RESPONSABILITA` (Azione Cattolica Italiana – Lasci o raddoppi

GIOVANI DI AZIONE CATTOLICA
Parrocchia Maria Ss. Madre della Chiesa – Stella di Monsampolo
RESPONSABILITA’
a cura di Daniele De Angelis
Preghiera iniziale
Il tuo prossimo è lo sconosciuto che è in te, reso visibile nell’altro.
Il suo volto si riflette nelle acque tranquille, e in quelle acque,
se osservi bene, scorgerai il tuo stesso volto.
Se tenderai l’orecchio nella notte,
è lui che sentirai parlare, e le sue parole
saranno i battiti del suo stesso cuore.
Non sei tu solo ad essere te stesso.
Sei presente nelle azioni degli altri uomini,
e questi, senza saperlo, sono con te
in ognuno dei tuoi giorni.
Non precipiteranno se tu non precipiterai con loro,
e non si rialzeranno se tu non ti rialzerai.
Mc 8,1-9
1 In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare, chiamò a sé i discepoli
e disse loro: 2 “Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e
non hanno da mangiare. 3 Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e
alcuni di loro vengono di lontano”. 4 Gli risposero i discepoli: “E come si potrebbe sfamarli di
pane qui, in un deserto? ”. 5 E domandò loro: “Quanti pani avete? ”. Gli dissero: “Sette”. 6 Gesù
ordinò alla folla di sedersi per terra. Presi allora quei sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai
discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. 7 Avevano anche pochi
pesciolini; dopo aver pronunziata la benedizione su di essi, disse di distribuire anche quelli. 8 Così
essi mangiarono e si saziarono; e portarono via sette sporte di pezzi avanzati. 9 Erano circa
quattromila. E li congedò.
Nella seconda moltiplicazione dei pani è Gesù che provoca i discepoli, facendo loro presente che
bisognerebbe dar da mangiare alla folla che ormai da tre giorni lo segue (vv. 1-2). Il Nazareno è
mosso da compassione (vv. 1-3; cfr. 6,34): è profonda la capacità del Maestro di guardare alle
necessità di tutti, Egli è l’Amore che non ha altro desiderio che uscire da sé, senza ripiegamenti e
senza giustificazioni. È l’Amore che non oltrepassa il bisogno dell’uomo di essere giustamente
saziato. Dio non sorpassa mai i suoi figli come già fece nel deserto donando agli israeliti la manna
dal cielo. Gesù sa bene che l’uomo non vive di solo pane ma comprende che ha bisogno anche di
pane. I discepoli non comprendono ancora; hanno scarsi orizzonti, sono di quelli che sanno fare i
conti in tasca e calcolano di non potercela fare (v. 4). Non amano ancora. Vivono con il Maestro ma
non come Lui. L’amore-ricevuto dal Rabbì non viene messo in circolazione e non diventa amoredonato; ma la compassione del Maestro non resta, come la nostra, confinata nell’ambito delle belle
intenzioni e dei giusti desideri o delle cose che vorremmo fare, ma diviene prassi-vita-storia:
responsabilità. Gesù non vuole arrivarci da solo perciò chiede ai suoi, ancora smarriti dalle
provocazioni assurde del Maestro (sfamare quattromila uomini in un deserto!) di mettere a
disposizione ciò che hanno (v. 5). I discepoli dovranno comprendere che vivere il vangelo non è
proclamare una dottrina su Dio ma prolungare la compassione di Gesù per ogni uomo e per ogni
donna come per tutta l’umanità. Anche ora e pure in questo deserto Dio provvederà un pane per
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tutti. Anche nel deserto il discepolo di Cristo può, fidandosi della logica “debole” di Dio, dare vita:
dove tutto sembra avere i connotati di un coma irreversibile (sette pani per quattromila persona),
Dio può compiere ciò che l’uomo, da solo, non osa nemmeno sperare. Il miracolo però Gesù non lo
compie senza l’uomo (v. 5) perché il primo miracolo sta già nelle mani dei discepoli che si aprono
per dare quel po’ che hanno. Non ci si può salvare da soli.
