MEADE 12” ACF OTTICA SCHMIDT CASSEGRAIN DA 304mm. F10 TEST EFFETTUATO NEI MESI DI GIUGNO-AGOSTO 2012 Ritengo non sia un segreto che io ami poco i sistemi compound come gli Schmidt-Cassegrain. Non sono, se mi si permette l’espressione, “né carne, né pesce”. Non posseggono la qualità di immagine che contraddistingue i sistemi a rifrazione e nemmeno la brillantezza di immagine tipica del newton semplice. Accettate queste caratteristiche di fondo, a cui va aggiunta una notevole ostruzione centrale (generalmente prossima al 35% calcolato sul diametro dello strumento), e digerita la loro “mediocrità”, si fanno però benvolere in virtù della notevole compattezza e di una generale facilità d’uso. Con la serie ACF, la Meade ha inoltre corretto un altro difetto tipico delle configurazioni Cassegrain: le aberrazioni geometriche extra assiali. L’acronimo della sigla significa “Advanced Coma Free” e corregge, appunto, il coma e altre distorsioni tanto da non fare rimpiangere un sistema RC classico e permettere, almeno in campo visuale, di godere di larghe vedute tendenzialmente prive di deformazioni. In effetti, ciò che viene promesso è mantenuto. L’impiego di un oculare da 56mm. e 52° di campo apparente, unito ai 3 metri di focale del Meade, consente un potere di 54x circa e un relativo campo reale di 1°. Il tutto molto ben corretto, tanto che anche a bordo campo non risultano apprezzabili (almeno in modo significativo) distorsioni di sorta sulle immagini stellari. Leggermente meno bene l’ottica sembra invece lavorare con i vecchi (ma qualitativamente apprezzabilissimi) oculari SWA della serie 4000. Il 40mm, che offre un campo apparente di 68°, fornisce 75x, un campo reale lievemente inferiore al plossl da 56mm., ma anche una distorsione leggermente più pronunciata a bordo campo. Ottime, invece, le prestazioni con il 32mm. SWA da 2”, che con i suoi 100x circa si pone come l’oculare perfetto per indagare gli oggetti extra galattici del cielo profondo. INDICAZIONI GENERALI: L’ottica da 12” ACF pesa circa 18 chilogrammi e richiede montature molto robuste per essere sostenuta adeguatamente. A questo proposito suggerirei di rinunciare alla popolare EQ6, sopra la quale vedo installati gli strumenti più disparati, in quanto inadeguata a lavori seri con questo Meade. Regge lo strumento, è pur vero, ma la capacità di smorzamento delle vibrazioni è molto limitata e il carico notevole per la sua meccanica. Se ci si vuole dotare di un simile strumento rinunciando al suo sistema originale a forcella (anch’esso non esente da critiche), consiglio di optare per una montatura della classe almeno della Losmandy G11, delle varie G41/G42, o pari livello. Accettato di installare il tubo ottico su una montatura adeguata che ne permetta di rilevare vizi e virtù senza rischiare di sotterrarli sotto continue vibrazioni, mi permetto di ribadire un concetto fondamentale legato a questo tipo di ottiche. Come ben sa chi usa questi telescopi, uno dei loro talloni d’Achille (almeno dagli anni ’80 in poi visto che i primissimi Schmidt-Cassegrain erano dotati di un differente tipo di focheggiatore – ricordiamo i “Pacific-Celestron” bianchi e blu) è rappresentato dal fastidioso focus-shift introdotto dal sistema di traslazione dello specchio primario. L’esemplare in mio possesso, ad esempio, risulta fortemente affetto da tale problema. C’è chi non se ne cura ma, obiettivamente, non solo rende più fastidiosa la messa a fuoco ma induce anche il logico sospetto che l’asse ottico venga lievemente inclinato, con i conseguenti effetti negativi sulla focalizzazione. Per risolvere il problema (almeno a livello visuale) è sufficiente bloccare lo specchio primario con l’apposita frizione e aggiungere un focheggiatore esterno sulla culatta. Oggi vanno di gran moda i cryford (una invenzione oscena che spero venga presto dimenticata) ma è possibile reperire (finalmente) dei nuovi pignone e cremagliera sovradimensionati. Io avevo a disposizione un Baader di buona qualità e mi sono accontentato, ma non nego di pensare a un grosso pignone e cremagliera classico con cui sostituirlo in futuro. Con questo “retrofit” (parola bruttissima ma in voga.. ma perché non ci si impone di usare “modifica”?!) il tubo ottico torna a performare, almeno nella sua parte meccanica atta alla focheggiatura, come dovrebbe. Ritengo, a questo proposito, che sia una vergognosa la scelta