere o non avere l’articolo: la mia nonna o mia nonna. Con i nomi stranieri, in genere si usa lo stesso articolo che si troverebbe in una parola italiana iniziante con lo stesso suono: il check-up, il jet, lo smoking, lo champagne. Davanti ad h che è muta (voci latine e francesi) si usano l’ ed un: l’hôtel, un hotel. Se è invece aspirata (voci inglesi e tedesche) si usano lo e uno: lo hardware; invece l’, un si usano nei derivati con suffisso italiano: l’hegeliano. Davanti a w che corrisponde a v si usano il e un: il würstel, un würstel. Ma anche se corrisponde alla semiconsonante u, il è molto frequente, invece della forma elisa l’ che ci aspetteremmo: il weekend; l’articolo indeterminativo è un: un weekend. Se le sigle iniziano per vocale, qualunque sia la pronuncia, si usano gli articoli l’, gli, un nel numero e genere richiesto dalla sigla: l’AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli), gli USA (gli Stati Uniti). Se iniziano per consonante, si hanno due possibilità: a) Se si pronunciano come una sola parola, la scelta dell’articolo è determinata dal genere e dal numero della prima parola e, con le sigle maschili, nella forma richiesta dalla consonante o dalle consonanti iniziali: la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino), le PP.TT. (Poste e Telegrafi), il MEC (Mercato Comune Europeo). b) Se si pronunciano per lettere distinte, si usano il e un quando il nome della prima lettera comincia per consonante: il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). 1.4. L’articolo partitivo L’articolo partitivo indica una parte indeterminata, una certa quantità di un tutto divisibile. Indica cioè che la quantità designata dal nome che accompagna non è considerata nella sua totalità, ma solo in parte. Formato dall’unione fra l’articolo determinativo e la preposizione di, l’articolo partitivo presenta tutte le forme articolate della preposizione di: del, dello, della, dell’, dei, degli, delle. Al singolare, l’articolo partitivo equivale, per significato, alle espressioni: un po’ di, una certa quantità di, un certo numero di: Ho comprato del pane (= un po’ di pane). Al plurale, l’articolo partitivo equivale ad alcuni, alcune o qualche e sostituisce il plurale dell’articolo indeterminativo un, che non esiste: Ho trascorso il tempo leggendo dei giornali (= alcuni giornali). 11 1.5. Le preposizioni articolate Nell’ambito dei vari complementi che caratterizzano la frase, l’articolo determinativo è preceduto da una delle preposizioni di, a, da, in, su, con, e si unisce con esse dando luogo alle cosiddette preposizioni articolate. Naturalmente, a ogni forma dell’articolo determinativo corrisponde una forma di preposizione articolata, come appare anche dalla seguente tabella: Di A Da In Su Con il del al dal nel sul col lo dello allo dallo nello sullo collo la della alla dalla nella sulla colla l’ dell’ all’ dall’ nell’ sull’ coll’ i dei ai dai nei sui coi gli degli agli dagli negli sugli cogli le delle alle dalle nelle sulle colle Per quanto riguarda le preposizioni articolate formate da con, occorre distinguere tra l’uso scritto e l’uso parlato. Nella lingua scritta si preferiscono in genere le forme staccate con il, con la, con i ecc.; tra le forme unite si usa ancora col, mentre le altre hanno un carattere letterario. Nella lingua parlata, invece, prevalgono le preposizioni articolate col, colla, coi, cogli ecc., che sono più facili da pronunciare: Quella donna chiacchiera sempre con i passanti. Le forme articolate della preposizione per si trovano solo nel linguaggio letterario. Oggi si usano le forme staccate per il, per la ecc.: Il volo è stato rimandato per la fitta nebbia. BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 7-18. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 149-161. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 161189. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Indicare gli usi delle forme dell’articolo determinativo. 2. Indicare gli usi delle forme dell’articolo indeterminativo. 3. Come si usa l’articolo con i nomi di persona? 4. Come si usa l’articolo con con i cognomi dei personaggi famosi? 5. Come si usa l’articolo con i nomi geografici? 6. Definire l’articolo partitivo. 7. Indicare le forme delle preposizioni articolate. 12 UD 2. Il nome In questa unità didattica si tratta il nome. Sono trattati, in ordine, i seguenti argomenti: classificazione dei nomi, il genere del nome, la formazione del femminile (i nomi mobili; i nomi indipendenti; i nomi di genere comune; i nomi di genere promiscuo), la formazione del plurale (nomi in -a; nomi in -o; nomi in -e), i nomi invariabili, i nomi difettivi, i nomi sovrabbondanti ed il plurale dei nomi composti. 2.1. Classificazione dei nomi. 2.2. Il genere del nome. 2.3. La formazione del femminile: I nomi mobili; I nomi indipendenti; I nomi di genere comune; I nomi di genere promiscuo. 2.4. Formazione del plurale: Nomi in -a; Nomi in -o; Nomi in -e 2.5. Nomi invariabili 2.6. Nomi difettivi 2.7. Nomi sovrabbondanti 2.8. Plurale dei nomi composti Obiectivele unităŃii didactice: 13 – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia substantivului în limba italiană; – Cunoaşterea criteriilor de clasificare a substantivelor în limba italiană; – Cunoaşterea regulilor de formare a femininului substantivelor în limba italiană şi a clasificării substantivelor din limba italiană în funcŃie de modalităŃile de formare a femininului; – Cunoaşterea regulilor de formare a pluralului substantivelor în limba italiană; – Cunoaşterea substantivelor invariabile, defective, supraabundente şi compuse din limba italiană. Timp alocat: 6 ore. 2.1. Classificazione dei nomi a) A seconda del loro significato, i nomi si dividono in: nomi comuni e nomi propri, nomi individuali e nomi collettivi, nomi concreti e nomi astratti. I nomi comuni designano in modo generico ogni possibile entità di una specie, categoria o classe: studente, professore, fiume, cavallo, zio, sedia ecc. I nomi propri designano un particolare “individuo” di una specie o categoria: Marco, Italia, Torino, Europa ecc. I nomi individuali designano un individuo all’interno della categoria cui appartiene: Carla, cavallo, immagine ecc. I nomi collettivi sono nomi che, pur essendo al numero singolare, indicano un insieme di “individui” appartenenti a una stessa specie: coppia, paio, dozzina, gente, folla, gregge ecc. I nomi concreti designano realtà materiali percettibili dai sensi: uomo, gatto, tavolo, sedia, pioggia, Mario, Tevere ecc. I nomi astratti designano entità appartenenti alla sfera del pensiero, dei sentimenti: azioni, gioia, modestia, pace, bellezza, speranza, lealtà, giustizia ecc. b) A seconda della loro forma o, meglio, in rapporto al modo in cui sono formati come parole, i nomi possono essere: primitivi, derivati, alterati, composti. I nomi primitivi sono quei nomi che non derivano da nessun’altra parola: uomo, leone, casa, fiore, giorno ecc. I nomi primitivi sono costituiti soltanto dalla radice e dalla desinenza. Essi sono il punto di partenza per la formazione dei nomi derivati, degli alterati e dei nomi composti. I nomi derivati sono quei nomi che derivano da altri nomi: fiore → fiorista, fioraio, fioriera, fioritura. La derivazione da nomi primitivi avviene mediante l’aggiunta di un suffisso (fiorista) o un prefisso (in-coscienza). Taluni nomi derivati presentano tanto un suffisso quanto un prefisso: in-fiorescenza. I nomi alterati sono i nomi che, mediante appositi suffissi, alterano, cioè modificano lievemente, il loro significato, in modo da portarlo a esprimere particolari sfumature qualitative: ragazzo → ragazzino “ragazzo minuto e/o molto giovane”; ragazzone “ragazzo grande e grosso”; ragazzaccio “ragazzo discolo e scapestrato”. A seconda dei suffissi che li modificano e, quindi, della sfumatura qualificativa che esprimono, i nomi alterati si dividono in: nomi diminutivi (indicano piccolezza), nomi vezzeggiativi (indicano piccolezza con una sfumatura di simpatia e di gentilezza): nomi accrescitivi (indicano grandezza) e nomi peggiorativi (indicano disprezzo o avversione). 14 2.2. Il genere del nome Rispetto al genere, il nome può essere maschile o femminile. Per quanto riguarda le persone e gli animali, la classificazione è in relazione al sesso: lo scrittore, il padre, il leone ecc. / la scrittrice, la madre, la leonessa ecc. Però ci sono anche dei casi in cui il genere “grammaticale” e il genere “naturale” non coincidono. Per esempio, i nomi la guardia, la spia, la recluta, la sentinella ecc., pur essendo femminili sotto il profilo grammaticale, si usano anche per designare uomini. Con questi nomi, gli eventuali aggettivi e participi passati riferiti a essi devono, ovviamente, essere accordati al femminile, perché quello che conta è il genere grammaticale del nome. Viceversa, vi sono alcuni nomi di persona di genere maschile che designano per lo più donne, come taluni termini specialistici del linguaggio della musica: il soprano, il mezzosoprano, il contralto. Gli eventuali aggettivi e participi passati riferiti a questi nomi devono, naturalmente, essere sempre accordati al maschile, in base al genere grammaticale del nome. Per i nomi di cosa, cioè per i nomi che indicano oggetti, concetti astratti o azioni, la distinzione tra il genere maschile e il genere femminile è puramente convenzionale. Il genere del nome si determina con l’aiuto del significato e della desinenza. Secondo il significato, sono di genere maschile: – i nomi degli alberi: l’abete, il ciliegio, il melo, il pino, il pioppo, l’ulivo ecc. Però sono femminili: la vite, la palma, la quercia. – i nomi dei metalli e degli elementi chimici: l’oro, l’argento, il ferro, il bronzo; l’ossigeno, l’idrogeno, l’uranio ecc.; – i nomi dei mesi e dei giorni della settimana (tranne la domenica): il bell’agosto, il freddo dicembre, il lunedì, il sabato ecc.; – i nomi dei monti, dei mari, dei fiumi e dei laghi: i Carpazi, gli Appennini, il Mediterraneo, lo Jonio, l’Atlantico, il Po, il Tevere, il Garda ecc. Tra i nomi dei monti e dei fiumi, sono numerosi anche quelli femminili: le Alpi, le Dolomiti, le Ande, la Senna, la Loira ecc. – i nomi dei punti cardinali: il Nord (il Settentrione), il Sud (il Mezzogiorno), l’Est (il Levante, l’Oriente), l’Ovest (l’Occidente). Sono, invece, di genere femminile: – i nomi dei frutti: la pera, l’arancia, ’uva, la pesca, l’albicocca ecc. Sono, però, numerosi anche i nomi maschili: il limone, il mandarino, il pompelmo. – i nomi delle scienze e, in genere, delle nozioni astratte: la matematica, l’astronomia, la linguistica, la bontà, la giustizia, la pace, la fede ecc.; – i nomi degli Stati e delle regioni: l’Italia, la Francia, la Toscana, le Marche. Sono maschili: il Belgio, l’Egitto, gli Stati Uniti, il Friuli, il Lazio ecc.; – i nomi dei continenti, delle città e delle isole: l’Europa, l’Asia, l’affollata Milano, la Sicilia,ecc. Sono maschili: il Cairo, il Pireo, il Madagascar ecc. Secondo la desinenza, sono di genere maschile: – i nomi con la desinenza in -o: il libro, il quadro, il treno, il discorso ecc. Molti nomi, però, sono femminili pur avendo la desinenza in -o: la mano, la radio, la biro. La parola eco è femminile al singolare (l’eco, una forte eco) e maschile al plurale (gli echi). Sono inoltre femminili molti nomi che terminano in -o per effetto di un accorciamento, come ad esempio: la moto (da motocicletta), l’auto (da automobile) ecc. – i nomi che terminano con una consonante. Per lo più si tratta di nomi di origine straniera: il bar, il film, il tram, il gas, lo slogan, il toast, l’ananas. Ma, pur terminando in consonante, taluni nomi sono femminili perché femminili sono nella loro lingua originaria: la star, la miss, l’holding ecc. Sono, invece, femminili: – i nomi con la desinenza in -a: la ragazza, la sedia, la terra ecc. Sono però maschili vari nomi derivanti dal greco, specie con la terminazione in -ma: il poema, il 15 problema, il teorema, dramma, lo stemma; e alcuni altri, come: il vaglia, il pigiama. Sono maschili, nonostante la desinenza in -a, anche alcuni nomi propri: Andrea, Cosma ecc. – i nomi con la desinenza in -i: la crisi, un’analisi, la tesi, la sintesi, l’oasi. Sono maschili: il brindisi, il bisturi, il safari, l’alibi. – i nomi che terminano in -tà e tù: la bontà, la verità; la virtù, la gioventù ecc. Sono maschili alcuni nomi in -ù di origine straniera: il tutù, il caucciù, il tabù. Osservazione: I nomi con la desinenza in -e possono essere tanto di genere maschile quanto di genere femminile: il mare, il dente, il fiume, l’amore ecc.; la neve, la notte, la chiave ecc. 2.3. La formazione del femminile I nomi di cosa hanno un genere grammaticale fisso, determinato dall’uso linguistico: essi, perciò, sono sempre maschili o femminili, e non possono subire trasformazioni nel genere. Invece, i nomi che designano esseri animati possono avere i due generi, maschile e femminile, a seconda che indichino un essere di sesso maschile o un essere di sesso femminili. A seconda di come avviene il passaggio dalla forma maschile alla corrispondente forma femminile, i nomi che indicano esseri animati si suddividono in: - nomi mobili: il sarto / la sarta; lo spettatore / la spettatrice; - nomi indipendenti: il padre / la madre; - nomi di genere promiscuo: il leopardo maschio / il leopardo femmina; - nomi di genere comune: il preside / la preside. La maggior parte dei nomi di esseri animati sono mobili, cioè passano dal maschile al femminile mediante il cambiamento della desinenza o l’aggiunta di un suffisso, senza modificare la radice o con modifiche minime determinate dalla necessità di conservare, ad esempio, il suono velare di c o di g (duca → duchessa). Così: - I nomi che al maschile terminano in -o passano al femminile prendendo la desinenza -a: il figlio - la figlia, il gatto - la gatta. - I nomi che al maschile terminano in -a formano di norma il femminile aggiungendo al tema il suffisso -essa: il poeta - la poetessa, il duca - la duchessa. - I nomi che al maschile terminano in -e formano il femminile in due modi diversi. Alcuni mutano la desinenza -e in -a: il signore - la signora, il padrone - la padrona. Altri, per lo più indicanti professioni, cariche o titoli nobiliari e nomi di animali, aggiungono al tema il suffisso -essa: lo studente - la studentessa, il principe - la principessa, il leone - la leonessa. Altri, infine, presentano la stessa forma per il maschile e per il femminile e sono, quindi, nomi di genere comune: il nipote - la nipote, il cantante - la cantante. - I nomi che al maschile terminano in -tore (i cosiddetti nomi di agente) formano il femminile, per lo più, in -trice: lo scrittore - la scrittrice, il pittore - la pittrice. Il nome dottore presenta al femminile la forma dottoressa. - I nomi che al maschile finiscono in -sore (anch’essi nomi d’agente) sono adoperati raramente al femminile, ottenuto aggiungendo la desinenza -itrice alla radice del verbo da cui derivano: il difensore - la difenditrice, il possessore - la posseditrice. Professore fa professoressa (questo è l’unico sostantivo in -sore che ha una forma femminile molto comune nell’uso). - Formano il femminile al di fuori degli schemi sopra registrati o modificando sostanzialmente la radice: il dio - la dea, il doge - la dogaressa, l’eroe - l’eroina, l’abate la badessa, il re - la regina, il cane - la cagna, il gallo - la gallina ecc. Sono detti indipendenti i nomi che presentano la caratteristica di avere forme di maschile e di femminile derivanti da radici completamente diverse, come in: il padre - la madre, il toro - la vacca, il marito - la moglie, il fratello - la sorella. 16 In questa categoria rientrano anche gli aggettivi celibe (l’uomo non coniugato) e nubile (la donna non coniugata), che sono spesso usati come sostantivi. Alla categoria dei nomi di genere comune appartengono: - alcuni nomi in -e: il nipote - la nipote, il custode - la custode; - i nomi che rappresentano la forma sostantivata di participi presenti: il cantante la cantante, un insegnante - un’insegnante; - alcuni nomi in -a: un ipocrita - un’ipocrita, il collega - la collega; - i nomi in -ista e in -cida: un artista - un’artista, il giornalista - la giornalista, un omicida - un’omicida, il suicida - la suicida. I nomi dei primi due gruppi sono ambigeneri non solo al singolare, ma anche al plurale: il cantante / la cantante - i cantanti / le cantanti. Per gli altri nomi, invece, la comunanza del genere è limitata esclusivamente al singolare, giacché nel plurale essi presentano forme diverse per il maschile e per il femminile: il collega / la collega - i colleghi / le colleghe. Tra i nomi di animali, alcuni si comportano come nomi mobili (orso / orsa; leone / leonessa) e altri come nomi indipendenti (fuco / ape; toro / vacca). La maggior parte dei nomi di animali, però, sono di genere promiscuo, hanno cioè un’unica forma, maschile o femminile, per indicare tanto il maschio quanto la femmina: la giraffa, la panterra, la volpe, la rondine ecc.; il corvo, il delfino, il leopardo, il serpente ecc. In questi casi, per distinguere il genere “naturale” si aggiunge maschio o femmina: il leopardo maschio / il leopardo femmina; la volpe maschio / la volpe femmina; oppure: il maschio del leopardo / la femmina del leopardo. Ci sono poi dei nomi zoologici che possono essere maschili e feminili, sempre nella medesima forma: il serpe - la serpe, il lepre - la lepre. Tuttavia il maschile non si usa solo per il maschio e il femminile solo per la femmina, ma entrambi si adoperano sia per l’uno sia per l’altra. Perciò anche qui, se si vuole distinguere, bisogna specificare il sesso e dire: il lepre maschio - il lepre femmina, la lepre maschio - la lepre femmina. 2.4. Formazione del plurale Dal punto di vista morfologico, la differenza tra i nomi singolari e i nomi plurali è marcata per lo più da una diversa desinenza. Ma ci sono anche nomi che hanno la medesima forma al singolare e al plurale (nomi invariabili), nomi privi di singolare o di plurale (nomi difettivi) e nomi con più forme di singolare o di plurale (nomi sovrabbondanti). Il plurale dei nomi si forma, nella maggior parte dei nomi, mutando la desinenza morfologica del singolare. Per comodità, a seconda della desinenza del singolare, in italiano i nomi si suddividono in tre classi: nomi in -a, nomi in -o e nomi in -e. Nomi in -a. I nomi che al singolare terminano in -a formano il plurale in -i, se sono maschili, in -e, se sono femminili: il problema - i problemi, la casa - le case. Osservazioni: 1. I nomi che terminano in -ca e -ga conservano al plurale il suono velare (duro) della c e della g. Perciò formano il plurale in -chi e -ghi se sono maschili, in -che e -ghe se sono femminili: il duca - i duchi, il collega - i colleghi, la basilica - le basiliche. 2. I nomi femminili in -cìa e -gìa con i tonica, cioè accentata, formano il plurale regolarmente, in -cie e -gie, conservando la i: la farmacia - le farmacie, la bugia - le bugie. 3. I nomi femminili in -cia e -gia con i atona, cioè non accentata, formano il plurale in -cie e -gie, conservando la i, se le consonanti c e g sono precedute da vocale: la 17 camicia - le camicie, la ciliegia - le ciliegie; e in -ce e -ge, perdendo la i, se le consonanti c e g sono precedute da consonante: la pronuncia - le pronunce, la pioggia - le piogge. Nomi in -o. I nomi che al singolare terminano in -o prendono al plurale la desinenza -i: il bambino - i bambini, la mano - le mani. Osservazioni: 1. I nomi in -co e -go non seguono un comportamento costante nella formazione del plurale. In linea di massima, se sono piani, cioè accentati sulla penultima sillaba, conservano il suono velare (duro) delle consonanti c e g, ed escono in -chi e -ghi; se sono sdruccioli, cioè accentati sulla terzultima sillaba, formano il plurale in -ci e -gi, con la palatalizzazione: il banco - i banchi, il medico - i medici, il teologo - i teologi. Fra i nomi piani fanno eccezione: l’amico - gli amici, il nemico - i nemici ecc. Fra gli sdruccioli, molto più numerosi: il dialogo - i dialoghi, l’incarico - gli incarichi, il catalogo - i cataloghi ecc. Molto numerosi sono poi i nomi sdruccioli che presentano entrambe le forme: chirurgo - chirurgi, chirurghi; stomaco - stomaci, stomachi ecc. 2. Per i nomi uscenti in -logo, in linea di massima, vale la seguente regola pratica: i nomi in -logo hanno il plurale in -logi se si riferiscono a persone: il sociologo - i sociologi; e hanno, invece, il plurale in -loghi se si riferiscono a cose: il dialogo - i dialoghi. 3. I nomi uscenti in -ìo con la i tonica, cioè accentata, formano, senza eccezioni, il plurale regolarmente in -ìi: lo zìo - gli zìi, il rinvìo - i rinvìi. 4. I nomi uscenti in -io con la i atona, cioè non accentata, formano, invece, il plurale in -i. In taluni casi la -i- del tema si fonde con la -i della desinenza plurale: il cambio - i cambi, l’occhio - gli occhi. Invece nei nomi in cui la -i- del tema è solo un segno grafico con la funzione di rappresentare il suono palatale della consonante o del gruppo consonantico che precede la desinenza del singolare -o, tale -i- cade: il figlio - i figli, il bacio - i baci. 5. I nomi uomo, dio e tempio formano il plurale rispettivamente in uomini, dei, templi, per influenza delle corrispondenti forme latine (homines, dei, templa). 6. Alcuni nomi di genere maschile uscenti in -o diventano al plurale di genere femminile e assumono la desinenza -a: il paio - le paia, il centinaio - le centinaia ecc. 7. Quasi tutti i nomi femminili uscenti in -o sono invariabili, presentano cioè al plurale la stessa forma del singolare: la biro - le biro, la moto - le moto. Nomi in -e. I nomi che al singolare terminano in -e formano il plurale in -i, siano maschili o femminili: il padre - i padri, la madre - le madri. Osservazioni: 1. Il nome bue presenta il plurale irregolare buoi. 2. Nei multipli, mille assume una speciale forma di plurale: -mila: tremila. 3. I nomi uscenti in -ie sono, di solito, invariabili. Fanno eccezione i seguenti nomi, che formano il plurale in -i: l’effigie - le effigi, la superficie - le superfici, la moglie - le mogli. Esistono anche le forme invariate le superficie e le effigie, ma sono meno comuni. 2.5. Nomi invariabili Si chiamano invariabili i nomi che conservano al plurale la stessa forma del singolare. Per distinguere il numero bisogna affidarsi all’articolo, all’aggettivo, al verbo, e in generale al contesto. Appartengono alla categoria dei nomi invariabili: – i nomi monosillabici terminanti in vocale: il re - i re, la gru - le gru; – i nomi terminanti in vocale tonica: il caffè - i caffè, la città - le città; – i nomi delle lettere dell’alfabeto: la effe - le effe, l’acca - le acca; – i nomi, per lo più di origine straniera, che terminano in consonante: il film - i film, lo sport - gli sport; 18 – i nomi in -i, per lo più femminili: il brindisi - i brindisi, la crisi -le crisi; – alcuni nomi maschili terminati in -a: il cinema - i cinema, il vaglia - i vaglia; – quasi tutti i nomi femminili che terminano in -o: la moto - le moto; Mano, però, forma il plurale regolarmente, in mani. – i nomi che terminano in -ie, tutti femminili: la serie - le serie. 