ITG A. POZZO LICEO TECNOLOGICO LE PLACCHE INDIRIZZO: Costruzioni, Ambiente, Territorio - opzione B GEOLOGIA E TERRITORIO Classe 3^ - 3 ore settimanali Schede a cura del prof. Romano Oss Fino all'inizio del novecento i geologi erano convinti che i continenti e i bacini oceanici fossero forme stabili e immobili della superficie terrestre, ma nel corso degli ultimi decenni una grande quantità di nuove informazioni e dati ha contribuito a mutare radicalmente la nostra interpretazione circa l'attività della Terra e i conseguenti fenomeni che osserviamo sulla sua superficie. Adesso interpretiamo la crosta non più rigida ma anzi formata da circa 20 zolle, o placche, di cui le maggiori sono sei: africana, euroasiatica, pacifica, nordamericana, sudamericana, antartica. Nella cartina accanto le principali placche Tutte queste placche poggiano sul mantello, che non è un substrato rigido e quindi permette un certo movimento alle zolle. L'idea che i continenti, in particolare il Sud America e l'Africa si potessero fare coincidere a formare un unico continente, era già stata fatta presente nel 1858 da Antonio Pellegrini ma senza nessuna base scientifica se non il fatto che le coste di queste due placche potevano coincidere in modo quasi perfetto. Si deve al metereologo Alfred Wegener il merito di presentare l'idea della deriva dei continenti (1915) accompagnata da una serie di prove e osservazioni; ipotizzò che un tempo fosse esistito un supercontinente, che chiamò Pangea, e questo circa 200 milioni di anni fa avesse iniziato a frammentarsi in pezzi più piccoli che sono andati alla "deriva" verso le posizioni attuali. Wegener, oltre alla combaciabilità delle coste dei vari continenti portò altre prove, come quelle paleontologiche che indicavano la presenza di fossili di specie identiche sia in America che in Africa, o quelle litologiche: cioè su entrambe le coste dei due continenti si ritrovano le stesse tipologie di rocce. Portò anche delle prove paleoclimatiche, lo studio degli antichi climi, che indicano che sia in America del Sud che in Africa, verso la fine dell'era Paleozoica (300 - 230 milioni di anni fa) vaste zone erano coperte da una coltre di ghiaccio. Come si vede Wegener portò numerose osservazioni e prove tratte tra l'altro anche dalla geodesia, geofisica e biologia e a buon diritto ha dato il nome a questa teoria che però fu messa in discussione intorno agli anni 50 poiché le forze che Wegener aveva indicato quali causa della deriva, erano obbiettivamente insufficienti. Wegener infatti sosteneva che la forza centrifuga, causata dalla rotazione terrestre, spingesse i continenti verso l'equatore e che altre forze, come l'attrazione della Luna e del Sole causassero la deriva verso Est e Ovest. È stato con A. Holmes (1931) che si è ipotizzato che le forze che pilotavano la deriva fossero da ricercarsi all'interno della Terra. Ipotizzò che delle correnti convettive all'interno del mantello, originate dal decadimento radioattivo, fossero responsabili appunto di questa deriva. Nello schema sotto vi sono alcune teorie sul funzionamento delle correnti convettive: in 1 le placche sono trasportate passivamente in 2 sono le stesse placche che generano le correnti in 3 un modello a celle convettive separate tra mantello superiore e mantello inferiore. Ma è solo verso la fine degli anni '50 con l'avvento del Paleomagnetismo e la ricostruzione dei tragitti apparenti dei Poli che finalmente Wegener ha ottenuto il giusto riconoscimento. Quali sono le forze che permettono ad enormi masse di terra di muoversi per migliaia di chilometri? Si ipotizzano delle correnti di convezione generate da squilibri termici all'interno della Terra che in particolare interessano il mantello, ma sono concepite in due diversi modi. Nella concezione classica le correnti di convezione interesserebbero il solo mantello e le placche viaggerebbero passivamente al di sopra di queste, nell'altra teoria si ipotizza che le placche siano coinvolte direttamente nelle correnti. Per esempio: se si prende un metallo, lo si fonde e poi si lascia raffreddare, si formerà una specie di crosta sulla superficie dove il metallo si raffredda per primo. Se si aspetta un poco si noterà che questa crosta inizierà ad affondare, a causa della maggiore densità, nel metallo sottostante ancora non completamente solido. Di conseguenza si verrebbe a generare uno squilibrio termico che innescherebbe un'altra corrente convettiva; lo stesso succederebbe per le placche che così affonderebbero nel mantello. In realtà è probabile che le correnti di convezione non seguano nessuna delle due teorie quindi si deve ancora comprendere realmente come queste funzionino. Come abbiamo visto la crosta terrestre è formata da una ventina di placche in movimento reciproco, ma cosa succede nei punti di contatto tra le varie placche? Questi punti di contatto, chiamati margini, possono essere di più tipi riassumibili in: divergenti - convergenti - trasformi Nel primo caso si tratta di due placche che in realtà si stanno