UNIVE RSIT A’ DEGL I STUDI DI CAGLIARI
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE MOTORIE
TESI DI LAUREA
“IPOTALAMO E BILANCIO ENERGETICO”
Relatore
Professor Gian - Luca FERRI
Candidato
Carlo CANCELLIERI
Anno Accademico 2007-2008
INDICE
Introduzione
1
Il bilancio energetico
1.1. Fattori che influenzano l’assunzione del cibo
1.2. Omeostasi
1.2.1. Apporto calorico dei nutrienti
1.2.2. Dispendio energetico
1.3. Tessuto adiposo
1.3.1. Tessuto adiposo bianco
1.3.2. Tessuto adiposo bruno
1.4. Muscoli
2. Aree Coinvolte nella stimolazione e utilizzo di nutrienti.
2.1. Anatomia del Sistema Nervoso Centrale e Periferico
2.2. Organizzazione Sistema Nervoso Autonomo (Vegetativo)
2.2.1. Sistema Nervoso Simpatico
2.2.2. Sistema Nervoso Parasimpatico
2.2.3. Sistema nervoso Enterico
2.2.4. Mediatori
2.3. Ipotalamo
2.3.1. Connessioni dell’ipotalamo
2.3.2. Funzioni dell’ipotalamo
2.3.3. Ipotalamo e sistema limbico
2.3.4. Mediatori ipotalamici oressigeni dell’alimentazione
2.3.5. Mediatori ipotalamici anoressigeni dell’alimentazione
2.4. Regolazione endocrina e rilasci ormonali sull’assunzione del cibo
2.5. Ipofisi
2.6. Surrene
2.7. Tiroide
2.7.1. Ormoni tiroidei e metabolismo
2.8. Leptina
1
3. Apparato digerente
3.1. Assorbimento degli alimenti
3.2. Vasi sanguigni
3.2.1. Linfatici
3.3. Innervazione
3.4. Esofago
3.5. Stomaco e suoi ormoni
3.6. Intestino e suoi ormoni
3.7. Pancreas e suoi ormoni
3.7.1. Pancreas esocrino
3.8. Fegato
3.8.1. Vasi sanguigni
3.8.2. Innervazione
4.
Cenni sulle sindromi metaboliche
6.
Attività fisica e perdita di peso
Conclusioni
Bibliografia
2
A mia Moglie Valentina, per la pazienza e l’amore che ha avuto nel
sostenermi anche nei momenti difficili, ai miei figli, mia Madre, i familiari, i
colleghi di lavoro, in particolare Stefano, e tutti gli amici..
Un particolare ringraziamento al Professor Gian - Luca FERRI, fonte
inesauribile di Scienza, oltre ad avermi guidato nella stesura di questa tesi, è
sempre stato un punto di riferimento nell’intero percorso accademico, trovando
in Lui un Maestro di studi e di vita.
3
Introduzione
Nei paesi occidentali, durante l’ultimo secolo, l’aumentata disponibilità di cibo,
con ripetuti spuntini durante l’arco della giornata, nonché una condotta di vita più
sedentaria, con conseguente riduzione del consumo energetico, ha portato con
frequenza a un forte sbilanciamento dell’equilibrio energetico per aumento
dell’introito energetico e riduzione del consumo. Inoltre la vita moderna, non più
dipendente dal percorso del sole, modifica i naturali ritmi alimentari/lavorativi e di
riposo. Questi non sono più guidati dal naturale alternarsi luce/buio, di
conseguenza l’ambiente percepito dal cervello è divenuto metabolicamente “piatto
e aritmico”, cioè non ha più una cadenza sincronizzata sul ciclo luce/buio. Dal
punto di vista evolutivo, questa è “una modificazione ambientale improvvisa”. In
queste condizioni, il cervello è suscettibile a mutamenti, fino a perdere il suo
ritmo interno e/o quello con gli eventi ambientali.
Il cervello, infatti, utilizza il Sistema Nervoso Autonomo per cercare di
implementare la ritmicità interna (intesa come quella capacità di essere già pronti
a funzionare per quel particolare evento che deve ancora avvenire), in coerente
rapporto con gli eventi esterni ciclici.
S'ipotizza che questo disequilibrio e questa disfunzionalità del ritmo possano
costituire un momento importante nello sviluppo di patologie correlate come la
“SINDROME METABOLICA” nel suo senso più esteso. Questo tipo di patologia,
rappresenta la nuova attuale “epidemia” dei paesi industrializzati, ed è in
tumultuosa crescita. Ad essa si correlano obesità viscerale, diabete di tipo 2,
malattie cardiovascolari, e quello stato d'aumentato rischio comune a molte
dislipidemie, la cui eziologia non è ancora completamente individuata.
L’evoluzione ha dotato i vertebrati di potenti strumenti, economici ed efficaci, per
evitare che variazioni esterne creino un problema all’organismo. In particolare,
pensiamo ai meccanismi ritmici (questi sono degli strumenti di cui l’evoluzione ha
dotato i vertebrati), che lo predispongono a rispondere a variazioni prevedibili,
per esempio la disponibilità o no di cibo, l’arrivo di una temperatura più elevata o
per contrapposto, l’arrivo dell’inverno: per esempio, in alcune specie si evita che
la nascita della prole avvenga in momenti sfavorevoli per la sopravivenza dei
piccoli. Tali meccanismi sono fondati sulla sincronizzazione fra ciclo di attività e
riposo, in rapporto all’alternanza giorno e notte, ovvero estate inverno, ovvero
4
primavera/estate: fondamentale che l’organismo possieda un orologio biologico
per poter lavorare in modo ciclico.
Sono soprattutto il sistema nervoso autonomo e i circuiti neuro endocrini che
servono a mantenere
L’individuo,
l’armonia tra l’ambiente interno e quello
per funzionare,
deve adattarsi
esterno.
a richieste che cambiano
continuamente (ad esempio richieste d'energia per svolgere l’attività fisica, o per
mantenere stabile la temperatura corporea): ciò ovviamente riducendo il più
possibile il costo degli aggiustamenti da compiere volta per volta. Per intervenire
ai fini di questo equilibrio omeostatico, il cervello inteso come Sistema Nervoso
Centrale, ha due modalità di comunicazione: ormoni, da un lato, neuroni e vie
nervose, dall’ altro.
Gli ormoni si diffondono in tutto l’organismo: la loro specificità è attuata dai
recettori, localizzati in appositi tessuti e cellule bersaglio, che si attivano solo alla
presenza di quello specifico ormone.
I neuroni e le vie nervose portano il messaggio direttamente a destinazione, in sedi
ben precise e localizzate, così come portano informazioni al sistema nervoso
centrale e ai sistemi integrativi nell‘organismo dalla periferia.
Questa rete molteplice di comunicazione coordina le transizioni dell’organismo
dai periodi d'inattività a quelli di attività di tipo locomotorio, o alimentare, o
quant’altro, ad esempio in stati di alterazione, quali febbre o fenomeni
infiammatori.
In particolare il Sistema Nervoso Autonomo o Viscerale comanda gli organi
tramite due branche essenzialmente antagoniste: il Simpatico, che predomina nel
periodo attivo, e il Parasimpatico, che predomina durante il periodo d'inattività,
riposo e digestione.
Obiettivo di questa tesi è focalizzare l’attenzione sullo stato dell’Arte nel campo,
tramite l’analisi dei percorsi Anatomici, del controllo e del bilanciamento
energetico, quindi le risposte che l’organismo attiva a livello ormonale, in risposta
agli stimoli variabili dell’attività quotidiana.
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1. IL BILANCIO ENERGETICO
Per bilancio energetico s'intende la differenza fra l’energia introdotta con gli
alimenti e l’energia consumata. Quando queste componenti sono equivalenti non
si ha aumento del peso corporeo. In accordo con i principi della termodinamica, in
particolare dalla prima legge, espressa con la semplice equazione; in un sistema
chiuso: Energia introdotta – Energia utilizzata = Energia accumulata.
In generale, il bilancio energetico è influenzato e/o regolato a livelli molteplici:
oltre che da fattori psicologici e culturali che possono alterare l’equilibrio
energetico in senso sia positivo che negativo (bulimia da ansia, anoressia in alcuni
soggetti depressi), certamente diversi ormoni e vie di regolazione neuronale sono
importanti per determinarlo, questi non sono alternativi, ma sono due livelli
diversi per guardare questo fenomeno, è pressoché ovvio che fattori psicologici
agiranno per attivare specifiche vie nervose.
Fattori “volontari” nella bilancia energetica e quindi apparentemente semplici da
modificare, ma in realtà tutt’altro che facili da ottenere sono: l’assunzione di cibo
e l’attività fisica.
1.1 Fattori che influenzano l’ assunzione di cibo.
L’assunzione del cibo è regolata a livello Ipotalamico, in risposta a una
moltitudine di segnali di varia origine, che innescano le ben note “sensazioni” di:
-
Fame, intesa come bisogno di cibo.
-
Appetito, quale desiderio di un particolare cibo.
-
Pienezza, fine del bisogno di assunzione di cibo.
-
Sazietà, mancanza della fame. Sensazione prolungata, che
determina l’intervallo fra un pasto e l’altro.
Il controllo dell’assunzione alimentare opera in base ad una complessa rete di
segnali raccolti a livello periferico (tessuto adiposo, intestino, stomaco, fegato),
elaborati a livello ipotalamico, ed integrati a livello corticale, che si traducono in
atteggiamenti e comportamenti indirizzati all’assunzione o non assunzione di cibo.
L’ipotalamo fra le sue funzioni, ha quella di vigilare sul centro della fame e sul
centro della sazietà, in modo che essi lavorino in accordo tra loro ed in modo
complessivamente utile all'organismo. Questo centro, non ben definito dal punto
di vista anatomico, è definito "adipostato" ( si parlerà nel paragrafo 1.3).
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1.2. Omeostasi
L’ Omeostasi corporea mantiene costanti le condizioni chimico - fisiche interne
anche al variare delle condizioni esterne. Essa si estende a molteplici componenti
tra cui l’equilibrio idrico, quello salino, il mantenimento della glicemia, e altro.
Dal punto di vista energetico, l’omeostasi dipende dall’equilibrio fra l’apporto
calorico e il dispendio energetico operato dall’organismo, incluso l’accumulo di
energia in forma di deposito.
1.2.1. L’apporto dei nutrienti
I nutrienti contenuti negli alimenti, siano essi aminoacidi, sali minerali, vitamine,
grassi o zuccheri, non sono mai totalmente utilizzati dall’organismo per le sue
attività di mantenimento ed accrescimento. Solo una percentuale del contenuto
totale
viene
utilizzata
dall’organismo,
tale
percentuale
è
denominata
“biodisponibilità”, il quale indica la quantità di nutriente (rispetto al contenuto
totale nell’alimento) che viene assorbita e veicolata nel sito d’azione, dove si
rende disponibile per svolgere specifiche funzioni.
L’apporto calorico è invece ottenuto dall’introito alimentare, esprimendo il valore
energetico degli alimenti in calorie. Nel metabolismo energetico si usa
generalmente la grande caloria o kilocaloria (kCal) o il kilojoule (kJ).
In linea di massima, il fabbisogno calorico giornaliero per un individuo adulto che
svolge attività lavorativa e/o attività fisica moderata è stimabile in circa 2.4002600 calorie giornaliere, ripartite fra carboidrati, proteine , lipidi.
Le componenti alimentari sono distinte in macronutrienti, micronutrienti e fibre.
I macronutrienti sono:
-
I carboidrati detti anche glucidi, servono soprattutto a fornire energia; i
carboidrati contenuti negli alimenti, possono essere monosaccaridi o polisaccaridi.
Questi ultimi, attraverso i processi digestivi, vengono scissi in piccole molecole di
zucchero; a livello intestinale queste molecole vengono assorbiti, ossia passano
nel sangue portale, il quale le trasporta al fegato. I glicidi che vengono in modo
regolato dimessi dal fegato, potranno arrivare alle altri parti dell’organismo, tra cui
i muscoli.
L’origine dei carboidrati è di solito vegetale. I cibi più noti che li contengono
sono il pane, la pasta, il riso, le patate, i legumi e la frutta. Il loro valore energetico
è di 3,75 kcal per grammo.
7
-
Le proteine (4 kcal per grammo), sono costituite da catene di molecole
elementari, gli aminoacidi, legate le une alle altre. La digestione rompe questi
legami in modo da consentire l’assorbimento di peptoni e frammenti più piccoli a
livello intestinale e conseguente passaggio nel sangue portale e quindi periferico.
Gli aminoacidi così assorbiti servono fondamentalmente per costruire le nostre
proprie molecole proteiche. I muscoli, ad esempio, sono costituiti se si eccettua
l’acqua, soprattutto da proteine legate al meccanismo di contrazione. Le proteine
vengono fabbricate utilizzando gli aminoacidi che provengono dagli alimenti e si
può affermare che tutte le proteine dell’organismo vengano continuamente
rinnovate e riparate. Per questo motivo l’individuo necessita quotidianamente di
assunzione proteica dagli alimenti per rendere costante questo lavoro di
“manutenzione”.
L’origine delle proteine può essere sia animale che vegetale: vengono però
considerate nutritivamente “migliori” quelle di origine animale, per il fatto che
contengono i diversi aminoacidi in proporzioni più simili a quelle che servono
all’organismo per produrre le proteine. Gli aminoacidi si differenziano fra loro in
una ventina di tipi diversi, fra i quali è utile menzionare l’aminoacido tirosina:
esso infatti, è sede di modificazione (tironina) e iodinazione per la biosintesi degli
ormoni tiroidei, ovvero, funge da precursore delle catecolamine (dopamina,
noradrenalina e adrenalina). Le carni, i formaggi e il latte hanno notevoli contenuti
proteici. Sono anche i legumi anche se in percentuale di contenuto proteico
minore.
-
I lipidi (9,3 kcal per grammo), sono composti insolubili in acqua. Quasi
tutti i lipidi presenti nel corpo umano e utilizzati come fonte energetica sono
derivati dagli acidi grassi e costituiti da lunghe catene idrocarburiche.
I lipidi servono soprattutto a fornire energia, rappresentando la sorgente più
concentrata (calorie per grammo) a differenza dei carboidrati e delle proteine.
La loro origine è sia d'origine vegetale, come ad esempio gli oli, che di origine
animale, come ad esempio il burro e lo strutto. Le problematiche derivanti
dall’accumulo eccessivo del grasso sono legate oltre che all’aumentato peso
corporeo, a patologie correlate nelle sindromi metaboliche.
Per citare alcuni esempi: le prostaglandine svolgono funzioni simili a quelle degli
ormoni, dal punto di vista chimico, sono acidi grassi, solubili nella componente
lipidica del corpo umano. Si trovano in particolare nella prostata e nel liquido
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seminale, ma, sia pure a concentrazioni diverse, sono localizzate nella maggior
parte dei tessuti. La mielina che è una guaina che circonda la maggior parte delle
fibre nervose, permettendo la trasmissione dell’impulso nervoso all’interno del
nostro corpo è composta per circa il 70% da lipidi.
I lipidi si dividono in tre classi principali:
1. Lipidi di riserva, quali ad esempio i trigliceridi
I Trigliceridi
Composti da 3 acidi grassi
legati
con
estere
ossidrilico
un
al
legame
gruppo
di
una
molecola di glicerolo.
Tramite l’esterificazione, che è una reazione di condensazione che libera acqua, si
forma il trigliceride quale classico lipide di riserva, quando poi gli acidi grassi
verranno utilizzati nel metabolismo, questo subirà una reazione, inversa, di
idrolisi, che libererà i tre acidi grassi e il glicerolo, il quale verranno immessi in
circolo assorbiti dalle cellule e metabolizzati in siti e metabolismi diversi. Per
esempio il sito metabolico e la via metabolica dove viene metabolizzato l’acido
grasso, è la matrice mitocondriale e la β ossidazione. Il glicerolo invece è sito nel
citoplasma, entra nella seconda fase della glicolisi, essendo una molecola a tre
atomi di carbonio e il glucosio a sei atomi di carbonio, nella prima fase avviene
l’attivazione, nella seconda fase entrano due spezzoni a tre atomi di carbonio, il
glicerolo viene ossidato, passa nella seconda fase della glicolisi e poi segue il suo
percorso.
Nel digiuno prolungato l’apporto del glicerolo diventa importante: esso viene
utilizzato nella gluconeogenesi epatica. Questo è un processo metabolico
mediante il quale, in caso di necessità dovuta ad una carenza di glucosio nel flusso
ematico, un composto non glucidico viene convertito in glucosio, seguendo
sostanzialmente le tappe inverse delle glicolisi. Si può così produrre glucosio a
partire oltre che dal glicerolo anche dal piruvato, dal lattato, e dagli aminoacidi.
2. Lipidi di membrana, quali i fosfolipidi e sfingolipidi
3.lipidi steroidei, come il colesterolo, che è anche precursore di tutti gli altri
steroli e steroidi. Anche gli ormoni sessuali originano dai lipidi steroidei
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I Microutrienti:
-
Le vitamine: sono molecole che l’organismo non è in grado di fabbricarsi
da solo; esse devono essere assunte già pronte; hanno funzioni diverse e possono
essere distinte in: idrosolubili (solubili in acqua), quali: B1, B2, B6, B12, C, acido
folico, H, e liposolubili (solubili nei lipidi), quali: A, D, E, K. La carenza di
vitamine porta a diverse malattie, quali ad esempio lo scorbuto per mancanza di
vitamina “C” o il rachitismo in mancanza di vitamina “D”.
-
Le fibre: sono sostanze che si trovano nei cibi d'origine vegetale. Esse non
sono digerite dal momento che nel nostro tubo digerente non esistono enzimi
capaci di assimilarle; attraversano quindi tutto l’intestino come tali e vengono
eliminate con le feci. Sono importantissime per combattere la stitichezza.
-
i minerali: essi sono indispensabili per una moltitudine di funzioni
dell’organismo, e svolgono tre funzioni principali:
1. Provvedono alla struttura e alla formazione di ossa e denti.
2. Dal punto di vista funzionale aiutano a mantenere il normale ritmo cardiaco, la
contrazione muscolare, la conduzione nervosa, e il bilancio acido – base nel corpo.
3. Regolano il metabolismo delle cellule, diventando parte di enzimi e ormoni che
modulano l’attività cellulare.
Per citare alcuni minerali:
lo iodio, quale costituente degli ormoni tiroidei, accumulato nella tiroide stessa, è
presente in alimenti quali: pesci, uova, sale marino e molte verdure.
Il sodio, il potassio e il cloruro, sono nel complesso chiamati elettroliti, si trovano
nel corpo sotto forma di particelle cariche elettricamente (ioni). Il sodio e il cloro
rappresentano i minerali principali presenti nel plasma sanguigno e nei fluidi
extracellulari. Gli elettroliti modulano lo scambio di fluidi tra i vari comparti del
corpo, permettendo un ben regolato scambio di sostanze nutrienti e di rifiuto tra la
cellula e l’ambiente esterno. Mentre il sodio è presente nel sale comune, il cloro fa
parte di alcuni cibi contenenti sale, sia in alcuni vegetali e la frutta. La funzione
più importante degli ioni sodio e potassio riguarda il loro ruolo nello stabilire il
giusto gradiente elettrico attraverso le membrane cellulari. La differenza dal punto
di vista elettrico tra l’interno della cellula e il suo esterno, permette, ad esempio, la
trasmissione degli impulsi nervosi, la stimolazione e l’azione dei muscoli ed anche
il giusto funzionamento delle ghiandole. Inoltre, gli elettroliti regolano le proprietà
acido-base dei fluidi corporei, in particolare del sangue.
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Il calcio è il minerale che si trova più abbondantemente nel corpo dove si combina
con il fosforo per formare ossa e denti. Nella forma ionizzata, il calcio svolge
azione importante nell’attività muscolare, nella coagulazione sanguigna, nella
trasmissione degli impulsi nervosi, nell’attivazione di numerosi enzimi, nella
sintesi del calcitriolo (forma attiva della vitamina D), e nel trasporto di fluidi
attraverso le membrane cellulari. Negli alimenti, il calcio si trova prevalentemente
nel latte e i suoi derivati e nei legumi secchi.
Il magnesio è contenuto in circa 300 enzimi coinvolti nella regolazione dei
processi metabolici. Esso stesso, svolge un ruolo importante nel metabolismo del
glucosio, nella sintesi delle proteine e dei lipidi e contribuisce a al buon
funzionamento dell’apparato neuromuscolare. Insieme ai già citati sodio e
potassio, il magnesio agisce anch’esso come elottrolita, partecipando al
mantenimento della pressione sanguigna. Negli alimenti esso si trova nei vegetali
a foglia verde, nei legumi e nei cereali interi.
Minerali da citare sono inoltre il ferro, lo zolfo, il rame, ed altri.
1.2.2. Il dispendio energetico
Esso ha più componenti:
-
Metabolismo Basale (MB): è il quantitativo energetico necessario per
svolgere le attività vitali di base a riposo, in assenza di sforzi fisici, digestivi o
emozionali, mantenendo la temperatura corporea a 37°C. Ciò in una situazione
isotermica (senza variazioni di temperatura), ovvero con temperatura ambiente
tale che non c’è bisogno di spendere energia né per scaldare né per raffreddare
l’organismo.
-
Esigenze energetiche maggiori a quelle basali che richiedono utilizzo di
energia per combattere le malattie, ad esempio la febbre. Oppure, energia spesa
per mantenere la temperatura corporea costante adattandola alle variazioni
climatiche, se fa caldo o fa freddo, il consumo cambia, inoltre il bisogno
energetico per fare attività fisica.
-
Termogenesi
indotta
dalla
dieta:
quantitativo
energetico
speso
in risposta all’assunzione degli alimenti (secrezione, biosintesi, assorbimento).
Varia per la quantità e la qualità degli alimenti con il loro potere dinamico
specifico, durante la digestione gli alimenti in quanto tali, possono essi stessi
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liberare energia, inoltre, c’è anche la quota non assorbibile, per esempio la
cellulosa.
Bilancia energetica – fame e sazietà
Peso
costante
Dieta ad alta densità
energetica
Inattività fisica
Bilancia energetica
Ricerca del
cibo adeguata
fame
sazietà
Dieta a basso
contenuto calorico
Attività fisica
X Eccesso
calorico
Inadeguato stimolo
di sazietà
Stimolo
adeguato
Deficit
energetico
Ricerca eccessiva
di cibo
Aumento
di peso
fig. 1.Schema rappresentativo del bilancio energetico
1.3. Tessuto adiposo.
L’eccedenza fra energia introdotta ed non utilizzata si raccoglie e si accumula in
tessuto adiposo.
Il tessuto adiposo è oggetto di particolare studio come conseguenza dell’emergere
dell’ obesità come un serio problema sanitario. In anni recenti è risultato chiaro
che l’adipocita (cellula), svolge importanti ruoli di segnalazione e regolazione
energetica e metabolica.