dei costruttori (Meade e Celestron in testa) di non dotare le loro ottiche di un sistema a parallelogrammo (tipo quello degli Intes-Micro ad esempio) per la traslazione dello specchio principale o, in alternativa, installare un focheggiatore esterno come dotazione “di serie”. Il costo della sola ottica ACF nel diametro di 12” supera abbondantemente i 4000 euro: non credo che se costasse 4.200 euro qualcuno troverebbe la differenza una discriminante all’acquisto. Una volta installato sulla montatura per i primi test di natura ottica (nel mio caso ho scelto una Alter D6 su colonna in ferro da 23 cm. di diametro, controventata adeguatamente), e ottenuto un buon equilibrio termico delle ottiche (nel mio caso abbastanza veloce disponendo di una postazione fissa e di aree di mantenimento dei telescopi a temperatura “ambiente-esterno”), il bidoncino di casa Meade si dimostra adeguatamente corretto. Le immagini di intra ed extra focale appaiono piuttosto simili (non identiche ma molto vicine, più di quanto mi aspettassi) e non denotano apprezzabili ribattiture o rugosità. Si tratta, almeno nell’esemplare in mio possesso, di una ottima correzione (in riferimento alla lavorazione non “custom”). La focalizzazione risulta conseguentemente piuttosto buona, con una immagine ben circolare distinta in un disco di airy piccolino e ben delineato e da 3-4 anelli i di diffrazione. I primi due luminosi, il terzo e il quarto meno brillanti a “scemare”. La collimazione è piuttosto agevole anche senza l’ausilio delle manopoline aggiuntive (che comunque consiglio data l’esigua spesa per averle: circa una ventina di eruo euro). Sia ben chiaro: 20/25 euro per 3 vitine sono una vergognosa follia che grida vendetta, ma la comodità di collimazione che si acquista con esse è tale che si può decidere di lasciarli volutamente derubare e vivere comunque felici. Lo strumento mantiene la collimazione anche dopo alcuni passaggi al meridiano. Solamente dopo una serata di prove, test, inversioni, etc. ho notato una lieve perdita di collimazione, che si traduceva in un abbassamento del contrasto e un peggioramento della focalizzazione. Un problema piuttosto relativo, vista la sua marginalità, ma ritengo doveroso segnalarlo. A questo proposito mi permetto di dissentire con alcuni artigiani produttori di telescopi che vogliono a tutti i costi far passare per inadeguate le meccaniche Meade e Celestron. Attualmente possiedo 3 SchmidtCassegrain prodotti a circa 10 anni di distanza l’uno dall’altro: 1 Meade 20cm., un Celestron 20 cm, un Meade 30 cm. Tutti e tre hanno meccaniche adeguate al loro peso e dimensione. Sicuramente si tratta di meccaniche semplificate e probabilmente poco “controllate”, ma, almeno nei miei casi, funzionano egregiamente. Come mai? Sarà mica io che sono così bravo da farle performare al meglio? Chissà… Ultima nota statica riguarda il cercatore che, per la prima volta nella mia esperienza con casa Meade, si fa apprezzare. Solitamente, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, i puntatori installati sui telescopi della ditta americana sono sempre stati dotati di meccanica “plasticosa” e contraddistinti da una resa ottica imbarazzante. Quello fornito con questo esemplare di ACF 12” risolleva invece un poco la mia considerazione dell’accessorio Meade. La meccanica resta non eccelsa (ma è migliorata: finalmente si riesce ad ottenere un allineamento accettabile del campo inquadrato) e la resa ottica è decorosa. Non siamo a livello Takahashi o Pentax: quelli restano “altri mondi”, ma finalmente abbiamo a disposizione un qualcosa che funziona e fa il suo lavoro. Comoda, in teoria, la maniglia posta sulla culatta del telescopio… in pratica a cosa serve dato che oggigiorno si lavora con montature computerizzate che non vanno nemmeno toccate a mano? ALTA RISOLUZIONE: PIANETI Per farmi un’idea delle prestazioni planetarie del Meade ho atteso, in una notte singolarmente tiepida per i 1850 metri da cui è stata vissuta, il sorgere di Giove e di Venere, e per ingannare l’attesa mi sono concentrato sul lontano Urano. Il pianeta verde non fa mai molto testo ed è, più che altro, oggetto di curiosità. Appare, anche a ingrandimento moderatamente elevato, poco più di un dischetto verdognolo chiaro senza particolari rilevabili. Devo purtroppo segnalare che, al momento dell’osservazione, il mio parco oculari era limitato e la