Rassegna
La prevenzione del rischio trasfusionale infettivo e
immunologico con il plasma fresco congelato trattato
con il metodo del solvente/detergente
GianLodovico Molaro
Pordenone
I rischi trasfusionali infettivo e immunologico
La storia della Medicina Trasfusionale è essenzialmente
quella di una continua ed incessante ricerca delle procedure
per rendere più sicura ed efficace la trasfusione del sangue
e dei suoi prodotti.
La sicurezza si basa sulla prevenzione dei due principali
rischi associati alla trasfusione allogenica: l'infettivo e
l'immunologico. L'efficacia si misura dalla capacità degli
emocomponenti trasfusi di realizzare una completa terapia
sostitutiva dei deficit ematologici del ricevente. Entrambe,
ovviamente, devono tenere in debita considerazione il
problema dei rapporti sia tra costi ed efficacia sia tra rischi
e benefici.
I continui progressi compiuti nelle procedure di raccolta,
preparazione e conservazione dei prodotti ematici realizzati
nel corso degli ultimi decenni hanno consentito di migliorare
la qualità degli emocomponenti così da rendere sempre più
efficace la terapia trasfusionale.
Per quanto concerne la sicurezza non vi è alcun dubbio
che attualmente la prevenzione del rischio infettivo e
immunologico è nell'insieme migliorata rispetto al passato,
ma i successi riguardano principalmente la trasmissione
degli agenti virali considerati di maggior importanza clinica,
rappresentati, almeno in Europa, dai virus dell'epatite e
dell'HIV e meno altri rischi infettivi e immunologici.
Infatti, come si evince dalle verifiche sull'incidenza, la
trasmissione trasfusionale dei suddetti virus negli ultimi
anni è diminuita in maniera significativa1,3.
Rimane però ancora aperto il problema del rischio di
infezione da virus che, pur essendo già nota e conosciuta
l'evenienza di una loro trasmissione per via trasfusionale,
Corrispondenza:
Dott. GianLodovico Molaro
Via Montereale, 113
33170 Pordenone
non viene preso in considerazione, se non raramente,
l'impiego di mezzi di prevenzione, data la loro minor
importanza clinica. Né va dimenticato il rischio di
trasmissione di altri virus ed agenti patogeni ancora
sconosciuti.
Poco significativi sono stati anche i progressi compiuti
nella prevenzione delle complicanze post-trasfusionali
infettive dovute ad una contaminazione batterica delle unità
trasfusionali 4.
Anche per quanto riguarda il rischio immunologico,
l'adozione di procedure basate sull'automazione delle
indagini immunoematologiche e l'impiego delle tecniche
informatiche nella preparazione del sangue e degli
emocomponenti e nell'assegnazione delle unità
trasfusionali, non hanno fatto registrare significativi
miglioramenti, se si considera, ad esempio, la persistenza
degli errori responsabili di reazioni post-trasfusionali
emolitiche ad esito talora letale.
Tra le complicanze immunologiche non vanno
dimenticate quelle associate all'effetto immunodepressivo
della trasfusione allogenica, oggetto di numerosi studi che
confermano la comparsa di un'immunodepressione posttrasfusionale, anche se il problema è bisognevole di ulteriori
studi e verifiche specialmente per quanto riguarda i
meccanismi di insorgenza che sono stati invocati.
In definitiva, il traguardo di una terapia trasfusionale
priva di rischi rimane ancora molto lontano.
Le strategie per la prevenzione dei rischi
trasfusionali infettivi e immunologici
Tre sono le strategie adottate per la prevenzione della
trasmissione degli agenti infettivi attraverso la trasfusione:
- la selezione dei donatori di sangue in base alla loro
storia e valutazione clinica;
LA TRASFUSIONE DEL SANGUE vol. 46 - num. 1 gennaio-febbraio 2001 (1-9)
1
GL Molaro
-
lo screening sistematico delle unità trasfusionali
portatrici dei marcatori degli agenti patogeni;
- il trattamento del sangue e dei suoi prodotti per
inattivare gli agenti infettivi che, per varie cause, sono
sfuggiti allo screening oppure sono considerati
clinicamente non rilevanti.
I limiti della selezione dei donatori sono ben noti, anche
se condotta in base a criteri sempre più severi, compreso
quello relativo al riconoscimento dei donatori a rischio di
trasmissione dei prioni responsabili della malattia di
Creutzfeld-Jakob (familiare, iatrogenica, idiopatica) e,
soprattutto, della sua variante comparsa negli ultimi anni
in alcuni Paesi europei.
I tradizionali test sierologici per la ricerca dei donatori
portatori degli antigeni degli agenti infettivi e/o dei rispettivi
anticorpi sono stati progressivamente migliorati nel corso
degli anni e specialmente nell'ultimo decennio 2.
Un contributo alla riduzione di questo rischio è stato
offerto dalla preparazione di plasmaderivati ottenuti con la
tecnologia del DNA ricombinante, con la limitazione dovuta
alla possibilità di una sua applicazione, per ora, solo alla
preparazione dei concentrati dei fattori VIII e IX della
coagulazione.