L‘Adipocita o cellula adiposa, è l’unita morfo - funzionale del tessuto adiposo.
Conoscerlo è cruciale per capire la fisiopatologia dell’obesità e delle malattie
metaboliche.
Per secoli, esso fu solo oggetto di invidia di coloro che cibo poco né avevano. Il
tessuto adiposo è stato considerato solo come sede d' accumulo di energia. In
contrapposizione ad una storia secolare in cui la ricchezza di adipociti costituiva
un fattore determinante per la sopravvivenza, l’aumento dell’obesità negli ultimi
30 anni ha contribuito a rendergli un’immagine negativa, soprattutto presso i
media. Le due decadi scorse, tuttavia, hanno visto un’onda di interesse scientifico
verso queste cellule, alimentata in parte dalle preoccupazioni circa l’obesità stessa
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e le relative conseguenze metaboliche, ed in parte dal riconoscimento che gli
adipociti hanno un importante ruolo nei processi omeostatici. Infatti, essi risultano
coinvolti nel controllo alimentare, nella risposta immunitaria, nel controllo della
pressione sanguigna, nella regolazione della massa ossea, nell’emostasi, nella
funzione riproduttiva e nella regolazione della
tiroide (se c’è poca energia
disponibile, la leptina è bassa, la tiroide si spegne).
Questi ultimi processi sono regolati principalmente attraverso la sintesi ed il
rilascio di ormoni peptidici dagli adipociti. Gli adipociti liberano peraltro nella
circolazione acidi grassi, i quali sono usati come combustibile dalla maggior parte
degli organi, quando le riserve di “glicogeno” ed epatico e/o muscolare stanno
calando e quindi la glicemia tende a scendere.
Anche se la maggior parte degli organismi multicellulari hanno cellule che
accumulano energia eccedente, gli adipociti si sono evoluti per rispondere a questo
bisogno, sin dai tempi dei primi vertebrati. I mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli
anfibi e alcuni tipi di pesci hanno cellule identificabili come adipociti, anche se la
disposizione anatomica del tessuto grasso varia considerevolmente fra le specie.
Ci sono parecchi depositi distinti all’interno delle strutture e cavità del corpo:
alcuni depositi adiposi circondano ad esempio il cuore e altri organi: alcuni di
questi sono noti come deposito di grasso viscerale, in particolare in rapporto con
l’intestino.
L’aumentare della massa di tessuto adiposo si correla clinicamente ad un aumento
di frequenza di rischio per alcune malattie, quali l’obesità, il diabete di tipo II e
malattie cardiovascolari .
Il tessuto adiposo, tra l’altro, sintetizza e libera l’ormone leptina. La leptina è una
piccola proteina che si sposta attraverso il sangue fino a penetrare nel sistema
nervoso centrale, grazie ad un apposito sistema di trasporto attraverso la barriera
ematoencefalica: qui agisce sui recettori presenti in diversi neuroni dell’ipotalamo
per spegnere la fame, indurre la sazietà e dare il consenso funzionale ad altri
meccanismi neuroendocrini. (vedi 2.8)
Come già accennato in precedenza, l’ipotalamo svolge un compito di controllo
alimentare, vigilando sul centro della fame e sul centro della sazietà, in modo che
essi lavorino in accordo tra loro ed in modo complessivamente utile all'organismo.
Questo centro è definito adipostato, il quale agirebbe stimolando il centro della
fame e/o inibendo quello della sazietà, a seconda che le riserve di grasso
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diminuiscano o viceversa aumentino, in modo da far sì che il peso corporeo
rimanga costante nel tempo. L’adipostato agisce in base a stimoli che provengono
dalla periferia, per esempio lo stomaco o lo stesso tessuto adiposo, ed è in grado di
distinguere anche tra un certo tipo di alimenti e altri, ragion per cui può stimolare
in modo differenziato la ricerca di carboidrati o di proteine. L’adipostato non solo
regola i cicli brevi, cioè l’alternarsi di fame e sazietà, ma anche cicli più lunghi e,
in pratica, tende a mantenere la stabilità dell’organismo attorno a un certo peso
(setpoint): di fronte a una drastica riduzione del cibo, per esempio, può ridurre il
consumo di energia.
1.3.1. Tessuto adiposo bianco
Il suo ruolo principale è quello di accumulare gli acidi grassi sotto forma di
trigliceridi, ma anche di secernere alcune sostanze ad azione ormonale (leptina).
La cellula si presenta occupata quasi totalmente occupata da un vacuolo lipidico
(LV), in cui sono accumulati
i trigliceridi, mentre gli altri organi cellulari,
Mitocondri (M) e il Nucleo (N) si presentano schiacciati nella periferia della
cellula, queste cellule sono poco vascolarizzate ed innervate.
Fig. 2. Tessuto adiposo bianco bruno
1.3.2. Tessuto adiposo bruno
Nei mammiferi, il suo ruolo principale è di essere cellula metabolicamente attiva,
cioè in grado di produrre calore. Il nucleo si trova centralmente, mentre il resto
della cellula è occupata da piccoli vacuoli lipidici e mitocondri. Nelle membrane
mitocondriali è presente l’UCP1, una proteina disaccoppiante, in grado di
disperdere in calore l’energia ottenuta dall’ ossidazione degli acidi grassi presenti.
In altre parole è responsabile della produzione di calore. Per contrapposto, altri
tessuti, in particolare il muscolo contengono un’altra proteina diversa e
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disaccoppiante: l’UCP3. L’attività muscolare di tipo endurance tende a farla
diminuire, aumentando l’efficienza energetica del lavoro muscolare.
In generale le proteine disaccoppianti sfruttano il flusso di protoni che tornano
sulla matrice mitocondirale per produrre calore, l’energia viene dissipata sotto
questa forma. Il grasso bruno è particolarmente rappresentato alla nascita ma poi
tende a diminuire con l’età in quanto viene sostituito da quello bianco.
La cellula adiposa bruna è particolarmente innervata dal sistema nervoso
autonomo simpatico e almeno secondo alcuni anche nel parasimpatico:
dall’ipotalamo si va nel tronco encefalico, dove abitano i neuroni premotori,
questi proiettano al midollo spinale, nel il tratto toraco – lombare, (colonna
intermedio - laterale), ai neuroni pregangliari, infine questi proiettano ai gangli
para o pre - vertebrali, fanno sinapsi con i neuroni dei gangli, e da qui i neuroni
postgangliari, arrivano al grasso bruno, per stimolarne rispettivamente l’attività
termogenica (produzione di calore), e la sua diffusione nel corpo.
Tra i neuroni premotori, parrebbero essere separati quelli che proiettano al cuore,
determinando la risposta cardio acceleratoria, da quelli che danno termogenesi nel
tessuto adiposo bruno, come sopra.
Fig. 3.Rilascio adipociti
L’adipocita rilascia ormoni, fra cui la leptina (vedi 2.8), la resistina, quale
inibitore dell’azione dell’insulina (vedi 3.7), e l’adinopectina, che incrementa il
consumo di lipidi e modula l’effetto dell’insulina (vedi cap. 4).
1.4. Muscoli
Il muscoli sono gli elementi attivi dei movimenti del corpo. Sono detti volontari in
quanto generalmente possono essere contratti con la volontà; somatici in quanto si
stratificano sullo scheletro fino a formare il soma.
Per ogni singolo muscolo è importante sapere dove origina, dove si inserisce e la
sua azione, sapendo che è composto da una parte carnosa rossa, contrattile,
propriamente detta “ventre muscolare”, dalle estremità tendinee che si inseriscono
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sui punti ossei. Invece quando il tendine diventa largo e piatto prende il nome di
aponeurosi, come ad esempio i muscoli larghi dell’addome.
I muscoli somatici sono avvolti da guaine connettivali fibrose, biancastre,
semitrasparenti dette fasce muscolari.
Un muscolo si contrae, si accorcia in una direzione diventando più spesso e più
largo, comunque cambiando di forma ma lasciando inalterato il suo volume.
Inoltre, il muscolo stesso si contrae perché al suo interno c’è una serie molto
organizzata di molecole le quali usano sostanze chimiche che scorrono le une sulle
altre. Particolari meccanismi, consentono a
queste molecole, che per ogni
muscolo sono migliaia, di disporsi in maniera parallela ma non coincidenti, per cui
al momento dell’impulso contrattile, entra precipitosamente Ca++ (calcio ione),
dentro le cellule: il suo livello infatti è normalmente stabile fuori cellula e molto
basso dentro le cellule, il quale determina l’apertura di appositi fori che fanno
entrare il calcio stesso, scatenando lo scorrimento di molecole e il loro successivo
accorciamento. Le numerose molecole che consentono lo scorrimento, sono
organizzate con delle “striature” sulla lunghezza, perpendicolari alla larghezza del
muscolo.
Nella muscolatura “liscia” invece, le molecole in causa non sono in questo modo
organizzate, bensì sono disposte in maniera meno ordinata. La contrazione è più
lenta anche se avviene per una estensione maggiore e può essere sostenuta per
lunghi periodi.
La muscolatura liscia è quella che riveste gli organi interni come l’intestino,
l’utero, la vescica ed i vasi sanguigni e né permette la contrazione e/o la
regolazione, esso resta al di fuori del controllo volontario, anche se in alcuni casi
può rispondere a informazioni ed situazioni coscienti, come ad esempio la pelle
d’oca.
Anche il “muscolo cardiaco”, che circonda le cavità del cuore, è un muscolo
striato: esso tuttavia è ben diverso da quello scheletrico, in quanto ha cellule più
piccole con singolo nucleo che si contraggono autonomamente. Il cuore infatti,
avvia il ciclo di contrazione in modo indipendente, ma il sistema nervoso è in
grado di modificando frequenza e potenza di contrazione.
Per contrapposto, i muscoli “striati scheletrici”, sono comandati dal sistema
nervoso somatico tramite particolari neuroni, il cui corpo cellulare si trova nella
parte anteriore del midollo spinale, oppure nei nuclei motori del tronco encefalico,
16
detti motoneuroni. Essi mandano il loro assone fuori, fino a prendere contatto con
ciascuna fibrocellula dello specifico muscolo per comandarne la contrazione.
La muscolatura striata scheletrica ha cellule particolarmente grandi con numerosi
nuclei (sincizi), quello che importa sapere è che ognuna di queste riceve la
connessione dalla fibra di comando che la fa funzionare. Questa giunzione si
chiama placca neuromuscolare: in essa giunge il prolungamento del
motoneurone che si giustappone ad un’area specializzata della membrana della
cellula muscolare: la membrana dell’uno si avvicina assai alla membrana
dell’altro, lasciando tuttavia una piccola fessura: la fessura giunzionale , simile a
quella delle sinapsi nervose. Quando il comando nervoso è sufficientemente
intenso, la terminazione assonale libera il neurotrasmettitore chimico acetilcolina
(ACh), la quale attraversa lo spazio giunzionale, si lega al recettore sulla
membrana del muscolo, innescando l’apertura dei canali del calcio, quindi dando
inizio alla contrazione muscolare.
I muscoli striati scheletrici sono pressoché tutti volontari. Restano comunque
pochissime eccezioni relative a muscoli comunque innervati da apposite placche
neuromuscolari: il primo tratto dell’esofago è uno di questi: finita la deglutizione,
esso fa passare il cibo attraverso il torace in direzione dell’addome. Un altro
esempio sono due muscoli striati dell’orecchio medio, precisamente del martello e
della staffa, hanno le loro placche , ma non sono sotto il controllo volontario.
17
2. AREE COINVOLTE NELLA STIMOLAZIONE
ALIMENTARE
La
regolazione
dell’assunzione
alimentare e il relativo controllo si
fondono
in una complessa rete di
segnali che raccolgono informazioni
dalla
periferia
(tessuto
adiposo,
stomaco, fegato), vengono elaborati
nell’ ipotalamo ed integrati a livello
corticale,
per
poi
tradursi
in
atteggiamenti atti alla ricerca ed
assunzione del cibo, oppure per
opposto alla non assunzione del cibo.
Fig. 4 Aree ipotalamiche della stimolazione alimentare
Fig. 4a. Rilasci ormonali periferici
18
2.1 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE E PERIFERICO
Fig. 5.Sistema nervoso centrale
Fig. 6.Sistema nervoso centrale e periferico
Pur essendo essenzialmente continuo, il Sistema Nervoso, è opportunamente
diviso in varie parti, regioni e sistemi.
19
L’insieme del cervello o encefalo e del midollo spinale costituisce il Sistema
Nervoso Centrale o Nevrasse. Da esso si staccano 12 paia di nervi cranici e 31
paia di nervi spinali, che fanno parte del Sistema Nervoso Periferico. Quest’ultimo
comprende non solo le ramificazioni dei predetti nervi, ma anche l’insieme dei
nervi viscerali
o splancnici, anch’essi collegati al Sistema nervoso centrale
tramite nervi cranici e spinali. Questi ultimi adempiono, dunque,
funzioni
sensitive e motorie, sia somatiche, che viscerali. La suddivisione in parti centrali e
periferiche fondamentalmente funzionale nell’ organizzazione della parte
periferica, consta di vie nervose di collegamento indiretto tra recettori ed effettori,
gli uni e gli altri siti perifericamente anch’essi, tramite la complessa
intermediazione del nevrasse.
Le proprietà peculiari del sistema nervoso centrale, che pur contiene anche i tratti
terminali e, rispettivamente, iniziali delle vie afferenti ed efferenti, per la restante,
più lunga, porzione periferica accolte nei nervi, risiedono nelle complesse
connessioni tra neuroni, grazie alle quali possono insorgere adeguati tipi di
risposta agli stimoli dell’ ambiente esterno e di quello interno. Questa
intermediazione tra flusso in arrivo di differenti tipi d’informazioni e il flusso in
uscita d’adeguati insiemi di “istruzioni” per gli effettori, è anche il substrato
specifico di funzioni nervose quali coscienza, memoria, apprendimento; ciascuna
di tali funzioni si manifesta secondo un grado che dipende dallo sviluppo dell’
apparato centrale stesso: cioè, in generale, progressivamente crescente lungo le
linee dell’ evoluzione, soprattutto quella che in definitiva ha fatto capo alla specie
umana.
I neuroni rappresentano il substrato cellulare attraverso cui il sistema nervoso
compie le sue funzioni. Da un punto di vista funzionale i neuroni possono essere
suddivisi in: sensitivi, motori o effettori ed interneuroni. Per svolgere la loro
funzione utilizzano neurotrasmettitori eccitatori o inibitori. I neuroni sensitivi
pseudounipolari a T sono siti al di fuori del sistema nervoso centrale e si
raggruppano per costituire i gangli sensitivi cerebrospinali. La complessità dei
circuiti nervosi è dovuta, in larga parte, alla presenza di un elevato numero di
interneuroni eccitatori e inibitori. Le informazioni salgono attraverso vie
ascendenti sensitive; a livello encefalico avviene l’elaborazione “superiore” delle
informazioni ricevute, indi le risposte ritornano verso la periferia attraverso le vie
discendenti motrici (somatiche e viscerali).
20
Fig. 7.Rappresentazione del neurone
L’encefalo o cervello , contenuto per intero nella cavità cranica, viene suddiviso
in regioni, su una base morfo – funzionale. A partire dal midollo spinale verso
l’alto troviamo:
1. Romboencefalo o encefalo posteriore comprendente in una parte
inferiore, il mielencefalo, o bulbo o midollo allungato; una
superiore, il metencefalo che consta, del ponte e dorsalmente del
cervelletto.
2. Mesencefalo o encefalo medio.
3. Prosencefalo o encefalo anteriore, che viene suddiviso nel
diencefalo o encefalo intermedio, che è la porzione centrale di
collegamento dell’encefalo anteriore con il medio, di cui fanno
parte, fra l’altro, il talamo e l’ipotalamo e il telencefalo,
comprendente i 2 cosiddetti “emisferi” cerebrali, connessi da
un’ampia regione di sostanza bianca, il corpo calloso.
Bulbo, ponte e mesencefalo costituiscono il Tronco encefalico ( brain stem), che
collega il prosencefalo con il midollo spinale.
Il midollo spinale occupa circa i 2/3 superiori del canale vertebrale nell’adulto e si
continua nel bulbo: il piano di separazione, del tutto virtuale, è subito sotto il
livello del grande forame occipitale. Il primo paio di nervi spinali emerge dal
midollo spinale immediatamente sotto il suo inizio.
21
1 Romboencefalo = Mielencefalo
3 Prosencefalo =
e
Diencefalo
Metencefalo
e
2 Mesencefalo
Telencefalo
Fig.8. Suddivisone su base morfo-funzionale delle regioni encefaliche
Il Sistema nervoso periferico comprende i nervi cranici, spinali e viscerali e i
gangli ad esso associati, insieme alle loro guaine di connettivo. E’ quindi costituito
dal sistema dei nervi cerebrospinali, e dal sistema viscerale periferico o
autonomo. Le fibre efferenti somatiche del primo (fig.A), vanno senza
interrompersi, dal corpo dei motoneuroni di origine, situati nel sistema nervoso
centrale, sino agli effettori, i muscoli. Le fibre efferenti viscerali o autonome
(fig.B), formano un’ultima sinapsi in gangli posti fuori dal nevrasse, (istituendo
sinapsi) su neuroni postgangliari i cui assoni vanno infine ad innervare cellule
muscolari lisce e ghiandole.
Fig. 9 Fibre efferenti somatiche e viscerali
22
Pertanto le vie efferenti viscerali comprendono due tipi di neuroni motori e loro
assoni, quelli pregangliari e quelli postgangliari.
Le fibre afferenti sensitive sono organizzate all’incirca nella stessa maniera in
entrambi i sistemi. somatico e viscerale. Esse transitano nei nervi cerebrospinali e
nel sistema nervoso viscerale periferico. Le fibre sensitive viscerali di primo
ordine si servono dei nervi cranici o spinali per entrare nel nevrasse, così come le
fibre efferenti viscerali pregangliari si servono dei nervi cerebrospinali per uscire
dal nevrasse stesso.
L’intero sistema nervoso viscerale o autonomo è diviso in ortosimpatico e
parasimpatico.
Le fibre efferenti ortosimpatiche pregangliari traggono origine da una parte della
sostanza grigia del midollo spinale, limitatamente ai segmenti compresi tra il
primo toracico e il secondo o talora il terzo lombare.
Invece, le fibre efferenti parasimpatiche pregangliari emergono soltanto con alcuni
nervi cranici e con il 2°, 3° e 4° nervo spinale sacrale.
Questi due gruppi di neuroni effettori viscerali sono in genere designati come
sistema effettore rispettivamente,
encefalo-sacrale
o (parasimpatico) e
toracolombare o (ortosimpatico).
Fig.
10.
Rappresentazione
sul
piano
trasversale del midollo spinale e dell’ origine
del Sistema nervoso periferico
La parte ventrale o anteriore è efferente
motoria (in uscita). La parte dorsale
o
posteriore è afferente sensitiva (in ingresso).
Nel
ganglio
abitano
i
motoneuroni
pseudounipolari a T sensitivi.
23
2.2 Organizzazione del sistema nervoso autonomo, viscerale o vegetativo
Fig.11. Sistema nervoso autonomo
Il sistema nervoso autonomo è distribuito dovunque in tutto il sistema nervoso
centrale, iniziando dall’ipotalamo, a mano a mano scendendo e innervando i suoi
bersagli: il miocardio, i vasi sanguiferi, la muscolatura liscia, ossa, la cute,
l’occhio, i vasi dei muscoli, ghiandole; quindi esso controlla gli organi viscerali.
Le vie efferenti viscerali differiscono da quelle somatiche in quanto presentano
un’interruzione sinaptica sita fuori dal sistema nervoso centrale, essendo il
collegamento tra questo e l’organo effettore viscerale stabilito da una catena di
almeno due neuroni (vedi sopra).
24
I neuroni postgangliari sono più numerosi ed un neurone pregangliare può formare
sinapsi con 15-20 neuroni postgangliari, il che comporta un ampia diffusione di
molte risposte viscerali. Si ritiene che la sproporzione numerica tra neuroni pre e
postgangliari sia, maggiore nel settore simpatico del sistema nervoso viscerale che
in quello parasimpatico (un indagine sul ganglio cervicale superiore sarebbe
emerso un rapporto di 1 a 196 tra fibre pregangliari e postgangliari. (Ebbeson
1968).
2.2.1. Sistema nervoso Simpatico o Ortosimpatico
Come si diceva, le fibre efferenti pregangliari del simpatico, emergono dal
nevrasse con i nervi spinali toracici e lombari superiori, formando la sezione
efferente toracolombare.
I
corpi
dei
postgangliari
risiedono
gangli
neuroni
simpatici
in
genere
nei
delle
catene
del
simpatico, in posizione paravertebrale o pre-vertebrale.
Essi sono posti più vicino al
midollo spinale che agli
organi
effettori
innervati
dagli assoni postgangliari.
Il simpatico è la sezione più
estesa del sistema nervoso
Fig. 12Sistema nervoso Simpatico.
viscerale, comprende i due tronchi del simpatico, provvisti di gangli paravertebrali e pre-vertebrali, i loro rami, plessi, e gangli sussidiari. Si distribuisce ad
un territorio assai più esteso di quello del parasimpatico: innerva infatti le
ghiandole sudoripare e i muscoli erettori dei peli di tutta la cute, la muscolatura di
tutti i vasi sanguiferi, il cuore, la trachea, i bronchi, i polmoni , l’esofago, i visceri
addominali e pelvici, gli organi dell’ apparato urogenitale, il muscolo dilatatore
della pupilla, componenti muscolari della palpebra, e varie altre formazioni.
L’attivazione del simpatico provoca, ad esempio, costrizione generalizzata delle
arterie cutanee (cui consegue aumento del flusso sanguigno nel cuore, nei muscoli
25
e nell’encefalo), accelerazione della frequenza cardiaca, aumento della pressione
arteriosa, contrazione degli sfinteri e diminuzione della peristalsi intestinale, effetti
che servono per adeguarsi a situazioni che richiedono necessariamente energia: il
simpatico va infatti incontro ad un’attivazione di massa in condizioni che
richiedono risposte rapide nelle quali, quindi, è necessario risparmiare energia
dove possibile ed usarla per svolgere azioni di movimento, fuga, di lotta ed altro.
2.2.2. Sistema nervoso Parasimpatico
Le fibre efferenti pregangliari
del
parasimpatico
abbandonano
il
Sistema
nervoso centrale decorrendo in
alcuni nervi cranici, o in nervi
spinali sacrali, costituendo la
sezione
efferente
encefalosacrale.
Le
fibre
parasimpatiche
pregangliari sono “mieliniche”
e
si
trovano
nel
nervo
oculomotore, nel faciale, nel
glossofaringeo, nel vago e nel
secondo, terzo e quarto nervo sacrale.