2.6. Nomi difettivi I nomi difettivi sono i nomi privi di uno dei due numeri, cioè i nomi che si usano soltanto al singolare o soltanto al plurale. a) Sono usati solo al singolare e quindi mancano del plurale: – la maggior parte dei nomi astratti: il coraggio, la pazienza, l’umiltà, ecc.; – i nomi degli elementi chimici e dei metalli: il ferro, l’idrogeno, l’uranio, ecc.; – i nomi che indicano cose uniche in natura: l’universo, l’equatore ecc.; – certi nomi di feste: il Natale, la Pasqua, la Pentecoste, l’Epifania ecc.; – alcuni nomi di malattie: il tifo, il morbillo, la peste, la malaria ecc.; – molti nomi di prodotti alimentari: il grano, il latte, il miele, il mais ecc.; – alcuni nomi collettivi: la gente, la folla, la plebe, la prole, il fogliame ecc.; – altri nomi come: il sangue, la sete, la fame, il fiele, il buio ecc. b) Sono usati solo al plurale e quindi mancano del singolare: – alcuni nomi che indicano oggetti in cui si possono distinguere due o più parti uguali: gli occhiali, i calzoni, le forbici, le cesoie ecc.; – alcuni nomi che indicano un insieme o una pluralità di cose o di azioni: le stoviglie, i viveri, le spezie, i bronchi, gli spiccioli, le vicinanze, i dintorni ecc.; – i nomi che già in latino mancavano del singolare: le esequie, le tenebre ecc. 2.7. Nomi sovrabbondanti Si chiamano sovrabbondanti alcuni nomi con doppia forma di singolare o plurale, spesso con significato diverso. a) Sono sovrabbondanti nel singolare, cioè presentano una doppia forma di singolare, alcuni nomi maschili che accanto alla forma in -iero presentano anche la forma in -iere. Le due forme hanno lo stesso significato, ma solo la prima è adoperata comunemente, mentre l’altra è di uso solo letterario: il forestiero / il forestiere - i forestieri il destriero / il destriere - i destrieri il nocchiero / il nocchiere - i nocchieri b) Un ristretto numero di nomi presenta una doppia forma sia al singolare che al plurale. Appartengono a questa categoria: l’orecchio / l’orecchia - gli orecchi / le orecchie la strofa / la strofe - le strofe / le strofi il frutto / la frutta - i frutti / le frutta, le frutte il rigo / la riga - i righi / le righe il legno / la legna - i legni / le legne, le legna ecc. c) Presentano due forme di plurale parecchi nomi maschili uscenti in -o che, oltre il plurale normale in -i, ne hanno un altro con desinenza in -a, di genere femminile. Quanto al significato, la forma di plurale maschile ha, di solito, significato figurato, mentre la forma di plurale femminile viene usata in senso proprio; tuttavia nell’italiano di oggi tale differenza non è osservabile in tutti i casi. I principali nomi maschili in -o con due forme di plurale sono: il braccio - i bracci (di un fiume, di una poltrona ecc.) - le braccia (del corpo umano) il cervello - i cervelli (gli ingegni, le menti) 19 il ciglio il corno il dito il filamento il filo il fondamento il fuso il gesto il ginocchio l’osso l’urlo il vestigio - le cervella (materia cerebrale) - i cigli (di una strada, di un fosso) - le ciglia (degli occhi) - i corni (strumenti musicali) - le corna (degli animali) - i diti (considerati distintamente l’uno dall’altro) - le dita (della mano, considerate nel loro insieme) - i filamenti / le filamenta (senza differenza di significato) - i fili (dell’erba, della luce ecc.) - le fila (di una congiura, del formaggio fuso) - i fondamenti (di una scienza) - le fondamenta (di una costruzione) - i fusi (rocchetti della filatura; i fusi orari) - le fusa (in frasi come: il gatto fa le fusa) - i gesti (i movimenti) - le gesta (le imprese) - i ginocchi / le ginocchia (senza differenza di significato) - gli ossi (di un animale macellato) - le ossa (l’ossatura di un essere vivente) - gli urli (soprattutto degli animali) - le urla (dell’uomo) - i vestigi / le vestigia (senza differenza di significato) 2.8. Plurale dei nomi composti Il comportamento dei nomi composti per quanto riguarda il passaggio dal singolare al plurale cambia secondo il tipo di parole da cui sono costituiti. I casi più comuni sono: a) sostantivo + sostantivo I nomi formati da due sostantivi mutano nel plurale soltanto la desinenza del secondo termine: il cavolfiore - i cavolfiori, la ferrovia - le ferrovie Per quanto riguarda i nomi composti con la parola capo, si può dire che: – in quelli sentiti ormai come nomi semplici, il plurale si forma modificando solo la desinenza finale: il capolavoro - i capolavori; – in quelli in cui l’elemento capo significa “colui che è capo di ...” si mette al plurale il primo elemento: il capoufficio - i capiufficio; – quando capo significa “colei che è capo di ...”, cioè il composto è femminile, rimane invariato al plurale: la capoclasse - le capoclasse. b) sostantivo + aggettivo I nomi composti da un sostantivo seguito da un aggettivo trasformano in plurale entrambe le parole componenti: il caposaldo - i capisaldi, la cassaforte - le casseforti. c) aggettivo + sostantivo I nomi composti formati da un aggettivo seguito da un nome, al plurale, di norma, modificano solo la desinenza del secondo elemento, se il nome composto è maschile: il bassorilievo - i bassorilievi. Se il nome composto da un aggettivo e un nome è femminile, in genere entrambi gli elementi assumono la desinenza del plurale: la malalingua - le malelingue. d) aggettivo + aggettivo I nomi composti da due aggettivi formano il plurale cambiando la desinenza finale: il sordomuto - i sordomuti. e) verbo + sostantivo I nomi formati da un verbo e un sostantivo si comportano in maniera diversa a seconda che il sostantivo sia singolare o plurale. Se il sostantivo è plurale, il nome composto resta invariato: l’accendisigari - gli accendisigari. Se il sostantivo è singolare, il nome composto può assumere la desinenza del plurale o rimanere invariato. 20 Assume la desinenza del plurale quando il sostantivo componente è di genere maschile: il parafulmine - i parafulmini. f) verbo + verbo o verbo + avverbio I nomi costituiti da due forme verbali o da una forma verbale e un avverbio sono invariabili al plurale: il saliscendi - i saliscendi, il posapiano - i posapiano. g) preposizione o avverbio + sostantivo I nomi formati da una preposizione o un avverbio e un sostantivo formano il plurale in modo vario. Se il nome è dello stesso genere del nome che entra in composizione, il composto modifica la desinenza del nome: il dopopranzo - i dopopranzi. Se il nome che entra in composizione è femminile, il composto rimane invariato: il doposcuola - i doposcuola. h) nomi formati da più di due elementi I nomi formati da più di due elementi formano il plurale in modo vario e quindi non è possibile individuare una norma precisa. Ad esempio: il ficodindia fa i fichidindia, modificando la desinenza del primo nome; il pomodoro presenta ben tre forme di plurale, tutte ugualmente accettabili: pomodori (preferibile), pomidoro e pomidori. BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 19-38. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 170-208. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 103159. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Come formano il femminile i nomi maschili in -o? 2. Come formano il femminile i nomi maschili in -a? 3. Cosa sono i nomi indipendenti? 4. Cosa sono i nomi di genere comune? 5. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -a? 6. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -o? 7. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -e? 8. Quali sono i nomi invariabili? 9. Illustrare il gruppo dei nomi con due forme di plurale. 10. Come si forma il plurale dei nomi composti? 21 UD 3. L’aggettivo In questa unità didattica si tratta per primo l’aggettivo qualificativo, poi gli aggettivi determinativi o indicativi, fermandosi sugli aspetti essenziali delle loro forme e del loro uso. 3.1. Categorie dell’aggettivo 3.2. L’aggettivo qualificativo: Genere e numero dell’aggettivo qualificativo 3.3. Aggettivi qualificativi invariabili 3.4. Posizione dell’aggettivo qualificativo 3.5. Concordanza dell’aggettivo qualificativo 3.6. La struttura degli aggettivi qualificativi 3.7. Gradi dell’aggettivo qualificativo. 3.8. Gli aggettivi determinativi o indicativi 3.8.1. Gli aggettivi possessivi 3.8.2. Gli aggettivi dimostrativi. 3.8.3. Gli aggettivi indefiniti. 3.8.4. Gli aggettivi interrogativi. 3.8.5. Gli aggettivi esclamativi. 3.8.6. Gli aggettivi numerali 3.8.6.1. Aggettivi numerali cardinali 3.8.6.2. Aggettivi numerali ordinali 22 3.8.6.3. Aggettivi numerali moltiplicativi 3.8.6.4. Numerali distributivi, collettivi e frazionari Obiectivele unităŃii didactice: – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia adjectivului în limba italiană; – Cunoaşterea criteriilor de clasificare a adjectivelor în limba italiană; – Cunoaşterea regulilor de formare a femininului şi a pluralului adjectivelor în limba italiană; – Cunoaşterea regulilor care coordonează poziŃia şi acordul adjectivului cu substantivul în limba italiană; – Cunoaşterea modalităŃilor de formare a gradelor de comparaŃie ale adjectivului în limba italiană; – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia adjectivelor determinative în limba italiană; Timp alocat: 8 ore. 3.1. Categorie dell’aggettivo In base al tipo di informazione che aggiungono al nome, gli aggettivi vengono tradizionalmente distinti in aggettivi qualificativi e aggettivi determinativi (o indicativi). Gli aggettivi qualificativi sono quelli che si aggiungono al nome per segnalarne una particolare qualità: bello, brutto, grande, piccolo, ricco, povero ecc. Gli aggettivi determinativi o indicativi sono quelli che si aggiungono a un nome per meglio specificarlo, attraverso una determinazione possessiva, dimostrativa, indefinita, numerica, interrogativa o esclamativa. 3.2. L’aggettivo qualificativo: Genere e numero dell’aggettivo qualificativo Per quanto riguarda il genere e il numero, l’aggettivo qualificativo si comporta in maniera del tutto analoga al nome. Possiamo distinguere quattro classi di aggettivi qualificativi: - alla prima classe appartengono gli aggettivi che presentano quattro desinenze, cioè gli aggettivi che cambiano la forma a seconda del genere e del numero, e presentano le desinenze: -o, per il maschile singolare; -i, per il maschile plurale; -a, per il femminile singolare; -e, per il femminile plurale: un ragazzo alto - dei ragazzi alti; una ragazza alta - delle ragazze alte. - alla seconda classe appartengono gli aggettivi che cambiano la forma solo a seconda del numero, e presentano due desinenze: -e, per il maschile e il femminile singolare, rispettivamente -i, per il maschile e il femminile plurale: un uomo intelligente degli uomini intelligenti; una donna intelligente - delle donne intelligenti. - alla terza classe appartengono gli aggettivi che al singolare escono in -a, sia al maschile sia al femminile, e al plurale distinguono il maschile (in -i) dal femminile (in e): un uomo egoista - degli uomini egoisti; una donna egoista - delle donne egoiste. A questa classe appartengono gli aggettivi in: -ista (pessimista), -asta (entusiasta), -ita (ipocrita), -cida (omicida) e -ota (idiota). - la quarta classe è formata dagli aggettivi invariabili. Osservazioni: 1. Gli aggettivi in -co (con il femminile in -ca) formano il plurale: - in -chi (femm. -che) se sono piani, cioè accentati sulla penultima sillaba: bianco – bianchi, bianca – bianche. 23 - in -ci (femm. -che) se sono sdruccioli, cioè accentati sulla terzultima sillaba: acustico – acustici, acustica – acustiche. Fanno eccezione: a) Fra gli aggettivi piani: amico - amici, greco - greci, nemico - nemici ecc. b) Fra gli aggettivi sdruccioli: carico – carichi, dimentico – dimentichi, intrinseco - intrinsechi (o, anche, intrinseci). 2. Gli aggettivi in -go (femm. -ga) formano il plurale in -ghi (femm. -ghe): analogo – analoghi, analoga – analoghe. Fanno eccezione gli aggettivi in -logo e in -fago, che al maschile plurale finiscono in -logi e -fagi (il femm. plurale è regolare, in -loghe e -faghe): antropofago – antropofagi, antropofaga – antropofaghe. 3. Gli aggettivi in -io formano il plurale maschile: - con una sola -i, se la -i- del gruppo -io è atona: serio – seri; - con la doppia -i, se la -i- del gruppo -io è tonica: natio – natii. 4. Gli aggettivi in –cio, -gio fanno il plurale in -ci, -gi: riccio – ricci, saggio – saggi. 5. Gli aggettivi femminili in -cia e in -gia formano il plurale femminile: - in -cie e in -gie se la c e la g sono precedute da vocale: fradicia – fradicie; - in -ce e in -ge se c, g sono precedute da consonante: riccia - ricce, saggia sagge. 6. Gli aggettivi composti, nati cioè dall’unione di due aggettivi, formano il femminile e il plurale solo nel secondo aggettivo: sordomuto – sordomuti, sordomuta – sordomute. 3.3. Aggettivi qualificativi invariabili Alla categoria degli aggettivi invariabili appartengono: 1. gli aggettivi in -i, cioè l’aggettivo pari e i suoi derivati, impari e dispari: un numero pari, due cifre pari. 2. gli aggettivi indicanti colore che derivano da sostantivi: viola, rosa ecc. 3. gli aggettivi usati in coppia per indicare gradazione di colore: verde pastello, rosso scuro, rosa pallido: una blusa verde pastello, due vestiti verde pastello. 4. gli aggettivi di origine straniera e gli aggettivi terminanti in consonante o in vocale accentata: blu, zulù ecc.: il cielo blu, le acque blu. 5. le locuzioni avverbiali usate come aggettivi: dabbene, perbene, dappoco: un uomo dappoco, una donna dappoco. 6. alcuni aggettivi di recente formazione composti da anti- e un sostantivo: antiruggine, antinebbia, antifurto, antiurto ecc.: strato antiruggine, fari antinebbia. 7. l’infinito attributivo avvenire: negli anni avvenire. 8. l’aggettivo arrosto: pollo arrosto, galline arrosto. 3.4. Posizione dell’aggettivo qualificativo Quando è in funzione di predicato e fa quindi parte del gruppo verbale, l’aggettivo qualificativo si colloca sempre dopo il verbo: Laura è bionda. Se però si vuole dare all’aggettivo particolare risalto, esso può anche essere posto davanti al verbo: Stupido sei stato, non furbo! Usati in funzione di attributo, in italiano, molti aggettivi qualificativi possono essere collocati sia prima sia dopo il nome cui si riferiscono. La loro collocazione, però, non è indifferente: in parte dipende da scelte espressive personali e in parte va soggetta a precise norme e la posizione dell’aggettivo influisce sempre sul significato del gruppo del nome. Generalmente: – gli aggettivi posti dopo il nome cui si riferiscono hanno un valore denotativo/referenziale, caratterizzante, restrittivo; individuano il nome a cui si 24 riferiscono come l’unico dotato di una certa qualità, tra gli altri appartenenti alla stessa categoria: L’albero vecchio ha ceduto. – gli aggettivi posti davanti al nome cui si riferiscono hanno un valore descrittivo, accessorio, non restrittivo; esprimono qualità già risapute, o implicano giudizi soggettivi del parlante o una scelta stilistica: Il vecchio albero ha ceduto. 3.5. Concordanza dell’aggettivo qualificativo L’aggettivo qualificativo concorda in genere e in numero con il sostantivo cui si riferisce: Ho comprato una bicicletta nuova. Se l’aggettivo si riferisce a più sostantivi, si distinguono i seguenti casi: – se i sostantivi sono di genere maschile, l’aggettivo si mette al maschile plurale: Ho acquistato un tappeto e un quadro preziosi. – se i sostantivi sono di genere femminile, l’aggettivo si mette al femminile plurale: Luisa è una ragazza di capacità ed intelligenza acute. – se i sostantivi sono di genere diverso, l’aggettivo si mette al maschile plurale, se è usato in funzione di predicato: Carlo e Luisa sono stanchi. – se invece è usato in funzione di attributo, l’aggettivo si può mettere al maschile plurale: Ho comprato un cappotto e una giacca neri, oppure si può concordare con il sostantivo più vicino: Ho comprato scarpe e guanti neri.; Ho comprato guanti e scarpe nere. 3.6. La struttura degli aggettivi qualificativi Dal punto di vista della struttura, gli aggettivi qualificativi, come i nomi, possono essere: primitivi, derivati, alterati e composti. Gli aggettivi qualificativi primitivi o semplici sono quelli che hanno una forma propria non derivata da altre parole: bianco, avaro, vecchio ecc. Gli aggettivi qualificativi derivati sono quelli che “derivano” da un’altra parola: mortale, poetico, solare ecc. Tra i suffissi aggettivali italiani ricordiamo: -abile “che può essere”: amabile, abitabile; -ano “nativo di”, “relativo a”: italiano; dannunziano; -ante “che produce”: abbagliante, bruciante; -ario “relativo a”; qualità: ferroviario, necessario; -esco “che è tipico di”: pazzesco, dantesco; -ese “che è originario di”: cinese, veronese; -ino “originario di”: trentino, vicentino; -ubile “che può essere”: solubile; -uto “fornito di”: paffuto, panciuto ecc. Gli aggettivi qualificativi alterati sono quelli che, mediante particolari suffissi, si possono modificare in modo tale da esprimere sfumature delle qualità di cui sono portatori. I suffissi alterativi degli aggettivi qualificativi, come quelli dei nomi, si dividono in: diminutivi (-ino: bello → bellino, -etto: piccolo → piccoletto, -ello: povero → poverello, -icello: grande → grandicello, -olino: magro → magrolino), – vezzeggiativi (uccio: caldo → calduccio, -otto: basso → bassotto, -ello: cattivo → cattivello, -acchiotto: furbo → furbacchiotto), accrescitivi (-one: pigro → pigrone, -accione: sporco → sporcaccione, -acchione: furbo → furbacchione), peggiorativi o dispregiativi (accio: avaro → avaraccio, astro: rosso → rossastro) e attenuativi (-astro: bianco → biancastro, -iccio: rosso → rossiccio, -occio: grasso → grassoccio, -ognolo: amaro → amarognolo). 25 Gli aggettivi qualificativi composti sono gli aggettivi formati dall’unione di due aggettivi: sacrosanto, italo-americano. 3.7. Gradi dell’aggettivo qualificativo Poiché una persona o una cosa possono avere una certa qualità in misura uguale, maggiore, minore o massima rispetto a un’altra persona o cosa, l’aggettivo qualificativo ha tre gradi: positivo, comparativo e superlativo. Il grado positivo si ha quando l’aggettivo esprime solo l’esistenza della qualità senza indicarne la misura: Leggo un libro interessante. Il grado comparativo stabilisce un paragone fra due termini rispetto a una medesima qualità o un confronto fra due qualità riferite allo stesso termine. Può essere di tre tipi: di uguaglianza, di maggioranza e di minoranza. Il comparativo di uguaglianza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è presente in misura uguale nei due termini di paragone e si forma con l’aiuto delle particelle correlative (così)... come, (tanto)... quanto: Lucia è simpatica come sua sorella; Luigi è così onesto come buono; Carlo è tanto ricco quanto avaro. Quando la comparazione fatta tra due sostantivi si riferisce a quantità si usa la formula tanto... quanto, però in questo caso tanto e quanto concordano con i sostantivi ai quali si accompagnano: Luisa compra tanti cappelli quante sciarpe. Il comparativo di maggioranza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è presente in misura maggiore nel primo che nel secondo termine di paragone e si forma con l’aiuto delle particelle correlative più... di, più... che: Mario è più alto di Luigi; Anna è più simpatica che bella. La formula più... di si usa quando il paragone si realizza fra due termini, rispetto a una stessa qualità. La preposizione di si usa anche davanti all’avverbio quanto: Gino è più veloce di Aldo; Questo ristorante è più costoso di quanto pensassi. La formula più... che si usa quando il paragone si riferisce allo stesso termine e si realizza fra due sostantivi, due aggettivi, due verbi al modo infinito o due avverbi, o due pronomi retti da preposizione: Ho avuto più gioie che dispiaceri; Ha dato più ragione a Luisa che a Marco; Mi piace più ascoltare che parlare. Il comparativo di minoranza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è presente in misura minore nel primo che nel secondo termine di paragone e si forma con l’aiuto delle particelle correlative meno... di, meno... che: La rosa è meno profumata del gelsomino; È meno facile salire che scendere. Le particelle correlative meno... di, meno...che si usano nelle stesse condizioni come più... di, più... che. Il grado superlativo dell’aggettivo indica che una determinata qualità è posseduta al massimo grado o comunque in misura molto elevata e può essere relativo o assoluto. Il superlativo relativo indica che una qualità è posseduta al massimo (superlativo relativo di maggioranza) o al minimo grado (superlativo relativo di minoranza) relativamente a un determinato gruppo di persone o cose. Si differenzia formalmente dal comparativo di maggioranza o di minoranza per la presenza dell’articolo determinativo davanti all’avverbio più (o meno) quando l’aggettivo precede il nome, o al nome cui l’aggettivo si riferisce se l’aggettivo è posposto: Leopardi è il più grande poeta italiano dell’Ottocento; Luisa è la persona meno adatta per questo lavoro. Se il termine di confronto collettivo plurale è espresso esplicitamente, questo è introdotto dalla preposizione di o, meno spesso, tra, fra: Carlo è il più fortunato di tutti. Il superlativo assoluto indica che una qualità è posseduta al massimo grado, indipendentemente da ogni confronto e da ogni termine di riferimento. Si può formare: a) aggiungendo il suffisso -issimo all’aggettivo di grado positivo privato della vocale finale: alt(o) - altissimo, felic(e) - felicissimo, malevolo - malevolentissimo b) premettendo all’aggettivo di grado positivo un avverbio, che ne rafforza il significato, come molto, assai, decisamente, incredibilmente, estremamente, oltremodo: I miei amici ti hanno trovato molto simpatico. 26 c) ripetendo l’aggettivo di grado positivo: La mia città è grande grande grande. d) premettendo all’aggettivo di grado positivo prefissi come arci-, ultra-, extra-, stra-, super-, sopra-, iper- ecc.: contento – arcicontento, rapido – ultrarapido ecc. e) rafforzando l’aggettivo positivo con un altro aggettivo o con un sostantivo di significato analogo; in questo caso, però, è necessario utilizzare certe “formule” che fanno parte delle espressioni idiomatiche della lingua italiana: stanco morto = stanchissimo, buio pesto = molto buio, pieno zeppo = pienissimo ecc. 3.8. Gli aggettivi determinativi o indicativi A seconda del tipo di determinazione che esprimono, gli aggettivi determinativi o indicativi si distinguono in: possessivi, se esprimono una determinazione di possesso; dimostrativi, se indicano una posizione nello spazio; indefiniti, se indicano una quantità generica; interrogativi, se esprimono una determinazione interrogativa; esclamativi, se esprimono una determinazione esclamativa; numerali, se indicano una quantità precisa o un ordine in una serie numerica. 3.8.1. Gli aggettivi possessivi L’aggettivo possessivo ha le seguenti forme: I persona singolare II persona singolare III persona singolare I persona plurale II persona plurale III persona plurale mio tuo suo nostro vostro Maschile miei tuoi suoi nostri vostri loro mia tua sua nostra vostra femminile mie tue sue nostre vostre loro La lingua italiana possiede anche gli aggettivi possessivi proprio e altrui. Proprio (propria, propri, proprie), che è anche aggettivo qualificativo e può avere funzione di avverbio, esprime l’idea di possesso in modo molto netto e preciso e si usa: - in sostituzione degli aggettivi possessivi suo e loro, con riferimento al soggetto, specialmente quando questi potrebbero creare equivoci non indicando chiaramente il possessore: Luigi si è intrattenuto con Luca nel proprio ufficio (= nell’ufficio di Luigi stesso). - per rafforzare l’aggettivo possessivo, quando si sottolinea il senso di proprietà o il valore affettivo del possesso: Ho dipinto la casa con le mie proprie mani. - obbligatoriamente, nelle costruzioni impersonali: Si deve fare il proprio dovere. - preferibilmente, nelle frasi che hanno come soggetto un pronome indefinito: Tutti possono esprimere il proprio pensiero. Altrui è un aggettivo possessivo indefinito che si usa soltanto in riferimento a persona. È invariabile e solitamente viene posto dopo il nome: Dobbiamo rispettare le opinioni altrui. 3.8.2. Gli aggettivi dimostrativi Gli aggettivi dimostrativi precisano la posizione dell’oggetto e della persona cui si riferiscono rispetto a chi parla o a chi ascolta. Sono sempre anteposti al nome o all’aggettivo che eventualmente lo precede. Non sono mai preceduti dall’articolo. In italiano, gli aggettivi dimostrativi sono questo, quello e codesto: concordano con il nome cui si riferiscono e presentano forme variabili nel genere e nel numero: 27 singolare maschile questo codesto quello, quel femminile questa codesta quella maschile questi codesti quegli, quei plurale femminile queste codeste quelle a) Questo è usato per indicare ciò che sta vicino a chi parla. Al maschile e femminile singolare questo si può elidere davanti a vocale, ma al plurale non si elide mai: quest’anno / questo anno - questi anni, quest’amica / questa amica - queste amiche. In alcuni composti la forma femminile questa diventa sta: stamattina, stasera, stavolta. b) Codesto (meno comune cotesto) è usato per indicare ciò che è vicino a chi ascolta; il suo uso è limitato alla Toscana e al linguaggio letterario e burocratico. Nella lingua comune viene sostituito da questo: Portami codesto foglio che hai in mano; In codesta occasione non ti sei comportato bene; Codesto discorso non è da te. c) Quello è usato per indicare ciò che è lontano sia da chi parla sia da chi ascolta: Conosci quel signore?; Quell’anno al mare siamo stati proprio bene. Al maschile, sia singolare sia plurale, quello presenta forme diverse a seconda di come inizia il sostantivo cui è legato, comportandosi in modo del tutto analogo all’articolo determinativo: il silenzio - quel silenzio, lo studente - quello studente, l’amico - quell’amico, i cavalli - quei cavalli, gli abiti - quegli abiti. L’elisione della forma femminile quella davanti a vocale è facoltativa: quell’amica / quella amica - quelle amiche. Altri aggettivi dimostrativi a) Stesso e medesimo. Sono chiamati dimostrativi di identità o identificativi, perché indicano identità più o meno completa fra due elementi. Fra stesso e medesimo, il secondo è meno comune e di tono più letterario. Variabili nel genere e nel numero, hanno il significato di “uguale, identico”, stanno sempre prima del nome e, diversamente dai dimostrativi, possono essere preceduti dall’articolo: Ho lo stesso posto dell’anno scorso; Mario dice sempre le medesime cose. Stesso e medesimo possono avere anche valore rafforzativo; in questo caso si pospongono generalmente al termine cui si riferiscono e significano “perfino, proprio lui, lui in persona”: Il suo valore è riconosciuto dagli avversari stessi; Il presidente medesimo si congratulò con loro. b) L’aggettivo indefinito tale e gli aggettivi simile e siffatto sono aggettivi dimostrativi identificativi quando significano “questo”, “quello”, “di questo tipo”, “di questa natura”: Non dire più tali sciocchezze; Un simile comportamento è indegno di te; Non posso rispondere a siffatte domande. 