allontanando l'una dall'altra e lasciano uno spazio vuoto che naturalmente viene riempito dal magma del mantello. Questo succede lungo le dorsali oceaniche dove viene creata continuamente nuova crosta oceanica; la "pavimentazione dell'oceano Atlantico è avvenuta negli ultimi 200 milioni di anni; le velocità sono mediamente comprese tra 2 e 10 centimetri all'anno. MARGINI DIVERGENTI Schema rappresentativo delle situazioni di margine divergenti, convergenti, trascorrenti Non tutti i margini divergenti si trovano sui fondali oceanici infatti si presume che il Mar Rosso sia un margine divergente di recente formazione che coinvolgerebbe parte della zolla Africana con la creazione di fosse tettoniche (rift) Nei margini convergenti invece si hanno due placche che convergono appunto, cioè che si scontrano; quando questo accade una delle due placche inizierà a scivolare al di sotto dell'altra penetrando nell'astenosfera dove inizia a fondersi per poi scomparire all'interno del mantello; si ipotizza che ciò avvenga intorno ai 700 Km di profondità poiché non si registrano terremoti al di sotto di tale profondità. Alcuni geofisici infatti misero in evidenza che gli ipocentri dei terremoti, lungo questo genere di margine, sono distribuiti lungo un piano inclinato in media di 45° che si immerge dalla fossa fin sotto il continente; questa zona è detta "piano di Benioff"; dalla scoperta di questo piano è nata la convinzione che la crosta oceanica scenda nel mantello dissolvendosi progressivamente in esso seguendo appunto il piano di Benioff. A seconda del tipo di margine coinvolto (continentale o oceanico) si possono avere dei risultati morfologici dell'ambiente notevolmente diversi. Quando una placca scivola al di sotto di un'altra allora si parla di zona di subduzione nella quale generalmente si ha la formazione: di un prisma di accrezione di un arco magmatico di una fossa. Un prisma di accrezione non è altro che una serie di "scaglie", o prismi appunto, di materiale terrigeno, che si erano sedimentati sulla placca oceanica; questo spessore di sedimento in genere non scorre al di sotto della placca, ma si accumula contro il margine continentale durante la subduzione (questa dovrebbe appunto essere la genesi degli Appennini, almeno quelli Settentrionali, formate da scaglie di sedimenti durante la subduzione della placca Sardo-Corsa al di sotto dell'Italia) un arco vulcanico è formato dall'attività eruttiva che si manifesta nelle immediate vicinanze di una zona di subduzione a causa della differenza termica tra il mantello e la crosta oceanica, ricca di acqua, che vi si immerge e la sua conseguente fusione parziale. Questi archi, se l'attività vulcanica perdura sufficientemente a lungo, possono raggiungere delle notevoli dimensioni come dimostrano la penisola dell'Alaska, il Giappone e le Filippine Fossa (chiamata anche tranches), è sostanzialmente la linea lungo la quale si ha l'effettivo scorrimento delle placche l'una sotto l'altra. Mediamente raggiungono una profondità di 7-9 km (la fossa delle Marianne raggiunge i 10.900 metri circa) e ne sono state distinte 20 di maggiori dimensioni e la loro area è circa il 3% della superficie terrestre. Quando si scontrano due placche continentali si ha la creazione di forme morfologiche diverse probabilmente dovute al fatto che hanno entrambe le stesse caratteristiche (di densità e spessore) e quindi non vi è il facile scorrimento di una al di sotto dell'altra. Generalmente si ha la formazione di grandi catene montuose (come l'Himalaia, causata dallo scontro della placca Indiana contro quella Asiatica) e corrugamenti della crosta in genere anche di enormi dimensioni. Nei margini trasformi si ha uno scivolamento di due placche una accanto all'altra senza che vi sia alcuna creazione o distruzione di crosta, ma con lo sviluppo di forti terremoti. Una spiegazione di questi tipi di margini fu data da Tuzo Wilson (1965) che ipotizzò che queste grandi fratture (vedi faglia di S.Andreas) mettono in collegamento margini convergenti e margini divergenti, così che tutti e tre le tipologie di margini sono unite in un unico processo evolutivo che coinvolge il pianeta. Questa ipotesi è avvalorata anche dal fatto che lungo le dorsali oceaniche sono state individuate numerose faglie trasformi che si suppone si sono formate all'inizio della fratturazione della crosta oceanica che si è spezzata in modo disomogeneo. Tutte queste conoscenze e prove non possono che confermare ciò che Wegener aveva ipotizzato già nel lontano 1915 e cioè che il nostro pianeta è ancora estremamente attivo e che vi è una costante modificazione e trasformazione del paesaggio e della morfologia. Esistono zone geologicamente vecchie e molto stabili dette CRATONI Nella figura accanto sono disegnate le aree dove si ritrovano antichi "cratoni" di età superiore ai 2 miliardi di anni; sono aree stabili, cioè inattive da un punto di vista tettonico e quindi geologicamente molto vecchie (cratoni continentali), dove lo spessore della crosta è più elevato.