Fig. 13. Sistema nervoso parasimpatico
Fanno parte del parasimpatico encefalico quattro piccoli gangli periferici; il
ganglio ciliare, pterigopalatino, sottomandibolare e otico. Questi sono sede
esclusivamente di origine di fibre “effettrici”, a differenza dei gangli del
trigemino, faciale, glossofaringeo e vago che sono tutti “sensitivi”. Nel ganglio
simpatico e parasimpatico arriva il pregangliare , sinapsi e postgangliare .
Le fibre parasimpatiche postgangliari sono in genere “amieliniche” e più brevi
delle corrispondenti simpatiche, poiché i loro gangli d’ origine sono posti vicino o
in seno ai visceri che innervano.
Le attivazioni in genere discrete e localizzate di componenti parasimpatiche
determinano, ad esempio, il rallentamento della frequenza cardiaca o l’aumento
della secrezione e della peristalsi dell’ intestino o un aumento di flusso sanguigno
26
alle ghiandole salivari e relativo incremento della secrezione di saliva (ad esempio
l’acquolina); effetti che si possono considerare variamente finalizzati, alla
assunzione e/o conservazione dell’ energia nell’ organismo.
2.2.3.Sistema nervoso enterico.
Nell’apparato digerente una grande quantità di neuroni raggruppati in piccoli
gangli localizzati nelle tonache dei visceri cavi e del parenchima dei visceri pieni,
insieme alle loro fibre formano il sistema nervoso enterico costituito dal plesso
sottomucoso(di Meissner) e dal plesso mioenterico (di Auerbach) posto tra le due
tonache muscolari. (vedi anche 3.3.)
Fig. 14 Sistema nervoso enterico
2.2.4. Mediatori
Gli
impulsi
convogliati
lungo
le
fibre
nervose
pre
e
postgangliari
“parasimpatiche”, nonché le fibre efferenti somatiche (motoneuroni), giunte alla
terminazione di queste, determinano la liberazione di acetilcolina, ancorché in
sede di giunzioni ben diverse: sinapsi nei gangli, giunzioni neuro-effettrici
viscerali, ovvero, infine, placca motrice, rispettivamente. Per contrapposto, il
27
principale mediatore “classico” che si libera dalle terminazioni delle fibre
postgangliari simpatiche può essere acetilcolina (ghiandole sudoripare), oppure
norepinefrina (detta anche noradrenalina), in molteplici altre sedi
Incidentalmente, epinefrina detta anche adrenalina, si riscontra solo nella
midollare del surrene, o in alcuni neuroni centrali.
Fig. 16. Mediatori
Negli ultimi tre decenni, numerose altre sostanze, quali altre catecolamine,
aminoacidi e numerosi peptidi si sono dimostrati importati mediatori nel sistema
nervoso centrale e periferico in tutte le sue diverse parti.
Parecchi di tali mediatori, specie peptidici saranno menzionati nell’ ipotalamo.
28
Fig. 17 . Schema delle vie efferenti del sistema nervoso viscerale( Meyer e Gottlieb). Le fibre
parasimpatiche sono indicate con linee blu, quelle simpatiche con linee rosse; le linee rosse
tratteggiate indicano fibre postgangliari per i nervi encefalici e spinali.
29
2.3. IPOTALAMO
a
b
c
Fig. 18 a-b- c- Ipotalamo e suddivisione in nuclei
Il diencefalo è una formazione impari mediana con due metà simmetriche. Al
centro del diencefalo entrambe le pareti del 3° ventricolo sono percorse da un
solco, il solco ipotalamico, che si estende dall’ acquedotto cerebrale sino al foro
interventricolare e segna un limite, in ciascuna metà del Diencefalo, tra una parte
dorsale e una parte ventrale.
La parte Dorsale è costituita dal Talamo, dal Metatalamo e dall’Epitalamo.
La parte Ventrale comprende l’ Ipotalamo e l’Epitalamo.
L’Ipotalamo si estende dalla lamina terminale fino ad un piano verticale posto
subito dietro i corpi mammillari, e dal solco ipotalamico alla superficie del
pavimento del terzo ventricolo.
Lateralmente all’ipotalamo si trovano la parte anteriore del subtalamo, la capsula
interna e il tratto ottico. Posteriormente è in diretta continuazione con il tegmento
del mesencefalo, dorsalmente si trovano i vari nuclei del talamo, anteriormente
la lamina terminale e la commessura anteriore separano l’area pre-ottica dal setto
precommessurale, che rappresenta la continuazione della banderella diagonale di
Broca nel giro paraterminale, dinanzi al quale si trova il lobo para olfattivo. Questi
30
confini topografci sono arbitrari, e molti di essi sono attraversati da sistemi di fibre
funzionalmente continui.
L’ipotalamo può essere suddiviso in tre parti, che si susseguono in direzione
antero posteriore o se ne può fare una suddivisione longitudinale, da entrambi i
lati, in due parti, laterale e mediale, separate fra loro da un piano sagittale
paramediano che passa, in ciascun antimero (divisione mediante un asse sagittale
mediano), per la colonna del fornice, il fascio mammillo - talamico e il fascicolo
retroflesso.
Peraltro è possibile suddividere la parte mediale in una parte paraventricolare,
sottile, ed una parte intermedia (o mediale) più spessa:
-
La parte paraventricolare è la parte più mediale, essa è costituita da una
parte del nucleo preottico, da un piccolo nucleo sopra-chiasmatico, dal
voluminoso nucleo paraventricolare (PVN), dal nucleo infundibulare o arcuato
(ARC) , e dal nucleo posteriore.
La parte intermedia o mediale è costituita da una parte del nucleo preottico, il
nucleo anteriore, dal nucleo dorsomediale (DMH), dal nucleo ventromediale
(VMH), da piccoli nuclei premammillari.
-
La parte laterale comprende la parte del nucleo preottico , il nucleo
sovra-ottico, il nucleo laterale (LH), il nucleo tubero mammillare, i nuclei
tuberali mammillari.
I corpi neuronali, gli
assoni e i terminali nervosi
dell’ intera regione
preottico ipotalamica
contengono non meno di
20- 25 sostanze che,
dimostratamene o
probabilmente, agiscono
sulle comunicazioni
interneuronali, ad
esempio fungendo da
neurotrasmettitori e/o neuromodulatori.
Fig. 19. Connessione ipotalamo ipofisi
31
Ciascuna delle quali è stata mappata, cioè né è stata studiata la distribuzione
dettagliata in gruppi neuronali e relative vie di connessione.
2.3.1 Connessioni dell‘Ipotalamo
I sistemi di fibre Afferenti all’ ipotalamo comprendono vie sensitive ascendenti
viscerali e somatiche, vie olfattive, e numerosi fasci provenienti dal mesencefalo,
dallo stesso diencefalo, da altre formazioni “limbiche” e dalla neo corteccia.Ad un
gruppo di formazioni telencefaliche, molte delle quali un tempo si ritenevano
associate principalmente con le funzioni olfattive, è stato successivamente
riconosciuto
un significato più ampio; esse sono descritte complessivamente
come “sistema limbico”. L’ipotalamo stesso, con altre formazioni diencefaliche e
con alcune formazioni tronco encefaliche (foto sotto), viene spesso compreso nel
“sistema limbico”.
Diencefalo
Ponte
Midollo allungato
3° ventricolo
Fig. 20 Tronco encefalico
Vie Efferenti dall’ipotalamo si portano, a molti di questi centri, creando così
un’interconnessione bidirezionale, ma in particolare, vie efferenti di controllo
raggiungono i centri pre-motori (che sono quelli che a loro volta proiettano ai
neuroni pre-gangliari del terz’ultimo neurone della via efferente simpatica e
parasimpatica) del sistema nervoso viscerale, che a loro volta proietteranno ai
neuroni pregangliari.
32
Tronco encefalico
In
azzurro
si
evidenziano i neuroni
pre-motori
Fig. 21. In azzurro si evidenziano i neuroni pre-motori. Essi sono in interconnessione con i
neuroni pre-gangliari del SNC, il quale creano sinapsi con i neuroni effettori post-gangliari
che vanno poi ad innervare gli organi effettori viscerali.
Dal tronco encefalico, segue fino al midollo toracico, dalle radici anteriori escono
i motoneuroni che vanno alla placca, c’è la colonna intermediolaterale, i neuroni
33
che stanno in alcune regioni del simpatico, mandano l’assone a scendere e a fare
sinapsi. I neuroni premotori del simpatico sono ad esempio: i “terz’ultimi” delle
vie che aumentano il metabolismo del tessuto adiposo bruno, o la frequenza
cardiaca.
I neuroni pregangliari del simpatico escono lateralmente e con la radice anteriore
che contiene anche gli assoni dei motoneuroni esce lateralmente.
Gli assoni pregangliari vanno dentro al ganglio fanno sinapsi, corpo cellulare ,ci
segue il neurone post-gangliare, fino all’organo bersaglio.
Inoltre l’ipotalamo controlla i cicli secretori dell’ Ipofisi, e tramite quest’ultima,
gran parte del sistema endocrino dell‘organismo.
Nell’insieme, quindi, le differenti parti dell’ ipotalamo stabiliscono connessioni
dirette e nelle due direzioni con varie aree fra cui:
- alcuni nuclei talamici
- aree olfattive anteriori
- corteccia cerebrale prefrontale
- ipofisi
- retina
- fibre afferenti da nuclei della formazione reticolare del bulbo e del
ponte.
- vari distretti periferici, anche per via “ormonale”.
2.3.2. Funzioni dell’ Ipotalamo
Da lungo tempo lesioni dell’ipotalamo sono state correlate con estese e eterogenee
sindromi endocrine, e inoltre con turbe metaboliche,comportamentali (obesità,
anoressia), viscerali: si è supposto che tali patologie siano causate dalla
interruzione di vie di controllo per tali “funzioni”, vie che, per quanto indipendenti
fra loro, sono strutturalmente associate all’ ipotalamo. Però, sebbene le funzioni
endocrine ipofisarie siano ampiamente emerse (Cushing 1912 ), le correlazioni tra
ipofisi e sistema nervoso sono state dimostrate più recentemente (Harris 1955),
dando vita ad una nuova disciplina: la “neuro – endocrinologia” (Sharrer 1963 e
vari), perfezionando la veduta che l’ipotalamo funzioni da “ganglio cefalico” del
sistema nervoso viscerale (Sherrington 1947). Le indagini hanno dimostrato che
l’ipotalamo esercita un controllo sul sistema endocrino e sui centri viscerali
34
inferiori, ma che , anche, a sua volta, è sotto il controllo di canali d’informazioni
afferenti nervose e vascolari, che lo collegano, strettamente, sotto l’aspetto sia
anatomico che funzionale, con i centri più alti del sistema nervoso, comprendenti
un complesso di formazioni incluse nel sistema limbico e le aree prefrontali della
corteccia cerebrale.
Lo studio sui sistemi nervosi, ha evidenziato per l’ipotalamo un ruolo
particolarmente importante come sistema di controllo omeostatici che tende alla
conservazione e adattamento dell’individuo (e della specie) in un ambiente che
tende a cambiare continuamente.
Nei mammiferi, la corteccia prefrontale, il sistema limbico, l’ipotalamo, la parte
caudale del tronco encefalico ed il midollo spinale vengono tutti considerati come
componenti di una gerarchia di centri di controllo in tali regolazioni omeostatiche.
Più perifericamente operano sistema nervoso viscerale e numerose componenti
endocrine e neuroendocrine, che agiscono verso gli effettori, ovvero come branca
afferente neuroendocrina.
Sui compiti funzionali dell‘ipotalamo e sugli aspetti neuro endocrini è stato fatto
ed è in corso, un enorme lavoro di ricerca. La sperimentazione su animali ha
messo in luce tra le sue attività le seguenti:
A)
Controllo endocrino
Viene esercitato mediante la produzione di fattori “releasing” (liberatori), e di
fattori “release- inhibiting”(inibenti)
la liberazione di ormoni ipofisari, che
influiscono sulla sintesi e liberazione da parte dell’ Adeno-Ipofisi, degli ormoni
tireotropo (TSH), corticotropo (ACTH), somatotropo (GH), follicolo stimolante
(FSH), luteinizzante (LH), prolattina. Alcuni di questi ormoni ipofisari agiscono
in modo diretto su cellule bersaglio di vari tessuti, mentre altri esplicano i loro
effetti tramite un secondo organo endocrino loro bersaglio, ad esempio, la tiroide,
la corticale del surrene, o la gonade.
Impulsi
nervosi,
che
convergono
sull’ipotalamo
e
sono
ivi
integrati
(Nieuwenhhuis 1985), modulano la produzione di tutti i fattori suddetti; questi, a
loro volta, modificano l’attività dell’ipofisi e/o di altre ghiandole endocrine, e
tramite queste, quella dei rispettivi tessuti bersaglio.
35
B)
Effetti generali sul sistema viscerale
Per lungo tempo è stato supposto che le regioni anteriori dell’ipotalamo
intervengano nell’attività parasimpatica generale, le posteriori su quella
ortosimpatica.
Per quanto questi due differenti settori ipotalamici esercitino effetti in prevalenza
dell’uno o dell’altro tipo, tra di essi vi sono sovrapposizioni e si stabiliscono
interazioni, e non si può perciò mantenere una rigida distinzione tra “centri”
parasimpatici e ortosimpatici. Comunque, la stimolazione e l’ablazione di parti
circoscritte dell’ipotalamo influiscono profondamente sul controllo delle funzioni
degli apparti: cardiovascolare, respiratorio e digerente, spesso provocando
notevoli modificazioni della frequenza e della gittata cardiaca, del tono
vasomotorio e delle resistenze periferiche, della regolazione della temperatura
corporea (da un lato regolando l’attività metabolica, dall’altro regolare la
distribuzione
del
sangue,
vasodilatazione,
flusso
e
meccanismi
di
termodispersione), della pressione sanguigna, del flusso differenziale del sangue
presso organi diversi, ed anche della frequenza e ampiezza delle escursioni
respiratorie del torace, della motilità e dell’attività secretoria dello stomaco e
intestinale.
C)
Regolazione della Temperatura corporea
In tutti gli animali “ omeotermi” vi è equilibrio fra produzione e dispersione del
calore corporeo, e l’ipotalamo assicura una regolazione centrale dei meccanismi di
termogenesi e anche di termodispersione. Nel caso si innalzi, la temperatura
corporea viene abbassata grazie alla vasodilatazione, in appositi distretti e
conseguentemente aumento del flusso sanguigno cutaneo, alla sudorazione,
all’accresciuta frequenza respiratoria, e alla riduzione di produzione di calore. Per
converso, un abbassamento della temperatura corporea induce fenomeni opposti,
accompagnati da brividi (specie nella febbre) e da un incremento di attività della
tiroide.
Le informazioni riguardanti la temperatura corporea giungono all’ipotalamo da
sensori periferici (termorecettori) per il caldo e per il freddo e da neuroni siti
nell’ipotalamo stesso, che rispondono a modificazioni della temperatura
sangue
circolante
nell’ipotalamo.
Altri
neuroni
ipotalamici
del
reagiscono
36
specificamente alla presenza nel sangue di virus, tossine, farmaci ecc., specie in
rapporto all’insorgenza di stati febbrili. Le informazioni convergono quindi su
regioni dell’ipotalamo che evocano adeguate risposte cardiovascolari e
vasomotorie, nonché endocrine per questioni metaboliche di esigenza di energia
per fare calore e muscolari.
D)
Regolazione dell’assunzione di cibo e acqua
Dati sperimentali ( Anand e Brobeck 1951) dimostrano che nella parte mediale e
laterale dell’ipotalamo esistono regioni ad azione antagonista: l’ablazione della
parte mediale provocava iperfagia, assunzione smodata di cibo, con conseguente
obesità, mentre l’ablazione laterale provocava “ipofagia” con anoressia da
digiuno. Viceversa la stimolazione della parte mediale dell’ipotalamo riduce
l’assunzione di cibo, la quale è invece aumentata e prolungata dopo la
stimolazione laterale. Di conseguenza è stato proposto che esista un “centro della
fame ” o dell’alimentazione, situato lateralmente, controbilanciato da un “ centro
della sazietà “ posto medialmente. Correlato con questo sistema, esiste nella parte
laterale ipotalamica un “centro della sete“ o del bere, che regola l’assunzione
dell’acqua.
La
stimolazione
sperimentale
di
questa
regione,
induce
immediatamente l’animale ad assumere acqua.
E)
Comportamento sessuale e riproduzione
L’ ipotalamo, regolando sintesi e liberazione degli ormoni gonadotropi da parte
dell’adeno ipofisi, controlla molti aspetti della fisiologia della riproduzione, che
comprende la gametogenesi, le modificazioni cicliche degli organi riproduttivi
femminili (ciclo ovario e uterino), e a cascata lo sviluppo e il mantenimento dei
caratteri sessuali secondari.
Per quanto le “pulsioni” elementari della fame, sete, sessualità, si possano
considerare dipendenti, in parte, dall’integrità dell’ipotalamo, tuttavia per la loro
completa integrazione in comportamenti motivati e complessi sono indispensabili
collegamenti reciproci fra ipotalamo e la parte sovrastante del “sistema limbico”.
Tali comportamenti comprendono nell’animale la ricerca ed ottenimento del cibo
e dell’acqua, il corteggiamento di una partner sessuale, accoppiamento e
riproduzione, allevamento della prole ecc.
37
F)
Ritmi biologici
Nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo del ratto sarebbe localizzato un
oscillatore endogeno circadiano, la cui ritmicità è la prima responsabile dei cicli
circadiani dell’animale.
Il nucleo soprachiasmatico è la sede del clock centrale. Questo funziona grazie a
una cascata di geni e loro prodotti che interagiscono fra loro: tale complesso
sistema viene quindi ”regolato” e “trascinato” dall’ambiente. Di tutti i ritmi della
natura, il più evidente è certamente l'ininterrotto avvicendarsi del giorno e della
notte, fattore fondamentale per la funzione e “scopo” del clock centrale. Tali
fenomeni ritmici siano di base endogeni, sono mantenuti da una sorta di orologio
interno. Piante ed animali, da epoche remote, si sono adattati ai ritmi presenti
nell’ambiente, quali luce-buio, stagioni (acqua-aridità, caldo-freddo, disponibilità
di prede-scarsità), ecc. Perché le piante possano vivere, le loro foglie devono
schiudersi al Sole, e di notte devono ripiegarsi. Gli animali predatori che cacciano
o si alimentano di giorno, di notte riposano o riducono la loro attività; il contrario
avviene se sì procurano il nutrimento la notte. In realtà, sebbene il ritmo
giornaliero (circadiano) sembra riflettersi esclusivamente nell'alternarsi del riposo
e dell'attività, esso si manifesta con moltissimi cambiamenti non sempre evidenti.
Il nostro ambiente organico interno (composto di fluidi e relativi flussi tra cellule e
tessuti),mantiene nel tempo l'identità di una miriade di componenti, con un'alterna
ed intricata rete di stimolazioni e inibizioni, azioni e retroazioni: una minima
variazione comporta un'immediata risposta. Sembrerebbe dunque sorprendente
l'idea che i fenomeni biologici abbiano un andamento non uniforme nel tempo.
Eppure, omeostasi e bioperiodicità non solo, sono compatibili, ma sono uno
strumento dell’altro. La periodicità serve per prevedere, quali saranno, quelle
importanti modificazioni che devierebbero dall’omeostasi, per prepararci a quel
particolare evento che deve avvenire e compensare nel modo più efficiente.
Potremmo dire che i processi che regolano l'omeostasi operano “prevedendo” la
ritmicità degli eventi ambientali e le loro conseguenze sull’organismo. I ritmi
biologici, seguono - in prima approssimazione - una curva sinusoidale, ossia una
doppia curva che cresce fino ad un massimo (acrofase) e poi scende fino ad un
minimo, variando intorno ad un valore mediano che si chiama mesor. La doppia
curva crescente, decrescente, poi nuovamente crescente e decrescente si completa
38
in un periodo di tempo ben definito e caratteristico che può essere: un giorno
(ritmi circadiani), una settimana (ritmi circasettani), e così via. In particolare, il
ritmo circadiano, (dalle parole latine "circa" e "dies", "ciclo di quasi un giorno") è
l’elemento fondamentale di quello che potremmo chiamare "orologio biologico".
Gli esempi più evidenti di cicli regolati da
tale "orologio", sono la variazione della
temperatura corporea durante il giorno,
l'apertura e la chiusura di certi fiori
rispettivamente all'alba e al tramonto.
Molti tessuti ed organi presentano
variazioni funzionali cicliche, con una
periodicità nelle ventiquattro ore.
fig. 22. Ritmi biologici nelle 24 ore
Le fluttuazioni della temperatura corporea, dei livelli di concentrazione di
numerosi costituenti del plasma sanguigno, dell’attività secretoria del cortico surrene, dei meccanismi di secrezione e assorbimento a livello renale ecc. Poiché
alcuni di questi fenomeni hanno periodi approssimativamente coincidenti con
quelli di altri fenomeni ciclici ambientali, quali l'alternarsi giorno-notte, è logico
attendersi che ci siano dei vantaggi nel ciclare in questo modo. Come la sveglia
posta sul comodino continua ad andare avanti anche se la stanza è al buio, così il
nostro clock centrale continua a “battere il tempo” essendosi sincronizzato in
precedenza rispetto all’ambiente. Certamente i susseguirsi dei giorni, mantengono
sincronizzati l’orologio, ma non si desincronizza in seguito ad una semplice
variazione, l’orologio continua a marciare perché il suo scopo è quello di
prevedere l’arrivo della luce. In alcuni casi il ritmo è, in parte, una proprietà
dell’organo o del tessuto stesso, ma in molti altri l’ipotalamo esercita un controllo
generale. Lesioni anche limitate all’ipotalamo possono causare gravi perturbazioni
di bioritmi, mentre lesioni di altri settori del sistema nervoso centrale spesso li
lasciano inalterati. In molte specie il nucleo soprachiasmatico svolgerebbe la
funzione di “pace maker “ nervoso: un orologio biologico, la cui ciclica attività
intrinseca si sincronizza con le variazioni di luminosità dell’ambiente, nonché
eventualmente, con il rapporto ore di luce, ore di buio.
Fibre efferenti dal nucleo soprachiasmatico sono state tracciate fino ai nuclei
ventromediale, dorsomediale e arcuato dell’ipotalamo: ciò induce a ritenere che su
tali nuclei
sia esercitato un controllo da parte del “pace maker” nervoso
39
circadiano, che a sua volta utilizza le informazioni sensoriali per adeguarsi
all’ambiente, ciò è chiamato entrainment o trascinamento. Sulla base del clock
centrale si regoleranno i clock presenti in numerosi organi e tessuti
dell’organismo.
Ad esempio i ritmi biologici sono coinvolti anche nella stimolazione alimentare,
come tutti sappiamo.