Una maggiore sicurezza di prevenzione del rischio
infettivo virale nel campo degli emoderivati è quella che
deriva dall'obbligo, imposto dal CPMP (Committee for
Proprietary Medicinal Products), di adottare in Europa, a
partire dal 1 Luglio 1999, la metodologia GAT (Genomic
Amplification Technology) per la ricerca del virus
dell'epatite C sui lotti di plasma da sottoporre al
frazionamento per la produzione dei plasmaderivati 5.
Questa recente tecnica di indagine per la dimostrazione
degli acidi nucleici virali è destinata ad annullare i limiti
ancora esistenti dello screening sierologico delle unità
trasfusionali rappresentati da:
a- mancata correlazione tra la positività dei test "surrogati"
(ad esempio, l'ALT, la ricerca dell'anti-HBc per i marcatori
dei virus dell'epatite) e la presenza dell'HAV od HCV nel
donatore;
b- impiego di test poco sensibili;
c- mancata o bassa risposta anticorpale;
d- variabilità genetica dell'HIV e HCV, oppure presenza di
mutanti dell'HBV non rilevabili
e- esistenza del periodo di pre-sieroconversione,
cosiddetto "finestra", caratterizzato dalla negatività dei
test sierologici pur in presenza del virus nel donatore2,6.
Il ricorso alla tecnologia GAT, per svelare la presenza
nel plasma destinato al frazionamento degli acidi nucleici
virali, è particolarmente importante per l'HCV, data la
maggior durata del periodo finestra di questo virus, rispetto
all'HBV e HIV.
2
Tuttavia, una recente osservazione della trasmissione
dell'HCV attraverso un'unità trasfusionale riscontrata
negativa nella ricerca di questo virus con la tecnologia
GAT è la prova della necessità che il test venga ulteriormente
perfezionato7.
Per colmare le deficienze delle suddette strategie di
prevenzione del rischio infettivo virale sono state proposte
ed attuate anche altre procedure. Tra queste, va ricordata
quella riguardante la conservazione del plasma del donatore
allo stato congelato per un periodo di almeno 112 giorni (16
settimane) e la sua utilizzazione solo dopo avere avuto la
conferma della negatività dei test sierologici praticati in
occasione della successiva donazione. Tale procedura,
cosiddetta di quarantena, consente di svelare il portatore
di agenti virali sfuggito nel precedente screening praticato
nel periodo "finestra".
Adottata in Germania a partire dal 1995 ed approvata
dal FDA statunitense nel 1998, viene applicata al plasma
che si ottiene per scomposizione del sangue intero, ma il
principio della ripetizione dei test sierologici virali prima
dell'utilizzazione del plasma si adatta anche alla raccolta
con il sistema della plasmaferesi, di solito praticata ad
intervalli più brevi rispetto alla donazioni di sangue intero.
Pertanto la denominazione più appropriata per il PFC,
che, indipendentemente dalla procedura di raccolta, viene
utilizzato solo dopo la ripetizione nel donatore delle indagini
sierologiche per i virus, è quella di donor retested (PFCDR)8.
Un importante contributo alla prevenzione del rischio
infettivo (ed anche immunologico) è quello offerto dalla
leucodeplezione delle unità trasfusionali, specialmente se
viene praticata secondo la modalità cosiddetta prestorage
applicata su tutte le unità (leucodeplezione totale) 9.
L'importanza di questa procedura deriva dalla possibilità
di evitare non soltanto la trasmissione dei virus che sono
veicolati dai leucociti (citomegalovirus, virus di EpsteinBarr e HTLV-I/II), ma anche dei batteri eventualmente
presenti nell'unità, come pure del prione responsabile della
variante della malattia di Creutzfeld-Jakob (la trasmissione
di questo agente patogeno associato ai linfociti, peraltro,
necessita ancora di essere più sicuramente dimostrata).
La terza e più importante strategia di prevenzione del
rischio infettivo è costituita dall'impiego di procedure che
inattivano oppure rimuovono gli agenti infettivi nel sangue
intero e nei suoi prodotti.
I mezzi che nel corso degli anni sono stati impiegati per
realizzare questa strategia, indicata con il termine più
appropriato e comprensivo di decontaminazione, possono
essere distinti, in linea generale, in tre gruppi 10.
Il primo comprende le procedure basate sull'impiego di
mezzi fisici: il calore, l'irradiazione con raggi UV, la
PFC trattato con solvente/detergente
cromatografia di affinità e l'impiego di filtri con pori di
diametro compreso fra 15 e 40 nm per la rimozione dei virus
(nanofiltrazione). Il calore viene impiegato con la tecnica della
pasteurizzazione, utilizzando il calore secco (80 oC per 72
ore), oppure il calore umido sotto forma di vapore (a 60 oC
per 10 ore).
Nel secondo gruppo sono comprese le procedure
basate sulla neutralizzazione degli agenti virali mediante i
corrispondenti anticorpi monoclonali o sull'impiego di
sostanze chimiche o biochimiche, fra cui l'etanolo, gli enzimi
(pepsina) assieme a variazioni del pH, le miscele di sostanze
ad azione solvente e detergente e le sostanze capaci di
interagire con gli acidi nucleici dei virus.
L'associazione del β-propiolattone con l'irradiazione a
luce ultravioletta e quella del metodo del solventedetergente con il calore sono esempi di procedure che si
basano sull'azione di differenti mezzi tra loro associati per
aumentare l'efficacia decontaminante.
