IL SECOLO XI appunti LA RINASCITA DEL SACRO ROMANO IMPERO La fine del Sacro Romano Impero carolingio (887: deposizione di Carlo il Grosso) aveva determinato la formazione di signorie politiche e aveva provocato quella frammentazione del territorio e del potere che viene sinteticamente descritta dai termini “anarchia feudale” e “particolarismo feudale”. Il fenomeno dell’anarchia feudale fu generato sia dalla fine del potere imperiale, sia dalla nuova ondata di invasioni che si abbattè sull’Europa nei secoli IX e X: infatti per contrastare gli attacchi di Normanni, Ungari e Saraceni, fu necessario organizzare la difesa a livello locale: i proprietari terrieri e i feudatari più ricchi (e dotati di capacità politico-militari) costruirono castelli e costituirono squadre di uomini armati, e in tal modo assunsero un potere militare e politico nei confronti dei territori e degli abitanti che gravitavano attorno ai castelli (fenomeno dell’incastellamento e della signoria territoriale). Il Signore quindi era un proprietario di terre, generalmente di terre feudali, che possedeva anche un castello e un gruppo di armati, e che esercitava un potere politico-militare, oltre che economico, sulle proprie terre e sugli uomini (rustici) che vi abitavano. Ma se la costituzione delle Signorie politiche serviva a contrastare le aggressione di Ungari, Normanni e Saraceni, produceva però una grande conflittualità interna: ogni Signore cercava di estendere il proprio potere e i propri territori entrando in conflitto con altri Signori. La situazione di disordine, di divisione, di contrasti e di guerre generata dall’anarchia feudale fece però ben presto emergere l’esigenza di un’autorità centrale capace di coordinare e pacificare la miriade di forze feudali, grandi medie e piccole, costituitesi fra IX e X secolo. FRANCIA In Francia nel 987 Ugo Capeto ottenne la corona di re di Francia e diede inizio a una dinastia millenaria; tuttavia il suo potere era molto debole: egli esercitava un’autorità effettiva solo nella regione di Parigi, Reims e Orleans; la consacrazione conferiva una sorta di sacralità alla sua persona (gli erano anche attribuiti poteri taumaturgici), ma di fatto egli doveva rispettare l’autonomia politica dei grandi feudatari di Francia. ITALIA In Italia la corona regia fu contesa nel X secolo fra i feudatari maggiori, senza che nessuno di essi riuscisse ad appropriarsene definitivamente. Le contese finirono quando Ottone I, re di Germania, scese in Italia e impose la sua autorità, ricevendo la corona imperiale dal papa a Roma nel 962. GERMANIA – S.R.I. In Germania Ottone I di Sassonia, incoronato re di Germania, aveva acquistato prestigio e autorità grazie alla vittoria conseguita nel 955 nella battaglia di Lechfeld contro gli Ungari. Ciò gli permise di intervenire nelle lotte tra i pretendenti al regno d’Italia e di rifondare il Sacro Romano Impero (con l’incoronazione imperiale del 962, di cui abbiamo detto). Occorre tuttavia rilevare due importanti differenze tra il Sacro Romano Impero di Carlo Magno e quello di Ottone di Sassonia: in primo luogo l’impero di Ottone era assai meno esteso, comprendendo solo la Germania e l’Italia settentrionale; in secondo luogo Ottone guidava un impero caratterizzato dal feudalesimo (dall’immunità, dall’ereditarietà dei feudi maggiori) che condizionava e limitava fortemente il potere dell’imperatore. Nel X secolo il feudo era diventato, sia per effetto dell’ereditarietà ottenuta dai grandi feudatari, sia per effetto dell’incastellamento, un bene che il feudatario poteva sfruttare economicamente, ma sul quale esercitava anche un’autorità politica e giudiziaria, in piena autonomia dal sovrano che aveva concesso il feudo. Il rapporto feudale o vassallatico aveva quindi assunto questa forma: il sovrano (re, o imperatore, o conte, duca ecc.) concedeva un feudo o beneficio (di solito un territorio) a un uomo di fiducia il quale gli prestava “omaggio”: gli giurava cioè fedeltà e si impegnava ad aiutarlo in caso di bisogno (principalmente in caso di guerra). Il feudatario era quindi obbligato soprattutto a prestare servizio militare per il suo superiore per un certo numero di giorni all’anno. Però il feudo concesso al feudatario era caratterizzato dall’ “immunità”: il sovrano non poteva esercitare il potere nel territorio del feudo, ma doveva lasciare che il feudatario lo governasse come meglio credeva. Quindi il feudatario, pur essendo personalmente dipendente dal sovrano e obbligato al servizio d’armi, era pienamente autonomo nel suo feudo (per esempio era il feudatario che riscuoteva i tributi nel feudo, non il sovrano). E’ evidente che in questa situazione il potere del sovrano era piuttosto limitato, perché egli di fatto controllava direttamente solo una piccola parte del territorio del suo regno; poteva perfino accadere che un feudatario disponesse di maggiori territori, uomini e ricchezze di quelle di cui disponeva il re, e in tal caso per il re diventava molto difficile ottenere l’obbedienza e la sottomissione del feudatario. La politica di Ottone I (962-973) e dei suoi discendenti della casa di Sassonia, Ottone II (973-983), Ottone III (9831002) e Enrico II (1002-1004), fu pertanto orientata a ridurre l’autonomia dei feudatari. Per questo gli imperatori sassoni nominarono, ovunque fosse possibile, vescovi-conti, che presentavano il vantaggio, rispetto ai feudatari laici, di non poter trasmettere la contea agli eredi (un vescovo non poteva avere figli legittimi e 1 IL SECOLO XI appunti quindi l’imperatore rientrava in possesso della contea alla morte del vescovo-conte): la nomina dei vescovi-conti da parte dell’imperatore (che concedeva sia la carica ecclesiastica sia quella feudale) comportò una mondanizzazione degli ecclesiastici, perché il titolo di vescovo divenne “desiderabile” non per il suo significato religioso, ma per i ricchi benefici e il