3.8.3. Gli aggettivi indefiniti Gli aggettivi indefiniti si uniscono a un nome per esprimere un’idea più o meno vaga di quantità o di qualità. Di norma, salvo casi particolari descritti di volta in volta, rifiutano l’articolo e sono preposti al nome e all’aggettivo che, eventualmente, li accompagna. Gli aggettivi indefiniti sono abbastanza numerosi e di uso frequente, ed anche molto diversi fra loro. Per questo motivo, la loro classificazione non è facile. Ve ne sono infatti: – alcuni che indicano una unità indefinita: ogni, ciascuno, qualunque, qualsiasi, qualsivoglia, nessuno; – altri che indicano una pluralità indefinita: qualche, alcuno; – altri che al singolare indicano l’unità indefinita, e al plurale la pluralità indefinita: certo, tale, certuno, taluno; 28 – altri che indicano una quantità indefinita: poco, alquanto, parecchio, molto, tanto, troppo, altrettanto, tutto, altro, diverso, vario. Ogni È invariabile e indica una totalità di persone o di cose considerate singolarmente; precede il nome cui si riferisce e si usa solo unitamente a nomi al singolare. Ciascuno È variabile solo nel genere e ha lo stesso significato di ogni, di cui è meno usato: Ciascun ragazzo ha ricevuto un libro. Al maschile, ciascuno subisce il troncamento in ciascun davanti a vocale e a consonante semplice: ciascun uomo, ciascun ragazzo, ciascuno studente. Al femminile si può elidere davanti a vocale: ciascun’amica o ciascuna amica. Qualunque È invariabile e significa “quale che sia”, “di qualsiasi tipo”. Indica gli elementi singoli di una totalità, scelti casualmente, senza particolari preferenze. Di norma precede il nome singolare; se lo segue (in tal caso può riferirsi anche a nomi plurali), gli conferisce una sfumatura di significato spregiativo. Qualunque può inoltre collegare due proposizioni, assumendo il valore di un relativo; in questo caso si costruisce normalmente con il congiuntivo: Qualunque persona venisse, avvertimi. Qualsiasi È invariabile e ha lo stesso significato di qualunque. Si accompagna di solito a nomi singolari. Come qualunque, può essere preceduto dall’articolo indeterminativo e può essere posposto al nome, assumendo spesso, in tal caso, un significato spregiativo. Qualsivoglia È invariabile e ha lo stesso significato e le stesse modalità d’uso di qualsiasi, ma si adopera con frequenza molto minore in quanto appartiene al livello letterario della lingua. Nessuno È variabile solo nel genere; ha valore negativo e significa “non uno”, “neppure uno”. Si elide e si tronca come ciascuno: nessun ragazzo, nessun uomo, nessuno studente nessuna ragazza, nessun’amica / nessuna amica Quando sta davanti al verbo non ammette la negazione: Nessun cliente si è lamentato. Quando è posposto al verbo, è obbligatorio introdurre la negazione premettendo l’avverbio non al verbo. In questo caso può essere sostituito dall’aggettivo alcuno, rispetto al quale è di uso più comune: Non ho nessun (o alcun) desiderio di vederti. Qualche È invariabile e precede sempre il nome. Si usa solo unitamente a nomi al singolare e chiede l’accordo al singolare. Indica una quantità indeterminata, ma limitata: Al cinema c’era qualche persona (= più di uno, ma non molti). Quando determina un nome astratto, può essere preceduto dall’articolo indeterminativo nel significato di “un certo”, riferito a una quantità indeterminata minima ma rilevante: Troverò una qualche soluzione al problema. Alcuno È variabile in genere e in numero. Si tronca e si elide come l’articolo indeterminativo uno: alcun aiuto, alcun ragazzo, alcuno studente alcuna ragazza, alcun’amica / alcuna amica 29 Certo Variabile per genere e numero, ha molteplici significati. Usato al singolare e preceduto dall’articolo indeterminativo un, esprime una quantità non molto grande ma neppure troppo esigua: Quello ha scritto saggi di un certo valore. Sempre al singolare e preceduto dall’articolo un, può essere sinonimo di “un tale” per indicare una persona la cui identità non è nota: Ti ha cercato un certo Luigi. Usato al plurale è sinonimo di “alcuno” e “qualche”: Vado al cinema con certi miei amici. Tale È variabile nel numero, ma non nel genere. Indica una persona o cosa ignota o che non si vuol precisare. Al singolare può essere troncato in tal, specialmente davanti a parola iniziante per consonante. Al singolare è per lo più preceduto dall’articolo indeterminativo: Ha telefonato un tale Luigi dal tuo ufficio. Certuno e taluno Rispettivamente varianti di certo e tale, sono raramente usati. Si incontrano a volte al plurale: In certune occasioni non so come comportarmi. È meglio non parlare di talune persone. Altro Variabile per genere e numero, si usa per indicare un’aggiunta di qualcosa dello stesso tipo: Dammi un altro po’ di sale. Spesso indica in maniera indeterminata la differenza, la diversità: Erano altri tempi. Molto Variabile per genere e numero, indica una quantità notevole, in opposizione a poco: Quest’anno ho speso molto denaro. Può essere rafforzato dall’avverbio più posposto: Ho bisogno di molto più tempo. Molto ha il superlativo variabile moltissimo e il comparativo invariabile più: Questo lavoro mi dà più noie che dispiaceri. Ho visto in piazza moltissima gente. Parecchio Variabile per genere e numero, indica una quantità rilevante, ma inferiore rispetto a molto: Allo spettacolo hanno assistito parecchie persone. Tanto Variabile per genere e numero, indica, come molto, ma con maggior enfasi, una quantità decisamente rilevante: Ho visto tante persone oggi al mare! Tanto conosce il superlativo variabile tantissimo: In piazza c’era tantissima gente. Troppo Variabile per genere e numero, indica una quantità che si ritiene eccessiva: Il troppo lavoro logora i nervi. Poco Variabile per genere e per numero, indica una quantità esigua, scarsa: Ho poco tempo per te oggi. Poco ha il superlativo variabile pochissimo e il comparativo invariabile meno: Oggi ho meno lavori di ieri.; Ho visto in piazza pochissima gente. Alquanto Variabile per genere e per numero, è di uso poco comune e ha un significato intermedio fra poco e molto, indicando una quantità discreta: C’è alquanto traffico oggi. 30 Altrettanto Variabile per genere e numero, ha valore correlativo ed esprime uguaglianza nella quantità: C’erano dieci adulti e altrettanti bambini. Tutto Variabile per genere e numero, indica la totalità, l’interezza. Si usa unitamente all’articolo determinativo o all’aggettivo dimostrativo, che si collocano fra tutto e il nome cui si riferisce: Ho visto tutta l’Italia., Ho letto tutto questo libro. Quando si accompagna a un nome proprio di persona o di luogo, tutto rifiuta o vuole l’articolo determinativo secondo le stesse norme che regolano in generale la caduta o la presenza dell’articolo determinativo davanti a un nome proprio: Ho girato tutta la Sicilia. L’ho cercato per tutta Milano. Mario conosce bene tutto Dante. Diverso e vario Variabili in genere e numero, hanno anzitutto valore qualificativo. Hanno valore di aggettivi indefiniti, con il significato di “alquanti, parecchi, molti”, quando sono usati unitamente a nomi collettivi o a nomi plurali: Alla conferenza c’era diversa gente. Ho varie cose da fare. 3.8.4. Gli aggettivi interrogativi L’italiano ha tre aggettivi interrogativi: quale, che e quanto. a) Quale, variabile nel numero, serve per formulare una domanda sulla qualità o sull’identità del sostantivo cui si riferisce: Quale libro preferisci? Al singolare, quale può subire il troncamento in qual davanti a vocale e, talvolta, anche davanti a consonante diversa da z, x, gn, pn o s impura: Qual è la tua opinione?; Qual senso, qual errore esiste? b) Che è invariabile ed equivale a “quale”, rispetto a cui è di uso più comune nella lingua parlata: Che fumetti leggi di solito?; Dimmi in che mese sei nato. c) Quanto, variabile in genere e numero, serve per chiedere informazioni relative alla quantità del sostantivo cui si riferisce: Quanto denaro hai speso?; Quante persone verranno a cena?; Dimmi quanto zucchero vuoi nel caffè. 3.8.5. Gli aggettivi esclamativi Gli aggettivi quale, che e quanto sono aggettivi esclamativi quando si usano nelle esclamazioni per mettere in risalto la qualità, l’identità o la quantità del nome cui si riferiscono: Che giornata stupenda! Quali maltrattamenti subimmo! Quanta bontà ha dimostrato quell’uomo! 3.8.6. Gli aggettivi numerali Gli aggettivi numerali indicano la quantità del nome a cui si riferiscono o la sua posizione in una serie ordinata. Si distinguono in: – cardinali: uno, due, tre...; – ordinali: primo, secondo, terzo...; – moltiplicativi: doppio, triplo...; – frazionari: due terzi, sette ottavi…; – distributivi: si tratta di locuzioni come a uno a uno, tre per volta ecc.; 31 – collettivi: paio, coppia, dozzina… 3.8.6.1. Aggettivi numerali cardinali Gli aggettivi numerali cardinali determinano in modo preciso e assoluto la quantità numerica delle cose di cui si parla: due libri, tre quaderni, quattro quadri. Gli aggettivi numerali cardinali sono invariabili, al di fuori di uno, che al femminile ha la forma una, e di mille, che al plurale ha la forma -mila (dal latino milia). Inoltre, i cardinali da uno a dieci e i cardinali venti, cento, mille sono parole primitive; i nomi delle decine che terminano in -anta (trenta, quaranta, cinquanta ecc.) sono parole derivate; tutti gli altri cardinali sono parole composte. Osservazioni: 1. L’aggettivo numerale cardinale uno si tronca e si elide come l’articolo indeterminativo uno: un libro, un amico, uno psicologo; una ragazza, un’amica / una amica. 2. I composti con uno (ventuno, trentuno, quarantuno ecc.) possono subire il troncamento davanti a sostantivi maschili: ventun allievi, trentun ragazzi ecc. 3. I composti che finiscono in -tre vanno accentati: ventitré, trentatré ecc. 4. Le decine da venti a novanta, unite a uno o a otto, troncano la vocale finale: ventuno, ventotto, trentuno, trentotto, quarantuno, quarantotto ecc., e si possono elidere soltanto quando precedono il sostantivo anno (quest’ultima regola vale anche per cento): vent’anni (venti anni), cent’anni (cento anni). 5. I numerali diciassette e diciannove presentano il raddoppiamento della s di sette e della n di nove dovuto al fenomeno fonetico dell’assimilazione. 6. I numerali costituiti da più elementi si scrivono uniti: trentadue, settantaquattro, trecento, cinquecentotredici. 7. Quando cento e mille sono uniti a uno mediante la congiunzione e, uno trascina il nome al singolare e concorda con esso nel genere: cento e una pagina (o centouno pagine), mille e una notte 8. Anche i multipli del milione e del miliardo si scrivono staccati, ma senza congiunzione: tre milioni, quattro miliardi. Milione e miliardo non sono aggettivi numerali ma sostantivi maschili, e formano il plurale regolarmente. 3.8.6.2. Aggettivi numerali ordinali Gli aggettivi numerali ordinali indicano l’ordine, la successione, nell’ambito di una serie numerica: il primo studente, il sesto libro. I numerali ordinali sono tutti variabili nel genere e nel numero e quindi si accordano morfologicamente con il nome cui si riferiscono, comportandosi come gli aggettivi qualificativi della prima classe (primo, prima, primi, prime). Di norma, inoltre, sono accompagnati dall’articolo. I primi dieci ordinali hanno ciascuno una forma particolare derivata dal latino: primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo. Tutti gli altri, dall’undici in poi, si formano aggiungendo il suffisso -esimo al cardinale che nella composizione, generalmente, perde la vocale finale: undicesimo, tredicesimo, ventesimo, ventunesimo, centesimo, trecentesimo. La caduta della vocale finale del cardinale non avviene nei composti con tre, perché l’ultima vocale è accentata: ventitreesimo, trentatreesimo, ottantatreesimo. Inoltre, mille non si trasforma in -mila, come nei cardinali: duemillesimo. Osservazioni: 1. I numerali ordinali si usano al posto del cardinale nell’indicazione del primo giorno del mese: Il primo maggio è la festa del lavoro. 32 2. I secoli, a partire dal XIII, si possono indicare anche con l’aggettivo numerale cardinale (in questo caso sostantivato) corrispondente alle centinaia (sottintendendo mille), che deve essere preceduto dall’articolo e scritto in lettere, con l’iniziale maiuscola: il secolo XIII = il Duecento il secolo XIV = il Trecento il secolo XV = il Quattrocento il secolo XVI = il Cinquecento il secolo XVII = il Seicento il secolo XVIII = il Settecento il secolo XIX = l’Ottocento il secolo XX = il Novecento 3.8.6.3. Aggettivi numerali moltiplicativi I numerali moltiplicativi si dividono in due sottogruppi. Un primo gruppo è formato dai numerali moltiplicativi che indicano una quantità specificando quante volte essa sia maggiore a un’altra: doppio, triplo, quadruplo, quintuplo, sestuplo ecc. Variabili nel genere e nel numero, si usano per lo più solo al singolare e si collocano prima o, più frequentemente, dopo il nome cui si riferiscono: Ho mangiato una doppia porzione di minestra. Ho fatto un lavoro quadruplo rispetto al tuo. Possono ricategorizzarsi in sostantivi: La torta era così buona che ne avrei mangiato il triplo. Il secondo gruppo è formato dagli aggettivi duplice, triplice, quadruplice ecc. Variabili nel numero ma non nel genere, questi aggettivi significano “formato da due, tre, quattro o più elementi” o anche, “che serve a due, tre, quattro o più scopi”: Alcune categorie grammaticali hanno una triplice funzione. Spesso però i due tipi di aggettivi vengono usati come sinonimi: La lettera mi deve in triplice (o in tripla) copia. 3.8.6.4. Numerali distributivi, collettivi e frazionari I numerali cardinali e ordinali sono alla base di molte parole che indicano numero e che, perciò, pur appartenendo propriamente alla classe degli aggettivi qualificativi o dei sostantivi, o pur essendo delle locuzioni, vanno tutte genericamente sotto il nome di numerali: distributivi, frazionari e collettivi. a) I numerali distributivi indicano come più persone o cose sono distribuite o ordinate nello spazio o nel tempo. Sono costituiti da locuzioni formate da numerali cardinali uniti a preposizioni e aggettivi e pronomi indefiniti, come: (a) uno a uno, (a) due a due, (uno) per uno, (due) per due, uno ciascuno, ogni tre, ogni quattro ecc. b) I numerali collettivi indicano una quantità numerica di persone o cose considerate come un insieme. Rientrano in questa categoria nomi come: – ambo, terno, quaterna, cinquina, usati nei giochi del lotto e della tombola; – decina, centinaio, coppia, dozzina, che non impongono restrizioni di uso; – i termini della metrica: terzina, quartina, sestina, ottava ecc.; – bimestre, trimestre, semestre ecc.; biennio, triennio, quadriennio, decennio, ventennio ecc., che indicano un periodo di due, tre, quattro o più mesi o anni; – duetto (o duo), terzetto (o trio), quartetto, quintetto ecc. che, nel linguaggio specifico della musica, indicano un componimento per due, tre, quattro, cinque esecutori; – decennale, ventennale, centenario, millenario, aggettivi che indicano la ricorrenza di un certo numero di anni; – decenne (= che ha dieci anni), quindicenne, ventenne, settantenne (oppure settuagenario), aggettivi che indicano gli anni o l’età di una persona. 33 Ambedue (invariabile), ambo (rari ambi e ambe) e entrambi (femminile entrambe), che significano “tutti e due”, sono aggettivi. Analogamente all’aggettivo tutto, essi precedono l’articolo che accompagna il nome cui si riferiscono: Ho visto ambedue i fratelli con entrambe le mogli. c) I numerali frazionari indicano una o più parti di un tutto; sono sostantivi e si ottengono unendo i numerali cardinali a quelli ordinali: Un terzo degli spettatori è entrato gratis. Fanno parte dei numerali frazionari anche i nomi mezzo e metà che indicano la divisione dell’unità in due parti uguali: In tre ore e mezzo sono arrivato a metà del libro. Mezzo può essere usato sia come aggettivo che come sostantivo. Usato come aggettivo, mezzo precede il nome cui si riferisce e concorda con questo in genere e in numero: Dammi mezza porzione di torta. Quando, invece, è usato come nome, mezzo non concorda mai, perché corrisponde a “un mezzo”: Ho acquistato due chili e mezzo di cipolle. BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 39-75. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 209-257. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 191-235 e 267-326. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Quali sono gli aggettivi qualificativi invariabili? 2. Quale deve essere la posizione dell’aggettivo qualificativo? 3. Come si forma il grado comparativo degli aggettivi? 4. Come si forma il grado superlativo degli aggettivi? 5. Definire gli aggettivi possessivi. 6. Definire gli aggettivi dimostrativi. 7. Indicare l’uso degli aggettivi indefiniti qualunque, nessuno e tutto. 8. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi interrogativi. 34 UD 4. Il pronome In questa unità didattica di tratta per primo del pronome personale, relativamente alle forme e ad alcuni usi di particolare rilevanza nell'italiano di oggi, e poi, in ordine, dei pronomi possessivi, dimostrativi, indefiniti, relativi, interrogativi ed esclamativi. 4.1. Classificazione 4.2. I pronomi personali 4.2.1. I pronomi personali soggetto 4.2.2. I pronomi personali complemento 4.2.3. I pronomi allocutivi 4.2.4. I pronomi personali riflessivi 4.2.4.1. “Si” impersonale e “si” passivante 4.2.5. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne 4.3. I pronomi possessivi 4.4. I pronomi dimostrativi 4.5. I pronomi indefiniti 4.6. I pronomi relativi 4.7. I pronomi interrogativi ed esclamativi 35 Obiectivele unităŃii didactice: – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia pronumelui în limba italiană; – Cunoaşterea tipurilor de pronume din limba italiană; – Cunoaşterea formelor si a regulilor de folosire a pronumelui subiect în limba italiană; – Cunoaşterea formelor si a regulilor de folosire a pronumelui complement în limba italiană; – Cunoaşterea formelor si a regulilor de folosire a pronumelor alocutive şi reflexive în limba italiană; – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la folosirea particulelor atone polifuncŃionale ci, vi, ne din limba italiană; – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la folosirea pronumelor posesive, demonstrative, indefinite, relative, interogative şi exclamative în limba italiană. Timp alocat: 8 ore. 4.1. Classificazione in: In base al loro significato e alla loro funzione, in italiano i pronomi si distinguono – pronomi personali: io, tu, egli, noi, voi, essi, esse ecc.; – pronomi possessivi: mio, tuo, suo ecc.; – pronomi dimostrativi: questo, codesto, quello ecc.; – pronomi indefiniti: alcuni, certuni, molti, parecchi ecc.; – pronomi relativi: il quale, che, cui, chi; – pronomi interrogativi: chi?, che?, quale?, quanto?; – pronomi esclamativi: chi!, che!, quale!, quanto! 4.2. I pronomi personali Il pronome personale sostituisce il nome della persona che parla o scrive, della persona a cui ci si rivolge, della persona o della cosa di cui si parla. Secondo il numero, tutti i pronomi personali hanno il singolare e il plurale; secondo il genere, sono invariabili nella prima e seconda persona, variabili invece nella terza. Inoltre i pronomi personali presentano forme differenziate in rapporto alla funzione sintattica che svolgono, e precisamente hanno una forma per il soggetto e due forme per i complementi, una detta tonica o forte, l’altra atona o debole. 4.2.1. I pronomi personali soggetto I pronomi personali soggetto sono quelli che, nella frase, sono usati in funzione di soggetto. Questi sono: persona I persona II persona III persona Singolare io tu egli, lui, esso ella, lei, essa Osservazioni: 36 plurale noi voi essi, loro esse, loro 1. Il pronome personale soggetto di terza persona singolare e plurale ha forme distinte a seconda del genere e del tipo di soggetto: se è una persona oppure un animale o una cosa: – egli si usa per indicare persone, nello scritto, raramente nel parlato; lui è il corrispondente di egli nel parlato (ma si usa anche per gli animali); – esso è usato con riferimento agli animali e alle cose; – lei si usa solo per persone; essa, oltre che ad animali e cose, viene riferita anche a persone, ma questo uso diventa sempre meno comune e ha un carattere letterario; – ella è ormai caduto in disuso, specie nel linguaggio parlato, ed è sentito come letterario e solenne; – le forme del plurale essi - esse servono per indicare tanto le persone quanto gli animali e le cose; loro è usato con riferimento alle persone. 2. Il pronome di prima persona plurale noi viene usato in luogo del pronome di prima persona singolare nei seguenti casi: – nel cosiddetto “plurale di modestia”, quando si vuole attenuare la perentorietà di una affermazione: Noi siamo (invece di io sono) di parere del tutto opposto. – nel cosiddetto “plurale di maestà”: Noi rivolgiamo il nostro saluto... – negli articoli giornalistici e nelle interviste televisive: Abbiamo intervistato il sindaco, che ci ha rilasciato le seguenti dichiarazioni... – nelle lettere commerciali: Egregio Ingegnere, abbiamo ricevuto la sua risposta alla nostra inserzione e la sua candidatura ci sembra tale... 3. In italiano l’uso del pronome personale in funzione di soggetto è piuttosto limitato, perché la forma verbale, attraverso la desinenza, indica da sola il soggetto: Leggo un libro molto interessante. (= io leggo) Il pronome, però, è sentito come necessario, e perciò deve essere espresso: – quando si vuole mettere in particolare rilievo la persona-soggetto, come nelle espressioni enfatiche e nelle contrapposizioni: L’ho comprato io., Noi abbiamo fatto tutto il lavoro e lui si prende il merito. – nelle espressioni in cui il verbo è sottinteso: Tu qui? Non mi sembra vero. – quando il verbo è di modo indefinito e il suo soggetto è diverso da quello della reggente: Arrivato lui, la festa cominciò. – quando ci sono forme verbali (particolarmente del congiuntivo) che potrebbero creare confusione circa la persona del soggetto: Credo che tu non sia all’altezza della situazione. 4. Il pronome personale soggetto può essere rafforzato da stesso: io stesso, tu stesso ecc.; e da altri, limitatamente alla prima e seconda persona plurale: noi altri, voi altri (o, in grafia unita, noialtri, voialtri). 