I sette pani offerti a Gesù diventano moltiplicati (anzi divisi) sull’altare del mondo e tutti sono
saziati, oltre il prevedibile, oltre il calcolo, oltre il necessario (vv. 8-9). Dio non può deludere
l’uomo, non può farlo morire, Lui che è venuto a portare vita in abbondanza. Tutto questo può
accadere nella misura in cui anche noi partecipiamo allo stesso sguardo di Gesù, curvato verso
quelle folle ma anche proteso verso il Cielo (v. 7b). Quei pani e pesci spezzati e offerti a tutti sono
segno della vita stessa di Gesù che sull’altare ruvido della croce, in quel benedetto Venerdi santo,
offrirà come vero pane tutta la sua vita spezzata per l’umanità, perché comprenda, oltre ogni
incredulità, che solo in una vita spezzata per gli altri c’è il vero senso dell’esistenza.
Di fronte alla folla affamata si presentano due opzioni: sentirsi totalmente impotenti come i
discepoli o restare stupiti, affascinati, commossi come Gesù. Spesso davanti ai drammi
dell’umanità, come i discepoli ci chiediamo: come si potrebbe sfamarli qui nel deserto? Che
tradotto significa: Che potere abbiamo noi di risolvere enormi problemi? L’invito di Gesù è quello
di interessarci, preoccuparci, di ciò che ci sta attorno. Il problema maggiore infatti è superare la
paura di restare di fronte al problema, restare di fronte alla sofferenza, al dolore. Occorre guardare
la realtà con lo sguardo di chi si lascia interpellare, di chi si pone delle domande, di chi non fugge o
evita il problema. Dio sta nelle sfumature che rendono più belli i colori, Dio sta in ogni persona che
rende bella l’umanità. Non possiamo più fuggire dall’incontro con l’altro, di diversa razza, cultura,
religione, condizione di vita. Occorre riscoprire la diversità come dono per la propria realizzazione.
1. I GIORNI MIGLIORI TIROMANCINO, “IN CONTINUO MOVIMENTO”
Certe cose che senti nell’aria
non le devi nascondere
le conosci a memoria
ma non puoi condividerle,
se stai cercando il tuo viaggio
in un posto lontano, più libero.
Oltre i muri che vedi andando avanti
fra i discorsi invidiosi e arroganti,
le cose che senti nel cuore
non rinnegarle mai
sono fragili ma possiamo difenderle
se voleranno in alto i nostri pensieri
più limpidi.
Aiutami a ritrovare l’interesse
per le piccole cose
che sono alla base di tutte le promesse
del futuro che cresce,
perché sono le sfumature
a dare vita ai colori
e a farci tornare in mente
le cose più pure
dei giorni migliori.
Non ci sono percorsi più brevi da cercare
c’è la strada in cui credi
e il coraggio di andare.
ATTIVITA’: Non più vedere, ma guardare, non più sentire, ma ascoltare.
- Una persona viene bendata e deve cercare di ricostruire l’ambiente in cui si trova.
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-
Per un minuto ognuno deve guardarsi attorno, poi ognuno riporta almeno una cosa che lo ha
colpito, una cosa che è rimasta nella mente. Riscoprire la bellezza ed i segni nascosti nelle
cose più semplici.
Lc 8,40-42. 49-55
40 Al suo ritorno, Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa di lui. 41 Ed ecco venne un
uomo di nome Giàiro, che era capo della sinagoga: gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di recarsi a
casa sua, 42 perché aveva un’unica figlia, di circa dodici anni, che stava per morire. Durante il
cammino, le folle gli si accalcavano attorno. 49 Stava ancora parlando quando venne uno della casa
del capo della sinagoga a dirgli: “Tua figlia è morta, non disturbare più il maestro”. 50 Ma Gesù
che aveva udito rispose: “Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata”. 51 Giunto alla casa, non
lasciò entrare nessuno con sé, all’infuori di Pietro, Giovanni e Giacomo e il padre e la madre della
fanciulla. 52 Tutti piangevano e facevano il lamento su di lei. Gesù disse: “Non piangete, perché
non è morta, ma dorme”. 53 Essi lo deridevano, sapendo che era morta, 54 ma egli, prendendole
la mano, disse ad alta voce: “Fanciulla, alzati! ”. 55 Il suo spirito ritornò in lei ed ella si alzò
all’istante.
(Egli ordinò di darle da mangiare).
Ossessionati dallo straordinario non riusciamo più a cogliere il valore dell’ordinario.
Ci troviamo di fronte ad un fatto paradossale. Mentre Gesù è osannato dalla folla, un uomo sta
vivendo tutto il suo dolore di genitore. Giairo è infatti padre di una fanciulla di dodici anni che sta
per morire. La fanciulla è figlia unica, per cui perderla provocherebbe un dolore inimmaginabile e
straziante. Mentre il padre sta ancora pregando in ginocchio ai piedi di Gesù, arriva la notizia della
improvvisa morte della ragazza. L’annuncio è portato nel completo disinteresse e nella indifferenza
per il dolore di Giairo, la preoccupazione del capo della sinagoga sembra infatti solo per Gesù.
