Storia
La battaglia di AZIO
L’ascesa di un principe, la vittoria di un imperatore
(Foto dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma
rielaborazioe grafica D. Carro)
Alessandra Parilla
Archeologa e storica dell’arte
a battaglia di Azio (2 settembre del
31 a.C.) per Roma rappresentò la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero. Il senato aveva già visto l’emergere di personalità accentratrici con
l’ascesa di Giulio Cesare. Per il momento era riuscito a scongiurare il pericolo
che il controllo di Roma passasse nelle
L
mani di un solo uomo. Ma dopo le Idi di
marzo del 44 a.C. il destino del futuro Impero era ormai scritto. Con la formazione
del secondo triumvirato (del primo faceva parte lo stesso Cesare insieme a
Pompeo e Crasso) Antonio, Ottaviano e
Lepido unirono le forze per vendicare la
morte di Cesare. Solo inizialmente. Ciascuno di loro in seguito alle due vittorie
riportate a Filippi (42 a.C.) sui cesaricidi
coltivò, più o meno apertamente, ambizioni personali scontrandosi, inevitabilmente, con le resistenze che il senato
opponeva a questo nuovo orientamento
politico.
Non a caso sarà proprio Ottaviano ad
avere la meglio, cioè un raffinato politico, non un uomo di guerra (sebbene dalla sua avesse il più grande stratega dell’epoca, Marco Vipsanio Agrippa). Cesare aveva adottato Ottaviano, che ne era
dunque l’erede legittimo. Ma, a ben
guardare la storia, ancor di più ne era il
naturale erede dal punto di vista morale.
La figura di Cleopatra VII ha ispirato
artisti di tutte le epoche. Qui un presunto
ritratto dell’ultima regina d’Egitto.
Testa in marmo custodita
dal British Museum di Londra
(Foto D. Carro)
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Battaglia di Azio.
Presunta rappresentazione degli ingaggi
fra le grandi navi dcella flotta orientale
e le più agili unità della flotta romana.
Bassorilievo in marmo appartenente
alla collezione privata del Duca de Medinaceli
in Madrid
Ormai i tempi erano maturi perché Roma
passasse nelle mani di un solo uomo: il
senato era troppo corrotto perché potesse fare gli interessi di un tanto potente “impero” che ormai, di fatto, esisteva.
Ma mentre Cesare agì di impulso e di
polso nell’affermare questo cambiamento (spostò la Curia per far posto al suo
Cesare Ottaviano, particolare
della statua detta
“Augusto della Labicana”,
custodita dal Museo
Nazionale Romano
(Palazzo Massimo) in Roma
(Foto D. Carro)
La disposizione della flotta e le varie fasi della battaglia.
I romani guidati da Ottaviano sono disposti verso il mare aperto
Foro!), il futuro Augusto piegò tutti al suo
voler facendo credere che nessuno
avrebbe perduto i propri privilegi affascinando e non declassando lo storico
SPQR.
Tutto cominciò proprio con la battaglia di
Azio, provocata dal fatto che Antonio
aveva diviso dei domini romani in Macedonia fra Cleopatra VII (di cui si era innamorato, umiliando la moglie Ottavia, sorella di Ottaviano) e i suoi figli. Antonio si
preparava, probabilmente, a conquistare
la penisola italiana perché il suo esercito
presidiava Cirene, nel Nord Africa, Metone, nella punta sud del Peloponneso, Patrasso e Azio. Appare evidente che Antonio aspettava il nemico senza avere l’intenzione di passare all’attacco. L’ex
triumviro, ormai proclamato dal senato
“nemico della patria”, era stato messo in
guardia dai suoi strateghi sul pericolo
dell’affrontare uno scontro in mare. Ma
Cleopatra esercitò il suo fascino per distoglierlo: la regina aveva fornito molte
navi e voleva essere ricordata nel
trionfo. Una ad una le postazioni di Antonio furono conquistate e il quartier generale dei due amanti fu spostato ad Azio.
Ottaviano non doveva far altro che attendere: Antonio e Cleopatra erano costretti a combattere.
Marco Antonio, rappresentato
ad Alessandria in stile egizio
(Museo Greco-Romano di Alessandria d’Egitto
Foto D. Carro)
Le navi romane erano agili e manovrabili, quelle di Antonio, al contrario, erano
grandi e lente (le quinqueremi).
A questo si aggiunse un’epidemia di malaria e il mancato arrivo di derrate alimentari. Una disdetta: molti, fra le file di
Antonio, furono gli ammutinamenti e lui
dovette bruciare 50 navi (le meno adatte
al combattimento) per evitare che si
unissero al nemico. Fece inoltre spiegare
le vele rendendo le navi vulnerabili agli
incendi: questo particolare fa pensare
agli storici che preparasse la fuga, ritardata da una tempesta. Gli eventi, insomma, erano tutti sfavorevoli ad Antonio, il
quale ci mise del suo ad aiutare il destino, vista la sua debolezza verso la regina
(neanche più tanto avvenente, vista la
non più giovane età).