4.2.2. I pronomi personali complemento In italiano, come in romeno, i pronomi personali complemento hanno due forme, ben distinte tra loro: una forma tonica o forte, fortemente accentata, che dà al pronome un particolare rilievo (pronomi tonici), e una forma atona o debole, non accentata, che nel discorso si appoggia al verbo (pronomi atoni). a) Le forme toniche dei pronomi personali complemento sono: persona I persona II persona III persona Singolare me te lui, lei esso, essa plurale noi voi loro essi, esse Nella funzione di complemento oggetto le forme toniche dei pronomi personali complemento si collegano direttamente al verbo. In quella di complemento di termine (che in romeno ha come corrispondente il complemento indiretto in dativo) sono introdotte dalla preposizione a, mentre in quella di complemento indiretto sono 37 introdotte da qualsiasi preposizione o locuzione preposizionale: Il dottore cura noi; Devi dirlo a me. b) Le forme atone dei pronomi personali complemento sono: complemento oggetto mi ti lo, la ci vi li, le I pers. sg. II pers. sg. III pers. sg. I pers. pl. II pers. pl. III pers. pl. complemento di termine mi ti gli, le ci vi loro Quando si incontrano, le forme atone dei pronomi personali danno origine a forme composte, le cosiddette coppie di pronomi. Le particelle mi, ti, gli, le, ci, vi (con funzione di complemento di termine) possono essere seguite da lo, la, li, le (con funzione di complemento oggetto) o da ne (con funzione di complemento indiretto o di avverbio di luogo). In questo caso mi, ti, ci, vi diventano me, te, ce, ve e le forme gli e le diventano glie-, e si scrivono sempre attaccate al pronome seguente: mi ti gli / le ci vi lo me lo te lo glielo ce lo ve lo la me la te la gliela ce la ve la li me li te li glieli ce li ve li le me le te le gliele ce le ve le Ne me ne te ne gliene ce ne ve ne 4.2.3. I pronomi allocutivi I pronomi allocutivi sono i pronomi con cui ci si rivolge a una persona. a) I primi allocutivi sono ovviamente i pronomi personali: il tu (con tutti i suoi derivati) se ci si rivolge ad un solo interlocutore, il voi (con tutti i suoi derivati) se ci si rivolge a più interlocutori. Si usano nel rivolgersi a persone con cui si è in rapporto di amicizia, di familiarità o di confidenza. b) Nel rivolgersi a qualcuno che non si conosce o con cui non si è in confidenza o che appartiene a un livello sociale o professionale più elevato, si usano i pronomi allocutivi di cortesia: al singolare si usano i pronomi Lei, che è più comune, ed Ella, che suona prezioso e ricercato, mentre al plurale si usa il pronome Loro. Nella funzione di soggetto, i pronomi di cortesia Lei, Ella e Loro, essendo pronomi di terza persona, richiedono il verbo alla terza persona, singolare o plurale: Lei che cosa desidera?; Vengono anche Loro con noi?. Alle forme soggettive Lei, Ella, Loro corrispondono in funzione di complemento le forme toniche di Lei, di Loro, a Lei, a Loro ecc.; e le forme atone: La, Le (per Lei ed Ella); Li, Le, Loro (per Loro). 4.2.4. I pronomi personali riflessivi I pronomi personali riflessivi si usano quando l’azione compiuta dal soggetto “si riflette”, cioè ricade sul soggetto stesso, quindi quando il verbo è alla forma riflessiva. I pronomi riflessivi sono: I pers. sg. pronomi tonici me pronomi atoni mi 38 II pers. sg. III pers. sg. I pers. pl. II pers. pl. III pers. pl. te sé noi voi sé ti si ci vi si Quando è seguito da uno dei pronomi lo, la, li, le il pronome riflessivo si diventa se, e risultano le coppie: se lo, se la, se li, se le: La barba, se la fa ogni due giorni. 4.2.4.1. “Si” impersonale e “si” passivante a) “Si” impersonale è la particella pronominale che equivale a soggetti come “uno”, “qualcuno”, “la gente”, “tutti”: In questo treno si viaggia più comodamente. Nel caso dei verbi riflessivi e dei verbi pronominali, nei quali è già presente la particella si, si ricorre alla particella ci: ci si lava, ci si sveglia, ci si scrive ecc.: Ci si lava con acqua e sapone; Nel mondo non ci si ama abbastanza. b) “Si” passivante è la particella pronominale che si premette alla terza persona singolare o plurale di un verbo transitivo attivo in un tempo semplice per renderlo passivo: Qui si vendono (= sono venduti) libri usati. 4.2.5. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne Ci, e meno comunemente vi, possono avere le funzioni di: pronome dimostrativo e avverbio di luogo. Si usano poi con valore rafforzativo e in alcune locuzioni fisse. Si elidono obbligatoriamente davanti alle voci del verbo essere inizianti per -e e, facoltativamente, davanti a forme verbali inizianti per -i: Non c’era più nulla da fare; Non v’è dubbio che sia così; Non c’interessa nulla. Per quanto riguarda la collocazione di ci e vi, essa può essere sia proclitica che enclitica: Pensa alle mie parole. Pensaci bene!; Vado dal medico. Ci vado ogni settimana. Quando sono seguite da un pronome forma atona (lo, la, li, le, ne), ci e vi diventano ce, ve: - Tu hai messo il libro nella cartella? - Sì, io ce (ve) l’ho messo. Tra ci e vi non esiste nessuna differenza di significato. La particella ci, però, è oggi di uso molto più frequente e molto più comune di vi, che suona piuttosto libresca e di norma viene utilizzata solo in testi di registro letterario, per sottolineare l’idea di lontananza: Non sono ancora andato al supermercato, ma vi (= là) andrò fra poco. La particella ne può essere usata nelle funzioni di: pronome personale o dimostrativo e avverbio di luogo. Si usa poi con valore rafforzativo e in alcune locuzioni fisse. Per quanto riguarda la sua collocazione, ne, come le altre particelle pronominali, può essere tanto proclitica quanto enclitica: È una persona in gamba, tutti ne parlano bene; Se hai troppi libri, regalane qualcuno alla biblioteca. Con le forme di imperativo da’, sta’, fa’, di’, va’, anche ne subisce il raddoppiamento della consonante iniziale: Quanti pacchi! Danne qualcuno a me. 4.3. I pronomi possessivi I pronomi possessivi sono formalmente identici agli aggettivi possessivi e sono sempre preceduti dall’articolo determinativo: Il tuo cane è buono quanto il mio; I miei interessi contrastano con i loro. 39 L’uso dei pronomi possessivi il proprio (la propria, i propri, le proprie) e l’altrui (la altrui, gli altrui, le altrui) segue le modalità già indicate a proposito dei corrispondenti aggettivi: Ritiro i compiti in classe: ciascuno consegni il proprio; È bene avere un proprio stile di vita e non imitare l’altrui. 4.4. I pronomi dimostrativi Tra i pronomi dimostrativi, alcuni hanno forme uguali a quelle degli aggettivi dimostrativi. Altri, invece, non possono mai avere funzione di aggettivi. a) I pronomi dimostrativi che hanno forme uguali a quelle degli aggettivi dimostrativi sono: Singolare maschile Femminile questo questa codesto codesta quello quella stesso stessa medesimo medesima maschile questi codesti quelli stessi medesimi plurale femminile queste codeste quelle stesse medesime - questo indica vicinanza a chi parla: La foto che voglio farti vedere è questa. - codesto (che appartiene all’uso toscano e letterario) indica vicinanza a chi ascolta: Codesto che stai sfogliando non È il libro che ti ho richiesto. - quello indica lontananza sia da chi parla sia da chi ascolta: Quella è più bella. - stesso (più comune) e medesimo indicano l’identità o l’uguaglianza tra le persone o le cose che sostituiscono: Gli insegnanti sono gli stessi (o i medesimi) dell’anno scorso. b) I pronomi dimostrativi che non possono mai avere funzione di aggettivi sono: Singolare maschile femminile questi − quegli − costui costei colui colei ciò − plurale maschile femminile − − − − costoro coloro costoro coloro − − Questi e quegli si adoperano solo al maschile singolare, solo in riferimento a persone e solo in funzione di soggetto (per i complementi si ricorre a questo e quello). Questi si riferisce a persona vicina, quegli a persona lontana: Mario e Luigi sono fratelli. Questi (Luigi) ha nove anni, quegli (Mario) ne ha sei. Il pronome dimostrativo ciò è invariabile e ha solo valore “neutro”. Equivale a “questa cosa, queste cose, quella cosa, quelle cose”: Ciò non mi piace affatto. Ciò è frequentemente sostituito da questo e quello, sempre con valore neutro: Quello che fai non è bello; Su questo non ho nulla da fare. 4.5. I pronomi indefiniti I pronomi indefiniti designano qualcuno o qualcosa in modo non specifico e non determinato. Tra i pronomi indefiniti, alcuni possono essere usati anche in funzione di aggettivi. Altri, invece, possono essere usati solo come pronomi. 40 a) I pronomi indefiniti che possono essere usati anche come aggettivi indefiniti sono: Singolare maschile femminile alcuno alcuna taluno taluna certuna certuno certo certa ciascuno ciascuna nessuno nessuna altro altra tale tale troppo troppa parecchio parecchia molta molto poco poca tutto tutta tanto tanta alquanto alquanta altrettanto altrettanta diverso diversa vario varia maschile alcuni taluni certuni certi − − altri tali troppi parecchi molti pochi tutti tanti alquanti altrettanti diversi vari plurale femminile alcune talune certune certe − − altre tali troppe parecchie molte poche tutte tante alquante altrettante diverse varie Alcuno È variabile per genere e numero. Al singolare, di norma, si usa solo in frasi negative: Non venne alcuno alla festa., Alcuni sono d’accordo, altri no. Certuno e taluno Rispettivamente varianti di certo e tale, sono raramente usati. Sono usati prevalentemente al plurale: La solitudine è per certuni piacevole., Taluni mi diedero ragione. Certo Come pronome indefinito, è usato solo al plurale: Certi non sanno proprio quel che vogliono! Ciascuno È variabile solo nel genere. Indica “ogni singola persona” in maniera indeterminata nell’ambito della totalità: Ci fu un premio per ciascuno. Nessuno È variabile solo nel genere. Ha valore negativo e significa “non uno”, “neppure uno”. Quando sta dopo il verbo richiede che il verbo sia preceduto dall’avverbio non: Non ho sentito nessuno. Se precede il verbo, l’avverbio di negazione non si usa: Nessuno ho sentito. In proposizioni interrogative, nessuno assume il significato di “qualcuno”. In questo caso, anche se posposto al verbo, non richiede necessariamente l’avverbio di negazione: (Non) c’è nessuno che mi sappia rispondere? Altro Come pronome, è accompagnato sempre dall’articolo e significa “altra persona, le altre persone”: Se non vieni tu, inviterò un altro. Altro viene spesso usato in correlazione con il pronome indefinito uno nelle espressioni l’uno... l’altro, gli uni ... gli altri e simili: Ho accontentato gli uni e gli altri. Tale Indica una persona la cui identità non è nota a chi parla. Al singolare, in generale, è preceduto dall’articolo indeterminativo e significa “una certa persona”, “un tizio”, “uno”: Ha telefonato un tale dal tuo ufficio. 41 Preceduto dai pronomi dimostrativi quello, quella, quelli, quelle, tale indica invece una persona nota o già nominata in precedenza: Ha telefonato di nuovo quel tale che ti aveva cercato qualche giorno fa. Troppo Indica una quantità che si ritiene eccessiva: Non riesco a ospitarli, sono troppi. Parecchio Indica una quantità rilevante, ma inferiore rispetto a molto: Parecchi vennero alla festa. Molto Indica una quantità notevole, in opposizione a poco: Molti di noi vennero a piedi. Tanto Indica, come molto, ma con maggior enfasi, una quantità decisamente rilevante: Di tutte le cose conservate, tante sono inutili. Poco Indica una quantità esigua, scarsa: L’altr’anno ho visto una gran volontà di vincere, quest’anno poca. Tutto Indica la totalità, l’interezza: Tutti facciano il loro dovere. Alquanto È di uso poco comune e ha un significato intermedio fra poco e molto: C’è abbastanza energia, ma per concludere la gara ne necessiterà alquanta. Altrettanto Ha valore correlativo ed esprime uguaglianza nella quantità: Il dolce era grande, ma ne avrei mangiato altrettanto. Diverso e vario Come pronomi indefiniti, si usano solo al plurale: Di cascine, un po’ per scherzo, un po’ sul serio già diversi me n’hanno offerte. Pavese, La luna e i falò) Vari dicono che la colpa sia sua. (Zingarelli, 1994) b) Gli indefiniti che possono avere solo funzione di pronome sono: Singolare maschile femminile uno una qualcuna qualcuno ognuno ognuna chiunque chiunque chicchessia chicchessia qualcosa − alcunché − checché − checchessia − niente − nulla − altri (un altro) plurale maschile − − − − − − − − − − − − − femminile − − − − − − − − − − − − Uno Variabile in genere, indica una singola persona, in modo generico, senza precisarne l’identità: È venuto uno a cercarti. Seguito da un complemento partitivo, può riferirsi sia a una persona sia a una cosa: Uno dei presenti desidera intervenire. 42 Qualcuno Variabile nel genere, si usa solo al singolare. Indica una quantità indeterminata, piuttosto esigua, di persone o di cose: Qualcuno ha preso il mio libro., Conosci qualcuna delle sue amiche?, Puoi prestarmi qualcuno dei tuoi libri? In talune espressioni, qualcuno è usato come nome, nel senso di “persona importante, affermata”: Un giorno diventerai qualcuno. Ognuno Variabile nel genere, si usa solo al singolare. Indica ciascuno degli elementi di un gruppo o di un insieme, considerati individualmente: Ognuno è responsabile delle proprie azioni. Nelle espressioni partitive e distributive è spesso sostituito da ciascuno, a cui corrisponde come significato: Ciascuno dei candidati ha superato l’esame. Chiunque Invariabile, si usa solo al singolare. Significa “qualunque persona” e quindi può essere usato solo in riferimento a persone: Chiunque al tuo posto avrebbe fatto lo stesso. Talvolta, chiunque può avere contemporaneamente valore di pronome indefinito e di pronome relativo; in questo caso ha il significato di “qualunque persona che”: A questo corso può iscriversi chiunque abbia la licenza media. Chicchessia Invariabile, si usa solo al singolare e solo in riferimento a persone. È di uso poco frequente, corrisponde a “chiunque, qualunque persona”, nelle frasi positive, e a “nessuno”, nelle frasi negative: Chiedilo pure a chicchessia., Non m’importa di chicchessia. Qualcosa Invariabile, indica in modo indeterminato e con valore neutro una o alcune cose; si accorda normalmente al maschile singolare: In te c’è qualcosa che non mi convince. Può assumere le funzioni di sostantivo con il significato di “un certo non so che”; in tal caso è preceduto sempre dall’articolo indeterminativo: Ho notato un qualcosa di strano nel suo sguardo. Alcunché È invariabile. Ormai è di uso molto raro, e corrisponde a “qualcosa”, nelle frasi positive, o a “niente, nulla”, nelle frasi negative: Nel suo comportamento c’è sempre stato alcunché di strano. Checché Invariabile, di impiego poco frequente, ha valore di pronome misto, indefinito e relativo, e viene usato con valore “neutro”, nel significato di “qualunque cosa che”, come soggetto o complemento oggetto: Checché tu ne dica, è una brava persona. Checchessia Invariabile e di impiego poco frequente, viene usato con valore “neutro”, nel significato di “qualsiasi cosa”, nelle frasi positive, o di “nulla, niente”, nelle frasi negative: Si accontenta di checchessia., Non voglio accettare checchessia. Niente e nulla Invariabili, sono pronomi indefiniti negativi con valore “neutro”. Significano “nessuna cosa” e vogliono l’accordo al maschile singolare. Quando precedono il verbo non richiedono un’altra negazione; la sollecitano invece se seguono il verbo: Niente è stato fatto per evitare il disastro., /Non ho notato niente di strano. Nelle proposizioni interrogative dirette e in quelle indirette introdotte dalla congiunzione se, assumono il significato di “qualcosa”. In questo caso, anche se posposti al verbo, non richiedono necessariamente l’avverbio di negazione: C’è niente da mangiare?, Non hai nulla da aggiungere? Altri 43 Si usa soltanto al maschile singolare (perciò non va confuso con il plurale di altro), con il significato di “un altro, un’altra persona, qualcun altro”. Il suo impiego è ormai esclusivamente letterario: Altri potrebbe rimproverarti i tuoi errori, io certo no. 4.6. I pronomi relativi La lingua italiana possiede i seguenti pronomi relativi: il quale (la quale, i quali, le quali), che, cui, chi e quanto (quanta, quanti, quante). Il quale. Il pronome relativo il quale, variabile nel genere e nel numero, concorda con il nome cui si riferisce. Può sostituire tutti gli altri pronomi relativi e può essere usato sia come soggetto (conferisce alla frase un tono più sostenuto rispetto a che), sia come complemento oggetto (molto raro e letterario), sia come complemento indiretto preceduto dalla opportuna preposizione (di uso corrente, accanto a cui): Ho incontrato Luisa, la quale mi ha invitato alla sua festa; Il paese nel quale abito è molto bello. Nonostante la prevalenza di che e cui, l’uso del pronome il quale è tuttavia preferibile o, addirittura, indispensabile: - quando la forma che, essendo invariabile, potrebbe creare ambiguità circa il nome cui si riferisce: Ho incontrato il cugino di Luisa, che ormai vive a Roma. … il quale ormai vive a Roma. … la quale ormai vive a Roma. - quando il pronome relativo è lontano dal nome cui si riferisce: Molte storie ho sentito quand’ero bambino, le quali erano non solo molto belle ma anche istruttive. Che. Il pronome relativo che è invariabile ed è usato esclusivamente come soggetto o complemento oggetto della subordinata relativa; le concordanze vengono effettuate con l’antecedente: Ho gradito il regalo che mi hai fatto. Il pronome relativo che può sostituire anche un’intera frase. In questo caso È preceduto dall’articolo determinativo o dalla preposizione articolata e ha il significato di “la qual cosa”: Paolo è arrivato in anticipo, il che (= la qual cosa) ci ha stupiti. Cui. Il pronome relativo cui è invariabile e si adopera soltanto come complemento indiretto, preceduto da una preposizione semplice: L’uomo di cui parliamo è mio padre. Il relativo cui non è preceduto dalla preposizione semplice soltanto in due casi: a) nel complemento di termine, accanto alla forma con la preposizione a: Il ragazzo cui / a cui mi sono rivolto è mio amico. b) quando si trova fra l’articolo determinativo (o una preposizione articolata) e il nome, con il valore di complemento di specificazione e con il significato di “del quale, della quale, dei quali, delle quali”: È un uomo, il cui valore è immenso. … il valore del quale è immenso. Chi. Il pronome chi, invariabile, vale solo per il singolare e si riferisce soltanto a esseri animati. Può essere usato in funzione di soggetto e di complemento. È un pronome “doppio”, in quanto unisce in sé la funzione di due pronomi diversi: uno dimostrativo (colui, quello, colei, quella) o indefinito (qualcuno, uno, qualcuna, una), l’altro relativo (che, il quale, la quale), e corrisponde per significato a colui il quale, colui che, qualcuno che, uno che: C’è sempre chi (= qualcuno che) si comporta male; Ho compassione per chi (= per quello che) soffre. Quanto. Il pronome quanto, variabile nel genere e nel numero. Al singolare è usato con valore neutro, nel significato di “tutto quello che”, “tutto ciò che”: Gli ho dato quanto gli spettava. Al plurale si riferisce sia a persone sia a cose ed equivale a “tutti 44 quelli che”, “tutti coloro che”, “tutte coloro che”: La festa è riservata a quanti hanno ricevuto l’invito. 4.7. I pronomi interrogativi ed esclamativi a) I pronomi interrogativi introducono una domanda, diretta o indiretta, chiedendo informazioni o precisazioni circa l’identità, la qualità o la quantità di qualcuno o di qualcosa. I pronomi interrogativi dall’italiano sono: chi, che, quale e quanto. Chi, invariabile, si usa esclusivamente per indicare persone ed esseri animati: Chi ti accompagna?; Sai chi mi ha telefonato? Che, invariabile, si usa solo in riferimento a cose e corrisponde a quale. Chiede l’accordo al maschile singolare: Che ti devo dire?; Dimmi che ti passa per la mente. Quale è variabile solo in numero; serve a chiedere informazioni circa l’identità o la qualità di una persona o di una cosa: A quale delle due risposte devo credere?; Quali sono i maggiori fiumi dell’Italia?; Non sai quali scegliere? Quanto, variabile nel genere e nel numero, serve a chiedere informazioni relative alla quantità e si usa in riferimento sia a persone sia a cose: Quanti hanno aderito alla nostra proposta?; Quanto costa quella valigia?; Ti chiedo in quanti verranno. b) Tutti i pronomi interrogativi possono essere usati anche in funzione esclamativa: Chi ho incontrato stamattina!; Che occasione! BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 77-105. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 258-304. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 237326. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali soggetto. 2. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali complemento. 3. Cosa sono i pronomi allocutivi e come si usano. 4. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali riflessivi. 5. Descrivere ed indicare l’uso delle particelle ci e vi. 6. Descrivere ed indicare l’uso della particella ne. 7. A cosa servono i pronomi possessivi e quali sono. 8. Definire i pronomi dimostrativi ed indicare quali sono. 9. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti nessuno, niente e nulla. 10. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti uno, qualcuno, chiunque e qualcosa. 11. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi relativi. 12. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi interrogativi. 45 SEMESTRUL II UD 5. Il verbo In questa unità didattica si descrive la morfologia del verbo, distinguendo i verbi in relazione alla loro flessione e in relazione alle diverse funzioni. 5.1. Classificazione 5.1.1. Il significato e la funzione dei verbi 5.1.2. Il genere dei verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi 5.1.3. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva 5.2. Le “variabili” del verbo 5.2.1. La persona, il numero e il genere 5.2.2. Il modo 5.2.3. Il tempo 5.3. I verbi di “servizio” 5.3.1. I verbi ausiliari 5.3.2. I verbi servili 5.3.3. I verbi fraseologici 5.3.4. I verbi causativi 5.4. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni 5.4.1. La coniugazione dei verbi ausiliari 5.4.2. La coniugazione attiva 5.4.3. La coniugazione passiva 46 5.4.4. La coniugazione riflessiva 5.4.5. I verbi irregolari. 5.5. Uso dei modi e dei tempi 5.5.1. Il modo indicativo e i suoi tempi 5.5.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi 5.5.3. Il modo condizionale e i suoi tempi 5.5.4. Il modo imperativo 5.5.5. L’infinito e i suoi tempi 5.5.6. Il participio e i suoi tempi 5.5.7. Il gerundio e i suoi tempi Obiectivele unităŃii didactice: – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia verbului în limba italiană; – Cunoaşterea “variabilelor” verbului în limba italiană; – Cunoaşterea regulilor de folosire a verbelor de “serviciu” din limba italiană; – Cunoaşterea conjugării verbelor auxiliare şi a conjugărilor activă, pasivă şi reflexivă a verbelor în limba italiană; – Cunoaşterea formelor şi a regulilor de folosire a pronumelor alocutive şi reflexive în limba italiană; – Cunoaşterea folosirii modurilor şi a timpurilor verbale în limba italiană. Timp alocat: 16 ore. 5.1. Classificazione 5.1.1. Il significato e la funzione dei verbi Secondo il loro significato e la loro funzione nella frase, i verbi vengono solitamente suddivisi in due categorie: verbi predicativi e verbi copulativi. I verbi predicativi sono quelli che hanno senso compiuto e che nella frase assumono la funzione di predicato verbale: Marco telefona alla nonna. I verbi copulativi sono quelli che hanno un significato piuttosto generico e, come il verbo essere, funzionano da copula, servono cioè a collegare il soggetto a un nome o a un aggettivo (nome del predicato). La copula e il nome del predicato costituiscono il predicato nominale: I tuoi amici sono molto simpatici. Oltre al verbo essere, sono copulativi: apparire, diventare, parere, sembrare, restare, riuscire, nascere, ecc.: Il cielo diventa nuvoloso., Mio fratello sembra triste. 5.1.2. Il genere dei verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi In base al genere o, meglio, al modo in cui organizzano il rapporto tra il soggetto e il resto della frase, i verbi si dividono in: verbi transitivi e verbi intransitivi. Sono transitivi i verbi che reggono un complemento oggetto o diretto: Luigi legge un libro. Quando l’oggetto non è espresso, come in: Luigi legge, il verbo viene usato in forma assoluta, ma continua a rimanere transitivo. Sono intransitivi i verbi che non ammettono la presenza di un complemento oggetto: Il treno è arrivato alla stazione. Alcuni verbi normalmente intransitivi diventano transitivi quando sono seguiti dal cosiddetto complemento oggetto interno, rappresentato da un sostantivo che ha la 47 stessa base del verbo o che è strettamente collegato al verbo sul piano semantico: Pianse tutte le sue lacrime. Parecchi verbi, infine, possono reggere, con significati totalmente diversi, sia il complemento oggetto, sia quello indiretto, possono cioè essere transitivi o intransitivi a seconda del significato: Marco ha cominciato un nuovo giallo. Lo spettacolo è cominciato da dieci minuti. 5.1.3. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva Secondo il ruolo che attribuisce al soggetto della frase, il verbo può avere forma attiva, passiva e riflessiva. Il verbo è di forma attiva quando il soggetto coincide con l’agente dell’azione, cioè compie l’azione espressa dal verbo: L’estate scorsa abbiamo visitato la Sicilia. Il professore ha assegnato molti compiti. Il verbo è di forma passiva quando l’agente non è il soggetto, ma il complemento: complemento d’agente se animato, complemento di causa efficiente se inanimato, entrambi introdotti dalla preposizione da. Quando il complemento d’agente o di causa efficiente non sono espressi si ha la forma passiva assoluta. In italiano, di solito, la forma passiva è realizzata con l’ausiliare essere coniugato nel modo, nel tempo e nella persona della corrispondente voce attiva, seguito dal participio passato del verbo, accordato in genere e numero con il soggetto: L’affresco è stato rovinato dall’umidità. L’automobile è stata revisionata. Oltre che con l’ausiliare essere, in italiano, il passivo si può formare anche con l’aiuto degli ausiliari: – venire, che conferisce alla frase un valore dinamico, sottolineando un’azione; per questo si usa solo nel contesto dei tempi semplici: Paolo è lodato da tutti. / Paolo viene lodato da tutti. – andare, solo nel contesto dei tempi semplici, e senza possibilità di esprimere il complemento d’agente. Come ausiliare del passivo, andare comporta: 1. Un generico valore passivo. In questo caso è una variante di essere con una sfumatura aspettuale in cui si sottolinea lo svolgimento del processo. Questo valore è ristretto ad un inventario lessicale limitato, costituito da verbi che indicano un senso generalmente negativo, come: deludere, smarrire, spendere, sprecare, versare, vendere, tagliare, abbattere ecc. In tal caso è in uso solo la terza persona, singolare e plurale: Il libro andò perso. (“fu perso”) I documenti andarono smarriti. (“furono smarriti”) 2. L’idea di opportunità, dovere, necessità. Questo valore è ammesso con tutti i verbi, ma solo nei tempi semplici e alla terza persona, singolare e plurale. In questo caso «va + participio passato» ha il valore di «deve essere + participio passato»: Questo lavoro va finito per domani. (“deve essere finito”) Inoltre, il passivo si può formare con il cosiddetto “si” passivante premesso alla terza persona singolare o plurale di un verbo transitivo attivo in un tempo semplice: Si acquistano (= sono acquistati) mobili antichi. Il verbo ha forma riflessiva quando il soggetto compie e nello stesso tempo subisce l’azione e, quindi, l’azione si riflette sul soggetto. 48 Vengono definiti verbi riflessivi i verbi transitivi che nella coniugazione sono preceduti o seguiti da uno dei pronomi atoni riflessivi mi, ti, si, ci, vi: Lavandosi le mani, Marco si guardava nello specchio. 5.2. Le “variabili” del verbo 5.2.1. La persona, il numero e il genere Le persone del verbo sono tre per il numero singolare e tre per il numero plurale: la prima persona singolare e plurale indica chi parla; la seconda persona singolare e plurale indica chi ascolta; la terza persona singolare e plurale indica qualcuno o qualcosa di distinto da chi parla e da chi ascolta. Le sei forme verbali dei modi finiti hanno come soggetto i pronomi personali: – io, tu, egli / ella rispettivamente per la prima, seconda e terza persona singolare; – noi, voi, essi / esse per la prima, seconda e terza persona plurale. Unica eccezione l’imperativo, che non ha la prima persona singolare. Dei modi indefiniti, l’infinito e il gerundio non hanno persona né variano in numero; il participio presente ha il plurale (cantante / cantanti) e il participio passato varia in genere e in numero (servito, servita, serviti, servite). 5.2.2. Il modo Il modo indica come un evento è presentato da chi parla, rivelando il suo punto di vista. In italiano, esistono sette modi verbali: a) quattro modi finiti, che si coniugano, variando le desinenze, e permettono di individuare le persone che fungono da soggetto: indicativo (il modo della realtà), congiuntivo (il modo del desiderio o della speranza, del dubbio o del timore), condizionale (il modo della eventualità che una cosa avvenga, ma a certe condizioni) e imperativo (è il modo dell’esortazione, dell’invito, del consiglio, della preghiera); b) tre modi indefiniti, che non sono determinati rispetto a un soggetto e non contengono l’indicazione della persona: infinito (esprime genericamente l’azione senza indicare chi la compie), participio (rappresenta il modo di partecipare alla natura del verbo) e gerundio (presenta un’azione legata ad un’altra). L’infinito, il participio e il gerundio sono detti anche forme nominali del verbo, perché vengono spesso usati in funzione di sostantivo e di aggettivo. 5.2.3. Il tempo Il tempo indica il rapporto cronologico che intercorre tra il momento in cui viene formulato l’enunciato e il momento in cui si verifica l’azione espressa dal verbo della frase. In italiano, tutti i modi, siano essi finiti o indefiniti, si articolano in tempi (tranne l’imperativo), ascrivibili genericamente a due categorie fondamentali: tempi semplici (formati da una sola parola) e tempi composti (formati dall’ausiliare e dal participio passato del verbo). Si tenga però presente che al passivo il tempo semplice è formato dall’ausiliare essere + il verbo al participio passato. I tempi dell’indicativo sono otto, quattro semplici (presente, imperfetto, passato remoto, futuro semplice) e quattro composti (passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, futuro anteriore). 49 I tempi del congiuntivo sono quattro, due semplici (presente e imperfetto) e due composti (passato e trapassato). I tempi del condizionale sono solo due: presente (tempo semplice) e passato (tempo composto). L’infinito, il participio e il gerundio hanno due tempi ciascuno: presente e passato 5.3. I verbi di “servizio” 5.3.1. I verbi ausiliari Gli ausiliari propriamente detti dell’italiano sono due: essere e avere. Per quanto riguarda la collocazione dell’ausiliare, esso di norma precede immediatamente il participio a cui si riferisce: ho parlato, siamo andati. Tra ausiliare e participio possono interporsi elementi semanticamente «deboli», come avverbi o congiunzioni: Non ho ancora letto la lettera arrivata stamattina. Abbiamo già affrontato quest’argomento. Non ero stato invitato, non ho perciò potuto partecipare. Per quanto riguarda l’uso dell’ausiliare, nell’italiano si possono identificare tre gruppi di verbi: a) verbi che usano solo avere: i verbi transitivi e alcuni verbi attivi intransitivi: Paolo ha comprato due dischi nuovi. Ieri ho dormito dalle due alle quattro. b) verbi che usano soltanto essere: i verbi riflessivi, i verbi usati in forma impersonale, la maggioranza dei verbi intransitivi, i verbi alla forma passiva: Marco si è vestito per uscire. Non ci siamo accorti di nulla. Questo romanzo è scritto da Luigi Pirandello. c) verbi che usano l’uno o l’altro variando significato in ciascun caso: alcuni verbi intransitivi, come aumentare, correre, crescere ecc, e i verbi impersonali relativi a fenomeni atmosferici: Sono corso a casa. / Ho corso tutta la giornata. È piovuto tanto. / Ha piovuto tutta la notte. L’uso dell’ausiliare temporale è oscillante anche con un verbo che regge un verbo all’infinito: Luigi è dovuto andare in città. Ieri ho dovuto comprare un nuovo libro. 5.3.2. I verbi servili I verbi servili o modali sono una classe particolare di verbi che, premessi all’infinito di un verbo, formano con esso un predicato unico. Di solito si considerano verbi servili potere, dovere e volere e, con alcune restrizioni, sapere (nel senso di “essere capace di”, “essere in grado di”). Dal punto di vista semantico, questi verbi qualificano una particolare modalità dell’azione, incardinata sulla possibilità (potere, sapere), sulla necessità (dovere), sulla volontà (volere). Marco può arrivare da un momento all’altro. Ha saputo risolvere tutto senza problemi. Dobbiamo attendere il nostro turno. Luigi non ha voluto mangiare nulla. Per quanto riguarda la scelta dell’ausiliare temporale nella presenza dei verbi servili dovere, potere, volere e sapere, possiamo distinguere le seguenti situazioni: 50 1. Se sono combinati con l’infinito di un verbo attivo, prendono l’ausiliare dell’infinito che reggono. Sapere, invece, prende sempre l’ausiliare avere, essendo verbo servile nel senso di “essere capace di”, “essere in grado di”: Abbiamo dovuto attendere il nostro turno. Siamo dovuti partire più presto. Come mai hai saputo venire qui? 2. Se i verbi servili sono combinati con l’infinito di un verbo riflessivo, osserviamo che: a) Se il pronome riflessivo “sale” ad attaccarsi al verbo servile, si usa l’ausiliare essere, perché tutta la costruzione diventa riflessiva e l’ausiliare temporale dei verbi riflessivi è essere: Carlo e Lucia si sono potuti sposare a maggio. b) se il pronome riflessivo si unisce all’infinito in posizione enclitica, si usa l’ausiliare avere, la costruzione conservando il carattere transitivo della forma attiva del verbo all’infinito. In più, anche i verbi servili, usati da soli, selezionano l’ausiliare avere: Carlo e Lucia hanno potuto sposarsi a maggio. 5.3.3. I verbi fraseologici Sono detti fraseologici i verbi che reggono un infinito retto da preposizione o un gerundio, evidenziando un particolare aspetto dell’azione dei verbi che seguono; per questo motivo vengono definiti anche aspettuali. Nei tempi composti, i verbi fraseologici richiedono l’ausiliare che avrebbero se fossero usati autonomamente. I verbi fraseologici costituiscono un unico predicato con il verbo che li accompagna. I costrutti più notevoli esprimono i seguenti ambiti di significato: – azione che sta per iniziare: stare per, essere sul punto di ecc. + infinito: Ho fretta: sto per partire. – azione che viene tentata: sforzarsi di, cercare di, tentare di, provare a + infinito: Cerca di venire presto. – azione che inizia: cominciare a, iniziare a, mettersi a + infinito: D’un tratto si mise a correre. – azione in svolgimento: stare + gerundio, andare + gerundio, venire + gerundio: Non disturbarmi: sto svolgendo un compito difficile. – azione che dura nel tempo: continuare a, insistere a o nel, persistere a o nel, ostinarsi a + infinito: Continua a disturbare. – azione che si avvia verso una certa conclusione: finire per + infinito: Finiremo per restare senza spiccioli. – azione che termina: smettere di, cessare di, finire di, terminare di + infinito: Ha smesso di piangere. 5.3.4. I verbi causativi Si chiamano verbi causativi o fattitivi i verbi fare e lasciare che si accompagnano a un altro verbo, posto all’infinito, per esprimere un’azione causata – fatta eseguire (fare) o lasciata eseguire (lasciare) – dal soggetto e non direttamente compiuta da esso: L’ho fatto aspettare più di un’ora. Il professore non mi ha lasciato finire la lezione. Nel costrutto verbo causativo + infinito, il verbo causativo e l’infinito formano una unità in cui l’infinito esprime il contenuto semantico principale, mentre il verbo causativo (che non ha il suo significato lessicale autonomo) serve a modificarne il significato in senso causativo e a esprimere la funzione grammaticale. 51 Nella pronuncia l’accento principale cade sulla sillaba tonica dell’infinito. In molti casi è addirittura possibile trascrivere il costrutto verbo causativo + infinito con un verbo singolo (cioè il contenuto semantico del costrutto verbo causativo + infinito può essere riprodotto con una sola radice), p. es.: far sapere – avvisare, annunciare; far vedere – mostrare, indicare; far imparare – insegnare; lasciar stare – smettere ecc. 5.4. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni L’insieme di tutte le forme che un verbo può assumere per comunicare persona, numero, modo e tempo si chiama coniugazione. Coniugare un verbo significa, a partire dalla forma dell’infinito, dargli la forma necessaria a comunicare l’informazione desiderata. La coniugazione completa di un verbo prende nome di paradigma. La coniugazione di un verbo è regolare quando in tutte le sue forme il verbo conserva lo stesso tema cambiando la desinenza. I verbi che si discostano dal modello della coniugazione alla quale appartengono cambiando il tema o la desinenza sono detti irregolari. I verbi italiani, in base alla vocale tematica presente nell’infinito, vengono divisi in tre grandi classi, dette comunemente coniugazioni: – prima coniugazione: vocale tematica -a-, e desinenza dell’infinito -are: parlare, cantare, amare, guardare ecc. – seconda coniugazione: vocale tematica -e-, e desinenza dell’infinito -ere, con la e tonica (sapére, temére) o atona (pèrdere, vìncere): vedere, sedere, potere, vivere ecc. – terza coniugazione: vocale tematica -i-, e desinenza dell’infinito -ire: dormire, colpire, finire, servire ecc. 5.4.1. La coniugazione dei verbi ausiliari I verbi ausiliari essere e avere presentano una coniugazione del tutto anomala rispetto agli altri verbi della lingua italiana. Il paradigma di essere deriva direttamente dal paradigma di essere in latino, quello di avere si potrebbe attribuire alla seconda coniugazione, se non fosse per l’uso frequentissimo che ne ha modificato molte forme. Coniugazione del verbo essere Indicativo _____________________________________________________ presente passato prossimo io sono io sono stato tu sei tu sei stato egli è egli è stato noi siamo noi siamo stati voi siete voi siete stati essi sono essi sono stati _____________________________________________________ imperfetto trapassato prossimo io ero io ero stato tu eri tu eri stato egli era egli era stato noi eravamo noi eravamo stati voi eravate voi eravate stati essi erano essi erano stati _____________________________________________________ 52 passato remoto trapassato remoto io fui io fui stato tu fosti tu fosti stato egli fu egli fu stato noi fummo noi fummo stati voi foste voi foste stati essi furono essi furono stati _____________________________________________________ futuro semplice futuro anteriore io sarò io sarò stato tu sarai tu sarai stato egli sarà egli sarà stato noi saremo noi saremo stati voi sarete voi sarete stati essi saranno essi saranno stati Congiuntivo _____________________________________________________ presente passato che io sia che io sia stato che tu sia che tu sia stato che egli sia che egli sia stato che noi siamo che noi siamo stati che voi siate che voi siate stati che essi siano che essi siano stati _____________________________________________________ imperfetto trapassato che io fossi che io fossi stato che tu fossi che tu fossi stato che egli fosse che egli fosse stato che noi fossimo che noi fossimo stati che voi foste che voi foste stati che essi fossero che essi fossero stati Condizionale _____________________________________________________ presente passato io sarei io sarei stato tu saresti tu saresti stato egli sarebbe egli sarebbe stato noi saremmo noi saremmo stati voi sareste voi sareste stati essi sarebbero essi sarebbero stati Imperativo _____________________________________________________ presente – sii tu sia egli siamo noi siate voi siano essi Infinito _____________________________________________________ presente passato 53 essere essere stato Participio _____________________________________________________ presente passato (ente) stato Gerundio _____________________________________________________ presente passato essendo essendo stato Per quanto riguarda l’ausiliare essere, si deve ritenere che: 1. Il participio presente ente si usa soltanto come sostantivo, nei significati di “essere”, “istituzione”: Secondo il pensiero religioso Dio è l’ente supremo., Ho bisogno di rivolgermi a un ente assistenziale. 2. Il participio passato stato è mutuato dal verbo stare; il vero participio passato di essere è la voce arcaica suto. 3. L’infinito sostantivato essere (maschile) è usato nei significati di “esistenza, vita”: Nel libro si discutono i problemi dell’essere., e di “persona, individuo”: Gli esseri umani sono mortali. 4. Oltre alla funzione di ausiliare, il verbo essere ha anche quella di copula per la formazione del predicato nominale: Maria è insegnante di lettere., e quella di predicato verbale, nel significato di “essere”, “trovarsi”: Domani sarò a Bucarest. Quando ha funzione predicativa e funziona come predicato verbale, il verbo essere è intransitivo e richiede sempre l’ausiliare essere. Coniugazione del verbo avere Indicativo _____________________________________________________ presente passato prossimo io ho io ho avuto tu hai tu hai avuto egli ha egli ha avuto noi abbiamo noi abbiamo avuto voi avete voi avete avuto essi hanno essi hanno avuto _____________________________________________________ imperfetto trapassato prossimo io avevo io avevo avuto tu avevi tu avevi avuto egli aveva egli aveva avuto noi avevamo noi avevamo avuto voi avevate voi avevate avuto essi avevano essi avevano avuto _____________________________________________________ passato remoto trapassato remoto io ebbi io ebbi avuto tu avesti tu avesti avuto egli ebbe egli ebbe avuto noi avemmo noi avemmo avuto voi aveste voi aveste avuto essi ebbero essi ebbero avuto _____________________________________________________ futuro semplice futuro anteriore io avrò io avrò avuto 54 tu avrai egli avrà noi avremo voi avrete essi avranno tu avrai avuto egli avrà avuto noi avremo avuto voi avrete avuto essi avranno avuto Congiuntivo _____________________________________________________ presente passato che io abbia che io abbia avuto che tu abbia che tu abbia avuto che egli abbia che egli abbia avuto che noi abbiamo che noi abbiamo avuto che voi abbiate che voi abbiate avuto che essi abbiano che essi abbiano avuto _____________________________________________________ imperfetto trapassato che io avessi che io avessi avuto che tu avessi che tu avessi avuto che egli avesse che egli avesse avuto che noi avessimo che noi avessimo avuto che voi aveste che voi aveste avuto che essi avessero che essi avessero avuto Condizionale _____________________________________________________ presente passato io avrei io avrei avuto tu avresti tu avresti avuto egli avrebbe egli avrebbe avuto noi avremmo noi avremmo avuto voi avreste voi avreste avuto essi avrebbero essi avrebbero avuto Imperativo _____________________________________________________ presente – abbi tu abbia egli abbiamo noi abbiate voi abbiano essi Infinito _____________________________________________________ presente passato avere avere avuto Participio _____________________________________________________ presente passato avente avuto Gerundio 55 _____________________________________________________ presente passato avendo avendo avuto Per quanto riguarda l’ausiliare avere, si deve ritenere che: 1. Il participio presente avente è usato solo in alcune locuzioni tipiche del linguaggio del diritto: avente causa, avente diritto. 2. L’infinito sostantivato avere (maschile) al singolare ha il significato di “credito”: il dare e l’avere = il debito e il credito; al plurale (gli averi) è usato nel significato di “ricchezze, beni posseduti”. 3. Oltre alla funzione di ausiliare, il verbo avere ha anche quella di predicato verbale, nel significato di “possedere”: Mario ha una casa molto bella. 5.4.2. La coniugazione attiva I verbi regolari delle tre coniugazioni attive formano i tempi composti con l’ausiliare avere o con essere secondo le regole indicate. Quando l’ausiliare è avere il participio passato rimane invariato, mentre quando l’ausiliare è essere concorda in genere e numero con il soggetto. I verbi scelti formano i tempi composti con l’ausiliare avere + participio passato. I verbi che vogliono l’ausiliare essere si differenziano da queste coniugazioni nei tempi composti, che si formano con il verbo essere + il participio passato del verbo. __________________________________________________________________ I coniugazione II coniugazione III coniugazione parlare temere sentire __________________________________________________________________ Indicativo __________________________________________________________________ presente io parlo temo sento tu parli temi senti egli parla teme sente noi parliamo temiamo sentiamo voi parlate temete sentite essi parlano temono sentono __________________________________________________________________ imperfetto io parlavo temevo sentivo tu parlavi temevi sentivi egli parlava temeva sentiva noi parlavamo temevamo sentivamo voi parlavate temevate sentivate essi parlavano temevano sentivano __________________________________________________________________ passato remoto io parlai temei (-etti) sentii tu parlasti temesti sentisti egli parlò temè (-ette) sentì noi parlammo tememmo sentimmo voi parlaste temeste sentiste essi parlarono temerono (-ettero) sentirono __________________________________________________________________ futuro semplice 56 io parlerò temerò sentirò tu parlerai temerai sentirai egli parlerà temerà sentirà noi parleremo temeremo sentiremo voi parlerete temerete sentirete essi parleranno temeranno sentiranno __________________________________________________________________ passato prossimo io ho parlato ho temuto ho sentito tu hai parlato hai temuto hai sentito egli ha parlato ha temuto ha sentito noi abbiamo parlato abbiamo temuto abbiamo sentito voi avete parlato avete temuto avete sentito essi hanno parlato hanno temuto hanno sentito __________________________________________________________________ trapassato prossimo io avevo parlato avevo temuto avevo sentito tu avevi parlato avevi temuto avevi sentito egli aveva parlato aveva temuto aveva sentito noi avevamo parlato avevamo temuto avevamo sentito voi avevate parlato avevate temuto avevate sentito essi avevano parlato avevano temuto avevano sentito __________________________________________________________________ trapassato remoto io ebbi parlato ebbi temuto ebbi sentito tu avesti parlato avesti temuto avesti sentito egli ebbe parlato ebbe temuto ebbe sentito noi avemmo parlato avemmo temuto avemmo sentito voi aveste parlato aveste temuto aveste sentito essi ebbero parlato ebbero temuto ebbero sentito __________________________________________________________________ futuro anteriore io avrò parlato avrò temuto avrò sentito tu avrai parlato avrai temuto avrai sentito egli avrà parlato avrà temuto avrà sentito noi avremo parlato avremo temuto avremo sentito voi avrete parlato avrete temuto avrete sentito essi avranno parlato avranno temuto avranno sentito Congiuntivo __________________________________________________________________ presente che io parli tema senta che tu parli tema senta che egli parli tema senta che noi parliamo temiamo sentiamo che voi parliate temiate sentiate che essi parlino temano sentano __________________________________________________________________ imperfetto che io parlassi temessi sentissi che tu parlassi temessi sentissi che egli parlasse temesse sentisse che noi parlassimo temessimo sentissimo che voi parlaste temeste sentiste che essi parlassero temessero sentissero __________________________________________________________________ 57 passato che io abbia parlato abbia temuto abbia sentito che tu abbia parlato abbia temuto abbia sentito che egli abbia parlato abbia temuto abbia sentito che noi abbiamo parlato abbiamo temuto abbiamo sentito che voi abbiate parlato abbiate temuto abbiate sentito che essi abbiano parlato abbiano temuto abbiano sentito __________________________________________________________________ trapassato che io avessi parlato avessi temuto avessi sentito che tu avessi parlato avessi temuto avessi sentito che egli avesse parlato avesse temuto avesse sentito che noi avessimo parlato avessimo temuto avessimo sentito che voi aveste parlato aveste temuto aveste sentito che essi avessero parlato avessero temuto avessero sentito Condizionale __________________________________________________________________ presente io parlerei temerei sentirei tu parleresti temeresti sentiresti egli parlerebbe temerebbe sentirebbe noi parleremmo temeremmo sentiremmo voi parlereste temereste sentireste essi parlerebbero temerebbero sentirebbero __________________________________________________________________ passato io avrei parlato avrei temuto avrei sentito tu avresti parlato avresti temuto avresti sentito egli avrebbe parlato avrebbe temuto avrebbe sentito noi avremmo parlato avremmo temuto avremmo sentito voi avreste parlato avreste temuto avreste sentito essi avrebbero parlato avrebbero temuto avrebbero sentito Imperativo __________________________________________________________________ presente – – – parla tu temi tu senti tu parli egli tema egli senta egli parliamo noi temiamo noi sentiamo noi parlate voi temete voi sentite voi parlino essi temano essi sentano essi Infinito __________________________________________________________________ presente parlare temere sentire __________________________________________________________________ passato avere parlato avere temuto avere sentito Participio __________________________________________________________________ presente parlante temente sentente (senziente) __________________________________________________________________ 58 passato parlato temuto sentito Gerundio __________________________________________________________________ presente parlando temendo sentendo __________________________________________________________________ passato avendo parlato avendo temuto avendo dormito La prima coniugazione è la più ricca di verbi delle tre dell’italiano ed è quella che presenta meno verbi irregolari. 