UNIVE RSIT A’ DEGL I STUDI DI CAGLIARI FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE MOTORIE TESI DI LAUREA “IPOTALAMO E BILANCIO ENERGETICO” Relatore Professor Gian - Luca FERRI Candidato Carlo CANCELLIERI Anno Accademico 2007-2008 INDICE Introduzione 1 Il bilancio energetico 1.1. Fattori che influenzano l’assunzione del cibo 1.2. Omeostasi 1.2.1. Apporto calorico dei nutrienti 1.2.2. Dispendio energetico 1.3. Tessuto adiposo 1.3.1. Tessuto adiposo bianco 1.3.2. Tessuto adiposo bruno 1.4. Muscoli 2. Aree Coinvolte nella stimolazione e utilizzo di nutrienti. 2.1. Anatomia del Sistema Nervoso Centrale e Periferico 2.2. Organizzazione Sistema Nervoso Autonomo (Vegetativo) 2.2.1. Sistema Nervoso Simpatico 2.2.2. Sistema Nervoso Parasimpatico 2.2.3. Sistema nervoso Enterico 2.2.4. Mediatori 2.3. Ipotalamo 2.3.1. Connessioni dell’ipotalamo 2.3.2. Funzioni dell’ipotalamo 2.3.3. Ipotalamo e sistema limbico 2.3.4. Mediatori ipotalamici oressigeni dell’alimentazione 2.3.5. Mediatori ipotalamici anoressigeni dell’alimentazione 2.4. Regolazione endocrina e rilasci ormonali sull’assunzione del cibo 2.5. Ipofisi 2.6. Surrene 2.7. Tiroide 2.7.1. Ormoni tiroidei e metabolismo 2.8. Leptina 1 3. Apparato digerente 3.1. Assorbimento degli alimenti 3.2. Vasi sanguigni 3.2.1. Linfatici 3.3. Innervazione 3.4. Esofago 3.5. Stomaco e suoi ormoni 3.6. Intestino e suoi ormoni 3.7. Pancreas e suoi ormoni 3.7.1. Pancreas esocrino 3.8. Fegato 3.8.1. Vasi sanguigni 3.8.2. Innervazione 4. Cenni sulle sindromi metaboliche 6. Attività fisica e perdita di peso Conclusioni Bibliografia 2 A mia Moglie Valentina, per la pazienza e l’amore che ha avuto nel sostenermi anche nei momenti difficili, ai miei figli, mia Madre, i familiari, i colleghi di lavoro, in particolare Stefano, e tutti gli amici.. Un particolare ringraziamento al Professor Gian - Luca FERRI, fonte inesauribile di Scienza, oltre ad avermi guidato nella stesura di questa tesi, è sempre stato un punto di riferimento nell’intero percorso accademico, trovando in Lui un Maestro di studi e di vita. 3 Introduzione Nei paesi occidentali, durante l’ultimo secolo, l’aumentata disponibilità di cibo, con ripetuti spuntini durante l’arco della giornata, nonché una condotta di vita più sedentaria, con conseguente riduzione del consumo energetico, ha portato con frequenza a un forte sbilanciamento dell’equilibrio energetico per aumento dell’introito energetico e riduzione del consumo. Inoltre la vita moderna, non più dipendente dal percorso del sole, modifica i naturali ritmi alimentari/lavorativi e di riposo. Questi non sono più guidati dal naturale alternarsi luce/buio, di conseguenza l’ambiente percepito dal cervello è divenuto metabolicamente “piatto e aritmico”, cioè non ha più una cadenza sincronizzata sul ciclo luce/buio. Dal punto di vista evolutivo, questa è “una modificazione ambientale improvvisa”. In queste condizioni, il cervello è suscettibile a mutamenti, fino a perdere il suo ritmo interno e/o quello con gli eventi ambientali. Il cervello, infatti, utilizza il Sistema Nervoso Autonomo per cercare di implementare la ritmicità interna (intesa come quella capacità di essere già pronti a funzionare per quel particolare evento che deve ancora avvenire), in coerente rapporto con gli eventi esterni ciclici. S'ipotizza che questo disequilibrio e questa disfunzionalità del ritmo possano costituire un momento importante nello sviluppo di patologie correlate come la “SINDROME METABOLICA” nel suo senso più esteso. Questo tipo di patologia, rappresenta la nuova attuale “epidemia” dei paesi industrializzati, ed è in tumultuosa crescita. Ad essa si correlano obesità viscerale, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, e quello stato d'aumentato rischio comune a molte dislipidemie, la cui eziologia non è ancora completamente individuata. L’evoluzione ha dotato i vertebrati di potenti strumenti, economici ed efficaci, per evitare che variazioni esterne creino un problema all’organismo. In particolare, pensiamo ai meccanismi ritmici (questi sono degli strumenti di cui l’evoluzione ha dotato i vertebrati), che lo predispongono a rispondere a variazioni prevedibili, per esempio la disponibilità o no di cibo, l’arrivo di una temperatura più elevata o per contrapposto, l’arrivo dell’inverno: per esempio, in alcune specie si evita che la nascita della prole avvenga in momenti sfavorevoli per la sopravivenza dei piccoli. Tali meccanismi sono fondati sulla sincronizzazione fra ciclo di attività e riposo, in rapporto all’alternanza giorno e notte, ovvero estate inverno, ovvero 4 primavera/estate: fondamentale che l’organismo possieda un orologio biologico per poter lavorare in modo ciclico. Sono soprattutto il sistema nervoso autonomo e i circuiti neuro endocrini che servono a mantenere L’individuo, l’armonia tra l’ambiente interno e quello per funzionare, deve adattarsi esterno. a richieste che cambiano continuamente (ad esempio richieste d'energia per svolgere l’attività fisica, o per mantenere stabile la temperatura corporea): ciò ovviamente riducendo il più possibile il costo degli aggiustamenti da compiere volta per volta. Per intervenire ai fini di questo equilibrio omeostatico, il cervello inteso come Sistema Nervoso Centrale, ha due modalità di comunicazione: ormoni, da un lato, neuroni e vie nervose, dall’ altro. Gli ormoni si diffondono in tutto l’organismo: la loro specificità è attuata dai recettori, localizzati in appositi tessuti e cellule bersaglio, che si attivano solo alla presenza di quello specifico ormone. I neuroni e le vie nervose portano il messaggio direttamente a destinazione, in sedi ben precise e localizzate, così come portano informazioni al sistema nervoso centrale e ai sistemi integrativi nell‘organismo dalla periferia. Questa rete molteplice di comunicazione coordina le transizioni dell’organismo dai periodi d'inattività a quelli di attività di tipo locomotorio, o alimentare, o quant’altro, ad esempio in stati di alterazione, quali febbre o fenomeni infiammatori. In particolare il Sistema Nervoso Autonomo o Viscerale comanda gli organi tramite due branche essenzialmente antagoniste: il Simpatico, che predomina nel periodo attivo, e il Parasimpatico, che predomina durante il periodo d'inattività, riposo e digestione. Obiettivo di questa tesi è focalizzare l’attenzione sullo stato dell’Arte nel campo, tramite l’analisi dei percorsi Anatomici, del controllo e del bilanciamento energetico, quindi le risposte che l’organismo attiva a livello ormonale, in risposta agli stimoli variabili dell’attività quotidiana. 5 1. IL BILANCIO ENERGETICO Per bilancio energetico s'intende la differenza fra l’energia introdotta con gli alimenti e l’energia consumata. Quando queste componenti sono equivalenti non si ha aumento del peso corporeo. In accordo con i principi della termodinamica, in particolare dalla prima legge, espressa con la semplice equazione; in un sistema chiuso: Energia introdotta – Energia utilizzata = Energia accumulata. In generale, il bilancio energetico è influenzato e/o regolato a livelli molteplici: oltre che da fattori psicologici e culturali che possono alterare l’equilibrio energetico in senso sia positivo che negativo (bulimia da ansia, anoressia in alcuni soggetti depressi), certamente diversi ormoni e vie di regolazione neuronale sono importanti per determinarlo, questi non sono alternativi, ma sono due livelli diversi per guardare questo fenomeno, è pressoché ovvio che fattori psicologici agiranno per attivare specifiche vie nervose. Fattori “volontari” nella bilancia energetica e quindi apparentemente semplici da modificare, ma in realtà tutt’altro che facili da ottenere sono: l’assunzione di cibo e l’attività fisica. 1.1 Fattori che influenzano l’ assunzione di cibo. L’assunzione del cibo è regolata a livello Ipotalamico, in risposta a una moltitudine di segnali di varia origine, che innescano le ben note “sensazioni” di: - Fame, intesa come bisogno di cibo. - Appetito, quale desiderio di un particolare cibo. - Pienezza, fine del bisogno di assunzione di cibo. - Sazietà, mancanza della fame. Sensazione prolungata, che determina l’intervallo fra un pasto e l’altro. Il controllo dell’assunzione alimentare opera in base ad una complessa rete di segnali raccolti a livello periferico (tessuto adiposo, intestino, stomaco, fegato), elaborati a livello ipotalamico, ed integrati a livello corticale, che si traducono in atteggiamenti e comportamenti indirizzati all’assunzione o non assunzione di cibo. L’ipotalamo fra le sue funzioni, ha quella di vigilare sul centro della fame e sul centro della sazietà, in modo che essi lavorino in accordo tra loro ed in modo complessivamente utile all'organismo. Questo centro, non ben definito dal punto di vista anatomico, è definito "adipostato" ( si parlerà nel paragrafo 1.3). 6 1.2. Omeostasi L’ Omeostasi corporea mantiene costanti le condizioni chimico - fisiche interne anche al variare delle condizioni esterne. Essa si estende a molteplici componenti tra cui l’equilibrio idrico, quello salino, il mantenimento della glicemia, e altro. Dal punto di vista energetico, l’omeostasi dipende dall’equilibrio fra l’apporto calorico e il dispendio energetico operato dall’organismo, incluso l’accumulo di energia in forma di deposito. 1.2.1. L’apporto dei nutrienti I nutrienti contenuti negli alimenti, siano essi aminoacidi, sali minerali, vitamine, grassi o zuccheri, non sono mai totalmente utilizzati dall’organismo per le sue attività di mantenimento ed accrescimento. Solo una percentuale del contenuto totale viene utilizzata dall’organismo, tale percentuale è denominata “biodisponibilità”, il quale indica la quantità di nutriente (rispetto al contenuto totale nell’alimento) che viene assorbita e veicolata nel sito d’azione, dove si rende disponibile per svolgere specifiche funzioni. L’apporto calorico è invece ottenuto dall’introito alimentare, esprimendo il valore energetico degli alimenti in calorie. Nel metabolismo energetico si usa generalmente la grande caloria o kilocaloria (kCal) o il kilojoule (kJ). In linea di massima, il fabbisogno calorico giornaliero per un individuo adulto che svolge attività lavorativa e/o attività fisica moderata è stimabile in circa 2.4002600 calorie giornaliere, ripartite fra carboidrati, proteine , lipidi. Le componenti alimentari sono distinte in macronutrienti, micronutrienti e fibre. I macronutrienti sono: - I carboidrati detti anche glucidi, servono soprattutto a fornire energia; i carboidrati contenuti negli alimenti, possono essere monosaccaridi o polisaccaridi. Questi ultimi, attraverso i processi digestivi, vengono scissi in piccole molecole di zucchero; a livello intestinale queste molecole vengono assorbiti, ossia passano nel sangue portale, il quale le trasporta al fegato. I glicidi che vengono in modo regolato dimessi dal fegato, potranno arrivare alle altri parti dell’organismo, tra cui i muscoli. L’origine dei carboidrati è di solito vegetale. I cibi più noti che li contengono sono il pane, la pasta, il riso, le patate, i legumi e la frutta. Il loro valore energetico è di 3,75 kcal per grammo. 7 - Le proteine (4 kcal per grammo), sono costituite da catene di molecole elementari, gli aminoacidi, legate le une alle altre. La digestione rompe questi legami in modo da consentire l’assorbimento di peptoni e frammenti più piccoli a livello intestinale e conseguente passaggio nel sangue portale e quindi periferico. Gli aminoacidi così assorbiti servono fondamentalmente per costruire le nostre proprie molecole proteiche. I muscoli, ad esempio, sono costituiti se si eccettua l’acqua, soprattutto da proteine legate al meccanismo di contrazione. Le proteine vengono fabbricate utilizzando gli aminoacidi che provengono dagli alimenti e si può affermare che tutte le proteine dell’organismo vengano continuamente rinnovate e riparate. Per questo motivo l’individuo necessita quotidianamente di assunzione proteica dagli alimenti per rendere costante questo lavoro di “manutenzione”. L’origine delle proteine può essere sia animale che vegetale: vengono però considerate nutritivamente “migliori” quelle di origine animale, per il fatto che contengono i diversi aminoacidi in proporzioni più simili a quelle che servono all’organismo per produrre le proteine. Gli aminoacidi si differenziano fra loro in una ventina di tipi diversi, fra i quali è utile menzionare l’aminoacido tirosina: esso infatti, è sede di modificazione (tironina) e iodinazione per la biosintesi degli ormoni tiroidei, ovvero, funge da precursore delle catecolamine (dopamina, noradrenalina e adrenalina). Le carni, i formaggi e il latte hanno notevoli contenuti proteici. Sono anche i legumi anche se in percentuale di contenuto proteico minore. - I lipidi (9,3 kcal per grammo), sono composti insolubili in acqua. Quasi tutti i lipidi presenti nel corpo umano e utilizzati come fonte energetica sono derivati dagli acidi grassi e costituiti da lunghe catene idrocarburiche. I lipidi servono soprattutto a fornire energia, rappresentando la sorgente più concentrata (calorie per grammo) a differenza dei carboidrati e delle proteine. La loro origine è sia d'origine vegetale, come ad esempio gli oli, che di origine animale, come ad esempio il burro e lo strutto. Le problematiche derivanti dall’accumulo eccessivo del grasso sono legate oltre che all’aumentato peso corporeo, a patologie correlate nelle sindromi metaboliche. Per citare alcuni esempi: le prostaglandine svolgono funzioni simili a quelle degli ormoni, dal punto di vista chimico, sono acidi grassi, solubili nella componente lipidica del corpo umano. Si trovano in particolare nella prostata e nel liquido 8 seminale, ma, sia pure a concentrazioni diverse, sono localizzate nella maggior parte dei tessuti. La mielina che è una guaina che circonda la maggior parte delle fibre nervose, permettendo la trasmissione dell’impulso nervoso all’interno del nostro corpo è composta per circa il 70% da lipidi. I lipidi si dividono in tre classi principali: 1. Lipidi di riserva, quali ad esempio i trigliceridi I Trigliceridi Composti da 3 acidi grassi legati con estere ossidrilico un al legame gruppo di una molecola di glicerolo. Tramite l’esterificazione, che è una reazione di condensazione che libera acqua, si forma il trigliceride quale classico lipide di riserva, quando poi gli acidi grassi verranno utilizzati nel metabolismo, questo subirà una reazione, inversa, di idrolisi, che libererà i tre acidi grassi e il glicerolo, il quale verranno immessi in circolo assorbiti dalle cellule e metabolizzati in siti e metabolismi diversi. Per esempio il sito metabolico e la via metabolica dove viene metabolizzato l’acido grasso, è la matrice mitocondriale e la β ossidazione. Il glicerolo invece è sito nel citoplasma, entra nella seconda fase della glicolisi, essendo una molecola a tre atomi di carbonio e il glucosio a sei atomi di carbonio, nella prima fase avviene l’attivazione, nella seconda fase entrano due spezzoni a tre atomi di carbonio, il glicerolo viene ossidato, passa nella seconda fase della glicolisi e poi segue il suo percorso. Nel digiuno prolungato l’apporto del glicerolo diventa importante: esso viene utilizzato nella gluconeogenesi epatica. Questo è un processo metabolico mediante il quale, in caso di necessità dovuta ad una carenza di glucosio nel flusso ematico, un composto non glucidico viene convertito in glucosio, seguendo sostanzialmente le tappe inverse delle glicolisi. Si può così produrre glucosio a partire oltre che dal glicerolo anche dal piruvato, dal lattato, e dagli aminoacidi. 2. Lipidi di membrana, quali i fosfolipidi e sfingolipidi 3.lipidi steroidei, come il colesterolo, che è anche precursore di tutti gli altri steroli e steroidi. Anche gli ormoni sessuali originano dai lipidi steroidei 9 I Microutrienti: - Le vitamine: sono molecole che l’organismo non è in grado di fabbricarsi da solo; esse devono essere assunte già pronte; hanno funzioni diverse e possono essere distinte in: idrosolubili (solubili in acqua), quali: B1, B2, B6, B12, C, acido folico, H, e liposolubili (solubili nei lipidi), quali: A, D, E, K. La carenza di vitamine porta a diverse malattie, quali ad esempio lo scorbuto per mancanza di vitamina “C” o il rachitismo in mancanza di vitamina “D”. - Le fibre: sono sostanze che si trovano nei cibi d'origine vegetale. Esse non sono digerite dal momento che nel nostro tubo digerente non esistono enzimi capaci di assimilarle; attraversano quindi tutto l’intestino come tali e vengono eliminate con le feci. Sono importantissime per combattere la stitichezza. - i minerali: essi sono indispensabili per una moltitudine di funzioni dell’organismo, e svolgono tre funzioni principali: 1. Provvedono alla struttura e alla formazione di ossa e denti. 2. Dal punto di vista funzionale aiutano a mantenere il normale ritmo cardiaco, la contrazione muscolare, la conduzione nervosa, e il bilancio acido – base nel corpo. 3. Regolano il metabolismo delle cellule, diventando parte di enzimi e ormoni che modulano l’attività cellulare. Per citare alcuni minerali: lo iodio, quale costituente degli ormoni tiroidei, accumulato nella tiroide stessa, è presente in alimenti quali: pesci, uova, sale marino e molte verdure. Il sodio, il potassio e il cloruro, sono nel complesso chiamati elettroliti, si trovano nel corpo sotto forma di particelle cariche elettricamente (ioni). Il sodio e il cloro rappresentano i minerali principali presenti nel plasma sanguigno e nei fluidi extracellulari. Gli elettroliti modulano lo scambio di fluidi tra i vari comparti del corpo, permettendo un ben regolato scambio di sostanze nutrienti e di rifiuto tra la cellula e l’ambiente esterno. Mentre il sodio è presente nel sale comune, il cloro fa parte di alcuni cibi contenenti sale, sia in alcuni vegetali e la frutta. La funzione più importante degli ioni sodio e potassio riguarda il loro ruolo nello stabilire il giusto gradiente elettrico attraverso le membrane cellulari. La differenza dal punto di vista elettrico tra l’interno della cellula e il suo esterno, permette, ad esempio, la trasmissione degli impulsi nervosi, la stimolazione e l’azione dei muscoli ed anche il giusto funzionamento delle ghiandole. Inoltre, gli elettroliti regolano le proprietà acido-base dei fluidi corporei, in particolare del sangue. 10 Il calcio è il minerale che si trova più abbondantemente nel corpo dove si combina con il fosforo per formare ossa e denti. Nella forma ionizzata, il calcio svolge azione importante nell’attività muscolare, nella coagulazione sanguigna, nella trasmissione degli impulsi nervosi, nell’attivazione di numerosi enzimi, nella sintesi del calcitriolo (forma attiva della vitamina D), e nel trasporto di fluidi attraverso le membrane cellulari. Negli alimenti, il calcio si trova prevalentemente nel latte e i suoi derivati e nei legumi secchi. Il magnesio è contenuto in circa 300 enzimi coinvolti nella regolazione dei processi metabolici. Esso stesso, svolge un ruolo importante nel metabolismo del glucosio, nella sintesi delle proteine e dei lipidi e contribuisce a al buon funzionamento dell’apparato neuromuscolare. Insieme ai già citati sodio e potassio, il magnesio agisce anch’esso come elottrolita, partecipando al mantenimento della pressione sanguigna. Negli alimenti esso si trova nei vegetali a foglia verde, nei legumi e nei cereali interi. Minerali da citare sono inoltre il ferro, lo zolfo, il rame, ed altri. 