potere politico a cui era associato, e l’imperatore stesso, nominando i vescovi-conti guardava più alle capacità politiche che alle qualità religiose e morali. Ottone I stabilì anche il “Privilegium Otonis” con il quale si arrogò il diritto di designare i candidati alla nomina pontificia. In tal modo l’elezione del papa era controllata dall’imperatore e veniva sottratta alle grandi famiglie aristocratiche romane. Infatti, dopo la fine dell’impero carolingio, il papato era finito sotto il controllo delle grandi famiglie aristocratiche di Roma che avevano fatto eleggere papi “indegni”, preoccupati solo di difendere gli interessi della propria famiglia. L’imperatore non poteva accettare che il papa, che concedeva l’incoronazione imperiale, fosse solo uno strumento della nobiltà romana; inoltre l’imperatore aveva bisogno che il papa fosse condiscendente nei confronti della nomina dei vescovi-conti da parte dell’imperatore. Comunque i papi nominati dagli Ottoni furono generalmente persone di notevole statura culturale e spirituale, capaci di restituire credibilità e prestigio al papato dopo la terribile decadenza del X secolo. I NORMANNI IN INGHILTERRA E IN ITALIA Nel X secolo i Normanni, dopo una lunga stagione di aggressioni e di saccheggi, si erano insediati in Normandia ed erano diventati vassalli del Re di Francia (il vassallaggio aveva consentito ai Normanni di legittimare la conquista della Normandia e di integrarsi nel sistema politico feudale francese; il Re d’altra parte aveva interesse a legare sé con il vassallaggio questi “invasori”, visto che non aveva la forza di sconfiggerli). Nell’XI secolo partirono dalla Normandia due spedizioni di conquista. Nel 1066 Guglielmo il Conquistatore sbarcò in Inghilterra, sconfisse ad Hastings gli Anglosassoni che regnavano sull’isola e assunse la corona d’Inghilterra. I Re d’Inghilterra normanni rimasero tuttavia ben radicati in Normandia, conservandone il dominio, la lingua, le usanze: l’Inghilterra per lungo tempo fu quasi una colonia della Normandia. Si determinò così la situazione paradossale, foriera di gravi conflitti, per cui i Re d’Inghilterra erano anche vassalli del Re di Francia. Un’altra spedizione portò i Normanni in Italia meridionale. Inserendosi nei conflitti che opponevano duchi bizantini, duchi longobardi e arabi, offrendosi come mercenari all’uno o all’altro dei contendenti, i normanni della famiglia degli Altavilla riuscirono a costituire un proprio dominio in Puglia, da cui partirono alla conquista di tutta l’Italia meridionale. La loro rapida espansione preoccupò anche il papa Leone IX che li attaccò, ma fu sconfitto e fatto prigioniero. Successivamente gli Altavilla raggiunsero un accordo con il papa, in base al quale essi si dichiaravano vassalli del papa e proseguivano la conquista dell’Italia meridionale con il suo mandato e con l’obiettivo di togliere la Sicilia agli Arabi (che l’avevano conquistata nel X secolo). La sottomissione feudale dei Normanni al papa, che era stato sconfitto e fatto prigioniero da loro stessi, si spiega con la convenienza che i Normanni avevano ad essere legittimati da un’autorità superiore per esercitare il potere in Italia meridionale con pieno diritto. La conquista della Sicilia fu completata nel 1130 e Ruggero II d’Altavilla assunse il titolo di Re di Sicilia. L’alleanza fra i Normanni e il Papato ebbe un peso rilevante anche nella Lotta per le investiture (di cui parleremo oltre), in quanto fornì al papa una forza militare capace di resistere a quella imperiale. Infine va evidenziato che i Normanni, sia nel regno d’Inghilterra sia in quello di Sicilia, pur istituendo rapporti feudali, riuscirono a esercitare un ferreo controllo sui vassalli (per mezzo di funzionari regi: sceriffi e giustizieri) e a impedire l’affermazione di tendenze autonomistiche della nobiltà e delle città. Proprio per questo l’Italia meridionale non fu toccata dal movimento dei Comuni cittadini che invece si affermò nell’Italia centro-settentrionale; e forse stanno anche qui le radici del divario economico e sociale che ancor oggi separa l’Italia settentrionale. LA RINASCITA DEL MILLE La crescita demografica ed economica (vedi libro di testo cap. 3°) Mercanti e nuovi nuclei borghesi L’incremento della produzione agricola e l’aumento della popolazione rianimarono gli scambi commerciali. Collegandosi a quelle correnti commerciali già attive prima del Mille in certe città marittime italiane (Venezia, Amalfi, Bari), questo rinnovamento nell’ XI° secolo venne a coinvolgere tutto l’Occidente. Una nuova classe sociale, la borghesia, emerse dalla società feudale e rurale: ne facevano parte in primo luogo i mercanti, ancora girovaghi 2 IL SECOLO XI appunti sulle strade, sui fiumi e sui mari, da un castello a una città, da un mercato a un porto. In Inghilterra li si chiamava i “piedpowder”, i “piedipolverosi”, per il loro continuo contatto con la strada. C’era poi il ceto degli artigiani, insediati nel “burgus”: la loro produzione cominciò a dar vita a scambi regolari con le campagne circostanti e, in più d’un caso, a un commercio sempre più attivo su lunghe distanze. I clienti del grande commercio erano, in primissimo luogo, i signori laici e ecclesiastici, e gli oggetti degli scambi erano ancora soprattutto oggetti di lusso, prodotti orientali, costose spezie esotiche, vini francesi, pregiate stoffe (damaschi, sete ecc.). Se l’attività mercantile registrò notevoli successi, tuttavia la vita del mercante, sebbene aperta ai grandi guadagni, era anche soggetta a grandi rischi dovendo egli viaggiare via terra su strade malsicure, e dovendo affrontare sul mare la violenza della natura oltre che quella dei pirati. Egli si spostava perciò in carovane con altri mercanti, associava i propri capitali con quelli di qualche collega, stringeva delle leghe (“gilde”, “hanse”). Dove le principali vie si intersecavano, i