Nelle metodiche che si basano sull'utilizzazione di
sostanze cosiddette fotosensibilizzanti si impiegano le
fenotiazine (il blu di metilene ed il blu di 1,9-dimetilene) e le
ftalocianine, che agiscono per via fotodinamica sotto
l'azione della luce. Altre sostanze fotodecontaminanti sono
gli psoraleni che esercitano, invece, un'azione di ordine
fotochimico se associate alla luce ultravioletta B (UVB, 280320 nm)11-13.
L'applicazione delle suddette procedure per la
decontaminazione del sangue e dei suoi prodotti è però
condizionata non soltanto dalla dimostrazione della loro
capacità di inattivare o rimuovere gli agenti patogeni, liberi
nel plasma od associati alle cellule ematiche (principalmente
ai leucociti), ma anche, e soprattutto, dalla loro capacità di
rispettare l'integrità e la vitalità delle cellule ematiche.
Alcuni degli agenti fisici, chimici o biochimici
sopraelencati, pur provvisti di un'efficace azione
decontaminante, non possono essere utilizzati a tale scopo
per il danno irreversibile che provocano alle singole cellule
ematiche, o, per lo meno, necessitano di essere
ulteriormente studiati, prima di poter essere impiegati nella
comune routine per l'inattivazione degli agenti infettivi nei
sangue intero e nei concentrati eritrocitari, piastrinici e
granulocitari (i cosiddetti prodotti labili).
Le plasmaproteine contenute nei prodotti denominati
stabili, ottenuti dal frazionamento del plasma, non vengono
invece danneggiate dai sistemi di decontaminazione di
ordine fisico o chimico e biochimico o lo sono solo in modo
tale da non compromettere la loro efficacia terapeutica nel
ricevente.
Questi prodotti comprendono i concentrati dei fattori
dell'emostasi, sia procoagulanti (fattori VIII, IX, fattori del
complesso protrombinico) che anticoagulanti (AT III), le
immunoglobuline (Ig), l'albumina ed altri (trombina, colla di
fibrina).
Per questi emoderivati il metodo che si è rivelato più
efficace, e perciò è stato più largamente applicato per
l'inattivazione virale, è quello basato sull'impiego della
miscela di tri(n-butil)fosfato (TNBP) all'1% associato al Triton
X-100 all'1%, comunemente noto con la sigla S/D (solvente/
detergente).
Inizialmente proposto ed applicato per l'inattivazione
dei virus dell'epatite e dell'HIV nei prodotti labili del sangue
14
, a partire negli anni 1980 è stato invece sempre più
largamente utilizzato per il trattamento di quelli stabili dopo
la dimostrazione della sua robusta capacità di inattivare il
gruppo dei virus con un involucro lipidico, fra i quali l'HBV,
l'HIV e l'HCV, che rivestono la maggior importanza
clinica12,15,16.
Negli anni 1990 il metodo del S/D ha trovato
un'applicazione sempre maggiore anche per l'inattivazione
virale del plasma fresco congelato (PFC).
Oggi, pertanto, la terapia trasfusionale con il plasma
può essere praticata utilizzando tre diversi prodotti:
- PFC preparato nei Servizi Trasfusionali da singolo
donatore, per scomposizione del sangue intero o per
aferesi, e distribuito per l'impiego clinico senza essere
sottoposto a nessuna delle metodiche di
decontaminazione microbica;
- PFC- DR, preparato con la procedura della ripetizione
dei test sierologici virali nel donatore;
- PFC trattato con il metodo del S/D (PFC-S/D)8, 17.
Con la possibilità di disporre del PFC-S/D si è venuta
così a ridurre, almeno in parte, la discriminazione che si era
generata in passato tra i pazienti trasfusi con i prodotti
stabili e rispettivamente labili sotto il profilo del rischio
infettivo, assente nei primi e presente invece nei secondi
relativamente agli emocomponenti cellulari.
Il PFC-S/D è ormai entrato nella comune pratica
trasfusionale sia in Europa che negli Stati Uniti.
Il prodotto, utilizzato per la terapia con il PFC nei Paesi
europei (Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Germania,
Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo e Regno Unito), è
preparato e distribuito, a partire dal 1992, dalla Ditta
Octapharma di Vienna con la denominazione di Octaplas
In alcuni di questi Paesi la terapia trasfusionale con il
plasma viene condotta solo con il suddetto prodotto. In
Italia l'Octaplas è stato recentemente registrato come
prodotto farmaceutico. Il PFC-S/D utilizzato negli Stati Uniti
è prodotto dalla V.I. Technologies Inc., impiegando una
procedura di produzione simile a quella dell'Octaplas,
partendo però da un pool di plasma di maggiori dimensioni,
ed è attualmente distribuito dall'American Red Cross con
la denominazione di PLAS+ RSD4.
3
GL Molaro
L'Octaplas
Preparazione
Il ciclo di preparazione di questo prodotto comprende
diversi steps, partendo da un pool di 280 litri di plasma
raccolto seguendo la Raccomandazione R(95) 15 del
Consiglio d'Europa, con l'avvertenza di sottoporre le unità
di plasma (separato dal sangue intero preferibilmente entro
6 ore dal prelievo) ad un congelamento rapido da completare
entro 1 ora (shock freezing), escludendo il plasma emolitico
o lipemico18.