1.2.2. Il dispendio energetico Esso ha più componenti: - Metabolismo Basale (MB): è il quantitativo energetico necessario per svolgere le attività vitali di base a riposo, in assenza di sforzi fisici, digestivi o emozionali, mantenendo la temperatura corporea a 37°C. Ciò in una situazione isotermica (senza variazioni di temperatura), ovvero con temperatura ambiente tale che non c’è bisogno di spendere energia né per scaldare né per raffreddare l’organismo. - Esigenze energetiche maggiori a quelle basali che richiedono utilizzo di energia per combattere le malattie, ad esempio la febbre. Oppure, energia spesa per mantenere la temperatura corporea costante adattandola alle variazioni climatiche, se fa caldo o fa freddo, il consumo cambia, inoltre il bisogno energetico per fare attività fisica. - Termogenesi indotta dalla dieta: quantitativo energetico speso in risposta all’assunzione degli alimenti (secrezione, biosintesi, assorbimento). Varia per la quantità e la qualità degli alimenti con il loro potere dinamico specifico, durante la digestione gli alimenti in quanto tali, possono essi stessi 11 liberare energia, inoltre, c’è anche la quota non assorbibile, per esempio la cellulosa. Bilancia energetica – fame e sazietà Peso costante Dieta ad alta densità energetica Inattività fisica Bilancia energetica Ricerca del cibo adeguata fame sazietà Dieta a basso contenuto calorico Attività fisica X Eccesso calorico Inadeguato stimolo di sazietà Stimolo adeguato Deficit energetico Ricerca eccessiva di cibo Aumento di peso fig. 1.Schema rappresentativo del bilancio energetico 1.3. Tessuto adiposo. L’eccedenza fra energia introdotta ed non utilizzata si raccoglie e si accumula in tessuto adiposo. Il tessuto adiposo è oggetto di particolare studio come conseguenza dell’emergere dell’ obesità come un serio problema sanitario. In anni recenti è risultato chiaro che l’adipocita (cellula), svolge importanti ruoli di segnalazione e regolazione energetica e metabolica. L‘Adipocita o cellula adiposa, è l’unita morfo - funzionale del tessuto adiposo. Conoscerlo è cruciale per capire la fisiopatologia dell’obesità e delle malattie metaboliche. Per secoli, esso fu solo oggetto di invidia di coloro che cibo poco né avevano. Il tessuto adiposo è stato considerato solo come sede d' accumulo di energia. In contrapposizione ad una storia secolare in cui la ricchezza di adipociti costituiva un fattore determinante per la sopravvivenza, l’aumento dell’obesità negli ultimi 30 anni ha contribuito a rendergli un’immagine negativa, soprattutto presso i media. Le due decadi scorse, tuttavia, hanno visto un’onda di interesse scientifico verso queste cellule, alimentata in parte dalle preoccupazioni circa l’obesità stessa 12 e le relative conseguenze metaboliche, ed in parte dal riconoscimento che gli adipociti hanno un importante ruolo nei processi omeostatici. Infatti, essi risultano coinvolti nel controllo alimentare, nella risposta immunitaria, nel controllo della pressione sanguigna, nella regolazione della massa ossea, nell’emostasi, nella funzione riproduttiva e nella regolazione della tiroide (se c’è poca energia disponibile, la leptina è bassa, la tiroide si spegne). Questi ultimi processi sono regolati principalmente attraverso la sintesi ed il rilascio di ormoni peptidici dagli adipociti. Gli adipociti liberano peraltro nella circolazione acidi grassi, i quali sono usati come combustibile dalla maggior parte degli organi, quando le riserve di “glicogeno” ed epatico e/o muscolare stanno calando e quindi la glicemia tende a scendere. Anche se la maggior parte degli organismi multicellulari hanno cellule che accumulano energia eccedente, gli adipociti si sono evoluti per rispondere a questo bisogno, sin dai tempi dei primi vertebrati. I mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli anfibi e alcuni tipi di pesci hanno cellule identificabili come adipociti, anche se la disposizione anatomica del tessuto grasso varia considerevolmente fra le specie. Ci sono parecchi depositi distinti all’interno delle strutture e cavità del corpo: alcuni depositi adiposi circondano ad esempio il cuore e altri organi: alcuni di questi sono noti come deposito di grasso viscerale, in particolare in rapporto con l’intestino. L’aumentare della massa di tessuto adiposo si correla clinicamente ad un aumento di frequenza di rischio per alcune malattie, quali l’obesità, il diabete di tipo II e malattie cardiovascolari . Il tessuto adiposo, tra l’altro, sintetizza e libera l’ormone leptina. La leptina è una piccola proteina che si sposta attraverso il sangue fino a penetrare nel sistema nervoso centrale, grazie ad un apposito sistema di trasporto attraverso la barriera ematoencefalica: qui agisce sui recettori presenti in diversi neuroni dell’ipotalamo per spegnere la fame, indurre la sazietà e dare il consenso funzionale ad altri meccanismi neuroendocrini. (vedi 2.8) Come già accennato in precedenza, l’ipotalamo svolge un compito di controllo alimentare, vigilando sul centro della fame e sul centro della sazietà, in modo che essi lavorino in accordo tra loro ed in modo complessivamente utile all'organismo. Questo centro è definito adipostato, il quale agirebbe stimolando il centro della fame e/o inibendo quello della sazietà, a seconda che le riserve di grasso 13 diminuiscano o viceversa aumentino, in modo da far sì che il peso corporeo rimanga costante nel tempo. L’adipostato agisce in base a stimoli che provengono dalla periferia, per esempio lo stomaco o lo stesso tessuto adiposo, ed è in grado di distinguere anche tra un certo tipo di alimenti e altri, ragion per cui può stimolare in modo differenziato la ricerca di carboidrati o di proteine. L’adipostato non solo regola i cicli brevi, cioè l’alternarsi di fame e sazietà, ma anche cicli più lunghi e, in pratica, tende a mantenere la stabilità dell’organismo attorno a un certo peso (setpoint): di fronte a una drastica riduzione del cibo, per esempio, può ridurre il consumo di energia. 1.3.1. Tessuto adiposo bianco Il suo ruolo principale è quello di accumulare gli acidi grassi sotto forma di trigliceridi, ma anche di secernere alcune sostanze ad azione ormonale (leptina). La cellula si presenta occupata quasi totalmente occupata da un vacuolo lipidico (LV), in cui sono accumulati i trigliceridi, mentre gli altri organi cellulari, Mitocondri (M) e il Nucleo (N) si presentano schiacciati nella periferia della cellula, queste cellule sono poco vascolarizzate ed innervate. Fig. 2. Tessuto adiposo bianco bruno 1.3.2. Tessuto adiposo bruno Nei mammiferi, il suo ruolo principale è di essere cellula metabolicamente attiva, cioè in grado di produrre calore. Il nucleo si trova centralmente, mentre il resto della cellula è occupata da piccoli vacuoli lipidici e mitocondri. Nelle membrane mitocondriali è presente l’UCP1, una proteina disaccoppiante, in grado di disperdere in calore l’energia ottenuta dall’ ossidazione degli acidi grassi presenti. In altre parole è responsabile della produzione di calore. Per contrapposto, altri tessuti, in particolare il muscolo contengono un’altra proteina diversa e 14 disaccoppiante: l’UCP3. L’attività muscolare di tipo endurance tende a farla diminuire, aumentando l’efficienza energetica del lavoro muscolare. In generale le proteine disaccoppianti sfruttano il flusso di protoni che tornano sulla matrice mitocondirale per produrre calore, l’energia viene dissipata sotto questa forma. Il grasso bruno è particolarmente rappresentato alla nascita ma poi tende a diminuire con l’età in quanto viene sostituito da quello bianco. La cellula adiposa bruna è particolarmente innervata dal sistema nervoso autonomo simpatico e almeno secondo alcuni anche nel parasimpatico: dall’ipotalamo si va nel tronco encefalico, dove abitano i neuroni premotori, questi proiettano al midollo spinale, nel il tratto toraco – lombare, (colonna intermedio - laterale), ai neuroni pregangliari, infine questi proiettano ai gangli para o pre - vertebrali, fanno sinapsi con i neuroni dei gangli, e da qui i neuroni postgangliari, arrivano al grasso bruno, per stimolarne rispettivamente l’attività termogenica (produzione di calore), e la sua diffusione nel corpo. Tra i neuroni premotori, parrebbero essere separati quelli che proiettano al cuore, determinando la risposta cardio acceleratoria, da quelli che danno termogenesi nel tessuto adiposo bruno, come sopra. Fig. 3.Rilascio adipociti L’adipocita rilascia ormoni, fra cui la leptina (vedi 2.8), la resistina, quale inibitore dell’azione dell’insulina (vedi 3.7), e l’adinopectina, che incrementa il consumo di lipidi e modula l’effetto dell’insulina (vedi cap. 4). 1.4. Muscoli Il muscoli sono gli elementi attivi dei movimenti del corpo. Sono detti volontari in quanto generalmente possono essere contratti con la volontà; somatici in quanto si stratificano sullo scheletro fino a formare il soma. Per ogni singolo muscolo è importante sapere dove origina, dove si inserisce e la sua azione, sapendo che è composto da una parte carnosa rossa, contrattile, propriamente detta “ventre muscolare”, dalle estremità tendinee che si inseriscono 15 sui punti ossei. Invece quando il tendine diventa largo e piatto prende il nome di aponeurosi, come ad esempio i muscoli larghi dell’addome. I muscoli somatici sono avvolti da guaine connettivali fibrose, biancastre, semitrasparenti dette fasce muscolari. Un muscolo si contrae, si accorcia in una direzione diventando più spesso e più largo, comunque cambiando di forma ma lasciando inalterato il suo volume. Inoltre, il muscolo stesso si contrae perché al suo interno c’è una serie molto organizzata di molecole le quali usano sostanze chimiche che scorrono le une sulle altre. Particolari meccanismi, consentono a queste molecole, che per ogni muscolo sono migliaia, di disporsi in maniera parallela ma non coincidenti, per cui al momento dell’impulso contrattile, entra precipitosamente Ca++ (calcio ione), dentro le cellule: il suo livello infatti è normalmente stabile fuori cellula e molto basso dentro le cellule, il quale determina l’apertura di appositi fori che fanno entrare il calcio stesso, scatenando lo scorrimento di molecole e il loro successivo accorciamento. Le numerose molecole che consentono lo scorrimento, sono organizzate con delle “striature” sulla lunghezza, perpendicolari alla larghezza del muscolo. Nella muscolatura “liscia” invece, le molecole in causa non sono in questo modo organizzate, bensì sono disposte in maniera meno ordinata. La contrazione è più lenta anche se avviene per una estensione maggiore e può essere sostenuta per lunghi periodi. La muscolatura liscia è quella che riveste gli organi interni come l’intestino, l’utero, la vescica ed i vasi sanguigni e né permette la contrazione e/o la regolazione, esso resta al di fuori del controllo volontario, anche se in alcuni casi può rispondere a informazioni ed situazioni coscienti, come ad esempio la pelle d’oca. Anche il “muscolo cardiaco”, che circonda le cavità del cuore, è un muscolo striato: esso tuttavia è ben diverso da quello scheletrico, in quanto ha cellule più piccole con singolo nucleo che si contraggono autonomamente. Il cuore infatti, avvia il ciclo di contrazione in modo indipendente, ma il sistema nervoso è in grado di modificando frequenza e potenza di contrazione. Per contrapposto, i muscoli “striati scheletrici”, sono comandati dal sistema nervoso somatico tramite particolari neuroni, il cui corpo cellulare si trova nella parte anteriore del midollo spinale, oppure nei nuclei motori del tronco encefalico, 16 detti motoneuroni. Essi mandano il loro assone fuori, fino a prendere contatto con ciascuna fibrocellula dello specifico muscolo per comandarne la contrazione. La muscolatura striata scheletrica ha cellule particolarmente grandi con numerosi nuclei (sincizi), quello che importa sapere è che ognuna di queste riceve la connessione dalla fibra di comando che la fa funzionare. Questa giunzione si chiama placca neuromuscolare: in essa giunge il prolungamento del motoneurone che si giustappone ad un’area specializzata della membrana della cellula muscolare: la membrana dell’uno si avvicina assai alla membrana dell’altro, lasciando tuttavia una piccola fessura: la fessura giunzionale , simile a quella delle sinapsi nervose. Quando il comando nervoso è sufficientemente intenso, la terminazione assonale libera il neurotrasmettitore chimico acetilcolina (ACh), la quale attraversa lo spazio giunzionale, si lega al recettore sulla membrana del muscolo, innescando l’apertura dei canali del calcio, quindi dando inizio alla contrazione muscolare. I muscoli striati scheletrici sono pressoché tutti volontari. Restano comunque pochissime eccezioni relative a muscoli comunque innervati da apposite placche neuromuscolari: il primo tratto dell’esofago è uno di questi: finita la deglutizione, esso fa passare il cibo attraverso il torace in direzione dell’addome. Un altro esempio sono due muscoli striati dell’orecchio medio, precisamente del martello e della staffa, hanno le loro placche , ma non sono sotto il controllo volontario. 17 2. AREE COINVOLTE NELLA STIMOLAZIONE ALIMENTARE La regolazione dell’assunzione alimentare e il relativo controllo si fondono in una complessa rete di segnali che raccolgono informazioni dalla periferia (tessuto adiposo, stomaco, fegato), vengono elaborati nell’ ipotalamo ed integrati a livello corticale, per poi tradursi in atteggiamenti atti alla ricerca ed assunzione del cibo, oppure per opposto alla non assunzione del cibo. Fig. 4 Aree ipotalamiche della stimolazione alimentare Fig. 4a. Rilasci ormonali periferici 18 2.1 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE E PERIFERICO Fig. 5.Sistema nervoso centrale Fig. 6.Sistema nervoso centrale e periferico Pur essendo essenzialmente continuo, il Sistema Nervoso, è opportunamente diviso in varie parti, regioni e sistemi. 19 L’insieme del cervello o encefalo e del midollo spinale costituisce il Sistema Nervoso Centrale o Nevrasse. Da esso si staccano 12 paia di nervi cranici e 31 paia di nervi spinali, che fanno parte del Sistema Nervoso Periferico. Quest’ultimo comprende non solo le ramificazioni dei predetti nervi, ma anche l’insieme dei nervi viscerali o splancnici, anch’essi collegati al Sistema nervoso centrale tramite nervi cranici e spinali. Questi ultimi adempiono, dunque, funzioni sensitive e motorie, sia somatiche, che viscerali. La suddivisione in parti centrali e periferiche fondamentalmente funzionale nell’ organizzazione della parte periferica, consta di vie nervose di collegamento indiretto tra recettori ed effettori, gli uni e gli altri siti perifericamente anch’essi, tramite la complessa intermediazione del nevrasse. Le proprietà peculiari del sistema nervoso centrale, che pur contiene anche i tratti terminali e, rispettivamente, iniziali delle vie afferenti ed efferenti, per la restante, più lunga, porzione periferica accolte nei nervi, risiedono nelle complesse connessioni tra neuroni, grazie alle quali possono insorgere adeguati tipi di risposta agli stimoli dell’ ambiente esterno e di quello interno. Questa intermediazione tra flusso in arrivo di differenti tipi d’informazioni e il flusso in uscita d’adeguati insiemi di “istruzioni” per gli effettori, è anche il substrato specifico di funzioni nervose quali coscienza, memoria, apprendimento; ciascuna di tali funzioni si manifesta secondo un grado che dipende dallo sviluppo dell’ apparato centrale stesso: cioè, in generale, progressivamente crescente lungo le linee dell’ evoluzione, soprattutto quella che in definitiva ha fatto capo alla specie umana. I neuroni rappresentano il substrato cellulare attraverso cui il sistema nervoso compie le sue funzioni. Da un punto di vista funzionale i neuroni possono essere suddivisi in: sensitivi, motori o effettori ed interneuroni. Per svolgere la loro funzione utilizzano neurotrasmettitori eccitatori o inibitori. I neuroni sensitivi pseudounipolari a T sono siti al di fuori del sistema nervoso centrale e si raggruppano per costituire i gangli sensitivi cerebrospinali. La complessità dei circuiti nervosi è dovuta, in larga parte, alla presenza di un elevato numero di interneuroni eccitatori e inibitori. Le informazioni salgono attraverso vie ascendenti sensitive; a livello encefalico avviene l’elaborazione “superiore” delle informazioni ricevute, indi le risposte ritornano verso la periferia attraverso le vie discendenti motrici (somatiche e viscerali). 20 Fig. 7.Rappresentazione del neurone L’encefalo o cervello , contenuto per intero nella cavità cranica, viene suddiviso in regioni, su una base morfo – funzionale. A partire dal midollo spinale verso l’alto troviamo: 1. Romboencefalo o encefalo posteriore comprendente in una parte inferiore, il mielencefalo, o bulbo o midollo allungato; una superiore, il metencefalo che consta, del ponte e dorsalmente del cervelletto. 2. Mesencefalo o encefalo medio. 3. Prosencefalo o encefalo anteriore, che viene suddiviso nel diencefalo o encefalo intermedio, che è la porzione centrale di collegamento dell’encefalo anteriore con il medio, di cui fanno parte, fra l’altro, il talamo e l’ipotalamo e il telencefalo, comprendente i 2 cosiddetti “emisferi” cerebrali, connessi da un’ampia regione di sostanza bianca, il corpo calloso. Bulbo, ponte e mesencefalo costituiscono il Tronco encefalico ( brain stem), che collega il prosencefalo con il midollo spinale. Il midollo spinale occupa circa i 2/3 superiori del canale vertebrale nell’adulto e si continua nel bulbo: il piano di separazione, del tutto virtuale, è subito sotto il livello del grande forame occipitale. Il primo paio di nervi spinali emerge dal midollo spinale immediatamente sotto il suo inizio. 21 1 Romboencefalo = Mielencefalo 3 Prosencefalo = e Diencefalo Metencefalo e 2 Mesencefalo Telencefalo Fig.8. Suddivisone su base morfo-funzionale delle regioni encefaliche Il Sistema nervoso periferico comprende i nervi cranici, spinali e viscerali e i gangli ad esso associati, insieme alle loro guaine di connettivo. E’ quindi costituito dal sistema dei nervi cerebrospinali, e dal sistema viscerale periferico o autonomo. Le fibre efferenti somatiche del primo (fig.A), vanno senza interrompersi, dal corpo dei motoneuroni di origine, situati nel sistema nervoso centrale, sino agli effettori, i muscoli. Le fibre efferenti viscerali o autonome (fig.B), formano un’ultima sinapsi in gangli posti fuori dal nevrasse, (istituendo sinapsi) su neuroni postgangliari i cui assoni vanno infine ad innervare cellule muscolari lisce e ghiandole. Fig. 9 Fibre efferenti somatiche e viscerali 22 Pertanto le vie efferenti viscerali comprendono due tipi di neuroni motori e loro assoni, quelli pregangliari e quelli postgangliari. Le fibre afferenti sensitive sono organizzate all’incirca nella stessa maniera in entrambi i sistemi. somatico e viscerale. Esse transitano nei nervi cerebrospinali e nel sistema nervoso viscerale periferico. Le fibre sensitive viscerali di primo ordine si servono dei nervi cranici o spinali per entrare nel nevrasse, così come le fibre efferenti viscerali pregangliari si servono dei nervi cerebrospinali per uscire dal nevrasse stesso. L’intero sistema nervoso viscerale o autonomo è diviso in ortosimpatico e parasimpatico. Le fibre efferenti ortosimpatiche pregangliari traggono origine da una parte della sostanza grigia del midollo spinale, limitatamente ai segmenti compresi tra il primo toracico e il secondo o talora il terzo lombare. Invece, le fibre efferenti parasimpatiche pregangliari emergono soltanto con alcuni nervi cranici e con il 2°, 3° e 4° nervo spinale sacrale. Questi due gruppi di neuroni effettori viscerali sono in genere designati come sistema effettore rispettivamente, encefalo-sacrale o (parasimpatico) e toracolombare o (ortosimpatico). Fig. 10. Rappresentazione sul piano trasversale del midollo spinale e dell’ origine del Sistema nervoso periferico La parte ventrale o anteriore è efferente motoria (in uscita). La parte dorsale o posteriore è afferente sensitiva (in ingresso). Nel ganglio abitano i motoneuroni pseudounipolari a T sensitivi. 23 2.2 Organizzazione del sistema nervoso autonomo, viscerale o vegetativo Fig.11. Sistema nervoso autonomo Il sistema nervoso autonomo è distribuito dovunque in tutto il sistema nervoso centrale, iniziando dall’ipotalamo, a mano a mano scendendo e innervando i suoi bersagli: il miocardio, i vasi sanguiferi, la muscolatura liscia, ossa, la cute, l’occhio, i vasi dei muscoli, ghiandole; quindi esso controlla gli organi viscerali. Le vie efferenti viscerali differiscono da quelle somatiche in quanto presentano un’interruzione sinaptica sita fuori dal sistema nervoso centrale, essendo il collegamento tra questo e l’organo effettore viscerale stabilito da una catena di almeno due neuroni (vedi sopra). 24 I neuroni postgangliari sono più numerosi ed un neurone pregangliare può formare sinapsi con 15-20 neuroni postgangliari, il che comporta un ampia diffusione di molte risposte viscerali. Si ritiene che la sproporzione numerica tra neuroni pre e postgangliari sia, maggiore nel settore simpatico del sistema nervoso viscerale che in quello parasimpatico (un indagine sul ganglio cervicale superiore sarebbe emerso un rapporto di 1 a 196 tra fibre pregangliari e postgangliari. (Ebbeson 1968). 2.2.1. Sistema nervoso Simpatico o Ortosimpatico Come si diceva, le fibre efferenti pregangliari del simpatico, emergono dal nevrasse con i nervi spinali toracici e lombari superiori, formando la sezione efferente toracolombare. I corpi dei postgangliari risiedono gangli neuroni simpatici in genere nei delle catene del simpatico, in posizione paravertebrale o pre-vertebrale. Essi sono posti più vicino al midollo spinale che agli organi effettori innervati dagli assoni postgangliari. Il simpatico è la sezione più estesa del sistema nervoso Fig. 12Sistema nervoso Simpatico. viscerale, comprende i due tronchi del simpatico, provvisti di gangli paravertebrali e pre-vertebrali, i loro rami, plessi, e gangli sussidiari. Si distribuisce ad un territorio assai più esteso di quello del parasimpatico: innerva infatti le ghiandole sudoripare e i muscoli erettori dei peli di tutta la cute, la muscolatura di tutti i vasi sanguiferi, il cuore, la trachea, i bronchi, i polmoni , l’esofago, i visceri addominali e pelvici, gli organi dell’ apparato urogenitale, il muscolo dilatatore della pupilla, componenti muscolari della palpebra, e varie altre formazioni. L’attivazione del simpatico provoca, ad esempio, costrizione generalizzata delle arterie cutanee (cui consegue aumento del flusso sanguigno nel cuore, nei muscoli 25 e nell’encefalo), accelerazione della frequenza cardiaca, aumento della pressione arteriosa, contrazione degli sfinteri e diminuzione della peristalsi intestinale, effetti che servono per adeguarsi a situazioni che richiedono necessariamente energia: il simpatico va infatti incontro ad un’attivazione di massa in condizioni che richiedono risposte rapide nelle quali, quindi, è necessario risparmiare energia dove possibile ed usarla per svolgere azioni di movimento, fuga, di lotta ed altro. 2.2.2. Sistema nervoso Parasimpatico Le fibre efferenti pregangliari del parasimpatico abbandonano il Sistema nervoso centrale decorrendo in alcuni nervi cranici, o in nervi spinali sacrali, costituendo la sezione efferente encefalosacrale. Le fibre parasimpatiche pregangliari sono “mieliniche” e si trovano nel nervo oculomotore, nel faciale, nel glossofaringeo, nel vago e nel secondo, terzo e quarto nervo sacrale. Fig. 13. Sistema nervoso parasimpatico Fanno parte del parasimpatico encefalico quattro piccoli gangli periferici; il ganglio ciliare, pterigopalatino, sottomandibolare e otico. Questi sono sede esclusivamente di origine di fibre “effettrici”, a differenza dei gangli del trigemino, faciale, glossofaringeo e vago che sono tutti “sensitivi”. Nel ganglio simpatico e parasimpatico arriva il pregangliare , sinapsi e postgangliare . Le fibre parasimpatiche postgangliari sono in genere “amieliniche” e più brevi delle corrispondenti simpatiche, poiché i loro gangli d’ origine sono posti vicino o in seno ai visceri che innervano. Le attivazioni in genere discrete e localizzate di componenti parasimpatiche determinano, ad esempio, il rallentamento della frequenza cardiaca o l’aumento della secrezione e della peristalsi dell’ intestino o un aumento di flusso sanguigno 26 alle ghiandole salivari e relativo incremento della secrezione di saliva (ad esempio l’acquolina); effetti che si possono considerare variamente finalizzati, alla assunzione e/o conservazione dell’ energia nell’ organismo. 