commercianti, giunti da direzioni diverse, si incontravano periodicamente per scambiarsi le merci. Nacquero così le fiere; particolare importanza assunse, per questo aspetto, la Champagne, all’incontro delle grandi direttrici commerciali dal Mediterraneo al Mare del Nord e dall’Europa occidentale all’Europa centro-orientale. I nobili (“signori”) di tutti gli Stati europei - eccetto l’Italia centro-settentrionale - di solito risiedono stabilmente nei castelli del territorio rurale, dove possono controllare e difendere le terre, dirigere la coltivazione, provvedere ai disboscamenti e alle bonifiche. In città rimane il vescovo con il suo seguito ma soprattutto vi abitano i mercanti, gli artigiani, i professionisti (notai, giudici ecc.). Dalla campagna molti contadini, o anche servi, si trasferiscono in città, o perché hanno un piccolo capitale da investire, o semplicemente in cerca di un lavoro più redditizio. Così la popolazione del burgus si amplia, tende sempre di più a identificarsi con la popolazione dell'intera città. Così, in quasi tutta Europa (ma non nell’Italia centro-settentrionale) il borghese diventa l’uomo della città per definizione, colui che si distingue radicalmente dall’uomo della campagna, ossia dal nobile e dal contadino, e dalla campagna vive separato come in un altro mondo. Nell’Italia centro-settentrionale, invece, la nobiltà italiana medio-piccola, invece di rimanere in campagna, si orienta verso la città, vi si stabilisce, e assume, con i capitali di cui dispone, il controllo dell’economia commerciale. Questa nobiltà cittadina non traffica in prima persona, però presta i soldi per trafficare a gente del popolo; nello stesso tempo non abbandona i suoi interessi rurali (cioè le proprietà agrarie coi relativi proventi). In Italia insomma la piccola e media nobiltà rimane a metà strada tra campagna e città, e non si verifica la separazione netta fra campagna dominata dalla nobiltà e città dominata dalla borghesia. Dove si afferma, la borghesia assume caratteri propri, inconfondibili, anche sul piano della mentalità e del comportamento: i nobili, ad esempio, conoscevano soltanto i legami personali di tipo gerarchico (legami tra superiore e inferiore); i borghesi, invece, puntano sui legami tra eguali, che pongono tutti gli uomini sullo stesso piano. Il mondo signorile e feudale è il mondo della guerra e della terra; i borghesi sono gli uomini della pace e del denaro (la pace garantisce i viaggi e i buoni affari). Il nobile ha il dovere morale di "sperperare" le proprie ricchezze, per dimostrarsi liberale (= generoso) e averne onore; il borghese deve essere risparmiatore e perfino avaro, per accumulare denaro e fare sempre più affari. Il nobile è tale per nascita e per eredità di sangue, e ci tiene ad esibire il proprio “status”; il borghese è tale solo per la propria abilità e per il proprio lavoro, e non ha nessun riguardo al proprio ”status”, anzi è pronto a nasconderlo e a farsi passare per povero per guadagnare di più o per pagare meno tasse. Nella realtà, poi, le differenze non sono sempre così marcate: l’ideale dei borghesi resta pur sempre quello di diventare come i nobili, di possedere terre e di godere come loro di entrate sicure, di risiedere in un castello con una corte di gentiluomini e di servi, senza il bisogno di sobbarcarsi rischiosi viaggi d’affari. Spesso i borghesi sono anche più ricchi dei nobili, ma la posizione del nobile è più sicura, più stabile, e soprattutto socialmente più prestigiosa. Per questo i borghesi più ricchi vorrebbero “nobilitarsi”, cambiar classe, ma ben pochi ci riescono nell’XI e XII secolo . LA RINASCITA RELIGIOSA, LA RIFORMA GREGORIANA E LA LOTTA PER LE INVESTITURE Nel periodo dell’anarchia feudale tutte le istituzioni ecclesiastiche, e non soltanto il papato, avevano attraversato una fase di decadenza e di crisi. Il crollo dell’impero carolingio aveva posto fine anche a quella protezione della fede cristiana e della Chiesa che Carlo Magno e i suoi successori avevano considerato compito inderogabile degli imperatori cristiani. I signori feudali 3 IL SECOLO XI appunti avevano profittato in vario modo della debolezza della Chiesa: in primo luogo impadronendosi di parti considerevoli delle proprietà ecclesiastiche, in secondo luogo cercando di sottomettere alla propria giurisdizione o di controllare i monasteri, in terzo luogo istituendo chiese “private” (che diventavano, insieme ai castelli, strumento di controllo e di sfruttamento economico del territorio). Gli ecclesiastici (gli abati dei monasteri, i canonici, i vescovi) si trovavano così invischiati in lotte per il potere politico ed economico, sia che fossero asserviti agli interessi signorili, sia che cercassero di resistere alle prevaricazioni e alle strumentalizzazioni dei signori. La nomina dei vescovi-conti da parte dell’imperatore accentuò questa mondanizzazione, come abbiamo già visto. In generale possiamo osservare che i potenti (dall’imperatore ai piccoli signori) cercavano di sottomettere la chiesa e di sfruttarla: infatti la chiesa aveva una grande autorità sul popolo, aveva un’organizzazione efficiente e diffusa, possedeva molte ricchezze, aveva il monopolio della cultura, e tutte queste cose potevano essere utilizzate per consolidare o accrescere il potere. Ma gli stessi uomini di chiesa spesso non disprezzavano il potere e le ricchezze e conducevano una vita in tutto simile a quella dell’aristocrazia politica e militare. I legami sempre più stretti tra la chiesa e il potere mondano facevano sì che nella chiesa la vita evangelica (basata sui valori della mitezza, della povertà, dell’umiltà, dell’amore, del perdono, dell’altruismo) fosse sempre meno visibile. Nel linguaggio religioso dell’epoca gli ecclesiastici corrotti e mondanizzati furono qualificati come “simoniaci” (la simonia era la compravendita di cose sacre, e quindi i simoniaci erano quelli