Il pool di plasma, dopo uno scongelamento rapido ed
una prima filtrazione (1 µm), allo scopo di allontanare
totalmente le cellule ematiche, i loro frammenti e gli aggregati
cellulari presenti nel materiale di partenza, viene trattato a
30 o C per 4 ore con il TNBP all'1% ed il Triton X-100 all'1%.
I due reagenti vengono quindi allontanati: il primo per
estrazione con olio vegetale al 5% e successiva separazione,
ed il secondo per cromatografia ad interazione idrofobica
su resina C18, previa filtrazione chiarificante (0,45-1µm).
La preparazione si conclude con un'ultima filtrazione
sterile (0,45-0,2 mm) e con il riempimento e saldatura delle
sacche, che vengono congelate ad una temperatura di - 60 o C
e conservate prima dell'impiego a - 30 o C.
Le unità standard del prodotto, contenenti 200 mL di
plasma, sono tra loro distinte a seconda della specificità
gruppoematica ABO19-21.
Standardizzazione delle unità
La preparazione delle unità del PFC-S/D partendo da
un pool di plasma consente di annullare la variabilità
individuale esistente tra i singoli donatori e di ottenere una
standardizzazione del prodotto, come è dimostrato dai
Controlli di Qualità praticati nei campioni di diversi lotti
che confermano la costanza del contenuto proteico totale,
dei fattori della coagulazione e della fibrinolisi, degli
anticoagulanti naturali, delle Ig, degli ioni plasmatici, del
pH e dell'osmolarità.
Gli studi praticati in vitro sui lotti del prodotto hanno
dimostrato che il tasso dei fattori II, V, VII, VIII, IX, X, XI e
XIII della coagulazione non è risultato mai inferiore a 0,7 U/
mL ed il fibrinogeno superiore a 1,8 mg/mL.
Questi reperti rientrano nell'ambito della normale
variabilità dei prodotti biologici e rispettano i requisiti
richiesti dalla già citata Raccomandazione R(95) 15 del
Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio
d'Europa nella preparazione del PFC.
Una riduzione significativa (intorno al 40%) è stata
invece riscontrata per la Proteina S e l'α2-antiplasmina, ma
va tenuto presente che la stessa preparazione comporta
un'inevitabile diluizione valutata intorno al 10% 12, 20- 24.
4
Significativamente diminuito è anche il contenuto dei
multimeri ad alto peso molecolare che entrano nella
composizione del fattore von Willebrand (ultra large
multimers of von Willebrand factors-ULvWF-)12,22,25.
Va però rilevato che la riduzione dell'α2-antiplasmina e
dell'attività della Proteina S nell'Octaplas rispetto al PFC
non trattato e al PFC-DR non ha trovato conferma in uno
studio più recente23.
Nel PFC-S/D sono risultati diminuiti, rispetto al plasma
d'origine, i lipidi plasmatici e le isoagglutinine12.
Sicurezza
Per valutare la sicurezza del prodotto per quanto
riguarda la prevenzione del rischio infettivo virale sono
stati condotti studi sia in laboratorio che su animali
(scimpanzé) trasfusi con plasma precedentemente
contaminato con virus e trattato con il metodo del S/D.
In laboratorio è stata studiata la validazione
dell'inattivazione virale seguendo le linee-guida
raccomandate in Europa (CPMP/BWP/268/95 e CPMP/
BWP/269/95) e dalla FDA negli Stati Uniti, utilizzando sia i
virus patogeni per l'uomo (HIV-1/2, HCV, HBV e
Citomegalovirus) sia quelli di laboratorio quali modelli delle
infezioni umane. I modelli per l'HBV (a dsDNA) sono il
virus della stomatite vescicolare (VSV) ed il Pseudorabies
virus (PRV), mentre il modello per l'HCV (a ssRNA) è il
Sindbis virus (SIN).
Negli studi sui virus HBV ed HCV, per i quali non può
essere utilizzata la coltura su tessuti, è stato impiegato anche
l'animale (scimpanzé)
I valori di riduzione dell'infettività osservati, espressa
in log10 della dose infettante su coltura di tessuto (TCID50),
sono stati ≥ 6,5 fino a 7 per l'HBV ≥ 5,2 fino a 6 per l'HCV e
≥ 5 per l'HIV, mentre quelli di riduzione dell'infettività
espressa in log10 della dose infettante su scimpanzé (CID50)
sono stati ≥ 6 per l'HCV e ≥ 6 per l'HBV19, 21, 26- 29.
L'efficacia antivirale del trattamento S/D è stata
confermata da uno studio pre-clinici condotto nello
scimpanzé che hanno dimostrato la mancanza dell'infezione
da HBV ed HCV negli animali trasfusi con PFC-S/D,
precedentemente contaminato con i suddetti virus, anche
a distanza di 9 mesi dalla trasfusione, a differenza degli
animali trasfusi con plasma infettante non sottoposto
all'inattivazione 19. In questo studio è stato anche rilevato
che il trattamento con del plasma con il S/D non comporta
la formazione di neoantigeni capaci di provocare la comparsa
di anticorpi nell'animale trasfuso con il PFC-S/D19. È stato
inoltre appurato che il metodo S/D possiede la capacità di
distruggere in maniera rapida ed irreversibile i virus ad
involucro lipidico e che l'azione è indipendente dalle
variazioni nel contenuto proteico e lipidico del plasma19, 21, 29 .