2.2.3.Sistema nervoso enterico. Nell’apparato digerente una grande quantità di neuroni raggruppati in piccoli gangli localizzati nelle tonache dei visceri cavi e del parenchima dei visceri pieni, insieme alle loro fibre formano il sistema nervoso enterico costituito dal plesso sottomucoso(di Meissner) e dal plesso mioenterico (di Auerbach) posto tra le due tonache muscolari. (vedi anche 3.3.) Fig. 14 Sistema nervoso enterico 2.2.4. Mediatori Gli impulsi convogliati lungo le fibre nervose pre e postgangliari “parasimpatiche”, nonché le fibre efferenti somatiche (motoneuroni), giunte alla terminazione di queste, determinano la liberazione di acetilcolina, ancorché in sede di giunzioni ben diverse: sinapsi nei gangli, giunzioni neuro-effettrici viscerali, ovvero, infine, placca motrice, rispettivamente. Per contrapposto, il 27 principale mediatore “classico” che si libera dalle terminazioni delle fibre postgangliari simpatiche può essere acetilcolina (ghiandole sudoripare), oppure norepinefrina (detta anche noradrenalina), in molteplici altre sedi Incidentalmente, epinefrina detta anche adrenalina, si riscontra solo nella midollare del surrene, o in alcuni neuroni centrali. Fig. 16. Mediatori Negli ultimi tre decenni, numerose altre sostanze, quali altre catecolamine, aminoacidi e numerosi peptidi si sono dimostrati importati mediatori nel sistema nervoso centrale e periferico in tutte le sue diverse parti. Parecchi di tali mediatori, specie peptidici saranno menzionati nell’ ipotalamo. 28 Fig. 17 . Schema delle vie efferenti del sistema nervoso viscerale( Meyer e Gottlieb). Le fibre parasimpatiche sono indicate con linee blu, quelle simpatiche con linee rosse; le linee rosse tratteggiate indicano fibre postgangliari per i nervi encefalici e spinali. 29 2.3. IPOTALAMO a b c Fig. 18 a-b- c- Ipotalamo e suddivisione in nuclei Il diencefalo è una formazione impari mediana con due metà simmetriche. Al centro del diencefalo entrambe le pareti del 3° ventricolo sono percorse da un solco, il solco ipotalamico, che si estende dall’ acquedotto cerebrale sino al foro interventricolare e segna un limite, in ciascuna metà del Diencefalo, tra una parte dorsale e una parte ventrale. La parte Dorsale è costituita dal Talamo, dal Metatalamo e dall’Epitalamo. La parte Ventrale comprende l’ Ipotalamo e l’Epitalamo. L’Ipotalamo si estende dalla lamina terminale fino ad un piano verticale posto subito dietro i corpi mammillari, e dal solco ipotalamico alla superficie del pavimento del terzo ventricolo. Lateralmente all’ipotalamo si trovano la parte anteriore del subtalamo, la capsula interna e il tratto ottico. Posteriormente è in diretta continuazione con il tegmento del mesencefalo, dorsalmente si trovano i vari nuclei del talamo, anteriormente la lamina terminale e la commessura anteriore separano l’area pre-ottica dal setto precommessurale, che rappresenta la continuazione della banderella diagonale di Broca nel giro paraterminale, dinanzi al quale si trova il lobo para olfattivo. Questi 30 confini topografci sono arbitrari, e molti di essi sono attraversati da sistemi di fibre funzionalmente continui. L’ipotalamo può essere suddiviso in tre parti, che si susseguono in direzione antero posteriore o se ne può fare una suddivisione longitudinale, da entrambi i lati, in due parti, laterale e mediale, separate fra loro da un piano sagittale paramediano che passa, in ciascun antimero (divisione mediante un asse sagittale mediano), per la colonna del fornice, il fascio mammillo - talamico e il fascicolo retroflesso. Peraltro è possibile suddividere la parte mediale in una parte paraventricolare, sottile, ed una parte intermedia (o mediale) più spessa: - La parte paraventricolare è la parte più mediale, essa è costituita da una parte del nucleo preottico, da un piccolo nucleo sopra-chiasmatico, dal voluminoso nucleo paraventricolare (PVN), dal nucleo infundibulare o arcuato (ARC) , e dal nucleo posteriore. La parte intermedia o mediale è costituita da una parte del nucleo preottico, il nucleo anteriore, dal nucleo dorsomediale (DMH), dal nucleo ventromediale (VMH), da piccoli nuclei premammillari. - La parte laterale comprende la parte del nucleo preottico , il nucleo sovra-ottico, il nucleo laterale (LH), il nucleo tubero mammillare, i nuclei tuberali mammillari. I corpi neuronali, gli assoni e i terminali nervosi dell’ intera regione preottico ipotalamica contengono non meno di 20- 25 sostanze che, dimostratamene o probabilmente, agiscono sulle comunicazioni interneuronali, ad esempio fungendo da neurotrasmettitori e/o neuromodulatori. Fig. 19. Connessione ipotalamo ipofisi 31 Ciascuna delle quali è stata mappata, cioè né è stata studiata la distribuzione dettagliata in gruppi neuronali e relative vie di connessione. 2.3.1 Connessioni dell‘Ipotalamo I sistemi di fibre Afferenti all’ ipotalamo comprendono vie sensitive ascendenti viscerali e somatiche, vie olfattive, e numerosi fasci provenienti dal mesencefalo, dallo stesso diencefalo, da altre formazioni “limbiche” e dalla neo corteccia.Ad un gruppo di formazioni telencefaliche, molte delle quali un tempo si ritenevano associate principalmente con le funzioni olfattive, è stato successivamente riconosciuto un significato più ampio; esse sono descritte complessivamente come “sistema limbico”. L’ipotalamo stesso, con altre formazioni diencefaliche e con alcune formazioni tronco encefaliche (foto sotto), viene spesso compreso nel “sistema limbico”. Diencefalo Ponte Midollo allungato 3° ventricolo Fig. 20 Tronco encefalico Vie Efferenti dall’ipotalamo si portano, a molti di questi centri, creando così un’interconnessione bidirezionale, ma in particolare, vie efferenti di controllo raggiungono i centri pre-motori (che sono quelli che a loro volta proiettano ai neuroni pre-gangliari del terz’ultimo neurone della via efferente simpatica e parasimpatica) del sistema nervoso viscerale, che a loro volta proietteranno ai neuroni pregangliari. 32 Tronco encefalico In azzurro si evidenziano i neuroni pre-motori Fig. 21. In azzurro si evidenziano i neuroni pre-motori. Essi sono in interconnessione con i neuroni pre-gangliari del SNC, il quale creano sinapsi con i neuroni effettori post-gangliari che vanno poi ad innervare gli organi effettori viscerali. Dal tronco encefalico, segue fino al midollo toracico, dalle radici anteriori escono i motoneuroni che vanno alla placca, c’è la colonna intermediolaterale, i neuroni 33 che stanno in alcune regioni del simpatico, mandano l’assone a scendere e a fare sinapsi. I neuroni premotori del simpatico sono ad esempio: i “terz’ultimi” delle vie che aumentano il metabolismo del tessuto adiposo bruno, o la frequenza cardiaca. I neuroni pregangliari del simpatico escono lateralmente e con la radice anteriore che contiene anche gli assoni dei motoneuroni esce lateralmente. Gli assoni pregangliari vanno dentro al ganglio fanno sinapsi, corpo cellulare ,ci segue il neurone post-gangliare, fino all’organo bersaglio. Inoltre l’ipotalamo controlla i cicli secretori dell’ Ipofisi, e tramite quest’ultima, gran parte del sistema endocrino dell‘organismo. Nell’insieme, quindi, le differenti parti dell’ ipotalamo stabiliscono connessioni dirette e nelle due direzioni con varie aree fra cui: - alcuni nuclei talamici - aree olfattive anteriori - corteccia cerebrale prefrontale - ipofisi - retina - fibre afferenti da nuclei della formazione reticolare del bulbo e del ponte. - vari distretti periferici, anche per via “ormonale”. 2.3.2. Funzioni dell’ Ipotalamo Da lungo tempo lesioni dell’ipotalamo sono state correlate con estese e eterogenee sindromi endocrine, e inoltre con turbe metaboliche,comportamentali (obesità, anoressia), viscerali: si è supposto che tali patologie siano causate dalla interruzione di vie di controllo per tali “funzioni”, vie che, per quanto indipendenti fra loro, sono strutturalmente associate all’ ipotalamo. Però, sebbene le funzioni endocrine ipofisarie siano ampiamente emerse (Cushing 1912 ), le correlazioni tra ipofisi e sistema nervoso sono state dimostrate più recentemente (Harris 1955), dando vita ad una nuova disciplina: la “neuro – endocrinologia” (Sharrer 1963 e vari), perfezionando la veduta che l’ipotalamo funzioni da “ganglio cefalico” del sistema nervoso viscerale (Sherrington 1947). Le indagini hanno dimostrato che l’ipotalamo esercita un controllo sul sistema endocrino e sui centri viscerali 34 inferiori, ma che , anche, a sua volta, è sotto il controllo di canali d’informazioni afferenti nervose e vascolari, che lo collegano, strettamente, sotto l’aspetto sia anatomico che funzionale, con i centri più alti del sistema nervoso, comprendenti un complesso di formazioni incluse nel sistema limbico e le aree prefrontali della corteccia cerebrale. Lo studio sui sistemi nervosi, ha evidenziato per l’ipotalamo un ruolo particolarmente importante come sistema di controllo omeostatici che tende alla conservazione e adattamento dell’individuo (e della specie) in un ambiente che tende a cambiare continuamente. Nei mammiferi, la corteccia prefrontale, il sistema limbico, l’ipotalamo, la parte caudale del tronco encefalico ed il midollo spinale vengono tutti considerati come componenti di una gerarchia di centri di controllo in tali regolazioni omeostatiche. Più perifericamente operano sistema nervoso viscerale e numerose componenti endocrine e neuroendocrine, che agiscono verso gli effettori, ovvero come branca afferente neuroendocrina. Sui compiti funzionali dell‘ipotalamo e sugli aspetti neuro endocrini è stato fatto ed è in corso, un enorme lavoro di ricerca. La sperimentazione su animali ha messo in luce tra le sue attività le seguenti: A) Controllo endocrino Viene esercitato mediante la produzione di fattori “releasing” (liberatori), e di fattori “release- inhibiting”(inibenti) la liberazione di ormoni ipofisari, che influiscono sulla sintesi e liberazione da parte dell’ Adeno-Ipofisi, degli ormoni tireotropo (TSH), corticotropo (ACTH), somatotropo (GH), follicolo stimolante (FSH), luteinizzante (LH), prolattina. Alcuni di questi ormoni ipofisari agiscono in modo diretto su cellule bersaglio di vari tessuti, mentre altri esplicano i loro effetti tramite un secondo organo endocrino loro bersaglio, ad esempio, la tiroide, la corticale del surrene, o la gonade. Impulsi nervosi, che convergono sull’ipotalamo e sono ivi integrati (Nieuwenhhuis 1985), modulano la produzione di tutti i fattori suddetti; questi, a loro volta, modificano l’attività dell’ipofisi e/o di altre ghiandole endocrine, e tramite queste, quella dei rispettivi tessuti bersaglio. 35 B) Effetti generali sul sistema viscerale Per lungo tempo è stato supposto che le regioni anteriori dell’ipotalamo intervengano nell’attività parasimpatica generale, le posteriori su quella ortosimpatica. Per quanto questi due differenti settori ipotalamici esercitino effetti in prevalenza dell’uno o dell’altro tipo, tra di essi vi sono sovrapposizioni e si stabiliscono interazioni, e non si può perciò mantenere una rigida distinzione tra “centri” parasimpatici e ortosimpatici. Comunque, la stimolazione e l’ablazione di parti circoscritte dell’ipotalamo influiscono profondamente sul controllo delle funzioni degli apparti: cardiovascolare, respiratorio e digerente, spesso provocando notevoli modificazioni della frequenza e della gittata cardiaca, del tono vasomotorio e delle resistenze periferiche, della regolazione della temperatura corporea (da un lato regolando l’attività metabolica, dall’altro regolare la distribuzione del sangue, vasodilatazione, flusso e meccanismi di termodispersione), della pressione sanguigna, del flusso differenziale del sangue presso organi diversi, ed anche della frequenza e ampiezza delle escursioni respiratorie del torace, della motilità e dell’attività secretoria dello stomaco e intestinale. C) Regolazione della Temperatura corporea In tutti gli animali “ omeotermi” vi è equilibrio fra produzione e dispersione del calore corporeo, e l’ipotalamo assicura una regolazione centrale dei meccanismi di termogenesi e anche di termodispersione. Nel caso si innalzi, la temperatura corporea viene abbassata grazie alla vasodilatazione, in appositi distretti e conseguentemente aumento del flusso sanguigno cutaneo, alla sudorazione, all’accresciuta frequenza respiratoria, e alla riduzione di produzione di calore. Per converso, un abbassamento della temperatura corporea induce fenomeni opposti, accompagnati da brividi (specie nella febbre) e da un incremento di attività della tiroide. Le informazioni riguardanti la temperatura corporea giungono all’ipotalamo da sensori periferici (termorecettori) per il caldo e per il freddo e da neuroni siti nell’ipotalamo stesso, che rispondono a modificazioni della temperatura sangue circolante nell’ipotalamo. Altri neuroni ipotalamici del reagiscono 36 specificamente alla presenza nel sangue di virus, tossine, farmaci ecc., specie in rapporto all’insorgenza di stati febbrili. Le informazioni convergono quindi su regioni dell’ipotalamo che evocano adeguate risposte cardiovascolari e vasomotorie, nonché endocrine per questioni metaboliche di esigenza di energia per fare calore e muscolari. D) Regolazione dell’assunzione di cibo e acqua Dati sperimentali ( Anand e Brobeck 1951) dimostrano che nella parte mediale e laterale dell’ipotalamo esistono regioni ad azione antagonista: l’ablazione della parte mediale provocava iperfagia, assunzione smodata di cibo, con conseguente obesità, mentre l’ablazione laterale provocava “ipofagia” con anoressia da digiuno. Viceversa la stimolazione della parte mediale dell’ipotalamo riduce l’assunzione di cibo, la quale è invece aumentata e prolungata dopo la stimolazione laterale. Di conseguenza è stato proposto che esista un “centro della fame ” o dell’alimentazione, situato lateralmente, controbilanciato da un “ centro della sazietà “ posto medialmente. Correlato con questo sistema, esiste nella parte laterale ipotalamica un “centro della sete“ o del bere, che regola l’assunzione dell’acqua. La stimolazione sperimentale di questa regione, induce immediatamente l’animale ad assumere acqua. E) Comportamento sessuale e riproduzione L’ ipotalamo, regolando sintesi e liberazione degli ormoni gonadotropi da parte dell’adeno ipofisi, controlla molti aspetti della fisiologia della riproduzione, che comprende la gametogenesi, le modificazioni cicliche degli organi riproduttivi femminili (ciclo ovario e uterino), e a cascata lo sviluppo e il mantenimento dei caratteri sessuali secondari. Per quanto le “pulsioni” elementari della fame, sete, sessualità, si possano considerare dipendenti, in parte, dall’integrità dell’ipotalamo, tuttavia per la loro completa integrazione in comportamenti motivati e complessi sono indispensabili collegamenti reciproci fra ipotalamo e la parte sovrastante del “sistema limbico”. Tali comportamenti comprendono nell’animale la ricerca ed ottenimento del cibo e dell’acqua, il corteggiamento di una partner sessuale, accoppiamento e riproduzione, allevamento della prole ecc. 37 F) Ritmi biologici Nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo del ratto sarebbe localizzato un oscillatore endogeno circadiano, la cui ritmicità è la prima responsabile dei cicli circadiani dell’animale. Il nucleo soprachiasmatico è la sede del clock centrale. Questo funziona grazie a una cascata di geni e loro prodotti che interagiscono fra loro: tale complesso sistema viene quindi ”regolato” e “trascinato” dall’ambiente. Di tutti i ritmi della natura, il più evidente è certamente l'ininterrotto avvicendarsi del giorno e della notte, fattore fondamentale per la funzione e “scopo” del clock centrale. Tali fenomeni ritmici siano di base endogeni, sono mantenuti da una sorta di orologio interno. Piante ed animali, da epoche remote, si sono adattati ai ritmi presenti nell’ambiente, quali luce-buio, stagioni (acqua-aridità, caldo-freddo, disponibilità di prede-scarsità), ecc. Perché le piante possano vivere, le loro foglie devono schiudersi al Sole, e di notte devono ripiegarsi. Gli animali predatori che cacciano o si alimentano di giorno, di notte riposano o riducono la loro attività; il contrario avviene se sì procurano il nutrimento la notte. In realtà, sebbene il ritmo giornaliero (circadiano) sembra riflettersi esclusivamente nell'alternarsi del riposo e dell'attività, esso si manifesta con moltissimi cambiamenti non sempre evidenti. Il nostro ambiente organico interno (composto di fluidi e relativi flussi tra cellule e tessuti),mantiene nel tempo l'identità di una miriade di componenti, con un'alterna ed intricata rete di stimolazioni e inibizioni, azioni e retroazioni: una minima variazione comporta un'immediata risposta. Sembrerebbe dunque sorprendente l'idea che i fenomeni biologici abbiano un andamento non uniforme nel tempo. Eppure, omeostasi e bioperiodicità non solo, sono compatibili, ma sono uno strumento dell’altro. La periodicità serve per prevedere, quali saranno, quelle importanti modificazioni che devierebbero dall’omeostasi, per prepararci a quel particolare evento che deve avvenire e compensare nel modo più efficiente. Potremmo dire che i processi che regolano l'omeostasi operano “prevedendo” la ritmicità degli eventi ambientali e le loro conseguenze sull’organismo. I ritmi biologici, seguono - in prima approssimazione - una curva sinusoidale, ossia una doppia curva che cresce fino ad un massimo (acrofase) e poi scende fino ad un minimo, variando intorno ad un valore mediano che si chiama mesor. La doppia curva crescente, decrescente, poi nuovamente crescente e decrescente si completa 38 in un periodo di tempo ben definito e caratteristico che può essere: un giorno (ritmi circadiani), una settimana (ritmi circasettani), e così via. In particolare, il ritmo circadiano, (dalle parole latine "circa" e "dies", "ciclo di quasi un giorno") è l’elemento fondamentale di quello che potremmo chiamare "orologio biologico". Gli esempi più evidenti di cicli regolati da tale "orologio", sono la variazione della temperatura corporea durante il giorno, l'apertura e la chiusura di certi fiori rispettivamente all'alba e al tramonto. Molti tessuti ed organi presentano variazioni funzionali cicliche, con una periodicità nelle ventiquattro ore. fig. 22. Ritmi biologici nelle 24 ore Le fluttuazioni della temperatura corporea, dei livelli di concentrazione di numerosi costituenti del plasma sanguigno, dell’attività secretoria del cortico surrene, dei meccanismi di secrezione e assorbimento a livello renale ecc. Poiché alcuni di questi fenomeni hanno periodi approssimativamente coincidenti con quelli di altri fenomeni ciclici ambientali, quali l'alternarsi giorno-notte, è logico attendersi che ci siano dei vantaggi nel ciclare in questo modo. Come la sveglia posta sul comodino continua ad andare avanti anche se la stanza è al buio, così il nostro clock centrale continua a “battere il tempo” essendosi sincronizzato in precedenza rispetto all’ambiente. Certamente i susseguirsi dei giorni, mantengono sincronizzati l’orologio, ma non si desincronizza in seguito ad una semplice variazione, l’orologio continua a marciare perché il suo scopo è quello di prevedere l’arrivo della luce. In alcuni casi il ritmo è, in parte, una proprietà dell’organo o del tessuto stesso, ma in molti altri l’ipotalamo esercita un controllo generale. Lesioni anche limitate all’ipotalamo possono causare gravi perturbazioni di bioritmi, mentre lesioni di altri settori del sistema nervoso centrale spesso li lasciano inalterati. In molte specie il nucleo soprachiasmatico svolgerebbe la funzione di “pace maker “ nervoso: un orologio biologico, la cui ciclica attività intrinseca si sincronizza con le variazioni di luminosità dell’ambiente, nonché eventualmente, con il rapporto ore di luce, ore di buio. Fibre efferenti dal nucleo soprachiasmatico sono state tracciate fino ai nuclei ventromediale, dorsomediale e arcuato dell’ipotalamo: ciò induce a ritenere che su tali nuclei sia esercitato un controllo da parte del “pace maker” nervoso 39 circadiano, che a sua volta utilizza le informazioni sensoriali per adeguarsi all’ambiente, ciò è chiamato entrainment o trascinamento. Sulla base del clock centrale si regoleranno i clock presenti in numerosi organi e tessuti dell’organismo. Ad esempio i ritmi biologici sono coinvolti anche nella stimolazione alimentare, come tutti sappiamo. Negli anni '70, un gruppo di lavoro (F. Halberg) dimostrò che fornendo ai ratti un solo pasto all'inizio del loro periodo diurno (equivale ad un nostro tardo pasto serale, in quanto il ratto è attivo durante il buio) la maggior parte muore, mentre alimentandoli allo stesso modo, ma all'inizio del periodo di buio, la maggior parte sopravvive. Dunque una corretta alimentazione non è solo costituita da ciò che mangiamo, ma anche da quando mangiamo e beviamo. Il nostro organismo ed in particolare il fegato, seguendo un determinato ritmo metabolico, nelle ore serali favorisce la glicogenesi (fabbrica carboidrati), mentre al mattino favorisce la glicolisi (brucia gli zuccheri). Tutti sappiamo che man mano che ci allontaniamo dal pasto, e il digiuno si prolunga, una serie di segnali e sensazioni ci ricordano che un nuovo pasto è atteso e in qualche misura ci fanno cogliere che alcuni organi, ad esempio, lo stomaco o le ghiandole salivari (tramite l’acquolina), aumentano le proprie secrezioni, preparandosi all’arrivo di tale pasto. Mentre da un lato è l’ormone leptina, in calo nella sua secrezione dal tessuto adiposo, che consente l’innesco della sensazione della fame, tuttavia sono altrettanto importanti le previsioni fondate sul clock, che innescano altra parte di questi meccanismi preparatori, all’ora giusta in rapporto al pasto previsto. Una serie di fenomeni dipendono dal clock, ma la leptina non dipende dal clock, ma dall’allontanarsi del pasto. F) Emozioni: paura, rabbia, avversione, piacere, gratificazione Lo stato emotivo di un individuo consta di due elementi principali: il contenuto soggettivo dell’ emozione , o tono affettivo, e le manifestazioni fisiche oggettive, somatiche e viscerali, che insieme costituiscono l’espressione dell’emozione. Per l’integrazione completa di questi due aspetti degli stati emotivi, nel corso di modificazioni dell’ambiente interno ed esterno e mentre si esplicano tali attività cerebrali, è essenziale l’integrità anatomica e funzionale di alcune formazioni nervose: l’ipotalamo, il rimanente sistema limbico e la corteccia prefrontale. 