Giairo viene riportato alla dura realtà della vita, viene inoltre richiamato a non disturbare più il
maestro. Solo ora sentiamo parlare Gesù, le sue prime parole sono rivolte proprio a Giairo e sono
parole di speranza. Gesù allora si stacca dalla folla ed entra a casa di Giairo che è ormai colma di
gente disperata, in lacrime. Gesù ha una parola anche per loro, ancora una volta sconvolge ogni
pensiero umano. Intanto fuori la folla lo deride perché non può concepire nulla dopo la morte che è
vista come ultima parola sulla vita. Poi arriva il miracolo: Talità kum, fanciulla alzati! Questo però
non è il centro del brano. Ciò che ha salvato la ragazza è la fede del padre. Tutto il brano ruota
attorno al tema centrale della fede. Il passaggio dalla morte alla vita è la conseguenza della
conversione dalla incredulità alla fede in Cristo. Il Signore infatti non abbandona l’uomo nelle mani
della morte, ma vuole i suoi figli salvati. Oggi forse, la consapevolezza del dono e del compito della
fede si è fatta più confusa, il valore sommo della vita risulta sfocato e poco incisivo rispetto alla
atmosfera di morte che si respira e si fa sempre più opprimente. Un conto è vivere sotto l’incubo
della morte, un conto è vivere sereni per la certezza della risurrezione.
3. LA CURA FRANCO BATTIATO, “L’IMBOSCATA”
Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente
attirerai. Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore, dalle ossessioni delle tue manie. Supererò
le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te. Vagavo per i campi del Tennessee (come vi ero
arrivato, chissà). Non hai fiori bianchi per me? Più veloci di aquile i miei sogni attraversano il mare.
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Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza. Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi, la bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto. Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. Ti salverò da ogni
malinconia, perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te... io sì, che avrò cura di te.
Ambiguità della canzone. Che significa prendersi cura dell’altro.
2. IN PIEDI NOMADI, “CORPO ESTRANEO”
Pensavo una volta di essere Dio,
pensavo di esserci solo io,
pensavo che il mondo
davanti a me fosse
un frutto amaro ma tutto mio,
pensavo che un attimo
fosse eterno nel battito
delle ali di un angelo solo mio.
In piedi, in piedi
io resterò, io resterò
senza voltarmi indietro
camminerò, camminerò.
Ed ora che guardo
il mio volto allo specchio
mi accarezzo i capelli d’argento.
Ah, il tempo scorre e va via
non sa dire nessuna bugia,
non sa chiedere scusa
né sa cosa sia, cosa sia.
Ed ora che ho capito perché
tutto passa anche per me
la ricchezza più grande che c’è è vivere.
In piedi, in piedi
io resterò, io resterò
senza voltarmi indietro
camminerò, camminerò.
In piedi, in piedi
io resterò, io resterò
senza gettare un solo
istante mai più, mai più dormirò.
Ed ora che ho capito perché
tutto passa anche per me.
La ricchezza più grande che c’è è vivere.
In piedi, in piedi
io resterò,io resterò
senza voltarmi indietro
camminerò, camminerò.
In piedi, in piedi
io resterò, io resterò
senza gettare un solo
istante mai più
mai più dormirò, mai più dormirò.
In piedi, in piedi
io resisterò e resisterò, resisterò.
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COMMENTO LECTIO - Introduzione e riflessione dell’evento Eluana Englaro.
RISPOSTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE CIRCA L’ALIMENTAZIONE E L’IDRATAZIONE ARTIFICIALI
Primo quesito: È moralmente obbligatoria la somministrazione di cibo e acqua (per vie naturali oppure artificiali) al
paziente in “stato vegetativo”, a meno che questi alimenti non possano essere assimilati dal corpo del paziente oppure
non gli possano essere somministrati senza causare un rilevante disagio fisico?
Risposta: Sì. La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e
proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di
raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si
evitano le sofferenze e la morte dovute all’inanizione e alla disidratazione.
Secondo quesito: Se il nutrimento e l’idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in “stato vegetativo
permanente”, possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non
recupererà mai la coscienza?
Risposta: No. Un paziente in “stato vegetativo permanente” è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla
quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione
di acqua e cibo, anche per vie artificiali.