PFC trattato con solvente/detergente
A supporto di questi studi condotti in laboratorio e
sull'animale per la validazione del metodo del S/D di
inattivazione dei virus ad involucro lipidico vi sono le
osservazioni sull'impiego del preparato nella pratica clinica
corrente, compiute nel corso degli anni a partire dal 1991 in
un numero sempre maggiore di pazienti trasfusi con
l'Octaplas e controllati a distanza di mesi dalla trasfusione,
che dimostrano l'assenza di trasmissione dei virus a
rivestimento lipidico.
Oltre ai virus di maggiore importanza clinica sopra
menzionati e ai loro mutanti sierologicamente non svelabili,
sono sensibili al trattamento con il S/D anche altri virus
potenzialmente patogeni, come l'HGV(GBV-C) ed alcuni
herpesvirus (citomegalovirus, virus di Epstein-Barr,
Kaposi's associated herpesvirus o KSHV).
Non sono invece inattivati dal trattamento con metodo
del S/D i virus che sono privi di involucro lipidico, presenti
nel plasma e nei prodotti del frazionamento plasmatico.
Tra questi, i più importanti dal punto di vista della
trasmissione trasfusionale e della loro infettività clinica,
sono l'HAV ed il Parvovirus B19 19. 21, 26, 29.
Le infezioni da essi provocate sono endemiche in una
popolazione in equilibrio immunologico, provocando la
comparsa dei rispettivi anticorpi in una percentuale di
soggetti (compresi i donatori di sangue o di plasma) che
varia a seconda delle popolazioni. In Norvegia gli anti-HAV
sono stati riscontrati nel 36% di soggetti adulti e gli antiParvovirus B19 nel 76%, ma esiste un'ampia variabilità delle
percentuali dei portatori nei singoli Paesi europei a seconda
dell'età e della popolazione studiata 30.
La capacità inattivante del PFC-S/D nei riguardi dei
suddetti virus si basa sulla presenza nel pool di plasma di
partenza del prodotto di anticorpi anti-HAV ed antiParvovirus B19 capaci di agire sui virus stessi attraverso
un meccanismo di neutralizzazione immunologica.
Nel Controllo di Qualità dei lotti di Octaplas il contenuto
di anticorpi anti-HAV IgG oscilla tra 0,7 e 1,6 IU/mL (in
media 1,1± 0,2 IU/mL 30.
Si calcola che un soggetto adulto, trasfuso con il PFCS/D in quantità di 10-15 mL/Kg di peso corporeo riceva
all'incirca 150 mg di IgG per Kg contenenti una dose di antiHAV da 480 a 1800 IU, che è superiore a quella normalmente
raccomandata per la profilassi dell'infezione da HAV con le
Ig specifiche per via intramuscolare8, 17, 31.
Per quanto riguarda gli anti-Parvovirus B19 IgG, le
quantità riscontrate nei vari lotti del PFC-S/D prodotto negli
Stati Uniti ed in Europa sono risultate variabili: da 43 a 491
U/mL (in media 132) secondo alcuni AA17 e da 27 a 54 IU/
mL (in media 38±8) secondo altri30, ma mancano ancora dati
sicuri per stabilire la dose di anticorpi protettiva per
l'infezione di questo virus.
In un recente studio, condotto per valutare la possibilità
di trasmissione del Parvovirus B19 in pazienti trasfusi in
occasione di interventi di cardiochirurgia con l'Octaplas
contenente gli anti-Parvovirus in quantità media di 38±8
IU/mL, non è stato possibile stabilire se gli anticorpi antiParvovirus B19 che sono stati riscontrati nel ricevente a
distanza dalla trasfusione avevano protetto il paziente
dall'infezione trasmessa con la trasfusione del plasma
oppure se fossero l'espressione di un'infezione in forma
clinicamente non evidente 30.
A tutt'oggi non sono stati mai descritti casi di
trasmissione dell'HAV in soggetti trasfusi con il PFC-S/D 8,
mentre è stato recentemente segnalato un caso di infezione
da Parvovirus B19 negli Stati Uniti in una paziente affetta
da miastenia grave sottoposta ad un ciclo di
plasmaexchange con l'impiego di numerose unità di PFC,
delle quali soltanto 5 erano di PFC-S/D 32.
L'indicazione all'impiego del PFC-S/D dev'essere
pertanto oggetto di una prudente valutazione in quelle
situazioni cliniche nelle quali è ormai dimostrato il ruolo
eziopatogenetico del suddetto virus (le "crisi aplastiche"
nei pazienti con anemie emolitiche croniche e la "pure red
cell aplasia" nei portatori di un'immunodeficienza cronica).
L'inattivazione virale attraverso il meccanismo della
neutralizzazione immunologica è stato oggetto di studi
anche nei riguardi dei virus a rivestimento lipidico.
È stato rilevato che gli anticorpi anti-HBV presentano
un efficiente potere neutralizzante, come avviene per l'HAV,
mentre per l'HCV e l'HIV l'effetto inattivante è invece solo
marginale e per il citomegalovirus la neutralizzazione
immunologica ad opera di anticorpi rimane un problema
ancora non risolto 33.