40 Alcuni dati fondamentali si sono ottenuti, negli animali da esperimento, mediante stimolazione o ablazione di parti circoscritte dell’ipotalamo e “nell’uomo” grazie a osservazioni in rapporto ad interventi neuro chirurgici. Speciale rilievo è stato dato all’esistenza di “centri”che determinano effetti sostanzialmente antitetici (i cosiddetti centri di gratificazione positiva e negativa. La stimolazione dei primi provoca sensazioni piacevoli (centri del piacere): in adeguate condizioni sperimentali, un animale autostimolerà ripetutamente il suo ipotalamo fino all’ esaurimento, trascurando di mangiare e bere persino dopo prolungati periodi di privazione. La stimolazione dei centri di gratificazione negativa provoca presumibilmente dolore o comunque “sensazioni spiacevoli“, e l‘animale da esperimento compie complessi sforzi per evitare il ripetersi della stimolazione. 2.3.3.L'ipotalamo e il sistema limbico L’ipotalamo e il sistema limbico con il quale esso è funzionalmente e strutturalmente collegato, presiedono a quei meccanismi vitali che hanno lo scopo di mantenere costanti le condizioni dell'ambiente interno (omeostasi) e di provvedere alla conservazione dell'individuo e della specie, esercitando quindi anche un controllo sulle sue emozioni, motivazioni, incluse quelle in direzione riproduttiva e sulla sessualità: regolazione del sistema nervoso autonomo e dell'apparato endocrino, della temperatura corporea, del ciclo sonno/veglia, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, dell'osmolarità del sangue, dell'assunzione di cibo e acqua, della secrezione, acida dello stomaco, del metabolismo dei glicidi e dei grassi, delle emozioni e delle funzioni sessuali. Il sistema limbico comprende: la circonvoluzione del cingolo, la circonvoluzione paraippocampica e la formazione ippocampica. In particolare l’ippocampo e' di grande rilievo in rapporto con la memoria e l'apprendimento da un lato, e del controllo delle funzioni viscerali dall’altro, attraverso le sue connessioni con l’ipotalamo, i cui neuroni proiettano ai neuroni effettori viscerali del sistema ortoe parasimpatico. L’amigdala è un complesso a forma di mandorla di circa 1cm di diametro, le cui funzioni parrebbero associate a funzioni di natura emozionale, attivandosi, infatti, in situazioni di stress o paura. L'ipotalamo grazie alle sue connessioni con la neocorteccia, col sistema limbico, con la sostanza reticolare, col sistema nervoso vegetativo e col sistema endocrino è considerato da molti 41 studiosi la struttura limite tra somatico e psichico, quella cioè in grado di commutare il segnale psichico in chimico e viceversa. E' grazie all'ipotalamo che gli aspetti mentali, emotivi e istintivi trovano espressione nel soma. Fig. 23.Organizzazione dei principali nuclei ipotalamici Fig. 24.Funzioni dei principali nuclei ipotlamici 42 2.3.4.Mediatori oressigeni dell’alimentazione. Risulta quindi chiaro che in condizioni di bilancio energetico negativo (ridotta alimentazione o digiuno) avviene una riduzione di livelli circolanti di fattori che segnalano l’ingresso dei nutrienti (insulina e leptina), con una conseguente risposta complessa a livello del sistema nervoso centrale che comporta un aumento di mediatori oressigeni, di cui il più noto è il Neuropeptide Y( NPY). Oltre a stimolare la ricerca e assunzione del cibo, inibisce l’attività nervosa simpatica, evento che può contribuire alla riduzione del dispendio energetico che si osserva durante il digiuno. - Tale Neuropeptide Tirosina o NPY, è sintetizzato, in particolare, nel nucleo arcuato dell’ipotalamo, e sarebbe il più importante attivatore del consumo di cibo,. Esso aumenta in risposta sia al digiuno che alla restrizione calorica, controlla il bilancio energetico stimolando assunzione di cibo e inibendo la termogenesi. Stimola inoltre la produzione di altri segnali oressigeni, quali le endorfine. E’ coespresso con l’AgRP (Agouti related peptide), antagonista della melanocortina (vedi oltre). Per contrapposto, dopo il pasto, l’assunzione di cibo si correla ad aumentata liberazione di leptina ed inibizione dei neuroni ad NPY ed AgRP e quindi spegnimento della fame. - L’AgRP (Agouti - related peptide), è un peptide oressizzante, espresso e presente in tutte le cellule nervose che contengono NPY nel nucleo arcuato dell’ipotalamo. Come per l’NPY, la sintesi di AgRP è aumentata in presenza di un deficit di leptina o durante il digiuno; al contrario viene inibita dal trattamento con leptina. Rispetto all’NPY che rappresenta per potenza d’azione oressizzante il primo termine di paragone, l’effetto dell’AgRP è minore, ma più prolungato. - MCH ( Melanin Concentrating Ormone). Sintetizzato nell’ipotalamo laterale, in neuroni che proiettano a molte aree ipotalamiche, attiva il consumo di cibo, rispondendo al digiuno indipendentemente dall’ NPY. La sua sintesi aumenta in situazioni di restrizione energetica o in deficit di leptina. Inoltre la sua azione è potenziata dall’ NPY e dagli endocannabinoidi. - Endocannabinoidi. Sono molecole di natura lipidica prodotte a partire da fosfolipidi di membrana e coinvolte anche nella risposta dell’organismo allo stress. Gli endocannabinoidi endogeni sembrano avere un ruolo nei processi che 43 amplificano la motivazione al consumo di cibo, aumentando il loro livello gradualmente nell’intervallo tra i pasti, sino a raggiungere un livello critico quando scatta la necessità di cibo. Il loro coinvolgimento nello sviluppo dell’obesità, dimostrato nel ratto è stato anche chiarito, anche, nell’uomo utilizzando cellule primarie umane. Gli endocannabinoidi sono prodotti in aree ipotalamiche in sede non ancora ben definita, dove i suoi recettori CB-1 sono ubiquitari. Questi stessi recettori sono attivati da numerosi neuropeptidi, specie NPY e β endorfine, facilitano il consumo di cibo, rispondendo al digiuno indipendentemente dall’ NPY. La loro azione è potenziata dall’ NPY e dalle β endorfine e inibita dalla leptina. L’osservazione sul fatto che l’uso della marijuana stimolava l’appetito nell’uomo, era già noto molti secoli fa. Tuttavia le variazioni dell’appetito e l’andamento del peso corporeo nei fumatori di marijuana è stato monitorato negli ultimi venti anni. Un aumento del consumo di cibo e del peso corporeo è stato visto dopo fumo di marijuana per un mese, peraltro rapidamente reversibile dopo aver cessato l’uso della stessa. Somministrazioni esogene di cannabinoidi, aumenta il consumo di cibo, con particolare riguardo ai dolci, suggerendo una selettività sui carboidrati. Dati sperimentali ascrivono ai cannabinoidi un ruolo in situazioni di patologie anoressiche e perdita di peso ed anche in alcune patologie neoplastiche e AIDS. - Le β endorfine, sono prodotte in molte aree cerebrali, ma soprattutto nel nucleo paraventricolare. Facilitano il consumo di cibo, rispondendo al digiuno, su stimolo dell’NPY e dell’AgRP. La loro azione potenzia quella degli endocannabinoidi. 2.3.5. Mediatori anoressigeni dell’alimentazione - I CART (cocaine-anphetamine-regulated-transcript). E’ presente nel nucleo arcuato e nel nucleo paraventricolare e dorsomediale dell’ipotalamo. Il CART è capace di inibire l’assunzione di cibo. Insieme al POMC è localizzato in una sottopopolazione di neuroni nel nucleo arcuato dell’ipotalamo, che si distribuiscono all’ipotalamo laterale (LH), nel nucleo paraventricolare (PVN), e nei neuroni simpatici pregangliari a livello del midollo spinale. Questi, come già descritto, rispondono direttamente alla leptina e si può ipotizzare che possano mediare l’effetto inibitorio della leptina sull’ingestione del cibo. Inoltre il CART è co-localizzato con l’MCH nell'LH, suggerendo la modulazione da parte del CART 44 stesso sull’azione oressizzante dell’MCH. C’è da considerare inoltre che, la maggior parte dei neuroni AgRP/NPY e POMC/CART esprimono il recettore della leptina e che recettori per l’insulina sono presenti in maniera particolare nel nucleo arcuato. I neuroni AgRP /NPY vengono fortemente attivati quando sono bassi i livelli di leptina lontano dal pasto. Mentre al contrario, nelle stesse condizioni, si spegne l’attività dei neuroni POMC - CART nel nucleo arcuato (ARC) stesso. Tale nucleo arcuato rappresenta perciò un’importante sede di traduzione dei segnali periferici di nutrizione come la leptina e l’insulina in risposte neuronali complesse. - POMC (proopiomelanocortina). Esso è il precursore di molti peptidi e neuropeptidi, tra i quali L’α MSH e l’ACTH. E’ espresso nel nucleo arcuato e diversi dei suoi effetti sul bilancio energetico sembrano mediati dall’ α- MSH, che esercita il suo effetto tramite i recettori della melanocortina. Rilevando l’mRNA (messaggero) di POMC, di conseguenza si identificano neuroni in cui è presente l’α MSH. Nell’uomo è stato più volte osservato genetiche che del alterazioni recettore MC4-R o del gene che codifica fig. 25.Conversione del POMC ad ACTH e in altri peptidi nella Adenoipofisi. il POMC sono associate allo sviluppo di grande obesità. Pertanto, queste osservazioni suggeriscono che la tonica stimolazione del recettore MC4-R può normalmente contenere l’assunzione di cibo e il peso corporeo. 2.4.Sistema endocrino e rilasci ormonali sull’ assunzione del cibo Quando parliamo di “Sistema Endocrino”, intendiamo dire che nell’ organismo c’è un network funzionale, e i tessuti colloquiano fra di loro tramite ormoni. Certe parti dell’organismo quali tiroide, ipofisi, paratiroidi, si dedicano più o meno completamente a produrre e liberare ormoni. Gli ormoni sono molecole non nutritive, quali peptidi, proteine, steroidi, aminoacidi, che utilizziamo non per fare energia o mattoni costitutivi delle nostre strutture, bensì per trasmettere 45 informazioni e comandi. Essi sono attivi a concentrazioni basse o molto basse (da10 -6 a 10 -15 ), nel sangue in cui circolano. L’ormone viene liberato, va in circolo, si diffonde più o meno ampiamente nell’ organismo, ma dipende per la sua funzione dall’organo che “decide” di rispondere. Quando si pensa a un meccanismo endocrino, infatti, non basta parlare del relativo ormone e ghiandola della che lo produce, ma occorre includere l’organo/i bersaglio/i, con le sue cellule, i recettori per detto ormone, ed i meccanismi di risposta che l’interazione ormone – recettori innesca. Fig. 26. Omeostasi del glucosio e azioni coordinate degli organi interessati Ad esempio: l’omeostasi del glucosio richiede l’azione combinata di vari organi e tessuti. L’insulina liberata dal pancreas in risposta alla messa in circolo del glucosio dopo l’assunzione del pasto, promuove la rimozione del glucosio dal plasma verso le cellule epatiche, del tessuto adiposo e del muscolo, agendo tramite gli appositi recettori e meccanismi associati. Ghiandola cellula che libera ormone Tessuti che rispondono. 46 Fig. 27. I meccanismi d’interazione ormonale possono essere “endocrini” (via sangue su cellule bersaglio lontane), “paracrini” (diretto su cellule bersaglio vicine), “autocrini” (su propri recettori cellulari). Gli ormoni possono essere idrosolubili o liposolubili. - Gli idrosolubili non attraversano le membrane cellulari, sulle quali, quindi, devono trovarsi i recettori. Tali ormoni possono essere facilmente accumulati, come ad esempio per l’ormone ipofisario antidiuretico (ADH), accumulato in considerevoli quantità e pronto per essere liberato, dall’ipofisi posteriore. Altri ormoni, liposolubili, sono ad esempio gli ormoni “steroidi” come il testosterone. Essi non sono accumulabili, ma vengono controllati tramite accensione e spegnimento della loro biosintesi. Appena prodotti, diffondono in circolo e raggiungono tutte le cellule dell’organismo. L’ormone, liberato da cellule apposite, va in circolo, come si diceva: a seconda di dove quel sangue va, l’ormone si diffonderà immediatamente ad un ambito ristretto o in tutto l’organismo. 2.5 Ipofisi fig. 28.Ipofisi fig. 29. Osso sfenoide e sella turcica (visione dall’alto). La ghiandola pituitaria si presenta come un corpicciolo ellissoidale con diametro trasversale di circa 12 mm e diametro antero - posteriore di circa 8mm. Abita nella sella turcica dell’osso sfenoide. Essa si continua col peduncolo che è una proiezione verso il basso, conica, con strutture che passano ed è in diretta connessione con l’ipotalamo. L’Ipofisi regola tante funzioni dell’organismo, anche attraverso altre ghiandole endocrine: 47 ghiandola “A” ghiandola “B” bersaglio Un altro aspetto è che quando pensiamo all’ipofisi è utile pensare a una parte del cervello che “cresce verso il basso” perdendo la barriera ematoencefalica. In fasi molto precoci dello sviluppo, una propaggine del cervello primordiale si avvicina ad una propaggine della cavità orale primordiale(ciò che sta li vicino), per formare una “via” principale di colloquio, fra il cervello e il resto dell’organismo, tramite neuroni e ormoni. Quando ci riferiamo all’ipofisi, è bene mantenere la visione del complesso fra ipotalamo e la parte centrale inferiore del cervello che comanda un po’ tutto: la fame, lo spegnimento della fame stessa, la sete ecc. L’ Ipofisi è composta da due parti principali: -Ipofisi anteriore epiteliale o adenoipofisi. -Ipofisi posteriore o nervosa o neuroipofisi, riferendoci a questa parte, si pensi all’ipotalamo che si continua con la neuroipofisi, come si vedrà più avanti. Fig. 30,Ipofisi anteriore Un dato fondamentale è che l’ipotalamo controlla l’ipofisi anteriore tramite il sistema portale ipotalamo-ipofisario. A neuroni che stanno in vari nuclei dell’ipotalamo, mandano assoni, cioè prolungamenti, brevi, che terminano poco sopra l’ipofisi, all’inizio del peduncolo: il sangue arriva qui con le arterie ipofisarie (le quali arrivano in realtà all’ ipotalamo), attraversa una prima rete capillare, nella quale i neuroni brevi liberano 48 tramite i loro assoni fattori stimolanti o inibenti, attivi sulle cellule dell’ipofisi anteriore. Questi fattori sono quindi trasportati nel sangue, incanalati in piccole vene entrano nel sangue, piccole vene, che vanno all’ ipofisi anteriore, ed attraversano la seconda rete di capillari (sinusoidi): da questi capillari, fattori stimolanti e/o inibenti, diffondono all’intera ipofisi anteriore e possono “comandare” le cellule che producono ormoni. L’ ipofisi anteriore produce sei ormoni principali, tutti controllati dall’ ipotalamo con il meccanismo di cui sopra. L’ ipofisi posteriore invece, è formata dagli assoni “lunghi” di appositi neuroni che stanno nei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo. Quando pensiamo alla neuroipofisi dobbiamo pensarla connessa con l’ipotalamo: i neuroni “magnocellulari” dei nuclei sopraottico e paraventricolare mandano gli assoni fuori dalla barriera ematoencefalica verso l’ipofisi posteriore in modo che si possano liberare più facilmente e rapidamente i loro ormoni anche in quantità considerevole, ad esempio l’ ormone antidiuretico viene utilizzato nel nostro organismo in larga parte continuamente della giornata, consente di controllare la diuresi. L’ipifosi anteriore o adenoipofisi secerne: - Ormone somatotropo (GH): agisce principalmente tramite il fegato, stimolandolo a liberare somatomedine (IGF-1). Bersagli principali sono le ossa e le cartilagini d’accrescimento, nella crescita staturale sino alla pubertà, nonché muscoli ed altri tessuti, in cui promuovono la sintesi proteica, con effetto anabolico e quindi l’accrescimento muscolare. Il GH ha anche funzioni diverse fra cui elevare la disponibilità in circolo di glucosio e acidi grassi per il metabolismo energetico. - Le due gonadotropine, ovvero follicolo stimolante (FSH) e luteinizzante (LH) si occupano delle gonadi sia nel maschio che nella femmina. Nella donna stimolano la crescita e la maturazione del follicolo (FSH), l’ovulazione e la formazione del corpo luteo (LH), nella donna. Nell’uomo è stimolata la secrezione della ghiandola steroidogenica del testicolo (LH) e la spermatogenesi (FSH). - Ormone Tireostimolante (TSH), liberato dalle Cellule Tireotrope (TRH); esso stimola la tiroide e la sintesi dei relativi ormoni iodati. Questi ultimi (T4, e T3 che è la forma attiva),regolano il metabolismo complessivo dell’organismo, in 49 particolare la quantità di energia che l’organismo consuma. Di conseguenza gli ormoni tiroidei sono importanti nello stimolare la termogenesi, ovverosia nel fare in modo che una parte dell’energia accumulata sotto forma di ATP, in quanto energia già pronta in forma chimica per fare qualsiasi cosa compreso lavoro muscolare viene cortocircuitata a fare calore, necessario per produrre calore necessario al mantenimento della temperatura corporea. Non sorprenderà quindi che TSH e ormoni tiroidei sono modulati in rapporto con alimentazione e digiuno: durante il digiuno, essi diminuiscono per risparmiare energia e sono rialzati quando nuovi ingesti e nutrienti sono in fase d’assorbimento. In tale circostanza, infatti, essendo disponibili nuovi substrati energetici diventa non più essenziale risparmiare energia. - Ormone Adrenocorticotropo (ACTH): ha a che fare con una parte circoscritta della ghiandola surrenale, la zona fascicolata della corticale, e quindi con la liberazione degli ormoni steroidei della classe dei glucocorticoidi, hanno potenti effetti sulle risposte immunitarie. Questi ultimi servono a rendere disponibili glucidi, ottenuti dal catabolismo delle proteine e quindi tramite la gluconeogenesi: ad esempio, questo avviene nelle fasi di digiuno prolungato oppure di aumentate richieste energetiche, quali stati febbrili o infiammatorie, oppure attività fisica intensa. Ormone Prolattina: prodotta dalle cellule lattotrope, la sua funzione più nota è quella che riguarda lo stimolo della produzione lattea nella donna, a termine gravidanza e durante l’allattamento. Si realizza quindi un riflesso neuroendocrino: il bambino che succhia il latte, stimola le terminazioni nervose sensitive del capezzolo e dell’areola mammaria, queste segnalano al SNC, e per questa via si stimola la liberazione dell’ossitocina, il quale partecipa alla stimolazione e alla spremitura delle strutture alveolari e dei dotti galalattofori che trasportano il latte al capezzolo. 50 Fig. 31Rilascio ormoni ipofisi anteriore L’Ipofisi posteriore o neuroipofisi. Nell’insieme, essa è composta dai nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo e relativi fasci di assoni che percorrono l’intero peduncolo sino alla parte posteriore dell’ipofisi. La secrezione ormonale dell’ipofisi posteriore comprende: - Ormone antidiuretico (o Adiuretina-ADH, detto anche vasopressina), regola in tempo reale la quantità d’acqua eliminata con le urine. In sintesi, quest’ormone è quello che ci consente di risparmiare acqua quando c’è bisogno, oppure anche di contenere la produzione d’urina e creare un intervallo, anche di varie ore, tra circostanze in cui diventa necessario procedere con lo svuotamento della vescica attraverso la minzione L’ormone è prodotto nell’ipotalamo, accumulato in quantità considerevoli nell’ipofisi posteriore ed infine liberato in piccole quantità altamente regolate. Queste vanno in circolo, attraversano prima il cuore destro, poi tramite le arterie polmonari i polmoni, scende al cuore sinistro, per diffondersi infine nel circolo sistemico e quindi a tutto l’organismo. Quelle molecole d’ormone antidiuretico che giungono al rene tramite le arterie renali e i suoi rami, trovano appositi recettori nelle cellule dei tubuli collettori del 51 rene il quale innescano la risposta: di conseguenza la risposta è che, mentre normalmente il tubulo collettore è impermeabile, quindi tutta la preurina prodotta finisce nel bacinetto e quindi nell’uretere e nella vescica, l’arrivo di questo ormone le permeabilizza e quindi il rene recupera fino al 90% e più dell’acqua che c’era in l’urina che altrimenti verrebbe eliminata in toto. Il risultato è che la quantità d’urina prodotta può essere fortemente diminuita quando opportuno. Il concetto è che l’ormone serve a mantenere un equilibrio, perché se l’individuo ha acqua da smaltire lo fa, mentre invece durante le ore notturne, l’ormone è utilizzato per fare in modo che riassorbendo si formi relativamente poca urina ed è relativamente raro che ci si debba alzare durante la notte. Il risultato è che quando è liberata una significativa quantità di vasopressina in circolo, la quantità di urina prodotta è relativamente scarsa: questo avviene quando nelle ultime ore si è bevuta poca acqua o si è ampiamente persa acqua per sudorazione. Viceversa, bevuta un’elevata e quantità d’acqua (un litro o qualche litro), essa viene molto rapidamente svuotata dallo stomaco nell’intestino, assorbita dall’intestino, entra in circolo, “diluendo” il plasma e il sangue. Diviene quindi necessario eliminare l’acqua in eccesso per riportarci in equilibrio. I neuroni che prima liberavano adiuretina sono quindi inibiti, consentendo quindi al rene di tornare a produrre urina in quantità elevata. Ancora, se si perde acqua per abbondante sudorazione e l’assunzione alimentare è limitata, l’organismo dovrà risparmiare al massimo e liberare tanto ADH per sopravvivere il più a lungo possibile, nell’attesa di reintegrare l’acqua: per esempio, per molti animali selvatici poter minimizzare le perdite, diventa un fattore importante di sopravvivenza in condizioni in cui l’acqua non sia abbondantemente disponibile. - Ormone Ossitocina: entra nei meccanismi del parto, agendo sulla muscolatura liscia dell’utero a termine, di cui stimola la contrazione nell’avvio e durante il parto. Essa partecipa inoltre, alla secrezione del latte durante l’allattamento, provocando la contrazione delle cellule mioepiteliali dei dotti mammari, inducendo la fuoriuscita del latte stesso contenuto nei dotti. La suzione del capezzolo attiva il riflesso neuroendocrino che stimola la secrezione di prolattina e d’ossitocina; la prolattina stimola la sintesi e la secrezione del latte nei dottimammari mentre l’ossitocina causa l’espulsione del latte e stimola la secrezione di prolattina. 