che cercavano e utilizzavano le cariche ecclesiastiche per arricchirsi) e come “nicolaiti” (erano gli ecclesiastici che avevano mogli e concubine). La reazione a questa crisi della Chiesa iniziò nel X secolo e diede vita a un movimento imponente di rinascita religiosa e di riforma della Chiesa, che accompagnò la grande crescita demografica, economica e sociale del Mille. All’origine della rinascita e della riforma religiosa sta la fondazione, nel X secolo, del monastero benedettino di Cluny, e di moltissimi altri monasteri (più di 1000 in tutta Europa) ad esso affiliati. Cluny, pur appartenendo all’ordine di San Benedetto, aveva alcune caratteristiche che lo differenziavano dal monachesimo benedettino. In primo luogo i monaci di Cluny e dei monasteri affiliati (i “cluniacensi”) volevano evitare quelle attività pratiche che potevano facilmente implicare preoccupazioni troppo “mondane” per i beni terreni. Pertanto nei monasteri cluniacensi il lavoro dei campi veniva affidato ai coloni e ai servi e i monaci si dedicavano completamente al servizio di Dio (alla preghiera, alla meditazione, alla liturgia); la distinzione netta fra la vita religiosa e la vita mondana veniva sottolineata anche con l’esaltazione della verginità e con segni esteriori di fasto nelle chiese e negli abiti dei monaci. In secondo luogo il monastero di Cluny non era sottoposto alla giurisdizione di un feudatario e nemmeno di un vescovo, e riconosceva come autorità superiore soltanto quella del papa. Gli altri monasteri cluniacensi dipendevano solo da Cluny e quindi anch’essi erano sottratti alla giurisdizione feudale e vescovile. In tal modo tutti i monasteri cluniacensi costituivano un movimento unitario, indipendente da tutte le forze politiche responsabili della corruzione ecclesiastica. I monaci cluniacensi non si preoccuparono soltanto di preservare se stessi dalla mondanizzazione e dalla corruzione, ma operarono attivamente per contrastare la mondanizzazione e la corruzione in tutta la Chiesa, e si fecero promotori di un movimento di rinnovamento religioso che coinvolse tutta la società europea, e che si manifestò a tutti i livelli della vita associata. Possiamo indicare sinteticamente alcune espressioni di questa rinascita cristiana: - La costruzione delle chiese romaniche: “Il mondo si sta rivestendo di un bianco mantello di chiese. E’ come se si volesse liberare della sua vecchiezza”. Così scrive Rodolfo il Glabro, un cronista dell’XI secolo. Ciò che colpisce lo storico, al di là dell’eccezionale valore artistico di queste chiese, è l’enorme diffusione di queste imponenti costruzioni in pietra: anche i più piccoli villaggi, costituiti quasi esclusivamente da capanne di legno, edificarono chiese che sfidano i secoli. - I pellegrinaggi: tipica manifestazione della religiosità medievale, erano diretti ai santuari dove erano custodite e venerate le reliquie dei santi; le mete più importanti dei pellegrinaggi erano Roma, sede del successore di San Pietro, Santiago di Compostela (nel nord della Spagna) e Gerusalemme. - I movimenti della Pace di Dio e delle Tregue di Dio; l’istituzione della Cavalleria (con cui agli uomini d’armi veniva dato un codice di comportamento che doveva mitigarne la ferocia e indirizzare la violenza verso scopi accettabili, come la difesa dei deboli e degli inermi, la difesa della fede ecc.). - L’associazionismo spontaneo. Le associazioni di cui abbiamo già parlato si costituivano sulla base di interessi comuni (economici, sociali o solidaristici, politici ecc.), ma avevano sempre anche finalità o motivazioni religiose. - Le Crociate, di cui parleremo più avanti. Il movimento nato da Cluny per la riforma della Chiesa e la lotta contro la corruzione ecclesiastica coinvolse anche le masse popolari e si espresse in vere e proprie rivolte popolari contro ecclesiastici (soprattutto vescovi-conti) ritenuti indegni perché simoniaci e/o nicolaiti. Nel corso dell’XI secolo anche i papi (molti di essi provenivano dall’ordine cluniacense), per quanto nominati dall’imperatore, si fecero promotori della riforma e dell’opposizione al clero simoniaco; ma ad un certo punto i 4 IL SECOLO XI appunti riformatori dovettero rendersi conto che non bastava combattere contro gli abusi, se non si eliminava la prima causa della mondanizzazione del clero, che era la nomina degli ecclesiastici e la concessione di poteri e benefici ( = proprietà e rendite) da parte delle autorità laiche; pertanto il movimento per la riforma interna della Chiesa si trasformava in movimento per la Libertas Ecclesiae, per l’indipendenza delle istituzioni ecclesiastiche da qualsiasi potere laico. Per questo il Concilio Lateranense del 1059 vietò ai laici di conferire cariche ecclesiastiche e decretò che il papa doveva essere eletto esclusivamente da un’assemblea di ecclesiastici (i cardinali, cioè i parroci delle chiese di Roma e dintorni): in tal modo la nomina dei vescovi-conti da parte dell’imperatore e l’intervento imperiale nell’elezione pontificia vennero impediti. Si determinava così un dissidio profondo tra la Chiesa e l’Impero, dissidio che sfociò in conflitto aperto qualche anno più tardi. L’imperatore Enrico IV della casa di Franconia infatti continuò a nominare vescovi-conti ignorando le decisioni del Concilio Lateranense. Nel 1073 divenne papa il monaco cluniacense Ildebrando di Soana, che assunse il nome di Gregorio VII, e nel 1075 emanò il Dictatus Papae, un documento in cui affermava la superiorità del Papa sull’imperatore e su qualsiasi autorità laica ed ecclesiastica, ribadiva il divieto ai laici di conferire cariche ecclesiastiche, e comminava la scomunica a chi non avesse rispettato tale divieto. Il Dictatus Papae costituisce la prima teorizzazione della dottrina teocratica, cioè della dottrina secondo cui il Papa deriva il suo potere direttamente da Dio, ed ogni altra autorità deriva il suo potere dal Papa, a