focale più corta a disposizione era rappresentata da un 13,8mm. SWA (che offre un potere di circa 220x). La levata di Giove, accompagnato dal gigante Orione, ha permesso un test più indicativo. Le condizioni di seeing locali, soprattutto sugli oggetti poco alti rispetto alla silouette delle montagne, non permette grandi prestazioni ma la notte era meno turbolenta del solito e sono riuscito a godere una bella immagine del pianeta gassoso. A 200x, offerti dall’oculare da 15mm. super plossl, i dettagli erano molti, più di quanti ne potessi disegnare. Indentellature ben nette, molte bande visibili, la macchia rossa (molto poco rossa oramai) visibile al bordo del pianeta, alcuni festoni nella zona equatoriale ben delineati. L’immagine offriva il miglior contrasto con l’utilizzo di un filtro verde n° 56 che esaltava le zone rosse. L’utilizzo del filtro (verde piuttosto scuro) attenuava inoltre in modo adeguato la luminosità del pianeta che, già con 30 cm., diventa eccessiva e tende a “bruciare” i particolari. Venere, pianeta molto poco adatto a un S-C da 30 cm., era ovviamente abbagliante tanto che l’immagine a 200x risultava quasi inguardabile. Il filtro verde aiutava, ma avrei avuto più risultato da un violetto che, purtroppo, era rimasto in altra valigia accessori. Sui pianeti, almeno quelli osservati e nelle condizioni della nottata, lo strumento si è comportato sorprendentemente bene. Pur non raggiungendo la piacevolezza di un rifrattore apocromatico a fuoco medio/lungo, né il suo dettaglio, ha comunque retto decorosamente offrendo immagini coinvolgenti e con una quantità di informazioni piuttosto elevata. ALTA RISOLUZIONE: STELLE DOPPIE Altro campo di applicazione tipico dell’alta risoluzione è l’indagine di sistemi stellari multipli. Il mio sito di alta montagna non è adatto, se non nelle zone prossime allo zenith, a lavori “seri” in tale campo e quindi riporto una osservazione effettuata due mesi fa dalla mia postazione milanese dove, all’interno di un grandissimo parco, godo di condizioni di seeing piuttosto buone. Osservazione del: Località: Luna: Seeing: Temperatura: Umidità: Strumento: 30/6/2012 Milano 2 giorni dopo il 1° quarto variabile tra 5/10 e 6/10 con qualche punta a notte fonda a 7/10 (raramente) + 27/28°C medio-alta MEADE 12” ACF su montatura ALTER D6 con FS2 La prima coppia di stelle che punto è la Struve 2666 nel Cigno. Si tratta di un sistema posto a 20,18 + 40,44, con componenti di magnitudine 6,0 e 8,2 separate da 2,8”. La stella primaria appare bianca e la secondaria lievemente azzurrata. L’oculare che offre l’ingrandimento più adatto è il Takahashi LE 12,5 mm. che abbinato al Meade oggetto del test sviluppa circa 240x. A questo potere le stelle appaiono ben separate ma l’immagine risulta un po’ “flou” e denota una incisione limitata. L’utilizzo dell’oculare LE da 7,5 mm. porta l’ingrandimento al rispettabile valore di circa 400x e permette di cogliere meglio le dominanti cromatiche delle stelle. L’aumento di potere corrisponde però ad un ulteriore perdita di incisione. Va detto che, al momento, il valore medio del seeing locale non è eccelso. La componente secondaria, confrontata con altre stelle di campo, appare meno azzurra e più grigio/bianca. Restando all’interno dei confini del Cigno, che culmina allo zenith in queste ore, volgo l’attenzione ad un altro sistema multipolo, catalogato da Struve al n° 2671 del suo catalogo. Si tratta di un sistema binario posizionato a 20,18 + 55,24 con componenti da 6.0 e 7,5 separate da 4”. La coppia viene separata già molto bene con l’oculare LE 30mm (potere di circa 100x). La stella primaria è sicuramente bianca mentre la compagna denota tonalità vagamente giallognole. Passare all’oculare LE 18mm. (166x) sembra permettere il miglior compromesso tra saturazione, ingrandimento, e pulizia di immagine. La percezione dei colori diviene più naturale e facile: la primaria ingiallisce un po’ e la secondaria tende a colori più freddi divenendo leggermente azzurrata. Dopo aver trascritto qualche appunto e giocherellato con il riccio ospite del mio giardino taro nuovamente il sistema GO-TO dell’FS2 su Sadr e controllo la collimazione delle ottiche. Sempre tra le plaghe del Gigno, mi sposto sulla Struve 2668, coppia fisica posta a 20,20 + 39,24 con componenti di mag .6,3 e 8,5 e separazione di 3”. E’ una “doppia” che mi piace molto: è facile (già ben