Se quest’anno Gesù nascesse a Coccaglio ?
“Famiglia Cristiana” n. 48 del 29 novembre 2009
di Beppe Del Colle
A Coccaglio (Brescia) la giunta di Centrodestra ha organizzato l’operazione White Christmas per
identificare ed espellere i clandestini. A Coccaglio, nel Bresciano, la Giunta di Centrodestra guidata dalla
Lega ha deciso di verificare quanti stranieri extracomunitari privi di permesso di soggiorno, o con
permesso scaduto, vivano in paese, e devono quindi essere espulsi. La verifica deve essere conclusa
entro il 25 dicembre 2009. L’incredibile operazione è stata chiamata White Christmas, “Bianco Natale”,
come la vecchia canzone. Ernesto Olivero, fondatore del Sermig torinese, che accoglie ogni notte
extracomunitari senza un rifugio, dice che quando ha un problema cerca la soluzione nella Bibbia, e la
trova. Abbiamo cercato e trovato anche noi: il Vangelo di Luca sulla nascita del Bambino Gesù, 2,2932, dove il “giusto e pio” Simeone chiede al Signore di farlo morire in pace perché ha visto con i propri
occhi il Salvatore. Quando poi quel Bambino muore sulla croce, risorge dopo tre giorni e infine ascende
in cielo, gli Atti degli apostoli (2,5-17) riferiscono il miracolo delle “persone pie” provenienti da 15
Paesi disseminati dalla Libia a Roma e al Sudest europeo, fino alla Mesopotamia e all’Asia – tutto il
mondo allora noto ai palestinesi – che il giorno di Pentecoste ascoltano ciascuno nella propria lingua le
parole degli apostoli, ispirate dallo Spirito Santo, e si domandano meravigliati: ma come, non siamo tutti
diversi? E perché tutti capiamo queste parole pronunciate in una lingua che non conosciamo? La
risposta è semplice: perché Gesù è venuto per tutti gli uomini, che vivano a Coccaglio o nei suoi
dintorni (per esempio a Calcinato, stessa provincia, dove si segnala il record del 25,8 % di ragazzi
stranieri, o nati in Italia da stranieri, nelle nostre scuole), che ai suoi occhi sono poi gli stessi dintorni di
Addis Abeba, di Canton e di Lima, di Bucarest o di Kabul…
Gesù è venuto per tutti, anche perché tutti prima o poi nella Storia emigrano, con o senza documenti.
Anche i nonni della regista Francesca Comencini, che sono sepolti proprio a Coccaglio (luogo di nascita
del nonno) dopo una lunga vita trascorsa da emigrati in Francia, dove, come racconta la nipote in una
lettera a la Repubblica, avevano avuto la dolorosa prova di cosa vuol dire essere stranieri.
E che cosa pensare di quell’imprenditore di Gavirate (Varese) che ha fatto piantare una croce alta sei
metri nel cortile della sua fabbrica, rimproverando alla Chiesa di «non capire quali sono le conseguenze
di una immigrazione indiscriminata», per cui quel crocifisso gigantesco significa che può essere usato
contro gli immigrati? Proprio quel simbolo che rappresenta tutte le ingiustizie che si consumano ogni
giorno, da sempre, contro gli “ultimi”?
Ma la Chiesa non si fa intimidire. Qualche anno fa, mentre il Congresso degli Stati Uniti discuteva su
una legge che l’avrebbe penalizzata per l’assistenza umanitaria che offriva agli immigrati “clandestini”
(sempre loro, accidenti…), il cardinale Roger Mahony, arcivescovo di Los Angeles, disse che se quella
legge fosse stata approvata avrebbe chiesto ai suoi preti di disobbedire, perché «negare l’aiuto a un
fratello in umanità vìola una legge che ha un’autorità superiore al Congresso: la legge di Dio».
Icona russa del XVII secolo raffigurante la fuga in Egitto.
Nel registro inferiore sono raffigurati degli idoli egiziani che crollano miracolosamente distruggendosi al passaggio di Gesù.
