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PARTE TERZA
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LE RELIGIONI DELLA LIBERAZIONE
E DELL’IMMORTALITÀ
L’INDUISMO
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CAPITOLO PRIMO
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Sommario: 1. I Veda. - 2. Il brahamanesimo. - 3. L’induismo. - 4. Le caste indù.
1. I VEDA
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La storia delle religioni dell’India è la storia del pensiero religioso dell’Oriente: l’India fu, infatti, la culla del buddhismo che di là si diffuse in
tutte le grandi nazioni dell’Asia, sulle quali esercitò un’influenza religiosa
destinata a condizionarne la storia politica e sociale e la cultura.
L’India non ha una sola religione, ma sul suo territorio convivono diversi culti che, nati dal nucleo originario dei Veda, hanno poi preso varie direzioni, pur continuando a convivere pacificamente.
I Veda (dal termine sanscrito vid che significa «conoscere») sono raccolte di inni risalenti a circa 1500 anni prima di Cristo e costituiscono il primo
codice poetico e religioso del popolo indiano. Come scrisse il poeta Rabindranath Tagore, i Veda «sono il testamento poetico di un popolo nella sua
reazione collettiva al miracolo dell’esistenza e al suo terrore sacro». I Veda
furono composti dai rishi, i saggi dell’antica India e poi tramandati oralmente dai guru, i maestri.
Le raccolte dei Veda sono quattro: il Rig-Veda è il più antico, mentre il
più recente è l’Athar-Veda, databile con una certa approssimazione al 1000
a.C. Alcuni inni vedici contengono solo melodie o formule sacrificali, men-
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Parte Terza - Le religioni della liberazione e dell’immortalità
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tre altri ci rivelano aspetti importanti del politeismo degli Indo-ariani, i quali probabilmente nel XV secolo a. C. invasero la penisola indiana e ne divennero i dominatori. L’India era allora abitata da popolazioni che seguivano una religione animista e che vedevano in ogni elemento o fenomeno
della natura degli spiriti, per lo più malefici, che essi cercavano di placare
con offerte e pratiche magiche. Gli Indo-ariani avevano, invece, un’organizzazione completa del culto, basata sui sacrifici e sulla preghiera. Molti inni
del Rig-Veda sono dedicati a Indra, divinità del sole, della pioggia, del tuono, ma anche protettore degli Indo-ariani in guerra. Varuna, invece, è il dio
della ragione e del cielo notturno, mentre Mithra è il dio del cielo diurno.
Agni, il dio, dopo Indra, cui sono indirizzati la maggior parte degli inni, è
presente nel fuoco, nel sole, nelle acque.
Gli dei si onorano e si propiziano mediante i sacrifici, che vengono offerti non dai sacerdoti, ma dai capifamiglia: si immolano capre, buoi, cavalli e talvolta anche esseri umani.
Nel periodo vedico non si parla ancora di trasmigrazione delle anime, né
di Karma.
2. IL BRAHAMANESIMO
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Il brahamanesimo è la dottrina filosofica e religiosa che forma il tema
dominante delle Upanishad, trattati in prosa e in versi che costituiscono la
parte finale dei Veda e la cui composizione risale a un periodo compreso tra
l’800 e il 600 a.C. Upanishad significa «comunicazione» o «lettura esoterica». Tra il 1000 e l’800 a. C. la casta dei bramini era riuscita a imporsi sulle
altre caste indiane, sostenendo che la salvezza si può ottenere solo con il
sacrificio compiuto dai bramini. La casta dei guerrieri cercò un’alternativa
che non offendesse nessun’altra casta e la trovò nella teoria che solo la conoscenza rende possibile la salvezza. I bramini, conquistati dall’idea, vi
costruirono intorno la dottrina che è esposta nelle Upanishad. Il Braham
(l’Assoluto) e l’Atman (l’io) sono identici, perché l’Assoluto si manifesta in
ogni anima. L’uomo, schiavo delle cose terrene, muore e rinasce continuamente fino a che non raggiunge il suo destino finale che è la realizzazione
dell’io nella conoscenza dell’identità con il Braham.
Tutto ciò che nel mondo cade sotto i sensi non è che immagine, apparenza di una stessa sostanza universale, il Braham. Per questo è necessario amare tutte le creature, perché in tutte c’è l’io eterno e universale.