risolta con l’oculare da 18mm.), relativamente poco sbilanciata (la differenza di magnitudo tra le componenti non supera i 2 punti), e posta in un campo stellare ricco. La componente principale brilla di luce bianco-giallastra mentre la compagna è bianco-grigia, forse con tono azzurrino. Il Takahashi LE 12,5 mm. (potere di 240x) aumenta la separazione percepita e conferma il dato cromatico riportato. Il sistema risulta già gradevole a ingrandimenti più contenuti, comunque. L’oculare da 30mm. (potere di 100x) mostra le stelle già be separate anche se tende a far perdere la corretta cromia alla componente secondaria che, per via della vicinanza della luminosa compagna, tende ad apparire più gialla di quanto non sia. Interessante, per confronto di visione, leggere quanto annotavo in una osservazione dei medesimi sistemi effettuata dall’alta montagna, nella mia postazione in Valle d’Aosta a 1900 metri, sotto un cielo buio e con un rifrattore apocromatico da 105mm. (Pentax 105 SD): Struve 2666 - 20,18 - 40,44 magnitudine 6,0 - 8,2 separazione 2,8". Questa doppia si trova immersa nel cuore della Via Lattea del Cigno, tra decine di altre stelle doppie e multiple. Con il 10mm. Plossl si coglie già la dup0licità del sistema che diventa evidente e facile con il 6mm. Direi che la primaria ha luce bianca e anche la sua compagna, benché appaia più grigio/azzurrata a causa della bassa luminosità. Sistema sempre bello da vedere che non può mancare in una carrellata completa di questa costellazione. Inserendo il plossl da 4mm (che offre circa 250x) il sistema è superbamente separato ma la secondaria tende a “spegnersi” eccessivamente perdendo smalto e incisione. Resta migliore la visione offerta a 170x dal 6mm. Molto bella è anche la visione d'insieme offerta dal SWA 40mm che, con i suoi 25x e il campo di quasi 3° permette visioni spettacolari di molte regioni stellari. In questo caso la Struve 2666 appare insieme alla brillante SADR e alla Struve 205 che gli è vicina e che si disegna di due stelle di magnitudine 7,1 e 8,9 separate da circa 46" Struve 2668, situata a 20,20 e +39,24 è un sistema multiplo formato da due componenti di mag. 6,3 e 8,5 separate da 3". Il sistema risulta già separato all'oculare da 10 mm. Plossl mostrando un'immagine quieta e dettagliata benché in scala ridotta con la stella principale netta e la compagna adagiata poco oltre l'anello di diffrazione. Il plossl da 6mm. offre una immagine migliore e più facile con una separazione tra le due componenti più godibile e fa virare il colore della secondaria verso un grigio-azzurro tenue. Vagabondando per sistemi multipli, non si può dimenticare di osservare quello che è uno tra i più belli del suo genere in questa piccola regione di cielo. Catalogato come Otto Struve 403 o Struve 2657 è, in realtà, un bellissimo sistema triplo posizionato a 20,15 + 42,06. Le componenti sono di magnitudine 7,4 – 7,6 – 10 con separazioni di 0,8” e 12”. E’ un sistema “fantastico”, sotto molti punti di vista. L’oculare da 30mm. LE Takahashi (con il quale comincio l’osservazione), mostra una coppia di stelle con primaria bianca ben luminosa e secondaria decisamente più debole ma di colore cobalto intenso. Già così il sistema è sufficientemente bello da meritare attenzione, ma il fatto che, snocciolando gli ingrandimenti, fiorisca in un sistema triplo aggiunge ulteriore fascino. Ciò che colpisce di più ai bassi ingrandimenti (100x) è la saturazione mostrata dalla stella secondaria di 10° magnitudine. Sembra quasi che qualcuno l’abbia colorata con un pastello a cera di tono opaco ma intenso. L’oculare da 18mm. LE tende a stemperare un poco la cromia di questo astro cobalto e a lasciare tendenzialmente irrisolta la stella principale anche se sembra notarsi un certo allungamento in direzione di 30° dalla direttrice immaginaria che porta alla componente di decima. Inserendo il Takahashi LE da 7,5mm. la visione cambia radicalmente. I 400x permessi portano un indebolimento consistente della componente blu, che stempera ulteriormente il suo colore pur restando ben bluastra, ma anche la risoluzione piena della componente principale. Quella che era una stella singola si è trasformata in una bellissima doppia stretta, con i dischi di airy delle componenti separati e il primo anello di diffrazione quasi interpolato. L’angolo di posizione di queste due componenti si dimostra