Negli anni '70, un gruppo di lavoro (F. Halberg) dimostrò che fornendo ai ratti un
solo pasto all'inizio del loro periodo diurno (equivale ad un nostro tardo pasto
serale, in quanto il ratto è attivo durante il buio) la maggior parte muore, mentre
alimentandoli allo stesso modo, ma all'inizio del periodo di buio, la maggior parte
sopravvive. Dunque una corretta alimentazione non è solo costituita da ciò che
mangiamo, ma anche da quando mangiamo e beviamo. Il nostro organismo ed in
particolare il fegato, seguendo un determinato ritmo metabolico, nelle ore serali
favorisce la glicogenesi (fabbrica carboidrati), mentre al mattino favorisce la
glicolisi (brucia gli zuccheri). Tutti sappiamo che man mano che ci allontaniamo
dal pasto, e il digiuno si prolunga, una serie di segnali e sensazioni ci ricordano
che un nuovo pasto è atteso e in qualche misura ci fanno cogliere che alcuni
organi, ad esempio, lo stomaco o le ghiandole salivari (tramite l’acquolina),
aumentano le proprie secrezioni, preparandosi all’arrivo di tale pasto. Mentre da
un lato è l’ormone leptina, in calo nella sua secrezione dal tessuto adiposo, che
consente l’innesco della sensazione della fame, tuttavia sono altrettanto importanti
le previsioni fondate sul clock, che innescano altra parte di questi meccanismi
preparatori, all’ora giusta in rapporto al pasto previsto. Una serie di fenomeni
dipendono dal clock, ma la leptina non dipende dal clock, ma dall’allontanarsi del
pasto.
F)
Emozioni: paura, rabbia, avversione, piacere, gratificazione
Lo stato emotivo di un individuo consta di due elementi principali: il contenuto
soggettivo dell’ emozione , o tono affettivo, e le manifestazioni fisiche oggettive,
somatiche e viscerali, che insieme costituiscono l’espressione dell’emozione. Per
l’integrazione completa di questi due aspetti degli stati emotivi, nel corso di
modificazioni dell’ambiente interno ed esterno e mentre si esplicano tali attività
cerebrali, è essenziale l’integrità anatomica e funzionale di alcune formazioni
nervose: l’ipotalamo, il rimanente sistema limbico e la corteccia prefrontale.
40
Alcuni dati fondamentali si sono ottenuti, negli animali da esperimento, mediante
stimolazione o ablazione di parti circoscritte dell’ipotalamo e “nell’uomo” grazie a
osservazioni in rapporto ad interventi neuro chirurgici. Speciale rilievo è stato dato
all’esistenza di “centri”che determinano effetti sostanzialmente antitetici (i
cosiddetti centri di gratificazione positiva e negativa. La stimolazione dei primi
provoca sensazioni piacevoli (centri del piacere): in adeguate condizioni
sperimentali, un animale autostimolerà ripetutamente il suo ipotalamo fino
all’ esaurimento, trascurando di mangiare e bere persino dopo prolungati periodi
di privazione. La stimolazione dei centri di gratificazione negativa provoca
presumibilmente dolore o comunque “sensazioni spiacevoli“, e l‘animale da
esperimento compie complessi sforzi per evitare il ripetersi della stimolazione.
2.3.3.L'ipotalamo e il sistema limbico
L’ipotalamo e il sistema limbico con il quale esso è funzionalmente e
strutturalmente collegato, presiedono a quei meccanismi vitali che hanno lo scopo
di mantenere costanti le condizioni dell'ambiente interno (omeostasi) e di
provvedere alla conservazione dell'individuo e della specie, esercitando quindi
anche un controllo sulle sue emozioni, motivazioni, incluse quelle in direzione
riproduttiva e sulla sessualità: regolazione del sistema nervoso autonomo e
dell'apparato endocrino, della temperatura corporea, del ciclo sonno/veglia, della
frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, dell'osmolarità del sangue,
dell'assunzione di cibo e acqua, della secrezione, acida dello stomaco, del
metabolismo dei glicidi e dei grassi, delle emozioni e delle funzioni sessuali. Il
sistema limbico comprende: la circonvoluzione del cingolo, la circonvoluzione
paraippocampica e la formazione ippocampica. In particolare l’ippocampo e' di
grande rilievo in rapporto con la memoria e l'apprendimento da un lato, e del
controllo delle funzioni viscerali dall’altro, attraverso le sue connessioni con
l’ipotalamo, i cui neuroni proiettano ai neuroni effettori viscerali del sistema ortoe parasimpatico. L’amigdala è un complesso a forma di mandorla di circa 1cm di
diametro, le cui funzioni parrebbero associate a funzioni di natura emozionale,
attivandosi, infatti, in situazioni di stress o paura. L'ipotalamo grazie alle sue
connessioni con la neocorteccia, col sistema limbico, con la sostanza reticolare,
col sistema nervoso vegetativo e col sistema endocrino è considerato da molti
41
studiosi la struttura limite tra somatico e psichico, quella cioè in grado di
commutare il segnale psichico in chimico e viceversa. E' grazie all'ipotalamo che
gli aspetti mentali, emotivi e istintivi trovano espressione nel soma.
Fig. 23.Organizzazione dei principali nuclei ipotalamici
Fig. 24.Funzioni dei principali nuclei ipotlamici
42
2.3.4.Mediatori oressigeni dell’alimentazione.
Risulta quindi chiaro che in condizioni di bilancio energetico negativo (ridotta
alimentazione o digiuno) avviene una riduzione di livelli circolanti di fattori che
segnalano l’ingresso dei nutrienti (insulina e leptina), con una conseguente
risposta complessa a livello del sistema nervoso centrale che comporta un aumento
di mediatori oressigeni, di cui il più noto è il Neuropeptide Y( NPY). Oltre a
stimolare la ricerca e assunzione del cibo, inibisce l’attività nervosa simpatica,
evento che può contribuire alla riduzione del dispendio energetico che si osserva
durante il digiuno.
-
Tale Neuropeptide Tirosina o NPY, è sintetizzato, in particolare, nel nucleo
arcuato dell’ipotalamo, e sarebbe il più importante attivatore del consumo di
cibo,. Esso aumenta in risposta sia al digiuno che alla restrizione calorica,
controlla il bilancio energetico stimolando assunzione di cibo e inibendo la
termogenesi. Stimola inoltre la produzione di altri segnali oressigeni, quali le
endorfine. E’ coespresso con l’AgRP (Agouti related peptide), antagonista della
melanocortina (vedi oltre).
Per contrapposto, dopo il pasto, l’assunzione di cibo si correla ad aumentata
liberazione di leptina ed inibizione dei neuroni ad NPY ed AgRP e quindi
spegnimento della fame.
-
L’AgRP (Agouti - related peptide), è un peptide oressizzante, espresso e
presente in tutte le cellule nervose che contengono NPY nel nucleo arcuato
dell’ipotalamo. Come per l’NPY, la sintesi di AgRP è aumentata in presenza di
un deficit di leptina o durante il digiuno; al contrario viene inibita dal trattamento
con leptina. Rispetto all’NPY che rappresenta per potenza d’azione oressizzante il
primo termine di paragone, l’effetto dell’AgRP è minore, ma più prolungato.
-
MCH ( Melanin Concentrating Ormone). Sintetizzato nell’ipotalamo laterale,
in neuroni che proiettano a molte aree ipotalamiche, attiva il consumo di cibo,
rispondendo al digiuno indipendentemente dall’ NPY. La sua sintesi aumenta in
situazioni di restrizione energetica o in deficit di leptina. Inoltre la sua azione è
potenziata dall’ NPY e dagli endocannabinoidi.
-
Endocannabinoidi. Sono molecole di natura lipidica prodotte a partire da
fosfolipidi di membrana e coinvolte anche nella risposta dell’organismo allo
stress. Gli endocannabinoidi endogeni sembrano avere un ruolo nei processi che
43
amplificano la motivazione al consumo di cibo, aumentando il loro livello
gradualmente nell’intervallo tra i pasti, sino a raggiungere un livello critico
quando scatta la necessità di cibo. Il loro coinvolgimento nello sviluppo
dell’obesità, dimostrato nel ratto è stato anche chiarito, anche, nell’uomo
utilizzando cellule primarie umane.
Gli endocannabinoidi sono prodotti in aree ipotalamiche in sede non ancora ben
definita, dove i suoi recettori CB-1 sono ubiquitari. Questi stessi recettori sono
attivati da numerosi neuropeptidi, specie NPY e β endorfine, facilitano il consumo
di cibo, rispondendo al digiuno indipendentemente dall’ NPY. La loro azione è
potenziata dall’ NPY e dalle β endorfine e inibita dalla leptina.
L’osservazione sul fatto che l’uso della marijuana stimolava l’appetito nell’uomo,
era già noto molti secoli fa. Tuttavia le variazioni dell’appetito e l’andamento del
peso corporeo nei fumatori di marijuana è stato monitorato negli ultimi venti anni.
Un aumento del consumo di cibo e del peso corporeo è stato visto dopo fumo di
marijuana per un mese, peraltro rapidamente reversibile dopo aver cessato l’uso
della stessa. Somministrazioni esogene di cannabinoidi, aumenta il consumo di
cibo, con particolare riguardo ai dolci, suggerendo una selettività sui carboidrati.
Dati sperimentali ascrivono ai cannabinoidi un ruolo in situazioni di patologie
anoressiche e perdita di peso ed anche in alcune patologie neoplastiche e AIDS.
-
Le β endorfine, sono prodotte in molte aree cerebrali, ma soprattutto nel
nucleo paraventricolare. Facilitano il consumo di cibo, rispondendo al digiuno,
su stimolo dell’NPY e dell’AgRP. La loro azione potenzia quella degli
endocannabinoidi.
2.3.5. Mediatori anoressigeni dell’alimentazione
-
I CART (cocaine-anphetamine-regulated-transcript). E’ presente nel
nucleo arcuato e nel nucleo paraventricolare e dorsomediale dell’ipotalamo. Il
CART è capace di inibire l’assunzione di cibo. Insieme al POMC è localizzato in
una sottopopolazione di neuroni nel nucleo arcuato dell’ipotalamo, che si
distribuiscono all’ipotalamo laterale (LH), nel nucleo paraventricolare (PVN),
e nei neuroni simpatici pregangliari a livello del midollo spinale. Questi, come già
descritto, rispondono direttamente alla leptina e si può ipotizzare che possano
mediare l’effetto inibitorio della leptina sull’ingestione del cibo. Inoltre il CART è
co-localizzato con l’MCH nell'LH, suggerendo la modulazione da parte del CART
44
stesso sull’azione oressizzante dell’MCH. C’è da considerare inoltre che, la
maggior parte dei neuroni AgRP/NPY e POMC/CART esprimono il recettore
della leptina e che recettori per l’insulina sono presenti in maniera particolare nel
nucleo arcuato.
I neuroni AgRP /NPY vengono fortemente attivati quando sono bassi i livelli di
leptina lontano dal pasto. Mentre al contrario, nelle stesse condizioni, si spegne
l’attività dei neuroni POMC - CART nel nucleo arcuato (ARC) stesso. Tale nucleo
arcuato rappresenta perciò un’importante sede di traduzione dei segnali periferici
di nutrizione come la leptina e l’insulina in risposte neuronali complesse.
-
POMC (proopiomelanocortina). Esso è il precursore di molti peptidi e
neuropeptidi, tra i quali L’α MSH e l’ACTH. E’ espresso nel nucleo arcuato e
diversi dei suoi effetti sul bilancio energetico sembrano mediati dall’ α- MSH, che
esercita il suo effetto tramite i recettori della melanocortina. Rilevando l’mRNA
(messaggero) di POMC, di
conseguenza si identificano
neuroni in cui è presente l’α
MSH.
Nell’uomo è stato più volte
osservato
genetiche
che
del
alterazioni
recettore
MC4-R o del gene che codifica
fig. 25.Conversione del POMC ad ACTH e in altri
peptidi nella Adenoipofisi.
il POMC sono associate allo sviluppo di grande obesità. Pertanto, queste
osservazioni suggeriscono che la tonica stimolazione del recettore MC4-R può
normalmente contenere l’assunzione di cibo e il peso corporeo.
2.4.Sistema endocrino e rilasci ormonali sull’ assunzione del cibo
Quando parliamo di “Sistema Endocrino”, intendiamo dire che nell’ organismo c’è
un network funzionale, e i tessuti colloquiano fra di loro tramite ormoni. Certe
parti dell’organismo quali tiroide, ipofisi, paratiroidi, si dedicano più o meno
completamente a produrre e liberare ormoni. Gli ormoni sono molecole non
nutritive, quali peptidi, proteine, steroidi, aminoacidi, che utilizziamo non per fare
energia o mattoni costitutivi delle nostre strutture, bensì per trasmettere
45
informazioni e comandi. Essi sono attivi a concentrazioni basse o molto basse
(da10
-6
a 10
-15
), nel sangue in cui circolano. L’ormone viene liberato, va in
circolo, si diffonde più o meno ampiamente nell’ organismo, ma dipende per la
sua funzione dall’organo che “decide” di rispondere.
Quando si pensa a un meccanismo endocrino, infatti, non basta parlare del relativo
ormone
e
ghiandola
della
che
lo
produce, ma occorre
includere
l’organo/i
bersaglio/i, con le sue
cellule, i recettori per
detto ormone, ed i
meccanismi di risposta
che
l’interazione
ormone
–
recettori
innesca.
Fig. 26. Omeostasi del glucosio e azioni
coordinate degli
organi interessati
Ad esempio: l’omeostasi del glucosio richiede l’azione combinata di vari organi e
tessuti.
L’insulina liberata dal pancreas in risposta alla messa in circolo del glucosio dopo
l’assunzione del pasto, promuove la rimozione del glucosio dal plasma verso le
cellule epatiche, del tessuto adiposo e del muscolo, agendo tramite gli appositi
recettori e meccanismi associati.
Ghiandola
cellula che libera ormone
Tessuti che rispondono.
46
Fig. 27. I meccanismi d’interazione ormonale possono essere “endocrini” (via sangue su
cellule bersaglio lontane), “paracrini” (diretto su cellule bersaglio vicine), “autocrini” (su
propri recettori cellulari).
Gli ormoni possono essere idrosolubili o liposolubili.
-
Gli idrosolubili non attraversano le membrane cellulari, sulle quali, quindi,
devono trovarsi i recettori. Tali ormoni possono essere facilmente accumulati,
come ad esempio per l’ormone ipofisario antidiuretico (ADH), accumulato in
considerevoli quantità e pronto per essere liberato, dall’ipofisi posteriore.
Altri ormoni, liposolubili, sono ad esempio gli ormoni “steroidi” come il
testosterone. Essi non sono accumulabili, ma vengono controllati tramite
accensione e spegnimento della loro biosintesi. Appena prodotti, diffondono in
circolo e raggiungono tutte le cellule dell’organismo.
L’ormone, liberato da cellule apposite, va in circolo, come si diceva: a seconda di
dove quel sangue va, l’ormone si diffonderà immediatamente ad un ambito
ristretto o in tutto l’organismo.
2.5 Ipofisi
fig. 28.Ipofisi
fig. 29. Osso sfenoide e sella turcica (visione dall’alto).
La ghiandola pituitaria si presenta come un corpicciolo ellissoidale con diametro
trasversale di circa 12 mm e diametro antero - posteriore di circa 8mm. Abita
nella sella turcica dell’osso sfenoide. Essa si continua col peduncolo che è una
proiezione verso il basso, conica, con strutture che passano ed è in diretta
connessione con l’ipotalamo.
L’Ipofisi regola tante funzioni dell’organismo, anche attraverso altre ghiandole
endocrine:
47
ghiandola “A”
ghiandola “B”
bersaglio
Un altro aspetto è che quando pensiamo all’ipofisi è utile pensare a una parte del
cervello che “cresce verso il basso” perdendo la barriera ematoencefalica. In fasi
molto precoci dello sviluppo, una propaggine del cervello primordiale si avvicina
ad una propaggine della cavità orale primordiale(ciò che sta li vicino), per formare
una “via” principale di colloquio, fra il cervello e il resto dell’organismo, tramite
neuroni e ormoni.
Quando ci riferiamo all’ipofisi, è bene mantenere la visione del complesso fra
ipotalamo e la parte centrale inferiore del cervello che comanda un po’ tutto: la
fame, lo spegnimento della fame stessa, la sete ecc.
L’ Ipofisi è composta da due parti principali:
-Ipofisi anteriore epiteliale o adenoipofisi.
-Ipofisi posteriore o nervosa o neuroipofisi, riferendoci a questa parte, si
pensi all’ipotalamo che si continua con la neuroipofisi, come si vedrà più
avanti.
Fig. 30,Ipofisi
anteriore
Un
dato
fondamentale è che l’ipotalamo controlla l’ipofisi anteriore tramite il sistema
portale ipotalamo-ipofisario.
A neuroni che stanno in vari nuclei dell’ipotalamo, mandano assoni, cioè
prolungamenti, brevi, che terminano poco sopra l’ipofisi, all’inizio del peduncolo:
il sangue arriva qui con le arterie ipofisarie (le quali arrivano in realtà all’
ipotalamo), attraversa una prima rete capillare, nella quale i neuroni brevi liberano
48
tramite i loro assoni fattori stimolanti o inibenti, attivi sulle cellule dell’ipofisi
anteriore. Questi fattori sono quindi trasportati nel sangue, incanalati in piccole
vene entrano nel sangue, piccole vene, che vanno all’ ipofisi anteriore, ed
attraversano la seconda rete di capillari (sinusoidi): da questi capillari, fattori
stimolanti e/o inibenti, diffondono all’intera ipofisi anteriore e possono
“comandare” le cellule che producono ormoni.
L’ ipofisi anteriore produce sei ormoni principali, tutti controllati dall’ ipotalamo
con il meccanismo di cui sopra.
L’ ipofisi posteriore invece, è formata dagli assoni “lunghi” di appositi neuroni
che stanno nei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo. Quando
pensiamo alla neuroipofisi dobbiamo pensarla connessa con l’ipotalamo: i neuroni
“magnocellulari” dei nuclei sopraottico e paraventricolare mandano gli assoni
fuori dalla barriera ematoencefalica verso l’ipofisi posteriore in modo che si
possano liberare più facilmente e rapidamente i loro ormoni anche in quantità
considerevole, ad esempio l’ ormone antidiuretico viene utilizzato nel nostro
organismo in larga parte continuamente della giornata, consente di controllare la
diuresi.
L’ipifosi anteriore o adenoipofisi secerne:
- Ormone somatotropo (GH): agisce principalmente tramite il fegato,
stimolandolo a liberare somatomedine (IGF-1). Bersagli principali sono le ossa e
le cartilagini d’accrescimento, nella crescita staturale sino alla pubertà, nonché
muscoli ed altri tessuti, in cui promuovono la sintesi proteica, con effetto
anabolico e quindi l’accrescimento muscolare. Il GH ha anche funzioni diverse fra
cui elevare la disponibilità in circolo di glucosio e acidi grassi per il metabolismo
energetico.
- Le due gonadotropine, ovvero follicolo stimolante (FSH) e luteinizzante (LH)
si occupano delle gonadi sia nel maschio che nella
femmina. Nella donna
stimolano la crescita e la maturazione del follicolo (FSH), l’ovulazione e la
formazione del corpo luteo (LH), nella donna. Nell’uomo è stimolata la secrezione
della ghiandola steroidogenica del testicolo (LH) e la spermatogenesi (FSH).
- Ormone Tireostimolante (TSH), liberato dalle Cellule Tireotrope (TRH); esso
stimola la tiroide e la sintesi dei relativi ormoni iodati. Questi ultimi (T4, e T3 che
è la forma attiva),regolano il metabolismo complessivo dell’organismo, in
49
particolare la quantità di energia che l’organismo consuma. Di conseguenza gli
ormoni tiroidei sono importanti nello stimolare la termogenesi, ovverosia nel fare
in modo che una parte dell’energia accumulata sotto forma di ATP, in quanto
energia già pronta in forma chimica per fare qualsiasi cosa compreso lavoro
muscolare viene cortocircuitata a fare calore, necessario per produrre calore
necessario al mantenimento della temperatura corporea. Non sorprenderà quindi
che TSH e ormoni tiroidei sono modulati in rapporto con alimentazione e digiuno:
durante il digiuno, essi diminuiscono per risparmiare energia e sono rialzati
quando nuovi ingesti e nutrienti sono in fase d’assorbimento. In tale circostanza,
infatti, essendo disponibili nuovi substrati energetici diventa non più essenziale
risparmiare energia.
- Ormone Adrenocorticotropo (ACTH): ha a che fare con una parte circoscritta
della ghiandola surrenale, la zona fascicolata della corticale, e quindi con la
liberazione degli ormoni steroidei della classe dei glucocorticoidi, hanno potenti
effetti sulle risposte immunitarie. Questi ultimi servono a rendere disponibili
glucidi, ottenuti dal
catabolismo delle
proteine e quindi tramite la
gluconeogenesi: ad esempio, questo avviene nelle fasi di digiuno prolungato
oppure di aumentate richieste energetiche, quali stati febbrili o infiammatorie,
oppure attività fisica intensa. Ormone Prolattina: prodotta dalle cellule lattotrope,
la sua funzione più nota è quella che riguarda lo stimolo della produzione lattea
nella donna, a termine gravidanza e durante l’allattamento. Si realizza quindi un
riflesso neuroendocrino: il bambino che succhia il latte, stimola le terminazioni
nervose sensitive del capezzolo e dell’areola mammaria, queste segnalano al SNC,
e per questa via si stimola la liberazione dell’ossitocina, il quale partecipa alla
stimolazione e alla spremitura delle strutture alveolari e dei dotti galalattofori che
trasportano il latte al capezzolo.
50
Fig. 31Rilascio ormoni ipofisi anteriore
L’Ipofisi posteriore o neuroipofisi.
Nell’insieme, essa
è composta dai nuclei sopraottico e paraventricolare
dell’ipotalamo e relativi fasci di assoni che percorrono l’intero peduncolo sino alla
parte posteriore dell’ipofisi.
La secrezione ormonale dell’ipofisi posteriore comprende:
- Ormone antidiuretico (o Adiuretina-ADH, detto anche vasopressina), regola in
tempo reale la quantità d’acqua eliminata con le urine. In sintesi, quest’ormone è
quello che ci consente di risparmiare acqua quando c’è bisogno, oppure anche di
contenere la produzione d’urina e creare un intervallo, anche di varie ore, tra
circostanze in cui diventa necessario procedere con lo svuotamento della vescica
attraverso la minzione
L’ormone è prodotto nell’ipotalamo, accumulato in quantità considerevoli
nell’ipofisi posteriore ed infine liberato in piccole quantità altamente regolate.
Queste vanno in circolo, attraversano prima il cuore destro, poi tramite le arterie
polmonari i polmoni, scende al cuore sinistro, per diffondersi infine nel circolo
sistemico e quindi a tutto l’organismo.