cui pertanto è subordinata. Enrico IV reagì convocando un’assemblea di vescovi che dichiarò deposto il papa Gregorio VII, e Gregorio allora scomunicò Enrico (sciogliendo i suoi vassalli dagli obblighi di fedeltà). Di fronte alla ribellione di molti feudatari tedeschi, Enrico IV dovette umiliarsi e chiedere il perdono del papa (nel 1077 a Canossa). Dopo aver ottenuto la revoca della scomunica Enrico IV sconfisse i feudatari ribelli, quindi attaccò e occupò Roma. Gregorio VII sfuggì alla cattura solo grazie all’intervento dei Normanni, ma dovette abbandonare Roma e seguire i Normanni in Italia meridionale, dove morì nel 1085. Il conflitto fra Impero e Papato continuò con i successori di Gregorio VII e di Enrico IV e si concluse nel 1122 con il Concordato di Worms tra l’imperatore Enrico V e il papa Callisto II. Questo Concordato costituiva un compromesso tra i contendenti, anche se sostanzialmente era la Chiesa che usciva vittoriosa dalla Lotta per le investiture (il successo del Papato e la sconfitta dell’Impero erano la conseguenza del grande consenso che la causa della Libertas Ecclesiae aveva trovato in Europa e del sostegno che molteplici forze – sovrani, feudatari, masse popolari, intellettuali ecc. – avevano dato al papa). Ammessa infatti la possibilità per un ecclesiastico di assumere cariche politiche, il Concordato di Worms stabiliva che l’investitura ecclesiastica spettava esclusivamente al papa e doveva precedere quella politica (quindi il papa sceglieva il vescovo e solo in un secondo momento l’imperatore, se voleva, poteva concedergli una carica politica con i relativi benefici). Tuttavia in Germania l’investitura politica precedeva quella ecclesiastica e l’imperatore aveva il diritto di intervenire – in caso di contestazione – nella nomina dei vescovi. Per la Chiesa si trattava di un successo perché era riconosciuta l’indipendenza della Chiesa dal potere politico, era esclusa l’ingerenza dell’imperatore nelle nomine ecclesiastiche, anche se non veniva eliminata la commistione fra funzioni religiose e interessi politici ed economici (con il conseguente pericolo della mondanizzazione del clero). L’imperatore, perdendo il diritto di conferire investiture ecclesiastiche, perdeva in parte quel carattere sacro, quella funzione di guida della società cristiana e di rappresentante di Dio in terra che Carlo Magno si era attribuita e che giustificava le pretese universalistiche dell’imperatore (sull’universalismo torneremo più avanti). Tuttavia la vittoria della Chiesa era tutt’altro che definitiva: in primo luogo perché il conflitto con l’impero si sarebbe riproposto ancora nel XII e nel XIII secolo, in secondo luogo perché il problema dell’autonomia della Chiesa si sarebbe presentato anche in altri contesti politici (per esempio a metà del XII secolo in Inghilterra, con il conflitto fra il re Enrico II Plantageneto e l’arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket). Inoltre il nuovo ordinamento della Chiesa voluto dai papi riformatori dell’XI secolo, pur essendo finalizzato alla Libertas Ecclesiae e alla purificazione della vita religiosa, non era esente da ombre e problemi: la Chiesa assumeva una struttura gerarchica piramidale di cui il papa era il vertice e l’autorità suprema; i cristiani laici, nettamente separati dagli ecclesiastici, avevano un ruolo passivo e subordinato nella vita della Chiesa. L’accentuazione del primato e dell’autorità del papa portò anche alla frattura (nel 1054) fra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa bizantina. Infatti i vescovi bizantini riconoscevano un primato d’onore al papa (in quanto successore di Pietro), ma non accettavano di essere subordinati alla sua autorità. 5 IL SECOLO XI appunti LA NASCITA DEI COMUNI L'associazionismo spontaneo Tra XI e XII secolo assistiamo all'avvento di una realtà nuova, quella dell'associazionismo spontaneo, che ebbe per protagonisti contadini e borghesi (e anche i nobili urbanizzati). Costoro, abituati a vivere e a lavorare a fianco a fianco, imparano ben presto a mettersi insieme (i rustici nei villaggi e i borghesi nelle città), e a formare delle associazioni, delle comunità. Li muoveva il bisogno di tutelarsi fra loro, di garantirsi con la reciproca amicizia e solidarietà per tutti i bisogni eccezionali (l'incendio dell’abitazione, un furto, una prigionia da riscattare, ecc.), di difendere elementari interessi connessi con il lavoro: un diritto di pascolo, di taglio della legna, di passaggio libero per una strada o per un ponte, nel caso dei rustici; oppure una condizione di pace, la libera circolazione degli uomini e delle merci, la tutela delle regole e dei segreti di ogni mestiere, nel caso degli abitanti delle città. Un caso particolare di associazione di borghesi è costituito dalle arti o corporazioni di mestiere: si trattava di associazioni che raccoglievano tutti gli artigiani o i mercanti di un certo settore (per esempio c’era la corporazione dei calzolai, quella degli orefici, la corporazione della lana ecc.) e che imponevano le regole per l’assunzione e l’apprendistato dei lavoratori, i salari, i prezzi e il livello qualitativo minimo delle merci; inoltre le corporazioni svolgevano varie attività assistenziali nei confronti degli associati, partecipavano alle manifestazioni civili e religiose; non era possibile esercitare un mestiere senza aderire alla corporazione corrispondente e senza accettarne le regole e gli statuti: in tal modo le corporazioni di mestiere controllavano tutta la produzione artigianale mirando ad evitare un’eccessiva concorrenza (che avrebbe fatto crollare i prezzi). Inizialmente le associazioni dei rustici di un villaggio e dei borghesi di una città erano associazioni private, denominate COMUNI, i cui membri erano legati da un patto giurato e volontario. Ma gradualmente queste associazioni entrarono in rapporto con i poteri politici, per