essere inclinato di circa un 40° rispetto la congiungente con la compagna blu, confermando la percezione di allungamento offerta agli ingrandimenti minori. Entrambe le componenti appaiono di uguale magnitudo (differenza reale pari a 0,2 punti) e di identica colorazione bianca. L’immagine non è pulita come prima ma la visione resta decisamente suggestiva. Per pura curiosità rimetto mano alla borsa degli oculari, scarto il 5mm. LE (che probabilmente potrebbe essere utilizzato con maggiore profitto) ed estraggo il 2,8mm. LE. Il potere enorme offerto da questo oculare in combinazione ai tre metri di focale del telescopio Meade (circa 1070x), rende la separazione percepita del “duo” molto più elevata. Si fa però fatica a cogliere con continuità i dischi di airy delle componenti, che “vanno e vengono” straziati dalla microturbolenza del seeing, e la visione risulta obiettivamente scarsamente utile. Il successivo sistema lo troviamo in cielo a 20,14 + 53,07 e, al numero 2658 del catalogo di Struve. Si tratta di un sistema binario con componenti di luminosità 7,2 e 9,4 separate da un angolo di 5”. La coppia è bellissima a 100x, con una primaria bianca e una componente secondaria che appare a tratti stranamente “beige” e a tratti grigio-azzurra… misteri della visione! E’ un sistema consigliato a chiunque, grazie alla separazione relativa, ma destinato soprattutto a strumenti di apertura prossima ai 20/25 cm. se operanti sotto cieli inquinati, a ad almeno 12/13 cm. a lenti se operanti sotto cristallini cieli montani. Con l’oculare da 18mm. (potere di 166x) si percepiscono meglio i colori. L’immagine è molto bella: la primaria bianco/gialla, la secondaria grigio/azzurra… guardatelo! L’ultima doppia della serata risulta anche essere la più difficile. Situata a 20,34 + 34,41, è composta da stelle di magnitudine 6,6 e 9,7 separate da 1,5”. E’ conosciuta al catalogo di Otto Struve al numero 408, nel Cigno. Il divario di luminosità tra le componenti (pari a 3 magnitudini) e la separazione non abbondante richiedono buon seeing (al momento della prova stimato intorno a 6/10), quiete e ingrandimenti medio elevati, almeno utilizzando uno strumento con ostruzione importante come quella di un S-C. A 400x (oculare Takahashi LE 7,5mm.) il sistema è risolto con discreta facilità per quanto riguarda la separazione tra le componenti. La secondaria però non brilla molto e l’immagine non ha certo la secchezza tipica di un rifrattore. E’ incredibile notare come sistemi come questo mettano in evidenza i limiti strutturali ottici di configurazioni ostruite come gli Schmidt Cassegrain. Tanto performante sulla “403” quanto, tutto sommato, deludente su questa “408”. Un rifrattore da 12 cm. farebbe molto meglio, con una immagine finale secca e incisa. Detto questo anche la visione attraverso il grosso Meade non è scevra di fascino. Se è vero che l’immagine appare “fluo” e tremolante, è altrettanto vero che riesce comunque a restituire l’idea di questi due soli lontani, tanto diversi l’uno dall’altro, che ruotano in un eterno, lento, walzer. Da vedere, insomma. Meglio se sotto cieli bui e tersi e con l’oculare installato su un rifrattore da 15 cm. di ottima fattura, magari un apocromatico di qualità. CIELO PROFONDO: Il test è stato effettuato da località montana a buona quota (1850 metri) dove ho la mia postazione “deep sky”. Si tratta di una “oasi felice” sulle Alpi valdostane. Sebbene non assolutamente scevra di un minimo inquinamento luminoso, dovuto principalmente alla centrale valle d’Aosta, la postazione è incastonata sotto alle cime del Polluce e di Castore e sotto al Naso del Liskam, in una sacca di valle dove non si giunge in automobile e dove la luce locale è praticamente assente. Non ho mai misurato il valore di trasparenza (di cui tanto si beano alcuni astrofili: sembra che misurino solo quella, mah!) e quindi non posso restituire un dato oggettivo. Posso però riportare che si riesce a scorgere, a occhio nudo, un accenno dell’ammasso globulare M13 in Ercole, oltre a molte delle nebulosità famose lungo la Via Lattea poste tra lo Scudo e il Sagittario, o le facili sagome di M31, del doppio ammasso del Perseo, e di altre formazioni celebri. Vediamo, con queste premesse, e ricordando di aver operato in condizioni molto buone di umidità e discreta quiete atmosferica, nonché di assoluta mancanza di Luna nel cielo (le osservazioni