1. I verbi che terminano in -care, -gare conservano il suono velare (duro) della c e della g in tutta la coniugazione; perciò inseriscono una h davanti alle desinenze che cominciano per e o per i: cercare - io cerc-o, tu cerc-h-i, io cerc-h-erò… navigare - io navig-o, tu navig-h-i, io navig-h-erò… 2. I verbi in -iare conservano la i della radice anche davanti a desinenza che comincia per i quando la i della radice è accentata; la perdono invece quando non è accentata: inviare - io invì-o, tu invì-i, noi inv-iàmo… studiare - io stùdi-o, tu stùd-i, noi stud-iàmo… 3. I verbi che presentano nella radice il dittongo mobile uò lo conservano quando è il sillaba tonica: io suòno, tu suòni, egli suòna, essi suònano possono semplificarlo in o quando l’accento si sposta sulla desinenza: noi soniàmo o suoniàmo, voi sonàte o suonàte La seconda coniugazione contiene pochi verbi, ma tra essi ci sono quelli più usati della lingua italiana. La maggior parte di essi è irregolare ed è costituita sia da verbi con desinenza accentata (sapére, temére) sia da verbi con la desinenza non accentata (pèrdere, vìncere). 1. Molti verbi della seconda coniugazione, nella prima e terza persona singolare e nella terza plurale del passato remoto, presentano la doppia forma: -ei/-etti, -è/-ette, erono/-ettero. I dizionari indicano sempre quali verbi ammettono le due forme. Si preferisce non usare la seconda forma quando la radice del verbo finisce in t: potei e non potetti, insistei e non insistetti. 2. I verbi in -cere, -gere e -scere conservano il suono dolce (palatale) della c e della g davanti alle desinenze ce iniziano per e o per i; modificano il suono della c e della g in duro (velare) davanti a quelle che iniziano per a o per o: vincere - io vinc-o, tu vinc-i, egli vinc-e… pungere - io pung-o, tu pung-i, egli pung-e… crescere - io cresc-o, tu cresc-i, egli cresc-e… Ma alcuni verbi (per esempio cuocere) conservano sempre il suono palatale inserendo una i grafica fra la radice e le desinenze che iniziano per a o per o: io cuoc-i-o, che io cuoc-i-a… I verbi in -cére (con l’accento sulla vocale tematica) mantengono sempre la c dolce, per cui inseriscono la i grafica e raddoppiano la c davanti alle desinenze che iniziano per a o per o: tacere - io taccio, tu taci, egli tace, che io taccia… Molti verbi della terza coniugazione, chiamati incoativi per analogia con la terminazione in -sco dei verbi incoativi latini, inseriscono l’infisso -isc- tra la radice e la desinenza delle tre persone singolari e della terza persona plurale del presente indicativo e 59 congiuntivo, e nella seconda, terza singolare e terza plurale dell’imperativo (tutte le altre forme sono identiche a quelle di dormire). Seguono questo tipo di coniugazione con -isc- i verbi: abbellire, abolire, aderire, agire, alleggerire, capire, chiarire, colorire, colpire, concepire, conferire, contribuire, costituire, costruire, dimagrire, diminuire, ferire, fiorire, fornire, garantire, gradire, guarire, impazzire, ingrandire, innervosire, inserire, intimorire, irrigidire, istituire, istruire, percepire, preferire, proibire, reagire, restituire, riunire, scolorire, scolpire, seppellire, smarrire, smentire, sostituire, sparire, spedire, stabilire, stupire, subire, suggerire, tradire, trasalire, trasferire, ubbidire, unire, usufruire, zittire etc. 5.4.3. La coniugazione passiva Nella coniugazione passiva, le voci verbali sono costituite dalle forme dell’ausiliare essere seguite dal participio passato del verbo da coniugare. L’ausiliare essere va coniugato al modo, tempo e persona che si vuole ottenere; il participio passato si accorda sempre in genere e numero con il soggetto. 5.4.4. La coniugazione riflessiva La caratteristica della coniugazione riflessiva è costituita dal fatto che le voci verbali sono accompagnate dalle particelle pronominali mi, ti, si, ci, vi, si. Nell’indicativo, nel congiuntivo e nel condizionale, tali particelle precedono il verbo. Nei modi indefiniti e nell’imperativo, esclusa la terza persona, singolare e plurale, le particelle sono poste dopo il verbo e si fondono con esso o, nei tempi composti, con l’ausiliare, che è sempre essere. Nella forma negativa della seconda persona singolare e plurale dell’imperativo, le particelle pronominali possono stare indifferentemente prima o dopo il verbo: non ti lavare / non lavarti non vi lavate / non lavatevi Il participio passato dei verbi riflessivi concorda sempre in genere e numero con il soggetto. 5.4.5. I verbi irregolari Sono detti irregolari quei verbi che non seguono, nella flessione, lo schema tipico della coniugazione a cui appartengono. L’irregolarità può consistere: – in mutamenti consonantici di vario tipo a livello di radice: togli-ere - tolg-o vol-ere - vogli-o – nel cambiamento delle normali desinenze: cad-ere - cad-di, invece di cad-ei o cad-etti ven-ire - ven-ni, invece di ven-ii – nel cambiamento sia della radice sia delle desinenze: viv-ere - vis-sero, invece di viv-erono – nel mutamento della vocale tematica: stare - stessi, invece di stassi – nella perdita di una vocale fra consonanti: andare - andrò, invece di anderò cui in altri casi segue una fusione (assimilazione) di consonanti l, n + r con esito rr: volere - vorrei non volrei o volerei venire - verrei non venrei o venirei 60 – nell’alternanza di due o più radici (suppletivismo); per esempio, nel verbo andare la radice and- si alterna in parte della coniugazione con la radice vad-, di etimono diverso: vado, vai, va; andiamo, andate, vanno ecc. Le divergenze dei verbi irregolari rispetto al modello delle varie coniugazioni non sono mai un fatto inspiegabile e, tanto meno, casuale. Taluni dei verbi cosiddetti irregolari continuano in italiano anomalie già proprie dei verbi latini da cui derivano; altri, invece, costituiscono il risultato di trasformazioni dovute alle pressioni cui sono stati sottoposti dall’uso continuo e che li hanno resi più agili o più chiari o, semplicemente, più facili da pronunciare. I verbi irregolari della prima coniugazione sono soltanto quattro: andare, dare, fare e stare. I verbi irregolari più numerosi appartengono alla seconda coniugazione. Si è soliti dividerli in due gruppi: – alcuni, con e tonica, come valére, oppure atona, come cògliere, presentano irregolarità in più tempi; – altri, con e atona, come accèndere, presentano irregolarità solo nell’indicativo passato remoto (e precisamente alla prima e terza persona singolare e alla terza plurale) e nel participio passato. Non molti sono i verbi irregolari della terza coniugazione. I modi e i tempi che presentano le maggiori irregolarità sono: il presente indicativo e congiuntivo; il passato remoto; il futuro e il condizionale; il participio passato. 5.5. Uso dei modi e dei tempi 5.5.1. Il modo indicativo e i suoi tempi L’indicativo è il modo verbale della realtà, della certezza e della obiettività. Si usa pertanto sia nelle proposizioni indipendenti sia in quelle dipendenti, per indicare ciò che è vero e sicuro o, comunque, ritenuto e presentato come tale. Il presente esprime un fatto, una situazione o un modo di essere che si verificano o sussistono nel presente, cioè contemporaneamente al momento in cui si parla: Voglio un bicchiere d’acqua. Il cielo è nuvoloso. È usato inoltre per esprimere valori che prescindono dal concetto di contemporaneità. Il passato prossimo indica un’azione compiuta nel passato, il cui processo è considerato obiettivamente o psicologicamente attuale, o per la brevità reale o immaginata del tempo trascorso, o per gli effetti e i risultati di varia natura che perdurano nel presente. È usato per indicare: – un evento avvenuto in un passato recente rispetto al momento in cui viene enunciato e a cui viene riferito (nella stessa giornata o in quelle immediatamente precedenti): Paolo è appena uscito. – un evento che, anche avvenuto in un passato lontano, ha legami con il presente: Nel 1970 mi sono laureato in lettere. – come tempo di relazione, in rapporto con un tempo passato o con il tempo presente: Appena mi ha visto, è scappato via., Appena ho finito, ti telefono. L’imperfetto indica un’azione avvenuta nel passato in un arco di tempo di cui non è precisato né il momento di inizio, né quello conclusivo. 61 L’imperfetto è usato per indicare: – un’azione passata di cui si evidenzia la durata: Le ragazze camminavano lungo la riva. o la ripetitività (imperfetto iterativo): L’anno scorso pioveva spesso. – un’azione già cominciata nel momento in cui si realizza l’azione principale (indicata con un verbo al passato prossimo o al passato remoto): Aspettavo già da due ore, quando è arrivata Luisa. Camminavo per la strada, quando scoppiò il temporale. – due o più azioni contemporanee in svolgimento: Mentre mangiavo, guardavo la TV. – una descrizione nel passato (imperfetto descrittivo). Il trapassato prossimo indica un’azione conclusa nel passato, anteriormente a un’altra azione passata e ad essa collegata. Il verbo reggente può essere: – all’imperfetto: Aspettavo Maria, che mi aveva promesso di venire. – al passato prossimo: Ti ho portato il libro che mi avevi chiesto. – al passato remoto: Ero appena tornato, quando mi chiamarono dal lavoro. Il trapassato prossimo si usa pure in proposizioni principali: Mi ero illuso che mio figlio fosse un ragazzo diligente. Il passato remoto (o passato storico) è il tempo proprio della narrazione e indica: – un evento avvenuto nel passato, senza nessun legame col presente: La sua affermazione mi lasciò imbarazzato. – un evento realizzato in un contesto storico definitivamente compiuto: Nerone ebbe per maestro Seneca. – Si usa spesso al posto del trapassato remoto, per indicare un evento anteriore a un altro evento: Appena finirono la festa, mi telefonarono. Il trapassato remoto indica un fatto anteriore al passato remoto. Oggi si trova solo nelle proposizioni temporali introdotte da quando, non appena, appena (che): Quando ebbe finito di parlare, si alzò e andò via. Appena ebbi pronunciato quelle parole, mi pentii. Osservazione: Oggi il trapassato remoto viene sostituito spesso dal passato remoto o, se il soggetto della secondaria è lo stesso della principale, dal participio passato: Appena finirono la festa, mi telefonarono. Appena finita la festa, mi telefonarono. Il futuro semplice indica un fatto che deve ancora verificarsi o giungere a compimento: Domani si festeggerà il compleanno di Clara. Il futuro semplice può anche esprimere: – un dubbio, una supposizione: Sarà come dici tu, ma non ne sono convinto. – un’approssimazione: – Che ore sono? / – Saranno le tre (= Sono circa le tre). – un comando (imperativo futuro): Farai esattamente ciò che ti ho detto. Capito? Il futuro anteriore si usa nelle subordinate temporali e indica un’azione anteriore ad un’altra, anch’essa futura: 62 Quando avrai fatto i compiti potrai uscire. Osservazioni: – Il futuro anteriore può indicare anche un’azione passata su cui abbiamo dubbi: Sarà stato giusto quello che ho fatto? (= Era giusto…) – Si usa raramente in senso assoluto: Ma quando avrete finito di parlare di queste sciocchezze! – Nella lingua parlata è talvolta sostituito dal passato prossimo: Quando ho finito (= avrò finito) gli studi, andrò a lavorare a Milano. – Nella lingua parlata si manifesta anche la tendenza a sostituire il futuro anteriore col futuro semplice: Ci assicura che appena finirà (= avrà finito), verrà. 5.5.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi Il congiuntivo è il modo della possibilità, del dubbio e dell’incertezza. Indica che l’evento espresso dal verbo è presentato come possibile, verosimile, incerto, ipotizzabile, dubbio, desiderabile, sperato o temuto. Il congiuntivo presente è usato: – nelle proposizioni indipendenti, per esprimere un dubbio, un timore, una volontà, un augurio o un’ipotesi, per lo più in forma interrogativa: Che sia arrabbiato con noi? Il Signore sia con voi. – nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di contemporaneità rispetto a un presente o a un futuro contenuti nella reggente: Desidero che Maria resti qui. Tutti penseranno che tu sia matto. Il congiuntivo passato è usato: – nelle proposizioni indipendenti, per esprimere dubbio o possibilità nel passato, per lo più in forma interrogativa: Che il treno sia già partito? – nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto a un presente o a un futuro della reggente: È probabile che Luigi sia partito. Luisa penserà che tu non le abbia telefonato. Il congiuntivo imperfetto è usato: – nelle proposizioni indipendenti, per esprimere un timore, un augurio ecc. che si ritengono o si temono al presente non realizzabili: Magari potessi venire con te! Ah, se telefonasse! – nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di contemporaneità rispetto a un indicativo passato o a un condizionale della reggente: Temevo che partisse senza soldi. Vorrei che non arrivassi così tardi. o un rapporto di anteriorità rispetto a un indicativo presente della reggente: Credo che allora vivesse da sola. Il congiuntivo imperfetto si usa, inoltre, nella protasi del periodo ipotetico della possibilità: Se fossi ricco, regalerei molti soldi ai poveri. e dell’irrealtà, in riferimento al presente: Se fossi invisibile, saprei cosa si dice di me. Il congiuntivo trapassato è usato: 63 – nelle proposizioni indipendenti, per esprimere desiderio o possibilità riferiti al passato e non realizzati: Se avessi studiato di più! – nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto a un indicativo passato o a un condizionale passato della reggente: Non sapevo se tu fossi arrivato. Non avrei mai immaginato che fosse stato Mario. Si usa, inoltre, nella protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà, in riferimento al passato: Se fosse stato onesto, non avrebbe rubato. 5.5.3. Il modo condizionale e i suoi tempi Il condizionale è il modo della possibilità condizionata: presenta l’evento espresso dal verbo come possibile o realizzabile solo a certe condizioni: Verrei volentieri, ma non posso. Se ti impegnassi di più, saresti migliore. Il condizionale presente esprime un evento che potrebbe verificarsi nel presente o nel futuro a condizione che accada o che sia accaduto un altro evento: Se avessi bisogno di aiuto, ti chiamerei. Se avessi preso l’aereo, sarei già a casa. Il condizionale presente si usa soprattutto nell’apodosi del periodo ipotetico della possibilità: Se la gente seguisse questi consigli, lei perderebbe i clienti. e dell’irrealtà, in riferimento al presente: Se fossi un gabbiano, volerei sopra il mare. Si usa pure per esprimere: – un desiderio, una intenzione: Vorrei sciare! Verrei volentieri, ma non posso. – una richiesta cortese: Mi passeresti quel libro? – un rifiuto gentile: Un caffè? No, prenderei piuttosto un bicchier d’acqua. – una supposizione: Il vero responsabile sarebbe un noto uomo d’affari. – un’opinione personale, presentata in forma attenuata: Secondo me, bisognerebbe telefonargli subito. – un dubbio, in forma diretta o indiretta: Dovrei forse uscire? Non so proprio che cosa dovrei fare. Il condizionale passato esprime un evento che si sarebbe potuto verificare nel passato, se si fosse verificata una certa condizione. Il condizionale passato si usa soprattutto nell’apodosi del periodo ipotetico dell’irrealtà, in riferimento al passato: Se fosse tornato in tempo, gli avrei parlato. In dipendenza di un tempo passato, specialmente nelle proposizioni soggettive, oggettive e interrogative indirette, il condizionale passato si usa per indicare un fatto che si sarebbe potuto realizzare in un momento successivo (futuro nel passato): Si credeva che Mario non sarebbe mai arrivato. Il condizionale passato si usa pure per esprimere: – progetti e desideri che non si sono potuti realizzare nel passato: Mi sarebbe piaciuto restare ancora qualche giorno a Parigi. – un’opinione personale, in forma attenuata: 64 Non avresti dovuto fare così. – una supposizione: A quanto si dice, qualcuno l’avrebbe avvertito. – una possibilità: Dicevano che saresti arrivato. – un dubbio, in forma diretta o indiretta: A chi avrei dovuto rivolgermi? Non so proprio a chi avrei dovuto rivolgermi. 5.5.4. Il modo imperativo L’imperativo esprime un ordine, un comando, una esortazione, un consiglio, un invito, una preghiera o un divieto. L’imperativo ha un solo tempo, il presente, e può essere usato nelle seguenti proposizioni indipendenti: − imperativa: Uscite da questa casa. − esortativa: Prova a leggere più lentamente. − incidentale: Ciò che Le ho detto, mi creda, è la pura verità. Poiché è il modo verbale tipico del discorso diretto (e perciò di proposizioni indipendenti), l’imperativo non può trovarsi in proposizioni subordinate. L’imperativo ha forme proprie solo per le seconde persone. Per le altre tre (per la terza singolare e per la prima e la terza plurali) si usano le corrispondenti forme del congiuntivo presente (congiuntivo esortativo). Il comando nella forma negativa si esprime: – con non seguito dall’infinito per la seconda persona singolare: Non cantare! – con non seguito dalle forme dell’imperativo positivo per tutte le altre persone: Non canti!(egli) Non cantate! (voi) Non cantiamo! (noi) Non cantino! (essi) Per la seconda persona singolare, i verbi essere, avere, sapere e volere hanno una loro forma di imperativo: sii, abbi, sappi, vogli. Le altre persone sono mutuate dal congiuntivo presente: – essere: sii, sia, siamo, siate, siano; – avere: abbi, abbia, abbiamo, abbiate, abbiano; – sapere: sappi, sappia, sappiamo, sappiate, sappiano; – volere: vogli, voglia, vogliamo, vogliate, vogliano. 5.5.5. L’infinito e i suoi tempi L’infinito è il modo che esprime l’evento in maniera generica e indeterminata: esprime, cioè, il semplice significato del verbo. Esso ha due tempi: uno semplice, il presente, e uno composto, il passato. Come tutti i modi indefiniti, l’infinito è, nello stesso tempo, una forma verbale e una forma nominale e, quindi, può essere usato in funzione di verbo e di sostantivo. In funzione di verbo, l’infinito si usa: • In dipendenza da verbi servili, fraseologici e causativi: Vorrei partire prima di sera. Ha smesso di piovere. L’ho fatto aspettare più di un’ora. 65 • Nelle proposizioni indipendenti, per esprimere, grazie al carattere di indeterminatezza che gli è proprio, con particolari effetti emotivi, valori riguardanti la sfera emotivo-affettiva: dubbio, sorpresa, desiderio, contrarietà e simili. • Nelle proposizioni subordinate implicite, nelle quali, di solito, assume come soggetto il soggetto del verbo della proposizione reggente. L’infinito presente esprime un rapporto di contemporaneità o di posteriorità rispetto al tempo della reggente e l’infinito passato esprime un rapporto di anteriorità rispetto al tempo della reggente, qualunque esso sia. In funzione di sostantivo, l’infinito (specialmente l’infinito presente, più di rado quello passato) può svolgere tutte le funzioni sintattiche proprie di un nome; può dunque essere usato come soggetto, oggetto o complemento indiretto: Suonare è il mio passatempo preferito. Non amo studiare di sera. È arrivato anche il momento di partire. 5.5.6. Il participio e i suoi tempi Il participio è un modo che, esprimendo il significato del verbo come se fosse una qualità di un nome, “partecipa” sia delle caratteristiche del verbo sia di quelle dell’aggettivo. Il participio ha due tempi, entrambi semplici, il presente e il passato. Il participio presente può avere solo forma attiva o riflessiva e varia solo quanto al numero; si comporta come gli aggettivi in -e: divertente - divertenti. Può essere usato in funzione verbale e aggettivale. Quando ha valore verbale, corrisponde per significato a una proposizione relativa che esprime un’azione contemporanea a quella indicata dalla reggente e concorda nel genere e nel numero con una parte della proposizione reggente: È l’unica farmacia esistente (= che esiste) in tutta la zona. Osservavo le nubi avanzanti (= che avanzavano) rapidamente nel cielo. Quando ha valore aggettivale, il participio presente può svolgere (come un qualsiasi aggettivo) funzione di attributo, di parte nominale di un predicato, di complemento predicativo. In molti casi ha anche i gradi propri dell’aggettivo. Il participio passato si comporta come gli aggettivi in -o: lodato, lodata, lodati, lodate. Esso ha valore passivo con i verbi transitivi: chiamato (= che è stato chiamato) e valore attivo con i verbi intransitivi: arrivato (= che è arrivato). Il participio passato, come il participio presente, accomuna in sé la funzione verbale con quella di aggettivo. Come aggettivo, il participio passato svolge le funzioni sintattiche di attributo, elemento del predicato nominale o complemento predicativo, e concorda in genere e in numero con il sostantivo cui si riferisce: I carabinieri hanno catturato il bandito evaso. La casa sembrava abbandonata. Il dolce è cotto da un pezzo. Come verbo, unito agli ausiliari essere e avere, il participio passato serve a formare i tempi composti dei verbi transitivi, intransitivi, riflessivi e pronominali e, unito all’ausiliare essere (e, più raramente, venire o andare), serve a costruire tutti i tempi della forma passiva: Mario è andato al cinema. Entrambi hanno ascoltato i commenti. La terra viene (è) arata dal contadino. 66 Durante il trasloco molte cose andarono smarrite. Sempre come verbo, può fungere da predicato di varie proposizioni subordinate implicite che esprimono un’azione o un fatto anteriori a quelli espressi dalla reggente. Di norma condivide il soggetto della proposizione reggente e concorda con questo in genere e in numero: Preso alla sprovvisto, non seppe rispondere. Quando ha un proprio soggetto espresso, con il quale concorda, il participio prende il nome di participio passato assoluto. Di preferenza, il soggetto segue il participio: Terminata (= dopo che fu terminata) la cerimonia, ci fu un rinfresco. 5.5.7. Il gerundio e i suoi tempi Il gerundio è il modo che indica un’azione che si compie in stretta relazione con un’altra azione espressa da un verbo di modo finito. Il gerundio ha due tempi: presente (o gerundio semplice) e passato (o gerundio composto). Il gerundio presente può esprimere tutti e tre i possibili rapporti temporali con la proposizione reggente. Può essere: − contemporaneo: Scendendo (= mentre scendeva) dall’autobus, Luca è scivolato. − anteriore: Arrivando (= dopo che arrivai) alla stazione, andai nella sala d’aspetto. − posteriore: Feci un giro lunghissimo, tornando (= e tornai) a casa a note inoltrata. Oltre che nelle proposizioni dipendenti, il gerundio presente si usa in alcune costruzioni perifrastiche molto frequenti nella lingua parlata e scritta che, dal punto di vista sintattico, costituiscono un unico predicato: a) La perifrasi «stare + gerundio», che serve a sottolineare che l’azione indicata dal verbo al gerundio è in corso di svolgimento e a richiamare la nostra attenzione sul fatto che essa è avviata e non si concluderà prima che intervenga qualcosa d’altro: La neve si sta sciogliendo. Stavo studiando, quando squillò il telefono. b) La perifrasi «andare + gerundio», che esprime azione continuo-progressiva o iterativa in un modo, per così dire, neutro, senza dare l’idea del termine: Gli spiegavo quello che Mario andava man mano esponendo. Luigi va dicendo che sei stata licenziata. o di orientamento verso una meta o verso una persona: La barca si andava approssimando alla riva. L’atleta andava raccogliendo le proprie forze per la gara. c) La perifrasi «venire + gerundio», che presenta l’azione dal punto di vista del suo avvicinamento graduale a compimento: Il suo carattere si è venuto delineando nel corso dell’impresa. o dell’orientamento verso una meta o una persona: La barca si veniva approssimando alla riva. L’atleta veniva raccogliendo le proprie forze per la gara. Il gerundio passato, peraltro oggi raro e limitato alla lingua scritta, esprime solo delle azioni anteriori a quella indicata nella reggente: Essendo giunto in ritardo, mi scusai. Avendo parcheggiato in divieto di sosta, dovrà pagare una multa. 