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Il clandestino di Betlemme
di Gianfranco Ravasi,
Sole24Ore, domenica 14 dicembre 2008
Nell’ultimo periodo della sua vita, Renato Guttuso che aveva una casa anche a Velate nei pressi di
Varese, fu invitato ad affrescare una delle cappelle del percorso che saliva al famoso Sacro Monte di
quella città. Gli fu affidata la scena della “Fuga in Egitto”1, un tópos dell’iconografia cristologica, ed egli
decise di raffigurare Maria, Giuseppe e il piccolo Gesù come una famiglia di profughi palestinesi,
spauriti, costretti ad abbandonare la loro casa errando nel deserto (oggi si dovrebbe pensare a quel
drammatico esilio in patria che è la situazione degli abitanti di Gaza). Il popolo ebraico, a cui Gesù era
legato secondo la carne e il sangue, si autodefiniva nella Bibbia come una comunità di «forestieri e
pellegrini», tant’è vero che aveva codificato questa straordinaria normativa su cui dovrebbero riflettere
anche molti legislatori sedicenti cristiani: «Vi sarà una sola legge sia per il nativo sia per lo straniero
residente in mezzo a voi... Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli
dovrete far torto, ma lo tratterete come colui che è nato fra voi; l’amerai come te stesso perché anche
voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto» (Esodo 12, 49; Levitico 19, 33-34).
Renato Guttuso: Fuga in Egitto, 1983
Ora, se leggiamo i 48 versetti dei primi due capitoli del Vangelo di Matteo, la tradizionale retorica
natalizia si sfarina per lasciare intravedere una trama cupa: Gesù nasce in una grotta-stalla, è deposto
non in una culla ma in una mangiatoia, si affaccia subito l’incubo di una repressione sanguinaria (la
“strage degli innocenti”) e la famigliola deve imboccare la via della clandestinità, riparando nel
confinante Egitto. Come è evidente, è tutt’altro che artificiosa l’applicazione delle tormentate storie
1 Da una riflessione certamente molto profonda nacque a Velate nell’autunno del 1983, sul vicinissimo Sacro Monte di Varese, la splendida e solare “Fuga
in Egitto”, un ampio murale eseguito all’esterno della Terza Cappella. In un deserto di sabbia giallo oro, sullo sfondo di rocce brune e di lontani monti
azzurri che paiono riprodurre lo sfondo reale dell’edicola in cui racchiuso il murale, tra palme e cactus che rammentano la Sicilia, mentre una candida
colomba, sorella di quelle del giardino di Velate, si libra in volo in un cielo di un azzurro mediterraneo, Guttuso ha voluto dipingere il simbolo della vita che
si salva, che fugge attraverso il deserto.
Egli, appena ebbe terminata la sua grande opera, scrisse: “Avevo visto su un settimanale la fotografia di una famiglia di palestinesi, un esodo. Un uomo con
la sua donna e il bambino, con qualche masserizia su un asino: una Sacra Famiglia di oggi. Il racconto evangelico si ripete ai nostri giorni. L’esodo, la
migrazione obbligatoria, l’Uomo, la Donna, il Bambino, costretti ad abbandonare la casa, la città, il lavoro, a causa di un eterno Erode che li minaccia nella
persona e nelle cose (Corriere della sera, 6 novembre 1983). Il volto di Giuseppe infatti, spiccatamente semita, esprime la dolorosa fierezza del perseguitato;
proprio per questo secondo Guttuso simboleggia perfettamente la forza disperata di chiunque, in ogni tempo e in ogni luogo, sia profugo per vivere, forse
anche profugo nella sua stessa terra come i palestinesi da lui presi a modello per questo dipinto.