52 Fig. 32.Ipofisi posteriore 2.6. Surrene - Il surrene è una ghiandola endocrina composita e multifunzionale, collocata sopra il rene, in direzione mediale. Le sue dimensioni sono di 3-5cm con spessore di circa 1cm, il suo peso è di circa 4-5 gr. I surreni sono irrorati dalle arterie surrenaliche superiori, medie e inferiori, rami delle arterie freniche, aorta addominale e renali: esse formano fig. 33Ghiandola surrenalica un plesso subcapsulare dal quale il sangue scorre verso il centro della ghiandola. 53 La parte centrale della ghiandola, o midollare, riceve sangue relativamente impoverito d’ossigeno, ma assai ricco d’ormoni steroidi, secreti dalla parte più esterna, o corticale. Il surrene drena a sinistra nella vena omonima, a destra nella vena cava. Corticale: costituisce la parte esterna del surrene, dalla sottile capsula, sino alla midollare. È un’eterogenea ghiandola che produce ormoni steroidi, suddivisa dall’esterno verso l’interno in tre Fig. 34 Schema dell’organizzazione della ghiandola surrenalica strati o zone di diverso spessore e secreti ormonali ( vedi figura sopra). - Una zona glomerulare più superficiale, nella quale le cellule sono organizzate in gruppi rotondeggianti, che secernono mineralcorticoidi, specie aldosterone. La secrezione di aldosterone è stimolata dall’ angiotensina II, prodotta dal sistema renina- angiotensina, o da elevati livelli di ione potassio. I mineralcorticoidi stimolano la parte del tubulo renale che provvede al riassorbimento del sodio, inducendo un aumentato recupero di tale ione a spese di ioni potassio: poiché il sodio è lo ione extracellulare più abbondante, e ne consegue un aumento del volume circolante e di conseguenza della pressione arteriosa. - Una zona fascicolata, con cellule ordinate in cordoni paralleli e pressoché radiali. Produce considerevoli quantità di glicorticoidi, specie cortisolo. Tali steroidi inducono un aumento della disponibilità di glucosio tramite la gluconeogenesi: quindi con una certa latenza e maggiore durata, a differenza del glucagone (vedi pancreas), che ha effetti più rapidi. I glicorticoidi hanno inoltre importanti ruoli fisiologici nel modulare e contenere le risposte immunitarie antinfiammatorie. Nell’insieme sono quindi importanti nella risposta dell’organismo a mutate e aumentate esigenze in varie condizioni di stress fisico, quali stati febbrili ed infettivi, traumi, ustioni e simili, nonché sforzo fisico severo. 54 - Una zona reticolare, ove i cordoni di cellule si fanno irregolari e si anastomizzano variamente: oltre ai glicorticoidi, è prodotta una quota di ormoni Androgeni, diversi dal testosterone, e detti androgeni surrenalici: questa zona costituisce la principale sorgente di androgeni circolanti nella donna verosimilmente importanti per la libido . La corticale del surrene è essenziale per la vita: la sua distruzione, ad esempio da parte di processi infettivi, comporta difficoltà nell’adattamento a condizioni d’aumentata richiesta energetica, tutt’altro che raro nella vita comune. In tali casi sarà necessaria un’attenta sostituzione ormonale, da modulare ogni qualvolta si sviluppi uno stress fisico anche di lieve entità. Midollare: Essa è costituita da cellule del tutto simili a quelle che in altre sedi divengono neuroni dei gangli simpatici. Nel corso dello sviluppo i precursori delle cellule della midollare vengono “inglobati” dalla corticale, e divengono quindi esposti (i precursori) ad alte concentrazioni di glicocorticoidi. Tale ambiente ormonale ne impedisce il differenziamento in neuroni e mantiene l’abbondante produzione del primo dei due tipici ormoni della corticale: l’adrenalina. Essa è prodotta solo in questa regione ed in ristrette aree del sistema nervoso centrale. Liberata in circolo, sotto il controllo di neuroni pre-gangliari del sistema nervoso simpatico, l’adrenalina stimola la messa in circolo di glucosio, sia dal glicogeno depositato nel fegato per glicogenolisi, sia per gluconeogenesi. Essa si segnala anche, come ormone di difesa dalla caduta di glicemia. Invece, l’ormone Noradrenalina, ha un’azione più intensa dell’adrenalina nei suoi effetti di stimolo su potenza e frequenza di contrazione del cuore. Agisce anche stimolando la contrazione delle arteriole, un’ulteriore azione che contribuisce all’aumento della pressione arteriosa sistemica generale. Gli ormoni della midollare surrenale s’integrano spesso con l’attivazione ad ampio raggio del sistema nervoso simpatico, in una risposta d’insieme o “di massa” evocata in condizioni d’emergenza: ad esempio, in risposta ad alterazioni omeostatiche metaboliche considerevoli, quali un’ipoglicemia marcata, oppure una forte riduzione del volume della pressione circolante, ma anche circostanze di tipo “fight o flyght”( combatti e scappa). Il SNP e il Surrene agiscono in questa direzione. Mentre la corticale ha a che fare con lo stress fisico, la midollare ha a che fare con lo stress reattivo alle circostanze ambientali che richiedono la preparazione a questo o quell’evento. 55 2.7.Tiroide Si trova nel collo, ai lati ed anteriormente alle cartilagini tiroidee e cricoide della laringe ed alla trachea sottostante, ove forma due lobi principali uniti da un istmo. E’ una delle maggiori ghiandole endocrine, pesa circa 25gr nell’adulto. Il tessuto ghiandolare ha un caratteristico aspetto, organizzato in cavità tiroide rotondeggianti (follicoli), tipico della circondate da epitelio cubico o cilindrico a seconda dello stato di attività. Le cellule follicolari producono due ormoni, detti Tiroxina (o T4) e Tri iodotironina (T3): essi hanno come bersaglio pressoché tutti gli organismi e tessuti, nei quali regolano attività fig. 35.Tiroide. metabolica, l’utilizzo dell’ energia e la produzione di calore. Essi sono indispensabili per le fasi cruciali dello sviluppo pre e post natale del sistema nervoso, come per tutta la vita. Per la produzione di T3 e T4 è fondamentale lo iodio, che non sempre è disponibile negli alimenti: la tiroide ha quindi sviluppato la capacità di captarlo avidamente, ogni volta che è presente negli alimenti, e immagazzinarlo. Si consideri tuttavia, che gli ormoni “pronti” T3, e T4, diffondono attraverso le membrane cellulari e non possono essere accumulati come tali: la strategia adottata in pressoché tutti i vertebrati è quella di sintetizzare il precursore tireoglobulina, di alto peso molecolare, quindi non diffusibile, coniugarvi lo iodio ed accumulare la tireoglobulina iodata all’interno delle cavità chiuse dei follicoli come colloide tiroidea. Al momento dello stimolo secretorio, le cellule follicolari stesse, inglobano per pinocitosi (assunzione di piccoli volumi di liquido e sostanze disciolte dal liquido follicolare, la colloide, da parte dell’apice cellulare), una gocciola di colloide, quindi fondono la vescicola risultante con un lisosoma ricco di enzimi proteolitici. Per idrolisi si liberano quindi T3 e T4, che diffondono fuori delle cellule ed in circolo, come voluto. Trofismo, biosintesi e secrezione 56 ormonale delle cellule follicolari sono regolate principalmente dal TSH ipofisario, a sua volta sotto controllo ipotalamico: in rapporto alle esigenze e allo stato di alimentazione, con stimolo quando c’è energia disponibile , ovvero siamo poco lontani dal pasto e ci si trova in stato di assorbimento e disponibilità delle sostanze nutritive e quindi dell’ energia. La tiroide lavorerà di meno, fino a spegnersi man mano che l’energia disponibile cala, come nella fase di digiuno, poiché diventa fondamentale risparmiare energia. Come si diceva, gli ormoni tiroidei hanno come bersaglio pressoché tutti i tessuti dell’ organismo, nei quali regolano l’attività metabolica e l’utilizzo di energia, tale per cui rispondendo a uno stimolo, i mitocondri usano più energia per fare calore, diventa così importante difendersi dal freddo, come non andare in ipertermia. L’aumentata disponibilità di ormoni tiroidei rende possibile ai mitocondri di utilizzare più energia per produrre calore e quello che serve nel momento in cui tutti i mammiferi e gli animali omeotermi devono fare ogni volta che la temperatura interna tende a diminuire. Al tempo stesso esiste l’esigenza opposta che però non è direttamente mediata dalla regolazione tiroidea, ed è quella di non di fare ipertermia, onde per cui riguarda sistemi per la dispersione di energia, che sarà ad esempio la vasodilatazione cutanea. Gli ormoni tiroidei iodati sono inoltre cruciali per l’accrescimento dell’organismo e in particolare, sono indispensabili per il normale sviluppo del sistema nervoso centrale; se un individuo sviluppa livelli ipotiroidei in certi momenti dello sviluppo infantile, il danno resta permanente, sviluppando ad esempio il cretinismo, mentre invece, in altri momenti della vita, possono essere corretti e tutto può tornare nella normalità. Fig.36. Schema della produzione di tireoglobulina iodata, che si accumula nella colloide tiroidea (sx ), e suo reuptake per pinocitosi, fusione delle vescicole con lisosomi, idrolisi da parte degli enzimi lisosomiali, sino alla liberazione degli ormoni iodati (dx ) 57 2.7.1. Ormoni tiroidei e metabolismo Gli ormoni tiroidei stimolano il metabolismo: infatti, nei mammiferi in generale, i livelli di ormone tiroideo sono soggetti a spiccata regolazione fisiologica, durante la transizione dallo stato di alimentazione ed assorbimento delle sostanze nutritive a quello di digiuno specie prolungato. Nel momento in cui lo stomaco sta svuotando arrivano i blocchi di alimenti liquefatti e parzialmente digeriti, arrivano all’intestino tenue e man mano si assorbono glicidi: in tale fase non c’è scarsezza di glicidi per il metabolismo. Ad una certa distanza dal pasto le sostanze nutritive sono completamente esaurite, quindi né cala rapidamente l’assorbimento attraverso l’intestino. Ovviamente è ancora abbondante l’accumulo di glicogeno nel fegato e basta che il pancreas liberi una quota di glucagone per rendere nuovamente disponibile glucosio in circolo e mantenere stabile la situazione. Tuttavia man mano che ci allontaniamo dal pasto bisognerà mettere progressivamente in campo ulteriori meccanismi, mediati anche da altri ormoni, specie quando il digiuno si prolunga. Studi sui roditori hanno evidenziato che, il “digiuno“, può essere sopportato per un periodo di tempo più limitato rispetto all’uomo. Al cessare dell’alimentazione, quando non ci sono più glicidi negli ingesti nel tubo digerente da tirare fuori dagli alimenti, rapidamente subentra l’esigenza di utilizzare glicogeno epatico e muscolare, ma di passare rapidamente alla gluconeogenesi: il ratto infatti rapidamente inizia a perdere peso perché inizia a utilizzare i depositi adiposi. In quest’adattamento alla sospensione dell’alimentazione, è importante la modulazione degli ormoni tiroidei, infatti come ci si attenderebbe, il digiuno rapidamente si associa a una riduzione dei livelli di TSH e di T3 e T4. Le conseguenze benefiche in questa soppressione sono chiare. Il digiuno (mancanza d’alimentazione), rappresenta una grave minaccia alla sopravivenza. Poiché gli ormoni tiroidei settano il tasso metabolico basale, una diminuzione nei livelli di ormoni tiroidei, porterà alla riduzione del tasso obbligatorio di utilizzo di energia: si economizza in attesa di nuova assunzione di cibo. Fino a quando l’ipotiroidismo non riduce l’abilità di ottenere cibo, ci si può quindi attendere che questo adattamento migliori la sopravvivenza. Poiché gli animali 58 allo stato selvatico, come si ritiene comunemente, sperimentano periodi di mancanza di alimentazione, ne consegue che la risposta ipofisaria e tiroidea al digiuno, debba essere considerata come un aspetto di primaria importanza della biologia regolatoria della ghiandola tiroidea. L’asse ipotalamo-ipofisi- tiroide è regolato a livelli multipli: lo scopo infatti è quello di mantenere livelli “stabili” di ormoni tiroidei, anche se relativamente alti quando i nutrienti sono abbondanti e relativamente assai più bassi quando siamo lontano dall’assunzione di alimenti. In quest’ambito il TRH che è un neuropeptide prodotto, tra l’altro, da neuroni nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (PVN): esso aumenta quando i livelli d’ormoni tiroidei circolanti si abbassano, e quindi s’interrompe il circuito di feedback negativo che lo manteneva inibito. Infatti gli ormoni tiroidei una volta liberati dalla tiroide raggiungono tutti i tessuti e le cellule dell’organismo: vanno tra l’altro a strutture dell’ipotalamo quale il nucleo paraventricolare e qualche altro che contengono neuroni che possono misurarne i livelli. Quando in risposta al TRH, gli ormoni tiroidei vengono liberati in circolo, i livelli circolanti aumentano, l’ipotalamo e i neuroni stessi a TRH ricevono maggiori quantità di ormoni tiroidei, gli stessi neuroni sentendo gli elevati livelli, vengono spenti. Il TRH va all’eminenza mediana viene liberato, va all’ipofisi anteriore e stimola il TSH. Al tempo stesso le cellule a TSH, anch’esse sentono gli ormoni tiroidei, quindi il feedback agisce a vari livelli. Il TRH è uno di quei fattori tropici che possono essere liberati dall’eminenza mediana, vanno nel sistema portale e possono stimolare le apposite cellule dell’ipofisi anteriore. L’aumentata liberazione del TRH induce ad un aumento della liberazione del TSH che va in circolo e stimola la tiroide. Il TSH stimola tanti fenomeni: stimola la pompa, la captazione, l’aumento di altezza delle cellule, essendo una glicoproteina, aumenta la capacità di incorporazione dello iodio nella tiroide. Il digiuno, sembrerebbe agire, almeno in parte, riducendo l’espressione di tireotropina (TRH), selettivamente, nel nucleo paraventricolare. Interessantemente la tireotropina continua ad essere espressa in altri sistemi neuronali centrali, che non giocano un ruolo nella produzione di tireostimolante (TSH) dall’ ipofisi. In conseguenza del digiuno, che provoca la caduta dei livelli di T3 e T4, si realizza un ipotiroidismo centrale. 59 2.8. Leptina Un importante meccanismo con il quale il cervello orchestra l’adattamento di cui sopra, è mediato da un segnale di origine periferica: la leptina. A sopprimere l’espressione di TRH nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo, infatti sarebbe un calo dei livelli circolanti dell’ormone leptina, liberato dal tessuto adiposo in rapporto con l’ingresso di nutrienti, ovvero di molecole correlate con l’avvenuta alimentazione. L’ormone leptina, come si diceva, è secreta principalmente dal tessuto adiposo, in misura primariamente proporzionale alla massa adiposa dell’organismo (organo adiposo). La massa adiposa sarà il primo fattore che condiziona i livelli di leptina. In un individuo anoressico i livelli di leptina saranno praticamente nulli. Mantenere il livello medio di leptina sufficientemente elevato indica una “sufficiente” massa adiposa, e nella donna, consente di mantenere accesi i meccanismi riproduttivi. Se la leptina scende quasi a zero, questi meccanismi si interrompono, nel senso che il sistema che libera le gonadotropine si spegne e il ciclo riproduttivo si ferma. La leptina ha un suo livello di base e su questo si innescano delle oscillazioni, ad esempio nell’arco della giornata, o in periodi più lunghi, in rapporto con l’alimentazione e il digiuno. In quanto alle sue oscillazioni, la leptina tende ad essere decisamente più bassa nel digiuno e aumenta nuovamente a breve distanza dal pasto e quindi dall’ingresso di sostanze nutritive assorbite dall’intestino nelle cellule del tessuto adiposo. Tale aumento postprandiale di leptina è uno dei fattori che contribuisce allo spegnimento del senso di fame e induzione della sazietà. Infatti man mano che ci allontaniamo dal pasto i nutrienti smetteranno di entrare nella cellula adiposa, e si renderà quindi necessario far uso degli accumuli. In tale fase, rapidamente, la leptina cala al di sotto di quella soglia che era necessaria per tenere Caratteristiche fenotipiche di ratti normali (OB/OB), obesi (ob/ob), lievemente obesi NPY -/- spenti i neuroni della fame nell’ipotalamo, i quali quindi si riaccendono mentre si spengono i neuroni della sazietà. L’assenza geneticamente determinata della leptina, come nel ratto ob/ob, o la disfunzione del suo recettore, producono OB/OB ob/ob ob/ob NPY -/- 60 obesità severa. Nel primo caso la somministrazione esogena di leptina risolve l’obesità. Alcuni degli aspetti sopra delineati suggerirono iniziali entusiasmi, portando ad ipotizzare che la leptina potesse essere un ormone utilizzabile per prevenire o curare l’obesità: purtroppo la sua somministrazione non risultò indurre significative riduzioni della massa adiposa al di fuori di poche famiglie con difetto genetico della leptina stessa (tre - quattro famiglie al mondo). Ora si ritiene che la leptina, segnali sì all’ipotalamo l’avvenuta alimentazione, in coerenza con l’effetto della sua somministrazione esogena che acutamente spegne il senso di fame: come si diceva, invece, la sua somministrazione prolungata non porta conseguenze significative sulla massa adiposa, e l’individuo non dimagrisce. Il recettore della leptina è presente inoltre nei neuroni a TRH: essa consente quindi la liberazione di TRH nell’eminenza mediana, e di conseguenza quella di TSH dall’ipofisi, infine quella di T3 e T4 dalla tiroide . Al tempo stesso, in neuroni ad NPY o a POMC del nucleo arcuato, il recettore della leptina consente lo “spegnimento” dei primi e la “accensione” dei secondi con un release dell’ α MSH. In rapporto con l’alimentazione, quindi la leptina aumenta in circolo, e trasportata attraverso la barriera ematoencefalica, segnala ai neuroni che producono e liberano TRH nel nucleo paraventricolare, che le cellule adipose hanno ricevuto energia e nutrienti: è quindi tempo di rialzare TSH e ormoni tiroidei uscendo così dalla situazione di risparmio energetico appropriata durante il digiuno. Sempre nel nucleo arcuato, la leptina influenza negativamente l’attività dei neuroni che producono l’Agouti Related Peptide (AgRP) / Neuropeptide Y tirosina (NPY) sopprimendoli. Inoltre questi neuroni del nucleo arcuato si proiettano essi stessi ai neuroni TRH, di cui possono ulteriormente influenzare l’attività tramite le azioni dell’α MSH/o di AgRP /NPY, quali inibitori sul MC4R(recettore 4 della melanocortina coinvolto nella regolazione dell'introito calorico. Durante il digiuno, la caduta della leptina circolante “agisce” attraverso l’ipotalamo aumentando l’appetito, diminuendo la spesa d’energia e modificando l’assetto neuroendocrino per favorire la sopravvivenza: tra l’altro, la secrezione di TSH e d’ormoni tiroidei sono inibite con risultante risparmio di energia. 61 Fig. 37. Mantenimento asse della tiroide con le azioni della leptina Nei nuclei arcuato e paraventricolare dell’ipotalamo. 