L'azione inattivante del metodo del S/D sui virus si
esplica pertanto attraverso un duplice meccanismo: uno di
ordine chimico e l'altro immunologico.
Ciò lo distingue dai plasmaderivati, nei quali il rischio
di una trasmissione di virus al ricevente non è eliminato
quando le procedure impiegate per il frazionamento
comportano la rimozione delle Ig anticorpali privando il
prodotto dell'azione protettiva nei riguardi dei virus presenti
nel pool, specialmente se proveniente da un numero elevato
di donazioni33. È ben nota infatti l'evenienza di trasmissione
dell'HAV e del Parvovirus B19 a pazienti con coagulopatie
ereditarie trasfusi con concentrati dei fattori della
coagulazione 17, 34, 35.
La recente scoperta di altri virus e la dimostrazione della
possibilità di una loro trasmissione attraverso la terapia
trasfusionale fa sorgere il problema della sicurezza del PFCS/D anche nei riguardi del gruppo dei virus cosiddetti
"emergenti" comprendenti l'HGV (GBV-C), il Kaposi's
sarcoma associated virus-human herpes virus-8 (KSAV/
5
GL Molaro
HHV-8), già menzionati, il putatively hepatitis related TT
virus (TTV) ed il multiple sclerosis putatively associated
retrovirus(MSRV)36. Al riguardo va ricordato che l'HGV
possiede un rivestimento lipidico ed è quindi suscettibile
di essere inattivato dal metodo del S/D, mentre il TTV ne è
privo; ma per entrambi manca ancora la dimostrazione sicura
che siano patogeni ed in particolare che provochino
un'epatite post-trasfusionale 37.
La sicurezza della terapia con il PFC non riguarda però
soltanto i rischi di trasmissione di agenti infettivi, ma anche
le complicanze post-trasfusionali di ordine immunologico.
Le reazioni avverse a patogenesi immunologica sono
associate principalmente alla trasfusione di leucociti e di
alloanticorpi del donatore diretti verso gli antigeni delle
cellule ematiche del ricevente.
È stato ormai dimostrato che, contrariamente a quanto
si riteneva in passato, il PFC, sia esso ottenuto per
separazione dal sangue intero o per aferesi, contiene
leucociti che conservano il loro corredo antigenico ed anche
la loro capacità proliferativa dopo lo scongelamento 38- 41.
Nell'Octaplas la prevenzione del rischio immunologico
associato alla presenza di leucociti è assicurata dalla
filtrazione inserita nella procedura di preparazione del
prodotto. Il passaggio del plasma in successione attraverso
tre filtri con pori di diametro decrescente, da 1 a 0,45 fino a
0,2 µm assicura il completo allontanamento dei leucociti
presenti nei campioni di plasma che entrano a far parte del
pool. L'importanza di una completa leucodeplezione è
molteplice.
In primo luogo è un ulteriore mezzo per prevenire la
trasmissione dei virus veicolati dai leucociti già ricordati
(citomegalovirus, HTLV-I /II, virus di Epstein-Barr ed anche
HIV-1/2, integrato nelle cellule, a differenza dei i suoi virioni
presenti nel plasma). I leucociti possono poi contribuire
alla trasmissione di agenti batterici essendo stata dimostrata
la loro proprietà di fagocitarli e successivamente di liberarli
in circolo 42.
Inoltre con la leucodeplezione si allontanano gli antigeni
del sistema HLA e di altri sistemi gruppoematici, associati
ai leucociti ed alle piastrine e ai loro frammenti, responsabili
di un'alloimmunizzazione e delle conseguenti reazioni posttrasfusionali, da quelle febbrili non emolitiche (RFNE) ad
altre. Fra queste, vi è anche quella di un effetto
immunomodulante della trasfusione nella forma di una
depressione del sistema immune del ricevente che riconosce
nei leucociti il fattore eziopatogenetico principale 9.
L'efficacia
L'efficacia clinica del PFC-S/D è stata valutata in vivo
in numerosi pazienti affetti da patologie diverse ed in
particolare da disordini complessi dell'emostasi, in
6
occasione di interventi di cardiochirurgia con circolazione
extracorporea, o di ricovero in reparti di terapia intensiva
per coagulopatie da diluizione o coagulazione
intravascolare disseminata (CID), nonché in soggetti
politraumatizzati oppure portatori di epatopatie gravi o
sottoposti a trapianti di fegato.
In questi studi l'efficacia del PFC-S/D è stata confrontata
con quella del PFC da singolo donatore o con PFC-DR 43-47.
In alcune di queste categorie di pazienti sono stati
controllati i parametri emocoagulativi, assieme a quelli
ematochimici, rilevati prima e dopo la trasfusione
dell'Octaplas.
Nel complesso non sono state osservate significative
differenze tra i soggetti trasfusi con l'Octaplas rispetto a
quelli con il PFC da singolo donatore non sottoposto
all'inattivazione con il S/D.
Il ricupero post-trasfusionale e la sopravvivenza dei
fattori della coagulazione tra i due gruppi di pazienti sono
risultati sostanzialmente uguali ed in particolare non sono
stati rilevate differenze dei marcatori di attivazione della
cascata coagulativa (MAC)48.