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Capitolo Primo - L’induismo
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L’attaccamento alle cose di questo mondo impedisce la suprema beatitudine, perché il loro desiderio fa sì che noi non si arrivi alla conoscenza del
braham se non con il ciclo delle rinascite. Per la legge del karma ogni
opera incide sulla nostra esistenza dopo la morte: l’uomo muore per rinascere e la sua esistenza successiva sarà buona o cattiva secondo le opere
dell’esistenza precedente.
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3. L’ INDUISMO
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L’induismo (definito per tradizione insegnamento eterno) che in India si
sostituì al buddhismo, non era una religione vera e propria, ma un insieme di
credenze e cerimonie i cui seguaci avevano soltanto quattro punti in comune:
— riconoscevano il sistema delle caste e la supremazia dei brahmani;
— veneravano la vacca come rappresentativa della divinità;
— accettavano la legge del karma e credevano nella trasmigrazione delle anime;
— sostituivano con nuovi dei le divinità vediche.
La definizione di induismo si riconduce a una sentenza della Corte Suprema dell’India emanata nel 1966 per chiarire il quadro religioso che riassumeva l’insieme di situazioni religiose del Paese.
Nella definizione di induismo rientrano dunque:
— il rispettoso riconoscimento dei Veda come della più alta autorità religiosa e quindi come base unica dell’induismo;
— la tolleranza e la buona volontà verso il punto di vista dell’avversario,
poiché è rivelato che la verità ha molte apparenze;
— l’accettazione di ognuno dei sei sistemi della filosofia induista, del succedersi senza fine di Yuga (o periodi) di creazione, di conservazione e di
distruzione;
— la fede nella rinascita e nella preesistenza degli esseri;
— l’ammissione di mezzi e modi molteplici per il raggiungimento della
salvezza;
— sebbene le divinità possano essere molte, si è induisti anche non credendo necessario adorare le rappresentazioni (murti) delle divinità.
Nei Veda si afferma che il divino risiede in ogni essere vivente e dunque l’induismo è una religione che si concreta nella conoscenza di sé e nella
ricerca del sacro in ogni forma di vita, implicando con questo un carattere
profondamente etico.
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Parte Terza - Le religioni della liberazione e dell’immortalità
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Le scuole di pensiero vediche
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Le scuole di pensiero vediche sono sei:
1. Samkhya (o Sankhya)
Il Samkhya è ritenuta la più antica delle sei darshana. L’Universo si articola in due realtà
eterne: Purusha e Prakrti. Il Purusha è l’anima, il puro principio spirituale, senza attributi
e caratteristiche, eternamente cosciente. Prakriti è la materia, la natura ed è costituita da tre
influenze (Guna): stabilità, attività, indolenza. Se le tre influenze non sono in equilibrio tra
loro, il mondo concreto è in evoluzione e ciò accade quando Purusha e Prarkirti si avvicinano (e allora la natura agisce). L’equilibrio si ripristina quando i due si allontanano (e l’anima è conoscente ma contemplativa e non agente). Quindi, la Kivalya (la Liberazione) consiste nel comprendere e realizzare la differenza tra l’anima e la natura.
2. Nyaya
Il Nayaya diventa sistema metafisico, ma nasce come speculazione filosofica. I testi su cui
si basa sono noti come Nyaya Sutra e sono stati scritti nel II secolo da Aksapada Gautama.
La sua importanza consiste nell’aver proposto un sistema filosofico di base: l’unica maniera di conseguire la liberazione dalla sofferenza consiste nell’avere una valida conoscenza,
dove per conoscenza si intende ciò che non può mai essere sottomesso a dubbio oppure a
contraddizione e che ci consente di cogliere la realtà per ciò che è. Per contrasto, i nemici
della conoscenza sono il dubbio e il ricordo.
3.Vaisheshika
Questa darshana è la dottrina «distintiva» che si concentra sull’analisi dell’esistente, finalizzata a conoscere le cose in quanto tali, come se si trattasse di un realismo atomistico
pluralista. Nel tentativo di definizione dei caratteri generali di ciò che esiste sono state
postulate sei categorie (padartha): sostanza, qualità, azione, generalità, particolarità, inerenza. Il fine di tale classificazione è liberare la coscienza individuale, intralciata dall’ignoranza.
4. Yoga
Lo Yoga è l’insieme delle tecniche che permettono l’unione di corpo, mente e anima con lo
spirito divino (Paramatma).