chiedere particolari diritti, privilegi o esenzioni (poteva capitare per esempio che chiedessero di essere esentate da qualche imposta ritenuta ingiusta); in tal modo queste associazioni si trasformarono in organismi politici che si ponevano in competizione con i poteri tradizionali. Nelle campagne i comuni rustici, cioè le associazioni dei contadini, ottennero una certa autonomia, il riconoscimento di alcuni diritti, ma non riuscirono a sottrarsi all’autorità feudale (del conte, del marchese, del duca, o più generalmente del “signore”). Nelle città, invece, il Comune (l’associazione dei cittadini) acquista via via forza politica e a un certo punto riesce addirittura a esautorare l’autorità feudale e ad assumere il governo della città: in tal caso il Comune da associazione privata si trasforma in istituzione pubblica che esercita il suo potere su tutti i cittadini. Gli organi politici fondamentali del Comune sono: l’Assemblea o “Arengo”, cioè l'adunata dei cittadini più influenti che eleggono i magistrati della città e prendono le decisioni più importanti; il “Consiglio maggiore” e il “Consiglio minore”, organi più ristretti a cui sono demandate le questioni più delicate; i capi e rappresentanti della città, chiamati “Consoli” in Italia e “Sindaci” in Francia, eletti periodicamente dall’Assemblea. Nel sistema politico comunale il potere proveniva “dal basso”, nel senso che era la collettività ad eleggere le autorità comunali, mentre nel sistema politico feudale il potere proveniva “dall’alto”, nel senso che l’autorità veniva conferita dal sovrano ai suoi feudatari, da questi ai vassalli, e così via. Tuttavia non bisogna credere che il sistema comunale fosse “democratico” nel senso attuale della parola: infatti non tutti gli abitanti della città godevano degli stessi diritti politici, e solo un’élite di cittadini ricchi, potenti e influenti partecipava alla direzione politica della città. L’AFFERMAZIONE POLITICA DEI COMUNI CITTADINI La formazione dei Comuni cittadini avviene nell'XI e XII secolo: talvolta il Comune si impadronisce del governo della città attraverso una rivolta che porta alla cacciata del signore feudale; magari è il vescovo-conte che viene esautorato anche per motivi religiosi; ma il più delle volte la collettività borghese ottiene pacificamente l’autonomia e il governo della città attraverso un accordo con l’autorità feudale-signorile. Il movimento comunale si diffuse in Francia, in Germania, in Spagna, nei Paesi Bassi. Fu invece pressoché inesistente nei paesi dominati dai Normanni perché questi esercitarono sempre il loro potere in modo centralistico e autoritario, come già detto. Ogni città costituita in Comune riconosceva formalmente l’autorità del re o dell’imperatore, ma era di fatto politicamente autonoma, poteva nominare i propri magistrati (cioè i governanti della città), poteva amministrare la giustizia. Una caratteristica peculiare dei Comuni transalpini fu quella di avere giurisdizione solo sull’area urbana; il territorio rurale invece rimase sotto il controllo del potere feudale-signorile. 6 IL SECOLO XI appunti Possiamo pertanto rappresentarci le città transalpine come isolotti comunali emergenti da un "mare feudale". Pertanto al di fuori dell’Italia il movimento comunale non distrusse il sistema feudale, ma si inserì, come forza nuova, come terza forza, nel tradizionale antagonismo fra monarchia e feudalità. I Comuni italiani Invece nell’Italia centro-settentrionale il movimento comunale non rimase chiuso entro le mura delle città, ma investì anche le campagne e ridusse moltissimo il potere feudale-signorile. La spiegazione di questa particolarità italiana sta nel fatto che il movimento comunale italiano è promosso non tanto dalla borghesia, quanto dalla nobiltà media e piccola che si è inurbata, una nobiltà che si è data agli affari ma che possiede ancora vaste tenute nelle campagne. Pertanto il movimento comunale italiano non vuole separare la città dalla campagna, ma vuole giungere a un legame funzionale con la campagna, vuol fare della campagna il territorio della città. E infatti il movimento comunale italiano porta alla creazione di vere città-stato, città che dominano tutto il territorio rurale circostante. Il movimento comunale in Italia si afferma "approfittando" dello scontro fra papato e impero nella lotta per le investiture; infatti il papa appoggia il movimento comunale nelle città che sono rette da vescovi-conti filoimperiali, e l’imperatore, per punire feudatari alleati del papa, concede l’autonomia a città che ricadono sotto la loro giurisdizione. Esempi: l’imperatore concede l’autonomia alle città della Toscana, che facevano parte del feudo della contessa Matilde di Canossa, per indebolire la contessa, colpevole di essersi schierata dalla parte del papa; il papa invece appoggia e sostiene il popolo di Milano in rivolta contro il vescovo-conte filoimperiale, il vescovo viene cacciato e il Comune di Milano acquisisce il governo della città. Ma anche in Italia nella maggior parte dei casi il Comune ottiene il governo della città pacificamente. I ceti dirigenti comunali italiani (costituiti, come abbiamo già detto, dalla piccola e media nobiltà, più che dalla borghesia) chiedono fondamentalmente l’autonomia: riconoscono l’alta sovranità dell’imperatore, ma non accettano di sottostare ai poteri feudali intermedi, chiedono l’autogoverno che si riassume nelle seguenti “libertà": eleggere i propri magistrati, amministrare la giustizia, riscuotere le tasse, provvedere alla difesa della città, battere moneta. Nella sua prima fase (regime consolare, secolo XII°), favorito dalla compattezza interna e dal declino dell’impero, il Comune cittadino italiano realizzò la conquista del territorio circostante, distruggendo o assoggettando i poteri feudali, estendendo la propria giurisdizione sugli abitanti delle campagne. Si costituirono