Il riscontro di valori entro i limiti della norma del
frammento F1+2 della protrombina, del monomero della
fibrina, dei complessi trombina-antitrombina e plasminaantiplasmina, dei prodotti di degradazione del fibrinogeno
e del D-dimero dimostrano l'assenza di un effetto negativo
dell'Octaplas sull'equilibrio della bilancia emostatica nei
soggetti con disturbi complessi dell'emostasi48.
Il preparato è stato impiegato anche nella terapia
trasfusionale dei neonati, dei bambini e delle donne gravide
con risultati che sono però ancora meritevoli di ulteriori
verifiche per la scarsità delle casistiche studiate17.
Tollerabilità
Le reazioni avverse che comunemente si osservano
dopo la trasfusione del PFC da singolo donatore,
comprendenti il prurito, l'orticaria, i brividi con febbre, la
nausea ed il vomito, i dolori lombari, la cefalea, la dispnea,
l'ipotensione e lo shock, che contraddistinguono le reazioni
febbrili non emolitiche (RFNE), o quelle allergiche, sono
state segnalate anche nei pazienti trasfusi con il PFC-S/D,
ma con una minore incidenza, con sintomi di più lieve entità
clinica e con una minor frequenza delle reazioni di tipo
allergico17, 44- 47.
Pur rilevando che i differenti criteri seguiti per il
riconoscimento delle reazioni avverse possono condurre
ad un'errata valutazione della loro frequenza a causa di una
mancata segnalazione delle forme più lievi, ciò che appare
evidente negli studi clinici condotti nei pazienti trasfusi
con l'Octaplas per le diverse patologie sopra elencate è la
netta differenza tra i pazienti trattati con questo prodotto
PFC trattato con solvente/detergente
rispetto alla terapia trasfusionale con concentrati
eritrocitari e piastrinici, che si associa alla comparsa di
reazioni avverse nel 2,1% e rispettivamente nel 4,2% dei
pazienti-48 .
Per quanto riguarda le reazioni post-trasfusionali dovute
alla presenza di alloanticorpi nel plasma dei donatori, da
quelle di minor importanza clinica come le RFNE alla più
temibile transfusion related acute lung injury (TRALI),
provocate dall'infusione di alloanticorpi anti-HLA ed
antigranulocitari, è evidente che la diluizione cui essi vanno
incontro nel pool di plasma è un importante fattore per
impedire la loro comparsa.
Le trasfusioni di PFC-DR non riducono invece il rischio
delle RFNE e della TRALI che si associano all'impiego del
PFC da singolo donatore, anche se la frequenza di queste
due reazioni post-trasfusionali da retested plasma rimane
sempre minore rispetto a quelle che compaiono dopo le
trasfusioni di concentrati eritrocitari e piastrinici 8.
Nella letteratura mancano anche segnalazioni di reazioni
emolitiche post-trasfusionali dovute alla presenza di
alloanticorpi antiemazie nel PFC-S/D responsabili di
un'iperemolisi nel ricevente.
Il rischio di una reazione emolitica provocata dagli
anticorpi naturali del sistema ABO presenti nel prodotto
non esiste se le unità dell'Octaplas vengono assegnate
rispettando la compatibilità per questo sistema e se,
ovviamente, non vengono compiuti errori nell'assegnazione
delle unità (al contrario delle emazie e delle piastrine , il
PFC-S/D di gruppo AB è il prodotto cosiddetto universale
che può essere trasfuso a riceventi di ogni altro gruppo
sanguigno ABO).
Anche l'evenienza di reazioni emolitiche provocate dagli
alloanticorpi antiemazie irregolari ( ad esempio anti-Rh)
eventualmente presenti nei singoli donatori del plasma è
da considerare come remota, sia per la loro diluizione nel
pool di plasma di partenza, sia per lo screening di questi
anticorpi che viene sistematicamente effettuato nei
laboratori dei Servizi Trasfusionali.
Nell'Octaplas non esiste poi il problema di tolleranza
per quanto riguarda la presenza del TNBP e del Triton X100, che residuano dopo la loro estrazione dal pool di plasma
nella procedura di preparazione, dal momento che le quantità
di questi reagenti, ≤ 2 µg/mL per il TNBP e ≤ 5 µg/mL per il
Triton X-100, sono risultate non pericolose dopo gli studi
di tossicità nell'animale19, 21.
Indicazioni
Le indicazioni della terapia con il PFC-S/D non mutano
rispetto a quelle già da tempo riconosciute per il PFC da
singolo donatore comunemente preparato nei Servizi
trasfusionali e tuttora utilizzato nella corrente pratica
medica. Ciò che muta sostanzialmente è la sua sicurezza dal
punto di vista del rischio infettivo e immunologico rispetto
al PFC non trattato.
Le tre più importanti indicazioni sono le sindromi
emorragiche dei pazienti:
1- portatori di deficit isolati dei fattori della coagulazione
in caso di non disponibilità dello specifico
plasmaderivato (ad esempio nei deficit dei fattori V ed
XI), oppure in situazioni di emergenza in mancanza di
una pronta e precisa diagnosi di laboratorio della
patologia emorragica;
2- in trattamento con anticoagulanti per via orale in caso
di iperdosaggio del farmaco, per una rapida risoluzione
di questa complicanza (con l'impiego di circa 1 litro di
PFC-S/D in un soggetto adulto);
3- affetti da porpora trombotica trombocitopenica (PTT),
sia acuta che cronica ricorrente ed anche dalla sindrome
emolitica-uremico (SEU) ad essa correlata.