D’altra parte, qualunque fosse il soggetto dell’opera, il grande pittore siciliano vi si immergeva completamente e se ne lasciava compenetrare, sicché naturale
che la fuga in Egitto evangelica, pur ricostruita con estremo rigore filologico e con rispetto per l’iconografia cristiana, sia filtrata dalla sua ideologia e sia
inserita in un paesaggio che, in fondo, la sua stessa anima, palpitante di affetti indelebili per uomini e luoghi e pregna di ideali irrinunciabili.
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degli immigrati, dei nomadi, dei clandestini che occupano i nostri giornali alla vicenda del bambino
Gesù di Betlemme. Potremmo dire che l’ombra della croce si proietta già sui primi giorni di vita di quel
neonato e non stupisce che la scuola pittorica di Novgorod, a partire dal XV secolo, non abbia esitato a
unire quei due estremi insanguinati, raffigurando il piccolo Gesù avvolto in fasce funerarie e deposto in
una culla a forma di sarcofago!
Vittore Carpaccio: Fuga in Egitto
Secoli dopo, un poeta cristiano cinese, costretto anche lui alla clandestinità in quanto perseguitato, Ai
Qing (1910-1996), celebrava con questi versi il Natale del 1936: «Dalla mangiatoia vengono lamenti che
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strappano il cuore. / Con innumerevoli dita / la folla segna la fanciulla-madre / sprezzata come
immondizia, / nessuno è disposto a portarle un catino per il sangue». Il pensiero va a certe madri
straniere (ma non solo...) che partoriscono da sole, nascostamente, spargendo il loro sangue per terra e
strappando malamente il cordone ombelicale. Lasciamo per ora questi paralleli, che pure dovrebbero
far riflettere credenti e agnostici, e ritorniamo al testo matteano che citiamo nella sua essenzialità,
lontana mille miglia – come vedremo – dall’enfasi miracolistica dei Vangeli apocrifi.
«Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua
madre e fuggi in Egitto, resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per
ucciderlo. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove
rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del
profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» (2,13-15). Queste scarne parole evangeliche sono più
preoccupate di offrire un’interpretazione teologica di quella fuga che non di documentarne e motivarne
le pur reali componenti storiche (è questa una caratteristica generale dei Vangeli e in particolare dei
cosiddetti “Vangeli dell’infanzia di Gesù” presenti nei capitoli 1-2 di Matteo e di Luca). Infatti con la
citazione finale desunta dal profeta Osea (11,1) – «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» – si vuole
alludere a quell’evento capitale della storia dell’Israele biblico che fu l’esodo dall’oppressione faraonica:
Cristo ne ripercorre emblematicamente le tappe, incarnando sofferenza e salvezza, oppressione e
liberazione, emigrazione e rimpatrio. Così, più avanti risuonerà in Egitto questo appello rivolto al padre
legale di Gesù, Giuseppe: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e ritorna nel paese di Israele
perché sono morti coloro che volevano la vita del bambino» (2, 20).
Sullo sfondo storico c’è, dunque, la figura del famoso re Erode, la cui biografia – che può essere
ricostruita attraverso lo storico Giuseppe Flavio – fu scandita da grandi successi politici, ma anche da
un implacabile pugno di ferro nel sedare ogni minimo accenno di opposizione. Macrobio, storico
romano del V secolo, attribuirà ad Augusto un detto riguardante Erode: presso costui erano più
fortunati i porci (non commestibili per gli Ebrei) di quanto lo fossero i figli (in greco le due parole
hanno un suono affine), perché Erode aveva liquidato figli, mogli e parenti, sospettati di tramare alle
sue spalle. L’Egitto, confinante con la Palestina, costituiva un’ideale terra di esilio: già nel X secolo a. C.,
l’allora ribelle (e futuro re di Israele) Geroboamo, era riparato là per sfuggire alla polizia di Salomone.