Quelle molecole d’ormone antidiuretico che giungono al rene tramite le arterie
renali e i suoi rami, trovano appositi recettori nelle cellule dei tubuli collettori del
51
rene il quale innescano la risposta: di conseguenza la risposta è che, mentre
normalmente il tubulo collettore è impermeabile, quindi tutta la preurina prodotta
finisce nel bacinetto e quindi nell’uretere e nella vescica, l’arrivo di questo ormone
le permeabilizza e quindi il rene recupera fino al 90% e più dell’acqua che c’era in
l’urina che altrimenti verrebbe eliminata in toto. Il risultato è che la quantità
d’urina prodotta può essere fortemente diminuita quando opportuno. Il concetto è
che l’ormone serve a mantenere un equilibrio, perché se l’individuo ha acqua da
smaltire lo fa, mentre invece durante le ore notturne, l’ormone è utilizzato per fare
in modo che riassorbendo si formi relativamente poca urina ed è relativamente
raro che ci si debba alzare durante la notte. Il risultato è che quando è liberata una
significativa quantità di vasopressina in circolo, la quantità di urina prodotta è
relativamente scarsa: questo avviene quando nelle ultime ore si è bevuta poca
acqua o si è ampiamente persa acqua per sudorazione. Viceversa, bevuta
un’elevata e quantità d’acqua (un litro o qualche litro), essa viene molto
rapidamente svuotata dallo stomaco nell’intestino, assorbita dall’intestino, entra in
circolo, “diluendo” il plasma e il sangue. Diviene quindi necessario eliminare
l’acqua in eccesso per riportarci in equilibrio. I neuroni che prima liberavano
adiuretina sono quindi inibiti, consentendo quindi al rene di tornare a produrre
urina in quantità elevata. Ancora, se si perde acqua per abbondante sudorazione e
l’assunzione alimentare è limitata, l’organismo dovrà risparmiare al massimo e
liberare tanto ADH per sopravvivere il più a lungo possibile, nell’attesa di
reintegrare l’acqua: per esempio, per molti animali selvatici poter minimizzare le
perdite, diventa un fattore importante di sopravvivenza in condizioni in cui l’acqua
non sia abbondantemente disponibile.
- Ormone Ossitocina: entra nei meccanismi del parto, agendo sulla muscolatura
liscia dell’utero a termine, di cui stimola la contrazione nell’avvio e durante il
parto. Essa partecipa inoltre, alla secrezione del latte durante l’allattamento,
provocando la contrazione delle cellule mioepiteliali dei dotti mammari,
inducendo la fuoriuscita del latte stesso contenuto nei dotti. La suzione del
capezzolo attiva il riflesso neuroendocrino che stimola la secrezione di prolattina e
d’ossitocina; la prolattina stimola la sintesi e la secrezione del latte nei
dottimammari mentre l’ossitocina causa l’espulsione del latte e stimola la
secrezione di prolattina.
52
Fig. 32.Ipofisi posteriore
2.6. Surrene
-
Il
surrene
è
una
ghiandola endocrina composita e
multifunzionale, collocata sopra
il rene, in direzione mediale. Le
sue dimensioni sono di 3-5cm
con spessore di circa 1cm, il suo
peso è di circa 4-5 gr.
I surreni sono irrorati dalle
arterie surrenaliche superiori,
medie e inferiori, rami delle
arterie freniche, aorta
addominale e renali: esse formano
fig. 33Ghiandola surrenalica
un plesso subcapsulare dal quale il sangue scorre verso il centro della ghiandola.
53
La parte centrale della ghiandola, o midollare, riceve sangue relativamente
impoverito d’ossigeno, ma assai
ricco d’ormoni steroidi, secreti dalla
parte più esterna, o corticale. Il
surrene drena a sinistra nella vena
omonima, a destra nella vena cava.
Corticale:
costituisce
la
parte
esterna del surrene, dalla sottile
capsula, sino alla midollare. È
un’eterogenea
ghiandola
che
produce ormoni steroidi, suddivisa
dall’esterno verso l’interno in tre
Fig. 34 Schema dell’organizzazione
della ghiandola
surrenalica
strati o zone di diverso spessore e secreti ormonali
( vedi figura sopra).
- Una zona glomerulare più superficiale, nella quale le cellule sono organizzate
in gruppi rotondeggianti, che secernono mineralcorticoidi, specie aldosterone.
La secrezione di aldosterone è stimolata dall’ angiotensina II, prodotta dal
sistema renina- angiotensina, o da elevati livelli di ione potassio. I
mineralcorticoidi stimolano la parte del tubulo renale che provvede al
riassorbimento del sodio, inducendo un aumentato recupero di tale ione a spese di
ioni potassio: poiché il sodio è lo ione extracellulare più abbondante, e ne
consegue un aumento del volume circolante e di conseguenza della pressione
arteriosa.
- Una zona fascicolata, con cellule ordinate in cordoni paralleli e pressoché
radiali. Produce considerevoli quantità di glicorticoidi, specie cortisolo. Tali
steroidi inducono un aumento della disponibilità di glucosio tramite la
gluconeogenesi: quindi con una certa latenza e maggiore durata, a differenza del
glucagone (vedi pancreas), che ha effetti più rapidi. I glicorticoidi hanno inoltre
importanti ruoli fisiologici nel modulare e contenere le risposte immunitarie
antinfiammatorie.
Nell’insieme
sono
quindi
importanti
nella
risposta
dell’organismo a mutate e aumentate esigenze in varie condizioni di stress fisico,
quali stati febbrili ed infettivi, traumi, ustioni e simili, nonché sforzo fisico severo.
54
- Una zona reticolare, ove i cordoni di cellule si fanno irregolari e si
anastomizzano variamente: oltre ai glicorticoidi, è prodotta una quota di ormoni
Androgeni, diversi dal testosterone, e detti androgeni surrenalici: questa zona
costituisce la principale sorgente
di androgeni circolanti nella donna
verosimilmente importanti per la libido .
La corticale del surrene è essenziale per la vita: la sua distruzione, ad esempio da
parte di processi infettivi, comporta difficoltà nell’adattamento a condizioni
d’aumentata richiesta energetica, tutt’altro che raro nella vita comune. In tali casi
sarà necessaria un’attenta sostituzione ormonale, da modulare ogni qualvolta si
sviluppi uno stress fisico anche di lieve entità.
Midollare: Essa è costituita da cellule del tutto simili a quelle che in altre sedi
divengono neuroni dei gangli simpatici. Nel corso dello sviluppo i precursori delle
cellule della midollare vengono “inglobati” dalla corticale, e divengono quindi
esposti (i precursori) ad alte concentrazioni di glicocorticoidi. Tale ambiente
ormonale ne impedisce il differenziamento in neuroni e mantiene l’abbondante
produzione del primo dei due tipici ormoni della corticale: l’adrenalina. Essa è
prodotta solo in questa regione ed in ristrette aree del sistema nervoso centrale.
Liberata in circolo, sotto il controllo di neuroni pre-gangliari del sistema nervoso
simpatico, l’adrenalina stimola la messa in circolo di glucosio, sia dal glicogeno
depositato nel fegato per glicogenolisi, sia per gluconeogenesi. Essa si segnala
anche, come ormone di difesa dalla caduta di glicemia. Invece, l’ormone Noradrenalina, ha un’azione più intensa dell’adrenalina nei suoi effetti di stimolo su
potenza e frequenza di contrazione del cuore. Agisce anche stimolando la
contrazione delle arteriole, un’ulteriore azione che contribuisce all’aumento della
pressione arteriosa sistemica generale.
Gli ormoni della midollare surrenale s’integrano spesso
con l’attivazione ad
ampio raggio del sistema nervoso simpatico, in una risposta d’insieme o “di
massa” evocata in condizioni d’emergenza: ad esempio, in risposta ad alterazioni
omeostatiche metaboliche considerevoli, quali un’ipoglicemia marcata, oppure
una forte riduzione del volume della pressione circolante, ma anche circostanze di
tipo “fight o flyght”( combatti e scappa). Il SNP e il Surrene agiscono in questa
direzione. Mentre la corticale ha a che fare con lo stress fisico, la midollare ha a
che fare con lo stress reattivo alle circostanze ambientali che richiedono la
preparazione a questo o quell’evento.
55
2.7.Tiroide
Si trova nel collo, ai lati ed anteriormente alle cartilagini tiroidee e cricoide della
laringe ed alla trachea sottostante, ove forma due lobi principali uniti da un istmo.
E’ una delle maggiori ghiandole
endocrine, pesa circa 25gr nell’adulto.
Il
tessuto
ghiandolare
ha
un
caratteristico aspetto, organizzato in
cavità
tiroide
rotondeggianti
(follicoli),
tipico
della
circondate
da
epitelio cubico o cilindrico a seconda
dello stato di attività.
Le cellule follicolari producono due
ormoni, detti Tiroxina (o T4) e Tri iodotironina (T3): essi hanno come
bersaglio pressoché tutti gli organismi
e tessuti, nei quali regolano attività
fig. 35.Tiroide.
metabolica, l’utilizzo dell’ energia e la produzione di calore. Essi sono
indispensabili per le fasi cruciali dello sviluppo pre e post natale del sistema
nervoso, come per tutta la vita.
Per la produzione di T3 e T4 è fondamentale lo iodio, che non sempre è
disponibile negli alimenti: la tiroide ha quindi sviluppato la capacità di captarlo
avidamente, ogni volta che è presente negli alimenti, e immagazzinarlo. Si
consideri tuttavia, che gli ormoni “pronti” T3, e T4, diffondono attraverso le
membrane cellulari e non possono essere accumulati come tali: la strategia
adottata in pressoché tutti i vertebrati è quella di sintetizzare il precursore
tireoglobulina, di alto peso molecolare, quindi non diffusibile, coniugarvi lo iodio
ed accumulare la tireoglobulina iodata all’interno delle cavità chiuse dei follicoli
come colloide tiroidea. Al momento dello stimolo secretorio, le cellule follicolari
stesse, inglobano per pinocitosi (assunzione di piccoli volumi di liquido e sostanze
disciolte dal liquido follicolare, la colloide, da parte dell’apice cellulare), una
gocciola di colloide, quindi fondono la vescicola risultante con un lisosoma ricco
di enzimi proteolitici. Per idrolisi si liberano quindi T3 e T4, che diffondono fuori
delle cellule ed in circolo, come voluto. Trofismo, biosintesi e secrezione
56
ormonale delle cellule follicolari sono regolate principalmente dal TSH ipofisario,
a sua volta sotto controllo ipotalamico: in rapporto alle esigenze e allo stato di
alimentazione, con stimolo quando c’è energia disponibile , ovvero siamo poco
lontani dal pasto e ci si trova in stato di assorbimento e disponibilità delle sostanze
nutritive e quindi dell’ energia. La tiroide lavorerà di meno, fino a spegnersi man
mano che l’energia disponibile cala, come nella fase di digiuno, poiché diventa
fondamentale risparmiare energia.
Come si diceva, gli ormoni tiroidei hanno come bersaglio pressoché tutti i tessuti
dell’ organismo, nei quali regolano l’attività metabolica e l’utilizzo di energia, tale
per cui rispondendo a uno stimolo, i mitocondri usano più energia per fare calore,
diventa così importante difendersi dal freddo, come non andare in ipertermia.
L’aumentata disponibilità di ormoni tiroidei rende possibile ai mitocondri di
utilizzare più energia per produrre calore e quello che serve nel momento in cui
tutti i mammiferi e gli animali omeotermi devono fare ogni volta che la
temperatura interna tende a diminuire. Al tempo stesso esiste l’esigenza opposta
che però non è direttamente mediata dalla regolazione tiroidea, ed è quella di non
di fare ipertermia, onde per cui riguarda sistemi per la dispersione di energia, che
sarà ad esempio la vasodilatazione cutanea. Gli ormoni tiroidei iodati sono inoltre
cruciali per l’accrescimento dell’organismo e in particolare, sono indispensabili
per il normale sviluppo del sistema nervoso centrale; se un individuo sviluppa
livelli ipotiroidei in certi momenti dello sviluppo infantile, il danno resta
permanente, sviluppando ad esempio il cretinismo, mentre invece, in altri momenti
della vita, possono essere corretti e tutto può
tornare nella normalità.
Fig.36. Schema della produzione di
tireoglobulina iodata, che si accumula nella
colloide tiroidea (sx ), e suo reuptake per
pinocitosi, fusione delle vescicole con
lisosomi, idrolisi da parte degli enzimi
lisosomiali, sino alla liberazione degli
ormoni iodati (dx )
57
2.7.1. Ormoni tiroidei e metabolismo
Gli ormoni tiroidei stimolano il metabolismo: infatti, nei mammiferi in generale, i
livelli di ormone tiroideo sono soggetti a spiccata regolazione fisiologica, durante
la transizione dallo stato di alimentazione ed assorbimento delle sostanze nutritive
a quello di digiuno specie prolungato.
Nel momento in cui lo stomaco sta svuotando arrivano i blocchi di alimenti
liquefatti e parzialmente digeriti, arrivano all’intestino tenue e man mano si
assorbono glicidi: in tale fase non c’è scarsezza di glicidi per il metabolismo. Ad
una certa distanza dal pasto le sostanze nutritive sono completamente esaurite,
quindi né cala rapidamente l’assorbimento attraverso l’intestino. Ovviamente è
ancora abbondante l’accumulo di glicogeno nel fegato e basta che il pancreas
liberi una quota di glucagone per rendere nuovamente disponibile glucosio in
circolo e mantenere stabile la situazione. Tuttavia man mano che ci allontaniamo
dal pasto bisognerà mettere progressivamente in campo ulteriori meccanismi,
mediati anche da altri ormoni, specie quando il digiuno si prolunga.
Studi sui roditori hanno evidenziato che, il “digiuno“, può essere sopportato per un
periodo di tempo più limitato rispetto all’uomo. Al cessare dell’alimentazione,
quando non ci sono più glicidi negli ingesti nel tubo digerente da tirare fuori dagli
alimenti, rapidamente subentra l’esigenza di utilizzare glicogeno epatico e
muscolare, ma di passare rapidamente alla gluconeogenesi: il ratto infatti
rapidamente inizia a perdere peso perché inizia a utilizzare i depositi adiposi. In
quest’adattamento
alla
sospensione
dell’alimentazione,
è
importante
la
modulazione degli ormoni tiroidei, infatti come ci si attenderebbe, il digiuno
rapidamente si associa a una riduzione dei livelli di TSH e di T3 e T4. Le
conseguenze benefiche in questa soppressione sono chiare.
Il digiuno (mancanza d’alimentazione), rappresenta una grave minaccia alla
sopravivenza. Poiché gli ormoni tiroidei settano il tasso metabolico basale, una
diminuzione nei livelli di ormoni tiroidei, porterà alla riduzione del tasso
obbligatorio di utilizzo di energia: si economizza in attesa di nuova assunzione di
cibo.
Fino a quando l’ipotiroidismo non riduce l’abilità di ottenere cibo, ci si può quindi
attendere che questo adattamento migliori la sopravvivenza. Poiché gli animali
58
allo stato selvatico, come si ritiene comunemente, sperimentano periodi di
mancanza di alimentazione, ne consegue che la risposta ipofisaria e tiroidea al
digiuno, debba essere considerata come un aspetto di primaria importanza della
biologia regolatoria della ghiandola tiroidea.
L’asse ipotalamo-ipofisi- tiroide è regolato a livelli multipli: lo scopo infatti è
quello di mantenere livelli “stabili” di ormoni tiroidei, anche se relativamente alti
quando i nutrienti sono abbondanti e relativamente assai più bassi quando siamo
lontano dall’assunzione di alimenti.
In quest’ambito il TRH che è un neuropeptide prodotto, tra l’altro, da neuroni
nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (PVN): esso aumenta quando i livelli
d’ormoni tiroidei circolanti si abbassano, e quindi s’interrompe il circuito di
feedback negativo che lo manteneva inibito. Infatti gli ormoni tiroidei una volta
liberati dalla tiroide raggiungono tutti i tessuti e le cellule dell’organismo: vanno
tra l’altro a strutture dell’ipotalamo quale il nucleo paraventricolare e qualche altro
che contengono neuroni che possono misurarne i livelli. Quando in risposta al
TRH, gli ormoni tiroidei vengono liberati in circolo, i livelli circolanti aumentano,
l’ipotalamo e i neuroni stessi a TRH ricevono maggiori quantità di ormoni tiroidei,
gli stessi neuroni sentendo gli elevati livelli, vengono spenti. Il
TRH va
all’eminenza mediana viene liberato, va all’ipofisi anteriore e stimola il TSH.
Al tempo stesso le cellule a TSH, anch’esse sentono gli ormoni tiroidei, quindi il
feedback agisce a vari livelli.
Il TRH è uno di quei fattori tropici che possono essere liberati dall’eminenza
mediana, vanno nel sistema portale e possono stimolare
le apposite cellule
dell’ipofisi anteriore. L’aumentata liberazione del TRH induce ad un aumento
della liberazione del TSH che va in circolo e stimola la tiroide. Il TSH stimola
tanti fenomeni: stimola la pompa, la captazione, l’aumento di altezza delle cellule,
essendo una glicoproteina, aumenta la capacità di incorporazione dello iodio nella
tiroide.
Il digiuno, sembrerebbe agire, almeno in parte, riducendo l’espressione di
tireotropina (TRH), selettivamente, nel nucleo paraventricolare. Interessantemente
la tireotropina continua ad essere espressa in altri sistemi neuronali centrali, che
non giocano un ruolo nella produzione di tireostimolante (TSH) dall’ ipofisi. In
conseguenza del digiuno, che provoca la caduta dei livelli di T3 e T4, si realizza
un ipotiroidismo centrale.
59
2.8. Leptina
Un importante meccanismo con il quale il cervello orchestra l’adattamento di cui
sopra, è mediato da un segnale di origine periferica: la leptina. A sopprimere
l’espressione di TRH nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo, infatti sarebbe un
calo dei livelli circolanti dell’ormone leptina, liberato dal tessuto adiposo in
rapporto con l’ingresso di nutrienti, ovvero di molecole correlate con l’avvenuta
alimentazione.
L’ormone leptina, come si diceva, è secreta principalmente dal tessuto adiposo, in
misura primariamente proporzionale alla massa adiposa dell’organismo (organo
adiposo). La massa adiposa sarà il primo fattore che condiziona i livelli di leptina.
In un individuo anoressico i livelli di leptina saranno praticamente nulli.
Mantenere il livello medio di leptina sufficientemente elevato indica una
“sufficiente” massa adiposa, e nella donna, consente di mantenere
accesi i
meccanismi riproduttivi. Se la leptina scende quasi a zero, questi meccanismi si
interrompono, nel senso che il sistema che libera le gonadotropine si spegne e il
ciclo riproduttivo si ferma.
La leptina ha un suo livello di base e su questo si innescano delle oscillazioni, ad
esempio nell’arco della giornata, o in periodi più lunghi, in rapporto con
l’alimentazione e il digiuno. In quanto alle sue oscillazioni, la leptina tende ad
essere decisamente più bassa nel digiuno e aumenta nuovamente a breve distanza
dal pasto e quindi dall’ingresso di sostanze nutritive assorbite dall’intestino nelle
cellule del tessuto adiposo. Tale aumento postprandiale di leptina è uno dei fattori
che contribuisce allo spegnimento del senso di fame e induzione della sazietà.
Infatti man mano che ci allontaniamo dal pasto i nutrienti smetteranno di entrare
nella cellula adiposa, e si renderà quindi necessario far uso degli accumuli. In tale
fase, rapidamente, la leptina cala al di sotto
di quella soglia che era necessaria per tenere
Caratteristiche fenotipiche di ratti normali (OB/OB),
obesi (ob/ob), lievemente obesi NPY -/-
spenti i neuroni della fame nell’ipotalamo, i
quali quindi si riaccendono mentre
si
spengono i neuroni della sazietà.
L’assenza geneticamente determinata della
leptina,
come nel
ratto
ob/ob,
o
la
disfunzione del suo recettore, producono
OB/OB
ob/ob
ob/ob NPY -/-
60
obesità severa. Nel primo caso la somministrazione esogena di leptina risolve
l’obesità. Alcuni degli aspetti sopra delineati suggerirono iniziali entusiasmi,
portando ad ipotizzare che la leptina potesse essere un ormone utilizzabile per
prevenire o curare l’obesità: purtroppo la sua somministrazione non risultò indurre
significative riduzioni della massa adiposa al di fuori di poche famiglie con difetto
genetico della leptina stessa (tre - quattro famiglie al mondo). Ora si ritiene che la
leptina, segnali sì all’ipotalamo l’avvenuta alimentazione, in coerenza con l’effetto
della sua somministrazione esogena che acutamente spegne il senso di fame:
come si diceva, invece, la sua somministrazione prolungata non porta conseguenze
significative sulla massa adiposa, e l’individuo non dimagrisce.
Il recettore della leptina è presente inoltre nei neuroni a TRH: essa consente quindi
la liberazione di TRH nell’eminenza mediana, e di conseguenza quella di TSH
dall’ipofisi, infine quella di T3 e T4 dalla tiroide .
Al tempo stesso, in neuroni ad NPY o a POMC del nucleo arcuato, il recettore
della leptina consente lo “spegnimento” dei primi e la “accensione” dei secondi
con un release dell’ α MSH.
In rapporto con l’alimentazione, quindi la
leptina aumenta in circolo, e
trasportata attraverso la barriera ematoencefalica, segnala ai neuroni che
producono e liberano TRH nel nucleo paraventricolare, che le cellule adipose
hanno ricevuto energia e nutrienti: è quindi tempo di rialzare TSH e ormoni
tiroidei uscendo così dalla situazione di risparmio energetico appropriata durante il
digiuno.
Sempre nel nucleo arcuato, la leptina influenza negativamente l’attività dei
neuroni che producono l’Agouti Related Peptide (AgRP) / Neuropeptide Y
tirosina (NPY) sopprimendoli.
Inoltre questi neuroni del nucleo arcuato si
proiettano essi stessi ai neuroni TRH, di cui possono ulteriormente influenzare
l’attività tramite le azioni dell’α MSH/o di AgRP /NPY, quali inibitori sul
MC4R(recettore 4 della melanocortina coinvolto nella regolazione dell'introito
calorico.
Durante il digiuno, la caduta della leptina circolante “agisce” attraverso
l’ipotalamo aumentando l’appetito, diminuendo la spesa d’energia e modificando
l’assetto neuroendocrino per favorire la sopravvivenza: tra l’altro, la secrezione di
TSH e d’ormoni tiroidei sono inibite con risultante risparmio di energia.
61
Fig. 37. Mantenimento asse della tiroide con le azioni della leptina Nei nuclei arcuato e
paraventricolare dell’ipotalamo.
62
3. Apparato digerente
L’apparato digerente è specializzato
nell’accumulo
trattamento
nutrienti
temporaneo,
nel
e nell’assorbimento
(glucidi,
proteine,
dei
lipidi),
dell’acqua, dei sali minerali, vitamine e
quant’altro contenuto negli alimenti.