La prima opera sistematica sulle tecniche dello Yoga è stata scritta da Patanjali (vissuto in
un periodo da collocarsi tra l’800 e il 300 a.C.) e consta di 185 aforismi. L’autore indica
otto arti (o stadi) dello Yoga che portano all’unione: Yama (i comandamenti morali), Niyama (l’autpurificazione), Asana (le posizioni), Pranayama (il controllo della respirazione), Pratyahara (l’emancipazione della mente), Dharana (la concentrazione), Dhyana (la
meditazione), Samadhi (l’unione).
5. Purva Mimamsa
L’obiettivo principale del Purva Mimamsa è stabilire l’autorità dei Veda. Dunque, il suo
maggior contributo è stato la formulazione delle regole interpretative dei Veda.
I suoi aderenti credono che la vera conoscenza sia provata con evidenza e hanno tentato di
scoprire con la ragione la base del ritualismo vedico.
La Mimamsa è la base del ritualismo nell’induismo contemporaneo.
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Capitolo Primo - L’induismo
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6. Le tre scuole del Vedanta
Tra i darshana, il Vedanta è la base della maggior parte delle scuole moderne dell’induismo. Vedanta è una parola in sanscrito che significa «summa dei Veda» e si fonda sull’interpretazione mistica e cosmologica di questi testi, che accolgono la Scienza sacra e la
tradizione induista. Il termine Vedanta si utilizza in riferimento alle Upanis̆had, che erano
elaborazioni dei Veda, e alle scuole nate dallo studio (Mimamsa) delle Upanis̆had.
Tutte le scuole Vedanta hanno in comune alcuni principi: la trasmigrazione del Sé (Samsara) e la liberazione dal ciclo delle rinascite (moksha); l’autorità dei Veda sui modi di liberazione; che il Brahman è la causa materiale (upadana) e strumentale (nimitta) del mondo;
che il Sé (atman) è colui che compie i propri atti (karma) e il destinatario delle loro conseguenze (phala).
• Advaita
Secondo l’Advaita, il Sé e l’Unità si uniscono nell’Assoluto. Brahman è immanente e trascendente e trascende la dualità e gli opposti poiché la sua natura intima è incomprensibile
dalla mente umana. Adi Shankara, il più celebre esponente della scuola, sosteneva che un
devoto è in grado di andare verso la liberazione e di realizzare il suo Sé interiore attraverso
l’altruismo e l’amore, gestiti dalla discriminazione (viveka) mentre il discernimento astratto non conduce a nulla.
La filosofia Advaita considera l’universo divenire incostante e impermanente, mentre l’Assoluto che ne è il substrato che lo sottende, non diviene, è costante e permanente. Considerare reale ciò che è solo una sovrapposizione al Reale è un errore dovuto all’illusione (Maya)
determinata dall’ignoranza metafisica (avidya) e da questo deriva il dolore dell’umano.
Dunque, l’uomo deve superare il velo illusorio della realtà per rivelare la vera natura, che
non è cambiamento tra vita e morte ma perfezione e gioia assolute ed eterne.
• Vishishtadvaita
Il principale rappresentante di Vishishtadvaita Vedanta è Ramanuja. Secondo questa scuola, il Brahman è non-duale, ma ha attributi e peculiarità (vishesha) nonostante i quali rimane uno e eguale a sé stesso.
• Dvaita
Questa scuola si basa su quanto teorizzato da Madhvacarya. L’anima, la materia, il tempo
(kala) e l’azione (karma) sono realtà che dipendono dall’Essere Supremo (Vishnu) e le
differenze non sono illusione (maya), ma sono reali.
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A) La Trimurti
Le tre principali divinità del Pantheon (Trimurti) induista sono: Brahama (da non confondere con il Brahman), Vishnu e Shiva. Brahma rappresenta il creatore, Vishnu il conservatore e Shiva il distruttore all’interno del
ciclo dell’esistenza.
Brahma è il primo a essere creato all’inizio di ogni ciclo cosmico (kalpa) ed è anche la prima manifestazione del Brahman, dunque è il Principio
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Supremo dell’universo e il padre di tutti gli esseri. La tradizione lo rappresenta con quattro teste, quattro braccia, quattro gambe e sui suoi quattro
volti ogni bocca recita uno dei quattro Veda. Nelle mani tiene: un bicchiere
di acqua (per creare la vita); un rosario per lo scorrere del tempo; il testo dei
Veda e un fiore di loto.