62 3. Apparato digerente L’apparato digerente è specializzato nell’accumulo trattamento nutrienti temporaneo, nel e nell’assorbimento (glucidi, proteine, dei lipidi), dell’acqua, dei sali minerali, vitamine e quant’altro contenuto negli alimenti. Esso inoltre provvede all’eliminazione delle scorie alimentari e di vari cataboliti derivanti dalla degradazione specie a livello epatico di prodotti del metabolismo, sostanze tossiche, farmaci ed ormoni. Fig. 38. Schema apparato digerente Nel fare il suo mestiere, il tubo digerente riceve ogni contaminante ambientale, batterico o virale. Esso ha quindi, l’occasione utile che investighi ciò che arriva dall’esterno per innescare le necessarie difese specifiche; per esempio, ci sono elementi che catturano determinate componenti batteriche o virali, le passano al sistema immunitario per innescare cellule di difesa o anticorpi. Al tempo stesso la parete del tubo digerente ha una serie di altri meccanismi di difesa, non specifici, che servono proprio per evitare una serie di conseguenze negative, del passaggio delle sostanze nocive. In rapporto con la barriera di difese, nel grosso intestino c’è un’enorme flora batterica che deve essere continuamente tenuta sotto controllo, perché si presenterebbero una serie di disturbi che vanno dal semplice meteorismo sino a situazioni tossiche anche molto gravi. Inoltre l’apparato digerente produce numerosi ormoni per lo più destinati al controllo tra le interazioni del tubo digerente stesso, ma anche alla interconnessione funzionale con il resto dell’organismo. Il “canale alimentare” è lungo circa nove metri, ed è distinto in tratti di diverso calibro e diversa specializzazione strutturale e funzionale. In successione craniocaudale queste porzioni si possono così suddividere: bocca con annessi denti, lingua e apparato della masticazione, faringe, esofago, stomaco, intestino tenue, intestino crasso, canale anale. Una ricca componente ghiandolare è localizzata nello spessore delle pareti dello stomaco in poi (ghiandole intramurali), 63 mentre alcune ulteriori ghiandole di grandi dimensioni sono collocate all’esterno della parete dei visceri, e con essi sono connessi da dotti escretori. Queste ultime sono: le ghiandole salivari maggiori (sottolinguali, sottomandibolari, parotidi), il fegato e il pancreas. Gli aspetti riguardanti la bocca, i denti, la lingua, la faringe, quali zone di transito e il primo avviamento all’assimilazione degli alimenti sono al di là del contenuto e degli scopi della presente tesi. 3.1. Assorbimento degli alimenti Per dare più interesse all’anatomia funzionale del tubo digerente, anticipiamo qui una visione d’insieme delle sue attività di assorbimento degli alimenti, e delle interconnessioni comunicazioni mediate da ormoni. Ingerire un alimento (ad esempio un panino), comporterà che questo segua le varie fasi della digestione. Esso verrà masticato, mescolato con la saliva, deglutito, passato in esofago, spinto attraverso l’esofago stesso, si apre l’ipofaringe per passare nell’esofago, si richiude e l’esofago spinge, si apre la giunzione cardiale per poi richiudersi, passa dallo stomaco, infine all’intestino. L’alimento viene liquefatto nello stomaco, che non ha significativa attività assorbente, inoltre lo stomaco ha un’altra importante funzione di difesa dagli agenti esogeni, eliminando con l’acido cloridrico gran parte dei batteri e dei virus, indi segue all’intestino. Proseguendo il cammino, le sue componenti saranno state diluite in una soluzione dagli stessi secreti del tubo. L’intestino tenue “prossimale” assorbe normalmente la larga maggioranza dei nutrienti: i glucidi trasformati in forme a piccola molecola ( mono - di - oligosaccaridi) e le proteine (scisse in polipeptoni), prendono la via del fegato tramite il sangue portale. Mente invece, i lipidi prenderanno la via del linfatico, tramite il dotto toracico. Si sottolinea quindi che il carico di glicidi assorbiti non vanno immediatamente al circolo generale bensì al fegato. In contemporanea, anzi con congruo “anticipo” l’ormone insulina, arriva esso stesso al fegato provenendo dal pancreas: le cellule del fegato né saranno attivate e cattureranno il glucosio che depositeranno come polimero noto come glicogeno. Il risultato è che ad avvenuta alimentazione, nel circolo generale, la glicemia aumenterà sì, ma in misura moderata. Al tempo 64 stesso, il glicogeno sarà stato accumulato, e pronto per essere utilizzato man mano che ci allontaniamo dal pasto. Con questo sistema portale, le strutture che si occupano di regolare il metabolismo energetico, assumono un ruolo fondamentale nel controllo della glicemia. Cuore Atrio dx Ventricolo sx Vena cava Inferiore Aorta capillari Fig. 39. Schematizzazione semplificata del sistema portale. 3.2. Vasi sanguigni. 1) Il sangue pompato dal ventricolo sinistro nell’aorta, arriva a tutti gli organi, si distribuisce in un grande numero di rami, grande numero di arteriole, indi capillari, nei quali cede le sostanze nutritive e ossigeno, mentre rimuove anidride carbonica, cataboliti ed ormoni, infine si reindirizza al cuore tramite le vene fino all’atrio destro 65 2) Le arterie del tubo digerente sono: - il tripode celiaco, il quale è una breve arteria di grande calibro che nasce all'ingresso dell'aorta nell'addome, subito sotto il diaframma. Essa stessa da tre rami, che danno ragione del suo nome: l'arteria gastrica sinistra, l'arteria epatica e l'arteria splenica (o lienale). L'arteria gastrica sinistra segue la piccola curvatura dello stomaco, la cui parete vascolarizza assieme all'esofago, diventando arteria gastrica destra prima di collegarsi all'arteria epatica. Questa dà due rami: l'arteria gastroduodenale per il duodeno e la testa del pancreas, e l'arteria epatica propriamente detta, diretta al fegato. Per finire l'arteria splenica si porta alla milza costeggiando il margine superiore del corpo e della coda del pancreas, che contribuisce a vascolarizzare. - la mesenterica superiore: origina dall’aorta 2cm sotto il tronco celiaco dietro il pancreas: emerge con la vena omonima fra la testa e il processo uncinato del pancreas e penetra nella radice del mesentere. Essa vascolarizza con i suoi rami il pancreas, il duodeno, l’intestino tenue, il colon ascendente ed il traverso. - la mesenterica inferiore: essa origina qualche centimetro prima della terminazione dell’aorta, penetrando nel mesocolon pelvico. Questa arteria con i suoi rami vascolarizza il colon traverso e discendente ed il retto. 3) La gran parte dell’apparato digerente è drenata da vene che si connettono nel sistema portale: si tratta di un breve tronco venoso, privo di valvole, che si forma per confluenza delle vene lienale e mesenteriche superiore e inferiore, entra nell’ilo epatico e fornisce il sangue ad una seconda rete capillare, quella dei sinusoidi epatici. 4) In questo caso quindi, e in questa sede, dalle arterie si forma una prima rete capillare, indi il sangue passa a vene (ed un collettore venoso: la vena porta), infine il sangue transita in un secondo letto capillare. Solo dopo questo doppio transito attraverso due letti capillari successivi l’uno all’altro, il sangue è ora infine raccolto nella vena cava inferiore per poi arrivare all’atrio destro. 66 3.2.1. Linfatici Il linfatico è composto da un sistema di vasi che nascono a fondo cieco da tutti gli organi: questi vasi sono molto piccoli perché funzionano a pressione ancora più bassa rispetto ai capillari sanguigni. I vasi linfatici sono dotati di valvole che si riempiono non dal dall’alto, basso ma consentendo al flusso discorre re in una sola fig. 40. direzione. Dotto toracico La tipica conformazione dei capillari linfatici assomiglia alla collana di rosario, con una piccola parte dilatata e una valvola in successione. Ci sono comunque pochi collettori linfatici: tra essi, il dotto toracico, sta in fondo alla parete addominale profonda, attraversa il torace, risale e si getta nelle vene che si trovano alla base del collo. Il compito principale dei linfatici è quello di assorbire e trasportare un liquido simile al plasma sanguifero detto linfa e di essere costituito di un sistema linfatico cellulare o tissutale d’organi e tessuti linfoidi. Questi ultimi comprendono organi linfoidi primari, quali midollo osseo e timo, contenenti le cellule staminali indifferenziate, che a loro volta, si dividono e differenziano in linfociti di tipo B, T e cellule NK. Sono altresì presenti organi e tessuti linfoidi secondari o periferici quali i linfonodi, la milza, e il malt. La linfa è un liquido chiaro, leggermente lattescente, costituita da un fluido, il plasma linfatico, che ha una composizione simile a quella del plasma sanguigno e d’elementi cellulari, costituiti questi ultimi quasi esclusivamente da linfociti. Inoltre, la linfa che proviene dall’intestino può essere opalescente, soprattutto dopo un pasto ricco di grassi. A conferire questo aspetto sono particelle di grasso, dette chilomicroni. Queste ultime, sono lipoproteine, la quale raccolgono i 67 trigliceridi e principalmente il colesterolo introdotti con la dieta, assorbiti nell’intestino tenue, vengono trasportati nella via linfatica, tramite il dotto toracico, e da questo nella circolazione sanguigna fino a raggiungere i capillari dei tessuti adiposo e muscolare, per poi arrivare al fegato. Le altre funzioni del sistema linfatico sono rappresentate dal mantenimento del volume sanguigno (volemia), riportare al sangue le proteine plasmatiche sfuggite alla circolazione sanguigna e di rifornire il sangue d’immunoglobuline (anticorpi) prodotti dai linfociti e il trasporto dei grassi nell’intestino. In conclusione, i linfatici non solo portano via una quota liquida che esce dai capillari, ma drenano dagli spazi extracellulari, svolgendo un compito importante per rimuovere batteri entrati come corpi estranei, diventando inevitabilmente anche una via di diffusione di cellule tumorali. Fig. 41. Particolare della confluenza del dotto toracico nella vena giugulo - succlavia. 3.3. Innervazione Per quanto riguarda l’innervazione, la bocca, la faringe e il tratto prossimale dell’esofago è di duplice natura, sia somatica che viscerale ed è assicurata da cinque nervi cranici (trigemino,faciale, vago, glossofaringeo, ipoglosso). L’innervazione della restante parte del canale alimentare, è anch’essa di duplice natura, sia somatica e viscerale, ed è interamente assicurata dal sistema nervoso vegetativo tramite le sue componenti parasimpatiche con i nervi vaghi e i nervi pelvici e ortosimpatiche, dalle fibre postgangliari dei nervi splancnici .Si 68 aggiungono numerosissime connessioni sensitive afferenti tramite i nervi vaghi stessi, nonché neuroni sensitivi e di gangli spinali. Infine, la parete medesima del tubo digerente contiene un vero e proprio “sistema nervoso enterico” che comprende, neuroni sensitivi, interneuroni e neuroni di comando efferenti, tutti compresi all’interno della parete stessa. Questo sistema comprende, qualche cosa, nell’ordine di centinaia di milioni di neuroni e quindi poco meno di quelli che ci sono nel midollo spinale. Senza entrare in dettagli, questi neuroni che hanno a loro volta proiezioni verso l’esterno, fino a connettersi con vari punti del sistema nervoso centrale e da esso ricevono connessioni stesse; come si diceva, questo sistema nervoso enterico ha neuroni che, ad esempio, saggiano le caratteristiche del contenuto luminale, oppure ricevono informazioni sul contenuto luminale da cellule endocrine della mucosa. Al tempo stesso, neuroni, invece, effettori di questo sistema nervoso enterico sono quelli che innescano quella complicata coordinazione che darà, a breve distanza dal pasto, i movimenti di mescolamento, che sono brevi movimenti segmentari, che consentono di assorbire molto più efficacemente. Nonché finita la fase di assorbimento, avverrà, quel movimento più complesso che è il cosiddetto movimento di peristalsi, in cui si ha una dilatazione a valle e un restringimento a monte che spinge man mano le scorie residue, distalmente lungo l’intestino. 69 3.4. Esofago. L’esofago è un condotto lungo circa 24-26cm che si estende dalla sesta vertebra cervicale fino all’orificio d’ingresso nello stomaco. L’esofago ha forma cilindrica con calibro variabile dai 13 ai 22 mm e a seconda delle regioni che attraversa, si può suddividere in: tratto cervicale, tratto toracico, tratto diaframmatico e tratto addominale, che termina nello stomaco. La parete esofagea è costituita da: una tonaca mucosa caratterizzata da un epitelio squamoso stratificato e da una lamina propria, muscolaris seguita mucosae da una variamente sviluppata Sopra ancora una tonaca sottomucosa, ricca di ghiandole a secrezione mucosa, ed una tonaca muscolare, costituita fig. 42. Struttura microscopica dell’esofago da uno strato circolare interno ed uno longitudinale esterno. La particolarità dell’esofago sta che nel terzo superiore la muscolatura è striata e nei 2/3 inferiori è liscia. Infine l’esofago è avvolto da una sottile tonaca avventizia che solo nel breve tratto addominale viene ricoperta da peritoneo. Non avendo l’esofago una mucosa, non ci saranno secreti ormonali 70 3.5. Stomaco e suoi ormoni Lo stomaco svolge la seconda fase della digestione, quella successiva alla masticazione. Lo stomaco è il segmento più espanso del canale alimentare con una capacità media, nell’adulto, di circa 1200cc. Esso ha sede nel comparto sopramesocolico ed occupa parte dell’epigastrio e dell’ipocondrio sinistro(foto sotto); Fig. 43.Stomaco. con la porzione orizzontale riposa sul mesocolon traverso, con il fondo si spinge sotto la cupola diaframmatica; anteriormente è in rapporto con il lobo sinistro del fegato e con la parete addominale anteriore; lateralmente con la milza ; posteriormente con gli organi retroperitoneali (il corpo e la coda del pancreas, la porzione del duodeno e l’angolo duodeno – digiunale, inoltre il rene e il surrene sinistro). Fig. 44.Criterio semeiologico per lo studio della La prima funzione dello stomaco proiezione dei visceri endo addominali sulle è quella di ricevere e accogliere pareti del tronco. il cibo, poi rimescolamento del bolo alimentare. C’è proprio un meccanismo, chiamato “rilasciamento accomodativo” per cui lo stomaco sente che è stato dilatato e si rilascia ulteriormente, in modo tale che non c’è bisogno di aumentare man mano la pressione, invece così lo stomaco è relativamente piccolo quando è vuoto, si riempie, sente che è stato dilatato e rilascia la muscolatura, e via fino a un certo limite. La “secrezione” a sua volta, tramite l’acido cloridrico, ammazza i batteri e partecipa alla demolizione degli alimenti, poi ci sono un po’ di enzimi e il “fattore 71 intrinseco” il quale è una glicoproteina secreta dalle mucosa gastrica che, legando la vitamina B12 introdotta con la dieta, ne consente l'assorbimento. Nello stomaco si viene a formare un legame tra fattore intrinseco e vitamina B12. Il complesso, resistendo all’azione digestiva dei numerosi enzimi, prosegue inalterato lungo il tubo digerente, fino a raggiungere l'ileo (ultimo tratto dell'intestino tenue) dove la vitamina B12 viene assorbita. In assenza di fattore intrinseco, la vitamina B12 viene quasi completamente eliminata con le feci. La conseguente avitaminosi è responsabile di una tipica anemia, detta perniciosa. La muscolatura permette il passaggio dal bolo dallo stomaco al duodeno e anche rimescola il cibo (fino a che le particelle di cibo raggiungono lo spessore di 3 mm), viene così liquefatto e diluito, così un’altra funzione importante è che lo stomaco in modo regolato, ogni tanto, aprendo il piloro, con un movimento che va verso esso, passa un piccolo fiotto, siccome il contenuto è molto acido, lo stomaco ha una parete fatta apposta per resistere, ma subito dopo non c’è nessuna parete resistente, per cui il piccolo fiotto viene neutralizzato e l’alimento può proseguire a piccole quantità nel duodeno, con lo svuotamento, passando per il piloro. Focalizzandoci sulle secrezioni ormonali, lo stomaco libera vari importanti ormoni fra cui : - la Gastrina, secreta quando l’acidità nello stomaco diminuisce (pH si alza), va in circolo raggiunge il cuore destro attraverso i polmoni, poi al cuore sinistro, infine giunge di nuovo alla regione acido – secernente dello stomaco, detta area oxintica, per stimolare la secrezione di acido cloridrico, riabbassando il pH. - la Grelina, liberata soprattutto nel digiuno e in anticipazione dei pasti. La scoperta dell’ormone grelina si è avuta nell’ambito della ricerca di un fattore liberante il GH, ma dal GHRH (Growth – Hormone – Releasing - Hormone), l’ormone ipotalamico già noto che, stimola potentemente il rilascio dell’ormone della crescita (GH). Cercando nell’intero organismo il fattore che giustificasse questo meccanismo, si è scoperto che si trattava di un ormone dello stomaco, che fu denominato liberatore di GH, ovvero Ghrelina in italiano grelina. Oltre a quella di stimolo alla secrezione dell’ormone della crescita (GH), una serie di evidenze sperimentali, ha assegnato alla grelina un ruolo nell’assunzione alimentare e nella 72 regolazione del bilancio energetico e nel controllo del peso corporeo. Le concentrazioni plasmatiche di grelina sono influenzate dalle variazioni delle condizioni nutrizionali sia nel breve che nel lungo periodo. Una riduzione postprandiale di livelli di grelina è stata evidenziata anche nell’uomo e la sua somministrazione esogena induce a breve termine un aumento dell’appetito, suggerendo perciò che la sua inibizione subito dopo un pasto possa partecipare alla cessazione del pasto. Nell’uomo obeso i livelli di grelina sono significativamente ridotti rispetto ai soggetti normpeso, ma non sono ulteriormente inibiti dall’alimentazione. I bassi livelli di grelina nell’uomo obeso escludono che l’eccesso d’adipe possa essere determinato, in modo determinante da eccessiva attività secretoria di questo ormone oressizzante. Gli effetti di stimolo della grelina sull’appetito sono mediati attraverso vie coinvolgenti l’AgRP, con un antagonismo sui recettori MC4 e la secrezione di NPY. La grelina rende reversibile l’effetto anoressizzante della leptina, suggerendo che grelina e leptina possono agire sui medesimi sistemi neuronali. Recenti osservazioni circa le implicazioni metaboliche della grelina, hanno messo in evidenza come l’aumento del tessuto adiposo, ottenuto in seguito al trattamento con grelina, sia associato ad un aumento del quoziente respiratorio che assume il significato di una riduzione dell’ossidazione lipidica. Queste osservazioni sollevano l’interessante possibilità che l’effetto della grelina sul peso corporeo sia dovuto ad un aumento dell’introito alimentare, con un preferenziale indirizzamento dei substrati lipidici verso la liposintesi nel tessuto adiposo piuttosto che verso l’ossidazione. Tuttavia ma un effetto diretto della grelina sul metabolismo energetico non è ancora stato dimostrato. Nell’insieme, quindi, la grelina può essere considerata come potente stimolo oressizzante che origina dallo stomaco ed agisce a livello del sistema nervoso centrale, portando da un lato ad aumentata secrezione di GH, e dall’altro attivando tutta una serie di reti neuronali effettrici della risposta oressizzante e di bilancio energetico positivo. 73 3.6. Intestino e suoi ormoni. L’intestino tenue fa seguito allo stomaco; è compreso tra il piloro e la valvola ileo – ciecale, esso occupa la maggior parte del comparto sottomesocolico dell’addome. Si distingue dal crasso per la superficie liscia e per il minor calibro: è lungo circa sei metri ed è l’organo fondamentalmente deputato alla digestione ed all’assorbimento dei principi alimentari: Esso consta di tre porzioni: duodeno, digiuno ed ileo. Il duodeno fa seguito al piloro, è - lungo circa 25cm, con diametro di 5cm circa. Presenta la forma di “C”, in cui si ravvisano quattro tratti: tratto prossimale, tratto discendente, tratto orizzontale, infine tratto ascendente. - Il digiuno deve il suo nome al fatto che, nei frequentemente reperti autoptici è trovato privo di contenuto, dato che l’attività peristaltica intestinale permane per qualche tempo dopo il decesso. - L’ileo deve il suo nome al riscontro Fig. 45Intestino tenue e crasso. relativamente frequente di fenomeni ostruttivi. Sia il digiuno che l’ileo si presentano ripiegati su se stessi a formare anse ampiamente mobili nella cavità addominale. Tutte le anse sono collegate alla parete addominale posteriore dal mesentere, esso è una plica peritoneale costituita da due foglietti e distesa a ventaglio con un margine libero di lunghezza pari a quella dell’intestino cui aderisce ed un margine fisso breve, lungo circa 15cm, impiantato sulla parete addominale posteriore, lungo una linea obliqua che dal margine sinistro del corpo della 2a vertebra lombare va alla fossa iliaca destra, a livello dell’articolazione sacro – iliaca. Nello spessore del mesentere decorrono i vasi e i nervi destinati alle varie anse digiunali e ileali. 