Nel contesto contemporaneo sembra vincere il principio di autodeterminazione assoluto. Io posso
disporre della vita in modo assoluto. Si arriva alla negazione del principio di relazionalità. Per una
riflessione adeguata al problema basterebbe riflettere sul fatto che la nostra esistenza umana non ce
la siamo data da noi. Anche solo a livello biologico, la vita non ce la siamo data da noi.
Occorre ammettere che questa esistenza non è nostra, occorre rendere conto a qualcuno. Se noi
osserviamo un bambino non ha una sua identità, un suo pensiero, ma dipende, ripropone la
dimensione familiare. Tutto quello che siamo è ciò da cui veniamo. La nostra cultura, le nostre
tradizioni, il nostro linguaggio, non sono nostri, ci sono stati dati. Occorre riconoscere questo dato
di fatto per una corretta riflessione sulla indisponibilità della vita. Il tema centrale da ricostruire è il
valore della libertà. Ma se la vita è un dono allora visto che è dono posso farne ciò che voglio? Il
donare non comporta un arbitrio in colui che riceve il dono perché è l’espressione di una relazione,
di una donazione di un altro a me, è ciò che permette la comunicazione tra io e te. Purtroppo la
cultura contemporanea appiattisce l’asimmetria originaria tra creatura e Creatore. Dobbiamo
ammettere che viviamo in una dimensione costitutivamente asimmetrica. C’è un dislivello che non
è colmabile, non siamo chiamati ad essere come Dio, ma siamo chiamati a comprendere il nostro
ruolo nel mondo. L’asimmetria non significa che la relazione tra me e Dio è meno autentica. Io
sono chiamato a vivere dentro questa asimmetria, sono chiamato a capire il senso di questa
relazione. La relazione educativa funziona solo nei rapporti asimmetrici. Basta pensare alla
relazione tra genitori e figli. Una madre o un padre non possono essere amici dei figli perché
altrimenti la relazione non funziona. La relazione funziona solo se c’è una madre, un padre per i
figli. I figli non possono fare i genitori. L’asimmetria non dice che ci si vuole meno bene. Ognuno
deve imparare a trovare il proprio posto nelle relazioni. Non vale l’inversione del ruolo perché
significa rifiutare di comprendere il senso. Da qui nascono le forme patologiche delle relazioni
interpersonali. L’esercizio della nostra volontà assoluta, il volere qualsiasi cosa sempre, è
l’espressione di un bello slogan privo di senso. Questo vale anche per il problema attuale della
morte. Agostino “De civitate Dei” sulla morte dolce dice: “Forse dovremmo imparare a cercare non
una morte dolce, ma una vita forte”. Il problema non è come moriamo, ma come viviamo perché il
rischio è di vivere come morenti per tutta la vita. Il problema è come vogliamo vivere. Ora, sempre
di più si sta amplificando la spettacolarizzazione della morte. Non possiamo spostare tutto il
termine della vita solo sull’attimo della morte. Non si può proiettare tutta la bellezza della vita
nell’istante della morte. Agostino stesso dice: “La morte: non riesco nemmeno a dirla, ora nel
momento in cui la chiamo è già passata”. Ci affanniamo nel definire un istante e non pensiamo al
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significato di tutto quello che viene prima e tutto quello che viene dopo. Perché vogliamo decidere
ad ogni costo un solo istante e non di tutti quelli che vengono prima? Perché si affretta l’arrivo della
morte che comunque è li che ci aspetta? Il problema vero è il fatto che non sappiamo gestire la
sofferenza estrema delle persone care. Non sappiamo più guardare alla sofferenza dell’altro perché
ci riportano alla nostra condizione di inadeguatezza e impotenza. Agostino durante la morte di un
caro amico diceva “Confessioni – Libro IV”: “Niente aveva più significato, eppure nonostante che
soffrissi in maniera cosi assoluta non riuscivo a desiderare di essere morto a posto suo, e divenni
questione a me stesso”.
Questioni di bioetica
Apocalisse
Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: “Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde
vengono? ”. Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E lui: “Essi sono coloro che sono passati
attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue
dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo
santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né
avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono
sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro
occhi”.
Preghiera finale
Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo;
quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di bere;
quando ho freddo, mandami qualcuno da scaldare;
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro;
quando sono povero, guidami da qualcuno nel bisogno;
quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per un momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me, attira la mia attenzione su un’altra persona.
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