sono state fatte a cavallo della Luna Nuova del 12 agosto 2012). Osservazione del: Località: Luna: Seeing: Temperatura: Umidità: Strumento: 12-20/8/2012 Le Drole (Val D’Ayas) – 1850 s.l.m. intorno al novilunio variabile tra 5/10 e 6/10 + 10/15 °C media MEADE 12” ACF su montatura IOPTRON IE45Q Nel tentativo di rendere visibile, oltre che con le parole, quanto visto all’oculare sono andato a cercare immagini significative prese dal net e le ho trattate con programmi di fotoritocco (PS CS3 e altri) in modo tale che restituissero l’immagine telescopica. NGC 5585 Galassia molto diafana e tendenzialmente priva di condensazione centrale rilevabile (si intravede qualcosina ma molto al limite). Appare lievemente elongata. NGC 5866 Galassia piuttosto bella all’oculare. Di dimensioni contenute ma ben contrastata con il fondo del cielo. Presenta un discreto allungamento con un rigonfiamento centrale del disco galattico intorno alla condensazione centrale del bulge ben visibile e netta. Sembra apparire, con visione distolta, un chiaroscuro presente sulla sua sagoma che potrebbe essere o una regione più luminosa o una stellina che vi si proietta prospetticamente. Osservazione proficua e target sicuramente da ricercare con aperture prossime ai 30 cm. NGC 5879 Galassia piccola con condensazione centrale ben visibile. Di forma allungata si percepisce meglio con visione distolta, con cui si allungano le estremità e si assottigliano spingendosi nei dintorni scuri del profondo cielo. NGC 5907 Si presenta ovviamente allungatissima tanto da occupare più di 1/3 del campo mostrato dall’oculare grandangolare da 32mm. Appare come un fuso di luce quasi regolare e molto sottile. Il bulge centrale appare nastriforme e disposto lungo l’asse della galassia. Uno dei due lati appare più diafano e screziato di irregolarità che si percepiscono con visione distolta. NGC 6166 Galassia decisamente debole e di modeste dimensioni che permette solamente un accenno di visibilità di rinforzo centrale dove presumibilmente si trova il bulge. Appare di forma grossomodo circolare alla visione diretta. Con visione distolta si nota un alone diafano e piccolo di forma poco allungata. NGC 5985 – 5982 – 5981 Un terzetto di galassie molto affascinante che vengono contenute bene nel campo dell’oculare da 32mm. grandangolare. Tutte e tre sono discretamente staccate dal fondo cielo e ben definite nelle loro differenti morfologie. La 5985 è piuttosto uniforme con un bulge visibile e luminoso. La 5982 appare più piccola ma più luminosa, con un centro ben netto e definito, oltre che brillante. È disposta, come la seguente 5981, con asse di sviluppo quasi perpendicolare alla 5985. NCG 5981 appare come il membro più debole del trio. E’ molto allungata e appare priva di condensazione centrale apprezzabile. E’ uniforme e diafana. NGC 6015 Un ovale allungato di medie dimensioni senza condensazione centrale apparente o comunque significativa. La galassia non mostra luminosità elevata ma appare comunque ben contrastata con il fondo cielo scuro. Molto bella, poiché offre maggiore sensazione di profondità all’immagine, una debole stellina che si proietta su una delle estremità della galassia. NGC 4750 Galassia compatta e di dimensioni contenute, non molto luminosa ma comunque ben visibile. Di forma rotondeggiante con allungamento quasi nullo presenta un notevole gradiente luminoso in dimensioni molto limitate. Il bulge centrale, che occupa più di metà del disco galattico, è luminoso e il suo splendore degrada velocemente a formare un alone molto ridotto e diafano. NGC 4589 Si tratta di una galassia piccola, con forma ovale poco allungata e luminosità tale da renderla ben apprezzabile. Il nucleo è praticamente puntiforme (stellare) e molto ben visibile, mentre una debole stella si proietta sul bordo esterno del disco galattico. La visione distolta, forse in modo ingannevole, mostra un nodulo e un chiaroscuro, quasi si trattasse di una spirale compattissima. Ritengo tale dettaglio frutto di un abbaglio ottico, comunque. L’alone galattico è molto debole e diafano. NGC 4319 – 4291 – 4589 Terzetto di galassie affascinante e da non perdere. Tutte e tre hanno caratteristiche morfologiche ben definite e visibili, tanto da offrire un quadretto delicatamente meraviglioso. All’oculare da 32mm. SWA, che le contiene bene tutte e tre, formano un triangolo scaleno. Immagine