Nella terapia trasfusionale di queste forme morbose con
il plasma od il plasmaexchange, l'Octaplas trova
un'indicazione preferenziale, data la caratteristica, già
menzionata, del plasma trattato con il metodo del S/D di
presentare una riduzione dei multimeri a più alto peso
molecolare che entrano nella composizione del fattore von
Willebrand (ULvWF-)12, 25.
È stato dimostrato che nell'eziopatogenesi della PTT
un ruolo eziopatogenetico importante è quello giocato dalla
presenza in circolo dei multimeri ULvWF, essendo il fattore
che provoca la formazione di aggregati piastrinici nelle
arteriole e nei capillari responsabili del multiforme quadro
clinico della PTT.
Secondo recenti studi, la formazione in circolo degli
ULvWF è dovuta alla scomparsa di una metalloproteasi
presente nel plasma normalmente deputata alla loro
scissione in multimeri di minor peso molecolare privi di
attività aggregante delle piastrine50.
Come era stato già osservato in passato, l'impiego di
un emocomponente con riduzione degli ULvWF, come
l'Octaplas. non compromette la sua efficacia terapeutica
nella PTT, ma al contrario la favorisce evitando l'infusione
di queste componenti plasmatiche51- 53.
Un'altra ragionevole indicazione del prodotto è quella
della correzione della sintomatologia emorragica in pazienti
con deficit combinati dei fattori dell'emostasi, come quelli
presenti nella CID e nelle coagulopatie associate a grave
insufficienza epatica o a trasfusioni massive.
L'Octaplas non trova indicazione, analogamente al PFC
da singolo donatore, come plasma-expander e nelle
ipoproteinemie, per la correzione dell'iperdosaggio di
eparina e nei casi di prolungamento solo lievi degli usuali
test coagulativi (TP ed aPTT)54.
7
GL Molaro
Tabella I: confronto delle caratteristiche dell'Octaplas vs
il PFC da singolo donatore
Caratteristiche
Octaplas
PCF
Selezione e screening dei donatori
Quarantena o donor retested-PFC
Markers virali
PCR (HIV, HBV, HCV ed HAV)
Periodo finestra
Inattivazione virale
Leucodeplezione per filtrazione
sì
sì
sì
sì, ogni lotto
sì
si
filtri, con pori
0,2-1µm
sì
sì
sì
sì
sì
sì
200
sì
no
sì
no
sì
no
no
Immunoneutralizzazione
Controllo di qualità
Validazioni
Controllo di Stato (Batch Release)
Farmacovigilanza
Standardizzazione
Volume (mL)
no
sì
no
no
no
no
150-600
Conclusioni
Dal confronto tra le caratteristiche dell'Octaplas con
quelle del PFC da singolo donatore non inattivato, riportate
nella Tabella I, si evince come questo emocomponente
rappresenti un vero e proprio salto di qualità nella terapia
trasfusionale con il plasma sotto il profilo del rischio sia
infettivo che immunologico. Nella procedura seguita nella
sua preparazione sono previsti il Controllo di Qualità, la
validazione dell'inattivazione virale secondo le linee-guida
della CE e quelle della FDA statunitense, il Batch Release,
quale medicinale sottoposto al controllo del prodotto finito
dal Laboratorio di Stato e l'autorizzazione all'immissione in
commercio rilasciata dalle autorità sanitarie nel Paese ove
viene impiegato. Ciò spiega la sua larga e sempre maggiore
utilizzazione nella pratica trasfusionale in Europa e negli
Stati Uniti in alternativa al PFC non sottoposto ad
inattivazione con il metodo del S/D e al PFC-DR. I Servizi
trasfusionali italiani attualmente possono rifornirsi del PFCS/D attraverso due modalità. La prima è quella del suo
acquisto dalle Ditte produttrici come l'Octapharma che
produce l'Octaplas e lo distribuisce nei vari Paesi europei.
L'altra possibilità è quella dell'invio del plasma
comunemente raccolto dai Servizi trasfusionali, per
scomposizione del sangue intero o per plasmaferesi, ad
una Ditta che ha le strutture idonee per il suo trattamento
con il metodo del S/D secondo la procedura ormai
standardizzata e restituisce il prodotto ai Servizi stessi per
l'utilizzazione clinica. È una modalità sostanzialmente
analoga a quella realizzata già da tempo in Italia per ottenere
i plasmaderivati, previo convenzionamento e pagamento
delle spese di lavorazione alla Ditta. Le strutture industriali
di frazionamento del plasma esistenti in Italia stanno già
preparandosi per offrire ai Servizi trasfusionali anche la
8
possibilità di sottoporre al trattamento con il metodo del S/
D il plasma che viene inviato a questo scopo. È evidente
che una terapia trasfusionale praticata con plasma
inattivato con questo metodo fa compiere un ulteriore passo
verso il traguardo di una totale sicurezza della pratica
trasfusionale con gli emocomponenti.
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