Brahma, divinità dell’Intelligenza universale, risiede nel cuore e per questo si diceva anticamente che il cuore fosse la sede dell’intelligenza umana.
Vishnu ha diversi aspetti. È conosciuto come l’Anima Suprema (purusha), ma anche come Totalità (sheshin) contenente tutte le anime. Vishnu
possiede sei qualità divine: onniscienza (jñäna); autorevolezza (aishvarya);
potenza (shakti); energia (bala); immutabilità (vërya); lucore (tèjas). I Grandi
Avatar (Maha Avatara) di Vishnu sono dieci (anche se alcuni testi ne contano fino a ventitré): il pesce (Matsya); la testuggine (Kurma); il verro (Varaha); l’uomo-leone (Narasimha); il nano (Vamana); l’abitante della foresta (Parashurama); il principe del regno di Ayodhya (Rama); lo scuro (Krishna); Balarama; il Distruttore della Malvagità (Kalki).
Shiva è una divinità particolarmente mutevole e le sue origini si rintracciano nei testi più antichi, dove era inizialmente menzionato come
Rudra, il fiammeggiante, il deva della tempesta, divinità distruttiva. Tra
le sopracciglia ha il terzo occhio (l’occhio della saggezza) che vede al di
là delle apparenze; sulla fronte porta la luna crescente del quinto giorno,
che rappresenta il potere della forza sacrificale e del tempo; sul corpo, e
specialmente sulla fronte, porta tre linee di Vibhuti (la cenere sacra), che
rappresentano il vero Sé intoccato e intoccabile; sul capo ha uno zampillo d’acqua che è il Gange, il sommo tra i fiumi sacri, concesso dal Dio
per purificare gli uomini e per rendere fertile la terra; i suoi capelli arruffati indicano in lui il Signore del vento e del respiro vitale; attorno al
collo ha un cobra (di cui ingoiò il veleno perché non contaminasse l’universo) e questo indica in lui il vincitore della morte e l’energia dormiente; il suo corpo è ricoperto di cenere funeraria (bhasma) a indicare l’unione tra la vita e la morte; ai polsi porta gli anelli di Rudraska, che hanno
virtù mediche. Veste pelle di tigre (l’ego e la lussuria che ha ucciso);
pelle di elefante (l’orgoglio); pelle di cervo (il movimento frenetico della mente). In una mano tiene un tridente (che potrebbe valere le tre funzioni
della Trimurti: il tempo — passato, presente, futuro —; la punzione dei
malvagi) e nell’altra un tamburo (damaru), il suono della creazione e la
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Capitolo Primo - L’induismo
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fonte di tutte le energie.
Anche la mitologia indiana riconosce l’esistenza di esseri demoniaci
(asura o rakshasa) che si oppongono ai deva, non credono in una vera e
propria entità negativa: il male nasce nel mondo dall’ignoranza e dal libero
arbitrio).
L’induismo non è una religione monoteista, ma nemmeno politeista. Le
divinità adorate dagli induisti sono, di fatto, tutte manifestazioni diverse di
un unico Dio, l’Uno, il Supremo, il Brahman. L’induismo è dunque una
religione enoteista.
All’interno dell’induismo si distinguono tre correnti:
— il Visnuismo (vaishnavismo) che si rapporta all’Uno come Vishnu (o
uno dei suoi avatar) e i cui libri sacri sono il Bhagavata-Purana e la
Bhagavad-Gata;
— lo Shaivismo si rifà al culto di Shiva (che è una divinità pre-vedica, che
inizialmente aveva nome Rudra);
— il Tantrismo (che si sviluppa in più filoni) che mira alla realizzazione
dell’energia vitale (shakti) che come Deva si associa alla divinità femminile e madre (come Kali o Durga).
In tutti i casi i culti si praticano con gli stessi mezzi, ma differiscono per
i metodi. Restano comunque correnti e rami che non sono esclusivi e ciascuno accetta l’altro, così che i fedeli indù non si sentono appartenenti più
all’uno o all’altro. Accanto a loro si sono comunque organizzate correnti
riformatrici che sono monoteiste, hanno fede nei Veda e ripudiano l’idolatria.
I valori comuni ai diversi rami dell’induismo sono la fede, la fede nella
Legge Cosmica (Dharma), la Reincarnazione (Samsara), il ciclo causa-effetto dell’azione (Karma); la liberazione e la trascendenza (Moksha) ottenute attraverso la devozione (Bhakti), l’azione individuale (Karma) e la Conoscenza (o illuminazione – Jñana).