Esso inoltre provvede all’eliminazione
delle scorie alimentari e di vari cataboliti
derivanti dalla degradazione specie a
livello
epatico
di
prodotti
del
metabolismo, sostanze tossiche, farmaci
ed ormoni.
Fig. 38. Schema apparato digerente
Nel fare il suo mestiere, il tubo digerente riceve ogni contaminante ambientale,
batterico o virale. Esso ha quindi, l’occasione utile che investighi ciò che arriva
dall’esterno per innescare le necessarie difese specifiche; per esempio, ci sono
elementi che catturano determinate componenti batteriche o virali, le passano al
sistema immunitario per innescare cellule di difesa o anticorpi. Al tempo stesso la
parete del tubo digerente ha una serie di altri meccanismi di difesa, non specifici,
che servono proprio per evitare una serie di conseguenze negative, del passaggio
delle sostanze nocive. In rapporto con la barriera di difese, nel grosso intestino c’è
un’enorme flora batterica che deve essere continuamente tenuta sotto controllo,
perché si presenterebbero una serie di disturbi che vanno dal semplice meteorismo
sino a situazioni tossiche anche molto gravi.
Inoltre l’apparato digerente produce numerosi ormoni per lo più destinati al
controllo tra le interazioni del tubo digerente stesso, ma anche alla
interconnessione funzionale con il resto dell’organismo.
Il “canale alimentare” è lungo circa nove metri, ed è distinto in tratti di diverso
calibro e diversa specializzazione strutturale e funzionale. In successione craniocaudale queste porzioni si possono così suddividere: bocca con annessi denti,
lingua e apparato della masticazione, faringe, esofago, stomaco, intestino
tenue, intestino crasso, canale anale. Una ricca componente ghiandolare è
localizzata nello spessore delle pareti dello stomaco in poi (ghiandole intramurali),
63
mentre alcune ulteriori ghiandole di grandi dimensioni sono collocate all’esterno
della parete dei visceri, e con essi sono connessi da dotti escretori. Queste ultime
sono: le ghiandole salivari maggiori (sottolinguali, sottomandibolari, parotidi), il
fegato e il pancreas.
Gli aspetti riguardanti la bocca, i denti, la lingua, la faringe, quali zone di transito
e il primo avviamento all’assimilazione degli alimenti sono al di là del contenuto e
degli scopi della presente tesi.
3.1. Assorbimento degli alimenti
Per dare più interesse all’anatomia funzionale del tubo digerente, anticipiamo qui
una visione d’insieme delle sue attività di assorbimento degli alimenti, e delle
interconnessioni comunicazioni mediate da ormoni.
Ingerire un alimento (ad esempio un panino), comporterà che questo segua le varie
fasi della digestione. Esso verrà masticato, mescolato con la saliva, deglutito,
passato in esofago, spinto attraverso l’esofago stesso, si apre l’ipofaringe per
passare nell’esofago, si richiude e l’esofago spinge, si apre la giunzione cardiale
per poi richiudersi, passa dallo stomaco, infine all’intestino.
L’alimento viene liquefatto nello stomaco, che non ha significativa attività
assorbente, inoltre lo stomaco ha un’altra importante funzione di difesa dagli
agenti esogeni, eliminando con l’acido cloridrico gran parte dei batteri e dei virus,
indi segue all’intestino. Proseguendo il cammino, le sue componenti saranno state
diluite in una soluzione dagli stessi secreti del tubo. L’intestino tenue
“prossimale” assorbe normalmente la larga maggioranza dei nutrienti: i glucidi
trasformati in forme a piccola molecola ( mono - di - oligosaccaridi) e le proteine
(scisse in polipeptoni), prendono la via del fegato tramite il sangue portale.
Mente invece, i lipidi prenderanno la via del linfatico, tramite il dotto toracico.
Si sottolinea quindi che il carico di glicidi assorbiti non vanno immediatamente al
circolo generale bensì al fegato. In contemporanea, anzi con congruo “anticipo”
l’ormone insulina, arriva esso stesso al fegato provenendo dal pancreas: le cellule
del fegato né saranno attivate e cattureranno il glucosio che depositeranno come
polimero noto come glicogeno. Il risultato è che ad avvenuta alimentazione, nel
circolo generale, la glicemia aumenterà sì, ma in misura moderata. Al tempo
64
stesso, il glicogeno sarà stato accumulato, e pronto per essere utilizzato man mano
che ci allontaniamo dal pasto.
Con questo sistema portale, le strutture che si occupano di regolare il metabolismo
energetico, assumono un ruolo fondamentale nel controllo della glicemia.
Cuore
Atrio dx
Ventricolo sx
Vena cava Inferiore
Aorta
capillari
Fig. 39. Schematizzazione semplificata del sistema portale.
3.2. Vasi sanguigni.
1)
Il sangue pompato dal ventricolo sinistro nell’aorta, arriva a tutti gli organi,
si distribuisce in un grande numero di rami, grande numero di arteriole,
indi capillari, nei quali cede le sostanze nutritive e ossigeno, mentre
rimuove anidride carbonica, cataboliti ed ormoni, infine si reindirizza al
cuore tramite le vene fino all’atrio destro
65
2)
Le arterie del tubo digerente sono:
- il tripode celiaco, il quale è una breve arteria di grande calibro che nasce
all'ingresso dell'aorta nell'addome, subito sotto il diaframma. Essa stessa da
tre rami, che danno ragione del suo nome: l'arteria gastrica sinistra,
l'arteria epatica e l'arteria splenica (o lienale). L'arteria gastrica sinistra
segue la piccola curvatura dello stomaco, la cui parete vascolarizza assieme
all'esofago, diventando arteria gastrica destra prima di collegarsi all'arteria
epatica. Questa dà due rami: l'arteria gastroduodenale per il duodeno e la
testa del pancreas, e l'arteria epatica propriamente detta, diretta al fegato.
Per finire l'arteria splenica si porta alla milza costeggiando il margine
superiore del corpo e della coda del pancreas, che contribuisce a
vascolarizzare.
- la mesenterica superiore: origina dall’aorta 2cm sotto il tronco celiaco
dietro il pancreas: emerge con la vena omonima fra la testa e il processo
uncinato del pancreas e penetra nella radice del mesentere. Essa
vascolarizza con i suoi rami il pancreas, il duodeno, l’intestino tenue, il
colon ascendente ed il traverso.
- la mesenterica inferiore: essa origina qualche centimetro prima della
terminazione dell’aorta, penetrando nel mesocolon pelvico. Questa arteria
con i suoi rami vascolarizza il colon traverso e discendente ed il retto.
3)
La gran parte dell’apparato digerente è drenata da vene che si connettono
nel sistema portale: si tratta di un breve tronco venoso, privo di valvole,
che si forma per confluenza delle vene lienale e mesenteriche superiore e
inferiore, entra nell’ilo epatico e fornisce il sangue ad una seconda rete
capillare, quella dei sinusoidi epatici.
4)
In questo caso quindi, e in questa sede, dalle arterie si forma una prima rete
capillare, indi il sangue passa a vene (ed un collettore venoso: la vena
porta), infine il sangue transita in un secondo letto capillare. Solo dopo
questo doppio transito attraverso due letti capillari successivi l’uno
all’altro, il sangue è ora infine raccolto nella vena cava inferiore per poi
arrivare all’atrio destro.
66
3.2.1. Linfatici
Il linfatico è composto da un
sistema di vasi che nascono a
fondo cieco da tutti gli organi:
questi vasi sono molto piccoli
perché funzionano a pressione
ancora
più
bassa
rispetto
ai
capillari sanguigni. I vasi linfatici
sono dotati di valvole che si
riempiono
non
dal
dall’alto,
basso
ma
consentendo
al
flusso discorre re in una sola
fig. 40.
direzione.
Dotto toracico
La tipica conformazione dei capillari linfatici
assomiglia alla collana di rosario, con una piccola parte dilatata e una valvola in
successione. Ci sono comunque pochi collettori linfatici: tra essi, il dotto
toracico, sta in fondo alla parete addominale profonda, attraversa il torace, risale e
si getta nelle vene che si trovano alla base del collo.
Il compito principale dei linfatici è quello di assorbire e trasportare un liquido
simile al plasma sanguifero detto linfa e di essere costituito di un sistema linfatico
cellulare o tissutale d’organi e tessuti linfoidi. Questi ultimi comprendono organi
linfoidi primari, quali midollo osseo e timo, contenenti le cellule staminali
indifferenziate, che a loro volta, si dividono e differenziano in linfociti di tipo B, T
e cellule NK.
Sono altresì presenti
organi e tessuti linfoidi secondari o periferici quali i
linfonodi, la milza, e il malt.
La linfa è un liquido chiaro, leggermente lattescente, costituita da un fluido, il
plasma linfatico, che ha una composizione simile a quella del plasma sanguigno e
d’elementi cellulari, costituiti questi ultimi quasi esclusivamente da linfociti.
Inoltre, la linfa che proviene dall’intestino può essere opalescente, soprattutto
dopo un pasto ricco di grassi. A conferire questo aspetto sono particelle di grasso,
dette chilomicroni. Queste ultime, sono lipoproteine, la quale raccolgono i
67
trigliceridi e principalmente il colesterolo introdotti con la dieta, assorbiti
nell’intestino tenue, vengono trasportati nella via linfatica, tramite il dotto
toracico, e da questo nella circolazione sanguigna fino a raggiungere i capillari dei
tessuti adiposo e muscolare, per poi arrivare al fegato.
Le altre funzioni del sistema linfatico sono rappresentate dal mantenimento del
volume sanguigno (volemia), riportare al sangue le proteine plasmatiche sfuggite
alla circolazione sanguigna e di rifornire il sangue d’immunoglobuline (anticorpi)
prodotti dai linfociti e il trasporto dei grassi nell’intestino.
In conclusione, i linfatici non solo portano via una quota liquida che esce dai
capillari, ma drenano dagli spazi extracellulari, svolgendo un compito importante
per rimuovere batteri entrati come corpi estranei, diventando inevitabilmente
anche una via di diffusione di cellule tumorali.
Fig. 41. Particolare
della confluenza del
dotto toracico nella
vena
giugulo
-
succlavia.
3.3. Innervazione
Per quanto riguarda l’innervazione, la bocca, la faringe e il tratto prossimale
dell’esofago è di duplice natura, sia somatica che viscerale ed è assicurata da
cinque nervi cranici (trigemino,faciale, vago, glossofaringeo, ipoglosso).
L’innervazione della restante parte del canale alimentare, è anch’essa di duplice
natura, sia somatica e viscerale, ed è interamente assicurata dal sistema nervoso
vegetativo tramite le sue componenti parasimpatiche con i nervi vaghi e i nervi
pelvici e ortosimpatiche, dalle fibre postgangliari dei nervi splancnici .Si
68
aggiungono numerosissime connessioni sensitive afferenti tramite i nervi vaghi
stessi, nonché neuroni sensitivi e di gangli spinali.
Infine, la parete medesima del tubo digerente contiene un vero e proprio “sistema
nervoso enterico” che comprende, neuroni sensitivi, interneuroni e neuroni di
comando efferenti, tutti compresi all’interno della parete stessa. Questo sistema
comprende, qualche cosa, nell’ordine di centinaia di milioni di neuroni e quindi
poco meno di quelli che ci sono nel midollo spinale. Senza entrare in dettagli,
questi neuroni che hanno a loro volta proiezioni verso l’esterno, fino a connettersi
con vari punti del sistema nervoso centrale e da esso ricevono connessioni stesse;
come si diceva, questo sistema nervoso enterico ha neuroni che, ad esempio,
saggiano le caratteristiche del contenuto luminale, oppure ricevono informazioni
sul contenuto luminale da cellule endocrine della mucosa. Al tempo stesso,
neuroni, invece, effettori di questo sistema nervoso enterico sono quelli che
innescano quella complicata coordinazione che darà, a breve distanza dal pasto, i
movimenti di mescolamento, che sono brevi movimenti segmentari, che
consentono di assorbire molto più efficacemente. Nonché finita la fase di
assorbimento, avverrà, quel movimento più complesso che è il cosiddetto
movimento di peristalsi, in cui si ha una dilatazione a valle e un restringimento a
monte che spinge man mano le scorie residue, distalmente lungo l’intestino.
69
3.4. Esofago.
L’esofago è un condotto lungo circa 24-26cm che si estende dalla sesta vertebra
cervicale fino all’orificio d’ingresso nello stomaco. L’esofago ha forma cilindrica
con calibro variabile dai 13 ai 22 mm e a seconda delle regioni che attraversa, si
può suddividere in: tratto cervicale, tratto toracico, tratto diaframmatico e tratto
addominale, che termina nello stomaco.
La parete esofagea è costituita da: una
tonaca mucosa
caratterizzata da un
epitelio squamoso stratificato e da una
lamina
propria,
muscolaris
seguita
mucosae
da
una
variamente
sviluppata
Sopra ancora una tonaca sottomucosa,
ricca di ghiandole a secrezione mucosa,
ed una tonaca muscolare, costituita
fig. 42. Struttura microscopica dell’esofago
da uno strato circolare interno ed uno longitudinale esterno.
La particolarità dell’esofago sta che nel terzo superiore la muscolatura è striata e
nei 2/3 inferiori è liscia.
Infine l’esofago è avvolto da una sottile tonaca avventizia che solo nel breve tratto
addominale viene ricoperta da peritoneo.
Non avendo l’esofago una mucosa, non ci saranno secreti ormonali
70
3.5. Stomaco e suoi ormoni
Lo stomaco svolge la seconda fase della
digestione,
quella
successiva
alla
masticazione.
Lo stomaco è il segmento più espanso del
canale alimentare con una capacità media,
nell’adulto, di circa 1200cc. Esso ha sede nel
comparto sopramesocolico ed occupa parte
dell’epigastrio e dell’ipocondrio sinistro(foto sotto);
Fig. 43.Stomaco.
con la porzione orizzontale
riposa sul mesocolon traverso,
con il fondo si spinge sotto la
cupola
diaframmatica;
anteriormente è in rapporto con
il lobo sinistro del fegato e con
la parete addominale anteriore;
lateralmente con la milza ;
posteriormente con gli organi
retroperitoneali
(il corpo e la
coda del pancreas, la porzione
del duodeno e l’angolo duodeno
– digiunale, inoltre il rene e il
surrene sinistro).
Fig. 44.Criterio semeiologico per lo studio della
La prima funzione dello stomaco
proiezione dei visceri endo addominali sulle
è quella di ricevere e accogliere
pareti del tronco.
il cibo, poi rimescolamento del
bolo alimentare. C’è proprio un meccanismo, chiamato “rilasciamento
accomodativo” per cui lo stomaco sente che è stato dilatato e si rilascia
ulteriormente, in modo tale che non c’è bisogno di aumentare man mano la
pressione, invece così lo stomaco è relativamente piccolo quando è vuoto, si
riempie, sente che è stato dilatato e rilascia la muscolatura, e via fino a un certo
limite. La “secrezione” a sua volta, tramite l’acido cloridrico, ammazza i batteri e
partecipa alla demolizione degli alimenti, poi ci sono un po’ di enzimi e il “fattore
71
intrinseco” il quale è una glicoproteina secreta dalle mucosa gastrica che, legando
la vitamina B12 introdotta con la dieta, ne consente l'assorbimento.
Nello stomaco si viene a formare un legame tra fattore intrinseco e vitamina B12.
Il complesso, resistendo all’azione digestiva dei numerosi enzimi, prosegue
inalterato lungo il tubo digerente, fino a raggiungere l'ileo (ultimo tratto
dell'intestino tenue) dove la vitamina B12 viene assorbita. In assenza di fattore
intrinseco, la vitamina B12 viene quasi completamente eliminata con le feci. La
conseguente avitaminosi è responsabile di una tipica anemia, detta perniciosa.
La muscolatura permette il passaggio dal bolo dallo stomaco al duodeno e anche
rimescola il cibo (fino a che le particelle di cibo raggiungono lo spessore di 3
mm), viene così liquefatto e diluito, così un’altra funzione importante è che lo
stomaco in modo regolato, ogni tanto, aprendo il piloro, con un movimento che va
verso esso, passa un piccolo fiotto, siccome il contenuto è molto acido, lo stomaco
ha una parete fatta apposta per resistere, ma subito dopo non c’è nessuna parete
resistente, per cui il piccolo fiotto viene neutralizzato e l’alimento può proseguire
a piccole quantità nel duodeno, con lo svuotamento, passando per il piloro.
Focalizzandoci sulle secrezioni ormonali, lo stomaco libera vari importanti ormoni
fra cui :
-
la Gastrina, secreta quando l’acidità nello stomaco diminuisce (pH si
alza), va in circolo raggiunge il cuore destro attraverso i polmoni, poi al cuore
sinistro, infine giunge di nuovo alla regione acido – secernente dello stomaco,
detta area oxintica, per stimolare la secrezione di acido cloridrico, riabbassando il
pH.
-
la Grelina, liberata soprattutto nel digiuno e in anticipazione dei pasti. La
scoperta dell’ormone grelina si è avuta nell’ambito della ricerca di un fattore
liberante il GH, ma dal GHRH (Growth – Hormone – Releasing - Hormone),
l’ormone ipotalamico già noto che, stimola potentemente il rilascio dell’ormone
della crescita (GH). Cercando nell’intero organismo il fattore che giustificasse
questo meccanismo, si è scoperto che si trattava di un ormone dello stomaco, che
fu denominato liberatore di GH, ovvero Ghrelina in italiano grelina. Oltre a quella
di stimolo alla secrezione dell’ormone della crescita (GH), una serie di evidenze
sperimentali, ha assegnato alla grelina un ruolo nell’assunzione alimentare e nella
72
regolazione del bilancio energetico e nel controllo del peso corporeo. Le
concentrazioni plasmatiche di grelina
sono influenzate dalle variazioni delle
condizioni nutrizionali sia nel breve che nel lungo periodo. Una riduzione
postprandiale di livelli di grelina è stata evidenziata anche nell’uomo e la sua
somministrazione esogena induce a breve termine un aumento dell’appetito,
suggerendo perciò che la sua inibizione subito dopo un pasto possa partecipare
alla cessazione del pasto.
Nell’uomo obeso i livelli di grelina sono significativamente ridotti rispetto ai
soggetti normpeso, ma non sono ulteriormente inibiti dall’alimentazione. I bassi
livelli di grelina nell’uomo obeso escludono che l’eccesso d’adipe possa essere
determinato, in modo determinante da eccessiva attività secretoria di questo
ormone oressizzante.
Gli effetti di stimolo della grelina sull’appetito sono mediati attraverso vie
coinvolgenti l’AgRP, con un antagonismo sui recettori MC4 e la secrezione di
NPY. La grelina rende reversibile l’effetto anoressizzante della leptina,
suggerendo che grelina e leptina possono agire sui medesimi sistemi neuronali.
Recenti osservazioni circa le implicazioni metaboliche della grelina, hanno messo
in evidenza come l’aumento del tessuto adiposo, ottenuto in seguito al trattamento
con grelina, sia associato ad un aumento del quoziente respiratorio che assume il
significato di una riduzione dell’ossidazione lipidica.
Queste osservazioni sollevano l’interessante possibilità che l’effetto della grelina
sul peso corporeo sia dovuto ad un aumento dell’introito alimentare, con un
preferenziale indirizzamento dei substrati lipidici verso la liposintesi nel tessuto
adiposo piuttosto che verso l’ossidazione. Tuttavia ma un effetto diretto della
grelina sul metabolismo energetico non è ancora stato dimostrato. Nell’insieme,
quindi, la grelina può essere considerata come potente stimolo oressizzante che
origina dallo stomaco ed agisce a livello del sistema nervoso centrale, portando da
un lato ad aumentata secrezione di GH, e dall’altro attivando tutta una serie di reti
neuronali effettrici della risposta oressizzante e di bilancio energetico positivo.
73
3.6. Intestino e suoi ormoni.
L’intestino tenue fa seguito allo stomaco; è compreso tra il piloro e la valvola ileo
– ciecale, esso occupa la maggior parte del comparto sottomesocolico
dell’addome. Si distingue dal crasso per la superficie liscia e per il minor calibro: è
lungo circa sei metri ed è l’organo fondamentalmente deputato alla digestione ed
all’assorbimento dei principi alimentari: Esso consta di tre porzioni: duodeno,
digiuno ed ileo.
Il duodeno fa seguito al piloro, è
-
lungo circa 25cm, con diametro di 5cm
circa. Presenta la forma di “C”, in cui si
ravvisano
quattro
tratti:
tratto
prossimale, tratto discendente, tratto
orizzontale, infine tratto ascendente.
-
Il digiuno deve il suo nome al
fatto
che,
nei
frequentemente
reperti
autoptici
è
trovato
privo
di
contenuto, dato che l’attività peristaltica
intestinale permane per qualche tempo
dopo il decesso.
-
L’ileo deve il suo nome al riscontro
Fig. 45Intestino tenue e crasso.
relativamente frequente di fenomeni ostruttivi.
Sia il digiuno che l’ileo si presentano ripiegati su se stessi a formare anse
ampiamente mobili nella cavità addominale.
Tutte le anse sono collegate alla parete addominale posteriore dal mesentere, esso
è una plica peritoneale costituita da due foglietti e distesa a ventaglio con un
margine libero di lunghezza pari a quella dell’intestino cui aderisce ed un margine
fisso breve, lungo circa 15cm, impiantato sulla parete addominale posteriore,
lungo una linea obliqua che dal margine sinistro del corpo della 2a vertebra
lombare va alla fossa iliaca destra, a livello dell’articolazione sacro – iliaca. Nello
spessore del mesentere decorrono i vasi e i nervi destinati alle varie anse digiunali
e ileali.
74
La superficie interna dell’intestino ha un aspetto vellutato per la presenza di
piccoli rilievi detti villi intestinali, numerosissimi, fino a mille
per cm2. Questi sono costituiti da uno stroma connettivale,
rivestito da epitelio, formato a sua volta da enterociti. Essi
presentano un classico orletto a spazzola, costituito da numerosi
microvilli, molto regolari ove ci sono legate nella membrana
una serie di enzimi che tagliano soprattutto zuccheri. Questo è
un
elemento
importante
dell’assorbimento,
mentre
nell’assimilazione
invece
le
poco
proteine
prima
vanno
soprattutto gli enzimi liberati dal pancreas. Inoltre sono dotati
di un ricco reticolo endoplasmatico liscio deputato alla sintesi
Fig. 46.
particolare
dei microvilli
del colesterolo, fosfolipidi e trigliceridi a partire dagli acidi
grassi e dai monogliceridi assorbiti separatamente. L’abbondante reticolo
endoplasmatico rugoso provvede alla sintesi di numerose proteine; alcune di loro
si legano ai predetti trigliceridi, dando luogo alla formazione dei chilomicroni.
Questi sono rilasciati negli interstizi fra le cellule per poi immettersi nella via
linfatica..
I monosaccaridi e gli aminoacidi vanno direttamente nel circolo portale, e poi
trasportati nel circolo venoso.
