Omelia ingresso nuovo parroco del S. Cuore in Padru 1 luglio 2016 Oggi con la celebrazione del S. Cuore di Gesù, manifestazione suprema dell’amore sensibile, umano, di Gesù, che si donò al Padre e a noi: viviamo l’insediamento di parroco di don Michele a Padru. Accompagnare un nuovo parroco che entra nella sua nuova comunità non è solo celebrare un giorno di festa che passa, ma vivere un momento di grazia. Sì, il passaggio da un parroco ad un altro nella Chiesa non è mai solo un avvicendamento di persone, come potrebbe essere in un’azienda di lavoro o ufficio del comune o più semplicemente in una portineria di condominio. No, questo che celebriamo è anzitutto un dono — il dono di un sacerdote — di cui rendere grazie al Signore, e nello stesso tempo è una chiamata rivolta ad una comunità cristiana, a cui il sacerdote è mandato, per una risposta generosa e coerente al vangelo. Il Vangelo è la nostra bussola per comprendere il cammino e sapere dove andiamo. Che cosa ci ha detto il Vangelo? E’ lo stesso Signore Gesù a descrivere accuratamente e puntualmente il suo cardiogramma: “mite e umile”! ed è studiando ogni giorno il tracciato del cuore di Cristo che siamo chiamati a metterci alla sua scuola per imparare continuamente fino ad essere conformi, fino a metterci all’unisono il nostro al suo stesso cuore. Nonostante certi modi di immaginare e di rappresentare il mistero del cuore di Cristo Signore, non c’è nulla di sdolcinato nel suo stile. Al contrario, la mitezza e l’umiltà sono il segno di una fortezza e di un’audacia interiore che rendono vittoriosi sul proprio egoismo e aperti a una compassione sempre più grande. Fermiamoci volentieri a contemplare il Mistero del Cuore di Cristo, trafitto perché amante: che si offre, che esce fuori di Sé, che si supera; che va oltre ogni offesa, ma anche oltre ogni tornaconto personale. Che va oltre ogni sentimento: e quanto è importate capire questo; è importante per i giovani, per gli sposi, per i consacrati, per i presbiteri, sì, amare è più che sentire. Senza il Mistero del Cuore di Gesù, il nostro Dio non sarebbe comprensibile. Anzi, senza il Mistero del Cuore, noi non potremmo, nel senso più pregnante del termine, «conoscere» Dio. È il Suo Cuore che parla al nostro cuore. Carissimi fratelli e sorelle, dimentichiamo, dunque, noi stessi ed entriamo in quel Cuore che, nelle litanie, usiamo chiamare «fornace ardente di carità». Nella fornace lo capiamo bene ci si brucia ma, allo stesso tempo, si risplende di luce, illuminando al mondo la via che conduce a Dio. Ecco, carissimi il Cuore di Cristo è il luogo dove questo amore del Padre per l’uomo pulsa e si rende manifesto. Vorrei dire a ciascuno: il fianco è stato aperto: la porta è spalancata. Non restare fuori; entra nell’intelligenza dell’amore del Padre che in Cristo è venuto a cercarti. Mi permetto di attirare la vostra attenzione alla testimonianza di Charles de Faucauld, fratel Carlo, alla cui esperienza spirituale mi sento particolarmente legato. Esperienza spirituale proprio legata al Cuore, al cuore di Dio, di Gesù. Il 3 aprile 1905, mentre è in pieno deserto, in marcia nella terra dei Tuareg, evoca «l’ultima raccomandazione di Gesù», il «comandamento nuovo» di amarsi gli uni gli altri come Lui ha amato noi, e dopo una lunga serie di citazioni evangeliche, annota: «Il riassunto di tutta la religione è il mio Cuore (…) Il mio Cuore vi ricorda che Dio è AMORE, e che come lui dovete ESSERE AMORE… Il mio Cuore vi ricorda che Dio è AMORE e che voi sarete perfetti nella misura in cui gli assomiglierete, sarete uniti a lui, trasformati in lui, sarete uno con lui, essendo come lui TUTTO AMORE». Nelle pagine seguenti, fa parlare così Gesù: «…qualunque cosa tu faccia, non cessare di contemplarmi; quando mi accompagni, non cessare di guardarmi; in qualsiasi atto tu mi segua, i tuoi occhi non mi lascino: le due cose sono ugualmente necessarie, indispensabili per la mia imitazione e il mio amore: fare in ogni momento ciò che io voglio da te e farlo avendo costantemente gli occhi e il cuore fissi su di me…». Amore di Dio e fraternità universale è il senso della sua vita. Amare è infatti per lui ripetere o meglio continuare l’opera di salvezza del Dio di Gesù, è farsi «salvatore con Gesù Salvatore». Non a caso il suo motto, fin da quando viene ordinato prete nel 1901, diventa “JESUS CARITAS”. Del resto, insiste fratel Carlo, amare non vuol dire “sentire”. Da parte sua non sente né vede, ma “vuole”, “desidera”. Anche in questo rassicura più volte Massignon. «L’amore consiste – gli scrive –, non a sentire che si ama ma a voler amare: quando si vuole amare, si ama; quando si vuole amare al di sopra di tutto, si ama al di sopra di tutto… Se capita di soccombere a una tentazione, è perché l’amore è troppo debole, non che non esista: bisogna piangere, come San Pietro, pentirsi, come San Pietro, umiliarsi come lui, ma anche come lui dire per tre volte “ti amo, ti amo, tu sai che, nonostante le mie debolezze e i miei peccati, ti amo”… Quanto all’amore che GESÙ ha per noi, ce l’ha provato abbastanza perché crediamo senza sentirlo: sentire che L’amiamo e che Lui ci ama, sarebbe il cielo: il cielo non è, salvo rari momenti e rare eccezioni, per quaggiù…». Auguri Michele per questo inizio! Auguri a Padru per questa a Don Corrado, vescovo