74 La superficie interna dell’intestino ha un aspetto vellutato per la presenza di piccoli rilievi detti villi intestinali, numerosissimi, fino a mille per cm2. Questi sono costituiti da uno stroma connettivale, rivestito da epitelio, formato a sua volta da enterociti. Essi presentano un classico orletto a spazzola, costituito da numerosi microvilli, molto regolari ove ci sono legate nella membrana una serie di enzimi che tagliano soprattutto zuccheri. Questo è un elemento importante dell’assorbimento, mentre nell’assimilazione invece le poco proteine prima vanno soprattutto gli enzimi liberati dal pancreas. Inoltre sono dotati di un ricco reticolo endoplasmatico liscio deputato alla sintesi Fig. 46. particolare dei microvilli del colesterolo, fosfolipidi e trigliceridi a partire dagli acidi grassi e dai monogliceridi assorbiti separatamente. L’abbondante reticolo endoplasmatico rugoso provvede alla sintesi di numerose proteine; alcune di loro si legano ai predetti trigliceridi, dando luogo alla formazione dei chilomicroni. Questi sono rilasciati negli interstizi fra le cellule per poi immettersi nella via linfatica.. I monosaccaridi e gli aminoacidi vanno direttamente nel circolo portale, e poi trasportati nel circolo venoso. Dal punto di vista ormonale, l’intestino tenue rilascia vari ormoni: - La Colecistochinina (CCK), è un ormone anoressizzante, che riduce il senso della fame e quindi l’assunzione di cibo. Essa è presente in cellule endocrine del duodeno e del digiuno. E’ rilasciata in circolo in presenza di cibo nel lume intestinale, specie lipidi. La colecistochinina (CCK) è associata alla digestione: essa infatti, stimola la cistifellea a contrarsi e a liberare la bile nel duodeno (allo scopo di emulsionare i grassi), e il rilascio di enzimi pancreatici digestivi nel duodeno. Sono stati identificati due recettori per la CCK: la colecistochinina A, espressa nei tessuti periferici, includendo pancreas, lo sfintere pilorico, e fibre nervose vagali afferenti. Il recettore colecistochinina B, è invece ampiamente distribuita a livello del sistema nervoso centrale. Il blocco dei recettori CCK A, si oppongono all’effetto saziante della somministrazione esogena di CCK, portando inoltre ad un aumento dell’introito alimentare basale a causa di un’inibizione della CCK 75 endogena. Tuttavia la CCK non è in grado di passare la barriera ematoencefalica, ed agisce stimolando il nervo vago. La somministrazione periferica di CCK promuove il senso di sazietà sia indirettamente attraverso l’inibizione dello svuotamento gastrico, che attivando i segnali vagali afferenti, agendo su specifici recettori presenti sui neuroni delle vie vagali. Entrambi questi meccanismi richiedono l’integrità del nervo vago e in particolare di quelle fibre vagali responsive al CCK che terminano a livello del NTS (nucleo del tratto solitario), che a sua volta manda proiezioni nervose al nucleo paraventricolare. Quest’ultima è l’area più importante per l’integrazione dei segnali che provengono dalla periferia con i sistemi e le aree effettrici centrali nel controllo dell’appetito e dell’alimentazione. - La Secretina, è un polipeptide sintetizzato da alcune cellule del duodeno e del digiuno in forma inattiva ( prosecretina ), che è attivato dall’arrivo nel duodeno del chimo acido. Stimola la secrezione pancreatica, incrementa la lipolisi e la glicolisi, durante il digiuno prolungato. La sua secrezione è inibita dalla somatostatina. (Arturo Pizzoferrato – ormoni e dosaggi ormonali- piccin) - Il VIP (vasoactive intestinal polypeptide), è un neuropeptide con funzioni neurotramettitorie, si riscontra in maggiori concentrazioni nei plessi nervosi di Meissner o plesso sottomucoso e di Auerback o plesso mioenterico (vedi figura sotto), nella corteccia cerebrale e nell’ipotalamo e in minori concentrazioni nel cuore, nei polmoni, nei reni e nella cute. Nel sistema determina dello gastroenterico il rilasciamento sfintere esofageo, coordina il rilasciamento della muscolatura intestinale e stimola la secrezione d’acqua e di elettroliti nell’intestino; nel pancreas invece stimola la secrezione di bicarbonato ed enzimi. Ha un’emivita molto breve, un minuto circa, ed è Fig. 47. Plessi nervosi di Meissner e Auerback prevalentemente metabolizzato a livello epatico. 76 L’intestino crasso costituisce l’ultimo segmento del canale alimentare, misura circa 1,5m ed ha un calibro variabile di circa 7cm nel tratto iniziale, per ridursi a 3 – 4cm nel tratto distale. Funzionalmente il colon è impegnato nell’assorbimento di acqua, elettroliti ed acidi grassi a catena corta, nonché nella eliminazione sotto forma di feci dei residui alimentari non assorbiti. Esso è inoltre caratterizzato dalla presenza di una ricca flora batterica. Questa parte d’intestino è suddivisa in tre tratti: cieco, colon e retto. - il cieco è la porzione più espansa dell’intestino crasso e corrisponde al tratto situato al di sotto della giunzione ileocecale. Ha sede nella fossa iliaca destra; gode di mobilità variabile in rapporto al livello di riflessione del suo rivestimento peritoneale sulla parete addominale posteriore. La sua superficie interna presenta tre tasche di cui una mediale, una anteriore e una posteriore, in corrispondenza della tasca mediale si apre il lume dell’appendice. - il colon consta in quattro segmenti: colon ascendente, traverso, discendente e il sigma ed è disposto a formare una cornice attorno alle anse del digiuno e dell’ileo. - il retto è invece è il penultimo tratto del crasso, misura circa 12 - 13cm; esso si estende dalla terza vertebra sacrale a 3cm circa del contorno dell’ano. Presenta una porzione più espansa o ampolla rettale ed una porzione ristretta, perineale o colonnare. - il canale anale fa seguito alla porzione perineale del retto e si estende dalla linea passante per le basi delle colonne rettali all’orificio esterno dell’ano. Esso è lungo circa 3cm ed è strutturalmente è caratterizzato da una mucosa dotata di epitelio pavimentoso composto che in prossimità dell’orifizio anale esterno risulta corredato di ghiandole sudoripare e sebaceee. Anche l’intestino crasso ha una funzione endocrina liberando diversi ormoni: - Peptide YY(PYY): è un ormone che l’intestino distale rilascia a fine pasto in quantità proporzionale a quanto abbiamo mangiato: maggiore è il contenuto calorico del pasto, maggiore sarà la quantità di peptide YY rilasciato. La sua funzione è quella di inibire l’acidità gastrica e la secrezione del pancreas. Studi su ragazze anoressiche evidenziavano livelli di peptide YY più alti del normale; inoltre, quando le ragazze anoressiche riacquistano un peso, i livelli di peptide YY si abbassano bruscamente. 77 - Enteroglucagone: prodotto a livello delle cellule L presenti nel tratto terminale dell’ileo e del colon. Esso pur essendo prodotto a livello intestinale, è in realtà formato da diversi componenti quali la glicentina, l’oxintomodulina, il GLP1 e il GLP-2. L’azione di questo ormone è quella di stimolare la secrezione pancreatica di glucagone; ha azione inibente sulla secrezione gastrica, influenza il rimo dello svuotamento dello stomaco. La sua secrezione è stimolata dai carboidrati e inibita dai lipidi. - GLP-1 (glucagon-like peptide-1) polipeptide prodotto anch’esso dalle cellule L, il quale secernono il peptide in risposta all’ingestione di cibo ( in particolare carboidrati e grassi). Questo peptide è prodotto dal proglucagone che sintetizza una proteina, il pre-proglucagone, che è processata in maniera diversa a seconda dai tessuti in cui è sintetizzata. In questo modo, a livello delle cellule α del pancreas, gli enzimi proteolitici determinano il rilascio di glucagone ma anche d’altri peptidi inattivi, mentre a livello delle cellule L dell’intestino determinano il rilascio di diversi peptidi quali i sopraccitati glicentina, l’oxintomodulina, il GLP1 e il GLP-2 ( noti originariamente come col nome di enteroglucagone). In particolare il GLP-1 ha nella sua azione fisiologica quella di stimolare la secrezione d’insulina in risposta al glucosio e di ridurre la secrezione di glucagone, determinando così una riduzione significativa dei livelli circolanti del glucosio in seguito all’ingestione di cibo. Essa è inoltre in grado di inibire la secrezione gastrica e di rallentarne lo svuotamento, con conseguente aumento del senso della sazietà e ridotta ingestione di cibo. Inoltre esso, come altri ormoni gastrointestinali è sintetizzato anche a livello del sistema nervoso dove sembra che partecipi alla regolazione dell’ingestione del cibo. Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per un possibile utilizzo dell’ormone nella terapia del diabete mellito di tipo 2, ma presenta una potenzialità terapeutica limitata a causa della sua breve emivita ( circa 2 minuti). Al contrario, poco conosciuta è l’azione fisiologica svolta dagli altri peptidi prodotti dalle cellule L intestinali a partire dal proglucagone, anch’essi rilasciati in risposta al pasto. L’Oxintomodulina, strutturalmente molto simile al glucagone, ha la capacità di inibire la secrezione e la motilità gastrica e di inibire, inoltre, la secrezione pancreatica, mentre invece, il GLP-2 sembra stimolare la proliferazione delle cellule intestinali. 78 3.7. Pancreas e rilascio ormonale. Il pancreas è un organo a struttura ghiandolare dotato di attività sia endocrina che esocrina. È situato trasversalmente nella parte superiore dell’addome, dietro lo stomaco, tra la “C” duodenale e l’ilo della milza, restando addossato alla parete posteriore, a livello della I e II vertebra lombare. Ha forma allungata e appiattita, pesa circa 75 grammi. È costituito di tre parti (testa, corpo e coda) ed è dotato di due dotti escretori i quali scaricano il succo pancreatico, ricco d’enzimi digestivi, nel duodeno. Dotto biliare Dotto pancreatico. Dotti escretori C duodenale Testa Corpo Coda Fig. 48.Pancreas. Questa struttura trova inclusa una componente di tessuto endocrini molto importante: le isole di Langherans o isole (insule) pancreatiche. Esse sono raggruppamenti di cordoni cellulari, composti di qualche centinaio di cellule endocrine; sono distribuite in tutto il pancreas, nel contesto del tessuto esocrino, sono inoltre provviste di capillari e innervate dal sistema nervoso autonomo e da vie sensitive. Dette isole sono composte di quattro popolazioni cellulari: - cellule a insulina (dette anche β o B), il quale costituiscono la porzione maggiore e centrale delle isole. - cellule a glucagone (dette α o A). - cellule a somatostatina. - cellule a polipeptide pancreatico. Le cellule degli ultimi tre tipi sono disposte, invece, perlopiù alla periferia. 79 Il sangue decorre primariamente dal centro alla sua periferia e indi attraverso il parenchima; l’effluente venoso del pancreas entra nel “sistema portale” e va quindi al fegato prima di distribuirsi al resto dell’organismo. Ne risulta che il fegato è il primo bersaglio degli ormoni insulari, che qui giungono a concentrazioni elevate. La funzione delle cellule a insulina è tipicamente di rispondere all’elevarsi della concentrazione dei livelli di glucosio, o prima ancora ad ormoni liberati dal tubo digerente. Infatti durante il primo assorbimento delle sostanze nutritive alimentari specialmente glucidiche, appositi ormoni immediatamente stimolano la liberazione di insulina, prevenendo così una forte elevazione della glicemia subito dopo il pasto (nel pancreas, le cellule beta non hanno bisogno di attendere che realmente la glicemia aumenti, per rispondere, ricevono un segnale diverso e indiretto il quale comunica che sta per arrivare il carico glucidico, inizia a secernere e quindi il risultato, l’aumento di glicemia, che non è un evento positivo che aumenti troppo a lungo periodo, viene tenuto a livelli ottimali), fatto che si verifica durante l’assorbimento delle sostanze nutritive alimentari specialmente glucidiche. Tramite la vena porta, l’insulina giunge al fegato insieme alle sostanze nutritive assorbite ed esercita qui una prima azione fondamentale azione: L’insulina si dimostra un potente ormone, che agisce in primis al fegato, comunicando alle sue cellule di catturare glucosio e di trattenerlo sotto forma di polimero glicogeno. Successivamente come ben si comprende, l’insulina stessa si distribuirà anche a tutto il resto dell’organismo, ove ha come bersaglio tutti gli organi, tessuti e cellule nei quali aumenta la captazione e l’utilizzo del glucosio. Un particolare interessante è stato evidenziato con la scoperta di una nuova proteina rilasciata dagli adipociti, che potrebbe spiegare perché molti soggetti sovrappeso soffrono anche di diabete di tipo 2. La proteina è stata chiamata resistina (il nome deriva dalla capacità di causare una resistenza alla produzione di insulina), infatti, sembra che questa possa inibire la risposta insulinica dell’organismo. Come già descritto, l’insulina è un importante ormone, fondamentale, per regolare la quantità di zuccheri circolanti nel sangue dopo il pasto. Essendo noto che le cellule dei pazienti diabetici diventano incapaci di assorbire il glucosio, lasciando nel sangue stesso elevate concentrazioni che diventano pericolose alla salute. Il 80 diabete insorge quando l’organismo diventa incapace di fornire risposta insulinica e nell’arco dei decenni può portare a danni irreversibili, quali nefropatie, cecità ed altre serie patologie. - Il glucagone, secreto dalle cellule alfa, è invece il tipico ormone del “digiuno”: esso è liberato e quindi si riversa nel sistema portale del fegato quando ci stiamo allontanando dalla fase d’assorbimento del pasto e quindi l’assorbimento di glicidi tende rapidamente a diminuire. Giungendo al fegato il glucagone stimola gli epatociti a fare glicogenolisi, quindi render disponibile man mano quel glucosio che era stato accumulato nelle cellule stesse. Il glucosio modificato in glicogeno è pronto per essere utilizzato per quando ci si trova lontano dall’assorbimento delle sostanze nutritive. Si noti come tale meccanismo di mantenimento della glicemia è limitato, e quindi si esaurisce in tempi relativamente brevi della giornata, ma diventa fondamentale per la necessità ininterrotta di alcuni organi, quali, ad esempio, il sistema nervoso centrale. - La somatostatina frena la secrezione d’insulina, contribuendo ad evitare un’eccessiva riduzione del glucosio in circolo ed evitare l’ipoglicemia, particolare importante questo, tanto che altre ghiandole endocrine e ormoni sono predisposti alla difesa da gravi rischi dovuti all’ipoglicemia (es.: midollare e corticale del surrene). - Il Polipeptide pancreatico, si forma nelle cellule PP che si trovano sia nelle isole di Langherans (circa 1,2% del totale), sia nel tessuto pancreatico esocrino della testa. La principale funzione fisiologica sembra essere quella d’inibitore della secrezione enzimatica del pancreas e d’inibitore della contrazione colicistica, risultando un antagonista della colecistochinina (CCK). 81 Basso livello di glucosio nel sangue Rilascio Glucagone dalle cellule beta Il fegato rilascia glucosio nel sangue Alto livello di glucosio nel sangue Insulina rilasciata dalle cellule beta Le cellule dei tessuti insulino dipendenti assorbono glucosio nel sangue Fig. 48. Rilascio Insulina e glucagone in base ai livelli circolanti di glucosio 3.7.1.Pancreas esocrino La parte esocrina è costituita da acini con cellule ricche di granuli di zimogeno; agli acini fanno seguito i dotti intercalari che confluiscono nei dotti intralobulari, nei quali a loro volta sfociano nei dotti interlobulari e questi nel sistema escretore principale. Gli enzimi pancreatici qui prodotti sono una miscela di fattori che dissolvono i legami chimici delle sostanze introdotte con l’alimentazione, in modo da completare la digestione e consentire l’assorbimento. In particolare, la non casuale miscela con la bile, consente che l’emulsione dei grassi a questa dovuta sia seguita dall’azione demolitrice delle lipasi pancreatiche. Quindi per ogni sostanza c’è uno specifico enzima pancreatico, quali ad esempio: amilasi, proteasi, RNAsi DNAsi e così via. 82 3.8.Fegato Il fegato è il viscere più voluminoso del corpo, pesa circa 1,5 Kg, e svolge molteplici attività metaboliche, grazie alla sua privilegiata condizione di trovarsi inserito nel circolo refluo del distretto splancnico addominale, tra il sistema portale ed il sistema della vena cava inferiore, cosa che gli consente di ricevere sangue ricco di principi alimentari e di numerosi ormoni ( fra cui insulina, colecistochinina e glucagone). Il fegato è mantenuto in situ da legamenti , formati da due ordini di pieghe peritoneali, dette epato-diaframmatiche e epato-viscerali. Le prime sono rappresentate da legamenti coronarici ,dai legamenti triangolari e dal legamento falciforme con annesso legamento rotondo, unendo l’organo al diaframma o alla parete addominale posteriore, mentre invece, il secondo tipo di legamento connette il fegato ai viveri vicini. Tra le sue funzioni più rilevanti, si ricorda: - la secrezione della bile - pre - ormoni: produzione di angiotensinogeno (da cui l’angiotensina I deriva e a sua volta la sua formazione è provocata dalla renina) immissione in circolo di fattori della coagulazione quali il fibrinogeno - la gluconeogenesi e la glicogenolisi - l’inattivazione di sostanze tossiche - la coniugazione della componente lipidica a varie proteine poi immesse nel circolo ematico. - il metabolismo delle purine Legamenti coronari (sotto il diaframma) Lobo destro Lobo Sinistro Cistifellea o colecisti Legamento rotondo Fig. 49. Rappresentazione del fegato 83 La Colecisti è un serbatoio preposto alla raccolta della bile continuamente prodotta dagli epatociti. Negli intervalli digestivi, oltre che da contenitore di bile funziona, contemporaneamente come un organo deputato alla sua concentrazione. La bile, che è costituita per il 90% da acqua e Sali biliari, pigmenti e colesterolo in sospensione, è iniettata nel duodeno collaborando così alla digestione. La bile funge per un certo grado da detergente, aiutando ad emulsionare i grassi e partecipa così al loro assorbimento nel piccolo intestino; quindi ha parte importante nell'assorbimento delle vitamine D, E, K e A che si trovano nei grassi. Oltre alla funzione digestiva, la bile serve anche all'eliminazione della bilirubina, prodotta dalla degradazione della emoglobina, che le dà il tipico colore. Il drenaggio venoso della colecisti fa in gran parte capo al circolo portale. Il peritoneo infine, riveste le pareti della cavità addominale e la superficie di numerosi visceri in essa contenuti, delimitando uno spazio virtuale detto cavità peritoneale. Esso è una delle tre grandi sierose del corpo umano, e la parte che riveste le pareti addominali prende il nome di peritoneo parietale; mentre invece, la porzione che si riflesse sui visceri e li riveste costituisce il peritoneo viscerale. 3.8.1.Vasi Sanguigni Il fegato presenta una ricca vascolarizzazione; riceve infatti sangue da tutto il tratto sottodiaframmatico del canale alimentare fino all’estremità prossimale del retto, dal pancreas, dalla milza, dall’intestino tramite la vena porta; riceve inoltre sangue arterioso dalla arteria epatica. All’interno del fegato, la vena porta e l’arteria epatica ramificano ripetutamente dando luogo alla formazione di un albero vascolare artero – venoso; i rami esterni sfociano in capillari di ampio calibro, i sinusioidi epatici che confluiscono nelle vene centrali che rappresentano le radici delle vene epatiche, tributarie (che si versano in un’altra vena), della vena cava inferiore. I rami portali e quelli dell’arteria epatica viaggiano insieme ai dotti biliari. L’arteria epatica nasce dal tronco celiaco, garantisce l’apporto di sangue arterioso all’organo, mentre, le vene epatiche si gettano nella vena cava inferiore. La vena porta è una vena lunga 7-8cm circa, si forma in corrispondenza della superficie dorsale della testa del pancreas dalla confluenza della vena mesenterica superiore con il tronco spleno mesenterico, costituito a sua volta dalla confluenza della vena mesenterica inferiore con la vena lineale. La vena mesenterica 84 superiore, raccoglie sangue refluo dall’intero intestino tenue, dal tratto prossimale del crasso, fino alla metà del colon traverso e dal pancreas. La vena mesenterica inferiore proviene dalla parete della metà sinistra del colon traverso e dai segmenti successivi fino alla prima funzione del retto. Invece la vena lineale proviene dalla milza. 3.8.2. Innervazione L’innervazione del fegato è caratteristicamente priva di terminazioni sensitive e accompagna sostanzialmente i vasi sanguigni. Solo i dotti biliari presentano fibre sensitive. Mente invece, l’innervazione della colecisti è particolarmente ricca di terminazioni sensitive a differenza dell’intero fegato che è quasi privo, infatti le patologie ostruttive (calcoli alla colecisti), danno luogo ad una sintomatologia dolorosa molto forte. Fig. 51. Visceri più interni del cavo addominale. Da notare il mesocolon trasverso cui poggia lo stomaco(in figura risulta asportato).Lambertini 85 4.Cenni sulle malattie dismetaboliche Obesità e Soprappeso. In passato il sovrappeso era considerato un segno di benessere sociale e l’obesità una garanzia di un’elevata probabilità di sopravvivenza. Nel mondo contemporaneo, invece, rappresenta una vera e propria patologia sociale, essa riduce l’aspettativa di vita, aumenta la morbilità innalzando, tra l’altro, la spesa sanitaria. L’obesità in quanto tale, è risultata un forte fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, la cardiopatia ischemica, le malattie cerebrovascocolari, e l’ipertensione arteriosa, così come per le malattie metaboliche quali il diabete mellito, le dislipidemie e le iperuricemie. Si associa all’obesità anche un aumentato rischio malattie di dell’apparato respiratorio quali le broncopneumopatie restrittive ed altre, esse, infine, rappresentano un ulteriore fattore di rischio per alcune malattie neoplastiche, quali tumori del colon, del retto e della mammella. Una precisa definizione dell’obesità ha comportato considerevoli dibattiti e discussioni per stabilire quali né fossero i limiti di peso al di sopra dei quali dovesse essere posta la diagnosi dell’obesità. Attualmente si utilizza l’indice di massa corporea (IMC o BMI body mass index), che consiste nel peso corporeo espresso in chilogrammi diviso l’altezza espressa al quadrato ( kg/h2 ).L’obesità è comunque caratterizzata da un aumento eccessivo della massa adiposa, dovuto ad un aumento degli adipociti sia per numero che per volume, come nei casi, rispettivamente, d’obesità iperplasatica o ipertrofica. BMI (Kg/m2 ) 18.5 – 24.9 = Normpeso 25.0 – 29.9 = Sovrappeso 30.0 – 34.9 = Obesità classe I 35.0 – 39.9 = Obesità classe II > 40 = Obesità classe III Fig. 52Tabella di classificazione dell’obesità. Fig. 53. Normogramma di calcolo dell’indice di massa corporea (BMI = Kg/m2). 