Dal punto di vista ormonale, l’intestino tenue rilascia vari ormoni:
-
La Colecistochinina (CCK), è un ormone anoressizzante, che riduce il
senso della fame e quindi
l’assunzione di cibo. Essa è presente in cellule
endocrine del duodeno e del digiuno. E’ rilasciata in circolo in presenza di cibo nel
lume intestinale, specie lipidi. La colecistochinina
(CCK) è associata alla
digestione: essa infatti, stimola la cistifellea a contrarsi e a liberare la bile nel
duodeno (allo scopo di emulsionare i grassi), e il rilascio di enzimi pancreatici
digestivi nel duodeno.
Sono stati identificati due recettori per la CCK: la colecistochinina A, espressa nei
tessuti periferici, includendo pancreas, lo sfintere pilorico, e fibre nervose vagali
afferenti. Il recettore colecistochinina B, è invece ampiamente distribuita a livello
del sistema nervoso centrale. Il blocco dei recettori CCK A, si oppongono
all’effetto saziante della somministrazione esogena di CCK, portando inoltre ad
un aumento dell’introito alimentare basale a causa di un’inibizione della CCK
75
endogena. Tuttavia la CCK non è in grado di passare la barriera ematoencefalica,
ed agisce stimolando il nervo vago.
La somministrazione periferica di CCK promuove il senso di sazietà sia
indirettamente attraverso l’inibizione dello svuotamento gastrico, che attivando i
segnali vagali afferenti, agendo su specifici recettori presenti sui neuroni delle vie
vagali. Entrambi questi meccanismi richiedono l’integrità del nervo vago e in
particolare di quelle fibre vagali responsive al CCK che terminano a livello del
NTS (nucleo del tratto solitario), che a sua volta manda proiezioni nervose al
nucleo paraventricolare. Quest’ultima è l’area più importante per l’integrazione
dei segnali che provengono dalla periferia con i sistemi e le aree effettrici centrali
nel controllo dell’appetito e dell’alimentazione.
-
La Secretina, è un polipeptide sintetizzato da alcune cellule del duodeno e
del digiuno in forma inattiva ( prosecretina ), che è attivato dall’arrivo nel
duodeno del chimo acido. Stimola la secrezione pancreatica, incrementa la lipolisi
e la glicolisi, durante il digiuno prolungato. La sua secrezione è inibita dalla
somatostatina. (Arturo Pizzoferrato – ormoni e dosaggi ormonali- piccin)
-
Il VIP (vasoactive intestinal polypeptide), è un neuropeptide con funzioni
neurotramettitorie, si riscontra in maggiori concentrazioni nei plessi nervosi di
Meissner o plesso sottomucoso e di Auerback o plesso mioenterico (vedi figura
sotto), nella corteccia cerebrale e nell’ipotalamo e in minori concentrazioni nel
cuore, nei polmoni, nei reni e nella cute.
Nel
sistema
determina
dello
gastroenterico
il
rilasciamento
sfintere
esofageo,
coordina il rilasciamento della
muscolatura
intestinale
e
stimola la secrezione d’acqua e
di elettroliti nell’intestino; nel
pancreas invece stimola la
secrezione di bicarbonato ed
enzimi. Ha un’emivita molto
breve, un minuto circa, ed è
Fig. 47. Plessi nervosi di Meissner e Auerback
prevalentemente metabolizzato a livello epatico.
76
L’intestino crasso costituisce l’ultimo segmento del canale alimentare, misura
circa 1,5m ed ha un calibro variabile di circa 7cm nel tratto iniziale, per ridursi a 3
– 4cm nel tratto distale. Funzionalmente il colon è impegnato nell’assorbimento di
acqua, elettroliti ed acidi grassi a catena corta, nonché nella eliminazione sotto
forma di feci dei residui alimentari non assorbiti. Esso è inoltre caratterizzato dalla
presenza di una ricca flora batterica. Questa parte d’intestino è suddivisa in tre
tratti: cieco, colon e retto.
-
il cieco è la porzione più espansa dell’intestino crasso e corrisponde al
tratto situato al di sotto della giunzione ileocecale. Ha sede nella fossa iliaca
destra; gode di mobilità variabile in rapporto al livello di riflessione del suo
rivestimento peritoneale sulla parete addominale posteriore. La sua superficie
interna presenta tre tasche di cui una mediale, una anteriore e una posteriore, in
corrispondenza della tasca mediale si apre il lume dell’appendice.
-
il colon consta in quattro segmenti: colon ascendente, traverso, discendente
e il sigma ed è disposto a formare una cornice attorno alle anse del digiuno e
dell’ileo.
-
il retto è invece è il penultimo tratto del crasso, misura circa 12 - 13cm;
esso si estende dalla terza vertebra sacrale a 3cm circa del contorno dell’ano.
Presenta una porzione più espansa o ampolla rettale ed una porzione ristretta,
perineale o colonnare.
-
il canale anale fa seguito alla porzione perineale del retto e si estende dalla
linea passante per le basi delle colonne rettali all’orificio esterno dell’ano. Esso è
lungo circa 3cm ed è strutturalmente è caratterizzato da una mucosa dotata di
epitelio pavimentoso composto che in prossimità dell’orifizio anale esterno risulta
corredato di ghiandole sudoripare e sebaceee.
Anche l’intestino crasso ha una funzione endocrina liberando diversi ormoni:
-
Peptide YY(PYY): è un ormone che l’intestino distale rilascia a fine pasto
in quantità proporzionale a quanto abbiamo mangiato: maggiore è il contenuto
calorico del pasto, maggiore sarà la quantità di peptide YY rilasciato. La sua
funzione è quella di inibire l’acidità gastrica e la secrezione del pancreas. Studi su
ragazze anoressiche evidenziavano livelli di peptide YY più alti del normale;
inoltre, quando le ragazze anoressiche riacquistano un peso, i livelli di peptide YY
si abbassano bruscamente.
77
-
Enteroglucagone: prodotto a livello delle cellule L presenti nel tratto
terminale dell’ileo e del colon. Esso pur essendo prodotto a livello intestinale, è in
realtà formato da diversi componenti quali la glicentina, l’oxintomodulina, il GLP1 e il GLP-2. L’azione di questo ormone è quella di stimolare la secrezione
pancreatica di glucagone; ha azione inibente sulla secrezione gastrica, influenza il
rimo dello svuotamento dello stomaco. La sua secrezione è stimolata dai
carboidrati e inibita dai lipidi.
-
GLP-1 (glucagon-like peptide-1) polipeptide prodotto anch’esso dalle
cellule L, il quale secernono il peptide in risposta all’ingestione di cibo ( in
particolare carboidrati e grassi). Questo peptide è prodotto dal proglucagone che
sintetizza una proteina, il pre-proglucagone, che è processata in maniera diversa a
seconda dai tessuti in cui è sintetizzata. In questo modo, a livello delle cellule α
del pancreas, gli enzimi proteolitici determinano il rilascio di glucagone ma anche
d’altri peptidi inattivi, mentre a livello delle cellule L dell’intestino determinano il
rilascio di diversi peptidi quali i sopraccitati glicentina, l’oxintomodulina, il GLP1 e il GLP-2 ( noti originariamente come col nome di enteroglucagone). In
particolare il GLP-1 ha nella sua azione fisiologica quella di stimolare la
secrezione d’insulina in risposta al glucosio e di ridurre la secrezione di
glucagone, determinando così una riduzione significativa dei livelli circolanti del
glucosio in seguito all’ingestione di cibo. Essa è inoltre in grado di inibire la
secrezione gastrica e di rallentarne lo svuotamento, con conseguente aumento del
senso della sazietà e ridotta ingestione di cibo. Inoltre esso, come altri ormoni
gastrointestinali è sintetizzato anche a livello del sistema nervoso dove sembra che
partecipi alla regolazione dell’ingestione del cibo.
Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per un possibile utilizzo dell’ormone nella
terapia del diabete mellito di tipo 2, ma presenta una potenzialità terapeutica
limitata a causa della sua breve emivita ( circa 2 minuti).
Al contrario, poco conosciuta è l’azione fisiologica svolta dagli altri peptidi
prodotti dalle cellule L intestinali a partire dal proglucagone, anch’essi rilasciati in
risposta al pasto. L’Oxintomodulina, strutturalmente molto simile al glucagone,
ha la capacità di inibire la secrezione e la motilità gastrica e di inibire, inoltre, la
secrezione pancreatica, mentre invece, il GLP-2 sembra stimolare la
proliferazione delle cellule intestinali.
78
3.7. Pancreas e rilascio ormonale.
Il pancreas è un organo a struttura ghiandolare dotato di attività sia endocrina che
esocrina. È situato trasversalmente nella parte superiore dell’addome, dietro lo
stomaco, tra la “C” duodenale e l’ilo della milza, restando addossato alla parete
posteriore, a livello della I e II vertebra lombare. Ha forma allungata e appiattita,
pesa circa 75 grammi. È costituito di tre parti (testa, corpo e coda) ed è dotato di
due dotti escretori i quali scaricano il succo pancreatico, ricco d’enzimi digestivi,
nel duodeno.
Dotto biliare
Dotto pancreatico.
Dotti escretori
C duodenale
Testa
Corpo
Coda
Fig. 48.Pancreas.
Questa struttura trova inclusa una componente di tessuto endocrini molto
importante: le isole di Langherans o isole (insule) pancreatiche. Esse sono
raggruppamenti di cordoni cellulari, composti di qualche centinaio di cellule
endocrine; sono distribuite in tutto il pancreas, nel contesto del tessuto esocrino,
sono inoltre provviste di capillari e innervate dal sistema nervoso autonomo e da
vie sensitive. Dette isole sono composte di quattro popolazioni cellulari:
- cellule a insulina (dette anche β o B), il quale costituiscono la porzione
maggiore e centrale delle isole.
- cellule a glucagone (dette α o A).
- cellule a somatostatina.
- cellule a polipeptide pancreatico.
Le cellule degli ultimi tre tipi sono disposte, invece, perlopiù alla periferia.
79
Il sangue decorre primariamente dal centro alla sua periferia e indi attraverso il
parenchima; l’effluente venoso del pancreas entra nel “sistema portale” e va
quindi al fegato prima di distribuirsi al resto dell’organismo. Ne risulta che il
fegato è il primo bersaglio degli ormoni insulari, che qui giungono a
concentrazioni elevate.
La funzione delle cellule a insulina è tipicamente di rispondere all’elevarsi della
concentrazione dei livelli di glucosio, o prima ancora ad ormoni liberati dal tubo
digerente. Infatti durante il primo assorbimento delle sostanze nutritive alimentari
specialmente
glucidiche,
appositi
ormoni
immediatamente
stimolano
la
liberazione di insulina, prevenendo così una forte elevazione della glicemia subito
dopo il pasto (nel pancreas, le cellule beta non hanno bisogno di attendere che
realmente la glicemia aumenti, per rispondere, ricevono un segnale diverso e
indiretto il quale comunica che sta per arrivare il carico glucidico, inizia a
secernere e quindi il risultato, l’aumento di glicemia, che non è un evento positivo
che aumenti troppo a lungo periodo, viene tenuto a livelli ottimali), fatto che si
verifica durante l’assorbimento delle sostanze nutritive alimentari specialmente
glucidiche. Tramite la vena porta, l’insulina giunge al fegato insieme alle sostanze
nutritive assorbite ed esercita qui una prima azione fondamentale azione:
L’insulina si dimostra un potente ormone, che agisce in primis al fegato,
comunicando alle sue cellule di catturare glucosio e di trattenerlo sotto forma di
polimero glicogeno.
Successivamente come ben si comprende, l’insulina stessa si distribuirà anche a
tutto il resto dell’organismo, ove ha come bersaglio tutti gli organi, tessuti e
cellule nei quali aumenta la captazione e l’utilizzo del glucosio.
Un particolare interessante è stato evidenziato con la scoperta di una nuova
proteina rilasciata dagli adipociti, che potrebbe spiegare perché molti soggetti
sovrappeso soffrono anche di diabete di tipo 2. La proteina è stata chiamata
resistina (il nome deriva dalla capacità di causare una resistenza alla produzione
di insulina), infatti, sembra che questa possa inibire la risposta insulinica
dell’organismo.
Come già descritto, l’insulina è un importante ormone, fondamentale, per regolare
la quantità di zuccheri circolanti nel sangue dopo il pasto. Essendo noto che le
cellule dei pazienti diabetici diventano incapaci di assorbire il glucosio, lasciando
nel sangue stesso elevate concentrazioni che diventano pericolose alla salute. Il
80
diabete insorge quando l’organismo diventa incapace di fornire risposta insulinica
e nell’arco dei decenni può portare a danni irreversibili, quali nefropatie, cecità ed
altre serie patologie.
-
Il glucagone, secreto dalle cellule alfa, è invece il tipico ormone del
“digiuno”: esso è liberato e quindi si riversa nel sistema portale del fegato quando
ci stiamo allontanando dalla fase d’assorbimento del pasto e quindi l’assorbimento
di glicidi tende rapidamente a diminuire. Giungendo al fegato il glucagone stimola
gli epatociti a fare glicogenolisi, quindi render disponibile man mano quel
glucosio che era stato accumulato nelle cellule stesse. Il glucosio modificato in
glicogeno è pronto per essere utilizzato per quando ci si trova lontano
dall’assorbimento delle sostanze nutritive. Si noti come tale meccanismo di
mantenimento della glicemia è limitato, e quindi si esaurisce in tempi
relativamente brevi della giornata, ma diventa fondamentale per la
necessità
ininterrotta di alcuni organi, quali, ad esempio, il sistema nervoso centrale.
-
La somatostatina frena la secrezione d’insulina, contribuendo ad evitare
un’eccessiva riduzione del glucosio in circolo ed evitare l’ipoglicemia, particolare
importante questo, tanto che altre ghiandole endocrine e ormoni sono predisposti
alla difesa da gravi rischi dovuti all’ipoglicemia (es.: midollare e corticale del
surrene).
-
Il Polipeptide pancreatico, si forma nelle cellule PP che si trovano sia
nelle isole di Langherans (circa 1,2% del totale), sia nel tessuto pancreatico
esocrino della testa. La principale funzione fisiologica sembra essere quella
d’inibitore della secrezione enzimatica del pancreas e d’inibitore della contrazione
colicistica, risultando un antagonista della colecistochinina (CCK).
81
Basso livello di
glucosio nel sangue
Rilascio Glucagone
dalle cellule beta
Il fegato rilascia
glucosio nel sangue
Alto livello di
glucosio nel sangue
Insulina rilasciata dalle
cellule beta
Le cellule dei tessuti
insulino dipendenti
assorbono glucosio nel sangue
Fig. 48. Rilascio Insulina e glucagone in base ai livelli circolanti di glucosio
3.7.1.Pancreas esocrino
La parte esocrina è costituita da acini con cellule ricche di granuli di zimogeno;
agli acini fanno seguito i dotti intercalari che confluiscono nei dotti intralobulari,
nei quali a loro volta sfociano nei dotti interlobulari e questi nel sistema escretore
principale.
Gli enzimi pancreatici qui prodotti sono una miscela di fattori che dissolvono i
legami chimici delle sostanze introdotte con l’alimentazione, in modo da
completare la digestione e consentire l’assorbimento. In particolare, la non casuale
miscela con la bile, consente che l’emulsione dei grassi a questa dovuta sia seguita
dall’azione demolitrice delle lipasi pancreatiche. Quindi per ogni sostanza c’è uno
specifico enzima pancreatico, quali ad esempio: amilasi, proteasi, RNAsi DNAsi e
così via.
82
3.8.Fegato
Il fegato è il viscere più voluminoso del corpo, pesa circa 1,5 Kg, e svolge
molteplici attività metaboliche, grazie alla sua privilegiata condizione di trovarsi
inserito nel circolo refluo del distretto splancnico addominale, tra il sistema
portale ed il sistema della vena cava inferiore, cosa che gli consente di ricevere
sangue ricco di principi alimentari e di numerosi ormoni ( fra cui insulina,
colecistochinina e glucagone).
Il fegato è mantenuto in situ da legamenti , formati da due ordini di pieghe
peritoneali, dette epato-diaframmatiche e epato-viscerali. Le prime sono
rappresentate da legamenti coronarici ,dai legamenti triangolari e dal legamento
falciforme con annesso legamento rotondo, unendo l’organo al diaframma o alla
parete addominale posteriore, mentre invece, il secondo tipo di legamento
connette il fegato ai viveri vicini.
Tra le sue funzioni più rilevanti, si ricorda:
-
la secrezione della bile
-
pre - ormoni: produzione di angiotensinogeno (da cui l’angiotensina I
deriva e a sua volta la sua formazione è provocata dalla renina)
immissione in circolo di fattori della coagulazione quali il fibrinogeno
-
la gluconeogenesi e la glicogenolisi
-
l’inattivazione di sostanze tossiche
-
la coniugazione della componente lipidica a varie proteine poi immesse
nel circolo ematico.
-
il metabolismo delle purine
Legamenti coronari (sotto il diaframma)
Lobo destro
Lobo Sinistro
Cistifellea o colecisti
Legamento rotondo
Fig. 49. Rappresentazione del fegato
83
La Colecisti è un serbatoio preposto alla raccolta della bile continuamente
prodotta dagli epatociti. Negli intervalli digestivi, oltre che da contenitore di bile
funziona, contemporaneamente come un organo deputato alla sua concentrazione.
La bile, che è costituita per il 90% da acqua e Sali biliari, pigmenti e colesterolo in
sospensione, è iniettata nel duodeno collaborando così alla digestione. La bile
funge per un certo grado da detergente, aiutando ad emulsionare i grassi e
partecipa così al loro assorbimento nel piccolo intestino; quindi ha parte
importante nell'assorbimento delle vitamine D, E, K e A che si trovano nei grassi.
Oltre alla funzione digestiva, la bile serve anche all'eliminazione della bilirubina,
prodotta dalla degradazione della emoglobina, che le dà il tipico colore.
Il drenaggio venoso della colecisti fa in gran parte capo al circolo portale. Il
peritoneo infine, riveste le pareti della cavità addominale e la superficie di
numerosi visceri in essa contenuti, delimitando uno spazio virtuale detto cavità
peritoneale. Esso è una delle tre grandi sierose del corpo umano, e la parte che
riveste le pareti addominali prende il nome di peritoneo parietale; mentre invece,
la porzione che si riflesse sui visceri e li riveste costituisce il peritoneo viscerale.
3.8.1.Vasi Sanguigni
Il fegato presenta una ricca vascolarizzazione; riceve infatti sangue da tutto il
tratto sottodiaframmatico del canale alimentare fino all’estremità prossimale del
retto, dal pancreas, dalla milza, dall’intestino tramite la vena porta; riceve inoltre
sangue arterioso dalla arteria epatica. All’interno del fegato, la vena porta e
l’arteria epatica ramificano ripetutamente dando luogo alla formazione di un
albero vascolare artero – venoso; i rami esterni sfociano in capillari di ampio
calibro, i sinusioidi epatici che confluiscono nelle vene centrali che rappresentano
le radici delle vene epatiche, tributarie (che si versano in un’altra vena), della
vena cava inferiore.
I rami portali e quelli dell’arteria epatica viaggiano insieme ai dotti biliari.
L’arteria epatica nasce dal tronco celiaco, garantisce l’apporto di sangue
arterioso all’organo, mentre, le vene epatiche si gettano nella vena cava inferiore.
La vena porta è una vena lunga 7-8cm circa, si forma in corrispondenza della
superficie dorsale della testa del pancreas dalla confluenza della vena mesenterica
superiore con il tronco spleno mesenterico, costituito a sua volta dalla confluenza
della vena mesenterica inferiore con la vena lineale. La vena mesenterica
84
superiore, raccoglie sangue refluo dall’intero intestino tenue, dal tratto prossimale
del crasso, fino alla metà del colon traverso e dal pancreas.
La vena mesenterica inferiore proviene dalla parete della metà sinistra del colon
traverso e dai segmenti successivi fino alla prima funzione del retto. Invece la
vena lineale proviene dalla milza.
3.8.2. Innervazione
L’innervazione del fegato è caratteristicamente priva di terminazioni sensitive e
accompagna sostanzialmente i vasi sanguigni. Solo i dotti biliari presentano fibre
sensitive. Mente invece, l’innervazione della colecisti è particolarmente ricca di
terminazioni sensitive a differenza dell’intero fegato che è quasi privo, infatti le
patologie ostruttive (calcoli alla colecisti), danno luogo ad una sintomatologia
dolorosa molto forte.
Fig. 51. Visceri più interni del cavo addominale. Da notare il mesocolon trasverso cui poggia
lo stomaco(in figura risulta asportato).Lambertini
85
4.Cenni sulle malattie dismetaboliche
Obesità e Soprappeso. In passato il sovrappeso era considerato un segno di
benessere sociale e l’obesità una garanzia di un’elevata probabilità di
sopravvivenza. Nel mondo contemporaneo, invece, rappresenta una vera e propria
patologia sociale, essa riduce l’aspettativa di vita, aumenta la morbilità
innalzando, tra l’altro, la spesa sanitaria.
L’obesità in quanto tale, è risultata un forte fattore di rischio per le malattie
cardiovascolari, la cardiopatia ischemica, le malattie cerebrovascocolari, e
l’ipertensione arteriosa, così come per le malattie metaboliche quali il diabete
mellito, le dislipidemie e le iperuricemie. Si associa all’obesità anche un
aumentato
rischio
malattie
di
dell’apparato
respiratorio
quali
le
broncopneumopatie restrittive ed altre, esse, infine, rappresentano un ulteriore
fattore di rischio per alcune malattie neoplastiche, quali tumori del colon, del retto
e della mammella.
Una
precisa definizione dell’obesità ha comportato considerevoli dibattiti e
discussioni per stabilire quali né fossero i limiti di peso al di sopra dei quali
dovesse essere posta la diagnosi dell’obesità. Attualmente si utilizza l’indice di
massa corporea (IMC o BMI body mass index), che consiste nel peso corporeo
espresso
in
chilogrammi
diviso
l’altezza
espressa al quadrato ( kg/h2 ).L’obesità è
comunque
caratterizzata
da
un
aumento
eccessivo della massa adiposa, dovuto ad un
aumento degli adipociti sia per numero che per
volume,
come
nei
casi,
rispettivamente,
d’obesità iperplasatica o ipertrofica.
BMI (Kg/m2 )
18.5 – 24.9 = Normpeso
25.0 – 29.9 = Sovrappeso
30.0 – 34.9 = Obesità classe I
35.0 – 39.9 = Obesità classe II
> 40
= Obesità classe III
Fig. 52Tabella di classificazione dell’obesità.
Fig. 53. Normogramma di calcolo
dell’indice di massa corporea (BMI = Kg/m2).