quindi nell’Italia centrosettentrionale (soprattutto in Lombardia, in Emilia e in Toscana) circa 40 città-stato, indipendenti l’una dall’altra, che soppiantarono gran parte dei feudatari laici ed ecclesiastici, e che misero in crisi tutto il sistema politico feudale. LE CROCIATE Fino alla fine del X secolo l’Europa aveva subito l’aggressione dei popoli islamici (Arabi o arabizzati), senza riuscire ad opporre valida resistenza. I Musulmani, dopo aver assoggettato tutta l’Africa settentrionale e l’Asia occidentale (a spese dell'impero bizantino), riescono a conquistare anche gran parte della penisola iberica e delle isole mediterranee (Sicilia compresa). Nel X secolo i Musulmani controllano tutto il Mediterraneo, e i pirati saraceni impediscono agli Europei di navigare, e quindi di commerciare e comunicare con l’Oriente. Essi inoltre attaccano e saccheggiano sistematicamente le coste europee. Ma dopo il Mille inizia la reazione dell'Europa e le parti si invertono: Gli Europei attaccano i Musulmani, li scacciano dall’Europa e dal Mediterraneo, li attaccano in Oriente. Questa "riscossa" si spiega con la crescita demografica, con lo sviluppo economico e con l’entusiasmo religioso acceso dal movimento di riforma della Chiesa. La "Reconquista" La "Reconquista" fu una lunghissima guerra che condusse alla liberazione della penisola iberica dalla dominazione araba. A partire dal 1002 i piccoli regni cristiani del Nord della Spagna ( regni di Leon, di Castiglia, di Navarra e d'Aragona ) cominciarono ad espandersi ricacciando i Musulmani verso sud. Dopo la decisiva battaglia di Las Navas de Tolosa (1212), vinta dai cristiani, i Musulmani conservarono solo il piccolo regno di Granada nell'estremità meridionale della Spagna. La cacciata degli Arabi dalla penisola iberica fu poi condotta a termine nel 1492. La "Reconquista" fu sostenuta anche dalla cavalleria francese, che accorreva in Spagna in cerca di gloria e di ricchezze, e fu favorita dal papa, che accordò indulgenze a chi combatteva gli infedeli in terra iberica. La lotta contro i Saraceni per il controllo del mare 7 IL SECOLO XI appunti Dopo il Mille le città marinare italiane, Genova e Pisa in particolare, intrapresero spedizioni marinare contro le basi dei pirati Saraceni. Erano imprese il cui movente essenziale consisteva nella liberazione del mare dalla minaccia dei corsari, in modo che nulla disturbasse il commercio sempre più fiorente delle nostre città; tuttavia elementi religiosi si mischiavano sempre più spesso alle necessità pratiche: ad esempio poteva accadere che i marinai riportassero dal saccheggio di una città islamica reliquie di santi, oppure che impiegassero in un'opera pia i proventi di un'incursione. Le spedizioni di Genova e Pisa eliminarono i Saraceni dalla Calabria, dalle Baleari, dalla Corsica e dalla Sardegna, e assicurarono alle città italiane il predominio sul Mediterraneo centro-occidentale. La Sicilia fu invece conquistata dai Normanni, che in tal modo crearono al centro del Mediterraneo uno stato potente, scomodo concorrente dell'impero germanico e di quello bizantino. Le Crociate Le Crociate costituiscono l'aspetto più noto e spettacolare del movimento espansivo dell'Occidente dopo il Mille. Dal punto di vista sociale esse furono una conseguenza della crescita demografica con la relativa inquietudine e ricerca di nuovi sbocchi economici e di nuove fonti di ricchezza. Dal punto di vista religioso rappresentano una sintesi originale di “pellegrinaggio” e di impegno militare . Dal punto di vista politico infine, le Crociate rafforzarono il potere e il prestigio del Papato che ne fu il promotore. Le Crociate non furono propriamente una “Guerra santa”, perché il loro scopo non era quello di diffondere la fede cristiana con le armi o di imporre la conversione dei musulmani al cristianesimo, ma piuttosto quello di riconquistare la regione (la “Terra Santa”,cioè la Palestina) dove era vissuto Gesù Cristo, regione che era pertanto la meta principale dei pellegrinaggi dei cristiani. Infatti la prima crociata fu proclamata dal papa Urbano II nel Concilio di Clermont-Ferrand (1095). In quell'occasione il papa si rivolse ai laici, soprattutto ai cavalieri che da tempo insanguinavano la terra di Francia con le loro lotte fratricide. Li esortò ad abbandonare quei costumi, a pentirsi, e indicò loro un compito nuovo in un pellegrinaggio penitenziale a Gerusalemme che avrebbe assunto anche il carattere di guerra contro i Musulmani, e per il quale egli decretava l’indulgenza dei peccati e forniva come distintivo una croce cucita sulle vesti (il Papa quindi voleva soprattutto allontanare dall’Europa cavalieri troppo turbolenti). Molti dei cavalieri che decisero di partire erano cadetti che non potevano raccogliere l'eredità paterna e che avevano ormai poche speranze di ottenere un feudo nuovo in un'Europa sovraffollata. Ma anche molti grandi feudatari accettarono di partecipare all'impresa: certamente erano mossi da un sincero impulso religioso, ma anche dalle difficoltà politiche ed economiche che incontravano in Europa, per la concorrenza con gli altri signori feudali, con la monarchia, con i Comuni borghesi, con la piccola nobiltà. Le Crociate furono quindi un "salasso" del vecchio ordine feudale, un salasso che favorì il rinnovamento sociale e politico del continente. La prima crociata dei cavalieri fu però preceduta da una disordinata crociata popolare (la cosiddetta "Crociata dei Pezzenti"): nel 1096 una folla di avventurieri, contadini, donne, mendicanti, infervorata dalla predicazione del "profeta" Pietro l'Eremita, si mise in marcia per Gerusalemme, senza rifornimenti e senza organizzazione. Questi miserabili saccheggiavano le terre che attraversavano ( accanendosi soprattutto contro le colonie giudaiche) e pertanto, ancora prima di giungere in Oriente, furono decimati dalle popolazioni della penisola balcanica. La