La trasmigrazione dell’anima è regolata dal Karma: esso si basa sulle
azioni compiute, destinate a rimanere per sempre impresse nella sua anima
(atman) e si attua attraverso un ciclo di nascita e morte fino alla liberazione
definitiva.
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Parte Terza - Le religioni della liberazione e dell’immortalità
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L’Om (o Aum)
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Om è il più sacro simbolo dell’induismo. Si tratta del suono primordiale ed è la sintesi di
ogni preghiera, rituale o formula sacra. Viene considerato come la vibrazione divina primitiva (Pranava) da cui ha avuto origine l’Universo come lo si vede e dunque è la mescolanza
di tutta la natura nell’Ultima Verità. Si usa come prefisso o suffisso dei mantra (formule
sanscrite ripetute all’infinito per liberare la mente) e in tutte le preghiere induiste.
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L’induista crede nella reincarnazione e quindi nella sua vita dopo la
morte e ritiene il corpo solo un involucro transitorio. Al momento della morte
l’anima (atman) lascia il corpo e, se ha accumulato karma con azioni cattive
la sua anima torna in un corpo sulla terra o su un pianeta inferiore (Narka,
che potrebbe essere una sorta d’inferno) per subire le conseguenze di questo
suo agire. Al contrario, se avrà accumulato karma attraverso azioni di segno
positivo, diventerà essere divino (deva) su un pianeta superiore (Svarga,
concettualmente simile al paradiso) dove godrà spiritualmente fino all’esaurimento del suo karma, quando allora tornerà sulla Terra in una casta nobile.
Il ciclo prende il nome di Samsara. Quando il karma è completamente risolto, l’anima lascia in via definitiva il mondo fisico e raggiunge la Liberazione (moksha) e l’Unione con Dio. Per ottenere questo risultato, il karma
della persona deve essere in perfetto equilibrio (né buona né cattiva) e agire
solo per dovere, offrendo tutte le proprie azioni come prescrive la Bhagvad
Gita che indica a questo scopo diversi modi (yoga), tra i quali ciascuno
sceglie quello che meglio gli si addice.
Per la tradizione vedica, l’uomo attraversa quattro stadi della vita
(ashram). Il primo è il brâhmâcârya: con la guida di un maestro (guru) il
giovane osserva un periodo di formazione spirituale e materiale che include
la castità e attraverso la quale sviluppa conoscenza e virtù. Il secondo è il
grihastha: l’adulto entra nella vita, si sposa e fonda una famiglia (che è un
dovere) e può godere della vita, imparando il controllo di sé. Il terzo è vânaprasthya: compiuto il suo dovere sociale, l’uomo lascia la famiglia (lasciandole di che vivere) e vive un periodo di studio delle scritture sacre,
praticando la meditazione e il digiuno. Il quarto è il samnyâsa: l’uomo anziano si disinteressa dei beni materiali e può ritornare tra i suoi
A ciascuno di questi quattro stadi è abbinato uno scopo, un purushartha, ma il fedele indù non deve lasciarsi affascinare da essi o non potrà
chiudere il ciclo del suo Karma. Questi scopi sono la ricchezza (artha), il
piacere (kama), il dovere (dharma), la liberazione (moksha).
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Capitolo Primo - L’induismo
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Per quanto riguarda la ricchezza, l’uomo giovane vive in società e crea il
patrimonio e i legami sociali che nascono dal suo lavoro, ma non dovrà farsi
tentare dall’eccesso: l’uomo deve partecipare alla società creandosi un patrimonio e delle relazioni che saranno il frutto del suo lavoro, ma non deve
indulgere nell’agiatezza. Il piacere è un dono divino ed è la sorgente della
creazione, oltre ad allargare i confini della conoscenza. Ma l’adulto non può
fare del piacere il suo fine. Il dovere fa proseguire sulla retta via della morale
ed è trasversale ai quattro periodi della vita. Comune agli ultimi due periodi
della vita è invece la liberazione, che è anche lo scopo estremo della vita.
Le quattro fasi della vita sono rappresentate con il simbolo della croce
uncinata che assume anche diversi altri significati (le stagioni, il sole, le
forze cosmiche, i quattro elementi trattenuti dall’etere).