86
Eziopatogenesi: L’eziopatogenesi dell’obesità è multifattoriale. Il deposito di
tessuto adiposo in eccesso è conseguenza di uno squilibrio tra apporto calorico e
dispendio energetico: a tale squilibrio contribuiscono fattori genetici, ambientali,
socio culturali ecc. Ad esempio, alcuni secoli fa presso classi povere, la capacità di
accumulare una buona quota di calorie assunte in forma di tessuto adiposo,
rappresentava la miglior possibile garanzia di sopravvivenza. Oggi, invece per
contrapposto, risulta in squilibrio per via dell’eccessiva disponibilità.
Una volta diagnosticata l’obesità e il suo grado, si procede con una terapia, che
deve essere individualizzata, anche perché la percentuale di insuccessi e di
recidive a lungo e medio termine è alta. Nei casi d’obesità primaria il trattamento è
basato essenzialmente su modificazioni delle abitudini alimentari e dello stile di
vita, motivando il paziente verso strategie che consentano di ridurre l’introito
calorico e di aumentare il dispendio energetico attraverso l’incremento
dell’esercizio fisico. Successivi interventi nei casi d’obesità di seconda classe
(vedi tabella in fig. 52), possono giovarsi anche alcuni interventi farmacologici.
Quando il BMI è superiore a 40 (obesità classe III), ci può essere l’interesse ad
indirizzare il paziente verso un, estremo, trattamento chirurgico di tipo bariatrico,
con bendaggio gastrico regolabile in modo da creare un effetto clessidra. Con
questa tecnica si ottiene un rapido riempimento dello stomaco e quindi un senso di
sazietà.
Diabete mellito.
Il diabete mellito è un disordine complesso del metabolismo dei carboidrati, dei
lipidi e delle proteine, esso è caratterizzato dalla tendenza ad iperglicemia dovuta a
deficit della secrezione e/o dell’azione periferica dell’insulina.
Secondo la classificazione ADA (American Diabets Association), il diabete
mellito è classificato come Diabete di tipo 1 e di tipo 2. tale classificazione
rispecchia le numerose differenze che distinguono le due entità nosologiche.
Vengono raggruppate in un’unica entità differenti forme di diabete, siano esse
secondarie a malattie endocrine o a sindromi genetiche, oppure a difetti genetici
sia della funzione della β cellula che dell’azione insulinica, od infine concomitanti
a patologie del pancreas esocrino, ad infezioni o abuso di farmaci. Un discorso a
parte merita il diabete gestazionale, che si manifesta durante la gravidanza e che
può scomparire dopo il parto.
87
La diagnosi del diabete mellito può essere sospettata clinicamente quando sintomi
e segni rilevabili al momento dell’esordio clinico sono relativamente evidenti, ad
esempio bisogno continuo di bere o urinare spesso. I criteri standard per la
diagnosi sono riportati nella seguente tabella: 70- 100
- Glicemia > 200 mg/dL in un qualunque momento della giornata
- Glicemia a digiuno > 126 mg/dL in almeno due occasioni
- Glicemia a digiuno < 126 mg/dL ma > 200 mg/dL dopo 120
minuti dal carico orale di glucosio
- Glicemia > 100 mg/dL e < a 126 mg/dL è alterata.
- Glicemia compresa fra 70 e 100 mg/dL è fisiologica.
Il rilevamento della glicemia basale a digiuno può essere diagnostico. La prova da
carico orale di glucosio, è invece riservata a soggetti con glicemia a riposo
<126mg/dL, e può risultare utile per identificare pazienti con ridotta tolleranza
glucidica o gestanti con sospetto diabete gestazionale .
Fig. 54.Criteri diagnostici per il diabete mellito e la ridotta tolleranza glucidica.
Marcatori immunologici. La presenza di autoanticorpi è importante per
identificare il tipo di diabete, in particolare nella situazione in cui l’età di
insorgenza non consente una diagnosi differenziale. La presenza di elevati titoli
anticorpali, prima di un’eventuale terapia insulinica, indica diabete di tipo1. I
marcatori immunologici più noti sono gli anticorpi contro le cellule insulari (ICA -
islet cell antibody ) e gli anticorpi antiinsulina (IAA – insulin auto antibody)cui
più recentemente si sono aggiunti gli anticorpi antidecarbossilasi dell’acido
glutammico (GAD - glutamic acid decorboxylase).
88
Diabete di tipo 1 - insulino dipendente
È una sindrome cronica che colpisce prevalentemente soggetti in età giovanile:
Essa è caratterizzata da carenza insulinica, dovuta a distruzione della cellula β
pancreatica, ad esempio in seguito a parotite virale che abbia coinvolto il pancreas.
Clinicamente, si rileva poliuria (consistente nell'emissione di una quantità di urina
superiore ai 2 litri nelle 24 ore), glicosuria (presenza nelle urine di zuccheri),
perdita di peso, evoluzione verso la chetoacidosi.
L’esordio clinico può essere acuto ( nell’arco di poche settimane, in genere tipico
in pazienti più giovani), con i segni sopra descritti, o nell’arco di alcuni mesi,
subdolo, con prevalenza di astenia, perdita di peso, oltre alla già citata poliuria e
polidipsia (necessità continua di bere).
I sintomi possono essere suddivisi in metabolici e non metabolici (tabella sotto).
Un sintomo d’esordio può essere la enuresi notturna (completa ed involontaria
incontrollabilità
della
Sintomi metabolici
vescica), specie nei bambini.
Sintomi non
metabolici
La diagnosi: viene formulata
Poliuria
Ictus
sulla base di elevati valori
Sete
Angina o infarto
Perdita di peso
Infezioni del tratto
glicemici
basali,
o
dopo
carico orale di glucosio, ove
opportuno, in presenza di
positività
urinario
Disidratazione
Prurito vulvare
Coma
Ulcerazioni e gangrene
anticorporale
(ICA,IAA, Anticorpi anti – GAD).
dei piedi
Fig. 55.Storia naturale del diabete di tipo 1.
89
Diabete di tipo 2 non insulino dipendente.
E anch’essa una sindrome cronica prevalentemente ( ma non esclusivamente)
dell’età adulta e anziana, spesso associata ad obesità, caratterizzata da
iperglicemia e da gradi diversi di insulino – resistenza con deficit “relativo” betacellulare, con una tendenza verso l’evoluzione verso la chetosi decisamente
inferiore rispetto al diabete di tipo 1.
Dal punto di vista epidemiologico, il diabete di tipo 2 è la malattia endocrina più
frequente e una delle maggiori cause di morbilità delle popolazioni occidentali
(vedi figura). La prevalenza di questo tipo di malattia diabetica varia a seconda
che si consideri solo la patologia conclamata o si includa anche la ridotta
tolleranza glucidica, come stadio preclinico della malattia.
fig. 56. Prevalenza del diabete nella popolazione generale compresa fra 20 e 74 anni.
Eziopatogenesi: Il diabete tipo2 è una patologia eterogenea alla quale
contribuiscono in rapporto variabile fattori genetici ed ambientali.
La componente genetica è dimostrata dall’elevata concordanza di comparsa della
malattia nei gemelli identici (90%), o nei consanguinei ( 35%). Non sono stati, ad
oggi completamente identificati, i geni responsabili di tale ereditarietà. Quale
fattore ambientale, incide lo stile di vita delle popolazioni occidentali, come già
accennato, caratterizzato da una ridotta attività fisica e da un relativo aumento
dell’introito calorico con conseguente eccesso ponderale. Ciò è confermato
dall’aumentata frequenza della malattia diabetica nei soggetti immigrati verso
paesi con tenore di vita elevato, nonché in popolazioni in cui l’incidenza era
originariamente scarsa, ma che negli ultimi decenni si sono trovate a contatto con
la civiltà occidentale.
In circa l’80% dei pazienti diabetici di tipo 2 è riscontrata l’associazione tra
diabete e obesità, per cui l’eccesso ponderale è considerato un fattore
90
predisponente. In particolare si è osservato che l’accumulo dei trigliceridi negli
adipociti, in particolare in quelli viscerali, altera il profilo sintetico degli adipociti
e di loro ormoni e fattori (adipochine). In particolare sarebbe aumentato il rilascio
della proteina resistina, e delle citochine infiammatorie quali il TNFalfa e la
interleuchina 6 (IL6), che sono in grado di diminuire la risposta tissutale
all’insulina (determinando appunto insulino resistenza), e di ridurre la secrezione
di insulina in risposta al glucosio, (inducendo quindi un deficit relativo
d’insulina). Il fatto che l’80% dei diabetici di tipo 2 sia obeso, spesso con una
distribuzione centripeta del tessuto adiposo, fa ritenere, oggi, che un’alterazione
dell’attività endocrina del tessuto adiposo possa essere un importante fattore
patogenetico della insulino – resistenza e del diabete mellito 2.
Di conseguenza, la dieta occidentale, ricca di lipidi soprattutto d’origine animale e
quindi con un elevato rapporto tra acidi grassi saturi e poliinsaturi, unitamente
all’inattività fisica, devono essere ritenuti oggi i principali fattori predisponenti
allo sviluppo del diabete di tipo 2.
Recenti studi evidenzierebbero ridotta produzione epatica di glucosio nei topi
carenti di resistina. Oltre a spiegare, almeno in parte, il ruolo dell’obesità nello
sviluppo del diabete di tipo 2, la resistina potrebbe offrire una nuova strategia
terapeutica: lo studio si indirizzerebbe verso la ricerca della riduzione dei livelli di
resistina nei pazienti diabetici. Ciò potrebbe essere ottenuto agendo sulle cellule
che producono la resistina stessa, legandola ad un anticorpo, oppure sviluppando
un farmaco che né blocchi l’azione della resistina sulle cellule. I livelli di resistina
aumentano nelle persone obese o diabetiche di tipo 2.
Esperimenti sui topi, sia nutriti normalmente che sottoposti a dieta ad alto tenore
di grassi, presentavano livelli di glucosio ridotti rispetto ai topi selvatici. Gli
animali obesi, trattati, e carenti di resistina, hanno mostrato una tolleranza al
glucosio notevolmente migliore rispetto a quelli selvatici, ed era necessario
somministrare ai primi più glucosio per mantenere livelli normali durante
l’iperinsulinemia ridotta. La conclusione sarebbe che l’assenza di resistina
proteggerebbe
dall’iperglicemia
a
digiuno
associata
ad
obesità.
La
somministrazione di resistina ai topi che ne erano privi, ha fatto aumentare i loro
livelli di glicemia a digiuno e la produzione di glucosio fino a livelli quasi
normali.
91
Invece, l’adinopectina si correla fortemente con la sensibilità all’insulina. I
risultati sugli studi effettuati sono limitati in particolar modo a soggetti con
alterata tolleranza glucidica, anziani o soggetti in soprappeso e/o obesità. I dati a
disposizione correlano bassi livelli di adinopectina a condizioni di adiposità.
Questa molecola suscita molto interesse scientifico per lo sviluppo di nuovi
farmaci antidiabetici.
Dislipidemie
S’intende quasi sempre un aumento di una o più frazioni lipidiche normalmente
presenti nel plasma e più raramente una diminuzione.
Invece, per iperlipidemie s’intendono quegli aumenti sopra la norma di una o più
frazioni lipidiche normalmente presenti nel sangue.
Le iperlipidemie possono essere primarie, intese come livelli sierici di colesterolo
e trigliceridi dovuti a patologie che riguardano direttamente il metabolismo
lipidico
o
delle
lipoproteine.
Le
iperlipidemie
più
frequenti
sono:
l’ipercolesterolomia, l’ipertrigliceridemia e l’iperlipidemia mista
L’ipercplesterolemia presenta livelli sierici
elevati di colesterolo
LDL
(lipoproteine a bassa densità), queste veicolano quasi esclusivamente colesterolo,
trasportandolo al fegato e ai tessuti periferici. Essa ha grado lieve, se i suoi valori
sono compresi tra 200 e 240 mg/dL. È invece grave con valori superiori a 240
mg/dL. In quest’ultimo caso il rischio di malattie cardiovascolari è quattro volte
maggiore rispetto ai soggetti normali. L’ipercolesterolemia può essere anche di
tipo familiare, dovuta ad un difetto genico consistente nella sequenza aminoacida
alterata.
Le ipertrigliceridemie sono dovute ad un aumentato livello delle VLDL
(lipoproteine a bassissima intensità), sintetizzate e secrete dal fegato, sono
costituite da trigliceridi endogeni, da una piccola quantità di colesterolo e
dall’apoproteina B100. il cui accumulo può derivare da una sintesi di un normale
meccanismo di rimozione oppure, alternativamente, da una diminuzione della
rimozione in presenza della normale sintesi. Si manifesta in età adulta,
accompagnata da iperuricemia, obesità e ridotta tolleranza ai glucidi, ipertensione
arteriosa e aterosclerosi.
La diagnosi si basa sull’aumento dei trigliceridi, sull’aspetto torbido e lattescente
del siero e sulla diminuzione del rapporto colesterolo/trigliceridi
92
In tutte queste patologie, il trattamento prevede una modifica dei comportamenti
alimentari in genere, riducendo l’apporto calorico e i grassi saturi con quelli mono
e polinsaturi. Anche un aumento di assunzione di carboidrati, con diminuzione del
consumo si sale e dell’alcool, favoriscono la diminuzione della lipidemia.
Le iperlipidemie secondarie, invece, s’intendono elevati livelli sierici di
colesterolo e trigliceridi che non riguardano direttamente il metabolismo lipidico.
Esse stesse comportano le stesse conseguenze delle forme primarie, ma sono
correlate con il trattamento eziologico. Esse sono accompagnate da ipotiroidismo,
diabete, epatopatie, nefropatie, stress.
93
4.Attività fisica e perdita di peso.
Lo sport è uno strumento fondamentale per dimagrire e mantenere il peso
ideale.
Una delle cause principali dell'aumento del fenomeno del sovrappeso e dell'obesità
è proprio la diminuzione del livello di attività fisica. Ai tempi odierni infatti ad
una riduzione dell’attività fisica corrisponde, come già accennato, un aumentato
numero di spuntini durante l’arco della giornata, con aumentato introito calolorico,
risultando quindi sempre più difficile non ingrassare o dimagrire.
Per riuscire a fare una vita normale dal punto di vista alimentare, seguendo una
dieta bilanciata e ipocalorica, che consenta di gestire lo stimolo della fame e di
concedersi ogni tanto qualche eccezione alimentare, bisogna fare in modo di
aumentare il dispendio calorico di almeno 300 kcal al giorno, in media, in modo
tale da consentire all'uomo di concedersi almeno 2000 kcal e alla donna 1600 kcal
al giorno. Tale dispendio calorico corrisponde a circa 2000 kcal la settimana,
abbasserebbe
drasticamente
il
rischio
di
malattie
cardiovascolari.
Lo sport, dunque deve garantire almeno questo dispendio calorico: per quante ore
bisogna praticarlo? Dipende dal tipo di sport, ma soprattutto dall'intensità.
Si può praticare sport per almeno 4-5 ore la settimana, consumando quindi 400500 kcal all'ora. Ad esempio, la camminata veloce, il cui consumo è circa 150200 kcal/h, dimostra che è necessario praticare attività sportiva per 10-13 ore la
settimana, con un dispendio di tempo di più di un'ora e mezza al giorno. Questo
dato deve far riflettere per chi non riesce a fare sport perché non ha tempo:
basterà, invece allenarsi correttamente e il tempo da dedicare allo sport potrà
diminuire.
I risultati mostrati nella figura sotto dimostrano che gli individui che praticano
una adeguata attività fisica sono meno soggetti all’aumento di peso rispetto ad
individui totalmente sedentari
Quindi l’ipotesi più probabile è che gli individui attivi abbiano un sistema efficace
di segnalazione della fame, mentre quelli inattivi avrebbero un inefficiente sistema
di segnalazione della sazietà.
94
Effetto di un diverso contenuto lipidico nella dieta
•
•
Esperimento 1: su individui con limitata attività fisica
Esperimento 2: su individui con normale attività fisica
Fig. 57. due esperimenti a confronto circa il contenuto lipidico nella dieta
Come già detto, l’attività fisica comporta un dispendio calorico maggiore, però
questo da solo non basta. Infatti ad una maggiore quota di uscite caloriche, si deve
diminuire l’introito alimentare e osservare alcune semplici regole.
Soprattutto in pazienti diabetici una corretta alimentazione può aiutare a limitare le
escursioni giornaliere di glicemia e come deve fare da supporto alla terapia
insulinica, ove previsto.
Nel piano alimentare i carboidrati devono prevedere circa il 55 – 60% delle
calorie, i lipidi devono rappresentare il 20% circa, mentre alle proteine spetta la
restante quota.
La quota calorica costituita di carboidrati deve essere composta quanto più
possibile da polisaccaridi, cereali e amidi, aventi un indice glicemico basso, per
ottenere indici glicemici post prandiali più contenuti. Devono essere incoraggiati i
dolcificanti e l’assunzione delle fibre vegetali che riducono il picco glicemico
post prandiale; ove possibile, l’alcool andrebbe eliminato e scoraggiate le bibite
analcoliche, fonte di zuccheri semplici.
L’assunzione di lipidi va controllata, in quanto il colesterolo non dovrebbe
superare i 300 mg/die e, tra i grassi stessi, andrebbero privilegiati i grassi
monoinsaturi in quanto non aumentano il colesterolo e in bassa percentuale
riducono l’LDL ematico, come ad esempio l’olio extravergine di oliva. Mentre
invece, meno del 10% delle calorie ingerite devono provenire da grassi saturi e
95
poliinsaturi: i primi sono i principali responsabili dell’aumento del colesterolo
LDL, essi sono presenti nelle carni di manzo, suini e ovini, e nella panna, latte,
burro e formaggi in genere; particolare da evidenziare, nei vegetali, si segnala
l’olio di palma, in quanto usato nelle catene di ristorazione per la frittura. I secondi
invece, sono presenti negli oli vegetali di mais, soia e girasole, e perlomeno
preferibili all’olio di palma.
Come già detto le proteine non devono superare il 20%, ma con cibi ad alto
contenuto proteico sono spesso presenti cospicue quantità di lipidi, pertanto è
preferibile assumere cibi di origine vegetale che animale.
Pazienti con ipertensione arteriosa, sia pure di grado moderato, è opportuna una
dieta iposodica, con non oltre i 3gr/die di sale. Astensione dal fumo dimezza il
rischio di mortalità per cause cardiovascolari.
Il regolare esercizio fisico aumenta il rapporto tra tessuto magro, ovvero
muscolare, e tessuto adiposo migliorando l’utilizzo dell’insulina, riducendo i
livelli glicemici. Il regolare esercizio fisico, infatti, determina un migliore utilizzo
dell’insulina a livello periferico e quindi una riduzione della resistenza all’insulina
stessa.
Fig. 58. Consumo energetico durante l’attività fisica (kcal per 30 minuti)
96
Fig. 59. Alimenti di base e snack con contenuto energetico di 500-550 kcal rispetto alle
attività fisiche con lo stesso consumo energetico.
Alcuni utili comportamenti alimentari.
E’ utile fare una buona colazione con thè, caffè e biscotti semplici, mangiare a
mezza mattina un frutto fresco di stagione per arrivare al pranzo senza avere
particolarmente fame. Evitare cibi particolarmente ricchi di grassi o di condire
eccessivamente gli alimenti con grassi animali e vegetali. Limitarsi nel consumo
del pane e nella pasta durante il pasto serale, o quanto meno dargli precedenza al
pranzo, in quanto introdotto nel pasto serale favorisce la sua trasformazione in
grasso. Dare preferenza alle insalate nei due pasti principali, in quanto sono ricche
di vitamine e sali minerali, ed hanno un contenuto calorico molto basso. Stesso
discorso per la merenda pomeridiana, dove è utile una piccola quota di carboidrati,
per arrivare al pasto serale e dare preferenza alla carne, possibilmente bianca, o al
massimo 2 volte alla settimana quelle rosse, o addirittura dare preferenza al pesce,
in quanto ottimi fornitori di contenuti proteici; per finire frutta di stagione.
97
Effetto della dieta e della dieta + esercizio fisico
nel mantenimento della perdita di peso
Fig. 59.Effetti della dieta nel mantenimento del peso corporeo
98
Conclusioni
1. La bilancia energetica è un delicato meccanismo preposto al mantenimento
del peso corporeo e alla regolazione della spesa energetica.
2. Esso opera tramite una rete di segnali sia umorali che nervosi, con lo scopo
di bilanciare l’introduzione di calorie alimentari con fabbisogno ed
accumulo di energia.
3. La pressione evolutiva ha reso il sistema molto più sensibile ai segnali di
carenza energetica, che vengono congruamente tradotti in senso di fame e
di conseguenza, in ricerca di cibo. Al contrario, i segnali di “abbondanza ”
del cibo e/o delle scorte energetiche accumulate (es. tessuto adiposo), sono
assai meno efficaci. In genere, il sistema riconosce assai meglio anche
semplici “diminuzioni” dell’abbondanza, che tende ad interpretare in modo
paradosso, di nuovo attivando segnali di ricerca di cibo.
4. Non
stupisce
quindi,
che
questa
disponibilità,
quantitativamente
abbondante di cibi ad alta densità calorica, e l’inattività fisica, variamente
correlate anche a ragioni ambientali e psicologiche, fanno sì che il bilancio
energetico si disequilibri, oggigiorno, molto spesso verso l’accumulo e
l’aumento di peso e /o di obesità. Questo spiega a livello di popolazione
(almeno in quelle occidentali), l’aumento e l’ampia diffusione ormai, dei
casi di obesità.
Lo studio dei segnali e delle regolazioni oressizzanti e anoressizzanti è
particolarmente intenso in questi tempi, e mira ad intervenire dal punto di vista
educativo,
comportamentale,
igienico,
psicologico
ed
eventualmente
farmacologico per la cura del sovrappeso grave e dell’obesità. In questo quadro, la
prevenzione si può fare con una corretta alimentazione che tenga conto della
conoscenza di alcuni dei principali fenomeni sopra descritti e con la
raccomandazione di un adeguato livello di attività fisica. Quest’ultima infatti si è
dimostrata capace di stabilizzare una perdita di peso ottenuta con la dieta, nonché
di mantenere più efficiente il sistema di regolazione energetico e metabolico.
In conclusione: l’individuo vuole dimagrire o, per converso, essendo sottopeso
vuole ingrassare. Di fatto, l’uno e l’altro individuo, entrambi incontreranno
straordinarie difficoltà ad ottenere l’uno o l’altro dei risultati, in quanto si attivano
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una serie di meccanismi, interni e potentissimi, che tengono a “mantenerci stabili”
sull’uno o sull’altro versante. Per contrapposto, la scrupolosa e costante
osservanza di alcune fondamentali regole alimentari, nonché uno stile di vita
indirizzato ad un congruo equilibrio fra attività e riposo, ed infine un’adeguata
attività fisica, possono consentire all’individuo di stabilizzare il peso corporeo in
termini decisamente fisiologici, riducendo il rischio di una lunga serie di
patologie metaboliche, cardiovascolari e molte altre, anche fortemente invalidanti
e certamente causa primaria di morte nel mondo occidentale.
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