86 Eziopatogenesi: L’eziopatogenesi dell’obesità è multifattoriale. Il deposito di tessuto adiposo in eccesso è conseguenza di uno squilibrio tra apporto calorico e dispendio energetico: a tale squilibrio contribuiscono fattori genetici, ambientali, socio culturali ecc. Ad esempio, alcuni secoli fa presso classi povere, la capacità di accumulare una buona quota di calorie assunte in forma di tessuto adiposo, rappresentava la miglior possibile garanzia di sopravvivenza. Oggi, invece per contrapposto, risulta in squilibrio per via dell’eccessiva disponibilità. Una volta diagnosticata l’obesità e il suo grado, si procede con una terapia, che deve essere individualizzata, anche perché la percentuale di insuccessi e di recidive a lungo e medio termine è alta. Nei casi d’obesità primaria il trattamento è basato essenzialmente su modificazioni delle abitudini alimentari e dello stile di vita, motivando il paziente verso strategie che consentano di ridurre l’introito calorico e di aumentare il dispendio energetico attraverso l’incremento dell’esercizio fisico. Successivi interventi nei casi d’obesità di seconda classe (vedi tabella in fig. 52), possono giovarsi anche alcuni interventi farmacologici. Quando il BMI è superiore a 40 (obesità classe III), ci può essere l’interesse ad indirizzare il paziente verso un, estremo, trattamento chirurgico di tipo bariatrico, con bendaggio gastrico regolabile in modo da creare un effetto clessidra. Con questa tecnica si ottiene un rapido riempimento dello stomaco e quindi un senso di sazietà. Diabete mellito. Il diabete mellito è un disordine complesso del metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine, esso è caratterizzato dalla tendenza ad iperglicemia dovuta a deficit della secrezione e/o dell’azione periferica dell’insulina. Secondo la classificazione ADA (American Diabets Association), il diabete mellito è classificato come Diabete di tipo 1 e di tipo 2. tale classificazione rispecchia le numerose differenze che distinguono le due entità nosologiche. Vengono raggruppate in un’unica entità differenti forme di diabete, siano esse secondarie a malattie endocrine o a sindromi genetiche, oppure a difetti genetici sia della funzione della β cellula che dell’azione insulinica, od infine concomitanti a patologie del pancreas esocrino, ad infezioni o abuso di farmaci. Un discorso a parte merita il diabete gestazionale, che si manifesta durante la gravidanza e che può scomparire dopo il parto. 87 La diagnosi del diabete mellito può essere sospettata clinicamente quando sintomi e segni rilevabili al momento dell’esordio clinico sono relativamente evidenti, ad esempio bisogno continuo di bere o urinare spesso. I criteri standard per la diagnosi sono riportati nella seguente tabella: 70- 100 - Glicemia > 200 mg/dL in un qualunque momento della giornata - Glicemia a digiuno > 126 mg/dL in almeno due occasioni - Glicemia a digiuno < 126 mg/dL ma > 200 mg/dL dopo 120 minuti dal carico orale di glucosio - Glicemia > 100 mg/dL e < a 126 mg/dL è alterata. - Glicemia compresa fra 70 e 100 mg/dL è fisiologica. Il rilevamento della glicemia basale a digiuno può essere diagnostico. La prova da carico orale di glucosio, è invece riservata a soggetti con glicemia a riposo <126mg/dL, e può risultare utile per identificare pazienti con ridotta tolleranza glucidica o gestanti con sospetto diabete gestazionale . Fig. 54.Criteri diagnostici per il diabete mellito e la ridotta tolleranza glucidica. Marcatori immunologici. La presenza di autoanticorpi è importante per identificare il tipo di diabete, in particolare nella situazione in cui l’età di insorgenza non consente una diagnosi differenziale. La presenza di elevati titoli anticorpali, prima di un’eventuale terapia insulinica, indica diabete di tipo1. I marcatori immunologici più noti sono gli anticorpi contro le cellule insulari (ICA - islet cell antibody ) e gli anticorpi antiinsulina (IAA – insulin auto antibody)cui più recentemente si sono aggiunti gli anticorpi antidecarbossilasi dell’acido glutammico (GAD - glutamic acid decorboxylase). 88 Diabete di tipo 1 - insulino dipendente È una sindrome cronica che colpisce prevalentemente soggetti in età giovanile: Essa è caratterizzata da carenza insulinica, dovuta a distruzione della cellula β pancreatica, ad esempio in seguito a parotite virale che abbia coinvolto il pancreas. Clinicamente, si rileva poliuria (consistente nell'emissione di una quantità di urina superiore ai 2 litri nelle 24 ore), glicosuria (presenza nelle urine di zuccheri), perdita di peso, evoluzione verso la chetoacidosi. L’esordio clinico può essere acuto ( nell’arco di poche settimane, in genere tipico in pazienti più giovani), con i segni sopra descritti, o nell’arco di alcuni mesi, subdolo, con prevalenza di astenia, perdita di peso, oltre alla già citata poliuria e polidipsia (necessità continua di bere). I sintomi possono essere suddivisi in metabolici e non metabolici (tabella sotto). Un sintomo d’esordio può essere la enuresi notturna (completa ed involontaria incontrollabilità della Sintomi metabolici vescica), specie nei bambini. Sintomi non metabolici La diagnosi: viene formulata Poliuria Ictus sulla base di elevati valori Sete Angina o infarto Perdita di peso Infezioni del tratto glicemici basali, o dopo carico orale di glucosio, ove opportuno, in presenza di positività urinario Disidratazione Prurito vulvare Coma Ulcerazioni e gangrene anticorporale (ICA,IAA, Anticorpi anti – GAD). dei piedi Fig. 55.Storia naturale del diabete di tipo 1. 89 Diabete di tipo 2 non insulino dipendente. E anch’essa una sindrome cronica prevalentemente ( ma non esclusivamente) dell’età adulta e anziana, spesso associata ad obesità, caratterizzata da iperglicemia e da gradi diversi di insulino – resistenza con deficit “relativo” betacellulare, con una tendenza verso l’evoluzione verso la chetosi decisamente inferiore rispetto al diabete di tipo 1. Dal punto di vista epidemiologico, il diabete di tipo 2 è la malattia endocrina più frequente e una delle maggiori cause di morbilità delle popolazioni occidentali (vedi figura). La prevalenza di questo tipo di malattia diabetica varia a seconda che si consideri solo la patologia conclamata o si includa anche la ridotta tolleranza glucidica, come stadio preclinico della malattia. fig. 56. Prevalenza del diabete nella popolazione generale compresa fra 20 e 74 anni. Eziopatogenesi: Il diabete tipo2 è una patologia eterogenea alla quale contribuiscono in rapporto variabile fattori genetici ed ambientali. La componente genetica è dimostrata dall’elevata concordanza di comparsa della malattia nei gemelli identici (90%), o nei consanguinei ( 35%). Non sono stati, ad oggi completamente identificati, i geni responsabili di tale ereditarietà. Quale fattore ambientale, incide lo stile di vita delle popolazioni occidentali, come già accennato, caratterizzato da una ridotta attività fisica e da un relativo aumento dell’introito calorico con conseguente eccesso ponderale. Ciò è confermato dall’aumentata frequenza della malattia diabetica nei soggetti immigrati verso paesi con tenore di vita elevato, nonché in popolazioni in cui l’incidenza era originariamente scarsa, ma che negli ultimi decenni si sono trovate a contatto con la civiltà occidentale. In circa l’80% dei pazienti diabetici di tipo 2 è riscontrata l’associazione tra diabete e obesità, per cui l’eccesso ponderale è considerato un fattore 90 predisponente. In particolare si è osservato che l’accumulo dei trigliceridi negli adipociti, in particolare in quelli viscerali, altera il profilo sintetico degli adipociti e di loro ormoni e fattori (adipochine). In particolare sarebbe aumentato il rilascio della proteina resistina, e delle citochine infiammatorie quali il TNFalfa e la interleuchina 6 (IL6), che sono in grado di diminuire la risposta tissutale all’insulina (determinando appunto insulino resistenza), e di ridurre la secrezione di insulina in risposta al glucosio, (inducendo quindi un deficit relativo d’insulina). Il fatto che l’80% dei diabetici di tipo 2 sia obeso, spesso con una distribuzione centripeta del tessuto adiposo, fa ritenere, oggi, che un’alterazione dell’attività endocrina del tessuto adiposo possa essere un importante fattore patogenetico della insulino – resistenza e del diabete mellito 2. Di conseguenza, la dieta occidentale, ricca di lipidi soprattutto d’origine animale e quindi con un elevato rapporto tra acidi grassi saturi e poliinsaturi, unitamente all’inattività fisica, devono essere ritenuti oggi i principali fattori predisponenti allo sviluppo del diabete di tipo 2. Recenti studi evidenzierebbero ridotta produzione epatica di glucosio nei topi carenti di resistina. Oltre a spiegare, almeno in parte, il ruolo dell’obesità nello sviluppo del diabete di tipo 2, la resistina potrebbe offrire una nuova strategia terapeutica: lo studio si indirizzerebbe verso la ricerca della riduzione dei livelli di resistina nei pazienti diabetici. Ciò potrebbe essere ottenuto agendo sulle cellule che producono la resistina stessa, legandola ad un anticorpo, oppure sviluppando un farmaco che né blocchi l’azione della resistina sulle cellule. I livelli di resistina aumentano nelle persone obese o diabetiche di tipo 2. Esperimenti sui topi, sia nutriti normalmente che sottoposti a dieta ad alto tenore di grassi, presentavano livelli di glucosio ridotti rispetto ai topi selvatici. Gli animali obesi, trattati, e carenti di resistina, hanno mostrato una tolleranza al glucosio notevolmente migliore rispetto a quelli selvatici, ed era necessario somministrare ai primi più glucosio per mantenere livelli normali durante l’iperinsulinemia ridotta. La conclusione sarebbe che l’assenza di resistina proteggerebbe dall’iperglicemia a digiuno associata ad obesità. La somministrazione di resistina ai topi che ne erano privi, ha fatto aumentare i loro livelli di glicemia a digiuno e la produzione di glucosio fino a livelli quasi normali. 91 Invece, l’adinopectina si correla fortemente con la sensibilità all’insulina. I risultati sugli studi effettuati sono limitati in particolar modo a soggetti con alterata tolleranza glucidica, anziani o soggetti in soprappeso e/o obesità. I dati a disposizione correlano bassi livelli di adinopectina a condizioni di adiposità. Questa molecola suscita molto interesse scientifico per lo sviluppo di nuovi farmaci antidiabetici. Dislipidemie S’intende quasi sempre un aumento di una o più frazioni lipidiche normalmente presenti nel plasma e più raramente una diminuzione. Invece, per iperlipidemie s’intendono quegli aumenti sopra la norma di una o più frazioni lipidiche normalmente presenti nel sangue. Le iperlipidemie possono essere primarie, intese come livelli sierici di colesterolo e trigliceridi dovuti a patologie che riguardano direttamente il metabolismo lipidico o delle lipoproteine. Le iperlipidemie più frequenti sono: l’ipercolesterolomia, l’ipertrigliceridemia e l’iperlipidemia mista L’ipercplesterolemia presenta livelli sierici elevati di colesterolo LDL (lipoproteine a bassa densità), queste veicolano quasi esclusivamente colesterolo, trasportandolo al fegato e ai tessuti periferici. Essa ha grado lieve, se i suoi valori sono compresi tra 200 e 240 mg/dL. È invece grave con valori superiori a 240 mg/dL. In quest’ultimo caso il rischio di malattie cardiovascolari è quattro volte maggiore rispetto ai soggetti normali. L’ipercolesterolemia può essere anche di tipo familiare, dovuta ad un difetto genico consistente nella sequenza aminoacida alterata. Le ipertrigliceridemie sono dovute ad un aumentato livello delle VLDL (lipoproteine a bassissima intensità), sintetizzate e secrete dal fegato, sono costituite da trigliceridi endogeni, da una piccola quantità di colesterolo e dall’apoproteina B100. il cui accumulo può derivare da una sintesi di un normale meccanismo di rimozione oppure, alternativamente, da una diminuzione della rimozione in presenza della normale sintesi. Si manifesta in età adulta, accompagnata da iperuricemia, obesità e ridotta tolleranza ai glucidi, ipertensione arteriosa e aterosclerosi. La diagnosi si basa sull’aumento dei trigliceridi, sull’aspetto torbido e lattescente del siero e sulla diminuzione del rapporto colesterolo/trigliceridi 92 In tutte queste patologie, il trattamento prevede una modifica dei comportamenti alimentari in genere, riducendo l’apporto calorico e i grassi saturi con quelli mono e polinsaturi. Anche un aumento di assunzione di carboidrati, con diminuzione del consumo si sale e dell’alcool, favoriscono la diminuzione della lipidemia. Le iperlipidemie secondarie, invece, s’intendono elevati livelli sierici di colesterolo e trigliceridi che non riguardano direttamente il metabolismo lipidico. Esse stesse comportano le stesse conseguenze delle forme primarie, ma sono correlate con il trattamento eziologico. Esse sono accompagnate da ipotiroidismo, diabete, epatopatie, nefropatie, stress. 93 4.Attività fisica e perdita di peso. Lo sport è uno strumento fondamentale per dimagrire e mantenere il peso ideale. Una delle cause principali dell'aumento del fenomeno del sovrappeso e dell'obesità è proprio la diminuzione del livello di attività fisica. Ai tempi odierni infatti ad una riduzione dell’attività fisica corrisponde, come già accennato, un aumentato numero di spuntini durante l’arco della giornata, con aumentato introito calolorico, risultando quindi sempre più difficile non ingrassare o dimagrire. Per riuscire a fare una vita normale dal punto di vista alimentare, seguendo una dieta bilanciata e ipocalorica, che consenta di gestire lo stimolo della fame e di concedersi ogni tanto qualche eccezione alimentare, bisogna fare in modo di aumentare il dispendio calorico di almeno 300 kcal al giorno, in media, in modo tale da consentire all'uomo di concedersi almeno 2000 kcal e alla donna 1600 kcal al giorno. Tale dispendio calorico corrisponde a circa 2000 kcal la settimana, abbasserebbe drasticamente il rischio di malattie cardiovascolari. Lo sport, dunque deve garantire almeno questo dispendio calorico: per quante ore bisogna praticarlo? Dipende dal tipo di sport, ma soprattutto dall'intensità. Si può praticare sport per almeno 4-5 ore la settimana, consumando quindi 400500 kcal all'ora. Ad esempio, la camminata veloce, il cui consumo è circa 150200 kcal/h, dimostra che è necessario praticare attività sportiva per 10-13 ore la settimana, con un dispendio di tempo di più di un'ora e mezza al giorno. Questo dato deve far riflettere per chi non riesce a fare sport perché non ha tempo: basterà, invece allenarsi correttamente e il tempo da dedicare allo sport potrà diminuire. I risultati mostrati nella figura sotto dimostrano che gli individui che praticano una adeguata attività fisica sono meno soggetti all’aumento di peso rispetto ad individui totalmente sedentari Quindi l’ipotesi più probabile è che gli individui attivi abbiano un sistema efficace di segnalazione della fame, mentre quelli inattivi avrebbero un inefficiente sistema di segnalazione della sazietà. 94 Effetto di un diverso contenuto lipidico nella dieta • • Esperimento 1: su individui con limitata attività fisica Esperimento 2: su individui con normale attività fisica Fig. 57. due esperimenti a confronto circa il contenuto lipidico nella dieta Come già detto, l’attività fisica comporta un dispendio calorico maggiore, però questo da solo non basta. Infatti ad una maggiore quota di uscite caloriche, si deve diminuire l’introito alimentare e osservare alcune semplici regole. Soprattutto in pazienti diabetici una corretta alimentazione può aiutare a limitare le escursioni giornaliere di glicemia e come deve fare da supporto alla terapia insulinica, ove previsto. Nel piano alimentare i carboidrati devono prevedere circa il 55 – 60% delle calorie, i lipidi devono rappresentare il 20% circa, mentre alle proteine spetta la restante quota. La quota calorica costituita di carboidrati deve essere composta quanto più possibile da polisaccaridi, cereali e amidi, aventi un indice glicemico basso, per ottenere indici glicemici post prandiali più contenuti. Devono essere incoraggiati i dolcificanti e l’assunzione delle fibre vegetali che riducono il picco glicemico post prandiale; ove possibile, l’alcool andrebbe eliminato e scoraggiate le bibite analcoliche, fonte di zuccheri semplici. L’assunzione di lipidi va controllata, in quanto il colesterolo non dovrebbe superare i 300 mg/die e, tra i grassi stessi, andrebbero privilegiati i grassi monoinsaturi in quanto non aumentano il colesterolo e in bassa percentuale riducono l’LDL ematico, come ad esempio l’olio extravergine di oliva. Mentre invece, meno del 10% delle calorie ingerite devono provenire da grassi saturi e 95 poliinsaturi: i primi sono i principali responsabili dell’aumento del colesterolo LDL, essi sono presenti nelle carni di manzo, suini e ovini, e nella panna, latte, burro e formaggi in genere; particolare da evidenziare, nei vegetali, si segnala l’olio di palma, in quanto usato nelle catene di ristorazione per la frittura. I secondi invece, sono presenti negli oli vegetali di mais, soia e girasole, e perlomeno preferibili all’olio di palma. Come già detto le proteine non devono superare il 20%, ma con cibi ad alto contenuto proteico sono spesso presenti cospicue quantità di lipidi, pertanto è preferibile assumere cibi di origine vegetale che animale. Pazienti con ipertensione arteriosa, sia pure di grado moderato, è opportuna una dieta iposodica, con non oltre i 3gr/die di sale. Astensione dal fumo dimezza il rischio di mortalità per cause cardiovascolari. Il regolare esercizio fisico aumenta il rapporto tra tessuto magro, ovvero muscolare, e tessuto adiposo migliorando l’utilizzo dell’insulina, riducendo i livelli glicemici. Il regolare esercizio fisico, infatti, determina un migliore utilizzo dell’insulina a livello periferico e quindi una riduzione della resistenza all’insulina stessa. Fig. 58. Consumo energetico durante l’attività fisica (kcal per 30 minuti) 96 Fig. 59. Alimenti di base e snack con contenuto energetico di 500-550 kcal rispetto alle attività fisiche con lo stesso consumo energetico. Alcuni utili comportamenti alimentari. E’ utile fare una buona colazione con thè, caffè e biscotti semplici, mangiare a mezza mattina un frutto fresco di stagione per arrivare al pranzo senza avere particolarmente fame. Evitare cibi particolarmente ricchi di grassi o di condire eccessivamente gli alimenti con grassi animali e vegetali. Limitarsi nel consumo del pane e nella pasta durante il pasto serale, o quanto meno dargli precedenza al pranzo, in quanto introdotto nel pasto serale favorisce la sua trasformazione in grasso. Dare preferenza alle insalate nei due pasti principali, in quanto sono ricche di vitamine e sali minerali, ed hanno un contenuto calorico molto basso. Stesso discorso per la merenda pomeridiana, dove è utile una piccola quota di carboidrati, per arrivare al pasto serale e dare preferenza alla carne, possibilmente bianca, o al massimo 2 volte alla settimana quelle rosse, o addirittura dare preferenza al pesce, in quanto ottimi fornitori di contenuti proteici; per finire frutta di stagione. 97 Effetto della dieta e della dieta + esercizio fisico nel mantenimento della perdita di peso Fig. 59.Effetti della dieta nel mantenimento del peso corporeo 98 Conclusioni 1. La bilancia energetica è un delicato meccanismo preposto al mantenimento del peso corporeo e alla regolazione della spesa energetica. 2. Esso opera tramite una rete di segnali sia umorali che nervosi, con lo scopo di bilanciare l’introduzione di calorie alimentari con fabbisogno ed accumulo di energia. 3. La pressione evolutiva ha reso il sistema molto più sensibile ai segnali di carenza energetica, che vengono congruamente tradotti in senso di fame e di conseguenza, in ricerca di cibo. Al contrario, i segnali di “abbondanza ” del cibo e/o delle scorte energetiche accumulate (es. tessuto adiposo), sono assai meno efficaci. In genere, il sistema riconosce assai meglio anche semplici “diminuzioni” dell’abbondanza, che tende ad interpretare in modo paradosso, di nuovo attivando segnali di ricerca di cibo. 4. Non stupisce quindi, che questa disponibilità, quantitativamente abbondante di cibi ad alta densità calorica, e l’inattività fisica, variamente correlate anche a ragioni ambientali e psicologiche, fanno sì che il bilancio energetico si disequilibri, oggigiorno, molto spesso verso l’accumulo e l’aumento di peso e /o di obesità. Questo spiega a livello di popolazione (almeno in quelle occidentali), l’aumento e l’ampia diffusione ormai, dei casi di obesità. Lo studio dei segnali e delle regolazioni oressizzanti e anoressizzanti è particolarmente intenso in questi tempi, e mira ad intervenire dal punto di vista educativo, comportamentale, igienico, psicologico ed eventualmente farmacologico per la cura del sovrappeso grave e dell’obesità. In questo quadro, la prevenzione si può fare con una corretta alimentazione che tenga conto della conoscenza di alcuni dei principali fenomeni sopra descritti e con la raccomandazione di un adeguato livello di attività fisica. Quest’ultima infatti si è dimostrata capace di stabilizzare una perdita di peso ottenuta con la dieta, nonché di mantenere più efficiente il sistema di regolazione energetico e metabolico. In conclusione: l’individuo vuole dimagrire o, per converso, essendo sottopeso vuole ingrassare. Di fatto, l’uno e l’altro individuo, entrambi incontreranno straordinarie difficoltà ad ottenere l’uno o l’altro dei risultati, in quanto si attivano 99 una serie di meccanismi, interni e potentissimi, che tengono a “mantenerci stabili” sull’uno o sull’altro versante. Per contrapposto, la scrupolosa e costante osservanza di alcune fondamentali regole alimentari, nonché uno stile di vita indirizzato ad un congruo equilibrio fra attività e riposo, ed infine un’adeguata attività fisica, possono consentire all’individuo di stabilizzare il peso corporeo in termini decisamente fisiologici, riducendo il rischio di una lunga serie di patologie metaboliche, cardiovascolari e molte altre, anche fortemente invalidanti e certamente causa primaria di morte nel mondo occidentale. 100 Bibliografia • Ahima R et coll. – Neuroendocrine regulation of appetite and energy balance. 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