67 Il gerundio si usa quasi esclusivamente in proposizioni subordinate implicite e di norma condivide il soggetto della proposizione reggente: Pur partendo all’alba, abbiamo trovato molto traffico. Nella metropolitana si entra solo obliterando il biglietto all’ingresso. Diversità di soggetti si ha nel gerundio assoluto, cioè quando il gerundio ha un proprio soggetto espresso. Questo soggetto si colloca dopo il gerundio: Avendo Mario un po’ di febbre, la madre gli proibì di uscire. Se il gerundio è composto, il soggetto si pone subito dopo l’ausiliare: Essendo il nonno ammalato, Franco rinunciò a partire per il mare. BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 107-184. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 305-381. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 379486. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Come si costruisce la forma passiva del verbo? 2. Cos’è il passivo con il si passivante? 3. Descrivere l’uso dei verbi ausiliari. 4. Descrivere l’uso dei verbi servili. 5. Descrivere l’uso dei verbi causativi. 6. Specificare quali sono i tempi dell’indicativo e come si usano. 7. Specificare quali sono i tempi del congiuntivo e come si usano. 8. Specificare quali sono i tempi del condizionale e come si usano. 9. Definire cos’è l’imperativo e come si usa. 10. Spiegare cosa sono i modi indefiniti, indicare quali sono e come si usano. 68 UD 6. L’avverbio In questa unità didattica si descrive la morfologia dell’avverbio, la parte invariabile del discorso che si aggiunge a un verbo, a un aggettivo, a un nome o a un altro avverbio per modificarne, qualificandolo o determinandolo, il significato: Il treno partirà sicuramente in orario. Può inoltre modificare anche un’intera frase: Forse non verrò alla festa. 6.1. Classificazione degli avverbi 6.2. Gli avverbi di modo 6.3. Gli avverbi di luogo 6.4. Gli avverbi di tempo 6.5. Gli avverbi di giudizio 6.6. Gli avverbi di quantità 6.7. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi 6.8. Gli avverbi presentativi 6.9. I gradi dell’avverbio Obiectivele unităŃii didactice: – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la sintaxa adverbului în limba italiană; – Cunoaşterea tipurilor de adverbe din limba italiană; – Cunoaşterea formelor şi a regulilor de folosire a diverselor tipuri de adverbe din limba italiană; – Cunoaşterea gradelor de comparaŃie ale adverbului în limba italiană. Timp alocat: 4 ore. 69 6.1. Classificazione degli avverbi a) Rispetto alla loro forma, gli avverbi possono essere: semplici (o primitivi), composti, derivati e locuzioni avverbiali. Gli avverbi semplici sono quelli che hanno una forma propria, non derivata da altre parole: bene, male, così, qui, qua, mai, no, non, forse ecc. Gli avverbi composti sono formati dalla fusione di due o più parole diverse: ormai, almeno, infatti, dappertutto, lassù ecc. Gli avverbi derivati sono quelli che hanno origine da un’altra parola, attraverso l’aggiunta di un particolare suffisso o attraverso una semplice modificazione funzionale, senza che muti la forma della parola stessa, come tutti gli aggettivi usati con funzione avverbiale: parlare forte. La maggior parte degli avverbi derivati si ottiene aggiungendo il suffisso -mente al femminile degli aggettivi in -o: sincero - sinceramente, o all’unica forma singolare degli aggettivi in -e: felice - felicemente. Se l’ultima sillaba di questi aggettivi è -le, -re o -lo, -ro, la -e o la -o finale cadono: orale - oralmente, celere - celermente, leggero - leggermente. Alcuni avverbi derivati, indicanti per lo più una particolare posizione del corpo, si ottengono aggiungendo il suffisso -oni alla radice di un nome o di un verbo: bocca bocconi, tentare - tentoni. Le locuzioni avverbiali sono sequenze fisse di elementi che per il loro significato e per la loro funzione equivalgono ad avverbi. Come gli avverbi, possono essere: – locuzioni avverbiali di modo: a piedi, in un batter d’occhio, poco fa ecc. – locuzioni avverbiali di luogo: di qui, di là, per di qua, per di là, in giù ecc. – locuzioni avverbiali di tempo: una volta, un giorno, d’un tratto, sul tardi ecc. – locuzioni avverbiali di quantità: press’a poco, all’incirca, più o meno ecc. – locuzioni avverbiali di giudizio: di certo, senza dubbio, di sicuro ecc. – locuzioni avverbiali interrogative: come mai?, quando mai? ecc. b) Secondo il loro significato, cioè in base al tipo di modificazione o di determinazione che esprimono, gli avverbi si distinguono in: – avverbi di modo o qualificativi: bene, volentieri; – avverbi determinativi: di luogo (qui, qua); di tempo (ora, ieri); di quantità (poco, molto); di valutazione o giudizio (davvero, forse); interrogativi (quando?, perché?); esclamativi (dove!, quanto!); presentativi (ecco). 6.2. Gli avverbi di modo Gli avverbi di modo indicano il modo in cui si svolge un evento oppure aggiungono una precisazione qualificativa a un aggettivo o a un altro avverbio: Al suo arrivo fu accolto calorosamente. Il panorama è veramente ineguagliabile. Appartengono a questo tipo: – gli avverbi in -mente: calorosamente, gentilmente, velocemente ecc.: Ci salutò calorosamente. – gli avverbi in -oni: ginocchioni, cavalcioni, bocconi ecc.: Era disteso bocconi sul pavimento. – gli avverbi costituiti dalla forma maschile singolare di taluni aggettivi qualificativi usati, appunto, in funzione avverbiale: chiaro, giusto, piano, forte, alto ecc.: Parla forte, non ti sento! – alcuni altri avverbi quali: bene, male, così, insieme, cioè, come, invano ecc.: 70 Ha parlato bene di te. 6.3. Gli avverbi di luogo Gli avverbi di luogo esprimono una determinazione di luogo. I più comuni avverbi di luogo sono: a) qui, qua, quaggiù, quassù, che indicano un luogo vicino a chi parla; b) là, colà, laggiù, lassù, lì, ivi, quivi, che indicano un luogo lontano da chi parla e da chi ascolta; c) costì, costà, che indicano un luogo vicino a chi ascolta (rari nell’uso parlato al di fuori della Toscana); d) vicino, presso, lontano, dappertutto, fuori, dentro, dietro, indietro, davanti, dinanzi, avanti, intorno, sotto, sopra, su, giù ecc.: e) dovunque, ovunque, dove, ove, donde, onde, che si usano esclusivamente per mettere in relazione due proposizioni e sono detti perciò avverbi di luogo relativi: Non so dove può essersi nascosto. f) Le particelle avverbiali: - ci, vi (“qui, in questo luogo, in quel luogo”): Adoro Roma perché ci sono nato. - ne (“da qui, da qua, da lì, da là”): Amo la mia città e me ne allontano raramente. 6.4. Gli avverbi di tempo Gli avverbi di tempo esprimono una determinazione di tempo. I più comuni avverbi di tempo sono: ora, allora, adesso, ormai, subito, prima, poi, dopo, poscia, sempre, spesso, sovente, talora, talvolta, ancora, tuttora, finora, già, mai, presto, tardi, ieri, oggi, domani, dopodomani ecc.: Parleremo dopo di questa faccenda. Quando lo chiamai, stava ancora dormendo. Viene a trovarmi spesso. Mai L’avverbio mai generalmente ha significato negativo (“nessuna volta, in nessun caso”) e serve a rafforzare la negazione: Non l’ho mai visto. Quando è collocato prima del verbo dà valore emfatico e rifiuta la negazione: Mai come ora sono stato così contento! Da solo vale come negazione assoluta: – Quando verrai a trovarmi? / – Mai. Nelle proposizioni interrogative e condizionali, ha il significato di “qualche volta”, “per caso”: Hai mai visto questo film? Se mai cambiassi idea, dillo. Già L’avverbio già ha di solito la funzione di sottolineare il compimento di un’azione: Il nonno è già arrivato. Spesso significa “ormai”: La canzone è già finita. oppure “sì”, quando si vuole dare una risposta in tono brusco: – Sei stato in biblioteca oggi? / – Già. 71 6.5. Gli avverbi di giudizio Gli avverbi di giudizio esprimono un giudizio in forma affermativa, negativa o dubitativa. Si distinguono in: - avverbi di affermazione: sì, certo, certamente, esattamente, sicuro, sicuramente, appunto, giusto, proprio, indubbiamente ecc.: Sì, Luisa è stata la prima a pettinarsi così. - avverbi di negazione: no, non, neanche, nemmeno, neppure, mica ecc.: Non ti posso comprare quell’abito, costa troppo. - avverbi di dubbio: probabilmente, forse, magari (“forse”) ecc.: Credi forse che non ti aiuteremo?; Magari non si farà neanche vedere, ma bisogna aspettarlo. Sì. L’avverbio sì può essere usato da solo, o accompagnato da altri avverbi; serve come risposta a una domanda: - Vieni a pescare con noi? / - Sì (= vengo a pescare con voi). Può inoltre modificare un verbo, un aggettivo e simili: Giovanni è sì studioso, ma molto furbo. L’affermazione sì può essere rafforzata: con il raddoppiamento: sì, sì, ho capito; con l’aiuto di altri avverbi affermativi: sì certo; con formule come sissignore, signorsì. Non. In italiano, non è l’avverbio negativo per eccellenza. Quando precede il verbo connota la frase negativa: Non ho potuto seguire l’ultima fase della gara. Non può negare anche un solo elemento della frase, generalmente un pronome, un aggettivo o un avverbio: Non molti ti hanno creduto. Mi sembra un film non interessante. Nelle contrapposizioni, quando non si ripete il verbo nel secondo termine, non viene sostituito da no: Io ho letto il libro, Maria no (= non l’ha letto). Spesso non viene rafforzato da un elemento posposto al verbo, e cioè: - l’avverbio affatto (“per niente”, “in nessun modo”): Non ho affatto freddo. - l’avverbio mica (“per nulla, minimanente, affatto”): Non è mica vero quello che dici. - gli avverbi neanche, nemmeno, neppure: Non si è visto neanche oggi. Non mi piace nemmeno quando è gentile con me. Non l’ho neppure invitato. - i pronomi niente, nulla e il pronome o l’aggettivo nessuno: Non ho visto niente. Non è stato fatto nulla per lui. Non è venuto nessuno. Non ho nessun desiderio di vederti. - l’avverbio mai: Luigi non è mai stanco. Quando sono collocati davanti al verbo, neanche, nemmeno, neppure, niente, nulla, nessuno e mai rifiutano la presenza della negazione non: Neanche voglio vederlo. Nemmeno mi ha guardato. Neppure Franco l’ha saputo. Nulla può convincerlo. Mai mi sarei permesso di gridare in classe. No. L’avverbio no può essere usato da solo e serve come risposta a una domanda: - Ti è piaciuto lo spettacolo? / - No (= non mi è piaciuto). 72 No si usa pure nelle frasi che esprimono un’alternativa o una contrapposizione, quando non si ripete il verbo nel secondo termine: Vuoi mangiare o no? A me è piaciuto il film, a Luigi no. L’avverbio no può essere rafforzato: con il raddoppiamento: no no, no e poi no; con l’aiuto degli avverbi davvero e certo: no davvero, no certo, certo che no; da formule come nossignore. 6.6. Gli avverbi di quantità Gli avverbi di quantità esprimono un’idea di quantità, generalmente non definita con precisione, riferita al verbo, all’aggettivo o all’avverbio che accompagnano. Gli avverbi di quantità più comuni e più usati sono: molto, poco, alquanto, parecchio, tanto, quanto, altrettanto, più, meno, troppo, nulla, niente (“per nulla”), abbastanza, quasi, piuttosto, appena, assai (“abbastanza, sufficientemente”), almeno, affatto, così (“molto, tanto”), grandemente, minimamente, interamente ecc.: Studia molto e parla poco. Oggi ho mangiato tanto. Quel compito non va niente bene. Questo libro è piuttosto noioso. Non mi piace minimamente. Anche inoltre, pure, perfino, ancora, addirittura sono avverbi di quantità, ma con la funzione di aggiungere qualcosa o di sottolineare enfaticamente un fatto, un’azione, una qualità ecc.; perciò alcuni linguisti li catalogano a parte come avverbi aggiuntivi: Ti scrivo inoltre che verrò di persona a salutarti. Con questa pettinatura sei ancora più bella. 6.7. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi Gli avverbi interrogativi ed esclamativi compaiono in frasi interrogative dirette ed esclamative, in riferimento: – al modo: come: Come farò senza il tuo aiuto? Come mi piacerebbe andare a sciare! – al luogo: dove, ove, donde, onde: Dove ti posso rintracciare? Dove sono finito! – al tempo: quando: Quando ti deciderai a smettere di fumare? – alla quantità: quanto: Quanto manca alla fine della partita? Quanto sono felice! – alla causa: perché: Perché ti comporti in quel modo? Osservazioni: 1. Nelle interrogazioni indirette, gli avverbi interrogativi funzionano come congiunzioni subordinanti: Fammi sapere quando viene. Dimmi perché sei così triste. 2. Gli avverbi dove, ove, donde, onde (le ultime tre forme sono di uso letterario) possono avere anche funzione di avverbi relativi, col significato di “il luogo in cui” e “il luogo da cui”: Quella è la scuola dove ho studiato. Questa è la città donde sono partito. 73 6.8. Gli avverbi presentativi Gli avverbi presentativi sono, in realtà, uno solo: ecco; esso, però, può essere usato in molti modi e forme diverse. Infatti, ecco si usa per presentare, annunciare, mostrare, indicare qualcosa o qualcuno, specialmente in frasi esclamative o in frasi nominali. Si premette: – a verbi: Ecco, guarda cosa hai combinato! – a nomi: Ecco il dottore. – a pronomi personali: Ecco… io… vorrei… un gelato! Può essere unito alle particelle personali mi, ti, ci ecc.: Eccoti di nuovo qui. – ad altri avverbi: Ecco qua! – a congiunzioni: Ecco che arriva Giorgio. Può avere valore conclusivo: Non ne voglio più sapere, ecco! 6.9. I gradi dell’avverbio Come gli aggettivi, anche molti avverbi hanno il comparativo e il superlativo. Il comparativo si forma come negli aggettivi, premettendo più (maggioranza), meno (minoranza), tanto … quanto (uguaglianza) all’avverbio. Il superlativo assoluto si costruisce di norma aggiungendo il suffisso -mente alla forma femminile del superlativo dell’aggettivo da cui deriva l’avverbio stesso: rapida - rapidissima → rapidissimamente oppure facendo precedere l’avverbio di grado positivo da avverbi di quantità come molto e assai: molto rapidamente, assai rapidamente Quando in funzione di avverbio di grado positivo è usata la forma di maschile singolare di un aggettivo, come grado superlativo assoluto dell’avverbio si usa il superlativo assoluto dell’aggettivo stesso: chiaro - chiarissimo Gli avverbi di questo tipo possono formare il superlativo assoluto anche ripetendo l’avverbio di grado positivo: piano piano = pianissimo In particolare, possono avere il grado comparativo e superlativo: – tutti gli avverbi di modo, ad eccezione del tipo in -oni, di così e di altrimenti: Camminava lentissimamente. – gli avverbi di luogo lontano e vicino: Ho nuotato più lontano di te. Mio figlio abita molto lontano. – gli avverbi di tempo presto, spesso e tardi. Subito ammette solo il superlativo (subito - subitissimo): Si discute molto spesso di sport. – gli avverbi di quantità poco e molto, che al comparativo hanno le forme irregolari meno e più: Ho speso più / meno del previsto. Lavora sempre moltissimo / pochissimo. – l’avverbio di dubbio probabilmente: Ti scriverò o, più probabilmente, ti telefonerò. 74 Molto probabilmente ci vedremo domani. – gli avverbi bene, male, molto, poco e grandemente che, come gli aggettivi corrispondenti, hanno forme di comparativo e superlativo indipendenti: grado positivo bene male molto poco grandemente grado comparativo grado superlativo meglio peggio più meno maggiormente ottimanente / benissimo pessimamente / malissimo moltissimo minimamente / pochissimo massimamente / sommamente BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 186-197. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 382-401. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 487514. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Definire gli avverbi di modo. 2. Quali sono gli avverbi di luogo e come si usano? 3. Quali sono gli avverbi di tempo e come si usano? 4. Quali sono gli avverbi di giudizio e come si usano? 5. Quali sono gli avverbi interrogativi e presentativi, come si usano? 6. Come si forma il grado comparativo degli avverbi? 7. Come si forma il grado superlativo degli avverbi? 8. Quali avverbi possono avere il grado comparativo e superlativo? 75 UD 7. La preposizione In questa unità didattica si descrive la preposizione, cioè la parte invariabile del discorso che serve a precisare i rapporti sintattici esistenti fra le varie parti della proposizione o fra la reggente e una subordinata. 7.1. Classificazione 7.2. La preposizione di 7.3. La preposizione a 7.4. La preposizione da 7.5. La preposizione in 7.6. La preposizione con 7.7. La preposizione su 7.8. La preposizione per 7.9. Le preposizioni tra e fra Obiectivele unităŃii didactice: – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la sintaxa prepoziŃiei în limba italiană; – Cunoaşterea tipurilor de prepoziŃii din limba italiană; – Cunoaşterea regulilor de folosire a prepoziŃiilor propriu-zise din limba italiană. Timp alocat: 6 ore. 7.1. Classificazione In italiano, le preposizioni si suddividono in tre categorie: preposizioni proprie, preposizioni improprie e locuzioni prepositive. Le preposizioni proprie sono quelle che possono essere usate solo con il valore di preposizione. L’italiano ha le seguenti preposizioni proprie: di, a, da, in, con, su, per, tra o fra. 76 Quando sono premesse direttamente al nome, al pronome, all’avverbio o al verbo che reggono, queste preposizioni si chiamano preposizioni semplici. Quando invece sono premesse a un articolo determinativo, come abbiamo visto parlando dell’articolo, si uniscono con esso dando luogo alle cosiddette preposizioni articolate: del, dello, della, dell’, dei, degli, delle ecc. Con le preposizioni tra, fra non si formano preposizioni articolate. Nell’italiano attuale non si formano preposizioni articolate neppure con per. Le preposizioni articolate formate da con sono poco usate, tranne col, ancora comune. Le preposizioni improprie sono parole che, pur appartenendo ad altre parti del discorso, a seconda del contesto, possono assumere il ruolo di preposizioni. Fanno parte delle preposizioni improprie: – aggettivi: salvo, secondo, lungo ecc.: Ho passeggiato lungo la via Veneto. Ha operato secondo coscienza. – avverbi: prima, dopo, davanti, avanti, dietro, dentro, fuori, sopra, sotto, ecc.: Verrò da te dopo le otto. Dietro la casa c’è un parco immenso. – verbi al participio presente o passato: durante, mediante, escluso, eccetto ecc.: Nonostante le tue riserve l’affare si concluderà. Durante un temporale non rifugiarti mai sotto un albero. 7.2. La preposizione di La preposizione di (può elidersi davanti ad altra vocale, in particolare davanti a i: d’inverno, d’un tratto, d’accordo) “specifica” la parola che segue nel senso più ampio. La preposizione di può introdurre i seguenti complementi: – specificazione: Il trasporto dei mobili è costato pochissimo. – denominazione: La città di Cartagine era ricca e potente. – appartenenza: Questo libro è del mio collega. – materia: Non mi piace la torta di mele. – argomento: Non fa che parlare di sport. – mezzo e strumento: È indispensabile nutrirsi di pane. – qualità: Luigi è un uomo di grande generosità. – il complemento partitivo: Alcuni di noi partiranno subito. – causa: Si è pentito subito delle parole dette. – modo o maniera: Siamo arrivati di corsa. – tempo: Mi piace studiare di notte. – colpa: Luigi è accusato di truffa. – pena: È stato multato di diecimila euro. – moto da luogo: Esco di casa molto presto la mattina. – moto per luogo: Ogni giorno passo di là per arrivare prima. – moto a luogo: Vado di qua. – stato in luogo: Rimango di qua. – origine, provenienza: Sono di Craiova. – fine, destinazione: Questo ti serva di esempio. – limitazione: Veloce di riflessi. – abbondanza: Ho portato una valigia piena di roba. – privazione: È un ragionamento privo di logica. – età: È un giovane di diciotto anni. – stima: Un uomo di valore. – prezzo: Il costo di quindicimila lire è molto basso. – quantità o misura: Un pacco di dieci chili. – paragone: Marco è migliore di te. – predicativo del soggetto: È sempre considerato di ottimo esempio. 77 – predicativo dell’oggetto: Considero Mario di ottimo esempio. Seguita da un verbo all’infinito, introduce le seguenti subordinate implicite: – soggettiva: A Mario accade spesso di essere impreparato. – oggettiva: Spero di arrivare in tempo. – dichiarativa: Per fortuna ho avuto la possibilità di avvertirti in tempo. – causale: Mi dispiace di essermi comportato male con te. – finale: Vi prego di fare silenzio. – consecutiva: È degno di essere premiato. La preposizione di serve anche per formare: – locuzioni prepositive: prima di, dopo di, fuori di, invece di, in luogo di ecc.; – locuzioni avverbiali: di qua, di là, di sopra, di sotto, di rado ecc.; – locuzioni congiuntive: di modo che, dopo di che ecc. Nella costruzione “verbo + preposizione + verbo all’infinito”, il verbo reggente è seguito dalla preposizione di, in genere, quando la costruzione verbale indica la fine dell’azione o quando tra i due verbi esiste una relazione di spiegazione: Ha cessato di piovere. Marco teme di essere licenziato. Tra i verbi seguiti da di + verbo all’infinito, ricordiamo: accettare, accorgersi, accusare, ammettere, apprendere, approfittare, assicurare, attendere, augurare, cercare, chiedere, rifiutare, smettere, temere, vergognarsi ecc. 7.3. La preposizione a La preposizione a (davanti ad altra vocale, in particolare davanti ad a si può avere la forma ad, con d eufonica) indica la direzione di un movimento, sia reale sia figurato, o il punto di arrivo del movimento. È pure la preposizione specifica del complemento di termine (che in romeno ha come corrispondente il complemento indiretto in dativo). La preposizione a può introdurre i seguenti complementi: – termine: Porterò i tuoi saluti a mio padre. – stato in luogo: La mia famiglia vive a Craiova. – moto a luogo: Mario è andato a Firenze. – distanza: A 200 metri c’è una curva pericolosa. – tempo determinato: Ci vediamo alle sette. – modo o maniera: Sa tutto a memoria. – mezzo: È sufficiente scrivere a penna. – causa: Al grido improvviso, si spaventò. – età: Leopardi morì a trentanove anni. – qualità: Viaggio in uno scompartimento a sei posti. – limitazione: A mio giudizio l’affare non si concluderà. – fine: La domenica vado a pescare. – vantaggio o svantaggio: La pioggia è utile alla natura. – prezzo, misura: Vendo tutto a diecimila lire. – pena: È stato condannato ad una lieve multa. – distributivo: Entrate a uno a uno. – predicativo del soggetto: Luca è stato scelto a guida della scalata. – predicativo dell’oggetto: Preferisco Luca a guida di questa impresa. Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite: – causale: Hai sbagliato a non venire sabato. – finale: Verrò di persona a salutarti. – temporale: A sentirlo dire così, non ci ho visto più. – limitativa: A guardarlo, sembrerebbe perfetto. – condizionale: A pensarci bene, non ha tutti i torti. – relativa: È stato l’unico a riuscire nell’impresa. 78 La preposizione a serve anche a formare: – locuzioni prepositive: fino a, vicino a, davanti a, dietro a, oltre a, intorno a, in mezzo a, di fronte a, di fianco a, a favore di ecc.; – locuzioni avverbiali: a stento, a caso, a tentoni, a precipizio, a naso, a poco a poco, a mano a mano, a uno a uno ecc. Nella costruzione “verbo + preposizione + verbo all’infinito”, il verbo reggente è seguito dalla preposizione a, in genere, nelle costruzioni che indicano l’imminenza, l’inizio o la continuazione di un’azione e, inoltre, l’impegno del soggetto nell’azione: Silenzio: l’oratore comincia a parlare. Sono riuscito a rispondere a tutte le domande. Tra i verbi seguiti da a + verbo all’infinito, ricordiamo: abituare, affrettarsi, andare, badare, cominciare, continuare, esitare, esortare, fermarsi, insegnare, insistere, mandare, ostinarsi, passare, portare, prendere, seguitare, tornare, uscire, venire ecc. 7.4. La preposizione da La preposizione da indica un concetto di provenienza, di distacco e allontanamento, sia reale sia figurato. È pure la preposizione specifica del complemento d’agente. La preposizione da si elide solo in pochi casi: d’ora in poi, d’altronde, d’altro canto. In altri casi si unisce alla parola che segue raddoppiandone la consonante iniziale: da bene → dabbene, da vero → davvero, da capo → daccapo ecc. La preposizione da può introdurre i seguenti complementi: – agente: È stato mandato da Paolo. – causa efficiente: È stato abbagliato da una luce. – causa: Carla piange dalla gioia. – moto da luogo: È arrivato mio cugino da Milano. – moto a luogo (luogo animato): Arrivo subito da te. – moto per luogo: I vigili del fuoco sono passati dalla finestra. – stato in luogo (animato): Abito dai miei. – separazione: Le Alpi separano l’Italia da vari stati europei. – allontanamento: Carlo non riesce a staccarsi da quegli amici. – origine e provenienza: La lingua italiana deriva dal latino. – tempo continuato: Non vedo Mario da due anni. – mezzo: Io giudico le persone dai fatti, non dalle chiacchiere. – fine: Ho perso gli occhiali da vista. – qualità: È un ragazzo dall’aspetto imponente. – limitazione, per indicare menomazioni fisiche: Luigi è zoppo da una gamba. – stima, prezzo: Ho acquistato un appartamento da duecento milioni. – modo: In ogni occasione sa comportarsi da signore. – la condizione, l’età in cui si trova o si trovava un individuo: Da bambino ero uno scapestrato. – predicativo del soggetto: Paola ha parlato da persona sincera. – predicativo dell’oggetto: Mi hanno trattato da persona sincera. Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite: – consecutiva: È stato tanto abile da rimontare e vincere la partita. – finale: Dammi qualcosa da mangiare. – limitativa: I problemi di geometria sono divertenti da risolvere. – relativa: Ho un vestito da smacchiare. La preposizione da serve anche a formare: – locuzioni prepositive: da parte di, fuori da, fino da, di qua da, di là da, eccetto da ecc.; 79 – locuzioni avverbiali: da vicino, da lontano, da meno, da per tutto (o dappertutto) ecc. 7.5. La preposizione in La preposizione in indica la posizione, reale o figurata, nello spazio e nel tempo. La preposizione in può introdurre i seguenti complementi: – stato in luogo: Studio in biblioteca. – moto a luogo: Vado spesso in campagna. – moto per luogo: Luigi passeggia in giardino. – tempo determinato: In estate di solito vado in montagna. – tempo continuato: In tutta la sua vita fece moltissimi errori. – modo: Camminava in punta di piedi. – mezzo: Amo i viaggi in treno. – limitazione: È molto bravo in matematica. – materia: Ho comprato un cancello in ferro battuto. – fine: Carla è sempre pronta a correre in aiuto di qualcuno. – quantità: Verremo in dieci. – stima: Mi tiene in grande considerazione. – pena: Ho ricevuto una pena in denaro. – predicativo del soggetto: La guida desiderata fu trovata in Maria. – predicativo dell’oggetto: Trovammo in Maria la guida desiderata. Seguita da un infinito, nella forma articolata, la preposizione in può introdurre la subordinata implicita temporale: I genitori soffrono nel vedere i figli allontanarsi. La preposizione in serve anche a formare: – locuzioni prepositive: in compagnia di, in seguito a, in quanto a, in base a ecc.; – locuzioni avverbiali: in qua, in là, in giù, in su, in basso, in alto, in breve ecc. 7.6. La preposizione con La preposizione con indica l’idea di unione o partecipazione. Indica pure un rapporto di carattere strumentale. La preposizione con può introdurre i seguenti complementi: – unione: È uscito con una valigia in mano. – compagnia: Vado in vacanza con il mio amico. – relazione: Lavoro con due colleghe. – mezzo: Mi ha dato una spinta con le mani. – modo: Ti vedo sempre con gioia. – causa: Con questa nebbia, è prudente restare a casa. – qualità: È una bella ragazza con gli occhi a mandorla. – limitazione: Con il lavoro vado piuttosto bene. – tempo: Le rondini se ne vanno con l’arrivo dell’autunno. – concessivo: Con tutta la buona volontà, non riesco. – scambio: Si confonde spesso con suo fratello. – pena: Fu punito con una sospensione. Seguita da un infinito, nella forma articolata, la preposizione con può introdurre la subordinata implicita modale: Col passar del tempo, la questione si chiarirà. Col troppo mangiare si ingrassa. 7.7. La preposizione su 80 La preposizione su indica fondamentalmente “contiguità, approssimazione” e “posizione superiore”. Quando è premessa a un pronome personale, può ricorrere alla mediazione della preposizione di (su di me, su di noi) o può reggere direttamente il pronome (su me, su noi). La prima forma è più corretta, ma la seconda è quella più usata. La preposizione su può introdurre i seguenti complementi: – stato in luogo: Ho dimenticato i guanti sul tavolo. – moto a luogo: Andiamo sul terrazzo. – moto per luogo: I bambini corrono sul prato. – tempo determinato (con il significato di “intorno a”, “verso”): Sul far della sera mi coglie la nostalgia. – tempo continuato (con il significato di “circa”): Ho studiato sulle 5 ore. – argomento: Ho letto un libro su Giovanni Verga. – modo: Marco agisce sull’esempio dei genitori. – età (con il significato di “circa”): Carlo è un uomo sui quarant’anni. – prezzo (con il significato di “circa”): Questo maglione costa sulle centomila lire. – peso (con il significato di “circa”): Luigi pesa sui sessanta chili. La preposizione su si usa pure in varie locuzioni avverbiali: sul momento, sul tardi, sul far del giorno, sul serio, su due piedi ecc. 7.8. La preposizione per La principale funzione della preposizione per è quella di introdurre il “tramite” attraverso cui si svolge l’azione, in accezione locativa, strumentale, modale ecc. La preposizione per può introdurre i seguenti complementi: – moto per luogo: Esci per la porta dietro. – moto a luogo: Luigi è partito per Roma. – stato in luogo: Era sdraiato per terra. – tempo continuato: Ti ricorderò per tutta la vita. – tempo determinato: L’appuntamento è fissato per stasera. – fine: Questo quadro è adatto per il mio ufficio. – vantaggio: Parlava per il bene di tutti. – svantaggio: Il fumo è pericoloso per i polmoni. – mezzo: Ti darò le mie notizie per telefono. – causa: Tremo per il freddo. – modo: Ho detto così per scherzo. – distributivo: Entriamo uno per volta. – limitazione: Per questa volta ti perdono. – prezzo: L’ho acquistato per 30.000 lire. – misura: La pianura si estende per molti chilometri. – colpa: È stato condannato per furto. – scambio: Mi hanno scambiato per Mario. – predicativo del soggetto: Per guida venne preferito Claudio. – predicativo dell’oggetto: Scelsero Claudio per guida. Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite: – finale: Cambiai atteggiamento per non aggravare la situazione. – consecutiva: È troppo piccolo per lavorare. – causale: Si è sentito male per aver bevuto troppo. Seguita da un infinito seguito dall’espressione che faccia o che facesse o da un aggettivo seguito da che sia, che sembri, che appaia, introduce la subordinata concessiva esplicita: Per mangiare che faccia, Giorgio rimane magro come un chiodo. Per pregare che facesse, nessuno gli dava attenzione. 81 Per piccola che sia, la tua casa è molto confortevole. La preposizione per serve anche a formare: – locuzioni avverbiali: per sempre, per lungo, per largo, per poco, per caso ecc.; – locuzioni congiuntive: per quanto, per ciò che, per il fatto che ecc., ed è usata nelle esclamazioni: per Giove!, per favore!, per l’amor di Dio ecc. 7.9. Le preposizioni tra e fra Le preposizioni tra e fra indicano una posizione intermedia, nello spazio e nel tempo, tra due elementi. Per questo sono spesso correlate alla congiunzione e: Tra l’ufficio e casa mia ci sono pochi minuti di macchina. Quando sono premesse a un pronome personale, possono ricorrere alla mediazione della preposizione di (tra di noi, tra di loro) o possono reggere direttamente il pronome (tra noi, tra loro). La prima forma è più corretta, ma la seconda è quella più usata. Le preposizioni tra e fra hanno lo stesso significato, e la scelta fra le due è condizionata solo dalla necessità di evitare l’incontro di suoni simili. Così, per evitare l’incontro degli stessi gruppi di consonanti, si preferisce dire “tra fratelli” invece di “fra fratelli” e “fra Treviso e Venezia” invece di “tra Treviso e Venezia”. Le preposizioni tra e fra possono introdurre i seguenti complementi: – stato in luogo (con il significato di “in mezzo a”): La città è situata tra due montagne. – moto a luogo: Verrò volentieri tra voi. – moto per luogo: Il sole filtra fra i rami. – tempo: Tra poco smetterò di lavorare. – quantità (distanza): Tra 10 chilometri c’è l’uscita per Milano. – modo: Bisbigliava parole confuse tra i denti. – relazione: Tra l’uno e l’altro c’è poca differenza. – compagnia: Amo stare fra loro. – partitivo: Luigi è il migliore tra i miei amici. Le preposizioni tra e fra si usano pure in varie locuzioni avverbiali: tra/fra poco, tra/fra l’altro, tra/fra non molto, tra/fra breve ecc. BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 199-208. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 402-424. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 327357. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Come si classificano le preposizioni? 2. Che sono le preposizioni improprie? 3. Indicare le funzioni della preposizione di. 4. Quando si usa la preposizione di nella costruzione “verbo + preposizione + verbo all’infinito”? 5. Indicare le funzioni della preposizione a. 6. Quando si usa la preposizione a nella costruzione “verbo + preposizione + verbo all’infinito”? 82 7. Indicare le funzioni della preposizione da. 8. Indicare le funzioni delle preposizioni in, con, su, per, tra e fra. UD 8. La congiunzione In questa unità didattica si descrive la congiunzione, cioè la parte invariabile del discorso che serve a collegare due parole di una proposizione coordinandole, oppure due proposizioni coordinandole o subordinandole. 8.1. Classificazione 8.2. Le congiunzioni coordinative 8.3. Le congiunzioni subordinative Obiectivele unităŃii didactice: – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la sintaxa conjuncŃiei în limba italiană; – Cunoaşterea tipurilor de conjuncŃii din limba italiană; – Cunoaşterea regulilor de folosire a conjuncŃiilor coordonatoare în limba italiană; – Cunoaşterea regulilor de folosire a conjuncŃiilor subordonatoare în limba italiană. Timp alocat: 2 ore. 8.1. Classificazione a) Rispetto alla loro forma, le congiunzioni possono essere: – semplici, se sono formate da una sola parola: e, o, né, ma, se, come, che, anche, quando, mentre, però, quindi ecc.; – composte, se sono formate dalla fusione di due o più parole: cioè, perciò, oppure, poiché, affinché, sebbene, neanche, nemmeno, neppure, nondimeno ecc.; – locuzioni congiuntive, se sono formate da due o più parole scritte separatamente: visto che, in quanto a, dal momento che, di modo che, ogni volta che, anche se ecc. b) Rispetto alla funzione sintattica, le congiunzioni si dividono in: – congiunzioni coordinative o coordinanti, quelle che uniscono proposizioni o parti di proposizione sintatticamente equivalenti: Mario e Giorgio frequentano la stessa classe. 83 Sai come stanno le cose, pertanto decidi. – congiunzioni subordinative o subordinanti, quelle che collegano due proposizioni stabilendo un rapporto di subordinazione per cui una dipende sintatticamente dall’altra: È pallido che pare un lenzuolo. Non so nulla perché non ho letto il giornale. 8.2. Le congiunzioni coordinative In base al tipo di rapporto che stabiliscono tra gli elementi che collegano, le congiunzioni coordinative si suddividono in: – copulative: sono quelle che hanno la funzione esclusiva di collegamento: e, anche, inoltre, pure, né, neppure, neanche, nemmeno, nonché ecc.: Andrea e Roberto sono fratelli. Non parlo, né voglio parlare. – disgiuntive: collegano due elementi di cui uno esclude l’altro ponendo un’alternativa: o, oppure, ovvero, ossia, altrimenti ecc.: Vuoi latte o limone nel tè? Vieni con me, oppure vai con Mario? – avversative: indicano una contrapposizione: ma, però, tuttavia, nondimeno, pure, eppure, anzi, piuttosto, invece ecc.: Abito in una casa vecchia ma comoda. Non mi costa nulla, anzi mi fa molto piacere. – dichiarative o esplicative: introducono una parola o una proposizione che spiega o precisa quanto si è detto precedentemente: cioè, ossia, infatti, vale a dire ecc.: Sono andato a trovarlo due giorni fa, ossia lunedì. È un ecologo, infatti studia e ama la natura. – conclusive: indicano una conclusione, una conseguenza di ciò che si è detto prima: e, dunque, quindi, pertanto, perciò, allora ecc.: Volete una spiegazione e io ve la darò. È tutto pronto, perciò non ci resta che iniziare. – correlative: indicano relazione reciproca tra due parole o due proposizioni: e... e, sia... sia, sia che... sia che, o... o, né... né, non solo... ma anche ecc.: Ho acquistato sia la moto sia la bicicletta. O mi aiuti o te ne vai. 8.3. Le congiunzioni subordinative In base al loro senso e, quindi, al tipo di collegamento che stabiliscono fra la proposizione subordinata e la reggente, le congiunzioni subordinative si suddividono in: – dichiarative: introducono un’affermazione: che, come: Mi consola la certezza che un giorno tornerai. – finali: introducono una proposizione che indica lo scopo per cui avviene l’azione espressa dalla reggente: perché, affinché, acciocché, ché ecc.: Controlla che non combini guai. Lo dico affinché sia chiaro. – causali: introducono una proposizione che indica la causa di ciò che è espresso nella reggente: perché, poiché, giacché, siccome, che, dato che, dal momento che, in quanto, visto che, per il fatto che ecc.: Giacché non vuoi giustificarti, ti proibisco di uscire. Sono arrivato tardi poiché c’era molto traffico. – condizionali: introducono una proposizione che indica la condizione necessaria perché avvenga l’azione espressa nella reggente: se, purché, qualora, quando, a condizione che, a patto che, nel caso che, supposto che ecc.: Ti ascolterò, se mi dirai la verità. 84 Telefonami nel caso che tu non possa venire. – concessive: introducono una proposizione che indica la circostanza nonostante la quale si compie l’azione espressa nella reggente: sebbene, nonostante, benché, quantunque, anche se, seppure, malgrado che, nonostante che ecc.: Benché sia tardi, sono ancora in ufficio. Anche se non vuole, deve partecipare. – consecutive: introducono una proposizione che indica la conseguenza di quanto si afferma nella reggente (in cui, il più delle volte, si trova un termine correlativo): (tanto)... che, (a tal punto)... che, (tale)... che, (in modo tale)... che ecc.: Va così veloce che sembra una freccia. Era tanto ricco che poteva permettersi tutto. – temporali: introducono una proposizione che indica le circostanze temporali dell’azione espressa nella reggente: quando, mentre, finché, come, appena che, ogni volta che, prima che, dopo che, fino a che ecc.: Non mangiare niente finché non ti passa la febbre. Sono uscito prima che loro mi domandassero qualcosa. – comparative: introducono una proposizione che costituisce un secondo termine di paragone: (così)... come, (piuttosto)... che, (più)... che, (meglio)... che, (meno)... che, (tanto)… quanto, più… di quanto ecc.: Mi piace di più dipingere che disegnare. Ciò che spiego è molto più facile di quanto crediate. – modali: introducono una proposizione che indica il modo in cui si compie l’azione espressa nella reggente: come, come se, quasi, nel modo che ecc.: Parli come se non fosse successo niente. Decidi come meglio credi. – avversative: introducono una proposizione che esprime un’azione contrapposta a quanto si afferma o avviene nella reggente: mentre, quando, laddove, anziché ecc.: Lo credevo onesto, mentre si è dimostrato un bugiardo. Lui protesta quando dovrebbe badare al suo comportamento. – eccettuative: introducono una proposizione che esprime un’eccezione rispetto a quanto si afferma nella reggente: fuorché, salvo che, tranne che, a meno che, che ecc.: Non lo farò, a meno che non vi sia obbligato. Posso leggere tutto, fuorché quei racconti. – limitative: introducono una proposizione che esprime una limitazione a quanto espresso nella reggente: che, per quanto, in quanto a ecc.: Che io sappia, sono già partiti. Per quanto ne so io, la prova è aperta a tutti. – esclusive: introducono una proposizione nella quale si esclude qualcosa da ciò che è affermato nella reggente: senza che: Prese una decisione, senza che ne sapessimo nulla. – interrogative indirette: introducono una proposizione che esprime una domanda o un dubbio: se, come, perché, quando, quanto ecc.: Capisco quanto sia delicata la vostra situazione. Mi piacerebbe capire perché non mi telefona più. BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 210-214. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 425-431. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 359365. 85 TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Come si classificano le congiunzioni secondo la forma? 2. Come si classificano le congiunzioni secondo la funzione? 3. Come si suddividono le congiunzioni coordinative? 4. Come si suddividono le congiunzioni subordinative? UD 9. L’interiezione In questa unità didattica si descrive l’interiezione o esclamazione, cioè la parte invariabile del discorso che esprime in forma immediata un sentimento, uno stato d’animo, una preghiera, un saluto, un richiamo. 8.1. Classificazione 8.2. Le interiezioni proprie 8.3. Le interiezioni improprie Obiectivele unităŃii didactice: – Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la sintaxa interjecŃiei în limba italiană; – Cunoaşterea tipurilor de interjecŃii din limba italiană; – Cunoaşterea regulilor de folosire a interjecŃiilor în limba italiană. Timp alocat: 2 ore. 8.1. Classificazione In italiano, le interiezioni si suddividono in tre categorie: interiezioni proprie (o semplici, o primarie), interiezioni improprie (o secondarie) e locuzioni interiettive (o esclamative). Le interiezioni proprie sono quelle che hanno sempre e soltanto la funzione di interiezione Le interiezioni improprie sono parole che appartengono comunemente ad altra categoria (nomi, verbi, aggettivi, verbi, avverbi ecc.) usate come interiezioni per diversi scopi. Le locuzioni interiettive sono gruppi di parole che assumono valore esclamativo: Santo Cielo!, Per carità!, Dio mio!, Per l’amor di Dio!, Al ladro!, Al fuoco!, Ci mancherebbe altro!, Porca miseria!, Siamo fritti! ecc.: Uh, Santo Cielo! Ho dimenticato la pizza in forno! Mamma mia, che spavento! 86 8.2. Le interiezioni proprie Le interiezioni proprie sono quelle che hanno sempre e soltanto la funzione di interiezione: – ahi, ahimè, ohi (indicano sofferenza fisica o morale): Ohi, che dolore! – uff, uffa (indicano noia, fastidio): Uff, ancora quel discorso... – boh, bah, ehm, uhm, mah, ma (indicano dubbio, perplessità, incertezza, rassegnazione): Boh, che vuoi, è sempre così. – ah, oh, eh, uh, ih (indicano disappunto, dolore, sorpresa, gioia, ilarità): Oh, che regalo bellissimo. – urrà, urrah, hurrá (indicano gioia): Urrà, siamo entrati in finale! – oh, toh (indicano sorpresa): Oh, che bella sorpresa! – st, sst, ssst, sss (usate per zittire o richiamare qualcuno): Sss, basta parlare! – ehi, ps, pst, pss (usate per richiamare l’attenzione di qualcuno): Ps, voi due! – deh (indica preghiera, esortazione): Deh, spiriti dell’aria e dell’acqua. – beh, be’ (apocope di bene, usate per troncare, introdurre, interrogare): Beh, vogliamo muoverci? – puah (indica disgusto): Era un intruglio disgustoso! Puah! – sciò (usata per scacciare animali): Sciò, zanzare malefiche! – alt, marsc’ (usate per dare un ordine) ecc. 8.3. Le interiezioni improprie Le interiezioni improprie sono parole che appartengono comunemente ad altra categoria (nomi, verbi, aggettivi, verbi, avverbi ecc.) usate come interiezioni per diversi scopi: – verme!, cane!, maiale!, bestia!, animale! ecc., usate per insultare; – vieni!, vai!, zitto!, taci!, basta!, fuori! ecc., usate per ordinare; – dai!, vai!, suvvia!, coraggio!, andiamo!, animo!, forza! ecc., usate per esortare; – pietà!, perdono!, scusi!, scusa!, usate per pregare; – giusto!, bene!, bravo!, esatto!, usate per apprezzare; – male!, sbagliato!, vergogna!, scusa!, usate per biasimare. Evviva, domani è festa! Suvvia, non prendertela così! Vergogna! Alla tua età fai ancora queste ragazzate! Accidenti, Mario, non puoi stare più attento? BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 216-217. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 432-434. 87 Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 367378. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Come si classificano le interiezioni? 2. Definire le interiezioni proprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni. 3. Definire le interiezioni improprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni. 4. Cosa sono le locuzioni interiettive? Domande di riepilogo 1) Domande di riepilogo per il primo semestre 1. Indicare le forme e gli usi dell’articolo determinativo. 2. Indicare le forme e gli usi dell’articolo indeterminativo. 3. Come si usa l’articolo con i nomi di persona? 4. Come si usa l’articolo con con i cognomi dei personaggi famosi? 5. Come si usa l’articolo con i nomi geografici? 6. Definire l’articolo partitivo. 7. Indicare le forme delle preposizioni articolate. 8. Come si classificano i nomi secondo la forma? 9. Come formano il femminile i nomi maschili in -o? 10. Come formano il femminile i nomi maschili in -a? 11. Cosa sono i nomi indipendenti? 12. Cosa sono i nomi di genere comune? 13. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -a? 14. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -o? 15. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -e? 16. Quali sono i nomi invariabili? 17. Illustrare il gruppo dei nomi con due forme di plurale. 18. Come si forma il plurale dei nomi composti? 19. Quale deve essere la posizione dell’aggettivo qualificativo? 20. Quali sono gli aggettivi qualificativi invariabili? 21. Come si forma il grado comparativo degli aggettivi? 22. Come si forma il grado superlativo degli aggettivi? 23. Cosa sono i comparativi e i superlativi organici? 24. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi possessivi. 25. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi dimostrativi. 26. Indicare l’uso degli aggettivi indefiniti qualunque, nessuno e tutto. 27. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi interrogativi. 28. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali soggetto. 29. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali complemento. 30. Cosa sono i pronomi allocutivi e come si usano. 31. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali riflessivi. 32. Descrivere ed indicare l’uso delle particelle ci e vi. 88 33. Descrivere ed indicare l’uso della particella ne. 34. A cosa servono i pronomi possessivi e quali sono? 35. Definire i pronomi dimostrativi ed indicare quali sono. 36. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti nessuno, niente e nulla. 37. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti uno, qualcuno, chiunque e qualcosa. 38. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi relativi. 39. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi interrogativi. 2) Domande di riepilogo per il secondo semestre 1. Cosa sono i verbi predicativi e quelli copulativi? 2. Come si costruisce la forma passiva del verbo? 3. Come si classificano i verbi riflessivi? 4. Descrivere ed indicare l’uso dei verbi impersonali. 5. Descrivere l’uso dei verbi ausiliari. 6. Descrivere la concordanza del participio passato con l’ausiliare essere. 7. Descrivere la concordanza del participio passato con l’ausiliare avere. 8. Descrivere l’uso dei verbi servili. 9. Definire i verbi fraseologici ed indicare gli ambiti di significato che esprimono. 10. Descrivere l’uso dei verbi causativi. 11. Specificare quali sono i tempi dell’indicativo e come si usano. 12. Specificare quali sono i tempi del congiuntivo e come si usano. 13. Specificare quali sono i tempi del condizionale e come si usano. 14. Definire cos’è l’imperativo e come si usa. 15. Spiegare cosa sono i modi indefiniti, indicare quali sono e come si usano. 16. Qual è la posizione dell’avverbio? 17. Descrivere gli avverbi derivati. 18. Definire e descrivere gli avverbi di modo. 19. Quali sono gli avverbi di luogo e come si usano? 20. Quali sono gli avverbi di tempo e come si usano? 21. Quali sono gli avverbi di giudizio e come si usano? 22. Quali sono gli avverbi interrogativi e presentativi, come si usano? 23. Come si forma il grado comparativo degli avverbi? 24. Come si forma il grado superlativo degli avverbi? 25. Quali avverbi possono avere il grado comparativo e superlativo? 26. Come si classificano le preposizioni? 27. Che sono le preposizioni improprie? 28. Indicare le funzioni della preposizione di. 29. Quando si usa la preposizione di nella costruzione “verbo + preposizione + verbo all’infinito”? 30. Indicare le funzioni della preposizione a. 31. Quando si usa la preposizione a nella costruzione “verbo + preposizione + verbo all’infinito”? 32. Indicare le funzioni della preposizione da. 33. Indicare le funzioni delle preposizioni in, con, su, per, tra e fra. 34. Come si classificano le congiunzioni secondo la forma? 35. Come si classificano le congiunzioni secondo la funzione? 36. Come si suddividono le congiunzioni coordinative? 37. Come si suddividono le congiunzioni subordinative? 38. Come si classificano le interiezioni? 39. Definire le interiezioni proprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni. 40. Definire le interiezioni improprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni. 41. Cosa sono le locuzioni interiettive? 89