suggestiva. Le componenti sono sufficientemente luminose da permettere l’indagine in visione diretta anche se, ovviamente, quella distolta le rende più corpose. Da vedere. NGC 4236 Una galassia molto grande (occupa più di 1/3 dell’oculare) ma molto diafana e uniforme. Di aspetto decisamente debole appare come un lungo fuso piuttosto spesso con un accenno di rigonfiamento centrale. Si percepisce anche un alone circostante estremamente debole. NGC 6543 – CAT’S EYE Nebula A mio parere una tra le più belle nebulose planetarie del nostro emisfero. Personalmente la ritengo fin troppo luminosa tanto che per discernerne la particolarità da cui deriva il nome va osservata sopra i 150 ingrandimenti circa. A poteri poco superi ai 200 ingrandimenti (oculare Meade SWA 13,8 mm.) appare proprio come un occhio felino. La pupilla è rappresentata dalla stella centrale che brilla luminosa e si evidenzia nettissima dal resto della nebulosa. L’iride è estremamente densa e luminosa, con una tonalità vagamente verdastra, mentre il “resto dell’occhio”, più debole ma molto ben definito, è di forma a mandorla. Visione splendida anche a poteri prossimi ai 300x. NGC 6503 Questa galassia è semplicemente bellissima. Ben luminosa e fortemente allungata si distingue anche per uno spessore notevole rispetto ad altre galassie viste di taglio. L contrasto con il fondo cielo appare elevato e la galassia risulta ben disegnata e ben poco diafana, se non nelle sue propaggini più esterne. Una stellina debolissima (più forse un’altra) si proietta prospetticamente lungo la sua sagoma e risulta avvertibile con visione distolta. Bellissima. NGC 6939 Ammasso aperto bello e ricco di stelle (se ne contano una settantina o forse un centinaio a seconda di dove si decida di porre i confini visuali dell’ammasso) con una forma triangolare accentuata dalla disposizione curiosa delle sue componenti più luminose. NGC 6946 Una galassia molto grande (occupa più di 1/3 dell’oculare) ma molto diafana e uniforme. Si intravede un nucleo centrale piuttosto piccolo e alcune variazioni di luminosità nell’alone che ha forma irregolare e molto diffusa. Il telo nero aiuta la percezione del tutto e rende meglio discernibili i gradienti luminosi nell’alone. Non è piatto e continuo, ma è formato da leggerissime spirali appena percepibili, al limite della visione e non senza sforzi. L’immagine è però certa e degna di grande stupore per la delicatezza dell’insieme. NGC 6951 Piccola, non brillante eppure ben visibile non presenta apprezzabile condensazione centrale. Di forma un poco allungata non offre grandi particolarità morfologiche, almeno con aperture intorno ai 30 cm. NGC 7008 Altre bellissima nebulosa planetaria che delizia attraverso qualsiasi strumento. Ricordo, di questo oggetto, alcune osservazioni eseguite con rifrattori apocromatici da 4 pollici che ne evidenziavano molto bene la forma irregolare e simile a quella di un punto di domanda. Con aperture da 30 cm. la visione diviene praticamente fotografica. 4° 5 stelline si proiettano sulla sua sagoma che mostra le indentature, le anse e i gradienti di luminosità ben visibili nelle fotografie a lunga posa. E’ uno dei pochi oggetti che non sfigura all’oculare rispetto alle fotografie. Davvero magnifica. CONCLUSIONI: Dopo tutto quello che è stato scritto, e in base alle proprie esperienze personali, chiunque ritengo possa esprimere un giudizio generale su questo strumento. E’ però solamente usando davvero un’ottica che si può, a mio avviso, capire fino a che punto sia valida o meno. Questi nuovi ACF sono degli Schmidt Cassegrain molto migliorati dal punto di vista ottico, almeno rispetto ai loro predecessori degli anni ’90. I trattamenti antiriflesso sono talmente avanzati da non essere quasi visibili, le ottiche sono ben lavorate e non presentano rugosità o imperfezioni apprezzabili. Contrariamente a quanto asseriscono alcuni (più che altro per ovvie ragioni commerciali) la loro meccanica è al livello delle ottiche e adeguata. Insomma, sono dei buoni strumenti a cui si può chiedere tanto e che si adattano a fare un po’ di tutto. I veri contro sono di natura puramente statica a mio avviso. Il peso, in primis, è notevole e obbliga a utilizzare montature da 4/5000 euro per poter sfruttare appieno le ottiche. Il sistema di focheggiatura, in secundis, è osceno e richiede la modifica di cui abbiamo parlato (circa 200/250 