crociata "ufficiale" invece fu guidata dal duca francese Goffredo di Buglione; il 15 luglio 1099 l'esercito crociato espugnò Gerusalemme, e nell'Asia Minore si costituirono il Regno di Gerusalemme e tanti feudi affidati ai nobili crociati. Ma nel XII secolo i Turchi (una popolazione asiatica di religione islamica) strapparono di nuovo Gerusalemme ai cristiani, e tutte le Crociate successive non riuscirono più a recuperare i Luoghi Santi alla cristianità. Le Crociate ebbero anche una grande importanza economica: i mercanti di Venezia, Genova e Pisa poterono realizzare buoni affari vendendo armi, alimenti, navi ecc. ai crociati, e soprattutto poterono aprire basi commerciali in Asia Minore; in tal modo si apriva una corrente continua di traffici tra Europa e Oriente, che fu di notevole importanza per il progresso culturale ed economico dell'Europa. Infine le crociate diedero vita a una particolare e caratteristica istituzione medievale: gli ordini monasticocavallereschi: si trattava di ordini religiosi in cui i monaci conducevano la normale vita religiosa, ma si assumevano anche il compito della difesa militare della Terra Santa e dei pellegrini, realizzando pertanto una “strana” sintesi tra i valori del cristianesimo e i valori della nobiltà militare. Gli ordini monastico-cavallereschi (il più famoso dei quali fu quello dei Templari) acquisirono prestigio e potenza, ma con il passar del tempo suscitarono anche invidie e sospetti. Il problema delle “cause” delle Crociate Sulle riviste e nelle trasmissioni televisive di divulgazione storica si legge (o si sente) che le cause delle Crociate furono economiche. A questa motivazione si aggiunge talora il fanatismo religioso e magari (come nel film “Le crociate” di Ridley Scott) si rappresentano i Crociati come guerrieri fanatici e crudeli, 8 IL SECOLO XI appunti contrapposti ai “buoni” musulmani: a tal proposito si ricorda l’eccidio degli abitanti di Gerusalemme perpetrato dai Crociati dopo la conquista. Riguardo alle cause economiche bisogna osservare che la storiografia è stata talvolta influenzata dal pensiero filosofico e sociologico di Karl Marx, il quale sosteneva che il fattore determinante della storia è l’economia, e che tutti gli elementi che costituiscono una civiltà (come politica, religione, arte, diritto ecc.) sono conseguenti all’ organizzazione economica. Tuttavia, anche se va riconosciuto a Marx il merito di aver riconosciuto l’importanza del fattore economico (che in precedenza era stato trascurato), non è possibile ricostruire la storia passata sulla base di principi astratti, ma bisogna basarsi sui documenti, sulle fonti, sui fatti accertati. E pertanto, sulla base dell’analisi delle fonti e dei fatti accertati, si può affermare che le Crociate furono provocate da diversi fattori convergenti; in primo luogo dobbiamo considerare dei fattori culturali: l’entusiasmo e il fervore religioso suscitato dal grande movimento di rinnovamento religioso che attraversò l’Europa nell’XI secolo, e insieme a questo lo spirito di avventura e l’amore alla guerra che animavano la nobiltà medievale (a noi sembra inconcepibile che la fede cristiana possa coniugarsi con l’esercizio della guerra, ma “il mestiere delle armi” era l’attività normale dei nobili, essi erano nati e cresciuti in un ambiente che esaltava i valori militari, e per loro era naturale esprimere la loro fede cristiana nella loro condizione di cavalieri e di guerrieri); in secondo luogo consideriamo la crescita demografica ed economica dell’Europa, che mise a disposizione delle Crociate uomini e risorse: in particolare molti nobili cadetti, senza feudi, partirono per le Crociate in cerca di fortuna; tuttavia parteciparono alle Crociate anche membri della grande nobiltà feudale (conti, duchi, ecc.) i quali dovettero indebitarsi e vendere proprietà in Europa per procurarsi i mezzi necessari a realizzare l’impresa (armi, cavalli, scorte di viveri, navi ecc.); i vantaggi economici non ci furono tanto per i Crociati, i quali, anche se realizzarono conquiste e bottino, dovettero comunque affrontare spese enormi per conquistare e per conservare le conquiste fatte, i vantaggi economici ci furono soprattutto per le Repubbliche marinare italiane, che vendettero ai Crociati navi e rifornimenti, e che poi poterono stabilire basi commerciali nei territori orientali conquistati dai Crociati. Riguardo poi alle crudeltà e al fanatismo crociati, si deve considerare che le guerre sono sempre “sporche guerre”, con spargimenti di sangue e stragi, anche di civili (e le guerre moderne e contemporanee non sono affatto “migliori” di quelle medievali), ed inoltre era ritenuto “normale” (anche da parte islamica) che una città assediata che aveva opposto resistenza agli assedianti venisse punita con il saccheggio e con la strage degli abitanti. SCHEMA DEL SECOLO XI ECONOMIA E SOCIETÀ STATI E ISTITUZIONI POLITICHE CHIESA RELAZIONI INTERNAZIONALI Crescita demografica Monarchie feudali: Crescita produzione agraria (espansione Francia Lotta per le investiture tra papato e impero Scontro Gregorio VII –Enrico IV (Concordato di Worms 1122) terre coltivabili; nuove tecniche agricole) Sacro Romano Impero (Germania e Italia sett.) Rinnovamento religioso guidato da Cluny (chiese romaniche, pellegrinaggi, Cavalleria e tregue di Dio) Eccedenze agrarie: i Signori vendono i prodotti della terra e comprano beni voluttuari >>> commercio, artigianato, borghesia, crescita città, nascita dei Comuni Inghilterra: (Normanni) Regno di Sicilia (Normanni) ● Comuni : in Italia: fase consolare Riforma gregoriana e Lotta per le investiture (contro mondanizzazione delle clero e per la Libertas ecclesiae ● Crociate e ordini religiosi monasticocavallereschi Espansione politica dell’ Europa: Crociate: Conquista Gerusalemme (1099) “reconquista” della Penisola Iberica Controllo del Mediterraneo (repubbliche marinare) - 9