Il 2 settembre 31 a.C. il mare era liscio.
Antonio fece uscire la sua flotta dal
Golfo di Ambracia. Lo schieramento delle forze era quello classico delle battaglie navali che prevedevano due semicerchi concentrici.
C’erano tre gruppi: a Nord Agrippa contro Publicola, al centro Arrunzio contro
Ottaviano, a Sud Lurio contro Sosio. Le
due flotte rimasero vicine e immobili fino
a mezzogiorno quando all’improvviso
Sosio fece muovere le sue navi verso
sud e si scontrò con Lurio dando inizio
alla battaglia. Il gesto di Sosio non è
chiaro: lo aveva programmato o voleva
abbandonare Antonio?
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In ogni caso a quel raffinato stratega
che era l’amiraglio di Ottaviano, il già citato Agrippa, andò tutto secondo i piani
perché il nemico, arretrando in mare
aperto, lasciò spazio alle sue agili navi,
ancora più facilitate nelle manovre. A
questo punto Lurio iniziò ad arretrare e
lo stesso fece Agrippa. Al centro rimase
fermo Arrunzio davanti ad Ottaviano.
Agrippa inventò allora uno stratagemma:
fece muovere bruscamente le navi verso
il largo e Publicola cadde nel trabocchetto, seguendolo. In questo modo allontanò le navi l’una dall’altra e lasciò il
centro libero. Ottaviano per poter tenere
unita la formazione fu costretto a spostarsi al centro e venne chiuso da Arrunzio. Questo spostamento lasciò un varco
utile per le navi di Cleopatra ma la regina, inspiegabilmente, prese il largo sulla
sua “Antonias”, l’ammiraglia che portava il nome dell’amato. Quest’ultimo,
quando se ne accorse, si lanciò all’inseguimento di Cleopatra abbandonando i
suoi uomini. Patercolo lo definì “il più vile dei soldati”. Questi ultimi continuarono a combattere valorosamente.
Patercolo definì ognuno di loro “il migliore dei comandanti”. Ma ormai la battaglia era perduta. Gli uomini erano in netta inferiorità numerica per la fuga delle
navi egizie.
A questo bisogna aggiungere il fatto che
le navi rimaste erano pesanti e poco agili e, da non sottovalutare, la compagine
non aveva più una guida.
In compenso Agrippa aveva allestito le
navi romane di un nuovo mezzo: il rampone, che andava a sostituire il rostro inventato da Caio Duilio.
Probabilmente questa invenzione è stata
sopravvalutata, ma certamente avvantaggiò molto i romani. Il vecchio rostro si
basava sullo speronamento. Con il rampone invece si arpionava la nave nemica
e si poteva passare all’arrembaggio (il
primo della storia), consentendo un
combattimento terrestre in cui i romani
erano maestri.
Verso sera Ottaviano aveva affondato 40
navi, ucciso 5000 soldati e costretto le
restanti 100 a fuggire nel Golfo di Ambracia. Non restava che attendere la resa.
Avvenne il giorno dopo.
Il resto è storia nota.
Antonio disfatto ad Azio e abbandonato
da Cleopatra si suicidò un anno dopo,
quando il suo esercito fuggì alla vista dei
soldati di Ottaviano che aveva deciso di
invadere l’Egitto (30 a.C.).
Prore di navi da guerra romane.
Esse erano leggere e dotate,
da questa battaglia in poi, di “rampone”.
Bassorilievi in marmo
dei Musei Capitolini di Roma
(Foto D. Carro)
La riforma monetaria ed economica di Augusto
ugusto ebbe il grande
merito di dare corpo a una
rivoluzionaria riforma sia
monetaria che economica.
La prima era una necessità:
durante le guerre civili molte
erano le zecche mobili
agli ordini dei vari generali
che battevano moneta da soli
per poter corrompere i politici,
e questo aveva ingenerato
una forte confusione.
Per portare l’ordine necessario,
organizzò nuovamente le valute
e i loro scambi nominali.
A
Il denario d’argento (argento
puro) tornava ad essere il valore
di base ponderale di 1/84 di
libbra di riferimento pari a 3.89
gr. di argento. L’aureo, che era
di oro puro al 98% arrivò a
pesare 7.79 gr. (1/42 libbra)
e lo scambio nominale era
di 25 denari d’argento e 100
sesterzi di oricalco.
Il sesterzio non era più una
monetina in argento
che facilmente veniva persa,
ma una moneta in oricalco
di grande modulo (circa 27 gr.)
Ottaviano e la sua prima colonna rostrata, rappresentata sul diritto
e sul rovescio di una moneta della zecca di Roma. Al diritto Ottavio laureato;
al rovescio statua con mantello e parazonium sopra la colonna rostrata.