euro). Infine ritengo sia molto utile un paraluce che impedisca (od ostacoli) la formazione di condensa sulla lastra di Schmidt durante le osservazioni prolungate. Sconsiglierei a questo proposito i sistemi “molli” con velcro che vengono generalmente venduti e propenderei per un lamierino in alluminio ben fatto, della lunghezza di circa 20/25 cm. (di più non serve e tende ad appesantire il tubo ottico). Bene, io ne ho uno di questi ACF da 12”. Lo ricomprerei? E questa è, infine, la domanda saliente. Probabilmente sì, per le applicazioni sul cielo profondo, campo in cui eccelle a mio avviso, solamente se avessi già una montatura adeguata da dedicargli. Ora dovrò decidere se tenerlo e acquistare una nuova G11 gemini o similare oppure no… L’OTA, considerato quanto scritto, è concorrenziale sul mercato attuale? A questa domanda è più difficile rispondere, francamente. Il 12” ACF costa 4000 euro (più o meno), all’incirca quanto un C11HD (rispetto al quale offre 2 cm. in più di apertura ma anche un peso maggiore). Oggi, un C11 normale, costa nuovo 1.800 euro (una differenza abissale in termini percentuali). Non ha il campo spianato, vero, ma a questo si rimedia con l’aggiunta di uno spianatore che costa poche centinaia di euro. Sarebbe una buona scelta per risparmiare molto, a mio avviso, con la onesta accettazione di non avere la “stessa cosa”, però. Costa anche di più di un RC GSO da 12” (che non supera i 3600 euro) e che io, forse, preferirei se non fosse per il fatto che pesa tantissimo (oltre 22 chili). Altri veri concorrenti non sembrano esistere. La TAL non produce più il suo Klevstov da 30 cm., un Intes 1208 costa più di 12.000 euro (quindi non lo considero una alternativa). Detto questo ritengo allineato il costo di questo Meade che, ripeto, è fatto meglio di quanto pensassi. Lo strumento diventa oltremodo concorrenziale se lo si acquista usato e in ottime condizioni. Il vantaggio di questi strumenti “proletari” è quello di avere larga diffusione e quindi di offrire al potenziale acquirente anche un florido mercato di seconda mano. Con quanto si risparmia ci si può dotare di un parco oculari e filtri adeguato (bisogna considerare una spesa intorno ai 1000 euro tra oculari, diagonale da 2” e filtri interferenziali), di un focheggiatore posteriore di buona qualità, di un adeguato paraluce, e di qualche altra amenità della cui utilità ci si possa cercare di convincere. E’ possibile usare questo strumento per lavori seri? Mi riferisco con questi alla fotometria, alla ricerca di supernove extra-galattiche, alla ripresa dei corpi minori del sistema solare, e così via? Assolutamente sì. La sua resa ottica è più che buona e dotato di una montatura adeguata può trasformarsi in uno strumento dalle applicazioni semi-professionali (compatibilmente con il suo piccolo diametro). Ora mi chiedo, quindi, a cosa serva spendere molto di più per dotarsi di strumenti meccanicamente più evoluti e ricercati. Sinceramente non riesco a vedere l’utilità, a meno che la propria pasisone sia limitata alla fotografia del cielo profondo dove, probabilmente, una serie di accorgimenti ottico-meccanici molto mirati potrebbe portare un qualche vantaggio (anche se a costi decisamente più elevati). Dico questo, in conclusione, perché i migliori lavori svolti da astrofili “impegnati”, sono quasi tutti fatti con strumenti dell’estrazione di questo Meade. Tralasciando le “balle da forum” e la massiva pubblicità che alcuni costruttori fanno dei loro strumenti, la maggior parte degli astrofili che lavorano e che producono risultati usa strumenti moderatamente economici come questo. Sicuramente questo avviene perché, appunto, sono alla portata di molti. Ciò che non è però consequenziale sono i risultati che, invece, arrivano puntualmente nonostante l’economicità del tutto. Nulla da eccepire, ovviamente, sulla bontà di alcune ottiche ben lavorate e intubate in modo sopraffino, io stesso sono un amante dei “belli oggetti”. Chiediamoci però, se vogliamo macinare dati e osservazioni, a quanto effettivamente servano. In ultima analisi mi sentirei di consigliare questo strumento in abbinamento a un buon apocromatico da 12/13 cm. o anche a un acromatico ben fatto da 15 cm. e focale prossima al metro, capace, insomma, di indagare quegli oggetti del cielo profondo preclusi al “bidoncino blu di casa Meade”: ammassi aperti larghi e nebulose oscure.