Detto questo, dovremmo far scendere il sipario sulla vicenda di questo piccolo profugo e della sua
famiglia. Ma fin dalle origini la tentazione di rifugiarsi nei cieli dorati del mito, staccandosi dal realismo
storico dell’Incarnazione cristiana, era in agguato. Ed ecco sbocciare una fantasmagoria di prodigi che
circondano di un alone glorioso quello che in realtà era l’amaro e faticoso sopravvivere di tre
clandestini. Pagine e pagine di tanti Vangeli apocrifi, frutto di una costante necessità di decollare dal
presente aspro verso le illusioni di facili salvezze, hanno intessuto narrazioni mirabolanti che si sono
infiltrate addirittura tra le sure del Corano. Con questi racconti potremmo persino disegnare una sorta
di mappa di quella migrazione clandestina: i genitori di Gesù, scartando la cosiddetta “via del mare” che
costeggiava il Mediterraneo e superava Gaza – via più breve ma pericolosa a causa di posti di blocco
della polizia erodiana prima ed egiziana poi – puntano verso oriente, varcando il Giordano e
procedendo dall’attuale Giordania, lungo un complesso itinerario.
Ancor più minuziosa è la sequenza delle tappe in territorio egiziano: c’è anche l’odierno Cairo (che, tra
l’altro, è sede ancor oggi di splendide chiese dei cristiani copti, indigeni dell’Egitto, come dice il loro
stesso nome, deformazione del greco Aigyptos), c’è Ermopoli, c’è Assiut e così via. Noi ci
accontentiamo ora di offrire solo due esempi di questa narrativa apocrifa in cui l’enfasi del miracolo
cancella ogni realismo della storia. Ecco qualche frammento del lungo racconto dei cc. 18-20 del
cosiddetto Vangelo dello Pseudo-Matteo (noto già nel IV-V secolo): «Giunsero davanti a una grotta per
riposarsi, ma da essa improvvisamente uscirono molti draghi. Gesù allora scese dal grembo di sua
madre e stette diritto sui suoi piedi davanti ai draghi: essi si misero ad adorare Gesù e poi se ne
andarono via da loro... Così pure i leoni e i leopardi lo adoravano e si accompagnavano a loro nel
deserto: ovunque andavano Giuseppe e Maria, essi li precedevano, mostrando la strada e chinando la
testa; prestavano servizio facendo le feste con la coda e lo adoravano con grande riverenza... Nel terzo
giorno del viaggio, Maria, stanca per il troppo calore del sole e del deserto, vedendo un albero di palma
disse a Giuseppe: Mi riposerò all’ombra di questo albero. Maria guardò la chioma della palma e la vide
piena di frutti e disse a Giuseppe: Desidererei prendere i frutti di questa palma. E Giuseppe: Mi
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meraviglio che tu dica questo vedendo quanto è alta la palma. Io penso piuttosto alla mancanza
d’acqua... Allora il bambino Gesù che sereno riposava nel grembo della madre disse alla palma: Albero,
piega i tuoi rami e ristora col tuo frutto mia mamma. A queste parole la palma piegò subito la chioma
sino ai piedi della beata Maria e rimase inclinata attendendo l’ordine di rialzarsi da parte di Gesù. Costui
le disse: Apri con le tue radici la vena d’acqua che è nascosta nella terra. E subito dalla radice cominciò
a scaturire una fonte d’acqua limpidissima, fresca e chiara».
L’altro esempio lo riassumiamo noi dal c. 23 del cosiddetto Vangelo arabo dell’infanzia che ad alMoharraq, presso l’attuale Assiut (350 km a sud del Cairo), riserva la più sorprendente avventura
egiziana di Gesù bambino. Nella notte, alla ricerca di un rifugio, Giuseppe e Maria sono assaliti in
questa regione infestata da briganti: gli assalitori sono due banditi, Tito e Dumaco. Tito si commuove
subito di fronte a questa povera famiglia, colpito dalla tenerezza della madre e dallo splendore del
bimbo. Per poterli salvare dalla rapacità del socio è pronto a offrire 40 dracme dei suoi “risparmi” a
Dumaco perchè lasci indenne la famigliola. Come è facile immaginare, i due saranno i compagni di
Gesù nella crocifissione, condannati con lui a morte a Gerusalemme dopo varie vicende, e Tito altri
non sarà che il buon ladrone a cui Cristo spalanca il Paradiso.