Denario d’argento custodito dal Medagliere Capitolino (Foto D. Carro)
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che Augusto potè utilizzare
anche come valido veicolo
di propaganda politica.
Queste le principali novità
accanto al non meno importante
e già citato ordine riportato negli
scambi nominali per non
ingenerare confusioni
e soprattutto per far scendere
l’inflazione. Gli storici valutano
che il tasso di interesse per
i prestiti era sceso sotto Augusto
al 4 % annuo contro il 48%
raggiunto con Bruto.
La seconda grande riforma
fu quella economica che
prevedeva invece l’istituzione
del fiscus, una cassa gestita
direttamente dall’imperatore
che lui utilizzava per redistribuire
le ricchezze presso i popoli
sottomessi perché questi
non di sentissero oppressi
dal potere di Roma, ma si
sentissero privilegiati a essere
sotto l’egida di un impero tanto
avanzato.
Accanto al fiscus mantenne
l’aerarium, non più gestito
Nave da guerra di Marco Antonio.
Una serie di monete che egli fece coniare
per pagare i suoi uomini durante
la guerra Aziaca. Denaro d’argento
custodito dal British Museum – Londra
(Foto D. Carro)
da due questori, ma da due
pretori, e fondò l’aerarium
militare per i compensi ai
veterni. Si pensi che Cesare
amava a tal punto i suoi militari,
soprattutto la Legio X equestris,
da trattarli come figli,
ne conosceva i nomi
e le necessità, li investiva
di grande fiducia con incarichi
delicatissimi in fatto di strategia
militare. La fiducia era totale
e completa e Augusto, sempre
coerente col suo modo di fare
politica che prevedeva l’agire
senza creare fratture con
le situazioni precedenti, volle
Marco Agrippa con la corona navale
su una delle tante monete
che lo ritraggono con quella
prestigiosa onorificenza
(Museo della Cività Romana in Roma
Foto D. Carro)
conquistarsi il rapporto
di fiducia e ammirazione,
pur essendo molto meno uomo
Cleopatra tentò di esercitare le proprie
doti di ammaliatrice anche su Ottaviano
ma non raggiunse il risultato sperato e
ottenuto precedentemente con Cesare e
Antonio.
di guerra rispetto a Cesare.
Ma Augusto pensò a tutto:
chilometri di strade, nuovi
e attrezzati porti, escavazione
di canali, nuove esplorazioni.
Tutto era progettato per dare
nuovo slancio al commercio
e dinamica agli affari e questa
prosperità era destinata a durare
per molto tempo.
Se togliamo la parentesi
del forse troppo parsimonioso
Tiberio, gli imperatori
che vennero dopo Augusto
lavorarono tutti alla crescita
ulteriore dell’economia della
città (Caligola, Claudio, per non
parlare di Nerone).
Anche lei si suicidò, si narra, facendosi
mordere al seno da un aspide: una regina
favoleggiata come lei da anni non poteva
certo sfilare come un qualunque trofeo di
guerra. Ottaviano non dovette far altro che
tornare a Roma e raccogliere gli onori dopo
tante fatiche: il senato lo insignì del titolo di
Augusto e si diede così inizio al Principato.
Marco Vipsanio Agrippa lo seguì fino alla fine coadiuvandolo nella “ristrutturazione”
di Roma: si dice di Augusto che trovò l’Urbe
di mattoni, la lasciò di marmo. Inoltre
riformò l’esercito, il cursus honorum (la carriera politica per i romani), risollevò l’economia dando nuovo slancio al commercio.
In 44 anni di principato pose delle basi
talmente solide che l’impero di Roma dominò l’intero mondo allora conosciuto
per altri 400 anni.
n
Vittoria navale e trofeo navale su monete coniate da Cesare Ottaviano
per celebrare Azio. Denari d’argento custoditi dal Medagliere Capitolino
(Foto D. Carro)
La grande avventura di Augusto
alla guida di Roma ebbe inizio con
la battaglia di Azio e da lì si vuole
partire per illustrare le monete
che ne celebrarono il trionfo.
Monete celebrative della vittoria della guerra Aziaca. Da sinistra Apollo Aziaco, la divinità della vittoria navale
di Azio; un coccodrillo con la scritta “Aegypto capta”; arco di trionfo eretto in onore di Ottaviano nel Foro romano.
Monete d’argento custodite dal Museo Nazionale Romano (Palazzo Massimo) in Roma (Foto D. Carro)
Innanzitutto va ricordato
che da Augusto in poi,
è possibile e, anzi, prassi
coniare monete con l’effigie
di persone in vita (l’uso in
realtà era cominciato con
Cesare, ma il dittatore non
aveva considerato che il senato
e il popolo non erano pronti
a immortalare un uomo ancora
vivente eternandone
la memoria).
Augusto al dritto, Agrippa
con testa coronata
(c’è chi dice rostrata,
chi scrive ritiene ricordi
il rampone) al rovescio,
vengono immortalati
in un denario.
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