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2. LE CASTE INDÙ
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La società indù (Varna Vyavastha) è organizzata in quattro caste (varna)
che hanno alla base professioni e guna. Esse sono: Brahmana (sacerdoti e
insegnanti); Kshatrava (re, guerrieri e amministratori); Vaishya (mercanti,
agricoltori e uomini d’affari); Shudra (operai e servitori).
Originariamente, l’indù acquisisce la propria casta a seconda del ruolo e
delle responsabilità ricoperte. Il sistema delle caste non è chiaramente parte
dell’induismo, ma è regolato dai testi sacri, la Smirti. Solo attorno al X
secolo il sistema si irrigidì e divenne uno status acquisito per nascita. Più
tardi ancora si svilupparono sotto-caste e la casta degli intoccabili (dalit). In
India, il sistema nel suo complesso si è ulteriormente irrigidito dopo la colonizzazione britannica, acutizzando le differenze a vantaggio delle caste
più elevate.
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A) I luoghi di culto
I mandir sono templi solitamente dedicati a una divinità principale e ad
alcune divinità subalterne oppure a divinità multiple. Tutti hanno ereditato
antiche ed elaborate tradizioni e sono luoghi di culto. I responsabili dei cinque templi principali (Badrinath, Puri, Sringeri, Dwarka) sono considerati
alla stregua di «patriarchi».
Nei templi si riceve la visione (darshan), si compie la meditazione (puja)
e si recitano i mantra, brevi formule sonore spirituali che si ritiene abbiano
la facoltà di trasformare la coscienza.
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Parte Terza - Le religioni della liberazione e dell’immortalità
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B) La non-violenza
La non violenza è raccomandata dalla ahimsâ (termine che appare per la
prima volta nelle Upanishad), che raccomanda anche il rispetto per tutte le
forme di vita ed è uno dei cinque voti eterni dello Yoga.
In osservanza a questo principio, molti induisti sono vegetariani.
Gli induisti carnivori si astengono comunque dal consumo di carne vaccina e dall’uso di prodotti secondari, come il pellame. Questo particolare
riguardo per le vacche si deve al fatto che questi animali sono visti come il
migliore esempio di generosità e benevolenza poiché forniscono il latte e
dunque sono rispettate come madri. Per questi stessi motivi, l’abbattimento
delle vacche è proibito per legge.
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C) I testi sacri
Le scritture sacre dell’antica India si dividono in tre categorie: i Veda
(da cui deriva l’induismo attuale), le scritture induistiche post-vediche e le
scritture dei movimenti dissidenti (principalmente jainismo e buddhismo).
Si ha ragione di credere che i Veda siano stati codificati molto tempo prima
di essere scritti e trasmessi oralmente.
Le scritture più antiche sono composte in una variante arcaica del sanscrito vicina all’avestico.
In sanscrito si definiscono aruti (ciò che è stato rivelato) poiché si ritiene siano stati rivelati da Brahaman ai rishi (autorità religiose) in meditazione profonda.
Secondo la tradizione la trascrizione dei testi tramandati oralmente fu
opera del saggio Vyasa (compilatore) tra il 5000 e il 1500 a.C.
I Veda sono considerati testi senza inizio e senza fine e contengono verità eterne. Essi sono divisi in quattro parti: Rig Veda, Yajur Veda, Sama Veda
e Atharya Veda.
Il Rig-Veda contiene mantra per invocare i deva per il rito sacrificale del
fuoco (Yajna).
Il Sama-Veda contiene i canti per il medesimo sacrificio.
Lo Yajur-Veda contiene le istruzioni per celebrare dei riti.
L’Atharva-Veda contiene carmi filosofici contro i nemici, le malattie e
gli errori dei riti.
Ognuno di essi è articolato a sua volta in quattro parti: mantra e inni
(Samhita); testi liturgici e rituali (Brahmana); teologia (Aranyaka); speculazioni (Upanisad).
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Capitolo Primo - L’induismo
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I testi sacri post-vedici sono detti Smirti (ciò che si ricorda, la tradizione) e e sono scritti in sanscrito classico. La lettura più semplice e accessibile
ha dato alla Smirti grande popolarità.
Contiene, infatti, storie di re, eroi e dei, ed è assimilabile per molti versi
alla letteratura popolare, inclusa la valenza didattico-formativa.
Fanno parte della Smirti: gli Itihasa (Ramayana, Mahabharata, Bhagavad-Gita); i Purana; gli Agama; i Darshana e i Libri delle leggi (Dharmashastra).