Siamo, comunque, ben lontani dalla sobrietà dello scarno dettato del Vangelo canonico di Matteo 2e
dalla realtà dei profughi di allora e di oggi. Il cristianesimo ha voluto presentare la vita del suo
fondatore, certo, anche nella grandezza del suo mistero, ma celato sotto le spoglie della sofferenza e i
cenci della miseria, dalle origini sino al tragico approdo al colle del Golgota nella crocifissione. Il Cristo
reale è fratello degli ultimi della terra ed è per questo che aveva ragione Bertolt Brecht (sì, proprio l’ateo
drammaturgo tedesco) quando nelle sue Poesie 1918-1933 scriveva i versi del suo “Natale dei poveri”:
Oggi siamo seduti, alla vigilia
di Natale noi, gente misera,
in una gelida stanzetta,
il vento corre di fuori,
il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi,
volgi lo sguardo:
perché Tu ci sei davvero necessario.
La bella immagine della “Fuga” dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova
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Una rilettura dei rapporti familiari ci permette di ricondurre, all’interno della semplice tradizione dell’haggadàh ebraica (metodo esegetico
che consiste nel proporre buoni esempi da imitare nella propria vita), la pagina del Vangelo di Matteo che viene proposta. La premurosa
attenzione di Giuseppe, che permette a Gesù e a sua madre di sfuggire alla violenza del tiranno, è di un’esemplarità straordinaria. E lo è
soprattutto perché caratterizzato da un’obbedienza pronta e totalmente distaccata dai propri interessi, pur di garantire la vita di coloro che
gli sono stati affidati. È l’obbedienza tipica di un profeta. Infatti, quando «l’angelo del Signore» appare in sogno e parla (cf Mt 2,13.19.22),
non esita neppure un istante a mettersi immediatamente in movimento, perché la parola del Signore sia eseguita: «Destatosi, prese con sé il
bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto» (Mt 2,14); e di nuovo: «Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’Israele»
(Mt 2,21). [Abbà, Padre. Innocenzo Gargano]
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Fuga in Egitto di Correggio (1520)
Bottega di Ludovico Carracci - Riposo durante la fuga in Egitto
Ippolito Scarsella, lo Scarsellino, Riposo durante la fuga in Egitto
6
Benedetto Diana, Riposo durante la fuga in Egitto
Adam Elsheimer (1578-1610): La fuga in Egitto (1609)
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Caravaggio Michelangelo Merisi
Fuga in Egitto: Adam Elsheimer
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Giuseppe Antonio Pianca (1703 -1762) Riposo durante la fuga in Egitto Olio su tela, cm 83 x 98
Giotto – Fuga in Egitto (Assisi – Basilica Inferiore)
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Giotto – Fuga in Egitto
Beato Angelico: Fuga in Egitto (dal dipinto per l'Armadio degli Argenti) 1450 Tempera su tavola, 38,5 x 37 cm Museo di San Marco, Firenze
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Correggio – Fuga in Egitto
Orazio Gentileschi: Riposo nella fuga in Egitto (1627)
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Zurbarán: Fuga in Egitto
Anonimo: Fuga in Egitto - Tavola in pino
Nicolas Poussin: Il riposo durante la fuga in Egitto (1655)
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Anonimo: Fuga in Egitto - Bassorilievo
Anonimo: Fuga in Egitto
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Anonimo: Fuga in Egitto
Anonimo: Fuga in Egitto - Bassorilievo
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Anonimo: Fuga in Egitto
La Fuga in Egitto, miniatura. Codice 38 della biblioteca marciana di Venezia, secolo XIII.
Legno finitura intonaco
Fuga in Egitto, dal Libro d’Ore in uso a Poitiers, sec. XVI
Cod. Mediceo Palatino 10 c57v.,
Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze.
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Fuga in Egitto
da Wikipedia
Giotto di Bondone, Fuga in Egitto, 1304-1306, Cappella degli Scrovegni, Padova.
La Fuga in Egitto è un episodio dell’infanzia di Gesù. Tra tutti i libri che compongono il Nuovo
Testamento canonico è riportato solo dal Vangelo secondo Matteo (2,13-23), in cui Giuseppe, assieme a
Maria e Gesù neonato, fugge in Egitto dopo la visita dei Magi dopo aver appreso che re Erode il
Grande intende far uccidere i bambini della zona (strage degli innocenti); l’episodio è presente anche in
fonti non canoniche e in tradizioni della Chiesa copta.
L’evento è frequentemente raffigurato nell’arte come episodio finale della natività di Gesù, oltre ad
essere incluso nei cicli della Vita della Vergine e Vita di Cristo.
Icona murale raffigurante il Sogno di Giuseppe, XI secolo, chiesa di Ateni Sioni, Georgia.
Racconto del Vangelo secondo Matteo
Nel racconto del Vangelo secondo Matteo i Magi, si recano da re Erode il Grande a chiedergli dove trovare
il neonato “Re dei Giudei”; Erode, timoroso che il bambino possa minacciare il suo trono, tenta di
ucciderlo (2,1-8), ordinando la morte di tutti i bambini sotto i due anni (2,16-18). Ma un angelo appare
in sogno a Giuseppe e lo avverte del pericolo, dicendogli di prendere madre e figlio e recarsi in Egitto
(2,16-18), cosicché Gesù poté scampare alla strage degli innocenti.
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Dopo la morte di Erode, l’angelo appare di nuovo in sogno a Giuseppe per dirgli di che possono
tornare nella loro terra: Giuseppe, però, viene a sapere che in Giudea regna il figlio di Erode, Erode
Archelao, e temendo per il bambino invece di tornare in Giudea, si reca con la famiglia a Nazaret, in
Galilea.
Profezia di Osea
In Matteo 2,15 è citato un verso del Libro di Osea dell’Antico Testamento (11,1, «Quando Israele era
fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d’Egitto»), che secondo l’autore del vangelo era una
profezia soddisfatta dal ritorno di Gesù dall’Egitto: «Là rimase fino alla morte di Erode, affinché si
adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta: “Fuori d’Egitto chiamai mio figlio”».
Si tratta di un verso che fa riferimento all’esodo degli Ebrei dall’Egitto, in cui il popolo di Israele è
chiamato da Dio “mio figlio”, come nel Libro dell’Esodo 4,22-23, «[...] Israele è mio figlio [...] lascia
andare mio figlio».
Icona russa del XVII secolo raffigurante la fuga in Egitto.
Nel registro inferiore sono raffigurati degli idoli egiziani che crollano miracolosamente distruggendosi al passaggio di Gesù.
Altre narrazioni
Se il Vangelo secondo Matteo, unica fonte canonica a tramandare il racconto della fuga in Egitto, è
silenzioso riguardo agli anni trascorsi dalla famiglia in Egitto, l’episodio della fuga e la vita di Gesù e dei
suoi genitori in terra egiziana è narrato in diversi apocrifi del Nuovo Testamento; questi riportano storie
miracolose, come alberi di palma che si inchinano davanti a Gesù bambino, bestie del deserto che gli
rendono omaggio, incontri con i due ladri che saranno poi crocifissi con lui, oltre ad aggiungere dettagli
come l’aggregarsi alla famiglia di Salomè come balia dell’infante.
Le storie della vita di Gesù in Egitto hanno svolto un ruolo importante specialmente all’interno della
Chiesa copta. Per tutto l’Egitto vi sono diverse chiese e santuari che sarebbero stati eretti in luoghi
abitati dalla famiglia; il più importante di questi è la chiesa dei Santi Sergio e Bacco ad Abu Serghis, che
sarebbe stata eretta sulla casa di Gesù in Egitto.
Documento redatto da Roberto Zanardo, dicembre 2009.
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